Tumgik
#la rossa maschera del terrore
giallofever2 · 5 years
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ilm Storici di Producione Italiana e Internazionale)
«Mi hanno chiamato pazzo; ma nessuno ancora ha potuto stabilire se la pazzia sia o non sia la più elevata forma d'intelligenza, se la maggior parte di ciò che è glorioso, se tutto ciò che è profondo non derivi da una malattia del pensiero, da umori esaltati della mente a spese dell'intelletto generale.»
(da Eleonora, 1841)
Edgar Allan Poe (Boston, 19 gennaio 1809 – Baltimora, 7 ottobre 1849) è stato uno scrittore, poeta, critico letterario, giornalista, editore e saggista statunitense.
Considerato uno dei più grandi e influenti scrittori statunitensi della storia, Poe è stato l'iniziatore del racconto poliziesco, della letteratura dell'orrore e del giallo psicologico.
Poe è considerato il primo scrittore alienato d'America, avendo dovuto lottare per buona parte della vita con problemi finanziari, l'abuso di alcolici e sostanze stupefacenti e con l'incomprensione del pubblico e della critica dell'epoca.
🇬🇧 "They called me crazy; but no one has yet been able to establish whether madness is or is not the highest form of intelligence, if most of what is glorious, if all that is profound does not derive from a sickness of thought, from exalted moods of the mind at the expense of the general intellect. "
(From Eleonora" short story 1842)
🇬🇧 Edgar Allan Poe (born Edgar Poe; January 19, 1809 – October 7, 1849) was an American writer, editor, and literary critic.
Poe is best known for his poetry and short stories, particularly his tales of mystery and the macabre. He is widely regarded as a central figure of Romanticism in the United States and of American literature as a whole, and he was one of the country's earliest practitioners of the short story. He is generally considered the inventor of the detective fiction genre and is further credited with contributing to the emerging genre of science fiction.
He was the first well-known American writer to earn a living through writing alone, resulting in a financially difficult life and career.
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petalididonna · 7 years
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Alain Delon al suo amore Romy Lettera di addio, 1982 (brividi ed emozioni a leggerla) Ti guardo mentre dormi. Sono accanto a te, sono al tuo letto di morte. Indossi una lunga tunica, nera e rossa, con un ricamo sulla parte superiore. Credo che siano fiori, ma non indugio troppo a osservarli. Ti dico addio, il più lungo di tutti gli addii, bambolina mia. Così ti ho sempre chiamata: bambolina. Non perdo tempo a guardare i fiori, guardo il tuo viso e penso che tu sia bella e che non lo sia mai stata così tanto come in questo momento. Penso anche che è la prima volta in vita mia che ti vedo quieta e serena. Si potrebbe dire che una mano delicata abbia lavato via dal tuo viso paure e dissidi. Ti guardo mentre dormi. Mi dicono che tu sia morta. In che modo ne sono colpevole io? …Ci si pone sempre questa domanda davanti a qualcuno che si è amato e si ama ancora. Questa emozione ci sommerge, poi torna indietro e alla fine ci si convince che tutto sommato non si è colpevoli. Non colpevoli, ma comunque responsabili. Ecco. Lo sono anch'io. È a causa mia che la notte scorsa il tuo cuore ha cessato di battere. A causa mia, perché 25 anni fa fui scelto per essere il tuo partner in “Christine”. Tu arrivavi da Vienna e io ti aspettavo a Parigi con un mazzo di fiori in mano che non sapevo come tenere. Ma i produttori mi avevano detto: “Appena scende dalla passerella, vada da lei e le porga i fiori”, io aspettai con i fiori in mano come un imbecille, in mezzo a un'orda di fotografi. Tu scendesti dall'aeroplano, io mi avvicinai. Dicesti a tua madre: “ deve essere Alain Delon, il mio partner!” Nient'altro, nessun colpo di fulmine a ciel sereno. Così andai a Vienna, dove si girava il film, ed è stato là che mi sono innamorato follemente di te. E tu ti sei innamorata di me. Spesso ci siamo posti a vicenda la tipica domanda degli innamorati:“ Chi è stato di noi due ad innamorarsi prima, tu o io?”…..contavamo: “uno…due…tre…” e rispondevamo “Nè tu ne io…….entrambi…” Mio dio come eravamo giovani e felici! Alla fine del film ti dissi “ vieni con me, andiamo a vivere insieme in Francia” e tu rispondesti subito: “ si, voglio vivere con te, in Francia”…. ti ricordi vero? La tua famiglia, i tuoi genitori, andarono fuori di sé. E tutta l'Austria, tutta la Germania. dissero che ero un usurpatore, un rapitore. Mi accusarono di portare via “l'imperatrice”. Io un francese, che non parlava una parola di tedesco. E tu, bambolina, che non parlavi una parola di francese. All'inizio ci amavamo senza scambiarci una parola. Ci guardavamo e ridevamo. Bambolina…. e io ero “Pepè”. Dopo qualche mese io ancora non parlavo tedesco, ma tu parlavi francese così bene che potemmo recitare in teatro. Quella volta il regista fu Visconti. Ci diceva che ci assomigliavamo, che avevamo fra le sopracciglia la stessa “V” che si increspava per la collera, per la paura di vivere, per il terrore. Lui la chiamava la “V di Rembrandt”, perché diceva che nel suo autoritratto questo artista si era raffigurato con la stessa “V”. Adesso ti guardo dormire e la “V di Rembrandt” è scomparsa. Adesso non hai più paura. Non stai più in agguato, non sei più preda di cacciatori. La caccia è finita e tu finalmente riposi. Ti guardo ancora e ancora e ancora. Ti conosco bene, in ogni dettaglio. So chi sei e perché sei morta. La tua indole, come si dice. A loro , agli “altri”, io rispondo che l'indole di Romy era la sua indole. Questo è tutto! Lasciatemi in pace. Tu facevi male agli altri perché eri te stessa, compatta e unica. Una ragazzina che divenne una stella molto velocemente, troppo. Da questo provenivamo da una parte i tuoi capricci, i tuoi impeti di collera e le tue bambinate, sempre legittime, certo….ma con conseguenze inimmaginabili. Dall'altra, la tua autorevolezza professionale. Si, una ragazzina che non sapeva bene con cosa stesse giocando, con chi….e perché. E’ in questa contraddizione, e attraverso questa breccia che fanno irruzione la paura e l'infelicità. Quando ci si chiama Romy Schneider e quando si è nel fiore della propria vita e si ha la tua sensibilità e il tuo temperamento. Come si può spiegare chi eri tu e chi siamo noi, i cosiddetti “attori”, come si può far capire che noi, recitando, interpretando, essendo qualcun altro da quello che realmente siamo, impazziamo e ci perdiamo? Come si può far capire la difficoltà, il bisogno di possedere un carattere forte ed equilibrato per riuscire a rimanere in qualche modo in piedi? Ma come possiamo noi, trovare questo equilibrio in questo mondo…..noi, i giocolieri, i clown, i trapezisti da circo ai quali i riflettori indicano la strada dorata? Dicesti una volta “ Non so cosa io debba fare nella mia vita, ma in un film sono in grado di fare tutto”…. no, gli altri non possono capire. Non possono comprendere che più un attore è grande e più diventa inadatto alla vita. Greta Garbo, Marylin, Rita Hayworth…..e tu…. e mentre tu riposi io urlo e piango, piango accanto a te, piango perché questo lavoro schifoso non è un lavoro per una donna. Ed io tutto questo lo so perché l'uomo che io sono è quello che meglio di ogni altro ti ha conosciuta, quello che meglio di ogni altro ti ha capita. Perchè sono anch'io un attore. Eravamo della stessa razza, bambolina, parlavamo la stessa lingua. Non possono capirci loro, gli “altri” …….gli attori si, gli altri no. E’ inspiegabile. E quando si è una donna come te, non possono comprendere che di questo ci si può anche morire. Loro dicono che tu fossi un mito…. si certo, ma il mito non è che una maschera, un riflesso, un apparenza, ma quando viene la sera il mito si dissolve e rimane solo Romy, ancora Romy, soltanto una donna incompresa, maltrattata, maldescritta sulla stampa, indebolita, braccata. E’ nella solitudine che svanisce il mito, succede per paura. E più questo assilla la conoscenza, più si diventa succubi della felicità artificiale dell'alcool e dei tranquillanti. Inizia come un'abitudine, poi diventa regola, alla fine è necessità. Il danno è sempre più irreparabile, e il cuore tace consunto perché è troppo stanco per battere. Questo cuore è stato maltrattato, sballottato, questo cuore che apparteneva ad una donna che la sera si metteva a sedere davanti ad un bicchiere….. Si dice che ad averti ucciso sia stata la disperazione dovuta alla morte di David. No, la gente si sbaglia. Non è stato questo ad ucciderti. La morte di David ti ha solo dato il colpo di grazia. E’ vero che tu hai detto a Laurent, il tuo ultimo e incantevole compagno, le seguenti parole: “Ho l'impressione di essere giunta alla fine del tunnel”, è vero che tu volevi vivere, che tu amavi la vita. Tuttavia è anche vero che hai raggiunto la fine del tunnel nel grigiore di un sabato mattina. E’ vero che tu, poiché il tuo cuore era distrutto, eri l'unica a sapere che la fine che intendevi era proprio quella che poi hai raggiunto. Io ti scrivo a casaccio, senza un ordine preciso. Bambolina mia, così aggressiva, così piena di ferite. Non sei mai riuscita a capire ne ad accettare il ruolo di personaggio pubblico che tu stessa avevi scelto e che amavi. Eri un personaggio pubblico e le grandi implicazioni di questo non le hai mai comprese. Tu hai rifiutato il ruolo e tutti i ruoli che questo lavoro porta con sè. Ti sei sentita assalita, trafitta, violentata nella tua sfera personale. E tu, tu l'hai sempre saputo che il destino ti prendeva con una mano quello che ti dava con l'altra. Abbiamo vissuto insieme più di 5 anni. Tu con me, io con te. Insieme. Poi la vita….quella nostra vita che in fondo non interessava a nessuno, ci ha separati. Ma ci siamo chiamati, spesso, si proprio così, ci siamo dati dei segnali. Alla fine ci fu il film “La piscina”, ci siamo ritrovati con il fine di lavorare insieme. Venni a prenderti in Germania, conobbi David, tuo figlio. Da quel film in poi tu sei mia sorella, io tuo fratello. Fra di noi tutto era chiaro, schietto. Nessun'altra passione. La nostra amicizia risiedeva nel sangue, nella somiglianza e nelle parole. E dopo ci fu nella tua vita ancora infelicità e la paura….la paura…. gli altri diranno: “ che grande attrice!”“ che grande tragedia!”, senza sapere che tu stessa sei quella tragedia quando sei al di fuori del cinema, perché tu sei questo nella vita e lo paghi molto caro. Non capiscono che i drammi della tua vita si riflettono sulla tela, nei tuoi ruoli. Non possono immaginare che tu sei così “brava e geniale” al cinema perchè c'è una tragedia che vivi sulla tua stessa pelle, che sei sconvolgente perché rispecchi i tuoi drammi personali in te. E tu risplendi del loro fuoco che ti brucia. Bambolina mia, questo lavoro così doloroso! Ho vissuto con te oppure solo al tuo fianco? Fino alla morte di David c'era il lavoro a tenerti la testa fuori dall'acqua, poi David se ne è andato e il lavoro non ti è stato più sufficiente. Non mi ha stupito affatto la triste notizia che anche tu ci avevi lasciato. Di cosa avrei dovuto stupirmi? Del tuo non-suicidio, forse. Ma non del tuo cuore distrutto. Mi sono detto: “Eccola, la fine del tunnel!”. Ti guardo mentre dormi. Tuo fratello Wolfie e Laurent entrano nella stanza. Parlo con Wolfie. I nostri ricordi vanno alla mia casa di capagna. Ai doberman che ti facevano così paura. A tante altre storie…. più di 20 anni fa, in Baviera, in un piccolo paesino. Wolfie aveva 14 anni, io 23 e tu 20. Ridemmo molto quando ci fu annunciata la visita del presidente francese del “Romy Schneider fan club”. Vedemmo arrivare una ragazza giovane e slanciata, con un paio di occhiali, carina….. si chiamava Bernardette. Quando tornammo a Parigi la chiamammo. Divenne la nostra segretaria, per sei anni. Lei è ancora la mia segretaria! Ti guardo mentre dormi, solo ieri eri viva e hai detto a Laurent: “Vai a dormire, io vengo fra un po’…. resto ancora con David ad ascoltare musica!” Questo lo hai detto ogni sera. Prima di coricarti volevi rimanere da sola con il ricordo di tuo figlio. Ti sei messa a sedere. Hai preso carta e penna e hai disegnato, per Sarah… disegnavi per la tua piccola figlia, finché non hai avuto dolori al cuore e improvvisamente……… così bella. Bella, ricca, famosa….. di cos'altro avresti avuto bisogno? Di pace, e di un po’ di felicità! Ti guardo mentre dormi. Sono di nuovo solo. Mi dico: tu mi hai amato. io ti ho amata. Io ho fatto di te una francese, una star francese. Si, è per questo che mi sento responsabile. E questa terra che tu hai amato per causa mia, è diventata anche la tua patria. La Francia. Wolfie ha deciso, e anche Laurent ne ha espresso il desiderio, che tu rimanga qui per sempre in suolo francese. A Boissy. Là, dove fra un paio di giorni verrai raggiunta da tuo figlio David. In un piccolo luogo dove hai appena ricevuto le chiavi per la tua casa. Là volevi vivere, vicino a Laurent, vicino a Sarah. Là dormirai per sempre. In Francia. Vicino a noi, vicino a me. Del tuo viaggio fino a Boissy me ne sono occupato io, così da alleggerire Laurent e la tua famiglia. Ma non sarò presente né in chiesa né alla tomba. Wolfie e Laurent mi capiscono. Ti prego di perdonarmi… tu sai che io non avrei potuto in nessun modo proteggerti da questa gente avida, da questa massa di libidinosi, da questo “spettacolo” di cui hai sempre avuto paura. Perdonami. Verrò il giorno successivo e staremo da soli. Bambolina, continuo a guardarti, a guardarti ancora. Con i miei sguardi voglio inghiottirti e dirti ancora che non sei mai stata così bella e così tranquilla. Riposa in pace. Io ci sono. Da te ho imparato un po’ di tedesco. Le parole:“ ich liebe dich”. Ti amo, ti amo, bambolina mia. Alain Fonte:web Lettera d'amore...vero❤️ @petalididonna🌷
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wolfhowls · 5 years
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Principessa (Miraculous Fanfiction)
3 Rabbia
"Lo sapevo che dovevo tornare a casa" si rimprovera Nino, mentre cerca di non essere trascinato a terra dai passanti in fuga. "Ahia" qualcuno gli pesta un piede. Saltellando sull'altro il ragazzo riesce a raggiungere un punto meno affollato e si guarda attorno "Alya dev'essere qui da qualche parte, quando c'è un Akuma c'è anche lei, pronta a ficcarsi nei guai". Non vedendola, gira le spalle al fiume e si avvia nella direzione opposta. Deve allontanarsi da dove Chat Noir e la sua avversaria stanno combattendo e trovare un posto sicuro. 
Nino non fa  in tempo a fare un passo che qualcosa lo colpisce e lo fa ruzzolare a terra, facendogli cadere gli occhiali dal naso, contemporaneamente un lampo viola lo acceca per un istante. Ora è a terra, accanto o per meglio dire è tra il selciato e una ragazza circa della sua età, olivastra, i capelli rossi e ricci, senza occhiali vede confusamente che ha dei bellissimi occhi nocciola, vedendola, Nino deglutisce a vuoto. Lei si accorge di essergli sopra, e rotola accanto a lui, sedendosi sul selciato "scu-scusa ma non.. non ho fatto in tempo e... ha colpito anche noi. Ah, questi sono tuoi" mentre raccoglie gli occhiali di Nino e lui fa altrettanto coi suoi "e questi tuoi... ehm..."  "Alya" si presenta la rossa  voltandosi verso Principessa Solitudine "ma non è il momento dei convenevoli, scappiamo!" termina, alzandosi e offrendo la mano a Nino per aiutarlo, ma il ragazzo è già in piedi, si sistema il berretto, afferra Alya per una spalla dicendo "Sono Nino! Hai ragione, andiamocene!"  e iniziano a correre, raggiungendo rapidamente la coda del gruppo di persone in fuga.
Principessa Solitudine ride, mentre altri quattro anelli della catena scompaiono "Fatto! Adesso almeno non mi metterai più in imbarazzo, impicciona."
Chat Noir, approfittando del momento, si lancia di corsa lungo l'argine con l'intenzione di immobilizzarla, ma prima che sia a portata lei si volta e l'eroe si ferma sul posto, in posizione di guardia. 
Lei lo fissa per un istante con gli occhi vuoti e rossi di quella maschera rigata da lacrime nere "Ti ho detto dopo!" ringhia, scandendo le parole mentre muove le catene come due fruste tra sé e l'eroe in nero, facendole tintinnare.
 "Prima devo dire un paio di cosette a quel pappagallo di Adrien Agreste!" un suo gesto della mano e la nube sulla pasticceria si trasforma in uno sbuffo grigio che la raggiunge, avvolgendola e portandola in direzione della casa di Adrien.
A sentire il proprio nome, Adrien rimane per un istante senza fiato, in testa un turbinio di pensieri confusi, le guance in fiamme "cosa... ho fatto?" gli sfugge dalle labbra "Marinette!" grida il ragazzo a denti stretti, indeciso se controllare come stiano i suoi due amici o correre in direzione di casa propria  "Ladybug, dove sei?" borbotta, scegliendo di inseguire Principessa Solitudine.
Marinette sente confusamente la propria voce nominare Chat Noir e Adrien, tutto è avvolto da una nebbia viola. Cerca di chiamare aiuto, di muoversi, ma non può farlo, è come un incubo. 
La ragazza sente un cupo terrore impadronirsi di lei, la voce di Papillon nella sua testa "Cosa fai? Prendi il miraculous di Chat Noir! Non perdere tempo" poi diventa di nuovo tutto buio.
"E' colpa mia? Marinette è stata akumizzata per colpa mia!" pensa Adrien, saltando tra un tetto e l'altro "Mi ha chiamato pappagallo! Perché? A lei piace Luka! Non sarà che quello scherzo, al museo..."  il biondo sente le guance diventare bollenti e automaticamente fa per mettersi una mano dietro la nuca, ma il gesto gli fa perdere la coordinazione e finisce per atterrare malamente su una terrazza,  istintivamente si raggomitola e ruzzola contro un vaso di cemento. "Ahi!" gli sfugge, più per la sorpresa che per il dolore. 
Si inginocchia, ansimando per riprendere fiato, le mani sulle ginocchia e i gomiti piegati "No no! Non può essere per via di me e Kagami. E poi a lei piace Luka!". Sentendo l'aria fresca sulle guance, che immagina rosso fuoco Chat Noir si alza in piedi  "Calmati, Adrien. Dopo. Ci penserai dopo". Guardandosi attorno cerca di capire su che tetto sia caduto "Si ma, se è così potrebbe andare anche da Kagami! Ma dove sei, Ladybug?". Il supereroe prende il bastone dalla cinta e attiva la modalità telefono, chiamando l'eroina coccinella. Nessuna risposta. "ma qui... questa è la terrazza dove ci siamo dati l'appuntamento e..." un sorriso malinconico appare sul volto di Chat Noir "No, non adesso!" si rimprovera, guardandosi attorno "ecco là la nube".
Poco più di trecento metri separano Chat Noir da villa Agreste, perciò il ragazzo cerca con lo sguardo la via più rapida per coprirli quando lo scampanellare di una bici, in strada, attira la sua attenzione. Guardando nella direzione del suono Chat Noir riconosce una chioma turchese: un ragazzo snello, alto e poco più grande dell'età di Adrien, con jeans neri e una giacca blu, chino su una bicicletta gialla, pedala di gran carriera verso casa Agreste. "Parli del diavolo..." commenta il biondo, cercando il modo più veloce di scendere da lassù e raggiungerlo.
Un balzo, un colpo di bastone sull'edificio di fronte e Chat Noir è a pochi passi dietro il ciclista "Luka!" lo chiama, le mani a coppa a fare da megafono. Luka quasi perde l'equilibrio per la brusca frenata, si volta: "Eh? Chat Noir?" risponde, gli occhi spalancati per la sorpresa. "Dove stai andando?" gli domanda Chat Noir, che in un paio di falcate l'ha raggiunto, guardandolo negli occhi "Beh ho visto al telegiornale che Mari... e beh pensavo...". 
"Mari." nota Adrien, con uno strano senso di fastidio per quel diminutivo,  mai sentito usare da nessuno per Marinette. "Ok, senti, Luka, non c'è tempo per spiegarti, mi serve il tuo aiuto, cioè no, serve a Marinette e tu.." si interrompe, mordendosli la lingua, poi gli porge il braccio "ti dò un passaggio io", gli fa, poi mette il braccio di Luka attorno alle spalle, circondandolo con l'altro poco sopra la vita. "Tieniti forte!" e si proietta di nuovo sui tetti usando il bastone come ascensore.
I due raggiungono rapidamente l'edificio di fronte a villa Agreste e, accucciati dietro i comignoli, osservano Principessa Solitudine, a poco meno di cinquanta metri da loro. La ragazza fluttua in equilibrio su una nube temporalesca in miniatura a una decina di metri da terra, sopra il giardino della villa.
Chat Noir guarda serio Luka "Ascolta, mi serve un diversivo: scendi da quella scala e prova a parlarle,  mentre io faccio il giro, d'accordo?" l'altro annuisce al biondo, vedendo la scala "e fai attenzione, scaglia dei raggi che se ti colpiscono... beh... cancellano il ricordo delle persone a cui vuoi bene."  
Luka spalanca gli occhi "Cosa?" Chat Noir annuisce grave. "Eh. Ce l'ha con Adrien, adesso. Ladybug  arriverà presto, io.. noi intanto cerchiamo di guadagnare tempo. Scendi e prova a distrarla, tu sei..." non dice altro, mentre va verso il bordo del tetto, chino per non farsi vedere  "Al resto penso io, cercherò .. cercherò di non farle del male, stai tranquillo" un cenno di saluto con le due dita puntate alla fronte e l'eroe vestito di nero si proietta col bastone in diagonale, atterrando sul tetto dell'imponente villa, dal lato opposto a Principessa Solitudine. Un altro salto ed è sopra la sua camera, in vantaggio di posizione rispetto all'avversaria. Si acquatta, appiattendosi dietro la grondaia, aspettando di sentire la voce di Luka.
"Adrieeeeeeeen" grida Principessa Solitudine  con aria di sfida, le mani sui fianchi "sei nascosto da qualche parte o sei con quella smorfiosa doppiogiochista di Kagami?" continua, ondeggiando sulla nuvola davati all'enorme finestra della stanza  vuota di Adrien,  illuminata dal bagliore freddo della TV accesa. "O sei con quell'italiana bugiarda?" cantilena, "O sei scappato da Chloé? Daaaaai, dove sei, devo solo farti dimenticare tutti quelli a cui tieni e soprattutto quelle smorfiose. E..." un breve singhiozzo l'interrompe, prende fiato e grida "Dove sei, vigliacco!" 
Ogni nome era come uno schiaffo per Adrien, il peso nel petto sempre più grande, via via che quella che era Marinette parlava. "Io non.. non avevo capito.." borbotta fra sè. Comincia a sentire il sapore salato delle lacrime, gli occhi bruciare. Quel "vigliacco" urlato è la botta peggiore. Finalmente, una voce dal basso interrompe il monologo di Principessa Solitudine e i pensieri in tumulto di Adrien. "Marinette! Fermati. Per favore! Sono Luka!" fuori dal muro di cinta, il ragazzo è sgattaiolato a una quindicina di metri da Principessa Solitudine e la sua nube fluttuante.
"Che c'è, adesso" fa lei, abbassando lo sguardo "L-Luka? C-osa fai qui?" borbotta e poi "Vattene! E non sono Marinette, sono Principessa Solitudine!" stringe i pugni "Smettete di chiamarmi Marinette!"
"Sono venuto ad aiutarti!" continua, alzando la testa turchese"che ti succede, perché tutto questo? Mari, puoi dirmi tutto, lo sai, Io.." fa una pausa per cercare le parole adatte
"Mari, puoi dirmi tutto" risuona nella mente di Chat Noir, sempre più confuso "Non.. Non sarò mica... geloso?" scuote la testa per snebbiarla "Avanti, Ladybug, fai presto!" pensa mentre stringe la presa sul bastone per farsi coraggio, pronto a saltare
Principessa Solitudine si volta verso il basso, sembra fissare Luka "E allora aiutami a trovare quel.... Adrien! Deve... devo...." si ferma, il respiro affannoso. Nella sua testa rimbomba la voce di Papillon "Prendi il Miraculous! Sbrigati!"
"Non posso, Mari, non posso farlo, non so dove sia! Torna in te, parliamo! Cosa è successo?" risponde Luka, con voce calma mentre nella sua mente si affollavano troppe domande. "Cosa le ha fatto Adrien?  L'ha ingannata? Illusa? No, dev'essere stato un malinteso. O forse..." 
La voce di Marinette, incupita dalla maschera e dal pianto lo distrae dalle sue riflessioni "Non voglio parlare, non serve parlare. Non mi serve nessuno! Vattene! non v-voglio nemmeno te!" grida Principessa Solitudine, strappandosi il ciondolo dal collo con la destra e gettandolo ai piedi di Luka, puntando l'altra mano verso di lui
"Adesso!" con un unico movimento Chat Noir si alza e con una potente spinta delle gambe si getta in avanti oltre l'orlo del tetto,  il bastone sopra la testa, impugnato con entrambe le mani come un bokken. Principessa Solitudine nota il movimento, si gira in quella direzione e solleva le braccia per proteggersi il volto, ma è fuori tempo: il bastone di Chat Noir le cala sulla testa, scagliandola a terra, nel giardino, seguita dall'eroe mascherato.
"Mari! Chat Noir! Tutto bene?" grida Luka da dietro il muro che gli nasconde la vista degli altri.
Marinette sente il contatto con l'erba dietro la schiena ma, come prima, non riesce a muoversi. Le sembra di essere caduta con la testa girata da un lato e come avvolta dalla nebbia intravede la figura di Chat Noir,  accucciato a terra,  vicino a lei. "Chat... aiutami" mormora, con fatica.
Chat Noir si volta verso  Principessa Solitudine, immobile "oh no.." è l'unica cosa che Adrien riesce a pensare, vedendola così.  
L'eroe e si china sulla ragazza ammantata di grigio, il colpo di bastone ha spezzato la maschera, i pezzi a terra. Accanto ai pezzi della maschera, Adrien riconosce un oggetto: il portafotruna che ha regalato a Marinette al suo quattordicesimo compleanno, completamente grigio. 
Chat Noir si avvicina ancora per osservare il volto dell'akumizzata: gli occhi chiusi di Marinette sono gonfi, il viso bagnato di lacrime, un'ombra rossastra le circonda gli occhi e parte della fronte, i capelli sono diventati di un informe grigio. Sembra muovere le labbra e mormorare qualcosa, che il ragazzo non riesce a capire "Meno male" pensa "ma dov'era quell'Akuma... non era la maschera.. e quello?"  All'improvviso Principessa Solitudine spalanca gli occhi, facendo fare un salto indietro a Chat Noir, poi rotola di lato e balza in piedi. 
Principessa Solitudine, in guardia, fa roteare le due catene "Bella mossa, gatto. Bella mossa. Hai fatto venire anche lui per distrarmi!" poi s'accorge di non avere più la maschera, l'espressione accigliata "oh. Male m... micetto, molto male..."
"Marinette! Ascoltami! Ecco... ehm Adrien non l'ha fatto apposta... cioè lui" inizia Chat Noir, mentre pensa a dove potrebbe essere l'Akuma.
"Non chiamarmi così!" gli grida la ragazza in grigio "Non sono Marinette!" sempre ruotando le due catene "Va bene" lo guarda fisso negli occhi "se vuoi parlare.. parliamo!" ringhia, lanciando una catena verso Chat Noir, che l'afferra nella mano destra e se la gira attorno al polso "Ehm... Tranquillo Luka, va tutto bene!" urla Chat Noir da sopra la spalla.
"E una." pensa l'eroe in nero "Dai, non voglio farti del male. Per favore. Lasciati aiutare. C'è una soluzione, lo dicevi sempre!" prosegue, guardando negli occhi azzurri l'altra.
"Smettila! Non ho bisogno di te! Non voglio nessuno!" Principessa Solitudine lancia l'altra catena, prontamente neutralizzata da Chat Noir che l'afferra, stringendola in mano assieme a quella che ha già afferrato. Poi guarda la ragazza con un sorriso obliquo. "Sai, Principessa.. i legami ci sono da tutte e due le parti!" pianta il bastone a terra e l'allunga, proiettandosi fuori dal giardino e trascinandosi dietro Principessa Solitudine, parzialmente immobilizzata dalle sue stesse catene.
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margiehasson · 5 years
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Halloween 2019: i look più originali da cui prendere ispirazione
La notte di Halloween 2019 si avvicina, avete già pensato a quale maschera indossare? Se siete in cerca di idee, vi propongo una carrellata di look a cui ispirarsi per un make up da spavento assicurato!
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Maschera da teschio si, ma in versione femminile e sexy. Il fucsia prende il posto del classico bianco e nero, rendendo il make-up alternativo e originale.
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  Un paio di lenti a contatto colorate possono costituire metà del trucco, bastano pochi altri dettagli per un trucco da Stregatto facile e super veloce.
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  È possibile realizzare un trucco d’effetto anche con pochi prodotti. In questo caso, ad esempio, è sufficiente un ombretto nero ed un eyeliner dorato per realizzare il trucco della regina dei boschi infestati.
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  Maleficent è tornata! Impossibile non lasciarsi ispirare dalla cattiva del film Disney. Occorrono solo un trucco marcato e i giusti accessori per la maschera dell’anno.
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  Fan de “la casa di carta“? Cimentatevi nel ricreare la ormai popolare maschera di Dalì, indossate una tuta rossa e il gioco è fatto!
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  I film horror degli ultimi anni hanno dato vita a molteplici personaggi mostruosi e iconici. Provate a ricreare la bambola assassina Annabelle per un Halloween da paura.
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  Se non volete risultare eccessivamente orripilanti, realizzate un normale trucco elegante e aggiungete sul viso dei pezzetti di spago con la colla per ciglia finte. Il risultato sarà una moderna Frankenstein.
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  I matrimoni incutono terrore ad alcuni uomini. Perchè non spaventarli ulteriormente con la maschera della sposa cadavere? Il risultato è assicurato!
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  Chi ha detto che per realizzare un trucco per Halloween 2019 non servono glitter e brillanti strass? Ecco la regina delle nevi in versione noir.
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  Cosa viene fuori dall’unione dello spaventapasseri del Mago di Oz e una maschera da zucca? Un fantastico make-up per Halloween 2019 da riprodurre e sfoggiare nella notte delle streghe.
Per molte altre idee e suggerimenti seguimi su consiglidimakeup.com.
  L'articolo Halloween 2019: i look più originali da cui prendere ispirazione sembra essere il primo su Glamour.it.
Halloween 2019: i look più originali da cui prendere ispirazione published first on https://lenacharms.tumblr.com/
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emme-malcolm · 6 years
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Audubon Park
13/12/17
Malcolm: New Orleans è una città in cui la religione e le tradizioni sono fortemente radicate, confessioni diverse convivono insieme e si mescolano in commistioni particolarissime che forse è difficile trovare in altre parti del mondo. Quando una città come questa si prepara al Natale tale clima e tali intrecci diventano probabilmente ancora più evidenti. In uno degli angoli di Audubon Park vi è un piccolo spiazzo realizzato a mo’ di anfiteatro; questo posticino da circa una mezz’oretta richiama la curiosità di chi si trova a passare dalla parte di Audubon Park che affaccia sul St. Charles Avenue. Dal piccolo anfiteatro, dove sono raggruppate un po’ di persone per lo più in piedi, provengono melodie nello stile dei Christmas Carol, ad opera di un coro unitosi appositamente per questa occasione e formato da ben tre confessioni diverse: ci sono i cattolici, i metodisti e i presbiteriani. La “Corale Natalizia St. Charles”: così è chiamata, a giudicare dall’unico cartellone appeso nelle vicinanze. A simbolo della fraternità cristiana riempiono l’aria circostante di musica e canti, accompagnati da qualche musicista fra organo, violino, chitarra e percussioni varie. È senz’altro piacevole ascoltarli e se proprio a qualcuno non piace basta passare oltre; ma a New Orleans le strade sono piene di artisti che suonano dovunque, seppure questa specie di piccola manifestazione ecumenica natalizia sia qualcosa di più elaborato di una “semplice” esibizione di strada. Insomma, sono attrezzati, preparati. Fra coloro che stanno assistendo a questa esibizione, un po’ in disparte, c’è il nostro asciutto giornalista che se ne sta poggiato con un lato del corpo ad un lampione oramai acceso ed osserva tutto, con sguardo attento ed acuto, quanto serio, apparentemente algido e tutt’altro che nello spirito natalizio. Aspetto curato ed abiti eleganti ma sobri: tutto come al solito insomma. Indossa un completo scuro formato da giacca e pantaloni, una camicia bianca e una cravatta amaranto, affatto vistosa nonostante il colore. Il coro che ha da poco terminato un canto annuncia il super classico “Silent Night” che, ammettiamolo, nel periodo di Natale è sempre bello ed emotivamente coinvolgente da ascoltare.
Abbie: Due passi senza la lupa se li concede ogni tanto, soprattutto se manca poco all'inizio del turno al Dipartimento: una figura alta marziale, con le spalle larghe e i muscoli ben definiti e armoniosi nel complesso, che cammina lentamente alternando lo sguardo chiaro tra il bicchierone di cioccolata calda fondente che tiene nella mano sinistra e la gente che incrocia. Indossa un paio di jeans blu scuro aderenti che vanno ad infilarsi in un paio di stivali poco più alti della caviglia, un t-shirt bianca e un pullover color carta da zucchero che fa capolino da sotto la giacca dal taglio militare in panno blu scuro. I lunghi capelli mossi e ramati sono lasciati sciolti sulle spalle e alcune ciocche ricadono sul volto chiaro illuminato dagli occhi verdi che sono sottolineati da un leggero tocco di mascara e eyeliner. Nessun gioiello, se non un braccialetto della fortuna azzurro al polso destro e niente borsa: chiavi, iphone, documenti, qualche banconota e attrezzini vari sono sparsi nelle tasche della giacca. Alza il bicchierone e lo porta alle labbra sorseggiando soddisfatta quella cioccolata densa che, dopo giorni di ricerca, è riuscita a trovare in uno dei chioschetti del parco. Sono i Christmas Carols che provengono dall'anfiteatro poco distante a distoglierla dai suoi pensieri "natalizi" ed inarca vistosamente il sopracciglio destro: incuriosita decide di andare a vedere cosa sta succedendo e aumenta leggermente il passo andando proprio in direzione dell'anfiteatro e della gente che si è ammassata attorno alla corale. L'oscurità della sera le rende tutto un po' più difficile, ma osserva attenta le persone presenti, sempre alla ricerca di eventuali pericoli, ma tra quelle nota la figura di Malcolm che le dà le spalle, ma che pare riconoscere ed è proprio in quella direzione che decide di andare.
Emmeline: In prima fila, all’estremo sinistro di quell’anfiteatro ricavato nello spiazzo, giusto davanti al gruppo di soprani che finiscono di intonare la loro parte con i contralti lasciando spazio ai tenori ed ai bassi, se ne sta la rossa dai capelli raccolti con l’immancabile fermaglio vintage a forma si libellula. E’ totalmente rapita dalle voci di quegli uomini, tanto da farle piegare il busto in avanti poggiando i gomiti sulle ginocchia mettendo il mento nei palmi delle mani sollevate. Un paio d’occhi color neve ficcati in ognuno di loro, la cravatta vinaccia che penzola in mezzo alle gambe infilate in un paio di calzoni classici blu dentro ai quali s’infila una camicia azzurro polvere; la giacca classica è sbottonata lasciando intravedere il riflesso metallico dell’oro del fermacravatta che le tiene addosso quella mezza lunghezza di cravatta affatto femminile, la sua lunghezza, la punta che finisce oltre la cintola ed il bottone dei calzoni fa apparire palese che sia un accessorio indubbiamente maschile. Il nodo davanti al collo è impeccabile, una precisione meticolosa ed attenta, una compostezza naturale perfino in quella posa rannicchiata; osserva ed ascolta mentre alza un indice per sfregare l’interno dell’occhio sinistro in un riflesso di cui non è affatto cosciente così come sembra non essere cosciente di tutto quello che la circonda, solo lei, il coro ed il proprio profumo di pesca cui si è aggiunta una nota di cannella, portato via da qualche soffio di vento.
Malcolm: Lui si trova in disparte, dicevamo, quindi certo non in prima fila, venendo così ad essere piuttosto distante da Emmeline che invece è proprio rapita da tutta quest’atmosfera di pace, fratellanza e bellezza che si può respirare fino a dove arrivano le voci della Corale St. Charles. Addirittura lei sta lì dove, prevedibilmente, ci sono per lo più familiari o amici delle persone coinvolte, nonché gli organizzatori. Uno spettacolo piccolo piccolo. Malcolm invece sembra quasi non voler essere coinvolto da quest’atmosfera, mantiene la sua apparenza austera ed infrangibile, ma è anche lui attento all’esibizione di fatto, quindi per ora non ha notato – ahinoi – la testa rossa in prima fila. I suoi sensi però sono costantemente all’erta, come racconta anche quella tensione perenne che sembra portarsi dietro nella rigidità del portamento, dell’atteggiamento. Poco dopo l’inizio della soave Silent Night avverte dei passi sul selciato, in avvicinamento dietro le sue spalle; il che significa automaticamente, per lui, voltarsi a scrutare chi sta arrivando. Deformazione professionale diciamo. Tiene le braccia conserte sul petto, come prima, anche quando si gira e si ritrova ad inquadrare Abbie. Non si sono presentati in quel tardo pomeriggio, ma il nome e il cognome sono le ultime cose che interessano Malcolm; se la ricorda bene eppure non manifesta alcuna sorpresa nel ritrovarsela lì, la squadra con quella specie di fredda educazione e discrezione che ammanta la sua figura. Le rivolge pure un lieve cenno di saluto, andando un attimo dopo a dire a voce bassa, dal timbro un po’ graffiante: <Buonasera> un saluto formale, di mera cortesia, niente di più.
Abbie: Raggiunto l'anfiteatro posa lo sguardo chiaro su chi è seduto ad ascoltare la corale senza cercare qualcuno in particolare, ma un particolare attrae la sua attenzione: il fermaglio a forma di libellula di Emmeline. Socchiude per un istante gli occhi pensierosa, infila la mano destra nella tasca della giacca e la chiude stringendola a pugno per alcuni istanti, ma il tutto dura poco più di una frazione di secondo, tanto che la mano destra scivola fuori dalla tasca con l'iphone: lo sblocca con l'impronta del pollice e scrive velocemente un messaggio. Risistema il cellullare nella tasca e punta dritta verso la figura di Malcolm che, in quel momento si gira: gli sorride sincera, un sorriso lieve, ma non freddo e risponde al suo saluto solo quando lo raggiunge affiancandosi a lui «Buonasera» la testa accompagna le parole con un elegance inchino e resta anche lei in silenzio per alcuni istanti, il tempo che finisca il pezzo. Incrocia le braccia al petto tenendo la sinistra sopra la destra così da avere a portata di mano il bicchierone fumante da cui, ogni tanto beve un sorso di cioccolata calda. Quando il coro prende una breve pausa tra un pezzo e l'altro si volta di nuovo verso Malcolm «anche lei qui?» chiede osservandolo attenta, come suo solito, senza insistenza.
Emmeline: Un momento di completa pace e la sensazione che in quel breve istante non potrebbe esserci mai nulla capace di turbare la tranquillità dell’intera città quasi quelle voci fossero capaci di spargere un’aura di benevolenza e fermare il tempo in quell’atmosfera, in quella bolla nella quale la Bowen si è rinchiusa molto volentieri. Non è dato sapere come diavolo abbia fatto a conquistarsi quel posticino “d’onore” ma se lo sta godendo in ogni sfumatura possibile, quasi con l’attenzione tipica dei bambini che rimangono imbambolati di fronte a qualcosa che li colpisce in ogni modo possibile. Ed è in quella calma, in quell’evasione conquistata che si scuote d’improvviso con un balzo che le fa scattare la mano destra all’interno della giacca tirando fuori dal taschino un iPhone illuminato. D’un tratto è chiaro, visibile ed evidente come non mai l’irrigidimento improvviso di quel corpo lungo e sottile sotto la stoffa blu, il modo in cui le spalle si stringono contro il corpo, il collo che si allunga e le dita delle mani che si chiudono con forza. E’ uno scatto pieno di forza quello che la fa voltare con un paio d’occhi chiari spalancati a scorrere famelici tra luci ed ombre dietro di lei senza cogliere nulla, forse cercando l’ombra sbagliata. C’è un terrore privo di filtro nel suo sguardo, senza nessuna maschera e nessun velo, deglutendo a vuoto prima di tornare sul cellulare per scrivere brevemente, incapace di tornare alle proprie spalle se non dopo qualche istante mentre la mano tremola a lasciare di nuovo il cellulare dentro al suo taschino. Ora si volta più lentamente, senza far scuotere i capelli, l’orrore è andato dentro allo sguardo, dentro alla pupilla e stavolta riesce a scorgere almeno la figura di Abbie illuminata dalla luce artificiale del lampione. Non si accorge di Malcolm ma sembra che il saluto della mano sia anche per lui in qualche modo. Torna a recuperare la cartella color cuoio, esattamente come le oxford impunturate che porta ai piedi, tira fuori da sotto il sedere un libro dalla copertina scura e si avvia verso di loro, col braccio piegato e la copertina del libro premuta contro il petto poco fornito, contro la cravatta di seta vinaccia.
Abbie: Sorseggia ancora la cioccolata che ormai è alla fine a scaldare solo più il fondo di quel bicchiere di cartone da passeggio. Socchiude ancora gli occhi e reclina leggermente la testa all'indietro per fa scivolare quel "nettare" divino lungo il bicchiere. Riporta la testa e la figura in posizione più consona e rilassa il braccio destro lungo il fianco, una volta riaperti gli occhi nota il gesto di Emmeline e risponde a quel gesto alzando il braccio destro a sua volta. Non toglie lo sguardo chiaro dalla figura della rossa notandone il fare decisamente poco tranquilo e scuote leggermente la testa, ma non la lascia sola un solo istante passsando allo "scanner" tutte le persone che le sono vicine e andando a cercare anche oltre l'anfiteatro eventuali possibili "problemi" da debellare sicura che da quella posizione Emmeline non si possa accorgere della sua perlustrazione visiva del luogo. Resta al fianco di Malcolm e, in quel momento, la corale riprende a cantare: l'atmosfera natalizia torna ad impadronirsi della zona, ma non della scozzese che sembra non riuscire a farsi trasportare da tutta quella gioia per il Natale e dai preparativi per quella festa che, in realtà ama particolarmente, ma non quest'anno.
Emmeline: “We wish you a merry Christmas” sembra quasi darle un calcio nel di dietro svegliandola da quel suo stato sospeso di irrequietezza residua e facendola praticamente trottare verso di loro. No si accorge di quella scandagliata maniacale dell’altra rossa nei confronti dell’ambiente circostante e delle sue vicinanze, non riesce a notarlo per la distanza o forse per quell’errore che le sfugge di tanto in tanto, quella distrazione fatale da ragazzina che le è rimasta addosso per un qualche motivo, una delle piccole cose che rendono innegabilmente “giovane” perfino rispetto alla sua età, sfumature di un’altra Emma forse «Buonasera signori» e tuttavia arriva con una certa formalità, una baldanza composta ed elegante senza forzature, un’affermazione da manuale per certi contesti e con quella sfumatura personale di cordialità, il tono di voce profondo ed accomodante. Con un sorriso a labbra strette da infilato l’attenzione anche su Malcolm rivolgendogli un cenno della testa fulva mentre su Abbie lascia scivolare un’occhiata sospesa. Quell’accenno di sorriso non è il suo solito degli ultimi giorni, come fosse tornata in sé, una sé precedente che la poliziotta conosce bene
Malcolm: Dopo essersi scambiati quel saluto con Abbie ognuno torna nella propria attenzione all’esibizione del coro; Malcolm torna a poggiarsi lateralmente contro il lampione, con le braccia conserte – all’anulare della mano sinistra è visibile sempre la semplice fede d’oro – a scrutare qua e là i componenti della corale, i passanti che di certo non mancano, il piccolo pubblico. E talvolta getta qualche rapida occhiata anche ad Abbie che sorseggia la cioccolata, così tanto per studiarla. Un solo taciturno cenno affermativo del capo per dirle che sì, anche lui qui. Si accorge di Emmeline solo quando vede una mano che sventola per aria nella sua direzione: aggrotta appena la fronte, trovando strano un tale “trasporto” rivolto a lui dato che si conoscono a malapena, per cui si volta di nuovo e trova Abbie a ricambiare. Era per lei dunque, si conoscono. Emmeline prende le sue cose e svicolando nel pubblico prende le distanze dalla corale, avvicinandosi al duo in disparte. Ci sono dettagli che non manca di notare, come il fatto che Emmeline indossa sempre (?) delle cravatte. Stesso fermacravatte in oro, stesso fermaglio a forma di libellula, stessi accostamenti arditi ma comunque piacevoli di colori. Anche su Abbie ci sono dettagli che ha notato, non preoccupatevi. <Buonasera Miss Bowen-Emma-Bowen> un saluto formale quello del giornalista, eppure condito da una strana ironia, molto vaga, quasi spiazzante vista l’estrema sobrietà nei modi. Un’ironia che rimanda alla presentazione della giovane in stile “Bond, James Bond”; eppure non una traccia di sorriso o di distesa apertura si rinviene sul volto marmoreo. Si sistema rapidamente il nodo della sua cravatta, un gesto consueto, affatto necessario dato l’ordine diremmo maniacale che caratterizza la sua figura. Intanto “We wish you a merry Christmas” risuona, quasi alla fine.
Abbie: Segue ogni singolo passo e movimento di Emmeline attenta, così com'è attenta alle persone che sfilano loro accanto e quando la Rossa li raggiunge e saluta formale la osserva per alcuni istanti soffermandosi su quel sorriso che la Rossa le regala «Emma» la saluta così con un elegante cenno della testa per poi accartocciare il bicchiere di carta che teneva nella mano sinistra facendolo diventare quasi una palla pronta ad essere cestinata. Istintivamente si volta a cercare la reazione di Malcolm al saluto della rossa, i due si conoscono e fin qui ci siamo, ed inarca il sopracciglio destro al sentire Malcolm ripetere il nome di Emma alla James Bond, quindi sorride e sussurra ad entrambi con palese ironia «qui l'unica che potrebbe presentarsi in quel modo sarebbe la sottoscritta per validi e innegabili motivi di nascita» e sfoggia tutto il suo accento scozzese in quelle frasi appena sussurrate per non disturbare troppo l'ascolto dei Carols natalizi. Torna poi in silenzio restando in piedi con la schiena bella dritta, le spalle larghe e le gambe leggermente divaricate in cerca di stabilità e comodità. Mancano solo più le mani dietro la schiena per completare quella posizione da militare che per forza d'abitudine assume spesso, ed è questione di qualche attimo che distende entrambe le braccia e porta le mani ad incrociarsi alla base della schiena chiudendo la mano destra sulla sinistra chiusa a sua volta su quello che resta del bicchiere di plastica. Solo a quel punto si rende effettivamente conto che lei e Malcolmnon si sono mai presentati, ma decide che non è ancora arrivato il momento e, semplicemente alterna lo sguardo tra Emmeline e Barnes per alcuni istanti.
Emmeline: Le capita di allargare appena le narici e di stendere un tantino di più il sorriso in quelle labbra strette luccicanti di lucidalabbra allo stesso sapore del profumo che a questo punto avrà investito l’ironico giornalista attempato, un guru o un vero totem per alcuni, e l’altra rossa in versione chioccia. China la testa da un lato avvicinando il mento appena appuntito, che toglie l’altrimenti totale rotondità al viso bianco, alla spalla destra per poter mandare un’occhiata sottile al vecchio Barnes, qualcosa di vagamente divertito e affatto intimidito dall’atteggiamento così composto e scostante dell’uomo «Oh suvvia, Bond è ben lontano dall’essere patrimonio esclusivamente nazionale, è un bene dell’umanità e per tal ragione ne possiamo fortunatamente fruire tutti…» ci pensa su mandando lo sguardo da un lato, su nessuno dei due «… il ché si, forse potrebbe accrescere un certo orgoglio nazionalista che tuttavia io non incoraggerei ulteriormente, assai pericoloso di questi tempi» la sua personale visione, nonché rivendicazione di potersi ispirare a quel personaggio venuto fuori dal nulla. La musica è alle sue spalle ma non per questo meno presente, la ascolta e la respira «Quest’anno il Natale mi è praticamente piombato addosso» se ne va a dare un’occhiatina a Abbie «Cuocerò il mio primo tacchino, in barba agli animalisti»
Malcolm: Si ritrova dunque alle prese con due teste rosse, entrambe conosciute, una poco più dell’altra. Le studia silenziosamente, al di là di quel saluto formale e ironico nello stesso tempo. Si limita ad ascoltare e le lascia parlare di James Bond; ascolta ma i suoi occhi sono tornati di nuovo intensamente sulla Corale che ora ha appena cominciato a cantare “Shepherd’s Pipe Carol”, intrecciando sapientemente voci maschili e femmili. Voci che creano già tanta musicalità tanto da non aver bisogno di molto accompagnamento strumentale. Pur senza rivolgere lo sguardo alle due, interviene con un commento il cui tono è difficile da decifrare: <Tecnicamente la legislazione degli Stati Uniti protegge ancora i diritti d’autore su James Bond. Per un’altra ventina d’anni se non ricordo male.> preciso e serissimo nell’inserire questa specifica in un discorso leggero. Per il resto tace, prestando apparentemente tutta la sua concentrazione all’ammirevole lavoro di quella corale. Il suo silenzio si protrae a lungo, non intellegibile per i più visti i modi granitici, poi così d’improvviso, proprio come per il commento su James Bond, riapre bocca: <Come mai era in prima fila Miss Bowen?> e dato il tono di voce perennemente serio può sembrare quasi una domanda critica, ma in realtà il suo è solo un intento conoscitivo. Poi che abbia un fare indagatore è tutto un altro discorso.
Abbie: Lo sguardo chiaro scivola sulla corale che continua nella sua performance e le strappa un lieve sorriso, in fin dei conti la bambina che è in lei è contenta che sia Natale, ma non vince sulla versione Scrooge della scozzese. Quando Emmeline torna a parlare riporta veloce lo sguardo sul volto della Rossa sorridendole ancora per poi arricciare vistosamente il naso «io sono fortemente nazionalista Emma» ammette pronta senza troppi giri di parole «ma non sono pericolosa» slega le mani dall'intreccio dietro la schiena ed alza le mani in segno di resa «forse» sussurra con lieve tono ironico, quindi annuisce in sua direzione «beh direi che è un dolce peso da sopportare no?» chiede riferendosi al Natale «se mai dovesse servirti una mano col tacchino non potrò esserti d'aiuto, ma hai tutto il mio appoggio morale» intanto che parla fa salire la mano destra a chiudere la zip della giacca in panno blu dal taglio militare andando a coprirsi il collo: non si è ancora abituata all'umidit di New Orleans e la cosa inizia a darle particolarmente fastidio. Al sentire le parole di Malcolm si volta verso il giornalista e lo osserva attenta «interessante» commenta al sentire la spiegazione sui diritti d'autore, quindi abbozza un lieve, ma sincero sorriso e prende in mano la situazione presentazioni «non ci siamo ancora presentati» fa una breve pausa e, lasciando ancora che sia il suo forte accento scozzese a prendere il sopravvento «Abbie Fionnghal» accompagna le parole con un elegante cenno del capo allungando la mano destra pronta a stringere quella di Malcolm. A interrompere le chiacchiere e quel momento natalizio ci pensa il cellulare che vibra, rigorosamente senza suoneria, nella tasca destra della giacca: la mano destra scivola veloce all'interno della giacca e prende l'i-phone sul cui schermo è chiaramente leggibile NOPD Centrale, il lavoro. Alza lo sguardo sui volti di Emmeline e Malcolm e si rivolge ad entrambi «scusatemi» fa una breve pausa «mi allontano un attimo per rispondere» abbozza un sorriso sincero ad entrambi e si volta dando loro le spalle prima di fare qualche passo allontandosi da loro e rispondere al telefono restando in disparte, a quanto pare la telefonata è lunga.
Emmeline: Continua a tenersi addosso quel libro che è ben lontano dall’essere nuovo a giudicare dallo stato delle pieghe di quella costola che tiene la copertina appena consumata in qualche punto dei suoi angoli; tra le dita che se lo tengono in braccio spunta la seconda parola del titolo in rosso “Royale”, probabilmente una delle classiche letture natalizie ricorrenti della giovane Bowen «Oh bene, avrò da stare tranquilla per un altro po’» accoglie l’informazione aggiuntiva con quell’improvvisa distrazione che viene a salutarla a fasi alterne, rendendola di tanto in tanto conscia della cosa e per questo fortemente infastidita nel corrucciare la fronte mentre torna ad osservarli entrambi rimanendo per metà davanti ad Abbie e per l’altra metà davanti a Malcolm «Dichiarazione mendace, tu sei pericolosa ed io lo so benissimo, avrei potuto crederci un paio di settimane fa forse, forse ci saresti riuscita ma ora…» scuote la testa e la china per ringraziare del pensiero solidale «Ho deciso di fare una prova e vedere se riesco ad intossicare tutta la redazione… se sopravvivono loro allora potrò tranquillamente cucinare a Natale» colleghi come cavie, forse la rossa Emma non è propriamente lo spirito natalizio fatto ragazza ma per lo meno ci mette della buona volontà. Si stringe nelle spalle e d’improvviso alza le sopracciglia e si volta ad osservare il posto che aveva occupato «Le vede quella bellissima signora anziana coi capelli bianchi che era seduta accanto a me? E’ la nonna di due nipoti, rispettivamente un tenore ed un soprano, la loro famiglia è piena di cantanti e musicisti da generazioni e mi ha raccontato che un suo parente era addirittura tra gli sfortunati musicisti del Titanic» per farla breve «Mi ha offerto un po’ di posto vicino a lei e io mi sono seduta» annuisce ad Abbie dopo aver lasciato spazio alle presentazioni, un rituale che lei osserva con attenzione maniacale nel confronti del giornalista rimanendo in silenzio con quell’aria sospesa e leggera «Uh salutami Jason, digli che lo intreccio la prossima volta che lo vedo, anzidiglichelofaraitealpostomio» tutto d’un fiato mentre l’altra si allontana e lei si appresta a prendere il suo posto di fianco a Barnes «Fantasma del Natale passato, presente o futuro?» una domanda che lascia lì, vacua, come non volesse in fondo indagare nulla, senza senso
Malcolm: Non aveva fretta di presentarsi nei riguardi di Abbie tanto quanto non reputava urgente conoscere le sue generalità, ma dato che lei lo fa presente, il giornalista ricambia attenendosi all’impeccabile quanto distaccata educazione che lo caratterizza. Si volta e pur con un momento di esitazione ricambia la stretta rapidamente, senza dare l’impressione di amare così tanto il gesto comunque; <Malcolm Barnes> fa specchio col suo nome e il suo cognome. Getta solo un’occhiata fugace allo schermo del cellulare di Abbie, la cui vibrazione la induce ad allontanarsi. Non che il portamento militare e il fisico della donna lasciassero molti dubbi, ma ora la sua professione è definita meglio. Poliziotta: un altro tassello in più fra quelli che Malcolm ha già raccolto. Certamente lui è molto più taciturno di Abbie ed Emmeline; non si sa quanto volentieri ascolti gli altri. Comunque dopo che Abbie si è allontanata, restano solo Emma e Malcolm. Lui di rado ora scruta la giovane collega, resta statuario rivolto al coro sebbene lo sguardo vaghi anche su tanti altri volti. La corale conclude il canto precedente e dopo una breve pausa, mentre Emmeline pone quella domanda, annuncia e comincia un canto, un altro Christmas Carol, chiamato “All Bells in Paradise”. Ora o Malcolm non ha realmente sentito quella domanda oppure la sta evitando facendo finta di non aver ascoltato, distratto profondamente da questo Carol che risuona e che sembra sinceramente rapirlo più degli altri. Una luce indefinibile percorre i suoi occhi, mentre il volto comunque resta rigido, i lineamenti affilati e segnati dall’età aiutano a definire quell’impenetrabilità. Se Emmeline guardasse giusto un minuto dopo l’inizio di quel Carol potrebbe vedere bene che quella luce nello sguardo ora è diventata acqua negli occhi chiari e glaciali di Malcolm, le labbra sono appena più strette, segno di un animo profondamente toccato. Tanto che poi quell’acqua scivola oltre le palpebre e scende silenziosa a forma di un paio di gocce lungo le gote.
Emmeline: Il tempo scorre, lei si limita a leggere ogni cosa le capiti sotto allo sguardo pur mantenendo quella leggerezza che la farebbe apparire placidamente distratta, forse nuovamente immersa nell’ascolto o forse persa in qualche sua elucubrazione mentale. Il contatto delle mani è profondamente diverso, la mano decisa ed incisiva di Abbie e quella reticenza del giornalista che non può evitare di cogliere, un dettaglio su cui chiude gli occhi per un paio di secondi prima di tornare al viso dell’uomo rimanendovi a lungo, voltandosi solo nell’istante del cambio di brano. Il suono che scaturisce è delicato eppure pieno, di nuovo le voci che si mescolano e le varie parti che si sciolgono l’una dall’altra per poi incontrarsi di nuovo, un equilibrio di volumi tra le voci. Il silenzio le lascia il tempo per respirare, per osservare il coro e poi tornare sul viso segnato dal tempo di Malcolm andando a cogliere quell’istante così profondo, così personale su cui gli occhi della rossa si posano con una delicatezza che s’accentua fino a nasconderli per metà dietro una cortina di ciglia socchiudendo le palpebre. Scruta solo per un momento in più la consistenza delle gocce, il percorso che bagnano su una pelle non più distesa e poi, tra le pieghe di quel viso risollevando le palpebre inspirando la propria sorpresa, non l’imbarazzo di quella particolare esternazione ma l’incapacità di cogliere la motivazione di quella che le sembra un’impellenza troppo grande. Non c’è niente nel viso, il viso può rimanere fermo, immobile a mascherare ciò che gli occhi non riescono a nascondere; deglutisce a vuoto battendo le palpebre lasciando sfuggire una sorta di singulto strozzato prima di abbassare il viso nascondendolo dietro l’onda di capelli rossi che infine si raccoglie sopra al suo orecchio. Nessuna risposta, nessuna domanda ad importunarli, solo la fine delle voci lievi ed una sensibilità che lo lascia nell'intimità di quell'istante.
Malcolm: Sta poggiato al lampione e con le braccia conserte il giornalista, la mano sinistra è quella che domina l’incrocio. Se ne accorge un po’ in ritardo, ma se ne accorge di quelle poche lacrime impertinenti e, facendo prioritaria la compostezza più severa, la mano sinistra corre ad asciugarle, in un gesto veloce che vorrebbe non dare nell’occhio, inconsapevole davvero che Emmeline ha già avuto modo di vedere tutto. Non osa neanche voltarsi verso la rossa a verificare. La mancina torna a comporsi insieme alla gemella in quella postura, ma il pollice giocherella ripetitivamente con la fede al dito, mentre il Carol scorre delicato e solenne nello stesso tempo verso la fine. Quando su quello spiazzo la musica dell’organo e il canto terminano, lasciando spazio agli applausi puntuali del pubblico, il giornalista sembra tornare con i piedi per terra, abbassa appena il capo e tira leggermente su col naso, facendo finta di nulla. In ultimo istintivamente ripete quel suo gesto consueto di riassettare il nodo della cravatta, prima di tornare su Emmeline: <Una storia interessante. Quella della signora.> stringe le labbra e assente con un cenno misurato, come se il discorso fosse stato portato avanti giusto un attimo prima. <Si sono riunite tre chiese di confessioni cristiane diverse. Tutte si trovano lungo St. Charles Avenue; è una zona ricca di edifici religiosi. Un bell’esempio di ecumenismo non trova?> indaga l’opinione dell’altra a riguardo, ignaro comunque della fede di Emmeline che in linea di principio non conta molto per lui. Però si informa lo stesso: <Lei ha una qualche fede?>
Emmeline: Asciugare, respirare, tornare nella propria compostezza senza dimenticare quel dito, esattamente il pollice che stuzzica e fa scivolare l’anello attorno alla carne del dito; sente ogni cosa, la distingue dalla musica, la estrapola dai suoni di sottofondo, dapprima quasi con precisione meccanica ed asettica e poi sciogliendo tutto in un profondo respiro che le preme la stoffa della camicia contro il corpo, il libro contro il corpo, tuto il resto contro il corpo. Prendendo un nuovo respiro lascia separare le labbra tuttavia senza lasciar uscire un solo suono, un paio di labbra sospese che vengono salvate dalle considerazioni di Barnes mentre lei rimane rivolta verso il coro ed il suo pubblico lasciando la possibilità al giornalista di potersi voltare se lo volesse ed osservare un profilo lungo e dritto, una serietà placida che ricalca quel riguardo che gli ha riservato i un istante così personale. Eppure «E’per lei?» la canzone forse, o più probabilmente il pensiero, la voce è talmente sottile e fioca, una piuma che s’insinua appena nelle orecchie altrui ed il timbro profondo ma leggero da un far pesare le parole nella loro intonazione interrogativa quanto piuttosto sottolineando la delicatezza del pensiero. Ha un’accortezza ed una cura, una gentilezza tali da poter svelare una sensibilità molto più spiccata di quanto voglia far intendere, una capacità di sentire. Nel frattempo una parte di sé scivola via dalla pelle calda, ha sollevato la mano libera per infilare le dita dentro al colletto e tirare fuori un paio di giri di sottile catenina d’oro, un filo interrotto solo dalla presenza di una piccola stella di David che gli posta lasciandola poggiata sul palmo della mano aperta. Una risposta senza parole prima che torni a scioglierne alcune «Credo si possa fare molto più di così, la ricerca di un ecumenismo è quanto mai insufficiente per i tempi in cui viviamo, l’esigenza è globale e purtroppo è un’esigenza avvertita ancora da pochi. Certamente costituisce un inizio ma penso che ci sia bisogno di diffondere messaggi ancora più chiari e forti, scuotere le fondamenta di qualcosa che effettivamente non ci si è mai proposti di vedere accostati» dipana la matassa del suo pensiero con calma, perdendo lo sguardo tra le figure dei contralti.
Malcolm: <Hm?> quella domanda dapprima non la comprende, ma nell’inconscio arriva diretta e precisa. Ha bisogno solo di qualche secondo di elaborazione per rendersi evidente. Gli occhi che erano corsi su Emmeline per via di quelle considerazioni si abbassano prontamente. Colpito, dritto nel petto. Stringe le labbra e per un attimo irrigidisce il viso contraendolo appena. Torna a smuovere quella fede, prendendosi del tempo e dei respiri. <E’ per chi manca> dice poi laconico e nel mentre va a sistemarsi la cravatta, di nuovo. Ha imparato un po’ di cose negli ultimi mesi, fortunatamente per lui. Avverte con la coda dell’occhio il movimento di Emmeline che tira fuori la stella di David, segue il gesto e il suo risultato al quale piega appena un angolo delle labbra nell’equivalente di un vago sorriso di distaccata cortesia e di malinconia. Annuisce appena, come a dirle che ha compreso, poi la ascolta in silenzio e quel mezzo sorriso, fattosi più valutativo ed indagatore come lo sguardo, si mantiene. <Lei ha ragione, ma dia ad ogni cosa il suo peso Miss Bowen, ad ogni attore il giusto carico.> le risponde così, timbro graffiante e non troppo profondo; quello che vuole dirle lo lascia al discernimento della rossa, è un ammonimento calmo, accompagnato da qualche occhiata periferica e sguardi che vagano per lo più sul terreno.
Emmeline: Non smuove un solo muscolo a quell’accenno di consonante come fosse rimasta in attesa esattamente di quel suono abbassando assai lentamente le palpebre sul proprio sguardo constatando di aver formulato la giusta supposizione; non c’è alcuna soddisfazione, alcuna affermazione di quell’impalpabile consapevolezza di conoscere almeno qualcosa della natura umana, ma una dolente constatazione che in fondo sembra comprenderla in quella risposta che ha il peso che deve avere, non di più ma nulla di meno, come un dito schiacciato sopra al cuore, uno solo ma pressante come fossero centinaia. La sua gentilezza sarà soave, eppure ha la precisione chirurgica di uno sguardo clinico, qualcosa che la smuove in un brivido forse che la fa stringere un istante nelle proprie spalle. Tutte quelle parole di cui sembrava essere formata se ne sono andate, disciolte in respiri e brevi affermazioni, domande il cui significato deve essere ricercato. Di nuovo la cravatta, il nodo, un gesto che fa ruotare di riflesso la propria mano torcendo comodamente il polso, lasciando andare l’oro via dalle dita e posando i polpastrelli sulla propria cravatta in una carezza lieve e distratta finendo per sistemare l’inclinazione del fermacravatta. Infine volge il viso pallido verso di lui, non alla cortesia quanto alla malinconia posandovi un paio d’occhi ugualmente vacui «Eppure viviamo tra coloro che sono rimasti. Dovremmo dannarci? E al mondo ci sono così tanti, troppi modi per mancare. E’ un mondo fatto di assenze o… di presenze?» una questione di prospettive, taluni dicono di tempo «Ed è quella la ragione per cui ho detto che certamente costituisce un inizio»
Malcolm: Pensieri che vogliono accantonarsi, restare confinati in un momento intimo, in un gesto particolare. Malcolm scioglie l’intreccio delle braccia e le porta lungo i fianchi. Ascolta di nuovo Emmeline e le sue riflessioni che, davanti alla sua interiorità, risultano così astratte da sembrare quasi domande prive di senso. Lo lasciano senza risposte, a cercare di afferare qualcosa di inesistente in un silenzio che pesa. La guarda anche lui ma, nel suo vuoto, porta gli occhi altrove, smuovendo ancora una volta quel semplice anello. Annuisce poi all’ultima affermazione: è un minuscolo inizio, una sera soltanto, un simbolo. <Bene, Miss Bowen. Si è fatto tardi per me.> prende a congedarsi, con tutta la formalità del caso. <Le auguro un buon proseguimento> modi cortesi e distanzianti nello stesso tempo. È un tipo pragmatico, perciò dopo questa formula tendente all’evasività, se non viene trattenuto, gli basta intraprendere la sua andatura un po’ marziale lungo il vialetto. -end-
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giallofever2 · 5 years
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ilm Storici di Producione Italiana e Internazionale)
«Mi hanno chiamato pazzo; ma nessuno ancora ha potuto stabilire se la pazzia sia o non sia la più elevata forma d'intelligenza, se la maggior parte di ciò che è glorioso, se tutto ciò che è profondo non derivi da una malattia del pensiero, da umori esaltati della mente a spese dell'intelletto generale.»
(da Eleonora, 1841)
Edgar Allan Poe (Boston, 19 gennaio 1809 – Baltimora, 7 ottobre 1849) è stato uno scrittore, poeta, critico letterario, giornalista, editore e saggista statunitense.
Considerato uno dei più grandi e influenti scrittori statunitensi della storia, Poe è stato l'iniziatore del racconto poliziesco, della letteratura dell'orrore e del giallo psicologico.
Poe è considerato il primo scrittore alienato d'America, avendo dovuto lottare per buona parte della vita con problemi finanziari, l'abuso di alcolici e sostanze stupefacenti e con l'incomprensione del pubblico e della critica dell'epoca.
🇬🇧 "They called me crazy; but no one has yet been able to establish whether madness is or is not the highest form of intelligence, if most of what is glorious, if all that is profound does not derive from a sickness of thought, from exalted moods of the mind at the expense of the general intellect. "
(From Eleonora" short story 1842)
🇬🇧 Edgar Allan Poe (born Edgar Poe; January 19, 1809 – October 7, 1849) was an American writer, editor, and literary critic.
Poe is best known for his poetry and short stories, particularly his tales of mystery and the macabre. He is widely regarded as a central figure of Romanticism in the United States and of American literature as a whole, and he was one of the country's earliest practitioners of the short story. He is generally considered the inventor of the detective fiction genre and is further credited with contributing to the emerging genre of science fiction.
He was the first well-known American writer to earn a living through writing alone, resulting in a financially difficult life and career.
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giallofever2 · 5 years
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