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#essere un peso
lospalatoredinuvole · 2 years
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Sono solo un peso.
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stayingstrong-dl · 8 months
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Eh si , sono un peso.. lo so!
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catastrofeanotherme · 2 years
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la paura di essere un peso
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kerorowhump · 1 year
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"Which road should we choose? Keep being a burden on the Hinata family... or continue forward towards the completion of the invasion?"
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fee-ling · 11 months
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Chi si tiene tutto dentro, non vuole essere un peso per nessuno.
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kon-igi · 5 months
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QUA CI SAREBBE STATO UN TITOLO ALTISONANTE MA QUESTA VOLTA NO
Trovo difficile spiegare quello che sto per raccontarvi, non perché provi vergogna o esitazione ma perché ho impiegato 23 giorni a capire cosa stesse succedendo e tutte le volte che mi fermavo con l'intenzione di parlarne, sentivo che le parole scritte non avrebbero reso il senso di quello che stavo provando.
Questa volta lo butto giù e basta, ben consapevole che le parole immiseriscono ciò che una volta fuori dalla testa non sembra poi così universale o interessante.
L'errore più grande che ho fatto in questi cinque anni (conto un anno prima della pandemia ma forse sarebbero pure di più) è stato credere di avere un equilibrio emotivo tale da poter prendere in carico i problemi e le sofferenze delle persone della mia famiglia.
Non solo, mi sono fatto partecipe e a volte risolutore dei problemi dei miei amici e una volta che sono stato in gioco mi sono reso disponibile ad ascoltare chiunque su questa piattaforma avesse bisogno di supporto, aiuto o di una semplice parola di conforto.
Ho sempre detto che una mano tesa salva tanto chi la stringe che chi la allunga e di questo sono ancora fermamente convinto.
Ma per aiutare qualcuno devi stare bene tu per primo, altrimenti ci si sorregge e si condivide il dolore, salvo poi cadere assieme.
In questi anni ho parlato molto di EMPATIA e di sicuro questa non è una dote che mi manca ma c'è stato un momento - non saprei dire quando e forse è stato più uno sfilacciamento proteso nel tempo - in cui non ho potuto fare più la distinzione tra la mia empatia e la mia fragilità emotiva.
Sentivo il peso, letteralmente, della sofferenza di ogni essere vivente con cui mi rapportavo... uno sgangherato messia sovrappeso con la sindrome del salvatore, insomma.
Sovrastato e dolente.
Mi sentivo costantemente sovrastato e dolente e più provavo questa terribile sensazione, più sentivo l'impellente bisogno di aiutare più persone possibile, perché questo era l'unico modo per lenire la mia sofferenza.
Dormivo male, mi svegliavo stanco, mangiavo troppo o troppo poco, lasciavo i lavori a metà e mi veniva da piangere per qualsiasi cosa.
Naturalmente sempre bravo a dispensare consigli ed esortazioni a curare la propria salute mentale ma lo sapete che i figli del calzolaio hanno sempre le scarpe rotte, per cui se miagola, graffia e mangia crocchette, bisognerà per forza chiamarlo gatto.
E io l'ho chiamata col suo nome.
Depressione.
La mia difficoltà, ora, a parlarne in modo comprensibile deriva da un vecchio stigma familiare, unito al fatto che col lavoro che faccio sono abituato a riconoscere i segni fisici di una patologia ma per ciò che riguarda la psiche i miei pazienti sono pressoché tutti compromessi in partenza, per cui mi sto ancora dando del coglione per non avere capito.
All'inizio ho detto 23 giorni perché questo è il tempo che mi ci è voluto per capire cosa sto provando, anzi, per certi aspetti cosa sono diventato dopo che ho cominciato la terapia con la sertralina.
(per chi non lo sapesse, la sertralina è un antidepressivo appartenente alla categoria degli inibitori della ricaptazione della serotonina... in soldoni, a livello delle sinapsi cerebrali evita che la serotonina si disperda troppo velocemente).
Dopo i primi giorni di gelo allo stomaco e di intestino annodato (la serotonina influenza non solo l'umore ma anche l'apparato digestivo) una mattina mi sono svegliato e mi sono reso conto di una cosa.
Non ero più addolorato per il mondo.
Era come se il nodo dolente che mi stringeva il cuore da anni si fosse dissolto e con lui anche quell'impressione costante che fosse sempre in arrivo qualche sorpresa spiacevole tra capo e collo.
Però ho avuto paura.
La domanda che mi sono subito fatto è stata 'Avrò perso anche la mia capacità di commuovermi?'
E sì, sentivo meno 'trasporto' verso gli altri, quasi come se il fatto che IO non provassi dolore, automaticamente rendesse gli altri meno... interessanti? Bisognosi? Visibili?
Non capivo ma per quanto mi sentissi meglio la cosa non mi piaceva.
Poi è capitato che una persona mi scrivesse, raccontandomi un fatto molto doloroso e chiedendomi aiuto per capire come comportarsi e per la prima volta in tanti anni ho potuto risponderle senza l'angoscia di cercare spasmodicamente per tutti un lieto fine.
L'ho aiutata senza che da questo dipendesse la salvezza del mondo.
Badate che non c'era nulla di eroico in quella mia sensazione emotiva... era pura angoscia esistenziale che resisteva a qualsiasi mio contenimento razionale.
E ora sono qua.
Non più 'intero' o più 'sano' ma senza dubbio meno stanco e più vigile, sempre disposto a tendere quella mano di cui sopra - perché finalmente ho avuto la prova che nessun farmaco acquieterà mai il mio amore verso gli altri - con la differenza che questa voltà si cammina davvero tutti assieme e io sentirò solo la giusta stanchezza di chi calpesta da anni questa bella terra.
Benritrovati e... ci si vede nella luce <3
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leonflashy · 2 months
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Spesso mi soffermo a cercare di capire le persone invece che di mandarle direttamente a fanculo, cerco di capire i loro stati d'animo, cerco di comprendere i loro gesti, le parole, gli atteggiamenti, ma invece dovrei fregarmene come fanno loro, trattarle come si meritano, cioè con un bel calcio nel sedere, ma non sono cosi. Forse perché do un peso alla parola ''amicizia'' o" all'amore" e, per me, è un valore inestimabile, si fa presto a dire amici o fidanzati, ma dopo è il tempo e le azioni che giudicano se davvero è quel sentimento o quel legame come si vuol dire, mi piacerebbe aprire il cervello di alcune persone e vedere se, all'interno, hanno un cervello o un ometto che balla la break dance magari con una canna in mano come in un famoso film, vorrei cercare se hanno dei sentimenti o se sono talmente pieni di sé stessi da passare sopra alla gente come un treno in corsa, ti riempie di balle, ti fa credere di essere pulito e limpido come un angelo ma alla prima che ti giri ti pugnala alle spalle! Ecco vedi caro\a il mio\a se vogliamo chiamarti cosi, leggi bene queste mie parole e cerca di farne buon uso, cerca di non far più quello che hai fatto a me, cerca di viverti la vita al meglio e lasciami vivere la mia, cerca di non guardarmi in faccia quando mi vedi, girami al largo per non farmi altro male, non cercare un discorso con me, non voglio sentire le stupide parole bugiarde di un falso ipocrita quale sei tu. Vedi la vita è fatta di scale , cè chi le scende, in questo caso tu, e chi le sale, come faccio io. Rimarrai sempre un nulla perché tutta la tua vita è fatta di innumerevoli e inutili bugie, ti circonderai di persone come te, false e ipocrite, perché solo quello sai fare, vai per la tua strada fatta di menzogne e di giochetti stupidi che io andrò per una via sicura e trasparente quale sono io. Non ho bisogno di raccontarti storie non ne voglio di persone come te. Non so che farmene di un ipocrita quale sei tu. Viviti la vita al meglio ma ricorda che il male che si fa alle persone ritorna tutto indietro come un boomerang, non sai quando e non sai come ma ritorna, troverai un giorno chi ti userà, ti imbambolerà di frottole, ti farà credere chissà che, ma l amara verità ti ferirà ed allora ti verrò in mente ma ti prego scacciami subito, non voglio passare nemmeno un lurido minuto in quel tuo mondo putrido.
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volpedellaneve · 5 months
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Quell’assurda sensazione di disturbare e di essere un peso nella vita di qualcuno non passerà mai.
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mccek · 11 months
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“Nonoo” questa mattina sei venuto a mancare e dopo aver lottato per altri tre mesi, anche se in ospedale ti avevano dato pochi giorni, ininterrottamente non hai mai mollato quel filo sottile che divide la vita dalla morte; anche contro le tue volontà a testa alta col tuo carattere (in cui non mi rispecchiavo) sei riuscito a tenerti vivo, ahimè, purtroppo, la morte vince si tutto, non ha pietà.
Fin da piccolo il tuo sogno era di vedermi guidare, cosa che se pur col tempo ho saputo apprezzare non ho mai amato fare come te, prima che l’infarto ti colpisse definitivamente ti avevo fatto una promessa, di portarti a vedere un gran premio di formula uno, da noi tanto amata, questo seppur per evidenti problemi economici non mi avrebbe mai impedito di non farlo, però non avresti avuto le forze, anche se immagino che ti saresti commosso, anche se una persona come te era difficile vederla piangere.
Abbiamo avuto periodi in cui ci costruivamo mentalmente dei muri invisibili e proprio per la differenza del nostro carattere questo ci ha ferito entrambi, fuori sicuramente eravamo orgogliosi ma il problema poi è sempre dentro, quel peso che a lungo andare ti consuma fino a trasformalo in malattia.
Col senno di poi siamo bravi tutti, tu hai le tue responsabilità e io le mie, non esistono santi, nessuno di noi due ha vinto o perso, nonostante abbiamo sofferto, ci siamo riavvicinati pian piano, con più fiducia e lo abbiamo fatto raccontandoci la mia, la nostra infanzia, nostra perchè alla fine hai passato davvero tanti anni assieme a me quando ero piccolo, io non dimentico i tuoi errori nonno, ma nemmeno il bene che mi hai fatto, la tua immensa disponibilità per me e la mamma quando aveva bisogno di essere portata per lunghi anni su e giù in ospedale, sappi che queste cose rimarranno impresse nella mia testa, perché col tempo, forse crescendo, anche se ancora mi vedo, sai, un po’ bambino, quel Mattia che era il tuo idolo, che doveva essere il migliore di tutti, ma che in realtà voleva solo essere come tutti, e che quei tutti avessero il mio stesso cuore, quella bontà che col tempo è pian piano svanita.
Chi si dimentica di tutta quella gente che ci Incontrava in bici la mattina presto?
La tua felicità negli occhi, nel vedere come tutti si fermassero a guardarmi, a parlarmi e a sottolineare il fatto che il sorriso non mi mancasse mai.
Si andava a prendere il pane, ne volevo subito un pezzo, ci fermavamo a vedere tutti i cani della via con la speranza che rispondessero alle mie parole, e restavo lì convinto fino a quando sentivo abbaiare e tu mi davi conferma delle loro risposte.
Che periodi, cercavo sempre mia mamma, purtroppo per via del lavoro per me era come stesse via intere settimane ma in realtà così non era, però tu ben sapevi quanto io sia legato a mamma, e tranquillo ricorderò sempre quanto anche tu lo fossi, anche se spesso avevi qualcosa da ridere per via del tuo carattere ricorderò le tue ultime parole: “La mamma è la donna più intelligente che ho conosciuto, fin troppo buona e disponibile per tutti, voglio che lei lo sappia”.
Potrei scrivere un libro, non un poema su ciò che abbiamo vissuto insieme, sei stato la mia infanzia, il mio periodo preferito, lo rivivrei mille volte, nonostante il tuo modo di essere, ma chi sono io per giudicare? Certo, quello che penso lo dico, come hai sempre fatto tu, ma allo stesso tempo non mi nasconderò mai come non giudicherò mai!
Ora stai vicino alla nonna, e assieme fatemi il regalo più grande, che non sono i soldi, non sono una vita di successi, ma la speranza di vedere vostra figlia, mia mamma, stare un po’ meglio.
Solo questo.
Il pensiero rimbomberà sempre nella mia testa, fra cose belle e cose brutte, ma per vivere di questi tempi, bisogna affidarsi solo all’amore, lo sai nonno no?
Quella piccola parte di odio che io ho sempre avuto verso la mia generazione, e tu, verso chi ben sapevi, era molto simile, però se fossi qui so che con un sorriso, e magari una lacrima, diresti: “Qua te ghe rason”.
Ciao caro nonno, ti voglio bene❤️
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crazy-so-na-sega · 3 months
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perché il collasso della civiltà occidentale è già in atto ma pochi se ne accorgono?
perché il collasso delle società complesse raramente avviene in questo modo. le società complesse raramente falliscono per un’unica ragione. Possono sopportare un terremoto, la corruzione, l’inflazione, la guerra o la peste, ma non più di uno contemporaneamente.
Ma crollano soprattutto perché non c'è più la volontà di pagare per il suo mantenimento. La maggior parte delle società, come Roma, crollano quando il peso collettivo di tasse, norme e regolamenti, originariamente implementati per migliorare la vita, diventa un peso tale da rendere preferibile il collasso.
Ma paradossalmente il collasso avviene raramente. È un progressivo macinamento, una serie quasi impercettibile di cose che si degradano nel tempo, fino a quando non vengono abbandonate per un bel po' prima che siano completamente non funzionali.
Ecco come si svolse la caduta dell’impero romano d’occidente. A meno che tu non vivessi in una grande città quando fu saccheggiata, potresti quasi immaginare che nulla fosse realmente cambiato nel corso di una generazione. La vita nella tua villa continuava. Ma improvvisamente alcuni beni commerciali cominciarono a diventare difficili da reperire.
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Quindi ora sei stato costretto a fare affidamento maggiormente su soluzioni locali e più semplici. Un giorno il tuo sistema idrico fallisce e gli artigiani locali possono solo fare un lavoro da schifo. Quindi ora riempi la tua piscina e la trasformi in un porcile. Ha senso. Puoi quasi convincerti che sia un aggiornamento. Allora quel grande soggiorno con l'elegante pavimento a mosaico ha più senso come stalla. E quando sarai passato davvero al Medioevo, tutti coloro che ricordavano qualcosa di fondamentalmente diverso erano morti da tempo.
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Proprio per questo motivo il crollo romano fu così totale, perché fu così graduale. Quando tutto finì, gli edifici e le infrastrutture erano stati cannibalizzati per costruire la pietra, e le persone con il know-how per avviare nuovamente una civiltà avanzata se n'erano andate.
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Se a differenza di quello romano, il nostro sembra essere un collasso socialmente forzato, in parte lo è stato anche il loro: ci sono fortune da guadagnare smontando una nazione o un impero, e di solito si guadagna più velocemente che costruendoli. Quindi, una volta che la palla inizia a rotolare non mancano le persone che spingono. Tuttavia è antistorico, cercare la mente che progetta : "fato" e "necessità" come "leggi" quantistiche che governano il mondo, solo dopo viene chi spinge.
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firewalker · 11 days
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L'incoerenza di genere sfida la filosofia interpersonale
Post ad alto contenuto di imbarazzanti ovvietà da boomer e strafalcioni dettati da ignoranza becera dell'argomento riguardo i quali sono contento di discutere per saperne di più e per migliorarmi. Ne scrivo proprio per avere una discussione proficua. Abbiate pietà, sono nato e cresciuto negli anni ottanta del secolo scorso.
Seguitemi un attimo. Io sono Firewalker, ho una certa altezza, un certo peso, una certa capigliatura. Se cambio capigliatura, se ingrasso o dimagrisco, sono sempre Firewalker.
Ho avuto un incidente anni fa e ho cambiato il legamento crociato anteriore sinistro. Nonostante quel cambio, sono sempre io. Se perdo l'intera gamba continuo a essere io. Se perdo tutti gli arti sono comunque io. Se mi cambiano il cuore sono sempre io.
La leggenda vuole che ogni sette anni cambiamo tutte le cellule del nostro corpo (che poi dubito sia vera questa cosa, soprattutto per alcuni tipi di cellule, ma facciamo finta che). Comunque a 14 anni siamo sempre la stessa persona di quando avevamo 7 anni, giusto?
C'è una vecchia storiella che racconta che nel corso della manutenzione a una barca, questa piano piano vede sostituito tutto il suo legno con del legno nuovo.
E allora, quanti pezzi di me devo cambiare, quanto legno della barca devo sostituire, per fare sì che quella persona non sia più io, che quella barca non sia più la stessa barca?
Non so per le barche, ma la mia idea è che io risiedo nel mio cervello. Il mio cervello (la mia mente... la separazione tra cervello e mente è un altro paio di maniche. Per me sono la stessa cosa, facciamo finta che sia così per tutti per semplicità di discussione) decide come mi muovo, cosa faccio, come reagisco, decide il mio carattere, decide i miei interessi, decide le mie passioni, i miei amori, le mie antipatie. Io sono il mio cervello.
Probabilmente, se guardiamo la questione in maniera egoriferita, è lapalissiano, ed è per tutti così. Il problema è quando guardiamo gli altri. Se io conosco Marco, lo conosco con la sua altezza, col suo peso, con la sua capigliatura, oltre che con i suoi modi di fare e con i suoi interessi. Lo riconosco per il suo aspetto, e magari ho piacere a stare con lui per il suo cervello, ma non è quello che mi indica la sua identità, non è quello che me lo fa riconoscere. Per me Marco è un corpo esterno da me, per Marco lui è il suo cervello.
Ecco il punto del discorso.
Ci vuole un salto qualitativo da parte mia per riconoscere che Marco non è il suo braccio o il suo collo messi insieme a tutto il resto. Marco è il suo cervello. Questo salto qualitativo non è fatto da tutti, forse perché non ci pensano, forse perché non sono d'accordo con la mia affermazione "è così per tutti", ci hanno ragionato sopra e per loro ha importanza anche la corporeità. Forse è un problema culturale (inteso proprio come conoscenze delle varie sfaccettature di questo argomento).
Il fatto è che se Marco ha una incoerenza di genere e il suo cervello gli dice di essere Angela, ecco che potrebbe non accettare più le parti del corpo che ha, perché vive la sua realtà, il suo cervello, non è allineato. Qui si sfocia nella disforia di genere, che è un malessere generato da questa incoerenza di genere.
In qualunque modo la viva Angela, il fatto è che non vive da sola. È circondata da persone che gli dicono che si chiama Marco, che ha il corpo di Marco, e che magari non accetta il fatto che sia Angela a "pilotare" il corpo che vedono.
Gli altri devono far caso al fatto che Angela non è il suo corpo, ma il suo cervello. Devono improntare il rapporto con gli altri ad un livello superiore per poter notare questa cosa e, come detto, non tutti lo fanno. Anzi, per molti non è pensabile che Angela esista, esiste solo Marco, che è quello che loro vedono. E se Marco dice di essere Angela, allora ha un problema mentale (per alcuni è il demonio, per altri è una moda...), perché non è possibile che non si accorga di essere Marco, deve fare finta per forza.
Senza contare poi che, magari, la situazione è anche più complicata. Me li immagino pensare "sei Marco, cosa significa che non ti senti ne maschio né femmina?"
Non ho ancora trovato il modo migliore per rapportarmi con queste persone (quelle che non riconoscono Angela), so solo che la divulgazione è spesso osteggiata o marginalizzata in settori di nicchia, perché per capire certe cose (anche solo vagamente, come penso e spero di fare io) bisogna sbatterci la testa contro più e più volte, e non tutti c'hanno voglia di faticare su questo.
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cuoreenero · 1 year
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Quell’assurda sensazione di disturbare e di essere un peso nella vita di qualcuno non passerà mai.
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alafissaerotante · 9 days
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Short S.29 Stirling
Lo Stirling fu il risultato della specifica B.12/36 emessa dall'Air Ministry britannico. Con questa richiesta il ministero intendeva acquisire un velivolo capace di trasportare un carico bellico, composto da bombe da 227 (500 lb) e 907 kg (2.000 lb). Doveva poter trasportare 3.600 chili di carico bellico su una distanza di 4.800 km o un raggio di azione di 3.600 km con un carico di 6.350 kg. La velocità del velivolo doveva essere di 370 km/h ad una quota di 4.500 m. Il velivolo doveva essere dotato di tre torrette difensive - anteriore, caudale e ventrale – armate con due mitragliatrici da 7,7 mm. L'equipaggio doveva essere composto da sei persone. Il peso massimo del nuovo aereo era ipotizzato nell'ordine dei 21.773 kg ma poteva arrivare ad un massimo di 24 865 kg nel caso venisse effettuato un decollo assistito. Il ministero precisò anche che l'apertura alare massima consentita doveva essere di 100 ft (30,48 m). Questa richiesta non era dovuta tanto alla necessità di ricoverare il velivolo negli hangar allora disponibili, come spesso ritenuto, ma piuttosto alla volontà di limitare il peso totale del velivolo e di migliorare le prestazioni in decollo, riducendo la corsa necessaria, ed in atterraggi
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kon-igi · 10 months
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QUESTA È UNA STORIA CHE NON SO COME COMINCIARE A RACCONTARVI
È una storia triste con un finale velato di speranza che però non riesce a diminuire in me la tristezza, visto che è troppo spesso ripetuta ovunque nel solito loop di solitudine e sofferenza.
Non a caso ho deciso di raccontarla solo adesso e a taluni potrà sembrare che io mi voglia agganciare furbescamente al trend 'femminicidio' e con questo post fare virtue signaling.
Tutt'altro, credetemi.
Questa storia parla del coraggio di una ragazzina di 20 anni, l'unica reale protagonista, mentre noi come famiglia, semmai, abbiamo avuto solo il merito di essere al posto giusto al momento giusto.
Ricordate questo: AL POSTO GIUSTO AL MOMENTO GIUSTO e poi nella chiusa a questo post capirete.
Anche se dubito fortemente che conosciate lei o siate venuti a sapere della sua storia, per un mio senso di riservatezza cambierò molti particolari, senza però far perdere mai il senso di quanto accaduto.
Mia figlia piccola aveva una compagna di studi con la quale era rimasta in contatto anche dopo la maturità e una sera questa ragazza è venuta a cena a casa nostra, su strana insistenza di nostra figlia perché era già tanto tempo che non si vedevano, tranne qualche messaggio con cui lei la teneva informata sullo stato di salute del fratellino di 7 anni, affetto da una forma aggressiva ma curabile di leucemia.
Avevamo capito che era successo qualcosa e infatti questa ragazza, durante la cena, ci confida che lei, la madre e, soprattutto, il fratellino sono da anni vittime di maltrattamenti psicologici e fisici a opera del padre.
E noi, su insistenza di nostra figlia che è riuscita a convincerla, siamo state le prime e uniche persone alle quali trova finalmente la forza di dirlo, visto che il padre aveva costretto la madre a chiudere i contatti con ogni parente e cerchia di amici.
Erano sole, la madre non lavorava e tutti dipendevano da un unico stipendio, quello del padre, che inoltre decideva quando e quanto potessero uscire di casa.
Una storia di abusi familiari come tante, solo che invece di sentirlo in un telegiornale ce le stava raccontando di persona una ragazzina smilza e che sorrideva triste per l'imbarazzo.
E poi ho visto gli occhi di mia figlia, pieni di rabbia e indignazione ma scintillanti anche di qualcos'altro... speranza, anzi, convinzione che noi potessimo aiutarla.
Con un peso enorme nel cuore, le abbiamo allora parlato tutta la sera, l'abbiamo consolata, consigliata e spronata a fare quello che la madre non aveva più la forza di fare: denunciare ai carabinieri e rivolgersi a un centro antiviolenza.
E mentre lei piangeva lacrime di gioia per aver finalmente trovato qualcuno con cui aprirsi, le arriva un messaggio wathsapp sul telefono con una foto.
Una foto da suo fratello.
Che si era fotografato il naso.
Rotto e sanguinante.
E il messaggio sotto diceva 'Papà ha picchiato la mamma e poi me. E poi se n'è andato'.
Un bambino di 7 anni con la leucemia che deve andare a fare la chemio due volte a settimana.
A vederlo scritto pare assurdo pure a me, una di quelle brutte sceneggiature per una fiction rai in prima serata ma il fatto era che stava succedendo di fronte ai nostri occhi e non so come io sia riuscito a non prendere una delle mie asce appese al muro per andare schiantarlo in due come un ceppo marcio.
Lei, però, non si scompone più di tanto e ci dice 'Adesso vado. Ci penso io' con un tono che nascondeva stanchezza e abitudine... ma forse anche qualcos'altro di nuovo.
Vent'anni anni e ci pensava lei, quando noi - cinquantenni - eravamo solo riusciti a dire delle belle parole, tutto sommato inutili.
Prende ed esce, con noi che le andiamo dietro urlandole di chiamare subito i carabinieri e cercando di andare assieme ma lei sembra essere molto decisa, finché le luci posteriori della sua macchina non scompaiono nella notte.
Minuti, decine di minuti e poi ore ad aspettare notizie, senza conoscere il suo indirizzo e senza sapere dove mandare qualcuno a controllare.
Poi squilla il telefono. È lei. Ci racconta che quando è arrivata a casa ha subito controllato che non ci fosse la macchina del padre, è entrata e ha chiuso la porta da dentro lasciandoci le chiavi sopra. E quando il padre, ore dopo, ha provato a entrare e, non riuscendoci, ha cominciato a dare in escandescenze, ha chiamato i carabinieri dicendo loro che aveva picchiato la madre e il fratello.
Carabinieri che, ovviamente, lo hanno beccato mentre prendeva a calci la porta di un appartamento con dentro una donna e un bambino sanguinanti per le botte ricevute.
Nonostante tutto, quella notte non siamo riusciti a dormire.
Il giorno dopo mi arriva un audio su whatsapp (le avevo dato il mio numero per emergenza) e per quanto forse avrei potuto postarvelo qua per farvelo ascoltare, preferisco trascrivervelo
'Ciao, sono E. Ti volevo dire che ieri sera siamo stati al pronto soccorso e io ho insisitito con i medici che facessero tutte le foto a mamma e L. e che poi chiamassero la polizia che c'è dentro. L. è stato coraggioso e ha raccontato tutto, poi anche mia mamma ha trovato il coraggio di parlare. Ora stiamo andando al centro antiviolenza di Parma così ci aiutano con gli avvocati e magari ci trovano anche un altro posto dove andare. Io vi volevo ringraziare perché per la prima volta in vita mia mi sono sentita in una famiglia vera che capiva il mio dolore e la mia paura e con voi ho trovato la forza di parlare. Grazie di essere così meravigliosi'
Io ogni tanto ascolto quell'audio e poi le telefono per sapere come va. Lo ascolto perché, vedete, non mi sembrava che avessimo fatto chissà che cosa ma il tono della sua voce diceva tutto il contrario.
E allora mi sono ricordato di quella vecchia storia del ragazzino con la gamba rotta al quale ho fatto compagnia mentre aspettavamo l'elisoccorso e di come i genitori, mesi dopo, mi hanno riconosciuto in mezzo alla folla e mi sono venuti ad abbracciare come se gliel'avessi riattaccata, quando io mi ero limitato solo a rassicurarlo in attesa dei soccorsi.
Però ero al posto giusto al momento giusto.
Quel posto e quel momento, però, che non sono e non accadono mai a caso alla persona che sa cosa sia la sofferenza.
Se questo mondo non vi ha reso cattivi - e se siete arrivati a leggere fin qua non solo non siete cattivi ma anzi molto pazienti - allora avrete capito che il posto giusto al momento giusto è quello in cui siete ora, nello stesso frammento di tempo in cui decidete di spostare gli occhi dal centro del vostro dolore personale alla consapevolezza di quello degli altri.
Come non mi stancherò mai di dire, una mano protesa salva tanto chi la stringe quanto chi la tende.
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l-incantatrice · 6 months
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Nell’ultimo anno ho mandato affanculo qualche persona. Prima di tutto due dietologi da cui ero andata per perdere qualche chilo. Purtroppo tre anni fa ho dovuto iniziare a prendere un farmaco che è anche anabolizzante,così nel giro di 15 giorni ho messo cinque chili pur seguendo una dieta ipocalorica e bilanciata. Questi due medici non solo non sono riusciti a farmi perdere peso,ma con le loro diete sbagliate hanno peggiorato le mie patologie. Ora sto andando da una nutrizionista giovane,seria e onesta e finalmente,anche se molto lentamente,comincio a perdere peso e le mie condizioni di salute sono migliorate. Poi,lo scorso novembre,ho mandato affanculo la mia parrucchiera,da cui andavo da circa 17 anni e con cui avevo un rapporto amichevole. Nell’ultimo anno era molto scorbutica perché voleva che facessi il colore e il taglio che piacevano a lei e non approvava le mie scelte.Alla fine mi sono fatta convincere a tagliare i capelli come diceva lei,ma me li ha tagliati troppo corti e stavo malissimo. Ho fatto mesi a disagio quando uscivo di casa. Ora vado da un altro parrucchiere che ha tinte ottime,é molto bravo e tratta le clienti come regine.
Quindi,visto che mandare affanculo quelle persone,mi ha migliorato notevolmente la vita,sto già pensando a chi può essere il prossimo da mandare affanculo 🤣🤣
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angelap3 · 9 days
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Ho un debole per quelle persone
che sanno di essere fortunate
che ne hanno passate
di tutti i colori.
e perciò vivono colorate.
Che non hanno bisogno
di nascondere gli altri
per sentirsi giganti.
Che portano dentro
nascosto da qualche parte
un dolore che non passa mai.
Qualcosa che le ha cambiate per sempre
ma non per questo si sentono più grandi
ma non per questo si sentono migliori.
Ho un debole per quelle persone
che spente le luci, rimangono accese.
Che chiuso un amore, rimangono vive.
Che sciolto il trucco, rimangono vere.
Ho un debole per le persone
attente a toccare.
Che una carezza quando incontra un livido si fa ricordo.
Ho un debole per quelle persone
che hanno lottato
e in silenzio hanno vinto.
Che dal giorno in cui sono uscite
dal loro buio
soffrono di felicità ossessiva compulsiva.
Che non hanno mai rinunciato
alla loro dolcezza.
Che non si sono piegate alla rabbia
quando la rabbia era l’unico modo
per farsi ascoltare.
Ho un debole per quelle persone
che sanno che insistere
significa violentare.
Che rispettano un “no, grazie”
senza aggiungere altro.
Che dev’esserci un motivo
per entrare nella vita di una persona
e quel motivo dev’essere chiaro.
Sempre.
Che essere gentili
non vuol dire essere stupidi.
Che conoscono il peso delle parole
e non te le scagliano contro
per difendersi.
Che rispettano la solitudine.
Perché sanno che una persona
custodisce lì, tutto ciò che non si può raccontare.
Tutto ciò che non vuol essere trovato.
Ho un debole per quelle persone
che quando camminano per strada
e incrociano il tuo sguardo
per un istante sorridono.
Le adoro.
Mi mandano letteralmente
fuori di cuore.
(Andrew Faber - da “Cento secondi in una vita")
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