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#grande oggetto pneumatico
marcogiovenale · 4 months
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oggi, 21 maggio @ mudima (milano): miriorama 9 - manifestazione del gruppo t
cliccare per ingrandire martedì 21 maggio, alle ore 18:00, alla Fondazione Mudima, via Tadino, 26, Milano: Miriorama 9 – Manifestazione del Gruppo T, il Grande oggetto pneumatico del Gruppo T- Ambiente a volume variabile messo in scena dalla compagnia teatrale Opera Liquida con la partecipazione di Giovanni Anceschi, Gruppo T, Davide Boriani, Gruppo T, Alice Devecchi, ricercatrice e critica…
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tecnoandroidit · 1 year
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70mai Air Compressor Lite Wireless Midrive TP05: il compressore per gonfiare qualsiasi cosa
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Il compressore d'aria 70mai TP05 è un dispositivo potente e portatile, ideale per viaggiare. Nonostante le sue dimensioni compatte, simili a quelle di uno smartphone, è in grado di fornire un flusso d'aria estremamente potente, con una velocità di gonfiaggio di 18,5 l/min. Questo permette di gonfiare completamente un pneumatico vuoto in circa 10 minuti e un pneumatico parzialmente sgonfio in soli cinque minuti. Contenuto della confezione Gli accessori contenuti nella confezione sono molteplici, infatti, troviamo il compressore con vari ugelli per gonfiare qualsiasi cosa, un cavo micro-usb, la prolunga di gonfiaggio e una piccola sacca per riporre il tutto. Design e materiali Il design del compressore d'aria 70mai TP05 è stato pensato per la portabilità e la facilità d'uso. Le sue dimensioni compatte lo rendono paragonabile a uno smartphone, il che significa che non occupa molto spazio e può essere facilmente trasportato. Questo lo rende ideale per viaggi in bicicletta, gite in moto o campeggio. Il corpo sottile del compressore offre una presa confortevole, rendendolo facile da trasportare e comodo da usare con una sola mano. Questo è ulteriormente facilitato dal design senza fili grazie alla batteria integrata, che permette di gonfiare qualsiasi oggetto senza il bisogno di collegare un cavo. Inoltre, il compressore è dotato di una torcia LED integrata, un dettaglio di design che aumenta la sicurezza dell'utente quando si deve gonfiare la propria automobile al buio. 70mai TP05 è costruito con cilindri e ingranaggi ottimizzati in metallo. Questa scelta di materiali contribuisce alla sua robustezza e durabilità, permettendogli di raggiungere una pressione massima di 150 PSI. Batteria integrata Il compressore è dotato di due batterie al litio da 2500mAh. Le batterie al litio sono note per la loro lunga durata e capacità di fornire una grande quantità di energia, il che rende questo compressore in grado di funzionare per 28 minuti senza interruzioni. Display e funzionamento Il compressore TP05 è dotato di un display facile da leggere, così saprai immediatamente lo stato dell'oggetto da gonfiare. Supporta 5 modalità di gonfiaggio a seconda dell'oggetto da gonfiare: modalità auto, moto, bici, palla e modalità libera. L'unità si fermerà automaticamente quando viene raggiunto il valore di pressione dell'aria predefinito. Il nostro test Lo abbiamo provato in svariate situazioni e il compressore è stato subito molto affidabile. Non aspettatevi un gonfiaggio velocissimo poiché essendo un mini-compressore ci impiegherà molto tempo per aumentare i BAR. I generale ci sentiamo di consigliarlo soprattutto visto che stiamo andando verso l'estate e potrebbe essere molto utile per gonfiare la nostra bicicletta, automobile o altro. Purtroppo ad oggi non è disponibile in Italia e non sappiamo quando arriverà ma trovate ulteriori dettagli sul sito ufficiale. E se vi siete persi l'altro prodotto che abbiamo testato della 70mai cioè una dashcam con intelligenza artificiale vi invitiamo a guardare il nostro video della 70mai 360 Dash Cam Omni: https://www.youtube.com/watch?v=KA8EnLUM5c0 Read the full article
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yesiamdrowning · 7 years
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buongiornissimooo!1 kaffèee??
Devo ammettere che ogni tanto mi stupisco ancora anche io, e davvero per le cose (forse) più stupide. Comunque la vogliate leggere, anche questa mi va di argomentarvela. Qualche giorno fa, sarà stato inizio aprile, ho letto con inedito interesse un’intervista su un vecchio numero dell’Espresso (#1O del 2O14) a De Sica, neanche a dirlo “figlio” - dal momento che il padre sarebbe alquanto difficile coinvolgerlo in un botta e risposta. Aldilà della facile ironia, l’intervistato, Christian, si è dimostrato un’interlocutore sagace ed erudito: in grado di citare con desueta pertinenza Citto Maselli e Ingrid Bergman, non disdegnando ponti col cinema muto  francese, il tutto con una proprietà linguistica sorprendente e un’onestà intellettuale dirompente. Ecco, vorrei alzere la mano e presentarmi. E non per vantarmi, anzi. Mi chiamo Giorgio e faccio parte della nutrita schiera di intellettuali(ni) che uno come De Sica, uomo-simbolo dei “Cinepanettone” per antonomasia, non se l’è mai filato, e ancora proprio sicuro sicuro che non sia un coglione non lo è. Fattostà che non ci sono articoli recenti o no che ricordi di aver letto con lo stesso interesse e stupore, oserei dire mio malgrado. Non so perché ve lo stia dicendo, forse per vedere l’effetto che fa, su di voi e a me. Forse perché questo avenimento (sia all’apparenza che nei fatti) di poco conto coincide col profondo disgusto che provo ultimamente nei confronti di un modo di scrivere di alcuni colleghi trentenni e, nei casi limite, quarantenni e oltre.
Sono felice di vivere in un paese dove, se uno vuol proporsi con tutta la propria personalità, prima gli viene data (comunque) l’opportunità di farlo ed esporlo e poi si tirano le effettive somme di quello che è il suo merito, il suo talento e se è giusto o meno promuoverlo o lapidarlo. Perfino se ci fossero delle disattenzioni e delle ingiustizie, e ce ne sono, non vorrei che questo metodo di affrontare le cose cambiasse; e per fortuna non sembra intenzionato a farlo. Forse sarebbe più sensato mutasse, migliorasse o perfino sparisse, così da evitarci all’origine lo strazio di una nuova Isabella Santacroce e i problemi d’affitto di Bello Figo. Ma a me piace che una possibbilità sia data proprio a tutti, benché io (e come me altri) ne abbia avuta magari una in meno proprio per dare spazio a caproni conclamati. E’ un po’ ingiusto, ma pure sticazzi, se con questo sistema Ascanio Celestini e Franco Battiato non hanno dovuto fare tripli salti mortali per essere considerati degni d’attenzione almeno una volta, no?
Pagavo il canone Rai già quando non era accorpato alla bolletta della luce, e la cosa è stato oggetto di battute e incazzature con molta gente che si ingegnava per fare l’esatto contrario. E’ che mi piace l’idea di una Tv che non ha bisogno, o almeno non solo o almeno non in passato, di format di bassa risma per dare voce a protagonisti storti, dove viene fatto parlare uno come Ghezzi o Rezza e mi è stato dato modo di sentirli mentre magari il resto del mondo dormiva e la Tv commerciale lo riteneva una follia. Sul crinale tra gli anni Ottanta e i Novanta s'inventano nuovi lemmi, abbreviazioni criptiche, astrazioni di grande efficacia. La parola, già condannata a morte prima della diffusione di internet, si vendica pure se in una forma contorta e sommessa, attraverso i vari Andrea Pazienza, i Giovanni Ferretti o gli Alessandro Bergonzoni - nati dalla genialità neologistica dei furono Flaiano, dei furono Fo o dei furono Guareschi. Poi, nel campo della critica, che come ben sapete è l’aspetto della faccenda che da sempre più mi interessa, questo modo di fare le cose ha dato voce alle interessanti analisi di numerosi critici militanti. Firme controcorrente che, nel corso degli anni, hanno pubblicato articoli e saggi su quella che secondo Giuseppe Bonura è divenuta “l’industria del complimento”, ovvero l’antitesi stessa del concetto di critica. Se infatti, da un lato, il mondo ha accettato con sempre più remissiva tolleranza il vuoto pneumatico di analisi sempre più compiacenti e agiografiche, anche da parte di nomi storici che hanno perso il senso e il gusto del proprio mestiere a favore di un pubblico sempre più infantile e allegrone che dal giornalista Tale vuole leggere ciò che per primo direbbe di ciò che ama (ovvero un gran bene), dall’altra parte, c’è stato dato modo di andare a cercare e godere del lavoro di un Luciano Bianciardi o di un Erri de Luca - ma anche solo di un Vittorio Sgarbi quando non si mette a cantilenare di capre e altri ruminanti per smuovere la manifesta noia televisiva. Tutta gente per me d’esempio, mosche bianche, se si parla di critica musicale soprattutto, e non a caso vista nei peggiori dei modi da molti dei miei conoscenti, fosse solo per il modo di trattare l’italiano volendo esporre quelle che sono le proprie idee, per giuste o sbagliate che poi siano. Un modo che venera la parola, ricerca l’etimo, instaura una distanza didattica tra sé e chi legge che io ritengo giustissima - mentre il lettore medio la reputa snob solo perché non lo mette sullo stesso piano.
Purtroppo però sembro sempre essere, morettianamente parlando (miracolato pure lui da questo modo di fare), destinato a trovarmi bene con la minoranza delle persone mentre la maggioranza se ne va allegramente, tutti mano nella mano, affanculo. E se George Orwell fosse qui non potrebbe neanche dire un “ve l'avevo detto” perché la faccenda sarebbe troppa anche per lui. Tanto la situazione è oramai, almeno all’apparenza, irreversibile e volta  a uno scrivere regredito alle elementari nella quale lo scrittore trentenne e, nei casi più gravi, quarantenne e cinquantenne si pone nei confronti del lettore, anche quello più acerbo e infantile, al suo pari livello e a volte anche al di sotto. Così  abbiamo già avuto il dispiacere di annusare intere interviste assemblate con i messaggi vocali: tante domande, tante risposte: solo che tutto viene frullato e shakerato a piacere, principalmente quello dell'intervistato, che tanto qui siamo tutti amici e, specie se l’intervistato è altolocato, con sovrana noncuranza, spara repliche random e l'intervistatore più che sbobinare deve orientarsi in una selva oscura di battute maledettamente surreali, voli pindarici fuori luogo e botte di ego che nemmeno Savador Dalì. Il risultato che leggete è tipo gli esperimenti poetici del cut-up o del Gruppo '63: e se non ve ne accorgete è solo per via di quel clima di ebete bonarietà da confraternita universitaria dove intervistatore, intervistato e lettore sono come tre amici al bar, senza distinguo alcuno.
Brutalità benaccetta, visto che queste porcherie si leggono e condividono alla luce del sole, alla quale di recente si aggiunge la perdita di facoltà di non ridicolizzarsi conseguente (ipotizzo) all'uso compulsivo di social. Una per tutte: l’utilizzo all’interno di articoli, interviste, recensioni, eccetera, di abbreviazioni ed esasperazioni linguistiche che fino a qualche anno fa appartenevano a pischelli come i dARI e tutti quanti a dargli addosso. Trovare mostruosità come la “K” al posto del “CH” sotto scritti di gente da duemila condivisioni un po’ ovunque o il bestiale “!!1!1″ a sussulto di gente che nel ’87 dava voce in Italia ai Bad Brains (fatevi da soli un calcolo approssimativo dell’età) o vari raddoppi di consonanti, abbreviazioni degne dei Gazosa ed errori di battitura voluti, oramai è all’ordine del giorno. La potenza del linguaggio, che da millenni affascina e fa dannare filosofi e mistici, non è restata immune all'attacco di dottori Stranamore sempre più alienati. Tanto da fare apparire al confronto De Sica come Schopenhauer. Per comunicare, ovvio comunichiamo ancora: ma in modo sempre più volgare, innaturale, caciarone, approssimativo, insieme post e pre-adolescenziale che molti trovano “divertentissssimo”, che dice ma non accresce, infastidisce ma non aggredisce, non cerca contraddittorio, non lo regge, sfugge il pensiero critico e lo banalizza nell’aspetto. E così rotoliamo, bufali post-social(i), verso delle conseguenze che ignoriamo ne vogliamo conoscere: ci penseremo poi, ammesso che ancora si riuscirà a pensare.
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italianaradio · 5 years
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Share, recensione del film di Pippa Bianco #RomaFF14
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/share-recensione-del-film-di-pippa-bianco-romaff14/
Share, recensione del film di Pippa Bianco #RomaFF14
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Esiste una legge invisibile tra gli adolescenti di oggi ritratti in Share di Pippa Bianco, che se da una parte giustifica ogni azione, soprattutto le più disdicevoli, dall’altra stipula in loro una sorta di tacito accordo per cui chi parla è un traditore. Mandy (Rhianne Barreto) ha sedici anni e si risveglia sul vialetto di casa senza ricordare nulla della sera precedente, ma le abrasioni che trova sul suo corpo e un video inviatole dai compagni di scuola è la testimonianza artefatta di un abuso incosciente; decide così di confessare l’accaduto ai genitori, e avendo “tradito” quel patto si trasforma nella colpevole da perseguitare. Questo vuol dire che nel momento in cui diventi l’eccezione, sei fregata. Non è forse la più grande contraddizione del nostro tempo, l’omologazione nel senso più malato e negativo?
Nel 2019 il cinema documenta la vita che a sua volta viene già documentata da telefoni cellulari in nome di una condivisione ossessiva, svuotata di significato, come lo erano le immagini riprese dalle telecamere di sicurezza dei giovani ladri di Bling Ring di Sofia Coppola: la verità è ormai un’idea da plasmare a seconda del momento e delle necessità, e sta all’arte – attraverso lo sguardo degli autori – trovare una guida nel buio. E’ ciò che riesce abbastanza bene alla giovane regista ampliando il tema dell’omonimo cortometraggio con un ritmo riflessivo, per niente martellante, dove la tensione drammatica non viene mai suggerita da esplosioni verbali o scene madri quanto invece dal dialogo tra personaggi e lunghi silenzi. Il tono sembra volutamente dimesso nel film della Bianco, che fin dalla prima scena induce lo spettatore a perdere l’orientamento: chi ha lasciato la ragazza in quello stato, cosa è successo, chi guida la macchina, chi è l’autore dei video virali?
Share: il potere dello sguardo e il vuoto della generazione Z
Ma questa è anche un’opera in grado di contemplare, evitando il giudizio, il vuoto pneumatico della generazione z poco consapevole delle proprie scelte, che spesso non prende sul serio alcune decisioni (giuste o sbagliate), riflettendo al tempo stesso sull’idea di voyeurismo e sul consumo che ne deriva, accessibile a tutti tramite dispositivi di uso quotidiano e incontrollato. E in contrasto con la normale programmazione di HBO – che produce insieme a A24 e che di recente recente ha lanciato Euphoria, il suo teen drama formalmente provocatorio e artisticamente rilevante per un’infinità di ragioni (la Bianco ha diretto un episodio), Share è un oggetto di studio contenuto, quasi minimale per le scelte fotografiche e scenografiche. Niente viene esplicitato (la violenza ripresa dagli smartphone, il sesso fuori campo) ma reso espressivo attraverso l’agonia interiore della sua protagonista.
Interessante il modo in cui vengono mostrati i genitori, che non sono archetipi dell’universo teen, o peggio, dei conservatori eredi di un cinema d’altri tempi: il padre non riesce a comprendere pienamente il comportamento di sua figlia, come quando le dice “Non credi di essere uscita abbastanza?” mentre poi si riscatta più tardi; la madre invece riassume in poche frasi il peso del trauma alludendo ad abusi subiti e denunciando come in passato le donne non avevano tutti i mezzi necessari per ribellarsi e denunciare il sistema. L’ultima inquadratura, a detta della Bianco, è aperta a interpretazioni: forse è vero che la maggior parte delle aggressioni a quell’età sono compiute con le migliori intenzioni, o almeno non consapevolmente, ma di certo gente gesta non devono restare impunite. Ognuno ha le sue colpe e le sue responsabilità, e c’è un mondo intorno che potrebbe testimoniare il vero (cellulari, persone, memoria), eppure Share sceglie di mostrare solo quello “interno” alla mente di Mandy, di cui otteniamo la sua verità, i suoi pensieri, la sua anima.
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Share, recensione del film di Pippa Bianco #RomaFF14
Esiste una legge invisibile tra gli adolescenti di oggi ritratti in Share di Pippa Bianco, che se da una parte giustifica ogni azione, soprattutto le più disdicevoli, dall’altra stipula in loro una sorta di tacito accordo per cui chi parla è un traditore. Mandy (Rhianne Barreto) ha sedici anni e si risveglia sul vialetto di […]
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Cecilia Strazza
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pneusnews · 6 years
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Tempo di crescita e consolidamento per Sicam e Beissbarth, aziende leader nei segmenti delle attrezzature per gommisti e negli strumenti di precisione per l’industria automotive e le concessionarie, rilevate – lo scorso luglio – dal fondo d’investimento Stargate Capital GmbdH.
Un progetto che vede la nuova proprietà – già presente nel comparto attraverso la controllata Werther International, attiva nel campo delle auto-attrezzature per garage e gommisti con focus su ponti sollevatori – impegnata nello sviluppo delle nuove strategie industriali e commerciali per la creazione di un vero e proprio polo di eccellenza, con l’obiettivo di aumentare le quote di mercato all’interno del segmento specifico di pertinenza.
Una sfida che passa dal lancio di una nuova gamma prodotti presentata, in anteprima, durante l’ultima edizione di Automechanika, la più importante fiera di settore a livello mondiale che si è svolta a Francoforte, in Germania, lo scorso settembre.
Al tradizionale portafoglio prodotti del gruppo – che comprende attrezzature per cambio e bilanciatura dei pneumatici, macchinari per allineamento, strumentazioni per test freni, sospensioni e fari – si aggiungo, ora, nuove soluzioni innovative, perno del futuro sviluppo del polo di eccellenza nel comparto.
La nuova gamma prodotti Beissbarth: parola d’ordine, innovare
Innovazione e ricerca tecnologica caratterizzano le nuove soluzioni Beissbarth, a partire dall’assetto ruote senza contatto Touchless, che ha beneficiato di nuove funzioni di ispezione. Tra queste, ad esempio, i valori dell’assetto vettura che – ora disponibili per la consultazione in pochi secondi – permettono al sistema, altamente flessibile, di essere utilizzato sia come convergenza tradizionale sia come tool di ispezione.
Novità anche per Easy Tread, il sistema per la rilevazione del consumo battistrada che – con un solo passaggio della vettura – è in grado di misurare e diagnosticare i consumi battistrada. Grazie all’integrazione delle inedite funzioni Easy Cam ed Api, il dato sui consumi viene adesso aggregato automaticamente alla targa del veicolo affinchè possa essere archiviato e consultato facilmente dalle autofficine, come archivio.
Il percoso innovativo di Beissbarth prosegue anche sulle linee camion, con ICperform Tablet App, un dispositivo che consente di visualizzare e controllare da remoto il banco prova freni. La soluzione facilita la strutturazione stessa della linea – dal momento che non è più necessario l’ausilio di un monitor visibile da tutte le posizioni – e permettendo inoltre all’operatore, grazie al controllo remoto, di attivare i simulatori di carico senza abbandonare l’abitacolo.
Altro grande terreno oggetto di miglioramenti si sono rivelate, infine, le soluzioni OE – per i sistemi di calibrazione assisista Adas, segmento nel quale Beissbarth è fornitore leader del mercato da 15 anni.
Al di là delle apparecchiature per la taratura, le innovazioni hanno riguardato anche centrafari, smontagomme e bilanciatrici. Quanto ai primi, la sintesi è rappresentata dal sistema MLD 9000 che introduce telaio, lente di correzioni del fascio luminoso e intefaccia utente nuovi per essere utilizzato sia in modalità diagnostica sia per regolare il faro, con l’obiettivo di rarriungere il miglior risultato con fari intelligenti di nuova generazione (DLA, Matrix e ILS).
In ambito smontagomme, invece, ha fatto il suo debutto il nuovo modello Volkswagen VAS 741 047: un rinnovamento della piattaforma G-Frame già in uso, che introduce soluzioni che garantiscono elevata affidabilità e migliorato accesso per la manutenzione ordinaria.
Per le bilanciatrici, infine, ha esordito la MT ZERO 6, che sarà poi disponibile da novembre insieme al modello con monitor 22’’ Touch Screen. Completamente nuova – dal design al software – nella sua versione digitale presenta un innovativo work-flow che riduce le operazioni per la selezione dei programmi e per l’individuazione del punto di squilibrio della ruota.
Smontagomme, equilibratori e kit di sensori all’avanguardia per Sicam
In casa Sicam, smontagomme, equilibratrici e kit di sensori sono le linee di prodotto che più hanno beneficiato del processo di innovazione e rinnovamento che ha portato alla nuova gamma soluzioni. Partendo dagli smontagomme vettura, i sistemi Falco EVO 620s, Falco EVO 624s e Falco EVO 628s – pur mantenendo specifiche tecniche simili alla gamma precedente – integrano nuovi vantaggi, tra i quali la possibilità, da parte del cliente, di scegliere la configurazione più adatta alle sue esigenze ed un accesso migliorato per la manutenzione, per ridurre i tempi di fermo del veicolo. Vasta la gamma di piatti autocentrati tra i quali poter scegliere – con serraggio da 20” fino al 28” – e disponibile, inoltre, anche la variante con bloccaggio centrale. Per quanto riguarda il sistema di stallonatura, invece, oltre al tradizionale assetto a pedale viene introdotto anche il sistema brevettato Ergocontrol, più preciso e potente.
Rinnovati, infine, anche gli accessori, che comprendono il Tecnoroller NG (con doppio controllo dei punti di spinta sul pneumatico, anche per il montaggio dei pneumatici più difficili) e il Sidelift (un sollevatore ruota posto sotto al braccio stallonatore che riduce i tempi di movimentazione aiutando l’operatore nei sollevamenti).
Design e funzionalità aggiornati per la nuova linea di equilibratici, che sarà disponibile da novembre e comprenderà i sistemi SBM WAVE 5 touch screen e SBM WAVE 5 digital display. Nel dettaglio, le migliorie introdotte riguardano l’inserimento di un porta-pesi più ampio – per fornire maggiore spazio a tutti gli strumenti di lavoro – l’integrazione di un carter di protezione ruota per integrare i sistemi di misurazione larghezza e posizionamento contrappesi, l’ausilio di un laser interno per la collocazione dei contrappesi adesivi e a molletta e per un migliorato posizionamento automatico della ruota nel punto di squilibrio. I tempi di selezione dei programmi, inoltre, risultano notevolmente ridotti mentre, nella versione touch screen è presente un sistema di diagnostica intelligente già predisposto per la connettivtà.
Anche le linee smontagomme ricevono un restyling, con il rinnovamento dell’utensile di smontaggio del Jumbo TCS 60. Il nuovo design, sviluppato dall’esperienza con le più importanti aziende del settore, permette un lavoro più accurato e agile soprattutto con le ruote agricole di trattori e attrezzature di nuova generazione. Miglioramenti anche per il sistema SA 8233D, che introduce un assetto dal minimo ingombro per utilizzare – l’area convergenza anche per lavori di sostituzione pneumatici.
Infine, novità anche per il sistema a sensori CVCD SA 685 Mobile, kit che può essere collegato a qualsiasi PC Windows, specialmente portatili, per aumentare la mobilità garantendo diversi impieghi in officina.
Sicam e Beissbarth: una nuova gamma prodotti per crescere e consolidare l’eccellenza Tempo di crescita e consolidamento per Sicam e Beissbarth, aziende leader nei segmenti delle attrezzature per gommisti e negli strumenti di precisione per l’industria automotive e le concessionarie, rilevate - lo scorso luglio - dal fondo d’investimento Stargate Capital GmbdH.
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paoloxl · 7 years
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Il racconto di una attivista sull’arresto e il fermo nella Gesa, durante il G20 di Amburgo e delle 26 ore passate lì dentro. Un racconto che cerca di dare una prospettiva di genere partendo dal corpo. Dedicato a Fabio, Alessandro e tutti i compagni ancora rinchiusi “This could be heaven for everyone” “…e poi occupati della tua rete di alleati più stretti, prenditi cura di chi si prende cura di te, e adora i rapporti intimi che costituiscono le tue fondamenta”   Il G20 di Amburgo per noi  comincia un anno fa. Quando esce la notizia iniziamo subito a parlarne,  in quasi ogni assemblea si affronta il nodo, costruendo mano a mano la nostra analisi, il nostro punto di vista, cercando di scostarci dal classico binario vertice-contro vertice. Siamo partiti da noi, dal nostro vissuto di migranti, dal nostro collettivo di squattrinati precari italiani a Berlino e abbiamo voluto fin da subito elaborare la nostra narrazione, che fosse la più condivisibile possibile, in cui tutte e tutti quelli che partono per lasciare “casa” in cerca di fortuna si potessero rispecchiare e trovare un pezzetto della propria personalissima storia. Amburgo per noi non è finita. E’ sempre stato un punto di arrivo e una data fissata da cui ripartire. Anche se siamo già proiettati verso il futuro, guardando oltre quei giorni di grande rivolta, che ci porteranno ad un altro meeting, non della stessa portata di massa ma di convergenza politica dal basso, la Amburgo del G20 la continuiamo a sentire sotto la pelle, ci rimbomba nel cervello come un martello pneumatico.   Prove generali di repressione. LAGER in tedesco vuol dire MAGAZZINO   “L’Estate, l’Amore e la Violenza” Il corpo di un essere umano all’interno della logistica Hi-Tech*  della repressione tedesca è al pari di un oggetto inscatolato e riposto su uno scaffale dopo essere stato scansionato e controllato. Massimizzato, reso puramente trasparente, liscio, senza sensibilità, senza vita. Da quando viene prelevato dalla strada fino a quando giace steso in una cella bianca poco illuminata, insonorizzata, asettica, vuota, viene preso, toccato, analizzato, spinto, sottoposto a torsioni e pressioni, giudicato, umiliato, deriso, offeso. La mente in una situazione di stress, se capace, razionalizza, riesce ad estraniarsi, prova attraverso un puro processo di dissociazione a reagire, a stare in piedi, a non mollare. Il corpo sta lì, non può mettere in atto trick psicologici per uscire dal tunnel dell’annichilimento. Può solo cercare di resistere, provando ogni istante a spingersi un pezzetto più in là del limite che gli è consentito. Quando veniamo arrestati immagino di essere rinchiusa in una stanza. Non so perché ma non riesco ad immaginare più di questo. Anche perché ci hanno già perquisiti in strada, e non troppo alla leggera. Forse sono troppo concentrata nello stringere le mani delle mie compagne fino all’ultimo momento prima che ci dividano, prima di scendere da quella camionetta dove già in cinque avevamo passato due o tre ore in una cella, senza poter neanche andare in bagno. Tra di noi c’è chi se la sta letteralmente facendo sotto, c’è chi ha le mestruazioni ed esige un cambio, o chi deve soltanto fare la pipì che trattiene da più di cinque ore. E i nostri corpi sono lì che zitti resistono a quelle umiliazioni, alla privazione di potersi esprimere. Quando piano piano ci fanno scendere dalla camionetta, una alla volta, veniamo portate al bagno, sorvegliate da tre donne vestite con abiti civili, che indossano una pettorina giallo fosforescente con su scritto POLIZEI. E’ strano quanto potere sussume una persona indossando una “divisa” riconoscibile. Ci fanno fare la pipì ma con la porta aperta, con sei occhi puntati, chiedendoci anche di tirare lo sciacquone. Poi ci rinchiudono di nuovo nella camionetta, senza dirci dove siamo e soprattutto perché siamo lì. Una volta finito lo smistamento dei nostri effetti personali in buste di plastica, ci prelevano una alla volta, dividendoci, facendoci sentire sempre più deboli, sempre più vulnerabili. Dalla camionetta ci portano con le braccia bloccate , in delle stanzette. Una volta dentro veniamo posizionate in una specie di camerino, in cui puoi essere oscurata solo da una tenda che non viene chiusa. Di lato a me veniva perquisito un mio compagno, quindi di fronte alla mia tenda passano uomini senza il minimo problema per quello che accadeva nel camerino di fianco al loro. Sono sempre in tre, sempre sei occhi puntati contro. Iniziano con le scarpe, poi i calzini, la maglietta, la canottiera, i leggins, il reggiseno ed infine le mutande. Ecco sono nuda, di fronte a queste tre donne che potrebbero essere mia madre, o delle amiche di mia madre. Penso davvero che sia finita lì, di nuovo non so perché non penso che si possano spingere oltre, invece lo fanno. In maniera molto goffa e impacciata mi chiedono di piegarmi, guardando i miei genitali. Non capisco a cosa serva farmi fare quella cosa senza verificare più a fondo. Sembra una squallida messa in scena, in cui queste tre donne giocano con vergogna a fare le anti narcos in una serie tv americana di quart’ordine. Mi chiedono se sono incinta, lì per lì vorrei continuare la farsa, fargli perdere tempo, rivendicarmi la mia pancia per poter provare a non entrare in quel magazzino umano. Per un attimo lo penso, ora gli dico di sì, poi desisto ammettendo con orgoglio che quella ciccia è tutta roba mia. Mi fanno rivestire, ma senza canottiera, senza calzini, senza elastico per i capelli, levandomi i lacci dalle scarpe. Io odio portare le scarpe senza calzini, i miei piedi hanno un rifiuto epidermico al contatto con materiali plastici, hanno sofferto molto. Da lì mi portano nella cella, non ricordo la fila ma il numero è 15. Poco prima di arrivare davanti alla porta incrocio una mia compagna, lei ha la possibilità e la prontezza di riflesso di dirmi che sta in cella con un’altra nostra compagna, e che stanno bene. Quello è l’ultimo ricordo vivo della mia comunità. Arrivata di fronte alla mia porta devo lasciare le scarpe fuori, ed entrare scalza. Una volta dentro, mi ritrovo sola e mi sdraio sulla panca. E’ dura, liscia, con delle guarnizioni che se ci capiti sopra con la nuca ti spezzano in due il cervello. E’ tutto bianco, ed io sono tutta nera. Rimango sola per un pò, la stanchezza inizia a prendere il sopravvento, mi appisolo per un tempo indefinito, fino a quando penso: “Ma cosa sto facendo? Dormo?”. All’improvviso mi alzo e inizio a sbattere le mani contro al porta e le pareti della cella, i palmi diventano tutti rossi. Dopo cinque minuti di voluto baccano, vengono a dirmi che non posso urlare e non posso arrampicarmi appendendomi alle sbarre sopra la porta, che non posso stare in piedi sulla panca perché se cado e mi faccio male è loro responsabilità. Allora mi sdraio di nuovo, e inizio a cantare. Canto di tutto, avevamo iniziato dalla camionetta, insieme alle altre mie compagne. Effettivamente è l’unico modo per stimolare l’udito, pensare aiuta, ma dopo un po’ la testa gira, iniziano le paranoie e i brutti pensieri. Immersa nelle note della mia voce, nonostante sia un suono conosciuto, scopro che mi rilassa e mi incoraggia, immaginando che anche le altre stessero cantando, provando a sentire una vicinanza, un senso di sorellanza. Dopo un po’ però la memoria inizia a mancare, non ricordo più le parole delle canzoni, mi sento stanca, e anche sulla musica vengono a chiedermi se sto bene, se va tutto bene. Dopo quelle domande sulla mia tenuta psicofisica mi addormento e mi sveglio poco dopo, o dopo molto, non lo so; mi sveglia la mia prima compagna di cella, una inglese migrata a Berlino da due anni, presa per strada mentre passeggiava con una sua amica. E’ ferita, ha un enorme livido su un fianco, un ginocchio fasciato da cui si intravede una brutta ferita e una mano tumefatta. Anche lei è tutta nera, ma sembra come se stia andando a prendere una birra. Ha dei pantaloncini corti con sotto delle calze nere velate. Sta bene, se bene può essere considerata la misura del pre sclero. In realtà è scossa. Iniziamo a parlare e poco dopo chiede di essere portata in infermeria per essere medicata. Rimango di nuovo in cella da sola, e mi addormento di nuovo. Di colpo, dopo poco, dopo molto, di nuovo non saprei dire, vengo svegliata ancora una volta. Ora il sonno è più leggero, quindi riesco a sentire passi in lontananza che si fanno sempre più  vicini e il rumore metallico dei chiavistelli che vengono aperti, la porta che si apre lasciando entrare un velo di luce al neon. Entra lei, piccola ma energica donna che esordisce saltando e sorridendo: “Don’t be so sad, now we are together” Io sorrido e dico “I was sleeping, I’m not sad, but now I’m happy”.   “Pas content, jamais content” Lei è Mira. Iniziamo a parlare in inglese, ma subito capiamo che non è la lingua madre di nessuna delle due, e scopriamo che possiamo parlare in italiano, nonostante viviamo entrambe in altri paesi. Lei è originaria dell’ Est, emigrata in Italia molto piccola, per poi in età adolescenziale migrare di nuovo, stavolta in Francia, dove vive tuttora. Anche lei è scalza, anche lei come le altre in cella senza elastico per i capelli, senza reggiseno, senza sapere il motivo del perché sia rinchiusa lì dentro. Mira è molto più giovane di me, ma la sintonia c’è, ci troviamo subito nel raccontarci, e nel ripercorrere quelle giornate, nel ricostruire i nostri arresti, nel chiederci se abbiamo visto qualcuno dentro, qualcuno dei nostri compagni. Abbiamo una cosa in comune io e Mira, entrambe, oltre a dei compagni, abbiamo dei familiari rinchiusi lì dentro, in quello stesso magazzino umano, ed entrambe condividiamo la stessa preoccupazione, la stessa morsa al petto nel pensare dove possano essere, se stanno bene, se sono già usciti, se sentono la nostra angoscia e la nostra forza. Nel frattempo Liz  torna dall’infermeria, siamo tre in cella. In pochissimo tempo diventiamo anche quattro. Per un lasso di tempo indefinito siamo in quattro e più guardo quanto spazio occupano i nostri corpi all’interno di quella scatola bianca, più mi chiedo come possano tenerci ancora lì dentro. Liz ha nuove fasciature, ma senza calze alle gambe. Liz è più calma di prima ma l’assenza delle calze fa trapelare ancora di più la sua carnagione molto chiara e i grandi lividi viola-grigio. Iniziamo a chiacchierare cercando di mettere insieme elementi comuni e non, cercando di capire come sarebbe potuta andare avanti quella situazione e soprattutto fino a quando. Per tutto il tempo in cui siamo state in quattro in quella cella si sono alternati momenti di fermento, di agitazione, urla, pianti, silenzi, risate, sudore, freddo, fame, voglia di andare in bagno solo per respirare aria fresca e allargare l’orizzonte della nostra vista. Non avevo mai condiviso uno spazio così piccolo e asettico con nessuno e nonostante la dimensione precaria e di profondo disagio, siamo unite. Se una si ribella, tutte dietro, se una dorme, tutte dormiamo, se una chiede di andare in bagno, tutte le altre a seguire mettono in croce le guardie per andare in bagno. Siamo una squadra. Probabilmente non ci incontreremo mai più, probabilmente dimenticheremo i nomi e le storie, ma dentro questo buco di plastica siamo indissolubili. E allora penso alle parole di una mia compagna, una donna che ha fatto il carcere vero, l’isolamento, le botte, le torture, per molto tempo. Quando sei dentro la vita continua, e intessi relazioni, scopri nuovi volti e nuove storie, e se lo vuoi non dimentichi niente. Liz viene chiamata. Ogni volta che devono aprire la porta ci chiedono di allontanarci da essa, e di essere ben in vista, e ogni volta il rumore metallico dei chiavistelli rimbomba nei timpani, ricordandoci dove siamo ma soprattutto che siamo rinchiuse. Loro possono vederci dallo spioncino, noi non possiamo vedere nulla, a meno che non ci arrampichiamo dalle sbarre sopra la porta. Liz esce dalla cella, la accerchiano in 4, le dicono che deve andare davanti al giudice, lei fa delle domande a cui non seguono delle risposte. Prima di indossare le scarpe, prova a dire che sente freddo, che senza le calze si sente nuda, “I feel naked”. Le viene risposto che non è nuda, e che si deve sbrigare perché il giudice non può aspettare. Noi rimaniamo sospese. Ogni volta che qualcuna esce dalla cella il senso di vuoto aumenta, perché non sappiamo cosa può succedere, se tornerà e come tornerà. Durante l’assenza di Liz  dormiamo. “Here’s to you, Nicola and Bart Rest forever here in our hearts The last and final moment is yours That agony is your triumph”   Liz torna, il giudice ha deciso che dovrà uscire lunedì mattina alle 10, è ancora sabato, credo sia notte fonda. Sente ancora freddo, chiede le sue calze, ma le vengono negate perché potrebbe provare a suicidarsi. Allora con insistenza pretende una coperta, qualcosa per coprirsi, non ce la fa più a stare con le gambe completamente scoperte. E appena le portano la coperta, subito tutte noi cominciano a pretendere altre coperte. Mentre ci racconta la dinamica si alternano momenti di silenzio, in uno di questi Mira si blocca, ha la faccia sorpresa, piano piano le nasce un sorriso sereno sul volto. Sente qualcosa, un suono, una musica, no aspetta…- è una voce, è la voce di qualcuno, è una melodia, la conosco, è Jan!, sì è proprio lui, sta cantando, la cantiamo da prima di partire per Amburgo. Mira di colpo balza in piedi, si arrampica appendendosi alle sbarre, riesce ad affacciarsi e inizia a cantare anche lei le note di quella canzone, canta e ride, scende e salta, rimbalza sopra la panca e si appende di nuovo, pronuncia un nome, il loro nome in codice, il suo compagno risponde. Si sono incontrati, si sono riconosciuti, urlano di gioia, e noi insieme a loro. E’  uno dei momenti più profondi dentro quel luogo in cui siamo noi a portare la vita. Mira e Jan capiscono di essere molto vicini, e ogni volta che vogliono dirsi qualcosa, pronunciano la frase in codice, si rispondono, e si aggiornano, parlano in francese, lì quasi nessuna guardia parla francese. Ore prima, la quarta compagna di cella aveva dovuto aspettare tempo immemore prima di poter avere un traduttore francese. L’assurdità della giustizia borghese della democratica Germania, la locomotiva d’Europa, lo stato che accoglie, in cui ogni cittadino, autoctono o straniero, riesce ad integrarsi e a vivere dignitosamente (quello che vogliono far credere), ha organizzato un lager umano in cui rinchiudere centinaia di stranieri provenienti da innumerevoli luoghi sparsi per il mondo, per poi non predisporre di traduttori ufficiali le persone rinchiuse, senza consentire telefonate nel proprio paese. E se hai il numero del legal team scritto sul braccio o sulla gamba (tutti lo avevamo) allora è la prova che hai preso parte a qualcosa, che sei un black block.   “Siamo tutti black block” Sì! sì lo siamo. Lo eravamo tutti. Tutti eravamo stati ad Amburgo. Tutti avevamo preso parte a quelle giornate, tutti eravamo consapevoli di quello che era successo, e di dove eravamo finiti. E se questo voleva dire essere dei black block, allora lo eravamo. In cella siamo state in quattro, quattro donne diverse, quattro lingue diverse, quattro estrazioni sociali diverse, ma nessuna, nessuna, nessuna mai ha ceduto, nessuna ha vacillato, tutte convinte delle proprie scelte da quelle più recenti a quelle più antiche. Era come se tutto tornasse, come se un filo rosso si fosse sciolto dalla matassa e avesse mostrato ad ognuna di noi il percorso fatto, e quello ancora da fare. Possono giocare con le parole, possono affibbiarci stemmi e dire che siamo tutti la stessa feccia che devasta e saccheggia, e che per questo meritiamo di marcire in carcere. Possono avere i nostri corpi, possono imprigionarci, farci stare ore senza cibo, senza poter uscire fuori a guardare il cielo, senza sentire sul viso il calore del sole e la brezza dell’aria fresca, possono farci tutto questo, si possono, finché i nostri corpi resisteranno sempre un pelo di più dell’attimo prima, potranno farlo.  Ma la convinzione di non aver sbagliato proprio niente, quella non ce la potranno mai togliere. “e perciò non mi stupisce che ignoriate il mio dolore, tenetevi la gloria se volete, io mi tengo l’amore.”   *In tedesco sarebbe Hi-Tec, ma l’abbreviazione in un testo italiano è un inglesismo e quindi è Hi-Tech
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tecnoandroidit · 1 year
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70mai Air Compressor Lite Wireless Midrive TP05: il compressore per gonfiare qualsiasi cosa
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Il compressore d'aria 70mai TP05 è un dispositivo potente e portatile, ideale per viaggiare. Nonostante le sue dimensioni compatte, simili a quelle di uno smartphone, è in grado di fornire un flusso d'aria estremamente potente, con una velocità di gonfiaggio di 18,5 l/min. Questo permette di gonfiare completamente un pneumatico vuoto in circa 10 minuti e un pneumatico parzialmente sgonfio in soli cinque minuti. Contenuto della confezione Gli accessori contenuti nella confezione sono molteplici, infatti, troviamo il compressore con vari ugelli per gonfiare qualsiasi cosa, un cavo micro-usb, la prolunga di gonfiaggio e una piccola sacca per riporre il tutto. Design e materiali Il design del compressore d'aria 70mai TP05 è stato pensato per la portabilità e la facilità d'uso. Le sue dimensioni compatte lo rendono paragonabile a uno smartphone, il che significa che non occupa molto spazio e può essere facilmente trasportato. Questo lo rende ideale per viaggi in bicicletta, gite in moto o campeggio. Il corpo sottile del compressore offre una presa confortevole, rendendolo facile da trasportare e comodo da usare con una sola mano. Questo è ulteriormente facilitato dal design senza fili grazie alla batteria integrata, che permette di gonfiare qualsiasi oggetto senza il bisogno di collegare un cavo. Inoltre, il compressore è dotato di una torcia LED integrata, un dettaglio di design che aumenta la sicurezza dell'utente quando si deve gonfiare la propria automobile al buio. 70mai TP05 è costruito con cilindri e ingranaggi ottimizzati in metallo. Questa scelta di materiali contribuisce alla sua robustezza e durabilità, permettendogli di raggiungere una pressione massima di 150 PSI. Batteria integrata Il compressore è dotato di due batterie al litio da 2500mAh. Le batterie al litio sono note per la loro lunga durata e capacità di fornire una grande quantità di energia, il che rende questo compressore in grado di funzionare per 28 minuti senza interruzioni. Display e funzionamento Il compressore TP05 è dotato di un display facile da leggere, così saprai immediatamente lo stato dell'oggetto da gonfiare. Supporta 5 modalità di gonfiaggio a seconda dell'oggetto da gonfiare: modalità auto, moto, bici, palla e modalità libera. L'unità si fermerà automaticamente quando viene raggiunto il valore di pressione dell'aria predefinito. Il nostro test Lo abbiamo provato in svariate situazioni e il compressore è stato subito molto affidabile. Non aspettatevi un gonfiaggio velocissimo poiché essendo un mini-compressore ci impiegherà molto tempo per aumentare i BAR. I generale ci sentiamo di consigliarlo soprattutto visto che stiamo andando verso l'estate e potrebbe essere molto utile per gonfiare la nostra bicicletta, automobile o altro. Purtroppo ad oggi non è disponibile in Italia e non sappiamo quando arriverà ma trovate ulteriori dettagli sul sito ufficiale. E se vi siete persi l'altro prodotto che abbiamo testato della 70mai cioè una dashcam con intelligenza artificiale vi invitiamo a guardare il nostro video della 70mai 360 Dash Cam Omni: https://www.youtube.com/watch?v=KA8EnLUM5c0 Read the full article
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pneusnews · 7 years
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Il nuovo Michelin X Tra Defend è un pneumatico premium che offre alti livelli di affidabilità e resistenza ai danni, e un ottimo rapporto tonnellata per chilometro/miglia all’ora, che quantifica la produttività in funzione del carico e della distanza percorsa in un’ora. Destinato ai dumper articolati dal carico utile compreso tra 25 e 45 tonnellate, è stato specificamente sviluppato per minimizzare i danni e i tempi di fermo macchina grazie alla sua robustezza, e per minimizzare i costi operativi, grazie a una durata di vita del 15% più lunga rispetto al Michelin X-Super Terrain+. Michelin X Tra Defend presenta una notevole profondità di scultura, classificata E4.
Gli operatori scelgono i dumper articolati per la loro polivalenza. La nuova soluzione proposta da Michelin risponde alle esigenze di questi utilizzatori tenendo conto di tutte le applicazioni e delle condizioni che possono incontrare. Michelin X Tra Defend è stato sviluppato per ottimizzare la produttività negli ambienti particolarmente aggressivi delle miniere e delle cave, ma dimostra versatilità anche nelle attività a grande velocità e a ciclo elevato dei settori della costruzione e dei lavori pubblici.
Il nome stesso di X Tra Defend indica la robustezza e la resistenza ai danni che lo caratterizzano e che segnano un notevole passo avanti rispetto alle soluzioni esistenti. Queste prestazioni si devono allo spessore dei fianchi, aumentato del 15% rispetto al Michelin X-Super Terrain+, e alla carcassa, resistente alle perforazioni: Michelin X Tra Defend è in grado di resistere ad un oggetto che lo perfori fino a 172 mm.
Grazie alla carcassa solida e robusta e allo spessore dei fianchi, il pneumatico può contare su un vero scudo protettivo che permette anche di aumentare la profondità della scultura.
La profondità della scultura del Michelin X Tra Defend 29.5 R 25 è di 65 mm, 5 mm più del Michelin X-Super Terrain+. Inoltre, rispetto al Michelin X-Super Terrain+, il volume globale di caucciù utilizzato nella scultura è aumentato del 17%.
Queste due caratteristiche permettono di ottimizzare la durata di vita dei pneumatici, che risulta aumentata del 15% rispetto al Michelin X-Super Terrain+, senza intaccare la produttività dei dumper articolati – legata alla velocità e alla capacità di carico: il rapporto Tonnellata per chilometro/miglia all’ora TKPH* del nuovo pneumatico è identico a quello della generazione precedente.
In breve
Pneumatico E4 premium, per dumper articolati a carico utile compreso tra 25 t e 45 t.
Eccezionali livelli di resistenza ai danni e di affidabilità, grazie ai fianchi più spessi del 15% rispetto al MICHELIN X-Super TERRAIN+.
Sviluppato per ottenere il massimo di produttività negli ambienti molto aggressivi delle miniere e delle cave e nelle attività a gran velocità e a ciclo elevato dei settori della costruzione e dei lavori pubblici.
+ 15% di durata di vita rispetto al Michelin X-Super Terrain, grazie alla maggiore profondità della scultura (5 mm in più rispetto al Michelin X-Super Terrain+ per il Michelin X Tra Defend 29.5 R 25), e al maggior volume globale di caucciù nella scultura (+ 17% rispetto al Michelin X-Super Terrain+).
Eccellente resistenza alle perforazioni – in grado di resistere ad un oggetto che lo perfori fino a 172 mm.
Disponibile sul mercato del ricambio a fine 2017, e in primo equipaggiamento nel 2018. Le dimensioni 26.5 R 25, 750/65 R 25 e 875/65 R 29 saranno disponibili nel 2018.
  Michelin X Tra Defend
23.5 R 25 X Tra Defend E4 TL** 185B
29.5 R 25 X Tra Defend E4 TL** 200B
(26.5 R 25 + 750/65R25 saranno lanciati nel 2018)
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Michelin presenta il nuovo pneumatico per dumper articolati Il nuovo Michelin X Tra Defend è un pneumatico premium che offre alti livelli di affidabilità e resistenza ai danni, e un ottimo rapporto tonnellata per chilometro/miglia all’ora, che quantifica la produttività in funzione del carico e della distanza percorsa in un’ora.
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pneusnews · 7 years
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La serie di smontagomme a parallelogramma Par Move Concept, che rappresenta indubbiamente un nuovo modo di lavorare per l’operatore, diverso, più ergonomico, di maggior qualità in uno spazio inferiore, è stata per Giuliano la carta vincente di Autopromotec 2017. Secondo l’azienda di Correggio, il cliente ha immediatamente recepito il messaggio e le innovazioni applicate ad uno smontagomme tradizionale con autocentrante e stallonatore a paletta, ma anche ad una soluzione con bloccaggio ruota a platorello e stallonatura a dischi, creando una gamma di prodotti modulare che grazie anche all’offerta di accessori opzionali a disposizione si adegua alle esigenze del negozio.
Emanuela Pelliciari, Key Account Manager di Giuliano, ha affermato: “Autopromotec 2017 si è conclusa con estrema soddisfazione, possiamo sicuramente affermare che i risultati ottenuti hanno confermato la validità delle nostre scelte. Gli smontagomme SX120, SX 120 PRO DUO, SX 120 PRO DUO LNL ed S 121 hanno catturato l’attenzione di chi visitava lo stand, grazie anche a Spiderfrog il sistema di misurazione di flessioni progettato e realizzato da Giuliano, e certificato da MPA  (ente tedesco legato all’Università di Darmstadt accreditato Dakks) montato su SX 120 a testimonianza  che Giuliano non teme di “autoverificarsi” pubblicamente, dimostrando che i propri smontagomme, in particolar modo la serie a parallelogramma, sviluppano flessioni e torsioni estremamente contenute, sicuramente inferiori rispetto a concorrenti, che abbiamo provveduto a testare.”
In breve, Spiderfrog permette di misurare le flessioni e torsioni dei principali componenti di uno smontagomme sottoposto allo stress di smontaggio/montaggio di una ruota. La combinazione delle forze derivanti da tale stress viene misurata e fornisce quello che noi abbiamo indicato come valore R.U.S.C. (Indice di resistenza sotto stress). Nella documentazione di Giuliano l’indice R.U.S.C. è indicato in modo trasparente e questo dato è importante perché risulta significativo nell’indicare la robustezza di uno smontagomme: quanto meno flette uno smontagomme, tanto più permette uno smontaggio sicuro del pneumatico.
Anche lo smontagomme da camion per il servizio mobile S 562, evoluzione del precedente modello S 561, è stato oggetto di grande interesse: il servizio mobile per l’assistenza sia ai mezzi pesanti che alle vetture sta diventando un esigenza, e Giuliano, tra i primi produttori ad intercettare nel passato questa esigenza, non smette di investire e proporre nuove soluzioni.
Uno dei best seller Giuliano della gamma tradizionale quali S 228 PRO DUO presentato nella versione L-N-L (lever-No Lever) ha ulteriormente ampliato la proposta Giuliano. Il concetto Lever-No Lever, coperto da brevetto Giuliano, permette di lavorare sia con che senza la leva, e verrà applicato anche ad altri smontagomme tradizionali Giuliano, quali S 234, consolidato ed apprezzato smontagomme della gamma Giuliano.
Emanuela Pelliciari, Key Account Manager di Giuliano
I top di gamma Giuliano non hanno mancato di continuare a riscuotere il successo conseguito sin dalla loro prima presentazione:
Crossage Evo Plus, consolidato best seller di Giuliano, smontagomme superautomatico a platorello dotato di QX Plus, sistema leverless evoluzione del sistema LeverNoLever, il cui rapporto qualità prezzo è il segreto del suo successo a livello mondiale, secondo l’azienda
Infine XBOSS smontagomme superautomatico, leverless, uno dei pochissimi smontagomme che può essere definito veramente touchless, già presentato ad altre fiere internazionali di cui è stato indiscusso protagonista. La sua semplicità di funzionamento, la concezione di lavoro estremamente intuitiva congiuntamente alla totale sicurezza di lavoro ne fanno lo strumento ideale per operare su ruote e combinazioni estremamente complicate, senza alcun rischio per il cerchio e per lo pneumatico
Infine la nuova S 855 Evo Plus equilibratrice superautomatica, dotata di sistemi laser e sonar che permettono di rendere automatiche tutte le funzioni della macchina, semplificando e velocizzando il lavoro dell’operatore che beneficia inoltre di una completa gamma di programmi standard e speciali.
Ma il lavoro di Giuliano non si ferma sicuramente qui: ci sono già nuovi progetti e nuove idee, che permetteranno all’azienda di proseguire con successo in questo percorso di continua crescita.
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Giuliano in fiera con il concetto “work different” La serie di smontagomme a parallelogramma Par Move Concept, che rappresenta indubbiamente un nuovo modo di lavorare per l’operatore, diverso, più ergonomico, di maggior qualità in uno spazio inferiore, è stata per Giuliano la carta vincente di Autopromotec 2017.
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