Tumgik
#ma lo sanno che non esiste solo il bianco o il nero?
fiumedivita · 8 months
Text
Il momento surreale quando realizzi che i La Sad sono stati quelli più colorati fino ad ora
17 notes · View notes
Text
Tumblr media
Non sono per tutti, lo sai pure tu quanto io sia complicata. Ho un casino in testa e aspetto qualcuno che metta tutto in ordine. Sono così: un momento piango e l’altro rido, non riesco ad essere sempre la stessa, ho bisogno di cambiare, sempre. Odio la monotonia, mi annoio facilmente. Amo chi mi stravolge la vita, chi esce fuori dall’ordinario, chi sfida l’irrealizzabile e vince. Amo chi riesce a prendere il peggio di me e lo trasforma in meglio, chi non si fa mille pensieri a dirmi quanto sia impossibile e insopportabile ma allo stesso tempo quanto sia tanta bellezza messa insieme. Sono così testarda, vivo nei miei pensieri e non cambio idea facilmente, resto nelle mie cose anche sbagliate, ma ci credo fino all’ultimo istante. Amo l’imperfezione e mi ci perdo dentro, non riesco a trovare bellezza in qualcosa di completo e perfetto, ma mi affascinano i dettagli che nessuno nota e i difetti che nessuno ama, quelli che sanno di diversità in questo mondo dove tutti imitano e sono tutti così uguali. Sono tanto lunatica che ti prenderei a schiaffi e il momento dopo ti bacerei i graffi, ti manderei via e poi ti urlerei che mi manchi. Mi fai uscire di testa e poi ci entri dentro tu. Con me è tutto un ti odio e un ti amo, ma un ti amo te l’ho detto mai? Non dico mai quello che penso, aspetto che gli altri mi entrino in testa e invadino il mio disordine mentale. Non dico più di cento parole ma per te scriverei mille libri, non parlo molto sai ma con te mi sciolgo e ti racconterei per ore tutto ciò che mi passa per il cuore finché non ti bacerei per essere rimasto ad ascoltare. Sono così timida e insicura e non sai quanto dentro di me mi senta debole, vorrei uscirne fuori e non farmi mille drammi per qualunque cosa, evitare di farmi tanti film mentali e iniziare a fare qualcosa di concreto. Ma qualcosa dentro me mi ferma. Ho tante paranoie ma poi ci penso su e me ne sbatto pure il cazzo, che non ne vale la pena e dovrei vivere di più. Vorrei smetterla di innamorarmi ma è più forte di me, più forte di te, superi tutto, vai oltre. Dovrei smetterla di metterci me stessa in ogni cosa e provare ad amare di meno, ma sono così o amo forte o non amo. Sono tutta testa e tutta cuore, con me non ci sono vie di mezzo, se mi arrabbio, con me impazzisci, ma se ti amo, ne esci completamente fuori di testa. Non do niente per scontato, ci vedo amore nelle parole o nei gesti ma non ci credo finché non mi apri gli occhi e gridi che mi ami perché ci vedo sfocato e tu rendi tutto più vivido, perché non mi sento abbastanza neanche se me lo urli contro, neanche se mi dai mille motivi per amarmi. Sono bianco e nero, con me non esiste il grigio. Tu eri sempre d’umore nero ma amavo dipingerti le giornate d’arcobaleno. Sono tutto e niente, potrei darti ogni millimetro del mio corpo e della mia mente oppure lasciarti morire nell’illusione di avermi conosciuta davvero. Non mi apro a nessuno, non c’è nessuna chiave, solo muri da scavalcare ma se vuoi, li scavalchiamo insieme.
4 notes · View notes
Text
Tumblr media
Abbiate paura dell'amore, perché non segue le regole, non guarda in faccia a nessuno e se ne frega se siate pronti o no, non le interessa se avete l'ombrello aperto per ripararvi da questo diluvio che tutto inonda e porta via qualsiasi sicurezza vi siate posti.
Vi sveglierà di notte per ricordarvi di chi non avete al fianco e vi porterà da quella persona persino a piedi scalzi, perché il vero amore è silenzioso e non disturba chi ancora non l'ha provato, in fondo è solo vostro e non dev'essere condiviso con nessun altro.
Non gliene frega niente neppure del vostro vestito, l'amore non è una moda per apparire, ma è trovare quell'anima che calza a pennello, dove non stringe e non sta nemmeno largo, è esattamente della giusta misura che coglie la forza di un pugno colmo di sapore appoggiato alle proprie labbra, pronto a dischiudersi per ritrovare quell'immagine che ripetutamente martella in testa.
Abbiate paura dell'amore, perché lei arriva e caccia via i vostri pregiudizi, come una bussola impazzita riunisce tutti i punti cardinali, gira veloce vorticosamente e fa impazzire chi si imbatte in essa. Eppure prova più follia chi ne rimane solo a guardare e non entra in questo vortice, forse perché in fondo solo i matti sanno perdere la ragione per vivere un'emozione senza paura di cadere nel baratro, nel tunnel di un sorriso che eleva alle stelle.
Pazzi sono quelli che amano colori diversi, che si fondono in un mondo parallelo che si convergono nel piacere più blasfemo e controverso, ma sono quelli che amano davvero e smettono di credere ad un filo creato da chi non vede lontano un palmo dal naso. L'amore nasce, percorre strade ancora sconosciute dall'essere o per di più le rinnega, lei le percorre e fa nascere quei fiori che spesso vengono calpestati.
Abbiate davvero paura dell'amore, perché davvero non guarda in faccia nessuno, è l'amore più strano è quello più bello, quando nessuno lo vuole e lei invece vuole esserci a tutti i costi, come una cascata che va al contrario, come un senso mai sentito, è lì invece che trova la sua forza.
Non vergognatevi e non ripudiate l'amore, quando si innalza fra qualcosa che voi vedete diverso, il cuore non sente ragione e le bocche si devono cercare, quando due mani si prendono in due non si cade, l'amore arriva e travolge, non esiste coppia perfetta per tutti, l'uomo può amare l'uomo e la donna può fare altrettanto, questa vostra fobia buttatela assieme ai vostri rifiuti.
Voi che siete così regolari, abbiate davvero paura dell'amore, perché vi sconvolgerà e vi lascerà senza fiato, e sarebbe anche bello se vi lasciasse senza parole. Aggrappatevi alle nuvole e lasciatevi trascinare, questo sentimento con la maiuscola prima o poi vi farà ricredere, sappiate che l'amore non è bianco o nero, ma contiene tutti i colori dell'arcobaleno e da quello aggrappatevi e iniziate a vivere, ma specialmente lasciate vivere chi al posto vostro non ha paura dell'amore.
Andrea Talignani scrittore
6 notes · View notes
martymartinellii · 4 years
Text
Non sono per tutti, lo sai pure tu quanto io sia complicata. Ho un casino in testa e aspetto qualcuno che metta tutto in ordine. Sono così: un momento piango e l’altro rido, non riesco ad essere sempre la stessa, ho bisogno di cambiare, sempre. Odio la monotonia, mi annoio facilmente. Amo chi mi stravolge la vita, chi esce fuori dall’ordinario, chi sfida l’irrealizzabile e vince. Amo chi riesce a prendere il peggio di me e lo trasforma in meglio, chi non si fa mille pensieri a dirmi quanto sia impossibile e insopportabile ma allo stesso tempo quanto sia tanta bellezza messa insieme. Sono così testarda, vivo nei miei pensieri e non cambio idea facilmente, resto nelle mie cose anche sbagliate, ma ci credo fino all’ultimo istante. Amo l’imperfezione e mi ci perdo dentro, non riesco a trovare bellezza in qualcosa di completo e perfetto, ma mi affascinano i dettagli che nessuno nota e i difetti che nessuno ama, quelli che sanno di diversità in questo mondo dove tutti imitano e sono tutti così uguali. Sono tanto lunatica che ti prenderei a schiaffi e il momento dopo ti bacerei i graffi, ti manderei via e poi ti urlerei che mi manchi. Mi fai uscire di testa e poi ci entri dentro tu. Con me è tutto un ti odio e un ti amo, ma un ti amo te l’ho detto mai? Non dico mai quello che penso, aspetto che gli altri mi entrino in testa e invadino il mio disordine mentale. Non dico più di cento parole ma per te scriverei mille libri, non parlo molto sai ma con te mi sciolgo e ti racconterei per ore tutto ciò che mi passa per il cuore finché non ti bacerei per essere rimasto ad ascoltare. Sono così timida e insicura e non sai quanto dentro di me mi senta debole, vorrei uscirne fuori e non farmi mille drammi per qualunque cosa, evitare di farmi tanti film mentali e iniziare a fare qualcosa di concreto. Ma qualcosa dentro me mi ferma. Ho tante paranoie ma poi ci penso su e me ne sbatto pure il cazzo, che non ne vale la pena e dovrei vivere di più. Vorrei smetterla di innamorarmi ma è più forte di me, più forte di te, superi tutto, vai oltre. Dovrei smetterla di metterci me stessa in ogni cosa e provare ad amare di meno, ma sono così o amo forte o non amo. Sono tutta testa e tutta cuore, con me non ci sono vie di mezzo, se mi arrabbio, con me impazzisci, ma se ti amo, ne esci completamente fuori di testa. Non do niente per scontato, ci vedo amore nelle parole o nei gesti ma non ci credo finché non mi apri gli occhi e gridi che mi ami perché ci vedo sfocato e tu rendi tutto più vivido, perché non mi sento abbastanza neanche se me lo urli contro, neanche se mi dai mille motivi per amarmi. Sono bianco e nero, con me non esiste il grigio. Tu eri sempre d’umore nero ma amavo dipingerti le giornate d’arcobaleno. Sono tutto e niente, potrei darti ogni millimetro del mio corpo e della mia mente oppure lasciarti morire nell’illusione di avermi conosciuta davvero. Non mi apro a nessuno, non c’è nessuna chiave, solo muri da scavalcare ma se vuoi, li scavalchiamo insieme.
6 notes · View notes
levysoft · 5 years
Link
Ci sono alcune cose il cui design é diventato talmente iconico e “simbolico” che non ci prestiamo più attenzione, e il nostro subconscio le trasforma nello “standard” e “ideale”. La Leica M, ad esempio, é diventata LA macchina fotografica nell’immaginario collettivo. La Artemide Tolomeo, LA lampada da scrivania. La biro della BIC é ben presente nella mente di tutti come LA penna a sfera per antonomasia.
Eppure, forse non tutti sanno, esiste un orologio che all’insaputa di molti si é insinuato nel subconscio della gente diventando L’orologio.
Nel 1944 un uomo chiamato Hans Hilfiker, ingegnere e designer svizzero, diede forma a quello che ancora oggi é forse il pezzo di design d’orologeria più famoso e diffuso. Il Mondaine.
Le ferrovie svizzere erano in quegli anni alla difficile ricerca di un orologio da porre in ogni stazione del Paese; il design di Hilfiker era assolutamente innovativo per l’epoca: ispirato (o meglio: illuminato) dai principi di BAUHAUS, prevedeva uno sfondo bianco, privo di distrazioni, “tacche” nere e che ispiravano rigidità. Le lancette con il loro disegno austero ma semplice e liberatorio davano l’idea di non dover mai sbagliare un minuto, il tutto finito da una lunga, rossa, squillante, perfettamente visibile, lancetta dei secondi, terminante con il “pallino” diventato un’icona in sé.
La sensazione visiva di perfezione non era solo un’illusione; al suo interno gli orologi contenevano un meccanismo elettronico estremamente avanzato. Tornando sul quadrante e osservando con attenzione si può notare che i secondi segnati in nero sono solo 58 sui 360° dell’orologio, anziché i soliti 60 che ci si potrebbe aspettare da un qualsiasi orologio. Questo é dovuto al fatto che la lunga lancetta rossa si ferma per due secondi al termine di ogni minuto nel punto più alto dell’orologio, dando l’illusione che il tempo si sia fermato; la lancetta dei minuti avanza così di un passo con una scarica elettrica e la lancetta rossa può proseguire con un altro ciclo.
Questo meccanismo rivoluzionario chiamato Stop2Go ha permesso alla Società delle Ferrovie Svizzere di migliorare incredibilmente la precisione dei propri treni, che partivano “spaccando il minuto”. La leggenda narra che sia proprio grazie a questo innovativo meccanismo che sia entrato nel gergo comune il detto “preciso come un treno svizzero”. Sicuramente leggenda é diventato il design di Hans Hilfiker.
Nel 1986 la Mondaine inizia a produrre orologi da polso con lo stesso design, rendendolo ancora più famoso e distribuito. Oggi orologi Mondaine sono esposti nei musei del MOMA, nei Guggenheim, e soprattutto in ogni stazione ferroviaria svizzera, nella Gare de l’Est a Parigi, nella stazione centrale di Bruxelles, oltre che in Leicester Square a Londra e nei centri cittadini di Basilea e Zurigo.
1 note · View note
crypstals · 5 years
Text
Non sono per tutti, lo sai pure tu quanto io sia complicata. Ho un casino in testa e aspetto qualcuno che metta tutto in ordine. Sono così: un momento piango e l’altro rido, non riesco ad essere sempre la stessa, ho bisogno di cambiare, sempre. Odio la monotonia, mi annoio facilmente. Amo chi mi stravolge la vita, chi esce fuori dall’ordinario, chi sfida l’irrealizzabile e vince. Amo chi riesce a prendere il peggio di me e lo trasforma in meglio, chi non si fa mille pensieri a dirmi quanto sia impossibile e insopportabile ma allo stesso tempo quanto sia tanta bellezza messa insieme. Sono così testarda, vivo nei miei pensieri e non cambio idea facilmente, resto nelle mie cose anche sbagliate, ma ci credo fino all’ultimo istante. Amo l’imperfezione e mi ci perdo dentro, non riesco a trovare bellezza in qualcosa di completo e perfetto, ma mi affascinano i dettagli che nessuno nota e i difetti che nessuno ama, quelli che sanno di diversità in questo mondo dove tutti imitano e sono tutti così uguali. Sono tanto lunatica che ti prenderei a schiaffi e il momento dopo ti bacerei i graffi, ti manderei via e poi ti urlerei che mi manchi. Mi fai uscire di testa e poi ci entri dentro tu. Con me è tutto un ti odio e un ti amo, ma un ti amo te l’ho detto mai? Non dico mai quello che penso, aspetto che gli altri mi entrino in testa e invadino il mio disordine mentale. Non dico più di cento parole ma per te scriverei mille libri, non parlo molto sai ma con te mi sciolgo e ti racconterei per ore tutto ciò che mi passa per il cuore finché non ti bacerei per essere rimasto ad ascoltare. Sono così timida e insicura e non sai quanto dentro di me mi senta debole, vorrei uscirne fuori e non farmi mille drammi per qualunque cosa, evitare di farmi tanti film mentali e iniziare a fare qualcosa di concreto. Ma qualcosa dentro me mi ferma. Ho tante paranoie ma poi ci penso su e me ne sbatto pure il cazzo, che non ne vale la pena e dovrei vivere di più. Vorrei smetterla di innamorarmi ma è più forte di me, più forte di te, superi tutto, vai oltre. Dovrei smetterla di metterci me stessa in ogni cosa e provare ad amare di meno, ma sono così o amo forte o non amo. Sono tutta testa e tutta cuore, con me non ci sono vie di mezzo, se mi arrabbio, con me impazzisci, ma se ti amo, ne esci completamente fuori di testa. Non do niente per scontato, ci vedo amore nelle parole o nei gesti ma non ci credo finché non mi apri gli occhi e gridi che mi ami perché ci vedo sfocato e tu rendi tutto più vivido, perché non mi sento abbastanza neanche se me lo urli contro, neanche se mi dai mille motivi per amarmi. Sono bianco e nero, con me non esiste il grigio. Tu eri sempre d’umore nero ma amavo dipingerti le giornate d’arcobaleno. Sono tutto e niente, potrei darti ogni millimetro del mio corpo e della mia mente oppure lasciarti morire nell’illusione di avermi conosciuta davvero. Non mi apro a nessuno, non c’è nessuna chiave, solo muri da scavalcare ma se vuoi, li scavalchiamo insieme.
4 notes · View notes
paoloxl · 5 years
Photo
Tumblr media
(via La drammatica situazione di SAMOS 2500 MIGRANTI in un hotspot da 700 | VENTO RIBELLE)
Hotspot significa letteralmente “punto caldo”. Il termine è utilizzato negli ultimi mesi per indicare le zone dell’Europa meridionale che si trovano in prima linea nella gestione dei flussi migratori. Gli hotspot (ne avevamo parlato qui) dovrebbero essere centri di identificazione, primo step di un percorso che porta un migrante, nei due casi estremi, all’ottenimento del permesso di soggiorno o all’espulsione. L’hotspot di Samos. È certamente calda (tragica, meglio) la situazione di Samos, isola greca che si trova a pochi chilometri dalla costa turca: i flussi di arrivo sono iniziati nel 2006 e continuano, i profughi sono principalmente siriani che scappano dalla guerra. A parlarne è Nicolò Govoni, giornalista italiano impegnato da qualche mese come operatore sull’isola: «Il campo di Samos è stato pensato per accogliere 700 persone; attualmente ne sono presenti 2500, di cui 760 bambini». I profughi dormono in tende, che però non sono sufficienti: molti sono costretti a passare la notte fuori, all’addiaccio. I bambini non possono andare a scuola e c’è tanta violenza, esercitata sia dalle autorità greche che dai migranti stessi. A Samos lavorano alcune ONG che tentano, per quanto possibile, di migliorare le cose. La denuncia di Govoni. La denuncia arriva via Facebook: «Se l’inferno esiste, deve essere simile a questo posto», racconta Nicolò in uno dei tanti video-denuncia pubblicati sulla sua pagina Facebook. Nicolò ha passato quattro anni in India, dove ha vissuto facendo il volontario in un orfanatrofio, ha studiato giornalismo e ha collaborato con alcune delle più importanti testate internazionali; «In India pensavo di aver visto il peggio. Non era così». Nicolò si occupa soprattutto dei minori presenti nel campo: «Questo ambiente li danneggia ogni giorno un po’ di più» racconta «e io ce la metto tutta per spiegare loro che questa non è la vita normale. La normalità è un’altra cosa». Govoni si inventa attività per i piccoli, soccorre chi ha bisogno, organizza lezioni di scuola improvvisate. I bambini nel campo.  «I bambini che sono qui hanno subìto traumi inimmaginabili e questo campo non è adatto a loro. Qualche giorno fa due si sono messi a litigare, all’improvviso uno ha colpito il labbro dell’altro, con violenza, facendolo sanguinare. Ci sono rimasto: sono atti che non si addicono ai piccoli. Loro sono estremamente affettuosi ma la tensione generale li fa diventare ciechi. Questo luogo li sta sfregiando». Nel campo c’è anche una sezione speciale per i minori non accompagnati, che dovrebbe essere una zona protetta. Non è così: capita che di notte le porte vengano lasciate aperte. Alcuni adulti entrano per sfogarsi: spaccano finestre, urlano. A volte arriva la polizia che tenta di controllare la situazione con la violenza. Alcuni bambini preferiscono dormire fuori dal campo, nel porto dell’isola. Nicolò sta lanciando un appello ai giornalisti italiani e agli attivisti per i diritti umani: la situazione, a Samos, deve cambiare. Il caos nel campo. Vedere una via d’uscita, però, è difficile. Il governo greco, racconta Nicolò, sta cacciando le associazioni che operano all’interno del campo per evitare scandali e azioni di denuncia. La permanenza in un hotspot dovrebbe essere temporanea, giusto un paio di giorni, il tempo necessario all’identificazione del migrante. Attualmente a Samos i profughi si fermano per un periodo che va da quattro a sei mesi. La situazione è destinata a precipitare nel caos, per tre ragioni: «Non c’è acqua. I rubinetti del campo chiudono a mezzogiorno, dopo quell’ora ne rimane uno solo per 2500 persone che devono cucinare, bere e lavarsi. Il secondo fattore è il tempo: fa sempre più freddo. La gente dorme fuori e non ci sono abbastanza coperte; l’UNCHR dovrebbe distribuire il materiale necessario ma c’è ritardo nelle consegne. Quando inizieranno le piogge le tende si riempiranno di acqua e la gente inizierà ad ammalarsi». L’ arrivo dell’inverno sembra essere il problema più grosso. «Il terzo fattore è la gestione del campo. Gli impiegati che gestiscono le identificazioni non vengono pagati da quattro mesi, il meccanismo è rallentato. Per questo è molta più la gente che arriva rispetto a quella che se ne va». Nicolò legge la disperazione negli occhi dei profughi, la sua voce è severa: «Se la situazione va avanti in questo modo, la gente morirà». Questa è la situazione peggiore in cui il campo di Samos si sia mai trovato. Sono iniziate le piogge, e presto centinaia di persone rimarranno senza un posto in cui dormire. Dobbiamo agire, adesso. Le drammatiche storie dal campo. Nel campo c’è chi fa finta che vada tutto bene: «Ho sentito la conversazione al telefono tra un ragazzo e sua mamma. Lui le dice che qua è tutto perfetto. Non vuole deluderla perché lei si è indebitata per farlo scappare dal conflitto». Nicolò ha partecipato anche alle prime azioni di accoglienza che seguono lo sbarco: «Tra le persone appena sbarcate c’era questa famiglia con un bambino chiaramente disabile che non riusciva a muovere le gambe, ho dovuto mettergli io le scarpe. Siamo le prime facce amichevoli che vedono da sei o sette mesi. Tutti mi chiedono informazioni: per loro l’Europa è un gigantesco posto spaventoso, di cui non sanno nulla. Mi chiedono se avranno una cabina, se avranno una coperta. L’unica cosa che posso fare è dire che non lo so. Ed è vero: nessuno qui sa niente». Ma, come in tutte le situazioni, non c’è una verità assoluta. Il bianco e il nero, il buono e il cattivo non sono definibili con certezza. Nicolò racconta che le violenze avvengono anche tra rifugiati e non nasconde i risvolti scomodi della situazione: «Ci sono persone che faranno fatica a integrarsi perché hanno una mentalità e una cultura completamente diversa dalla nostra; c’è anche chi ha subito traumi talmente grossi da aver perso la capacità di stare un contesto sociale. Ma queste persone sono solo una piccolissima percentuale di quelle presenti nel campo». Nicolò lavora in prima linea, il suo compito è difficile, fisicamente ed emotivamente, ma niente elimina la sua determinazione: «Ogni giorno mi sento più consapevole, più forte, più incazzato. Un ragazzo mi ha detto che siamo l’unica scintilla di speranza nella sua vita. Ogni essere umano si merita di essere trattato in un modo diverso da questo». La soluzione esiste. Sta di fatto che oggi, a Samos, nel bel mezzo dell’Europa, i diritti fondamentali sono calpestati. L’accordo che lo scorso marzo è stato siglato con la Turchia avrebbe dovuto risolvere la situazione ma, evidentemente, la cosa non ha funzionato nel modo giusto. Esiste una soluzione? Sì, un modo ci sarebbe: si chiama “collaborazione europea” e non dovrebbe essere una novità. L’articolo 67 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea parla chiaro: «[L’Unione] sviluppa una politica comune in materia di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere esterne, fondata sulla solidarietà tra Stati membri». Una solidarietà che dovrebbe palesarsi con un impegno comune nella gestione del fenomeno migratorio, con un controllo congiunto delle frontiere e con una ripartizione equilibrata dei migranti tra i vari paesi. Ma questa condivisione di responsabilità, purtroppo, ancora non si è realizzata. E a Samos se ne possono toccare le tristi conseguenze.
1 note · View note
mariaasugar · 6 years
Text
Non sono per tutti, lo sai pure tu quanto io sia complicata. Ho un casino in testa e aspetto qualcuno che metta tutto in ordine. Sono così: un momento piango e l’altro rido, non riesco ad essere sempre la stessa, ho bisogno di cambiare, sempre. Odio la monotonia, mi annoio facilmente. Amo chi mi stravolge la vita, chi esce fuori dall’ordinario, chi sfida l’irrealizzabile e vince. Amo chi riesce a prendere il peggio di me e lo trasforma in meglio, chi non si fa mille pensieri a dirmi quanto sia impossibile e insopportabile ma allo stesso tempo quanto sia tanta bellezza messa insieme. Sono così testarda, vivo nei miei pensieri e non cambio idea facilmente, resto nelle mie cose anche sbagliate, ma ci credo fino all’ultimo istante. Amo l’imperfezione e mi ci perdo dentro, non riesco a trovare bellezza in qualcosa di completo e perfetto, ma mi affascinano i dettagli che nessuno nota e i difetti che nessuno ama, quelli che sanno di diversità in questo mondo dove tutti imitano e sono tutti così uguali. Sono tanto lunatica che ti prenderei a schiaffi e il momento dopo ti bacerei i graffi, ti manderei via e poi ti urlerei che mi manchi. Mi fai uscire di testa e poi ci entri dentro tu. Con me è tutto un ti odio e un ti amo, ma un ti amo te l’ho detto mai? Dico sempre quello che penso, aspetto che gli altri mi entrino in testa e invadino il mio disordine mentale. Non dico più di cento parole ma per te scriverei mille libri, non parlo molto sai ma con te mi sciolgo e ti racconterei per ore tutto ciò che mi passa per il cuore finché non ti bacerei per essere rimasto ad ascoltare. Sono così timida e insicura e non sai quanto dentro di me mi senta debole, vorrei uscirne fuori e non farmi mille drammi per qualunque cosa, evitare di farmi tanti film mentali e iniziare a fare qualcosa di concreto. Ma qualcosa dentro me mi ferma. Ho tante paranoie ma poi ci penso su e me ne sbatto pure il cazzo, che non ne vale la pena e dovrei vivere di più. Vorrei smetterla di innamorarmi ma è più forte di me, più forte di te, superi tutto, vai oltre. Dovrei smetterla di metterci me stessa in ogni cosa e provare ad amare di meno, ma sono così o amo forte o non amo. Sono tutta testa e tutta cuore, con me non ci sono vie di mezzo, se mi arrabbio, con me impazzisci, ma se ti amo, ne esci completamente fuori di testa. Non do niente per scontato, ci vedo amore nelle parole o nei gesti ma non ci credo finché non mi apri gli occhi e gridi che mi ami perché ci vedo sfocato e tu rendi tutto più vivido, perché non mi sento abbastanza neanche se me lo urli contro, neanche se mi dai mille motivi per amarmi. Sono bianco e nero, con me non esiste il grigio. Tu eri sempre d’umore nero ma amavo dipingerti le giornate d’arcobaleno. Sono tutto e niente, potrei darti ogni millimetro del mio corpo e della mia mente oppure lasciarti morire nell’illusione di avermi conosciuta davvero. Non mi apro a nessuno, non c’è nessuna chiave, solo muri da scavalcare ma se vuoi, li scavalchiamo insieme.
1 note · View note
ilarywilson · 6 years
Text
Tumblr media
Lunghe onde le ricadono sulle spalle, fili di grano dorati mossi da un vento costante che spettina trecce, parole e sorrisi lasciando una dolce scia al profumo di camomilla. Due acquamarine azzurre e luminose compongono uno sguardo curioso e impertinente, che solo di recente ha imparato a farsi più discreto in virtù d’una osservazione attenta e minuziosa che non sempre richiede d’esser interrotta da certi discorsi. Il passo tintinna ancora di un’innocenza quasi bambina, che s’attenua solo sotto lo sguardo attento di chi è in grado di trapassare i colori, l’allegria e l’ironia di cui ama vestirsi per far dispetto al grigiore di Londra e poter svoltare anche gli angoli più bui senza rischio di inciampare nelle proprie paure. I sorrisi genuini ed esagerati sanno velarsi di leggera malizia o pungente ironia permettendole di dire qualsiasi cosa. Anche la verità. Ingenua e spassionatamente sincera per scelta, è bene non lasciarsi ingannare dalla fiducia che ha scelto di riporre nei confronti del mondo perché, quando neccessario, è in grado di sfoderare un sarcasmo tagliente e un’istinto protettivo che non guarda in faccia (quasi) nessuno nel tentativo di serrare con forza le unghie attorno a ciò che è troppo prezioso per essere perduto nell’ipocrita tentativo di rispettare quell’apparenza angelica e buona che la circonda come un’aura: colorata d'un giallo tiepido e luminoso. 
Tumblr media
Godric le ha imposto orgoglio e testardaggine, ma lei a volte preferisce disilludere entrambi in favore della determinazione e della perserveranza gentile e (non) sempre paziente di Tosca, cui la modestia l’avvicina sempre troppo. La salda morale che le è valsa il soprannome di Coscienza ai tempi della scuola, è ora più un ideale a cui tendere che non qualcosa di cui farsi vanto. Dubita ormai sempre più spesso che il confine tra giusto e sbagliato sia così netto come lei se l’era sempre raccontato. S’è sistemata, in punta di piedi e più silenziosa di quanto non desse a vedere, fra l’illusoria credenza che il mondo sia sempre uno splendido posto arcobaleno e il cinico realismo di chi, per paura, vuol credere che gli arcobaleni siano solo chimere e il mondo un triste dipinto in bianco e nero. Esiste una sfumatura, lì nel mezzo, che si chiama coraggio d’essere ottimisti, pur senza rinunciare alla consapevolezza che il Caso possa metterci il suo gramo zampino e fregare la pioggia che, senza sole, non vedrà mai l’arcobaleno. Perché il Gramo non fa sconti, neppure ad Harry Potter ma alla fine premierà sempre lo sbaglio commesso dall’irruenza del Gifondoro, ammesso dalla modestia del Tassorosso e divenuto apprendimento per la fervida mente del Cornovero. La consapevolezza che la vita sia un’alternarsi inevitabile di questi momenti fa la fortuna del Serpeverde che s’arrende, sereno, all’umana natura dell’errare. E che se ne approfitta. Ma, come direbbe Illy, Diversity Matters. Crescendo ha tirato fuori un equilibrio inaspettato che forse c'era sempre stato, anche se lei continuava ad inciampare nello scalino svanitore che portava al quinto piano.
Tumblr media
«Sei un'inguaribile romantica anche se sei testarda. Ma se qualcuno ti sa prendere distruggeresti il mondo, per lui. Sei altruista e sei dolce, anche se lo nascondi per orgoglio e per non farti mettere i piedi in testa. Tante volte sei stata coraggiosa per non spaventarmi; è una delle tue caratteristiche più nobili.»
4 notes · View notes
armsashelter · 7 years
Quote
Dicono alcuni che L'amore ci frega, che siamo disposti a tutto pur di sentire le tipiche farfalle nello stomaco, che ne facciamo il centro del nostro vivere, che è la nostra priorità e la nostra costante, nonostante chi ce lo da è sempre una variabile. Dicono altri che l'amore non è nulla, una squallida illusione che ci culla e poi quando ti sveglia con uno schiaffo in viso, apri gli occhi e ti ritrovi senza terreno sotto ai piedi, e sei vuoto, cavo, senza forza e colore. Dicono ancora che l'amore ci condanna, ci rende dannati e peccatori, ci uccide e ci annienta, facendoci comportare come suoi schiavi perché nulla possiamo contro di esso, innumerevoli burattini sparsi per il mondo. Dicono poi che lo si può nascondere nelle nostre stanze buie, dentro di noi, ma non lo si può reprimere. Non lo si può schiacciare come si fcon i vestiti quando non entrano nel cassetto, diventano senza spessore e sembra quasi che non esistano. Dicono che più lo pressi e più ti scalfisce il cuore, più lo spingi per rimpicciolirlo e più si infila in te e non ne esce più. E tu, che volevo sfilarlo con l'ago, impercettibile, ti ritrovi a cucirlo all'infinito senza che i tuoi sensi te l'abbiano comandato. Dicono pure che l'amore è il motore che muove il mondo, l'antidoto e la cura di se stesso, l'antidolorifico per il mal di vita e per il mal di vivere. Dicono ancora che l'amore può tutto, che è una forza generatrice senza eguali che possono disintegrarla, neanche la più spietata e la più maligna può: la morte. Dicono che se hai l'amore hai tutto, sei completo, hai senso e hai il mondo tra le tue mani. Puoi sentirti il re del mondo, il padrone dell'universo, il dio dei cieli, l'uomo o la donna più fortunati della terra e che niente potrà mai cambiare ciò, nessuno potrà strapparti il destino che ti si è appiccato addosso, scelto da chi sa chi in chissà dove e chissà perché. E sai cosa dicono pure? Che l'amore ha tante strade che conducono a traguardi e sensazioni diverse, tanti colori che mescolati ti rendono ciò che sei, tante radici che ti rendono rigoglioso, tanti raggi che portano luce, tante pagine che compongono libri differenti, con finali e trame opposte tra di loro. Dicono che non esiste un solo concetto universale, perché così come esistono miliardi di anime sulla terra e chissà quante al di fuori, parallelamente esistono miliardi di definizione di amore. Miliardi di sfumature, miliardi di radici e di pagine, di strade e di raggi, di soli, di finali e di colori. E non è meraviglioso così? Come sarebbe noioso se a questo sostantivo si riducesse un misero significato, condiviso da tante teste tutte uguali, senza cuori, perché sarebbe solo una a battere. Ed invece, dicono che l'amore è...è. Infinito. L'amore è...mare, onde. senza inizio e senza fine. L'amore è e basta. Senza punto, solo punto e virgola senza limiti da sorpassare, e se pure ci fossero andrebbero cancellati. L'amore è tutto e niente assieme. L'amore è bianco e nero allo stesso rapporto, è vederci ed essere cechi. È opaco e trasparente. È salvarsi ed annegare, l'inizio della fine e la fine dell'inizio. L'amore è così tante parole che alla fine non ne è davvero nessuna. "Di cosa è fatto?" "Di corpo, di carne e di un cuore che pulsa. Un cuore vicino al tuo, sincronizzato sulla stessa frequenza cardiaca. Mezzo battito tuo, mezzo battito suo. Un battito vostro. Due mani che si sfiorano e non si vedono. Due anime affini che si cercano e si trovano, e si perdono all'angolo del mondo. Ma l'angolo non esiste. Come te, come l'amore. Come tutto ciò che porta il tuo nome, tutto ciò che contamini, che contagi. Nulla ha vita, nulla ha respiro. Tu, tu si, Ed anche io. Un oceano a coprirne il rumore, ed ho finito con l'inventarlo. Lento, cadenzato, ritmico. Mi accontento, come sempre, come mi accontento di me stessa. Mi accontento non di te che mi fai traboccare, che sei i passi che i miei piedi non riescono a compiere. Mi accontento delle ombre che sento addosso, della tua, del tuo respiro catturato in pochi minuti attraverso un apparecchio. E niente è più curativo, come un balsamo sulle ferite e sui lividi. Lenisci tutto, lenisci gli urti. Lenisci la vita. L'amore, te l'ho mai scritto che sei tu? Oh si, l'ho sempre fatto stupidamente, come mi rendi tu. Stupida e insulsa, piena e...giusta? Si. Ma non nel senso che tu sei l'incarnazione della parola, no. Perché diamine, non lo sei. Non posso ricondurti ad unica definizione, sei tutte quelle che cerco sul dizionario, sei più quelle che non conosco che quelle che so. E va bene così. Non sei le carezze e il sentirsi pieno che l'amore ti da, sei l'opposto. Tu sei l'opposto del mondo, anzi lo siamo. Non anzi non sei l'amore, no. Quello ha le farfalle calme e magiche, e tu invece hai i denti e le unghie e mi graffi e mi mordi. Eppure io mi aggrappo a tutto quello, mi appendo al pugnale che mi ficchi ogni giorno e poi mi estrai lentamente non so se per farmi ancora più male o se per farmi sentire meno dolore. Ma se per assaporarti, potrei solamente farmi accoltellare dolcemente da te, lo farei chiudendo gli occhi e fingendo che mi stai sfiorando sorridendo, che è dolce tutto quello e che mi cura invece di uccidermi. Si, dai, per la maggior parte lo sei. Un amore disastroso che mi porta alla deriva, che mi segue come un fantasma e che mi abita senza fine. Le stanze e le porte, le finestre sono sempre aperte. Eppure, dentro di me so che anche se avessi serrato tutto, tu saresti entrato comunque. Spazzato via ogni catena ed ogni chiave, ogni porta blindata. Senza cercarmi, mi hai già trovato. Giorni in cui provo a demolire tutto, giorni in cui costruisco mura per non farti più scappar via, Ma come fai a dissolverti da un momento all'altro se sei dentro le mie vene? Nel mio nome, nella mia storia, nel mio essere. Nei miei secondi, nelle scelte che prendo e quelle che non decido. Nel dolore e nella gioia, nei sorrisi che sanno sempre un po' di te. Sei ovunque eppure non qui, ti sento in ogni luogo, dove luogo non esiste sei. Allora, dimmi, potresti mai andare via da un posto che non c'è? Che non vedi? Che non percepisci? Potresti mai fuggire? Potrei mai fuggire io? Non ho scelta, tu non lo permetteresti. Ma se ne avessi l'opportunità, lo farei? Forse si, o forse no. Forse andrei via, correndo forte e poi ritornerei da te riprendendoti, riprendendoci. Ma noi, non tu ed io singoli, saremo intatti allo stesso modo, senza essere scalfiti. Perché potrei anche non averti mai conosciuto, potresti anche non essere mai esistito, o potrei anche non averlo fatto io, ma in qualche dannato e malvagio modo, ci saremmo sempre trovati. Ti avrei sempre trovato, senza volerti ma volendoti fortemente. Si tratta di percorsi irrazionali, che non hanno basi, o spiegazioni, nascono dal nulla e finiscono nel niente, ma in tutto quel tempo sono stati il tutto nel niente, come te che sei l'infinito nel niente di una vita breve e confinata. Ma non esistono confini per me, per te, per le anime e le parole nostre, solo nostre. Sei arrivato e mai te ne andrai, mai ti lascerò, mai mi lascerei, anche quando ti rimpicciolirai nel mio cuore, avrai sempre il sorriso e le mani bambinesche e impasticciate di colore, dei tuoi colori. Quella risata che tanto mi da e tanto mi toglie, sarà il sottofondo di tutti i respiri, che sia ad alto volume o appena udibile. Tu, tu sarai sempre un nome urlato a squarciagola che solo io potrò sentire, tra il caos del mondo. Il rumore del silenzio, il silenzio tra il rumore. Solo tu sai far rumore tra i pensieri miei, ed i pensieri miei sarai sempre tu. E se il tuo essere ovunque non è il mio qui, è così che devo averti, senza possederti. È così che ti ho, senza rinchiuderti, libero come l'amore che tutti narrano. Tanti auguri all'animo da bambino che un mondo cresciuto troppo in fredda e bruciato già a metà non riesce a tenere per mano. All'innocenza di un sorriso vero, che non fa più rumore, perché si perde in quelli falsi plastificati. Ma tu, tu rimani vero. Tu rimani con me. Io rimango con te. Serva me, servabo te. 'Salvami, ti salverò.' Anche solo amandoti, ti basta?
4 notes · View notes
wereneversleep · 4 years
Text
Day 51
Oggi ti ho pensato un pochino meno, inizio ad abituarmi alla tua assenza.
Cosi è molto più facile, non posso vedere se le tue abitudini sono cambiate, se parli con qualcun’altra, non posso immaginarti sorridere dietro ad uno schermo ad una persona che non sia io.
Se qualcuno dovesse chiedermi: mi sai dire com’è iniziata, come si evoluta questa cosa tra di voi e soprattutto com’è finita? Io non saprei rispondere.
Non saprei rispondere perché non c’ho mai capito niente io di te, e neppure tu di me. Vuoi sapere perché? Non perché non te ne frega niente e fai tutto a caso blablabla, la verità è che sei troppo razionale per comprendere il mio modo di fare troppo “di pancia” ed io sono troppo impulsiva per capire il tuo ragionamento troppo negli schemi.
Ci completavamo, almeno così mi sembrava di viverla.
Io esprimo troppo le mie opinioni, i miei pensieri e le mie emozioni, tu non lo fai affatto. Io guardo i colori, tu la forma. Io ho un’idea e tu la realizzi. Io piango e tu mi asciughi le lacrime. Io sorrido e tu mi fai il broncio. Io m’illudo troppo e tu mi fai scendere subito. Io amo e vivo, tu t’interessi e sopravvivi.
Il bianco e il nero. Il sole e la luna. L’acqua e il fuoco.
Insieme avremmo creato incendi, catastrofi, ci saremmo fatti cosi tanto male; probabilmente avremmo vissuto quell’amore struggente, quell’amore travolgente, quell’amore che ci avrebbe portato ad odiarci, odiarci sul serio.
Ma anche l’odio è un sentimento, odiare significa che t’importa di quella persona. Lo dissi anche tu una volta.
Io ti odio, Stefano. Davvero, ti odio in una maniera che non credevo possibile, ti odio come non ho mai odiato nessun altro, perché m’importa così tanto di te da desiderare di chiederti qualunque cosa, ti chiederei quando ti è caduto il primo dente, ti chiederei perché di quei capelli, ti chiederei del rapporto con i tuoi genitori, ti chiederei perché non sei in grado di esprimerti su niente, ti chiederei perché ti credi in una maniera, ma poi fai in un’altra, ti chiederei perché mi hai fatto credere ti importasse e interessasse di me e alla fine hai detto il contrario, ti chiederei perché sembra tu non riesca a portare mai niente a termine e perché non riesci ad aprirti con le persone, neanche dietro ad uno schermo.
Lo sai che in fondo non siamo cosi diversi? Anch’io penso tanto, rimugino sulle cose per cosi tanto tempo che poi tendo a cambiarne le storia; anch’io non ci tengo granché ad aprirmi con gli altri, anch’io ho qualche piccolo, leggerissimo problema con il contatto umano, i rapporti sociali; anch’io voglio l’esclusiva, anch’io voglio sentirmi come vuoi sentirti tu; anch’io ho bisogno di coccole e attenzioni, ma non troppe; anch’io vorrei innamorarmi, ma ho paura dell’amore; anch’io ho il terrore di rimanere sola, anch’io non riesco a sopportare il rimbombo silenzioso della mia stanza.
Sai qual è l’unica cosa che adesso ci divide? Qual è l’unico motivo per cui io ho bisogno di scrivere di te e piangere dietro uno schermo, mentre tu ora starai parlando e sorridendo con qualcuna?
L’unica cosa che ci rende diversi adesso è che io vorrei aprimi con te e vorrei che tu ti aprissi con me, vorrei stare accoccolata sul letto vicino a te e ascoltarti mentre mi racconti della prima volta che ti sei sbucciato il ginocchio, o di quell’esame che hai fatto con quel sadico di Biagini, vorrei che fossimo nudi e che entrambi facessimo cadere questi stupidi ed altissimi muri che ci siamo costruiti col tempo, io c’ho messo di meno ad abbassarlo ovviamente, tu hai tolto solo uno o due mattoni. O magari neanche quelli.
Tu cosa vorresti? Non lo so, non me l’hai mai detto. Sicuramente, non quello che voglio io.
Ma sai che ti dico? Va bene cosi, è tutto okay. Passerà, come tutto il resto, passerà. E’ solo che mi viene da ridere: sto così di merda e neanche ti conosco, neanche ti ho mai visto, non ho mai sentito il tuo tocco sulla mia pelle, non ti ho mai visto sorridere, non le ho viste le tue fossette e non ho potuto metterci le dita dentro, non ho sentito il tuo odore, non ho toccato la tua pelle e i tuoi capelli, non ti ho sentito dire “sei una timidona” o “sei una nanetta” col tuo tono di voce, l’ho potuto solo immaginare: il tono di voce di un so tutto io saccente e irriverente. E mi viene da ridere si, perché un’altra persona c’ha provato per così tanto tempo a farmi sentire come mi sono sentita qualche settimana fa, un’altra persona ha desiderato così ardentemente quelle domande che facevo a te, un’altra persona mi avrebbe dato tutto quello che io invece volevo da te.
Ma lo volevo da te, è questo il punto. Il nocciolo della questione.
In realtà, quello che volevo me l’hai già dato: melodramma, tante e tante domande e nessuna risposta. Il mio sogno, il mio rompicapo personale.
Sarebbe stato perfetto, ma doveva esserci un’interesse anche da parte tua.
Non c’è mai stato, non hai mai prestato davvero attenzione e ho creduto di vedere delle cose che probabilmente ho solamente immaginato, ho dato peso a parole di cui tu neppure ti ricordi e ho apprezzato gesti che per te non sono mai esistiti.
Via, non è nulla, ci sono abituata. Sono sempre stata una sognatrice.
Volevo fare la scrittrice una volta, sai?
Le scrittrici immaginano una storia, la vivono appieno, soffrono e si addolorano come fossero loro le vere protagoniste di quella storia, ma infondo sanno che è tutta finzione, destinata a finire bruscamente, che in realtà sono solo delle spettatrici.
Ecco, questa credo sia la metafora perfetta per spiegare come vivo io la vita: io vivo tutto a trecentosessanta gradi, prendo tutto e lo porto dentro, tutto mi fa soffrire e tutto mi rende felice, tutto mi addolora, tutto mi addolcisce, tutto, tutto, tutto fa parte della storia ma resto a debita distanza, sempre un passettino indietro, non perché non accetto il dolore o la sofferenza, anzi.
Quello che ho sempre cercato di farti capire è che io sono una spettatrice della mia stessa vita ed entro ed esco dal mio corpo quando voglio, quando ne ho bisogno, quando so di poter comunque fare qual passo indietro.
Mi lascio coinvolgere dalla vita, ma a debita distanza. Mi innamoro, ma con le dovute precauzioni. Mi faccio influenzare, penso alle parole e i giudizi degli altri per potermi migliorare, ma rimango sempre io.
La mia vita è tutto un ma; e l’unico motivo per cui ti ho confessato quel che ti ho confessato è perché mi avevi fatto abbassare la guardia, quella distanza che mantengo sempre si è un po’ più ristretta rispetto al solito.
Ma va bene così.
Grazie, perché io dico sempre grazie, anche a chi non se lo merita; ma tu si, tu ti meriti il grazie più sincero ed onesto che io abbia mai detto: grazie perché mi hai fatto capire che quella distanza che mantengo è troppo poca, grazie perchè mi hai fatto capire che quel mio muro è ancora troppo basso.
Grazie perché mi hai dato una mano a migliorare la mia pelle che se prima era di porcellana, adesso inizia a formarsi un enorme strato di cemento armato.
E continuo a ridere perché sono sempre così tragica, melodrammatica e disfattista, perché credo mi sia crollato il mondo addosso, di aver perso tutto ora ma alla fine, sei solo tu, Stefano. Dovessi contare tutti gli Stefano del mondo perderei il conto. Alla fine sei solo un cazzo, solo uno Stefano, solo una testa calda, solo un coglione. Ce ne sono tanti come te in giro, lo so benissimo.
Anzi no, spero non ci sia nessuno come te nel mondo, perché mi sono davvero rotta di cercarti in ogni piccolo gesto di altra gente e in ogni loro parola, che chi se ne frega di te e del tuo stupido razionalismo da cagasotto.
Io non lo voglio incontrare un altro come te.
Mi sei bastato tu. E neanche ti ho mai conosciuto.
24 APRILE // 22.28
(Sei giorni senza di te)
0 notes
effy10 · 6 years
Text
Inventare un personaggio. Chissà come sarebbe inventare il proprio ragazzo ideale, vederlo materializzarsi una mattina, in cucina, che versa il caffè dalla mia moka rosa. 
Non so come sarebbe. Sarebbe strano, irreale è la parola esatta. Perchè l’ideale non è astratto, è proprio non-reale e quindi non esiste. La realtà è diversa, nella realtà l’importante non è avere ciò che ci rende felici, ma essere felici di ciò che si ha. Io personalmente lo vedrei apparire qui. Vedere quel suo bel faccino col suo sorriso a 50 denti che guarda in quell’inquietante videocitofono in bianco e nero. Con quell’aria genuina tutt’intorno, che gli sta così bene. Osservarlo mentre esce dall’ascensore che sembra avere mille porte, rende il tutto colmo di aspettativa. Lui che mi fissa, con le mani lungo i fianchi, con gli occhi lucidi. Io che mi chiedo ‘sarà stanco o commosso?’ senza mai capirlo. Ci diciamo: “Ciao!” contemporaneamente, e ci sorridiamo a vicenda non in modo normale o scontato, ma come se avessimo capito qualcosa di importante e fondamentale, tipo il Lemma di Neyman Pearson. Ci abbracciamo, non dicendoci nulla, e poi in camera, d’improvviso, come se l’ingresso e il corridoio non fossero mai stati li. Una volta soli, nel mio, che poi è diventato anche un po’ nostro rifugio, siamo in piedi ed uno di fronte all’altro con la mia fronte che a malapena arriva al suo petto. Lui mi spoglia, come se non l’avesse mai fatto guardando con attenzione particolari che dalle sue espressioni sembrano nuovi, montati lì stamattina. Passa il naso sulla clavicola e mi bacia. Un bacio che sa di natale, il 25 dicembre di quando hai 6 anni. Una sensazione difficile da spiegare ma proverò a farlo: hai 6 anni e la mattina di natale ti svegli e hai l’adrenalina di scoprire se davvero ti hanno lasciato i regali sotto l’albero, quasi troppo curioso di scoprire se qualcuno ha mangiato i biscotti che hai lasciato che quasi temi non sia successo, invece arrivi in salotto correndo e li vedi, tutti i pacchi sono sotto l’albero e poi furtivamente guardi il piatto che fortunatamente è vuoto e pieno solo di briciole. In quel momento tiri un sospiro di sollievo pensando che allora i regali te li eri meritati quest’anno e sei genuinamente e onestamente felice. I suoi baci a volte sanno di questo. 
0 notes
giancarlonicoli · 6 years
Link
20 ago 2018 10:44 UNO DEI ROM CHE DUE MESI FA HA TRAVOLTO E UCCISO DUCCIO DINI A FIRENZE È GIÀ FUORI DI GALERA - LA LETTERA DI UN AMICO: “ABBIAMO SPERATO CHE NON FOSSE VERO. FINCHÉ NON SARÀ GARANTITA LA LEGALITÀ SARÀ DIFFICILE SENTIRSI AL SICURO. DOV’È FINITA LA GIUSTIZIA?” 
Claudia Osmetti per “Libero quotidiano”
Qualcuno, quasi ragionando in termini di un fatalismo che in questo caso nulla c' entra, ha persino detto che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Come se recarsi al lavoro, in una domenica di inizio estate, possa costituire un errore di comportamento, o un' imprudenza.
Macché. La verità è che Duccio Dini, il ragazzo di 29 anni travolto da alcune auto che s' inseguivano a velocità folle per il centro di Firenze il 10 giugno scorso, è morto ucciso dall' arroganza di un gruppo di rom (perché nello specifico si tratta di rom, e chiariamoci subito per evitare malintesi che sanno di accuse un po' troppo benpensanti: fossero italiani, il nostro giudizio sarebbe stato lo stesso) che per regolare chissà quale conto interno ha utilizzato le vie pubbliche come una grande pista di formula uno. E lo ha messo sotto. Più che sfortuna, prepotenza e mancato rispetto delle regole. Già, le regole.
La storia di Duccio sarebbe sufficientemente assurda così, eppure c' è dell' altro.
C' è che una manciata di giorni prima di Ferragosto uno di quegli sconsiderati automobilisti dall' acceleratore impazzito è uscito di prigione. Li avevano presi subito, e subito il loro avvocato aveva presentato istanza di scarcerazione.
Procedura regolare, non è questo il punto. Su sei, appena uno è finito ai domiciliari, un 27enne di origine macedone, incensurato, l' unico della combriccola a dover fronteggiare l' accusa di tentato omicidio - per gli altri si parla di un capo di imputazione più pesante, l' omicidio volontario. Uno solo. Ma tanto basta a far indignare amici e parenti di Duccio. Che si sentono traditi da una giustizia che si vorrebbe "certa", ma troppo spesso non lo è.
Ovvia la considerazione che la legge è legge, vale per tutti, per i normali cittadini e anche per i balordi. Sono le basi dello stato di diritto. Ma la percezione è sempre più quella di un sistema che si allontana dal sentire comune, lasciando la sensazione di aver subito un' ingiustizia nell' ingiustizia. In questo senso, l' ondata di sdegno che la scarcerazione del rom ha sollevato è politicamente bipartisan.
«Siamo amareggiati, questa vicenda dimostra che il sistema penale italiano va rivisto», sbotta l' assessore al Welfare di Firenze Sara Funaro (Pd). «Chi è razzista? Chi prova schifo e vergogna per una notizia simile o chi offende la memoria di un' intera comunità permettendo a questo "bravo ragazzo" di cavarsela con 65 giorni di carcere?», le fa eco Francesco Torselli, consigliere comunale (Fdi). E allora valgono, eccome se valgono, le parole di chi Duccio lo conosceva per davvero.
Messe nero su bianco in una lettera che Libero pubblica integralmente. Una lettera su cui in tanti, e in primis politici e operatori del sistema giuridico, dovrebbero riflettere.
LA LETTERA
«Sono un amico di Duccio e della sua famiglia, mi meraviglio di quanto sia stato deciso. Sono passati appena 65 giorni da quella brutta giornata e quell' uomo è di nuovo fuori? Dopo i primi due arresti, ne sono stati eseguiti altri quattro nell' ambito delle indagini. Misure di custodia cautelare in carcere, disposte dal gip su richiesta della procura fiorentina, nei confronti di uomini di etnia rom accusati di omicidio volontario e oggi vogliono farci credere che non esiste più questo pericolo?
Fin dal primo momento tutte le persone vicine a Duccio e alla sua famiglia si sono strette chiedendo a gran voce "giustizia e pena certa". Speravamo che questa volta, non accadesse quello che accade troppo spesso.
Tutti avevamo paura che, passato un po' di tempo e una volta spente le luci sulla vicenda, le persone coinvolte nell' omicidio potessero uscire di carcere, senza scontare la pena che meritano. E, purtroppo, è proprio quanto successo in questi giorni.
Nessuno di noi voleva crederci, abbiamo sperato fino alla fine non fosse vero. E invece Ci tengo a precisare che non è questione di etnia e non è questione di colore. Ma solo di giustizia: chi sbaglia, qualunque lingua parli, deve pagare. Esistesse la certezza della pena, qualcuno di sicuro ci penserebbe qualche secondo in più prima di mettersi nei guai.
Oggi nessuno ha paura, sanno in un modo o nell' altro di farla franca. Chiedo a tutti: dove è finita la giustizia? Dove è finito il rispetto verso il prossimo? Finché non sarà garantita la legalità sarà difficile sentirsi al sicuro».
0 notes
Text
Mi hanno detto che sono sbagliata. Non l’hanno fatto con cattiveria, ma me lo hanno detto, più e più volte. Mi hanno detto che sono troppo emotiva. Mi hanno detto che devo imparare a farmi scivolare le cose addosso. Mi hanno detto che devo smetterla di prendermela se qualcuno ha comportamenti che non rientrano nei miei standard. Mi hanno detto che il mondo gira così e che dovrei girare insieme a lui. Sono tutti ottimi consigli, immagino, ma significano tutti che sono sbagliata. Mi dicono spesso, o meglio, tutte le volte che dichiaro apertamente di stare male per il mio modo di essere, che dovrei essere fiera di me stessa. Dicono che sono una ragazza forte, dicono che ho superato un sacco di avversità da cui forse loro non sarebbero usciti come ne sono uscita io, dicono che sono una persona incredibilmente intelligente e dotata. Poi mi dicono di cambiare, inesorabilmente, tutti alla fine mi dicono che sono io il problema. Anche chi mi vuol bene, bene davvero, alla fine me lo dice. Dove sarebbe il senso? Sono persa, sono persa da quando sono nata. Sono stata catapultata su questa terra e non ho mai avuto idea di dove andare. Come tutti, lo so, lo so. Non c’è nulla che mi differenzi dal resto delle persone che vivono su questo pianeta. Siamo tutti in balia delle onde, c’è chi si lascia andare, chi nuota controcorrente, chi cerca di piantarsi in un punto e di tenere tutto sotto controllo, ma siamo tutti in balia di questo oceano, e non possiamo fare nulla per cambiarlo. Certe volte vedo delle persone che sembrano aver preso in mano la propria vita. C’è chi ha una piccola zattera, c’è chi ha grandi navi, e le invidio, le invidio davvero, mentre ingoio acqua salata che mi brucia la gola. In fondo però so che è un’illusione, l’oceano potrebbe rivoltare le loro grandi o piccole imbarcazioni con la stessa facilità con cui fa rotolare le conchiglie a riva, e a quel punto nessuno avrebbe più il controllo di nulla. Allora perché invidiarle? Quell’illusione di controllo non è altro che un’illusione, allora perché? Sono solo scuse. No, non è una scusa che la vita è fuori dal nostro controllo, che sciocchezza, ma sono comunque scuse. Le scuse di una persona che non ha mai concluso niente nella sua vita, le scuse di una persona che non è mai riuscita a controllare niente della sua vita. Le scuse di un’incapace. La verità è che se anche io potessi avere il controllo della mia vita non realizzerei un cazzo lo stesso. Non chiedetemi il perché, quello ancora non l’ho capito, ma hei, se tutti riescono a concludere qualche cazzo tranne me una ragione dovrà pur esserci, e dovrà per forza di cose essere nella mia persona. Sono arrivata al porto, signori miei. Sono arrivata al mio ultimo porto e ci sono arrivata da tanti anni. Sono nata finita, la mia esistenza è un errore fine a se stesso, non sono stata generata per dare, concludere, creare o realizzare nulla. Non sono che un grande, enorme recipiente in cui buttare merda. No, non sono felice, mi dispiace ma non sono felice, mi dispiace ma non sono grata alla vita anche se vorrei tanto esserlo. Mi dispiace, ma lo dimentico. Dimentico la meraviglia di poter vedere, la meraviglia di poter toccare, di poter sentire, annusare, vivere. Mi dispiace, sono un’ingrata, e forse è per questo che dimentico queste meraviglie. Non le merito perché non riesco più ad apprezzarle. Io sono quel genere di persona che non auguro mai a nessuno di essere. Sono condizionata da ciò che è stata la mia vita, mi piango continuamente addosso chiedendomi perché, perché a me, e non alzo mai il culo per cambiare le cose. Questa sono io. Sono già morta. Ho talmente tanto il terrore di fallire, il terrore di vedere che gli altri sanno che ho provato e fallito che nemmeno provo. Il terrore di fallire un’altra volta e guardarmi allo specchio e dirmi ancora una volta Complimenti, complimenti parassita di merda, non hai concluso un cazzo per l’ennesima volta. Certe volte ci provo ad essere più positiva di così, non so nemmeno io come ne perché ma ci provo, e sapete cosa? Non cambia un cazzo. Simone mi dice sempre di smetterla di piangermi addosso, di alzare il culo e di farle le cose invece di stare ferma ad aspettare che qualcosa cambi da sé. Eppure la merda arriva sempre da sé, sempre, puoi stare immobile quanto ti pare, la merda arriva sempre. Sai cosa Simone? L’ho fatto, l’ho fatto centinaia di volte, ho alzato il culo e ci ho provato. Timidamente, silenziosamente, ma l’ho fatto. Sai un’altra cosa? Non ho concluso un cazzo. Sono così maledettamente stanca di essere chi sono. Sono così maledettamente stanca di vivere una vita che cazzo, è chiaro come il sole che non mi ha mai voluta. Sono viva solo perché ho paura della morte. Non l’ho mai detto a nessuno ma è questa la verità, ho paura della morte, paura da morire, perché da qualche parte nella mia testa forse ho davvero la speranza che se aspetto un altro po’ di tempo su questo pianeta qualcosa possa cambiare, la vita possa prendermi in simpatia. Sono 14 anni che mi ripeto che se aspetto un altro po’ qualcosa cambierà, se aspetto un altro po’ non tutti i miei tentativi saranno buchi nell’acqua. Sono 14 anni che di nascosto prego che la vita sia un po’ più clemente con me. Io in realtà non credo di essere obiettiva. Non credo di esserlo più da tanto tempo. Sono confusa, sono sempre confusa, non ci capisco niente e questo mi fa anche un po’ ridere. Non so nemmeno quello che penso in realtà. Ne quello che sono, o chi sono. Non ci capisco più niente, vorrei solo spegnermi, mettere un punto a tutto questo una volta per tutte. Vorrei avere un cazzo di umore, vorrei avere delle reazioni normali. Quali sono le reazioni normali? Qualcuno lo sa? Qualcuno può spiegarmelo per favore? Qualcuno può aiutarmi per favore? Questo oceano in cui tutti galleggiamo come una massa di stronzi mi inghiotte e mi sputa, mi inghiotte e mi sputa, come una cosa indigesta e disgustosa. Grazie tante, ho sempre saputo di fare schifo anche alla vita. Pietà. Nei miei deliri l’ho chiesta una marea di volte. Pietà. Vi prego, vi supplico, abbiate pietà di me. Perché? Perché questa richiesta rimane sempre lì a ripetersi? Pietà… in che senso? Mi sento come una bestia in agonia che urla pietà, vi prego, datemi il colpo di grazia. Ma sono io questa? Chi sono io? Chi è che mi piacerebbe essere? Come fate voi a capire chi siete e chi invece fingete di essere? Qual è la maschera? Qual è la mia faccia? Amo la vita o la odio? Amo la gente o la odio? Sono positiva o negativa? Mi piace pensare che sono una ragazza positiva, radiosa, che anche nel momento più cupo riesce sempre a trovare la luce, ma sono davvero io questa? O sono piuttosto quella persona gonfia d’invidia, rancore e odio per tutto ciò che vive di quella vita che non credo di essere in diritto di vivere? Sono stanca, sono esausta, voglio spegnere tutto. A cosa serve vivere? Tanto alla fine tocca morire, in ogni cazzo di caso tocca morire, allora perché siamo qui? Perché dovrei continuare a sforzarmi di rimanere qui? Non c’è nessuna risposta nobile. Perché ti caghi sotto della morte, tutto qui. Mi sento in colpa, mi faccio schifo, vorrei strapparmi la pelle per soffrire nel corpo quello che soffro dentro e per punirmi. Ho la vita cazzo, ho la vita, sono viva, c’è gente che pagherebbe tutto il denaro che esiste nel mondo per poter vivere e io sto qui a piangere senza fare un cazzo.
Ho bisogno di voi, di tutti voi, mi servono i vostri occhi, mi servono i vostri pareri. Voi mi guardate, voi mi vivete, voi sapete se sbaglio, se valgo la pena, se sono una bella persona, se sono buona, se ne vale la pena di volermi bene, di volermi qui con voi. Divento morbosa, divento saccente, divento aggressiva, divento asfissiante. Non mi basto, non mi conosco, non mi vedo. Qualcuno mi aiuti, per favore. Ditemi chi sono, ditemi chi siete, fatevi aiutare, datemi uno scopo, fatemi fare qualcosa che giustifichi la mia presenza. Ho paura, ho così tanta paura.
Vorrei qualcosa per riprendermi quando non riesco a contenere il dolore. Qualcosa, qualsiasi cosa. Una parola magica, un rituale di qualche tipo da fare per calmarmi, ma non ho niente.
Affondo, mi sento affogare e soffro, ma non muoio mai.
Sono persa, completamente persa, non so nemmeno da che parte girarmi. Non so come si vive, non so come si muore, non so nemmeno come si rimane a galla dignitosamente, ma anche sticazzi della dignità, come si sta a galla e basta.
Ma allora perché non cambio? Non riesco a capirmi, non riesco più a capirmi. Sono confusa, persa, smarrita, uso il parere degli altri per analizzare e giudicare me stessa ma poi non seguo i loro consigli come se avessi una qualche individualità da mantenere.
Ce l’ho? Me ne sono sempre vantata, ma mi appartiene davvero? Forse non mi arrendo al cambiamento perché quelle sono veramente delle parti di me? O forse le ho inventate, forse non mi appartengono e proprio per questo mi batto per non lasciarle andare?
Cosa significa essere una buona persona? Io lo sono? Mi dispiace perché so che alcuni mi vogliono bene, so che c’è chi mi ama, mi dispiace sopratutto per queste persone. Mi dispiace stare così, mi dispiace essere così, mi dispiace tanto. Non c’è soluzione di continuità nei miei pensieri. La mia testa brulica di informazioni e io le pesco come capita. Questo mondo non è come lo vorrei, ma in fin dei conti non è un problema così grande, il problema è un altro. Come fate voi a non essere confusi? Come fate voi a capire? Chi tra voi rinuncia, invece, come fa ad avere pace? Ho sempre pensato e così m’è stato insegnato che se qualcosa non mi piace allora devo cambiarlo. Mi hanno detto e ho sempre pensato che se il mondo non mi piace allora avrei dovuto fare del mio meglio per rendere quanto meno il mondo immediatamente intorno a me come lo vorrei e come lo ritengo giusto. Che cosa presuntuosa, ora che la leggo scritta nero su bianco. Ci farciscono la testa con tanti buoni propositi e poi ci guidano coi più beceri e umani degli esempi. Parlano di individualità e poi ci spingono all’omologazione. Parlano di bontà e poi inneggiano alla morte. Parlano di tolleranza e poi auspicano la violenza. Non mi piace come gira il mondo, mi fa male come gira il mondo, non voglio girare insieme a lui. Forse è questo il problema? Forse dovrei cambiare. Mi fa male e mi fa vergognare la sola idea di farlo. Ma posso farlo? Mi viene da vomitare, mi sento frustrata e mi fa male tutto il corpo. Non ne posso più, voglio fermarmi. Sono stanca e non immaginate nemmeno quanto. Di questo sono sicura, voi non potete capire. Ogni volta che mi giudicate, ogni volta che mi rimproverate, state chiaramente sbagliando. Non sbagliate a riprendermi, sbagliate i motivi. Non vedete i motivi. Se solo sapeste cosa c’è dentro la mia testa, se solo sapeste come mi sento. Il corpo pesante, il cuore, lo stomaco, la pancia pesanti. Gli arti intorpiditi, la mente confusa e lucida insieme. L’incessante scorrere dei miei pensieri, delle domande, del dolore, dell’odio, della rabbia, della disperazione, dell’angoscia. La stanchezza che ti inchioda, che ti schiaccia e ti impedisce di fare qualsiasi cosa. Ci sono momenti in cui anche girare gli occhi è uno sforzo immane. Alzarmi dal letto è uno sforzo immane, come lo è anche andarci. Una volta che riesci a metterti in moto, una volta che riesci ad orientarti almeno in casa, hai paura a stenderti di nuovo, hai paura di cedere di nuovo perché sai che succederà, sai che non appena ti sarai addormentata al tuo risveglio dovrai ricominciare tutto da capo. Tutto. Non puoi in alcun modo anticiparti il lavoro, non puoi in alcun modo evitarlo, e questo mi distrugge. So che devo cambiare, so che devo muovermi, dare una smossa alla mia vita ma non ci riesco, non ci riesco in alcun modo e ogni volta che me lo fate notare mi vergogno da morire, vorrei sparire dall’esistenza e dalla memoria. La mia vita è una gabbia, non posso scappare in alcun modo e sono io la carceriera di me stessa. Non c’è un nemico da sconfiggere, non c’è qualcuno da picchiare, da uccidere per ottenere la libertà se non io stessa, e tutto questo mi convince giorno dopo giorno che sarò libera solo quando sarò morta. Mi vergogno tanto per stare così, per essere così, mi sento in colpa ma tutto questo non basta a cambiarmi. Vorrei che qualcuno mi aprisse la testa e mi riparasse. Sono rotta, sono difettosa, c’è qualcosa che non va dentro di me e io da sola non riesco a porre rimedio. Non ce la faccio più, non ce la faccio più, non ce la faccio più da tanti anni e vado avanti nemmeno io riesco a capire perché o da dove prendo la forza. Sono stanca di essere spaventata da tutto, sono stanca di avere paura, sono stanca di essere sbagliata e inutile. Come si fa a vivere? Come si fa? Perché sono così? Perché? Qualcuno può rispondermi? Almeno ad avere un motivo, almeno ad avere un senso, uno scopo. L’avevo trovato ma era quello sbagliato, era quello malsano, era quello cattivo e ingiusto, ma almeno era uno scopo, almeno aveva un senso. Per favore svegliatemi, tiratemi fuori di qui, sono seppellita sotto me stessa e non riesco ad uscire. La mia vita è un incubo che ricomincia ogni volta che riapro gli occhi, e ogni volta è peggio. Mette in ombra tutto ciò che di bello ho, distrugge e consuma tutto ciò che di bello ho e continua a divorare la mia vita senza permettermi di farla finita. Non c’è via d’uscita, non c’è, è tutto buio e orribile. Impazzirò, se continuo così perderò completamente il controllo. Farmi del male mi aiutava, mi calmava, come se dai tagli insieme al sangue uscisse anche il dolore, ma non posso più farlo. Non è giusto che lo faccia, e tutti sarebbero tristi e delusi se lo facessi, ma che altra scelta ho? Sono piena, non ce la faccio più, continuo a implodere ma non so nemmeno più quanto ne rimane di me. Sono disperata e più sto così più provo odio e disgusto verso me stessa, è un fottuto circolo vizioso e non ne uscirò mai, mai.
0 notes
lpozzoli · 8 years
Text
Le Grandi Donne della Vendita Diretta
Tumblr media
Nella Vendita Diretta ho avuto il privilegio di conoscere molte grandi donne e di vedere da vicino l’energia che possono creare, persone che hanno sviluppato aziende, con uno spessore morale e professionale di assoluto valore. Avvicinandosi all’8 marzo, fare capire il contributo delle donne alla vendita diretta, significa avvicinarsi a storie uniche, di donne che hanno cambiato la propria vita e quella di altre donne.
Partiamo dai numeri: secondo le statistiche globali 2015 della World Federation of Direct Selling Associations, la grande maggioranza degli incaricati alla vendita, il 75,8%, sono donne, pienamente responsabili del successo di questo canale di distribuzione. Guardando i dati più da vicino non esiste un solo paese nel mondo in cui la maggioranza degli incaricati non sia donna!
Tumblr media
Passando dai numeri alla storia, sono state grandi donne a creare questo settore: Mary Kay Ash ha fondato Mary Kay Cosmetics, proveniendo dalla Stanley Home Products (Stanhome), dalla quale se ne andò delusa dopo che per l’ennesima volta un uomo, che lei aveva addestrato, era stato promosso al posto suo. Una donna incredibile, divorziata con 3 figli dal primo matrimonio, si ricostruisce una vita, si risposa e insieme al nuovo marito fonda la sua nuova società, nel frattempo il marito muore di un infarto e lei prosegue l’attività con i figli, creando uno dei colossi della vendita diretta.
“In questo mondo ci sono tre tipi di persone: quelli che fanno succedere le cose, quelli che guardano le cose accadere e quelli che si chiedono che cosa è successo. Noi tutti abbiamo una scelta. Tu puoi decidere quale tipo di persona vuoi essere. Io ho sempre scelto di stare nel primo gruppo.” Mary Kay Ash
Tumblr media
La storia di Brownie Wise è emblematica, amara nel finale, ma in ogni caso capace di lasciare un segno permanente nella filosofia e nei valori di Tupperware. Anche lei proveniente da Stanhome, giovane madre divorziata con un figlio, di umili origini, ha l’intuizione fondamentale per fare diventare Tupperware un fenomeno mondiale: il metodo del party e la gestione dei collaboratori.
“Costruisci le Persone, e loro costruiranno il Business” Brownie Wise
Tumblr media
Era una reclutatrice nata e, quando selezionava nuovi collaboratori, non escludeva nessuno a priori. In un’intervista del 1954, ricordò che una volta si era fermata a un distributore con la sua station wagon carica di contenitori. Il benzinaio l’aveva guardata con curiosità e le aveva chiesto che cosa facesse. Avevano cominciato a parlare e alla fine il benzinaio aveva accettato che sua moglie organizzasse un party. Nella ricerca di nuove consulenti, il suo maggior problema era che trovava prevalentemente persone non addestrate e che avevano timore di vendere. La conseguenza fu che spingesse fortemente la formazione, includendo anche un corso per parlare in pubblico e suggerimenti su come fare una presentazione: insisteva che la presentatrice mostrasse determinazione sul suo volto e tenesse la testa eretta. Il lavoro duro era per lei la normalità: richiedeva rapporti giornalieri da tutti suoi distributori e teneva una macchina da scrivere in camera da letto, nel caso avesse urgenza di scrivere un memorandum nel corso della notte!
Il processo che aveva creato incontrò un grande successo: nel 1951 aveva solo 200 consulenti, nel 1954 il numero era esploso a 9.000 e il fatturato di Tupperware aveva raggiunto parecchi milioni di dollari. Purtroppo però, dopo sette anni di collaborazione produttiva, Earl Tupper, l’inventore del contenitore ermetico e proprietario dell’azienda, licenziava Wise, stanco della sua grande visibilità (era stata la prima donna ad apparire sulla copertina di Business Week). Era il 1958 e lo stesso anno Tupper monetizzava il successo vendendo la sua società alla Rexall per $16 milioni. Dopo un’esperienza negativa di riapplicazione del suo metodo, Wise scompariva dalla scena del business per poi morire dimenticata nel 1992.
Tumblr media
Storie di vere e proprie leggende della Vendita Diretta ma molto simili a quelle di tante altre donne, che continuano a dare forma e sviluppare questo settore, nella loro città, nella loro regione, in qualche occasione sviluppando nuovi paesi, come ho visto nei nuovi mercati in varie zone del mondo. 
Storie uniche, di donne che si vogliono rifare una vita dopo rapporti sbagliati, di donne che devono trovare le energie per curare un genitore, un marito, un figlio; donne che vogliono fare studiare i figli e farli vivere meglio, donne che semplicemente vogliono dimostrare di sapere fare qualcosa e di farlo bene. 
Tumblr media
Ho avuto la fortuna di conoscerne tante, in paesi e culture diverse: dall’Est Europa a Sarajevo dopo una guerra terribile, o a Belgrado sotto i bombardamenti notturni;  in Tunisia con donne con velo o senza, orgogliose sia del proprio lavoro che della possibilità di esprimere sé stesse; in Turchia con le sue affascinanti contraddizioni, ma con enorme sviluppo e dinamica; in Spagna, in Francia, nella opulenta Svizzera con donne che gestivano la propria attività come una piccola azienda, piangendo ed emozionandosi per i propri successi e le difficoltà superate perché non c’è niente di facile neppure lì. Fino alle nostre splendide donne in Italia, dal nord al sud, orgogliose di quanto erano riuscite a fare, ammettendo senza paura le difficoltà dell’inizio quando “nessuno ci credeva”, o pochi, di solito un padre o un marito, superando ogni giorno sensi di colpa e costrizioni auto-imposte per essere la moglie e madre perfetta invece che semplicemente sé stessa. Donne che hanno lavorato tanto, fatto migliaia di chilometri, non si sono arrese mai di fronte a nessun no, per le quali tutte le filosofie di auto-motivazione sono pane quotidiano, vissute realmente sulla propria pelle. Donne che ci sono riuscite, magari non a diventare ricche ma ad ottenere il proprio obiettivo, quasi mai egoistico, sempre orientato agli altri. 
Tumblr media
Sì è vero, è un business di persone, fatto di relazioni, quindi chi meglio delle donne, geneticamente meglio disposte degli uomini ad affrontare le ambiguità di un rapporto umano, che non è mai bianco o nero. 
Molto spesso si pensa alla flessibilità, alla possibilità di conciliare lavoro e famiglia, come uno dei fattori che spiega il fatto che questo sia un business per donne. Non è così, questa è solo una razionalizzazione a posteriori, quasi una giustificazione. 
Quanto spesso invece, a causa del lavoro duro, che ti segue anche a casa, nelle innumerevoli telefonate alla sera, è invece proprio la sfera personale a soffrirne, molto di più di un lavoro “normale” quando una volta tornate a casa ci si può dedicare veramente alla famiglia. No, la vendita diretta è perfetta per le donne perché lì conti veramente per quello che vali, c’è una vera imprenditorialità, per cui più lavori più guadagni e le soddisfazioni ci sono sempre, fai carriera secondo i tuoi risultati. 
La vendita diretta è perfetta per le donne perché lì il merito vince sempre, non si fa finta mai, non c’è politica interna, non ci sono soffitti di cristallo a bloccare le energie della migliore metà della nostra società, come accade in tanti altri ambiti (10% è il gap salariale tra uomini e donne in Italia nel 2015). E poi c’è tutto il resto: i fattori positivi, il modo di lavorare in gruppo, la condivisione, gli aspetti di gratificazione personale.
Sono donne che sanno condividere le gioie e i dolori, le fatiche ma anche i riconoscimenti e trovano molto spesso nel palco una delle ragioni per dare un senso a quanto stanno facendo. Ma attenzione, non sono esaltate, sono vere e quanto bene portano in giro il loro esempio personale, con le parole e con le azioni, per altre donne che spesso le vedono come modelli positivi da imitare. E allegre, col sorriso, positive, sempre.
E ne sarà valsa la pena alla fine? Sono convinto di sì, fare un lavoro che ti piace, essere a contatto con altre persone come te, aiutarle a crescere, a superare i piccoli e grandi problemi, cambiare spesso ambiente, entrare in mondi diversi, fare parte di un gruppo, sentirsi una comunità, è innanzitutto un’esperienza di servizio, di condivisione, di mettersi insieme per uno scopo che dà un senso alla vita, che fa vivere con soddisfazione, fa vivere bene. Ed è questo che conta, no?
Tumblr media
0 notes
pangeanews · 5 years
Text
“Non esiste inesattezza in una fotografia. Tutte le fotografie sono accurate. Nessuna di loro è la verità”. Richard Avedon, il re del ritratto
Se ne ha fatta di strada, il buon vecchio Riccardo. Certo, la longevità gli è venuta incontro (ha vissuto sino a 81 anni), ma se pensi che ha iniziato con le autopsie e le carte di identità per la Marina mercantile degli Stati Uniti, vederlo in cima all’Olimpo della fotografia, lui con i suoi occhi da matto e i capelli scapigliati e ti metti a contare i suoi passi, capisci che ha avuto gambe da alpino e polmoni capienti. Mai in pianura, mai. Per lui solo salite e discese. Per lui l’odore salmastro del porto è stato un battesimo da dimenticare, un benvenuto da salutare, un’accoglienza rude, l’ouverture dell’opera, il coro del teatro antico greco.
*
Bello, Richard, lo era. Occhiali tartaturgati, sorriso di chi sa di aver avuto il privilegio di abbandonare le cambuse che sanno di alghe per dirigersi verso le profumose sale nobili della moda. Per andare verso gli studi luccicosi e asettici della crème.
*
Sembra quasi che si siano dati appuntamento, lui e Helmut Newton: stesso anno, il 2004. Annus horribilis: uno dopo un incidente di auto, l’altro a seguito di un’emorragia cerebrale. Quindici anni fa esatti, lì nelle alte stanza del Paradiso, hanno fatto gli straordinari. Hanno dovuto preparare due camere obscure.
*
Celebre per i suoi innumerevoli ritratti in bianco e nero – nel suo obiettivo sono entrati Andy Warhol, Marilyn Monroe, Brigitte Bardot, Sophia Loren, Janis Joplin –, ha firmato due edizioni del calendario Pirelli, quelle del 1995 e quella del 1997. Non prima però di aver reso la sua macchina fotografia un bisturi: del resto, come dimenticare la gavetta? Così nel 1974 ha esposto al Moma di New York alcuni ritratti di suo padre consumato dal cancro.
*
Richard Avedon ha semplicemente cambiato il concetto di foto nella moda, Goodbye stanze iperilluminate, luci a comando, riscaldamento acceso, trucchi e parrucchi. Gli dava fastidio, viene da pensare, tutte quelle pose irrigidite tipiche delle modelle. Pali della luce, pertiche prive di emozioni. Come dare vita a quei corpi? La soluzione è davanti agli occhi: portare i set per strada o nei locali notturni.
*
Truman Capote secondo Richard Avedon, 1959
“Molte sue fotografie trasmettono un erotismo congelato: col suo stile marcatissimo, Avedon ha reso seducente e assurdamente desiderante la morte, e tutto proviene da quelle prime foto fatte in guerra, quando fotografava i cadaveri. Quella luce fredda e crudele che avvolge modelle e star del cinema e presidenti americani, è quella della stanza delle autopsie mai dimenticata, e trasmessa su corpi di modelli e modelle nudi, come ghiacciati, fermi nel loro ultimo, estremo flusso di energia”. Lo ha scritto su Dagospia una firma conosciuta anche ai lettori di Pangea: è quella di Barbara Costa.
*
Si concentra sul ritratto per cogliere attimi, luci, espressioni uniche in ogni volto. È lì che giace il segreto: il viso. Gli occhi. Un inizio: da dove partire per poi raccontare una donna? Da come ti guarda.
*
Per chi era abituato a eseguire i ritratti, sembra un ossimoro. La sua assistente Norma Stevens, qualche anno fa, ha dato alle stampe una “fotografia” intima del Maestro: Avedon lontano dalle luci, dipinto nelle fattezze di un “Re nudo”. Una biografia non autorizzata, ovviamente. Anche perché dagli “acidi” emerge il volto di un Mr Hyde sui generis. Uno zozzone vizioso che dietro all’immagine di copertina – due mogli e un figlio – celava una natura finocchia.
*
La Stevens va di nomi e cognomi: su tutti Mike Nichols, il regista de Il laureato del 1967, il film Premio Oscar che vede nel cast anche Dustin Hoffman e che è stato impreziosito dalla bellissima colonna sonora di Simon & Garfunkel.
*
Scindere la lista. Da una parte l’arte, dall’altra la vita. Poco importa se, pare, fosse un pezzo di merda con le donne: davanti alle sue fotografie tutte le frizioni si piegano e vanno messe in un cassetto.
*
“Un ritratto non è una somiglianza… Nel momento in cui un’emozione o un fatto si trasforma in una fotografia non è più un fatto ma un’opinione. Non esiste inesattezza in una fotografia. Tutte le fotografie sono accurate. Nessuna di loro è la verità”. Richard Avedon.
Alessandro Carli
*In copertina: Bob Dylan secondo Richard Avedon, 10 febbraio 1965
L'articolo “Non esiste inesattezza in una fotografia. Tutte le fotografie sono accurate. Nessuna di loro è la verità”. Richard Avedon, il re del ritratto proviene da Pangea.
from pangea.news https://ift.tt/2EbyuKj
0 notes