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#giacomo lilliù
sguardimora · 6 months
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Meme, shitposting e performing arts approdano su Telegram: è Teatropostaggio di Giacomo Lilliù 
In attesa della Settimana delle Residenze Digitali che si terrà come ogni anno nel mese di novembre, dal 22 al 26, abbiamo intervistato Giacomo Lilliù/COLLETTIVO ØNAR che ci ha raccontato come si sta sviluppando il processo creativo per Teatropostaggio, uno dei quattro progetti sostenuti dalla quarta edizione del bando Residenze Digitali. Il progetto interroga la natura dello shitposting e del meme con la sua dialettica tra immagine e testo per assimilarla a quella tra palco e parola. Cosa succede se si utilizza lo shitposting come meteora impazzita, per schiantare i paradigmi attoriali e drammaturgici? da questa domanda parte la ricerca creativa di Giacomo (ideazione e curatela performativa)  in collaborazione con Pier Lorenzo Pisano (curatela drammaturgica) prima e i meme creator e attori selezionati poi come ci spiega nell'intervista Lilliù.
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[ph. AFFERMAZIONI]
Come è nata e si è sviluppata l'idea di questo nuovo progetto performativo per Teatropostaggio?  Di che cosa tratta il lavoro?
Giacomo Lilliù: Teatropostaggio nasce quando ho scoperto che l’ideatore di una delle pagine di meme che seguivo con più interesse, avocado_ibuprofen - una pagina Instagram che fa, a suo modo,  meme-essays, cioè meme-saggi, piccole escursioni filosofiche che hanno uno stile ben riconoscibile - era stato coinvolto come dramaturg da una compagnia di danza. Da lì ho pensato che potesse essere interessante innescare altri processi simili: se un dramaturg può venire dal mondo memetico, cosa può succedere con la nostra scena memetica italiana se apriamo un accesso alle arti performative? Sono stato accompagnato prima di tutto nell'ideazione da Pier Lorenzo Pisano, un drammaturgo, regista e autore che mi dà man forte soprattutto dal punto di vista del coordinamento drammaturgico del progetto. Insieme a lui abbiamo identificato i profili di memer che potevano essere adatti a questo gruppo di ricerca - ci siamo sempre definiti come un gruppo di ricerca sulla traduzione disciplinare tra composizione memetica e composizione teatrale. Da lì poi abbiamo scelto i cinque creator parte del progetto e i quattro attori con cui misuriamo il materiale composto. Tra le ispirazioni del progetto c’è una pagina web storica, The million dollar home page, in cui ogni pixel poteva essere comprato per un dollaro, diventata un mosaico di annunci pubblicitari di case, siti porno, concerti... Questo arazzo in cui le cose sono messe insieme seguendo l'ordine casuale del libero mercato ci ha ispirato. È nata così l'idea che il nostro progetto potesse essere un patchwork iridescente non di pubblicità ma di contenuti memetici. Sicuramente il gruppo è nato anche grazie a Fondo, il network di Santarcangelo tramite la cui fellowship il progetto è stato sostenuto. Fondo, in particolare, sostiene la traduzione verso il palcoscenico, ma trattandosi di un gruppo di ricerca, ci è parso giusto esplorare tutte le possibilità. Ed è con questo spirito che abbiamo applicato alla call per Residenze Digitali: volevamo vedere come, parallelamente a questo attraversamento per il teatro, si poteva ritornare al digitale; con quali strumenti, con quali informazioni si poteva usare il contesto di partenza in maniera trasfigurata.
Hai accennato a come si è innescato il processo di commistione tra shitposting memetico e scrittura drammaturgica ma, andando più nello specifico, come state lavorando con i meme creator e con gli attori?
Giacomo Lilliù: Il progetto Teatropostaggio è nato prima di Residenze Digitali come percorso di ricerca. Da gennaio 2023 abbiamo identificato i 5 content creators: Giulio Armeni, Davide Palandri, piastrellesexy, Daniele Zinni, Loren Zonardo. Con loro abbiamo iniziato a fare una call al mese in cui chiedevamo di produrre nuovi materiali o condividerne alcuni che avevano nel cassetto e che potevano essere interessanti rispetto alla consegna del progetto, senza essere troppo stringenti dal punto di vista delle tematiche o del contenuto perchè ci piaceva che loro ci portassero le loro istanze e i loro stili. Mese dopo mese si è andato a costituire un materiale molto eterogeneo e anche abbastanza vasto perché sono stati parecchio prolifici. Ad agosto abbiamo deciso di smettere di produrre nuovo materiale e concentrarci sulle possibilità di sviluppo di quello che avevamo accumulato. Una delle complessità di questo progetto, che riproduce le meccaniche dello shitposting, è che gli stimoli sono ovunque, qualsiasi cosa potrebbe potenzialmente arricchirsi di strati e diventare qualcosa di inseribile all'interno di questo percorso. A questo punto sono iniziate le residenze: ne abbiamo avuta una a Polverigi presso Inteatro, un'altra ad agosto a FabbricaEuropa e una ancora a cavallo tra luglio e agosto curata da Zona K. Da una parte, quindi, ci sono questi incontri da remoto una volta al mese con i content creators dall’altra sono iniziate le occasioni di residenza, momenti in cui gli attori possono incontrarsi dal vivo e lavorare sui materiali creati, a volte anche insieme ad alcuni dei creators. La prima residenza a Polverigi è servita a introdurre a tutti questo mondo che, come tutte le sottoculture, è altamente sfaccettato, per cui si è reso necessario un percorso di avvicinamento. Per quanto tutti sappiamo cos'è un meme, l'iceberg è molto profondo rispetto a quelle che sono le ramificazioni del fenomeno e tutte le varie declinazioni, in particolare, per quanto riguarda lo shitposting: a differenza dei meme, infatti, lo shitposting è il modo in cui vengono non-organizzati dei meme all'interno di un contesto che può essere una conversazione su un gruppo Facebook, una condivisione di contenuti con l'obiettivo di cercare di far deragliare la conversazione, cercare di conversare in modo linguisticamente sorprendente, non seguendo la scaletta del discorso ma cercando sempre nuovi modi per deviare il linguaggio, facendo comunque sì che il discorso proceda. Con i meme si crea un sottolinguaggio imprevedibile e mutante ed è questa la dimensione più affascinante dello shitposting. Quando abbiamo introdotto gli attori a questa dimensione, loro hanno fatto i loro passi di avvicinamento e di ricerca personali. Pian piano stiamo componendo con loro delle drammaturgie possibili. Ci interessa anche un’ipotesi di performer-come-memer, quindi stiamo trovando delle condizioni per permettergli di improvvisare consapevolmente. Trattandosi di un gruppo di ricerca, la sperimentazione sta anche nel vedere cosa non funziona e cosa sì, muovendosi senza troppo giudizio. Per il momento siamo molto orientati sulla fascinazione che ci regala questo mondo, avvicinandoci per prove ed errori. Nella presentazione del progetto ho usato la parola "pionieristico": al di là delle esagerazioni, il senso per noi è questo. Ci diverte, ci stiamo dentro e cerchiamo di non farci troppo mangiare dalle logiche produttive. Vogliamo stare dentro la tessitura degli spunti e delle ispirazioni per vedere cosa ne viene fuori naturalmente e organicamente.
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[@LACANYEWEST]
Quali sono state, se ci sono state, le sfide o le criticità nell’incontro tra la scrittura drammaturgica e la scrittura memetica, da una parte e dall'altra tra l’interpretazione degli attori e questo nuovo linguaggio?
Giacomo Lilliù: Le categorie che vengono più in conflitto nel nostro percorso, anche rispetto a quello che abbiamo riscontrato durante una prova aperta fatta nei giorni scorsi con tutor e partner del progetto, sono due: la “cascata” e la “cornice”. Da una parte c'è sempre stata la fascinazione - e soprattutto questo lo propone Pisano sentendo che la cascata di contenuti può celare qualcosa di veramente deflagrante - riguardo alla proposta di contenuti non filtrati. Nel caso di Residenze Digitali possono essere contenuti che si susseguono senza soluzione di continuità mentre lo spettatore può tessere le proprie trame. In quel caso, il nostro compito non sarebbe neanche proporre una trama nascosta all'interno dei contenuti ma semplicemente mettere in condizione i performer di esprimersi come in una sorta di jam session linguistica tra tutti gli stimoli accumulati che si presentano al momento. Mentre la creazione del meme può essere più o meno performativa, nel senso che può anche essere un’operazione più ragionata dietro le quinte e condivisa dopo mesi di preparazione proprio come se fosse un'opera d'arte visuale, lo shitposting, configurandosi come linguaggio, ha per forza una componente performativa, sul momento: se tu mi posti qualcosa io ti devo rispondere con qualcos'altro e in questo scambio immediato ed estemporaneo noi cerchiamo di attaccarci con le dinamiche performative, teatrali, attoriali. Da una parte quindi c’è la “cascata”, questa tempesta di contenuti che arrivano uno dopo l'altro in maniera libera, de-pensata. Dall'altra c’è la “cornice”: tracciare dei confini drammaturgici e operativi, cenni narrativi o programmatici che permettano di comunicare meglio. È come se fornissimo una guida su che tipo di percorso stiamo per compiere, per preparare lo spettatore a quello che sta per vedere, per addolcire l'esperienza e fornire una vaga chiave d'interpretazione o quantomeno delle strutture di ricezione - una sorta di  foglietto illustrativo. Quindi da una parte siamo tentati di andare all-in con questa modalità a cascata, dall'altra comunque il teatro è sempre un po' un fare ordine di tutte le cose, per cui sentiamo che a volte potrebbe essere utile adottare una configurazione a cornice, per quanto poi tutte le volte che passiamo per la cornice sentiamo che stiamo un po' smorzando il potenziale sovversivo dello shitposting. Stiamo ancora calibrando queste due possibilità. Ci interessa che questa sia un'azione performativa e non solo la replica di una pagina di meme. Però comunque c'è una libertà nello shitposting data da contesti che nascono dal basso e non hanno niente da dimostrare se non la propria sussistenza per il piacere di sopravvivere in un ambiente in cui le regole stanno a zero. Riuscire a recuperare quella autenticità per me è molto importante anche all'interno di un discorso più vasto, anche rispetto al modo di intendere il momento performativo tout court.
Andando più nello specifico della piattaforma che avete scelto, Telegram, come ci state lavorando, quali le criticità e le opportunità che avete trovato nel dialogo con le sue grammatiche?
Giacomo Lilliù: La scelta di Telegram non è stata immediata perché lo shitposting e i meme viaggiano su canali multipli, piattaforme come Reddit, e soprattutto i social, in cui i contenuti arrivano agli utenti mediati attraverso algoritmi. Sarebbe stato rischioso quindi aprire un gruppo Instagram o Facebook perché saremmo già stati costretti ad agire all'interno di logiche di trasmissione dei contenuti con cui si può fare poco. Ci serviva uno strumento che ci permettesse una condivisione più protetta e autonoma. Tra le opzioni rimanevano Discord e Telegram, in entrambi i casi gruppi di scambio di messaggi. Discord risulta più dispersivo perché nasce come supporto a gruppi di gioco, e presuppone una specie di conoscenza pregressa. Noi volevamo essere più sincretici e ripiegare tutto su una stessa piattaforma. Telegram può essere gestito come una specie di social a senso unico, che bypassa gli algoritmi mantenendo comunque la possibilità di moderare gli interventi degli utenti. Se il punto di partenza dello shitposting è sempre una conversazione, Telegram è il luogo in cui questa può avvenire con più malleabilità da parte di chi propone la performance. Inoltre io credo in uno squilibrio tra le parti, tra il pubblico e i performer. Il performer deve essere messo in condizione di poter manipolare le possibilità di ascolto del pubblico e questo Telegram lo permette perchè possiamo scegliere, quanta condivisione e interazione consentire. Dal punto di vista della riproduzione della conversazione Telegram ci è dunque sembrata la scelta migliore per una conversazione ingegnerizzata, sperimentale. Rimane la difficoltà che Telegram è una piattaforma pensata principalmente per dispositivi portatili, per cui il livello di immersività è basso rispetto a una performance che può andare in onda in streaming sul computer o una performance immersiva tramite visore. Questo non è necessariamente un elemento che mi disturba in sè, mi piace l'idea che la performance sia letteralmente nelle mani del fruitore, a sua volta libero di decidere quanto farla entrare nel proprio quotidiano. Però è un elemento su cui dobbiamo ancora riflettere per avere più polso della situazione, perché dobbiamo chiarificarci come cavalcare questa fruizione frastagliata. Il rischio è di diventare un po' solipsistici, di fare le nostre cose senza avere troppo la cognizione della risposta che c'è dalla parte del pubblico.
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[ph. AFFERMAZIONI]
Come state immaginando il rapporto con il pubblico? Che cosa si deve aspettare il pubblico della settimana delle Residenze Digitali dalla prova aperta?
Giacomo Lilliù: Abbiamo già fatto degli esperimenti in cui il pubblico era libero di commentare, e questo ci ha destabilizzato perché abbiamo sottovalutato la tentazione ad intervenire in un contesto come quello della nostra performance. Per questo ora immaginiamo che da un punto di vista pratico ci siano solo una o due finestre all'interno delle quali si chieda esplicitamente al pubblico di intervenire, non perché vogliamo censurarlo ma semplicemente per rendere l'esperienza più intensificata ed esteticamente coerente e per non disperdere l'energia di risposta. Rispetto al lavoro del 2021 - si tratta di Woe - Wastage of events progetto creativo di Giacomo Lilliù/Collettivo Onar e Lapis Niger - in cui potevamo permetterci di stare in ascolto del lavoro e attraverso l'ascolto del lavoro ascoltare il pubblico, ora avremo un pubblico più distante. In più abbiamo effettivamente molto da fare: c'è da gestire un atto creativo costante e imprevedibile su cui stare molto concentrati e anche questo pone un filtro in più tra noi e gli spettatori. Inoltre Telegram, per come viene usato comunemente, è una piattaforma multitasking, non la possiamo rendere una piattaforma immersiva. Dobbiamo riuscire a semplificare il più possibile il tipo di dinamica che vogliamo instaurare con il pubblico e avere chiarezza sugli spazi di intervento. In generale il potenziale del meme e dello shitposting è abbastanza dirompente da tutti i punti di vista. C'è un grosso rischio: quello del meme che viene utilizzato come ritrovato per una comunicazione efficace. Abbiamo superato la fase in cui il meme poteva servire come oggetto di artivismo e hacktivismo. Adesso sempre più persone si misurano con la ricerca del meme dank (ovvero, diciamo, all'avanguardia), ma principalmente come strumento di posizionamento dentro la loro community e di credibilità per la loro maschera/personaggio. Siamo in una fase in cui il meme ha ancora colpi da sparare nel momento in cui, piuttosto che venire strumentalizzato per fini utilitaristici, trova ambienti in cui essere accolto, come per esempio quello delle performing arts, per farli saltare in aria. Ci auguriamo che l'esperienza di Teatropostaggio, che immaginiamo possa arrivare a degli spettatori che provengono da una cultura teatrale, sia anche straniante. Teniamo sempre un occhio sul potenziale dinamitardo del meme cercando di conservarlo il più possibile. È un’alchimia tra quanto ci possiamo permettere di spaventare chi si collega senza farlo scappare a gambe levate. Stiamo cercando di fare qualcosa che abbia senso dal punto di vista dell'integrità della proposta, il che non vuol dire che debba essere un’opera ombelicale che dia soddisfazione solo a noi. Se riuscissimo a trovare un pubblico predisposto alla sorpresa, ci piacerebbe innescare un percorso in cui anche il pubblico entri tanto nel gioco da diventare un ulteriore partecipante alla dinamica dello shitposting, un pubblico che possa memare insieme a noi creando una conversazione in cui tutti i termini saltano, come avviene appunto nello shitposting. Altra cosa interessante sarebbe mischiare i pubblici come abbiamo fatto con WOE, dove l'obiettivo era portare dentro l’esperienza anche gente che fruiva quotidianamente di Twitch. Se su Telegram porteremo gente a cui interessa la creazione memetica a incrociare anche i linguaggi performativi, allora sarà un successo. Poniamo le basi per l'incontro, ma il contesto deve per forza apparire creativamente fertile. Se il teatro, al di là di Residenze Digitali, ritrova il suo ruolo di luogo in cui è possibile fare delle cose allora stiamo lavorando nella direzione giusta.
Francesca Giuliani, Chiara Mannucci
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tmnotizie · 6 years
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ANCONA- Il viaggio in tre tappe “Nella giungla della città. L’irruzione del reale” si conclude giovedì 19 luglio nella Corte della Mole Vanvitelliana di Ancona, nell’ambito della Rassegna “Sensi d’estate” del Museo Tattile Statale Omero con lo spettacolo NELLA GIUNGLA DELLE CITTÀ. L’IRRUZIONE DEL REALE 3. LA PORTA (ore 21.30 ingresso libero) della regista e drammaturga Sonia Antinori.
Saliranno sul palco della Mole gli attori del laboratorio “Jungle People” di Ancona, provenienti da Senegal, Mali, Costa d’Avorio, Nigeria, Liberia, Bangladesh, Guinea Bissau e Camerun, con la partecipazione straordinaria di Carla Manzon, attrice diretta – tra gli altri – da registi quali Tadeusz Kantor e Peter Stein, e con gli attori Desirée Domenici e Giacomo Lilliù.
Dopo gli appuntamenti presso la Rocca Roveresca a Senigallia e in piazza Federico II a Jesi, questo terzo momento pubblico costituisce l’approdo finale del percorso verso la messinscena di uno spettacolo teatrale sulla società come contenitore di antagonismi e contrapposizioni, trovando collocazione all’interno della struttura del Lazzaretto, nella Corte della Mole Vanvitelliana.
Questo spazio ampio e circoscritto al tempo stesso, sorta di castello sotto il cielo, allude a un’idea di accoglienza, che è strettamente connessa con il tema delle migrazioni. E con questo spettacolo su palco, che si offre a una platea di spettatori secondo lo schema dialettico del teatro all’italiana classico, termina l’avventura di questi attori non attori alla ricerca di un teatro della realtà, di una nuova forma d’arte che possa mettere insieme piano estetico e contenuto, restituendo il teatro al suo primato: quello dell’immediatezza.
Il percorso che ha condotto il pubblico in questo viaggio teatrale multiculturale, concepito nell’ambito del Bando MigrArti 2018, indetto dal MIBACT per la valorizzazione delle culture immigrate e lo sviluppo del dialogo interculturale, è partito martedì scorso con uno spettacolo itinerante ideato espressamente per lo spazio labirintico della Rocca Roveresca di Senigallia: Nella giungla delle città. L’irruzione del reale 1. Il Castello. I componenti del gruppo Jungle People di Senigallia, hanno realizzato un lavoro che attraverso installazioni, teatro danza, narrazione e musica ha condotto il pubblico in una riflessione sui temi della convivenza civile, l’accoglienza ed i diritti.
Analogamente lo spettacolo di sabato scorso in Piazza Federico II di Jesi, Nella giungla delle città. L’irruzione del reale 2. La Piazza, è stato messo a segno dal gruppo Jungle People di Jesi, che prendendo a prestito le forme e i colori del mercato e della piazza, ha proposto al pubblico una performance esplosiva e popolare, vera e propria irruzione del reale nel tessuto urbano della città.
Come i primi due, anche l’ultimo appuntamento di Ancona, che andrà in scena giovedì alle 21.30 è frutto degli esperimenti laboratoriali teatrali che negli ultimi mesi hanno impegnato l’associazione Malte e oltre 80 immigrati di I e II generazioni in una vera e propria palestra di democrazia attraverso lo studio del testo di Bertolt Brecht Nella giungla delle città, sulla natura antagonista dell’essere umano, per arrivare alla realizzazione di una riscrittura contemporanea in tre parti, scritta da Sonia Antinori: una contronarrazione sulla mutazione sociale in atto, a partire dalla viva voce dei testimoni. Anche per questa ultima occasione è stato individuato un luogo dal forte valore simbolico ed estetico, che aiuti ad avviare anche simbolicamente una riflessione su un nuovo modello di città aperta ed accogliente.
Il progetto “Nella Giungla delle città. L’irruzione del reale”, vincitore nelle Marche del Bando MigrArti Spettacolo 2018 ideato da Sonia Antinori con l’Associazione Malte, ha preso infatti a pretesto il lavoro del drammaturgo tedesco per avviare un confronto a partire dal principio di universalità che è il fondamento della civiltà europea ed attivare negli scorsi mesi tre laboratori teatrali con ragazzi immigrati di I e II generazione nelle città di Senigallia, Ancona e Jesi.
Il percorso formativo, sviluppato dalla Compagnia Malte in collaborazione con cooperative sociali e associazioni culturali italiane e straniere, ha visto la partecipazione di decine di laboratoristi immigrati di I e II generazione di diverse provenienze geografiche, tra cui Bangladesh, Pakistan, Russia, Venezuela, Costa d’Avorio, Guinea, Nigeria, Camerun, Mali, Senegal, Liberia, ed il lavoro finale vedrà i performer che hanno partecipato ai laboratori di Senigallia, Jesi e Ancona.
NELLA GIUNGLA DELLE CITTÀ. L’IRRUZIONE DEL REALE è un progetto tra i vincitori del Bando MigrArti Spettacolo 2018 prodotto dall’Associazione Malte (Musica Arte Letteratura Teatro Etc.) in partenariato con Acads (Associazione Culturale Arancia Donna Subsahariana), Casa delle Culture di Ancona, Free Woman Onlus, La Gemma Onlus, Irs l’Aurora Cooperativa Sociale, Vivere Verde Onluse con il sostegno di Comune di Ancona, Comune di Jesi, Comune di Senigallia, Regione Marche, Assemblea Legislativa delle Marche, Cpia Ancona, Anpi Comitato Provinciale Ancona, Museo Tattile Statale Omero, Ambasciata dei Diritti delle Marche, Istituto Comprensivo “Federico II” di Jesi, Odòs Società Cooperativa Sociale, Ya Basta Marche, Spazio Comune Autogestito Tnt, Comunità Bengalese di Jesi.
NELLA GIUNGLA DELLE CITTÀ. L’IRRUZIONE DEL REALE / IL CASTELLO– LA PIAZZA – LA PORTA è il trittico di spettacoli finali frutto dei tre laboratori multiculturali – Testo e regia di Sonia Antinori, con le Compagnie Jungle People di Senigallia, Jesi, Ancona, con la partecipazione straordinaria di Carla Manzon e con Desirée Domenici e Giacomo Lilliù, training attori Fausto Caroli e Giacomo Lilliù, coreografie e movimenti scenici Stefania Zepponi, luci e spazio scenico Francesco Dell’Elba, musica e suono Slate, video Matteo Lorenzini, costumi Stefania Cempini, sarto di scena Amadou Cissé, ufficio stampa Irene Pezzella, organizzazione Michela Cavaterra, progetto grafico Helene Lageder, fotografo Lorenzo Pavani.
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sguardimora · 5 months
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𝗗𝗮𝗹 22 𝗮𝗹 26 𝗻𝗼𝘃𝗲𝗺𝗯𝗿𝗲 𝟮𝟬𝟮𝟯
𝗟𝗮 𝘀𝗲𝘁𝘁𝗶𝗺𝗮𝗻𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗥𝗲𝘀𝗶𝗱𝗲𝗻𝘇𝗲 𝗗𝗶𝗴𝗶𝘁𝗮𝗹𝗶 – 𝘲𝘶𝘢𝘳𝘵𝘢 𝘦𝘥𝘪𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦
Quattro progettualità artistiche sperimentali che hanno trovato nello spazio digitale il loro habitat
𝗖𝗜𝗧𝗜𝗭𝗘𝗡𝗦 di 𝗦𝗜𝗠𝗢𝗡𝗘 𝗩𝗘𝗥𝗗𝗨𝗖𝗜 / Ariella Vidach Aiep
Un progetto di arte performativa e partecipativa immaginato per lo spazio virtuale che, ripercorrendo la definizione di eterotopia enunciata da Foucault, trova nel corpo stesso dello spettatore il motore dell'opera
𝗔𝗜 𝗟𝗢𝗩𝗘, 𝗚𝗛𝗢𝗦𝗧𝗦 𝗔𝗡𝗗 𝗨𝗡𝗖𝗔𝗡𝗡𝗬 𝗩𝗔𝗟𝗟𝗘𝗬𝗦 di 𝗠𝗔𝗥𝗔 𝗢𝗦𝗖𝗔𝗥 𝗖𝗔𝗦𝗦𝗜𝗔𝗡𝗜 
"Possiamo innamorarci di una Ai (intelligenza artificiale) e poi decidere di lasciarla?" L’obiettivo dell'azione di Mara Oscar Cassiani è narrare e dare una dimostrazione performativa dell'esistenza di un rapporto tra l'Ai e l’impatto sulla presenza del corpo e sul nostro comportamento dell’uso dei device come tramite comunicativo
𝗧𝗘𝗔𝗧𝗥𝗢𝗣𝗢𝗦𝗧𝗔𝗚𝗚𝗜𝗢 di 𝗚𝗜𝗔𝗖𝗢𝗠𝗢 𝗟𝗜𝗟𝗟𝗜Ù
"Cosa succede se si utilizza lo shitposting per 'schiantare' i paradigmi drammaturgici?" Giacomo Lilliù (ideazione e curatela performativa) e Pier Lorenzo Pisano (curatela drammaturgica) hanno selezionato cinque tra i più interessanti creatori di contenuti memetici e li hanno invitati a creare nuovo materiale insieme a quattro attori professionisti. Per la Settimana delle Residenze Digitali, il percorso di ricerca troverà attuazione sull’applicazione di chat Telegram, con una performance in bilico tra dadaismo, oscenità e nichilismo semantico
𝗛𝗨𝗠𝗔𝗡𝗩𝗘𝗥𝗦𝗘 di 𝗠𝗔𝗥𝗧𝗜𝗡 𝗥𝗢𝗠𝗘𝗢
Martin Romeo porta avanti una ricerca sul post-umano che considera tutti gli attori presenti come parte di un ecosistema: elementi fisici, non fisici, digitali, virtuali e phigital
Ora è il momento di immergerti nelle frontiere digitali attraverso le loro restituzioni in un festival diffuso che accadrà nello spazio virtuale e in alcuni speciali appuntamenti in presenza da mercoledì 22 fino a domenica 26 novembre.
Scorpi il programma e prenota sul sito https://www.residenzedigitali.it/
* All'acquisto del biglietto, ti verranno comunicate le istruzioni per la fruizione dell'opera
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𝗥𝗲𝘀𝗶𝗱𝗲𝗻𝘇𝗲 𝗗𝗶𝗴𝗶𝘁𝗮𝗹𝗶
𝘶𝘯 𝘱𝘳𝘰𝘨𝘦𝘵𝘵𝘰 𝘪𝘥𝘦𝘢𝘵𝘰 𝘦 𝘱𝘳𝘰𝘮𝘰𝘴𝘴𝘰 𝘥𝘢𝘭 Centro di Residenza della Toscana (Armunia - CapoTrave / Kilowatt Festival
𝘪𝘯 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘯𝘢𝘳𝘪𝘢𝘵𝘰 𝘤𝘰𝘯 l’Associazione Marchigiana Attività Teatrali AMAT, il Centro di Residenza Emilia-Romagna (L’arboreto – Teatro Dimora │ La Corte Ospitale - Teatro Herberia), ZONA K, Fondazione Piemonte dal Vivo – Lavanderia a Vapore, C.U.R.A. – Centro Umbro Residenze Artistiche (La MaMa Umbria International – Gestioni Cinematografiche e Teatrali/ZUT – Centro Teatrale Umbro – Micro Teatro Terra Marique – Indisciplinarte) e Teatro Comunale Città di Vicenza
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sguardimora · 3 years
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Un viaggio nel dispositivo scenico di “WOE - Westage of Events”: intervista a Giacomo Lilliù/COLLETTIVO ØNAR e Napo/LAPIS NIGER
In occasione della residenza creativa di Giacomo Lilliù/COLLETTIVO ØNAR e Napo/LAPIS NIGER a Osimo per WOE (prima cacofonia) ho incontrato i due artisti che con il progetto WOE – Westage of Events sono tra i  vincitori dal bando Residenze Digitali 2021 e presenteranno una prima esplorazione del lavoro in occasione della settimana delle residenze che si terrà dal 22 al 28 novembre. Il progetto si ispira alla rivoluzionaria graphic novel di Martin Vaughn-James, The Cage (1975), che sviluppa un racconto non lineare, privo di personaggi, dove dell’umano aleggia solo l’assenza. In un ambiente di realtà virtuale sviluppato graficamente, WOE rimodula quel panorama desolato in un deserto tridimensionale infinito per esplorare il territorio digitale che è entrato a far parte del nostro quotidiano ma che nasconde vaste zone d’ombra. 
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Come è avvenuto l’incontro fra COLLETTIVO ØNAR e LAPIS NIGER? È la prima collaborazione? Napo: Questo non è il primo progetto che pensiamo assieme ma è il primo che sta andando a compimento. Ci siamo incontrati durane un concerto degli Uochi Toki – gruppo di Napo/Lapis Niger e Rico – e Giacomo mi ha chiesto se volessi collaborare disegnando dei costumi: era il 2014. Giacomo Lilliù: Erano costumi per un Ubu re, pensati per essere totalmente non pratici. Ma non è andata e ci siamo lasciati così, in stand-by. Napo: Nel 2015 Giacomo mi ha invece proposto la graphic novel The Cage (di Martin Vaughn-James) da cui partiamo ora. Fin dalla prima lettura ho capito che da quel momento non avrei più disegnato come prima: la graphic novel è fatta da una vignetta al centro pagina, una riga di didascalia e niente altro. In parallelo Giacomo mi aveva anche proposto un workshop sull’impreparazione, Frattali frattaglie freestyle, che sarebbe poi confluito nello spettacolo Panismo da foglio bianco. Abbiamo raccolto le adesioni ma la pandemia ha bloccato tutto. Poi sono arrivate le Residenze Digitali.
Andando al progetto WOE – Westage of Events, qual è l’immaginario che sta nutrendo il vostro lavoro? Giacomo: Fin dal primo momento in cui ci siamo ritrovati nel 2015 per The Cage l’idea è stata quella di capire come l’immaginario del romanzo a fumetti si trasformasse in possibilità teatrale o performativa visto che Napo è sia performer che disegnatore. The Cage è una graphic novel senza personaggi e immaginare uno spettacolo senza persone che partisse solo dal tratto grafico mi è sembrata un’idea interessante da sviluppare, ai limiti dell’infattibile. Ovviamente c’è stata tutta l’esperienza degli Uochi Toki che sono partiti dai concerti disegnati per arrivare a quelli in VR: lì si è vista una possibilità di quell’immaginazione perché il concerto disegnato è un’illustrazione performativa. Al di là dell’action painting che non è proprio la stessa cosa, si procede con un’idea di ritmo anche drammaturgica: c’è, cioè, un concetto da rappresentare che si sviluppa e che si può assemblare secondo dei ritmi, ma anche per l’organicità del segno, per come appaiono le varie figure e tutto questo proviamo a renderlo teatrale. Napo: Inoltre, a parte la struttura, il contenuto di questa macro-opera è ancora più interessante ora perché non c’è l’elemento umano mostrato direttamente: in un momento in cui  la parola “umano” si ripete così tanto da fargli perdere significato ecco che noi andiamo a intercettare uno spazio dove c’è pensiero, ricordo e ci concentriamo su degli elementi meno antropocentrici, anche se la cacofonia, le rovine hanno dentro concetti sicuramente umani però almeno non devono essere rappresentati didascalicamente. Ora per la prova aperta di Osimo WOE – Prima cacofonia, formato in presenza, ci siamo chiesti se in scena dovevamo esserci anche noi e abbiamo deciso di starci. Il lavoro così può avere più diramazioni anche se è nato per stare su uno schermo.
Rispetto al progetto che cosa hanno tolto e che cosa hanno aggiunto le specificità dell’ambiente digitale scelto, che nel vostro caso è Twitch, al vostro processo creativo e di ricerca? Napo: Ciò che è stato tolto è stato tolto già dal fatto di spostare il progetto sul digitale, però io non sento questo come un togliere ma piuttosto come un canone dato: non c’è un palco, non c’è la presenza fisica. È come se qualcuno ti dà delle regole, altri canoni e questo ti porta a mettere in discussione lo status quo di come vengono fatte le cose a teatro; in più questo non è visto come qualcosa che tu proponi in ottica di rottura ma è la consegna stessa del bando. La mia percezione è che il digitale mi può dare molto di più di quello che può togliere; farlo su Twitch è una scelta fatta nell’ottica dell’interazione visto che era richiesta un’attenzione alla relazione con lo spettatore. La classica interazione con il pubblico che avviene a teatro non è possibile, ed è anche un elemento usurato, però l’interazione soft di persone che hanno la possibilità di intervenire in chat ci ha fatto riflettere anche su come poi utilizzare questi input. Se le persone interagiranno lo faranno ma non obbligate dalla struttura del lavoro; per noi queste scritture in chat possono diventare delle righe di testo che in tempo reale portiamo dentro la narrazione e possono diventare anche audio utilizzando le tecniche proprie dei musicisti elettronici che non sfondano solo la quarta parete, ma oltrepassano anche la quinta. Giacomo: Oltre alle residenze digitali, Twitch è per noi un terreno da esplorare, è molto più piazza e il potenziale spettatore che ti viene a seguire lì è molto variegato. Napo: Twitch è una piattaforma che ha raccolto varie sfere ma principalmente quella del gaming e noi proponiamo qualcosa che ha dentro una forte componente estetica vicina a quella del gaming che è la realtà virtuale, oltre ad avere entrambi un background di giocatori. La parte che non si vede dello spettacolo, quando noi costruiamo le scene, è spesso un riferirsi a qualche gioco, e da quel mondo vengono per ora alcune tracce della colonna sonora di WOE, anche se per il futuro immaginiamo musiche originali.
Come state lavorando alla relazione tra ambiente digitale, live art e scrittura drammaturgica? Giacomo: Dal punto di vista del rapporto con il live, questo è un ambiente creato in precedenza ma sul quale poi si può intervenire col disegno in tempo reale; per noi è molto interessante la questione della limitazione nel senso che quando agiamo con la voce agiamo solo con la voce, non c’è prossemica, ci si può forse avvicinare con dei tipi di pennelli che Napo utilizza su Tilt Brush e che reagiscono agli stimoli sonori, ma non è una reazione completamente controllata. La presenza performativa nel virtuale è molto più fantasmatica, bisogna saperla gestire in modo diverso. Ci sono esperimenti di drammaturgia della voce che stiamo facendo, ad esempio con pedali, processori o effetti che ci aiutano a compensare l’assenza del corpo, cosa che invece non accade quando sei su un palco. Napo: La parte drammaturgica è nata in una sessione di world building; fisicamente io ero seduto su una sedia ed ero nella realtà virtuale, mentre Giacomo era fuori, seduto su un’altra sedia di fianco a me. In questa fase di brainstorming nascevano le idee. Il tutto si è sviluppato a partire dalle immagini. È stato proprio questo mettersi uno fuori e uno dentro e dialogare che ha fatto nascere tutta la struttura. Siamo partiti da una vasca vaporwave con una miscellanea variegata di elementi che ci ha portato ad esempio a cattedrali o a sciami di banchi, abbinamenti improponibili che diventano possibili solo in un ambiente virtuale. Questo è il vero motivo per cui usiamo la VR, perché non c’è un altro mondo in cui questi oggetti diventano credibili, puoi raccontarli ma per vederli devi avere un mondo che ha delle sue regole. L’ambiente di lavoro è stato perciò per metà virtuale e per metà fisico e lì, la tensione del creare le cose, ha fatto nascere anche le basi della scrittura. Giacomo: Io fruisco da spettatore, non vivo l’esperienza da dentro come Napo, quindi quella facilità con cui crei uno sciame di banchi, che è un copia incolla di un oggetto tridimensionale che fa subito massa e subito riempie e si concretizza, dà una facilità e una libertà molto ampia su quello che si può fare, ma per me, da fuori, diventa anche una questione di autodisciplina: cioè se possiamo immaginare e creare così tante cose dobbiamo anche saper stare in ascolto di quello che la performance richiede, cercare di mettere in relazione cosa si può fare e cosa scegliere. Questo è quello che accade a me da fuori mentre da dentro gli input sono diversi. Napo: Per me si cancella l’inerzia della scenografia, che è l’inerzia della realtà perché quando vuoi costruire una scenografia ci vuole del tempo. Noi abbiamo scelto la realtà virtuale per la leggerezza delle cose che non esistono.
Per le residenze digitali quello che noi vedremo sarà come una sorta di viaggio dove lo spettatore osserva queste rovine nello spazio digitale. Il tema dell’osservazione delle rovine ha dato il via al costruirsi anche di uno sguardo turistico che nel caso del giovane rampollo europeo, che si costruiva un’identità nutrendo il suo immaginario con le rovine classiche dell’occidente, doveva essere solitario. Di fronte alle vostre rovine digitali che tipo di sguardo richiedete ai vostri spettatori e alle vostre spettatrici? Napo: Nelle parti che abbiamo abbozzato come scrittura fissa che contiene l’improvvisazione è stato difficile trovare il tono giusto perché non vogliamo accompagnare dei turisti, non vogliamo generare ulteriore turismo, né vogliamo che il peso di questa moltitudine di rovine schiacci le persone. Soprattutto non vogliamo un tono pessimistico da romanzo distopico quindi siamo giunti al punto di scegliere di alleggerire. Vorremmo mettere gli spettatori di fronte al fatto che la leggerezza con cui guardiamo le cose non fa altro che generare un’immensa discarica di ciò che è stato visto appena e subito abbandonato. Questa discarica non porta ad altro che a una desensibilizzazione e questo viene fatto presente chiaramente in un frammento del lavoro che in sintesi dice: “sei di fronte a una forza del passato, ma tu sei speciale perché non ne senti l’energia e questo non è da tutti”. Effettivamente quando uno spettatore guarderà e gli verrà detto questo ovviamente non sentirà nulla, a parte alcuni che possono soffrire della sindrome di Stendhal (ride), perché non è facile trovare la concentrazione che serve per raggiungere un completamento emotivo davanti a ciò che si guarda. Giacomo: A maggior ragione davanti al digitale, nel senso che è plausibile che mentre si assisterà a WOE si faranno altre cose, anche perché semplicemente l’orizzonte che si ha oltre allo schermo, il gatto che ti attraversa il tavolo, ti sposta l’attenzione. Lo sguardo in solitaria poi cambia la percezione dello stare di fronte alle cose: vedersi un museo quando è vuoto ti dà sicuramente stimoli differenti e questo il digitale un po’ lo può restituire se lo spettatore ha la disciplina di mettersi in quella condizione. Questo guardare inoltre è anche anti-teatrale perché il teatro è qualcosa che si fa in gruppo, quindi, c’è una bella dicotomia da esplorare. Napo: C’è anche la dicotomia tra il creare la condizione di non cambiare canale e il decidere cosa guardare: una persona si auto-educa davanti allo schermo oppure potrebbe chiudere e fare altro, richiede uno sforzo in più, anche se noi non cercheremo di evocare questa tensione al non cambiar canale perché è un po’ un ricatto. Giacomo: È una questione di educazione allo sguardo che non riguarda infatti solo il teatro ma anche il digitale dove il supporto è lo schermo e l’informazione passa dall’immagine o dalla parola scritta: il fatto che si crei una discarica ha a che fare con la facilità dello sguardo che ha tante cose su cui appoggiarsi e si lascia molto andare e quando, ritornando all’immagine di prima, si dice “caspita, sei speciale, non stai sentendo nulla di fronte a quest’opera”, si parla anche di questo.
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*Le immagini che accompagnano la conversazione sono state scattate durante il periodo di residenza in vista della prima prova aperta di WOE (prima cacofonia) avvenuta lo scorso 9 ottobre presso il Loop Live Club di Osimo .
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sguardimora · 2 years
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Al via fra pochi giorni la Settimana delle Residenze Digitali, un festival interamente online, già alla seconda edizione, che si terrà dal 22 al 28 novembre e sarà dedicato alle contaminazioni fra performing arts e ambiente digitale. Per tutta la settimana, sette artisti e progetti si avvicenderanno in streaming performances e talks con l’obiettivo di scandagliare e mettere in risalto le potenzialità di quei linguaggi contemporanei che si sviluppano e fioriscono proprio nello spazio virtuale del web, mostrando al pubblico una parte del loro processo creativo.
Questo il programma:
Ogni pomeriggio alle 16.00 sarà reso disponibile uno dei sette episodi (di 10 minuti ciascuno) del progetto di Lorenzo Montanini, Simona Di Maio e Isabel Albertini Into the Woods – La finta nonna: “un dispositivo narrativo che coniuga riprese, teatro e video 360˚, realizzato a partire da una delle “Fiabe Italiane” di Italo Calvino, La finta nonna”. Alle 18.00 invece si susseguiranno invece gli episodi (di 8 minuti ciascuno) di Whatever happens in a screen stays in a screen, della coreografa e danzatrice Chiara Taviani: otto mini-film artigianali e “vintage”, realizzati con il green-screen, che esplorano le possibilità di modificazione e variazioni delle immagini mettendole in relazione con “una figura viva”. In entrambi i casi, con un solo biglietto si può accedere a tutti gli episodi che, una volta pubblicati, resteranno disponibili nei giorni successivi, fino al 28 novembre.
Lunedì 22 alle 21.00 sarà il momento di Dealing with absence, progetto della coreografa, media artist e antropologa Margherita Landi e della danzatrice e coreografa, Agnese Lanza: il pubblico incontrerà le “solitudini collegate” di Lucrezia Gabrieli, Francesca Santamaria, Cora Gasparotti: danzatrici sole nelle loro case che costruiranno insieme, attraverso canali virtuali, una “nuova comunità” e una nuova forma poetica.
Mercoledì 24 alle 21.00 Olga legge i critters del gruppo Jan Voxel, estratto del progetto radiofonico The Critters Room: ci si immergerà in un ambiente “reale e virtuale” popolato dai “mostri e i fantasmi dell’Antropocene”. Jan Voxel terrà anche un talk martedì 23 alle 19.00 sul tema “Dust and data: cosa sappiamo delle polveri sottili”, mentre giovedì 25 alla stessa ora parlerà di “Occuparsi dell’aria: l’attivismo ambientale nell’Antropocene”.
Giovedì 25 alle 20.30 Sàl |Rite – Studio 0.2 della compagnia *fuse esplorerà le possibilità espressive date dall’uso creativo delle tecnologie digitali al fine di interpretare la complessità dei fenomeni umani e naturali con uno studio su una sessione live di meditazione guidata in cui i tracciati neurofisiologici dei partecipanti vengono raccolti in tempo reale e generano una scultura di dati, seguendo un parallelo ideale con quella che sarà la struttura della performance dal vivo. Il giorno prima alle 18.00, con Roberto Ferrari, istruttore di mindfulness, e Sergio Bertolucci, scienziato, fisico delle particelle ed ex direttore della Ricerca al CERN di Ginevra, Sàl |Rite – Studio 0.2 dialogherà sul tema “La realtà come relazione”.
Venerdì 26 e sabato 27 alle 18.30 sarà la volta della performance WOE – Westage of events di e con Giacomo Lilliù e Lapis Niger, ispirata alla graphic novel The Cage di M. M. Vaughn-James.
Domenica 28 alle 18.30, infine, si potrà assistere alla diretta live-streaming di I Am Dancing in a Room_La Fauna 2k21 di Mara Oscar Cassiani che ruoterà attorno al concetto di Fauna”. Si potrà ascoltare l’artista anche venerdì 26 alle 21.00, quando dialogherà con Kamilia Kard, docente di multimedia e nuove tecnologie dell’arte su “I am Dancing in the Room, La Fauna 2k21; Wi-Fi performance, memestetica e Tik Tok liveness”.
biglietti: https://www.liveticket.it/residenzedigitali
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