Tumgik
#e si dei giocatori si sono fermati solo loro due
buscandoelparaiso · 2 years
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Posso chiederti cosa hanno detto su Zaniolo su diretta azzurra? Me lo sono perso oggi
Dei giocatori si sono fermati solo Insigne e Bonucci? :)
Rimedio, Antinelli, Adani & friends si chiedevano perchè Zaniolo non fosse rimasto in ritiro nonostante l'infortunio alla caviglia/infiltrazioni al ginocchio, come hanno fatto Marcolino o Sirigu che nonostante fossero "'mezzi" infortunati sono rimasti col gruppo. Notavano come molti giocatori che arrivano a Coverciano un po' acciaccati, rimangono comunque a recuperare specialmente se hanno molte partite come in questo caso e più tempo per migliorare infortuni non gravi come quello che sembrava avere Zaniolo. Rimedio diceva che Zaniolo dovrebbe migliorare l'atteggiamento nei confronti della nazionale perchè il fatto che non fosse rimasto un secondo in più del dovuto, non ha dato un buon messaggio di attaccamento alla maglia ed è una cosa che giocatori di altre nazionali non farebbero mai (portava l'esempio delle nazionali sudamericane in cui i giocatori sono attaccatissimi alla maglia e anche se sono tutti rotti rimangono sempre ai ritiri) - diceva insomma che è la mentalità che deve cambiare, non solo per lui ma per tutti i giovani che non danno abbastanza importanza alla nazionale quando invece dev'essere un punto importante per ogni giocatore perchè i club vanno e vengono, ma la chiamata in nazionale è fondamentale per professionisti di livello come può essere Zaniolo. Antinelli diceva invece che probabilmente Zaniolo ha ancora paura di rompersi dopo i gravi infortuni e quindi non se l'è sentita di rimanere (oltre che per via del polverone mediatico degli ultimi giorni) ma che era un peccato perchè la nazionale poteva puntare su uno come lui che quando sta bene è validissimo. Hanno anche mandato un pezzo di intervista di Mancini che ha detto di aver parlato con Zaniolo appena arrivato a Coverciano e lui stesso gli aveva detto di non stare bene e che non se la sentiva di rimanere, Mancini non voleva forzarlo quindi l'ha lasciato andare.
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sportpeople · 6 years
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08-08-2018: Teramo-Fermana 0-0 Primo Turno Coppa Italia Serie C. Triangolare di qualificazione. Girone H. Prima Giornata
Si gioca di mercoledì questa prima giornata del triangolare di qualificazione del primo turno della Coppa Italia di serie C, comprendente, oltre a Teramo – Fermana che si affrontano stasera, anche il Rieti neopromosso in terza serie.
Il lavoro mi permette di essere libero da metà pomeriggio, per cui, senza nemmeno esitare prendo la macchina e mi dirigo verso il “Gaetano Bonolis” a Piano d’Accio in cerca di qualche spunto positivo, dato che queste partite di coppa riservano sempre delle sorprese, sia in senso positivo ma anche negativo.
Arrivo abbastanza presto nei pressi dell’impianto abruzzese, forse anche troppo, visto lo scarseggiare di tifosi, ma ho modo di sbirciare i prezzi e devo dire che la società teramana si è tenuta bassa, fissando a: 10 € la tribuna, 8 € i distinti e 6 € la curva.
La presenza fermana a Teramo
Al di là delle premesse iniziali devo riconoscere che alle 20:30, orario d’inizio della sfida, la gente risponde bene, calcolando comunque che è una partita di coppa Italia di serie C e si gioca in un giorno serale, in pieno agosto e con un caldo persistente. Alla fine gli spettatori presenti saranno oltre ottocento, con circa 35 tifosi marchigiani assiepati nella curva ospite.
Appena entrano le squadre in campo, i tifosi devono ancora arrivare e qualcuno entra a partita già iniziata. I biancorossi prendono posto in basso nella curva, esponendo la pezza dei TERAMO ZEZZA ed un’altra poco più defilata dei VECCHI DIAVOLI. A livello coreografico sventolano una bandiera biancorossa.
Parlando dei fermani, invece, dopo lo scioglimento del NUCLEO, gruppo portante della tifoseria canarina, sono curioso di vedere come si presenteranno in questo appuntamento della nuova stagione. Il numero dei presenti non è male per il tipo di partita, ma dopo aver attaccato le due pezze alla vetrata, i gialloblù si sparpagliano per il settore e solo un manipolo di tifosi seguirà la partita in piedi, ma senza effettuar nessun coro.
Nemmeno un coro d’insulto dei padroni di casa dopo venticinque minuti scalfirà il loro silenzio, dato che non risponderanno e proseguiranno a vedere la partita. Nel secondo tempo invece fanno gruppo dietro i due stendardi, guardando la partita in piedi ma sempre in silenzio e senza alzare un coro. Al triplice fischio finale applaudono la squadra che va a salutarli sotto il settore. Non so se abbiano problemi di organizzazione dopo lo scioglimento del NUCLEO, ma questa sera il tifo non c’è stato proprio.
I padroni di casa, nonostante non siano in numero corposo, dal primo minuto partono cantando per non fermarsi praticamente mai, accompagnando la maggior parte dei cori con bellissimi battimani eseguiti da tutti i presenti e sventolando per buona parte della gara una bandiera biancorossa.
Scambio d’applausi a fine gara
Nel secondo tempo partono sempre molto bene e dopo pochi minuti alzano il coro “vecchio diavolo quanto tempo è passato…”, sulle note della popolare canzone “Vecchio scarpone” di Gino Latilla, che cantano in maniera continua per una ventina di minuti con un’intensità davvero invidiabile.
Proseguiranno a tifare fino alla fine, novantesimo ed oltre, effettuando tantissimi battimani ed emblematica sarà una frase detta in dialetto marchigiano dal magazziniere della Fermana ad un addetto al campo: “però non si sono mai fermati, hanno cantato sempre”. Nonostante la partita finisca sullo 0-0, applaudono ugualmente i giocatori biancorossi andati a loro volta sotto la curva ad applaudirli per il sostegno profuso.
A fine partita sono i ricordi e le constatazioni a rapire i miei pensieri: penso all’ottimo tifo effettuato questa sera dagli ultras del diavolo, nonostante fossero all’incirca un centinaio, assiepati nella grande, troppo grande, esageratamente grande, curva del “Bonolis”. Così torno indietro nel tempo con la mente, e penso a quanto sarebbe stato bello se questa partita fosse stata disputata al vecchio Comunale, con la curva, perfetta per i loro numeri, trasformata in un catino ribollente. Comunale e ultras sono sempre state due entità diverse ma in simbiosi tra loro, che purtroppo una repressione pressante ed un calcio votato sempre più al business incontrollato, con stadi costruiti ai margini dei centri città e trasformati in cattedrali nel deserto, hanno rovinato quella poesia che il Comunale impersonava benissimo.
Marco Gasparri
La presenza fermana a Teramo
Teramani mani al cielo d’agosto
Scambio d’applausi a fine gara
Teramo-Fermana, Coppa Italia: la marginalizzazione degli stadi 08-08-2018: Teramo-Fermana 0-0 Primo Turno Coppa Italia Serie C. Triangolare di qualificazione. Girone H. Prima Giornata…
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tmnotizie · 6 years
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Grottammare, 23.4.2018
Si fa un gran parlare di “bandiere” nel calcio ma ormai, a tutte le latitudini, come i Gronchi rosa sono una rarità. Soprattutto tra i professionisti: dopo i recenti ritiri di Alessandro Del Piero della Juventus e di Francesco Totti della Roma, c’è rimasto in campo solo Daniele De Rossi, anche lui della società capitolina. A livello dilettantistico la situazione è leggermente diversa: sicuramente tra le migliaia di società italiane ci saranno diversi giocatori che si sono legati alla stessa maglia, collezionando presenze su presenze e diventandone, di fatto, un simbolo. Anche nel Grottammare Calcio ce n’è uno: si tratta di Davide Traini, grottammarese purosangue anche se i documenti ufficiali dicono che sia nato a San Benedetto del Tronto il 5 ottobre 1982. Nell’incontro infrasettimanale del 4 aprile scorso contro l’Atletico Gallo Colbordolo, Davide – fisico da granatiere, di ruolo centrocampista con licenza di segnare – ha giocato la sua trecentesima partita in campionato con la “vetusta” maglia biancoceleste (a cui vanno aggiunte anche 26 presenze in Coppa Italia). Chiariamo subito una cosa: nel conteggio sono comprese anche le partite di spareggio, play-off o play-out che siano, secondo la nuova tendenza degli statistici calciofili. Questo perché il gioco del calcio sta cambiando in continuazione (vedi l’introduzione dapprima del quarto uomo, poi degli arbitri di porta, infine del cosiddetto Var – la moviola in campo tanto richiesta per molti anni da Aldo Biscardi durante il suo Processo televisivo – per non parlare, almeno a livello dilettantistico, dell’introduzione da quest’anno delle cinque sostituzioni). Una volta ciò non succedeva perché gli incontri di spareggio erano davvero cosa rara: a memoria personalmente ricordo quello che decise lo scudetto tra Bologna ed Internazionale giocato allo stadio “Olimpico” di Roma il 7 giugno 1964 e quelli tra Atalanta, Cagliari e Pescara che sancì la promozione in Serie A nel 1976-77 degli orobici e, per la prima volta, degli abruzzesi. Sugli almanacchi dell’epoca, i giocatori di queste squadre non hanno le presenze in più nel proprio “score”, come se quegli storici incontri non fossero mai stati giocati. Oggi invece gli spareggi sono fondamentali, ogni anno, per decretare promozioni e retrocessioni soprattutto nelle categorie dilettantistiche, per cui vengono considerati a tutti gli effetti “presenze”.
Chiarito questo, andiamo a raccontare la lunga chiacchierata con Davide Traini che, se per ben sette stagioni non fosse andato altrove a dare quattro calci ad un pallone, oggi sarebbe stato sicuramente – al netto di eventuali gravi infortuni – il giocatore in assoluto con più presenze nel Grottammare, superando Luigi Travaglini e Giacinto Iobbi che si sono fermati a poco meno di 400 gettoni quando la società si chiamava ancora S.S. Robur.
  A che età hai iniziato a giocare a calcio?
Sono entrato nella Scuola Calcio del Grottammare all’età di sei anni ed il mio primo allenatore è stato Giacinto Iobbi, una bandiera cittadina, facendo in seguito tutta la trafila del settore giovanile, vincendo con gli Allievi due titoli provinciali consecutivi ed una Supercoppa.
  Poi l’approdo in prima squadra a sedici anni e mezzo…
Sì, ero ancora un Allievo e mister Massimo Teodori – che ogni tanto mi faceva allenare con i ”grandi” – mi fece debuttare in Seconda Categoria (il Grottammare era purtroppo sprofondato così in basso e solo con l’avvento del presidente Amedeo Pignotti cominciò la risalita fino alla Serie D, nda). Era il 17 aprile 1999 e giocai l’ultimo quarto d’ora della partita vinta 4-0 contro l’Orsini di Ascoli Piceno. Quello fu l’anno che arrivammo secondi e vincendo il play-off contro la Cuprense allo stadio “Riviera delle Palme” di San Benedetto del Tronto fummo promossi in Prima Categoria.
  Cosa hai provato quando il mister ti ha detto di scaldarti che saresti entrato?
Tanta tensione e molta emozione; le gambe non andavano, fortuna che quando sono entrato il risultato era già acquisito…
  L’anno successivo arrivò Castronaro, un centrocampista con un passato in Serie A…
Non fu per me quella una bella stagione; mi allenavo costantemente in prima squadra ed essere diretto da Angelo Castronaro, uno che aveva militato per molti anni nel massimo campionato italiano, per me era un piacere perché – giocando nel suo stesso ruolo – potevo farmi dare dei buoni consigli. Purtroppo a novembre mi ruppi i legamenti della caviglia e rimasi fuori molti mesi. Ricominciai con la Juniores e nell’ultimo mese di campionato il mister mi fece giocare tre partite. Vincemmo comunque il torneo ottenendo la seconda promozione consecutiva. Ad ogni buon conto ho un buon ricordo di mister Castronaro, con lui si lavorava davvero bene perché con i giovani ci sa fare.
  Nel 2000-01 arriva finalmente la Promozione…
Il presidente Pignotti, molto ambizioso, costruì una squadra per vincere anche questo campionato e così fu, nonostante un avvio un po’ balbettante con una sconfitta a tavolino nella prima giornata a Matelica per aver fatto giocare un calciatore squalificato ed uno scialbo pareggio casalingo nel turno successivo contro l’Azzurra Colli. Il mister Castronaro fu esonerato dopo la seconda giornata ed il suo posto fu preso dal ds Pino Aniello, in attesa dell’arrivo di un nuovo allenatore; che in realtà non arrivò mai perché con Aniello cominciammo con tre eclatanti vittorie (5-1 in casa con la Passatempese ed un doppio 4-0 a Corridonia e con la Sangiorgese tra le mura amiche) e poi con tutta una serie di risultati che ci proiettarono subito in cima alla classifica, quindi il presidente lo tenne fino alla fine. In questa stagione, per via della regola degli under, giocai 24 partite segnando anche la mia prima rete, l’8 aprile 2001 nel 6-0 contro la Vis Civitanova. Ebbi anche la soddisfazione di prendere parte al Torneo delle Regioni con la Rappresentativa Marche.
  Terza promozione consecutiva e finalmente fu Eccellenza.
Nel massimo campionato regionale (a cui il Grottammare partecipava per la prima volta da quando fu istituito nel 1991-92, nda), fu promosso allenatore Roberto Beni, l’anno prima compagno di squadra sul rettangolo verde. Già quando giocava si vedeva che aveva il carisma, era un allenatore in campo e la sua strada era segnata. Infatti oggi è vice allenatore di Stefano Colantuono a Salerno, dopo esser stato con lui anche a Bergamo, Udine e Bari. Il primo anno di Eccellenza, comunque, mi” vedeva” poco, preferiva altri under e feci solo 13 presenze. Fu un anno “strano”: chiudemmo il girone di andata in testa, poi scoppiò il “caso Corvo” con alcune società che denunciarono il Grottammare per aver fatto giocare Luigi Corvo secondo loro mai tesserato dal presidente Pignotti. La cosa ci destabilizzò non poco; quando poi fu chiarito che il tesseramento era regolare, ormai la frittata era fatta: arrivammo quinti ma quella fu l’ultima stagione in cui non si giocavano i play-off (verranno introdotti l’anno dopo, nda), per cui il campionato per noi finì lì.
  La promozione fu rimandata di un anno…
Sì, quella del 2002-03 fu una stagione pazzesca. Io riuscii finalmente a conquistare il mister Beni e giocai molto di più, nonostante la rottura di un menisco che mi tenne fuori da metà febbraio a fine aprile. Collezionai comunque 27 presenze, compresi gli spareggi play-off sia regionali che nazionali, segnando anche 4 reti tra cui la mia prima doppietta che ci permise di vincere – il 2 febbraio 2003 – contro il Calcinelli nel giorno in cui fu ricordato Filippo Pirani, scomparso il precedente 30 gennaio ed al quale è dedicato oggi lo stadio di Grottammare. Alla fine della regular season arrivammo secondi dietro l’Urbino, nonostante vincemmo contro i feltreschi sia in casa che fuori. Poi ci fu la bella cavalcata degli spareggi, dapprima regionali dove battemmo l’Urbisalviense allenata da Flavio Destro ed il Porto Sant’Elpidio, poi quelli nazionali dove avemmo la meglio sulla Fortis Terni ed il Teoreo Montoro, una squadra campana. Eravamo davvero un bel gruppo di pazzi scatenati con in testa Cristiano Cau, Massimiliano Corsi e Stefano Costantini. Il gruppo coeso fu sicuramente l’arma in più per quella storica conquista della Serie D.
  Ecco, appunto, la Serie D: che ricordi hai?
È stata davvero una bella esperienza lunga, per me, cinque anni con la maglia del Grottammare. Confrontarsi ogni domenica contro realtà di fuori regione – passando da squadre più “fisiche” come le abruzzesi, molisane e laziali, a quelle più “tecniche” come le romagnole, umbre e toscane – è stato un grosso arricchimento per tutti noi. Abbiamo provato anche l’ebbrezza per alcune settimane del primo posto in classifica, proprio il primo anno con Beni in panchina. In fin dei conti, sono stati dei bei campionati, quasi tutti di media-alta classifica a parte la stagione 2005-06 dove ci salvammo ai play-out contro la Nuova Avezzano: qui mi piace ricordare un curioso episodio, ossia il “blocco mascellare” ad un nostro tifoso, Gianni Iobbi, figlio di Giacinto. Dopo la vittoria casalinga per 4-2, andammo ad Avezzano forti dei due gol di vantaggio e con un discreto numero di tifosi a farci da conforto che vennero sistemati nella tribuna di fronte a quella principale, dove c’erano gli spogliatoi. Loro ci aggredirono subito e passarono in vantaggio anche abbastanza presto, per cui le cose non si misero molto bene per noi. Piano piano conquistammo campo e riuscimmo a pareggiare a pochi minuti dalla fine del primo tempo. Nella ripresa, con loro sbilanciati in avanti, passammo addirittura in vantaggio e a Gianni, nell’esultare, gli si bloccò la mascella con la bocca aperta. . Non c’era verso di rimettergliela a posto e quindi fu deciso di portarlo al pronto soccorso; il problema era che l’ambulanza, situata nei pressi dello spogliatoio, dovette entrare in campo, attraversarlo tutto per andare sotto l’altra tribuna per caricare il nostro tifoso e portarlo in ospedale, con la conseguenza che il gioco rimase interrotto per un bel po’ di minuti. Finì comunque tutto bene, sia per Gianni che per noi, perché alla fine vincemmo 3-2 e ci salvammo.
  Nel primo anno di Serie D Nico Stallone, attuale tecnico del Monticelli, ti ha seguito spesso in qualità di osservatore della Sampdoria: come entravi in campo sapendo di essere un sorvegliato speciale?
Questa notizia, in verità, mi giunge nuova. O meglio, eravamo stati avvisati dai dirigenti che in più di una partita c’erano degli osservatori di squadre importanti a seguire alcuni di noi under, ma non essendosi poi concretizzato niente non ho mai saputo quali fossero queste società e chi seguissero di preciso. Comunque, è ovvio che si entrava in campo con un po’ di strizza in più ma una volta che l’arbitro fischiava l’inizio si pensava solo a giocare e a cercare di fare bene.
  Descrivimi con una parola i vari allenatori che hai avuto a Grottammare in Serie D.
Cominciamo da Roberto Beni:
Ambizioso.
  Maurizio Severini, subentrato a Beni a metà campionato:
Compagnone.
  Domenico Izzotti:
Gran motivatore.
  Sestilio Marocchi:
Eccentrico.
  Daniele Amaolo, subentrato a Marocchi e poi confermato l’anno successivo:
Stratega.
  Il tuo ultimo campionato in Serie D con la maglia del Grottammare è stato sicuramente il più importante: quinto posto in classifica a soli cinque punti dalla vincitrice, la Sangiustese, e 12 reti segnate…
Infatti, fu un ottimo campionato con una bella squadra costruita strada facendo (molti giocatori arrivarono a campionato iniziato, nda). E pensare che abbiamo perso sei punti contro una squadra poi retrocessa, il Cologna Paese. Se gestito meglio, era un campionato che si poteva anche vincere. Ma non so fino a che punto la società aveva voglia di andare tra i professionisti.
  Cosa successe prima di quel fatidico incontro a Tolentino?
Guarda, ci ho capito poco anch’io. E poi preferisco non parlarne perché fu una cosa che mi fece molto male.
  Come mai poi andasti via da Grottammare?
Forse anche a seguito di come finì la stagione 2007-08, decisi di cambiare aria e accettai la chiamata di Roberto Beni che nel frattempo si era accasato alla Santegidiese, sempre in Serie D. Poi a gennaio ci fu a sorpresa la chiamata del ds della Sambenedettese, Luca Evangelisti, che mi seguiva già dai tempi del Grottammare; firmai il contratto da professionista proprio l’ultimo giorno del mercato di riparazione.
  Che esperienza è stata quella in Lega Pro Prima Divisione?
L’impatto all’inizio fu duro, sia per i pesanti allenamenti a cui non ero abituato sia perché le prime quattro partite le vidi dalla tribuna. Poi il venerdì precedente l’incontro contro il Padova, il mister Fulvio D’Adderio mi disse che avrei giocato. Il debutto in Veneto fu amaro perché perdemmo 2-0. Da quella domenica, comunque, ho giocato le ultime dieci partite di campionato – nel frattempo era arrivato il mister Giorgio Rumignani – e le due partite di play-out contro il Lecco.
  Tutti ricordano il miracolo del portiere del Lecco su un tuo colpo di testa all’ultimo minuto della partita di andata…
Me lo ricordo bene anch’io, ancora non riesco a capacitarmi come abbia fatto il portiere Massimo Zenildo Zappino (di origine brasiliana, nda) a prendere quella palla destinata sotto il sette. L’urlo di gioia mi si strozzò in gola. Certo che se avessimo vinto quella partita, chissà come sarebbe finita, forse ci salvavamo sul campo. Perché poi, in realtà, la Samb non si iscrisse l’anno dopo scomparendo dal calcio professionistico. E così sfumò anche il mio contratto triennale…
  Tu tornasti a Sant’Egidio alla Vibrata.
Si, tornai alla Santegidiese, nel frattempo affidata prima ad Aldo Ammazzalorso e poi, in corsa, a Gaetano Fontana. Disputammo un gran bel campionato, sfiorando la vittoria finale; vincemmo i play-off di girone ma poi venimmo eliminati in quelli nazionali. Ricordo molto volentieri tutti i miei compagni di squadra, tra cui Andrea Bucchi. Un po’ meno i dirigenti che non ci hanno finito di pagare i rimborsi spese concordati.
  A sorpresa, ecco il primo ritorno a Grottammare.
Mi chiamò Pino Aniello che aveva saputo delle varie disavventure (la Sambenedettese fallita, la Santegidiese che non pagava) e mi propose il ritorno a casa. Accettai volentieri anche perché sulla carta era stata allestita una buona squadra, molto competitiva. In realtà il campionato non fu esaltante, con il cambio di tre allenatori: dapprima Paolo Del Moro (fino a qualche anno prima era stato mio compagno di squadra sempre nel Grottammare), poi Giuseppe Malloni ed infine Giuseppe De Amicis. Alla fine riuscimmo ad evitare i play-out grazie alle vittorie contro Tolentino e Fermana, squadre di rango in quel torneo. Proprio contro i canarini realizzai la rete in maglia biancoceleste alla quale sono più legato per vari motivi: oltre ad essere l’unica mia segnatura su punizione, fu un gol importante in un momento di stagione molto difficile, a poche giornate dal termine, in cui stavamo cercando di venire fuori dai bassifondi contro una squadra che lottava per vincere il campionato.
  Perché poi nella stagione 2011-12 non rimanesti con la squadra della tua città?
Perché poi nella stagione 2011-12 non rimanesti con la squadra della tua città?
Perché mi cercò Roberto Cappellacci, un “talebano” della panchina che avevo già incontrato da avversario quando lui allenava il Pescina VdG, che andò a dirigere il Teramo, in Serie D, con una squadra costruita per vincere il campionato dove ritrovai il mio amico Andrea Bucchi con cui avevo già giocato a Grottammare e Sant’Egidio. Disputammo un campionato di vertice, rispettando il pronostico della vigilia, e – nella poule scudetto tra le vincenti dei nove gironi – cedemmo solo in finale al Venezia.
  Ma a Teramo, in Lega Pro Seconda Divisione, non vieni confermato…
Esatto, non so perché, comunque fu così. Allora accettai la proposta della Sambenedettese con Ottavio Palladini in panchina, vincendo per il secondo anno consecutivo un campionato di Serie D. La promozione fu poi vanificata dalla nota vicenda della mancata iscrizione della squadra alla Lega Pro Seconda Divisione da parte della coppia Pignotti & Bartolomei. In attesa di sapere come sarebbe finita la “telenovela” della Samb, rifiutai diverse proposte (tra cui anche la Fermana) sperando in cuor mio che i rossoblu ce la facessero ad iscriversi. Invece rimasi con il cerino in mano e, alla fine, accettai la proposta della nuova dirigenza della Sambenedettese e ripartii dall’Eccellenza, questa volta con Andrea Mosconi in panchina. Vincemmo il campionato con qualche giornata di anticipo proprio qui a Grottammare, anche se io non giocai perché infortunato.
  E siamo arrivati al 2014-15: la Samb non ti confermò…
Ebbi un confronto con il ds Alvaro Arcipreti il quale mi disse, con tutta franchezza, che nella nuova squadra avrei avuto poco spazio. Allora mi guardai attorno e scelsi, tra le varie pretendenti, la Recanatese perché aveva come allenatore Daniele Amaolo che avevo avuto qui a Grottammare e con il quale andavo d’accordo. A Recanati devo dire che mi sono trovato molto bene, ho trovato una società seria ed un bell’ambiente; a dicembre il tecnico sangiorgese fu sostituito da Lamberto Magrini e alla fine conquistammo la salvezza, anche se forse la dirigenza si aspettava qualcosa di più. Nella stagione successiva non rimasi con i leopardiani perché il confermato allenatore Magrini volle fare una rivoluzione mandando via tutti i “vecchi”.
  Dal giallorosso della Recanatese al gialloblu della Folgore Veregra.
Alla squadra neo promossa in Serie D venni chiamato dal ds Claudio Cicchi; allenatore all’inizio era Luigi Zaini con cui chiudemmo il girone di andata in piena zona play-off; poi – nel girone di ritorno – dopo un vistoso calo fu sostituito da Fabrizio Grilli il quale non riuscì ad evitare una clamorosa retrocessione che qualche mese prima era impensabile. Comunque questa di Montegranaro è stata un’esperienza da dimenticare in tutti i sensi: anche qui non ho visto nessun rimborso spese. Voglio dimenticarla in fretta.
  Allora è proprio vero che “chi lascia la strada vecchia per quella nuova, sa cosa lascia…”
Infatti, dallo scorso anno – vista anche l’età – ho preferito tornare a casa mia, a Grottammare, dove ho iniziato anche ad allenare nella Scuola Calcio. Nella passata stagione ci siamo salvati ai play-out facendo un’impresa a Fossombrone; quest’anno, invece, dopo aver disputato una buona prima parte di campionato, siamo calati un po’ nel finale ma abbiamo comunque raggiunto la salvezza con due giornate di anticipo, quindi ci riteniamo più che soddisfatti, considerando che – tolti Dario Ludovisi, Nicolò De Cesare ed il sottoscritto – la squadra è molto giovane. Ma è un buon gruppo che, con qualche innesto mirato, il prossimo anno può fare ancora meglio.
  Progetti per il futuro?
Da qualche mese sono rimasto senza lavoro (era ragioniere part-time in un’azienda del territorio che ha chiuso, nda) ed ho una famiglia da mantenere. Quindi per me, adesso, la priorità è la ricerca di un’occupazione; se poi riuscissi a trovare un posto che mi faccia conciliare entrambe le cose, finché il fisico regge mi piacerebbe continuare a giocare in prima squadra per provare, magari, a battere il record di presenze con questa maglia.
  Da quando è tornato nella sua città, Davide è anche un allenatore della Scuola Calcio del Grottammare: chissà se oltre alla tecnica insegna ai bambini anche come si diventa una “bandiera”. Perché in questo mondo del football che cambia molto velocemente, di giocatori “simbolo” ce ne vorrebbero molti di più.
In conclusione, a lui – ragazzo serio e preparato nonché in possesso dei patentini di Allenatore giovani calciatori Uefa C e di Allenatore di base Uefa B – auguriamo di trovare presto lavoro, magari – perché no – come mister di una squadra giovanile di società professionistica.
  Michele Rossi
  Testo © dell’Autore e dell’Editore
Nelle foto © di Secondo Capriotti e Michele Rossi: da sinistra, la formazione del Grottammare Allievi campione provinciale nel 1998-99 (Traini è il secondo da sinistra in piedi, a fianco dell’allenatore Pino Aniello); una formazione del Grottammare promosso in Serie D nel 2002-03 (Traini è il quinto da sinistra in piedi); figurina di Davide Traini del 2016-17
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sportpeople · 6 years
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Partita di grande fascino per la storica rivalità che divide le due tifoserie che, soprattutto negli anni Ottanta, ha spesso dato vita a fiere battaglie. Da allora la fisionomia delle due curve è profondamente mutata ma la sfida resta, per entrambe, tra le maggiormente sentite. Quando arrivo al casello autostradale di Verona i pullman bergamaschi sono già stati fermati; sono molti anche quelli che hanno scelto di fare la trasferta più liberi con l’auto: qualcuno viene ugualmente blindato, altri raggiungono lo stadio nella più assoluta autonomia. L’arrivo al Bentegodi ha un non so che di inquietante: sarà il fatto che non mancano piccoli gruppetti a fare ronda, sarà che sta calando il buio, sarà che da tempo non venivo più a Verona… insomma pur essendo neutrale non mi sento granchè tranquillo. In effetti poi va tutto per il verso giusto: sotto la Sud i soliti capannelli di tifosi che scherzano, scrutano, mangiano e bevono: patatine fritte e birra (servita anche in utili bottiglie di vetro) sono le preferite. Alla faccia della prevenzione che tanto viene sbandierata, infine, non posso non notare che qualchebaracchino si allarga sulla piazza con tanto di panche e tavoli di legno… Gli Atalantini dei pullman arrivano superscortati e dunque indisturbati, entrano pressochè istantaneamente e da subito la curva ospite regala un bel colpo d’occhio: circa 3000 persone, per lo più compattate al centro del settore. I Supporters fanno da punto di riferimento, con il loro lungo striscione “Bergamo” ben esposto, alla loro destra le BNA ed i Nomadi a fare da cerniera. Anche in questa occasione, invece, i Wild Kaos preferiscono farsi gli affari loro e scelgono una posizione un po’ defilata. Dall’altra parte la curva si riempie piuttosto tardi, vuoti evidenti non ce ne sono ma i tifosi sono tutt’altro che stipati. I primi cori che si alzano da sponda scaligera non possono che essere i classici “tormentoni” a sfondo politico rivolti agli avversari. Poco importa se da qualche anno la curva bergamasca è notevolmente cambiata sotto questo aspetto, e del resto nemmeno gli Atalantini brillano per fantasia contrattaccando con il giurassico “Veronese sei figlio di…”, sistematicamente intonato anche dagli stessi gialloblù. Fischio iniziale: torce degli ospiti, bandiere in curva Sud. Il primo tempo lo vedo sotto la curva atalantina: grande performance vocale, a cui il rapido doppio vantaggio fa da naturale amplificatore. Cori ben coordinati e spesso accompagnati da braccia e mani; unica pecca, forse, una certa ripetitività. Veronesi quasi sempre in movimento, ma solo nello spicchio centrale: tuttavia l’eco dei cori arriva spesso fino a me, nonostante il frastuono che ho alle spalle. Da raccontare la sciarpata veronese di fine primo tempo: 5 minuti abbondanti di ondeggiamento con la melodia dell’inno inglese a fare da sottofondo. Ripresa a campi invertiti anche per me, che la vedo per un buon quarto d’ora da sotto la Sud. Sventolano varie bandiere gialloblù a quadri e si alza lo striscione “BLACK… OUT”, la cui puntuale interpretazione francamente mi sfugge. Da vicino constato ancora meglio che buona parte della curva segue solo a sprazzi il tifo, ed il risultato in campo di certo non aiuta sebbene gli scaligeri paiono più determinati. Constato anche l’amore dei Veronesi per il noto caffè+liquore da stadio: la pista di atletica è tappezzata di boccette col tappo rosso… chissà fino a quando i Signori della Repressione consentiranno ancora questi vizi… Ripartono invece un po’ a rilento tifosi e giocatori atalantini: i primi 15 minuti sono una spanna abbondante al di sotto del livello espresso nel primo tempo. Poi la curva ingrana bene e riprende a dare spettacolo, mentre l’undici di Mandorlini chiude il match col fiatone, vedendosi anche dimezzare il vantaggio. Gli ultimi minuti sono i migliori: la curva gialloblù alza i toni per agguantare un pareggio che pare raggiungibile, gli ospiti invece, senza freni scaramantici, festeggiano in anticipo i 3 punti conquistati. Si ripete a parti rovesciate lo show con le sciarpe: stavolta sono i colori neroazzurri a restare a lungo alzati, sulle note di “Romagna mia” riveduta e corretta. Meritatissimi quindi gli applausi finali che tifosi e giocatori si tributano reciprocamente. L’uscita dallo stadio è piuttosto rapida, nonostante qualche vociante temerario cerchi, dai distinti, di“stuzzicare” i bergamaschi. Tutto sotto controllo. Anche fuori fila tutto liscio, nonostante in lontananza si intravedono delle nuvole che sembrano di lacrimogeno.
Testo Gabriele Viganò- Foto Rovelli
Sport People n.1/2003
      Verona-Atalanta 2003/04: l’eterno fascino Partita di grande fascino per la storica rivalità che divide le due tifoserie che, soprattutto negli anni Ottanta, ha spesso dato vita a fiere battaglie.
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sportpeople · 7 years
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In una Domenica di “buco”, sul mio calendario dedicato alle trasferte e alla militanza, vengo incuriosito da una bella partita, una rivalità dall’antico sapore che potrei andare a vedere: chiedo ad un amico fidato se gli va di accompagnarmi e, trovando la sua approvazione, aggiungo ulteriore entusiasmo all’idea di poterla condividere insieme a lui.
Che la partita sia già di per sé importante, lo si vede in settimana, quando vengono appesi in città degli espliciti striscioni per invogliare la gente a partecipare al delicato match, sia per questioni di classifica, sia per le vecchie ruggini che dividono le due tifoserie, sin dagli anni ’90.
La Fidelis, per l’occasione, indice la “giornata biancazzura” e quindi gli abbonamenti non saranno validi: un’operazione che personalmente non gradisco più di tanto, posto poi che, in estate, numerosi tifosi hanno deciso di fidelizzarsi praticamente “a scatola chiusa” e, calcisticamente parlando, non sono stati propriamente ripagati ricevendo, in data odierna, un trattamento non certo di favore rispetto ad altri che quest’estate, tutta questa fiducia alla propria compagine non l’avevano data.
Arriviamo nella città federiciana con un’oretta di anticipo e ci accorgiamo subito dell’ingente servizio d’ordine allestito per l’occasione, dato che veniamo fermati due volte ai varchi della città, dai tutori della sicurezza cittadina, che si accertano della nostra città di provenienza, per evitare spiacevoli inconvenienti.
Superati questi “ostacoli”, parcheggiamo con facilità in una stradina limitrofa al “Degli Ulivi “, accingendoci a fare un giro attorno allo stadio: troviamo subito gli ultras andriesi assiepati nei pressi del loro bar ubicato alle spalle dei distinti, praticamente a ridosso del settore ospiti, in attesa dell’arrivo degli ultras siciliani.
Proviamo a fare un giro dall’altra parte della tribuna, per capire se ci sia una possibilità di passare per vedere qualcosa in più, ma vediamo altri blocchi di “blu” che vigilano e controllano la zona, affinché nessuno possa accedere nello spazio riservato agli ospiti. Decidiamo di ritornare di nuovo al bar, dove a dieci minuti dall’inizio del match sono ancora presenti gli ultras locali, che “temporeggiano” prima di entrare nell’impianto, nonostante i controlli non lascino molti spazi di manovra. Proprio nel momento in cui stiamo per entrare in tribuna, sentiamo l’esplosione di cinque/sei petardi unitamente al suono di sirene: è il segnale dell’arrivo degli ultras catanesi. Veniamo a sapere di movimenti all’esterno dello stadio, tanto che abbiamo notizia, purtroppo successivamente confermata, dell’arresto di 3 ultras locali. A riprova della militarizzazione della zona, scorgiamo anche la presenza di un elicottero che, dall’alto, controlla la situazione.
All’interno dello stadio, tutto sembra essere tranquillo: il settore popolare locale è quasi esaurito e accoglie con una bordata di fischi l’ingresso degli ospiti. Anche dalla tribuna laterale, da cui seguiremo il match, partono insulti verso la tifoseria siciliana.
Purtroppo la partita è aperta solo ai possessori di tessera e, quindi, a presenziare sarà solo la Sud di Catania: davvero un peccato posto che, per una partita accesa come questa, sarebbe stato bello vedere entrambe le curve del “Liotru” all’opera.
I catanesi sono circa una cinquantina e, dopo essersi compattati e aver appeso le consuete pezze, non aspettano nemmeno la conclusione del minuto di silenzio (in ricordo di Azeglio Vicini) per far capire le loro intenzioni ed insultare gli ultras andriesi, che ovviamente risponderanno a tono. Il tifo, durante i 90 minuti, risulterà, invero, discontinuo e spesso condito da numerose pause; da segnalare l’esposizione, all’inizio del secondo tempo, di uno striscione per la Santa Patrona della loro città (Sant’Agata), la cui festa ricadrà proprio nel giorno successivo a questo incontro (dopo averlo esposto, lo appenderanno in balaustra, tenendolo in vista fino alla fine del match).
Durante tutta la partita, si beccheranno continuamente con gli ultras locali, facendosi sentire soprattutto dopo le due reti messe a segno, galvanizzati dal vantaggio in campo, ma tutto sommato, ritengo la loro prestazione “canora” insufficiente, anche considerando la fama che li contraddistingue.
Gli ultras di casa partono molto bene: il loro tifo, nei minuti iniziali, è su buoni livelli e calerà solo a fine primo tempo. Il loro apporto, soprattutto nel secondo tempo, e col doppio svantaggio, non cesserà mai, raggiungendo dei picchi davvero interessanti. C’è da dire che la loro performance, a livello di tifo, mi è piaciuta parecchio poiché, al di là del risultato, spesso hanno tenuto alti i cori che sovente sono diventati veri e propri boati, riuscendo a coinvolgere l’intera curva, anche con bei battimani. Anche la tribuna è risultata molto calda, partecipando spesso al tifo della curva, riservando sfottò alla vicina panchina ospite, in particolar modo al suo allenatore, Cristiano Lucarelli.
La partita, a tratti molto noiosa, se l’aggiudica il Catania, che porta a casa 3 punti importantissimi. A fine partita entrambe le curve omaggeranno i loro giocatori. All’uscita, altre camionette controlleranno il regolare deflusso degli spettatori, e non ci sarà nulla da segnalare, a causa dell’ingente spiegamento di f.d.o. in tutte le vie limitrofe.
Unico cruccio di giornata è non poter immortalare bene le pezze di entrambi i settori, in quanto ci è negato l’accesso al campo, ma abbiamo per lo meno l’occasione di fotografare i nuovi murales all’interno della Nord, in cui ogni gruppo ha una torretta a disposizione, da marcare con i propri simboli di appartenenza. Torniamo a casa soddisfatti, dopo una bella giornata passata ad assaporare l’interessantissimo approccio ultras di queste due tifoserie, divise da una rivalità dall’antico sapore, quello degli indimenticati anni ’90.
Testo di Rocco Denicolò. Foto di Gianluca De Cesare e Vincenzo Fasanella.
Fidelis Andria – Catania: ruggini dal sapore antico In una Domenica di “buco”, sul mio calendario dedicato alle trasferte e alla militanza, vengo incuriosito da una bella partita, una rivalità dall’antico sapore che potrei andare a vedere: chiedo ad un amico fidato se gli va di accompagnarmi e, trovando la sua approvazione, aggiungo ulteriore entusiasmo all'idea di poterla condividere insieme a lui.
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sportpeople · 7 years
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Per l’ultima giornata di campionato arriva a Bologna, fresca vincitrice dello scudetto 2016-17, la Juventus. Presenti quasi 30.000 spettatori con solo alcune zone laterali della tribuna ed il settore cuscinetto che divide il settore ospiti con la curva San Luca che rimangono vuote.
Qualche minuto prima della partita, il presidente del Bologna Joe Saputo si dirige verso la curva rossoblu ad applaudire i tifosi e ringraziarli per la stagione vissuta assieme, seppur fra alti e bassi viste le prestazioni della squadra non sempre entusiasmanti.
Venendo al tifo di casa, dal settore Forever Ultras si alza un lungo striscione: TRENT’ANNI SONO UN NIENTE… BAFFO SEI SEMPRE FRA LA TUA GENTE; in ricordo di un noto componente del gruppo di cui, com’è facile intuire, ricorre l’anniversario della scomparsa. All’entrata dei giocatori in campo, si crea il solito tappeto di vessilli rossoblu fatto di sciarpe, bandiere e qualche fumogeno, mentre il tifo si scalda cantando: “Chi non saltà è Juventino”.
Per l’arrivo all’ombra delle Due Torri di uno degli avversari più malvisti, per l’incarnazione del potere forte calcistico ma anche perché considerato fautore di una delle retrocessioni dei rossoblu, molto partecipe è risultato l’apporto da parte di tutta la curva, tanto a livello offensivo, com’era facile intuire, ma anche a sostegno della propria squadra.
Altri striscioni troveranno posto nel corso della gara, come un “CIAO NICO” nella zona dei “Mai Domi” a “UN SALUTO DAL CIELO AI BIMBI DI MANCHESTER” in zona Vecchia guardia, ovvio riferimento alle vittime del recente attentato avvenuto durante un concerto in Inghilterra. Poi ancora “BIENVENUE 1642 MTL” dei CTB per dare il benvenuto ad alcuni ultras della squadra canadese di Montreal, ospiti quest’oggi. Curiosamente, il proprietario del sodalizio nord-americano è sempre Joe Saputo.
Nel secondo tempo continua questa sorta di festival dello striscione “NON C’È SENTENZA CHE CAMBI LA NOSTRA ESSENZA: ULTRAS LIBERI” oltre ad uno che esprime solidarietà ai Viking della Juve: “IN UN SISTEMA CHE CI RINNEGA C’È ANCORA CHI NON SI PIEGA, VIKINGO TIENI DURO!”.
Da segnalare che per tutta la partita ha campeggiato costantemente un altro striscione: “NOI VOGLIAMO UN NOSTRO DIRITTO: CAMPIONATO 26/27 LO SCUDETTO”; stagione in cui il titolo fu vinto dal Torino e poi revocato per un presunto illecito, con il Bologna che, arrivato secondo, ne richiede l’assegnazione in proprio favore. Questo striscione farà il giro di tutta la curva, fermandosi di volta in volta in tutte le zone in cui risiedono i gruppi più importanti, fermandosi poi nella vetrata centrale. Nell’ottica di questa stessa protesta, prima della partita, davanti ai cancelli principali di Curva, Distinti e Tribuna sono stati allestiti dei banchetti per una raccolta firma atta a perorare la causa dell’assegnazione di questo famoso scudetto.
Del tifo juventino si può dire che la presenza è stata abbastanza alta (circa 8.000 i presenti) sparsi un po’ ovunque fra il settore ospite, dove troviamo Drughi, Tradizione con qualche sezione di altre città, poi il settore cuscinetto, stranamente lasciato vuoto, e tutto il resto della tifoseria che si divide in San Luca, con il Nucleo affiancato da tante altre piccole pezze, mentre tanti altri troveranno posto fra i distinti e la tribuna, per lo più accogliendo semplici tifosi con le loro famiglie.
Riguardo al mero tifo canoro, mi aspettavo qualcosa di più sinceramente in virtù del già menzionato scudetto appena vinto dalla Juventus e dei numeri sempre importanti che sposta questa compagine. A parte una discreta sciarpata finale, nemmeno i cori offensivi sono stati convincenti, non riuscendo mai a trovare compattezza e cantando alternativamente prima da una parte e poi dall’altra.
Nel finale, vinta per 2-1 la gara dalla Juventus, una 60ina di steward si sono disposti a bordocampo, davanti il settore ospiti, arginando ogni possibile velleità di invasione: in tanti anni, mai visto una cosa del genere; l’esatto contrario succede invece nella curva rossoblu, dove una decina di steward al massimo, si limitano a controllare a vista i tifosi che, da parte loro, si sono fermati a cavalcioni sulle vetrata.
Fabio Bisio.
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Bologna – Juventus: campionato finito, rompete le righe Per l'ultima giornata di campionato arriva a Bologna, fresca vincitrice dello scudetto 2016-17, la Juventus. Presenti quasi 30.000 spettatori con solo alcune zone laterali della tribuna ed il settore cuscinetto che divide il settore ospiti con la curva San Luca che rimangono vuote.
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