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#magari nel frattempo cambiano ancora le cose
omarfor-orchestra · 10 months
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I changed my plans again
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gcorvetti · 3 years
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13.
Il numero 13 di solito mi porta fortuna, infatti il Venerdì 13 è stato da sempre il mio giorno fortunato, vuoi per il fatto che non sono superstizioso, vuoi per il fatto che 13 è la metà di 26 che è il giorno del mio compleanno (Ottobre), vuoi perché nelle fatalità della vita in quel giorno mi sono capitate cose assurde, quasi da racconto Bukowskiano. Ma oggi, che è 13, sembra che questi accadimenti abbiano invertito la rotta, in verità è da un pò che si è invertita la rotta, non so se coincide con la mia permanenza qua, fatto sta che oggi mi sono svegliato di buon ora, mi sono fatto la barba con la schiuma che saranno stati 2 anni che non la usavo, per il fatto che faccio la barba dopo la sauna, mi sono docciato ho impiattato le uova fritte belle calde e fumanti, quando mi arriva una mail ed è della tipa con cui dovevo parlare per il lavoro in cucina al bar del posto figo tipo città della scienza, ma in piccolo. Fatto sta che il colloquio è saltato, non so il motivo e onestamente non voglio saperlo, fuori uno.
Che periodo assurdo, ho ricevuto anche una mail dalla scuola, che ancora non mi ha pagato, stavolta da un tizio che non ho idea chi sia, che si scusa per il ritardo (3 mesi) con varie scuse e mi dice che mi pagheranno entro 2gg. Ora, ennesimo scarica barile, dall'insegnante alla direttrice o ora sto qua, siccome mi sono rotto i coglioni di ste persone, false, ipocrite, classiste e tutte le peggiori schifezze a livello umano....non sono persone sono robot programmati per fingere....le hanno tutte loro, ho deciso che non rispondo, e se entro mercoledì non ho i soldi nel conto scrivo all'ispettorato del lavoro; si si faccio il merda, in 12 anni ho subito di tutto è ora di iniziare a contrattaccare, anche perchè non mi devono dare 10000€, saranno poco più di 100€, ho come l'impressione che non vogliano proprio darmeli.
Non so cosa suscita la mia faccia alla gente, ricordo che una volta ci fermò la guardia di finanza a CT, stavamo andando a prendere un caffè in un bar molto fuori città, così tanto per, giusto per fare qualcosa di diverso, e ci fermarono. Dopo svariate volte che ci chiesero di uscire la droga, cosa che onestamente non avevamo, il capoccia di turno indicò al collega me, forse perché dal documento e dalla foto potevo essere quello più debole e quindi cadere nella loro rete. Fatto sta che dopo 10 minuti di domande su cosa fai, dove vivi, con chi vivi, dov'è la droga, escila e andiamo tutti a casa, forse capirono che la droga non l'avevamo e ci lasciarono andare. Questo aneddoto lo ricorderò a vita, come tutte le volte che una ragazza mi presentava ai suoi genitori e mi sentivo ben voluto, in realtà era la mia faccia da bravo ragazzo, forse è questo? Boh, fatto sta che la gente, e questo non solo qua, tende a non credermi, a non fidarsi di me o ancora peggio a calpestarmi pensando che tanto io non reaggisco, beh non è così, chi ha avuto a che fare con la mia collera mi ha chiesto scusa per giorni.
Penso che in questa società dell'immagine quello che vedono le persone è quello che pensano tu sia, vedono un bravo ragazzo = idiota, beh se avessero un minimo di cervello potrebbero attendere un attimo di più e scoprire che c'è di più, come faccio io, ma scopro che le altre persone non hanno niente dentro, che sono vuote, anzi, piene di preconcetti incartati da qualcun'altro che li dirige verso altri preconcetti, e così via. Nessuno ha più un pensiero suo, forse neanche il mio è più mio, forse quello che penso io lo pensano milioni di persone, probabile.
Dovrei iniziare a camminare per strada con la faccia incazzatissima, come ad un istante dall'esplosione, magari le persone cambiano idea su di me, proverò, nel frattempo continuo a pensare che sia meglio andare via da qua o che sarebbe bello avere delle entrate minime, non milioni di euro, giusto per non fare lo schiavo di sti trogloditi inquadrati.
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Che materie vuoi fare l’anno prossimo? (Gelateria Fortebraccio, 10 luglio 2076)
E | Una settimana. Ha resistito appena una settimana. [...] alla fine il richiamo del mondo dei maghi è stato più forte. La prima tappa doveva essere Fortebraccio: e infatti eccola qui, seduta a un tavolino non lontano dalla porta d’ingresso del locale, ad affrontare con coraggio grifondoro una coppa di gelato di dimensioni smisurate, con più colori che gusti e parecchie cialde di varie forme. [...]
C | E’ riuscita a convincere sua padre a lasciarla andare a prendersi un gelato, fa caldo ed è tutto il pomeriggio che girano per Diagon Alley. [...] «Emma?» La osserva per qualche momento portando lo sguardo azzurro soprattutto sulla gigantesca coppa gelato «Wow!»
E | Desiderio esaudito: dev’essere la sua giornata fortunata. Ma perché corre così tanto? « Chloe! » Un’ombra di divertimento le attraversa gli occhi scuri nel vederla correre così fin quasi alla porta del locale. « l’ho chiesto grande, ma non mi aspettavo una coppa troll-size »
[...]
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E | « contenta di essere di nuovo a casa? »
C | «Sì! Un sacco. Tu? A proposito, tu dov’è che abiti?»
E | «Abito qui a Londra, per fortuna. Almeno posso venire qui quando voglio! » spiega con orgoglio, fiera di quell’unica piccola fortuna che le è capitata. « ma non vedo l’ora di tornare a scuola, se vuoi saperlo. quest’anno inizio Divinazione e Babbanologia! » - « tu hai già scelto quali materie iniziare? »
C | «Oh, bello! Io invece abito lontano, vicino a Greenock, in Scozia. Ma è bellissimo, abbiamo il mare vicino e anche un bosco che ha un fiume e poi ci sono tanti prati e animali.» insomma, è cresciuta fuori dall’ambiente urbano. «Beh, alla fine mancano solo due mesi.» [...] «Credo Cura delle Creature Magiche e Divinazione, però non lo so ancora… Non ho deciso del tutto, ecco…»
E | « Hai qualche motivo particolare per sceglierne una piuttosto che un’altra? »
C | «Allora. Cura mi piacerebbe farla di sicuro perché ci sono gli animali e molta pratica e poca teoria, credo. Sulla seconda materia non saprei, vorrei scegliere quella più facile… Sicuro non farò né antiche rune né aritmanzia, farei solo un casino e non riuscirei a passarle di sicuro…»
E | « se parliamo di materie facili, beh... babbanologia dev’essere una passeggiata » ridacchia « però forse non per te, a pensarci bene! » e anche ora continua a ridere « divinazione non so se sia facile, sai? » - « sicuramente più di rune e aritmanzia, non ci sono dubbi » strane certezze puramente derivanti dal sentito dire: che ne sa lei? 
« Io la scelgo perché dev’essere bello poter predire il futuro »
C | «Forse hai ragione… Magari farò babbanologia…» annuisce mentre con il cucchiaio porta ancora gelato in bocca anche se ormai inizia a sentirsi più che piena. «Oh, sì. Predire il futuro…» interrompe la frase improvvisamente perdendo parte dell’allegria e abbandonando il sorriso. Non aggiunge nulla, riprende a mangiare portando lo sguardo pensieroso sulla sua coppa di gelato.
E | [...] assume però un’espressione perplessa quando l’altra non mostra grande entusiasmo all’idea di predire il futuro. « non ti piacerebbe sapere cosa ti succederà domani, fra un mese, fra un anno? »
C | La guarda, deglutisce e corruccia un po’ l’espressione, valutando cosa dire. «Non mi piace pensare al tempo che passa. Il futuro. Crescere.» scuote il capo con decisione mentre sposta lo sguardo sul topo e con la sinistra lo prende in mano. Solleva di nuovo lo sguardo. 
«Le persone cambiano crescendo.»
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E | « però, senza il futuro, il presente… non avrebbe senso » - « e poi, non so… io sono curiosa di sapere cosa mi aspetta »
C | «Ma a me piace il presente.» - «Io voglio rimanere così, non mi va di crescere. Non voglio diventare come quelli.» “quelli”, gli adulti che ora guarda e segue con gli occhi poi torna a guardare Emma, riflettendo. «Cosa vorresti sapere?» che potrà mai vedere Emma di così bello nel futuro?
E | « a me no » - « io voglio diventare grande, voglio fare un sacco di cose che non posso fare adesso! » - « vorrei sapere se… » parte in automatico, spinta dalla voglia di parlare, di confidarsi [...] «…te lo dico se vieni a Divinazione con me. » - « tu perché non vuoi diventare come gli adulti? »
C | «Perché voglio rimanere come sono.» 
«Lo so cosa succede alle persone quando crescono.» - «Lo ho visto cosa è successo a mia sorella…» scuote il capo «Io non voglio crescere perché non voglio cambiare. Mi piace come sono adesso.» - «E poi i grandi hanno tutte quelle regole… E devono fare scelte…» ora li occhi azzurri cercano quelli scuri della amica
«Sono i grandi a dire come devi o non devi essere quando cresci. Finché sei piccolo non ti dicono niente…»
E | Il fatto che l’altra voglia rimanere com’è adesso le è chiaro - crede - e ha senso. È il resto a suscitarle perplessità [...] « che co…? » Nel frattempo, ascolta - non per rispondere, ma per comprendere. « scelte? parli di scelte tipo l’università? il lavoro? » - « e cos’è successo a tua sorella? intendi Eloise? »
C | «No, no. Cioè, sì. Anche quello. Ma io intendo in generale. Le decisioni le prendono i grandi e prendere decisioni è difficile.» guarda Emma inclinando appena il capo, quindi lei non lo sa? «Sì, Eloise. Beh, ecco, sai. E’ cresciuta… E’ diventata… come si dice… una donna.» e di nuovo un espressione turbata anche solo al pronunciare quella parola come se fosse uno sforzo «Io non voglio diventare una donna.» mette in chiaro «E’ diventata così, diversa. Ma non solo fuori - anche tipo dentro? Da quando è cresciuta è diversa e dice che cambierò anche io. Ma io non voglio.»
E | « aspetta, non ho capito bene » - « tua sorella è una ragazza, come me e te » non che Chloe sia questo grande esempio di femminilità, ai suoi occhi, ma non si permetterebbe mai di farglielo notare, tanto più che per Emma non è certo un problema « è normale che prima o poi diventi una donna, come succederà anche a noi » - « e poi, se dovesse succederti di cambiare, non cambieresti… per forza, no? » - « nel senso » - « non cambiamo perché qualcuno ce lo dice, ma perché vogliamo noi »
C | «Beh, sì. E no.» - «Cioè…» Chloe sta evidentemente cercando di formare una frase sensata nella sua testa, lo sforzo è visibile sul viso pensieroso, il naso e la bocca un po’ arricciati mentre pensa. «Vedi.» si indica con la destra «Io» e poi indica Emma «E te --» - «siamo diverse.» la guarda fisso, come se quello che stesse cercando di esprimere fosse molto importante.
«Tu sei una ragazza. Io, non lo so. Insomma, fino a prima della scuola non era nemmeno importante, cosa fossi. Facevo quello che mi sentivo e basta. Ma quando è iniziata la scuola… La gente ha iniziato ad… aspettarsi cose da me. Solo perché sono una ragazza o questo loro dicono. Essere una ragazza… Cosa vuol dire? Tu, tu sei una ragazza. Cosa significa?»
E | E lei la diversità fra sé e la compagna la vede solo nello stile: lei così femminile l’altra così maschiaccio, ma pur sempre femmina: del resto si chiama Chloe, mica Ken. « quindi tu pensi di non essere una ragazza? » - « per me » - « essere una ragazza significa… » si accorge di doverci pensare, perché non se l’è mai chiesto « mettere i vestitini » cominciamo benissimo « avere i capelli lunghi » di bene in meglio « fare l’Ingo Brillae meglio dei maschi » si ricorda anche di avere poteri magici e una bacchetta, avanti così « saper cucinare, anche se io ancora non lo so fare » grazie, dottor Kim, per averle trasmesso tanta apertura mentale « guardare i ragazzi » perfetto! « ovviamente non i nostri compagni, che sono tutti orribili! » e comincia a ridacchiare, tanto per abbassare ulteriormente il livello della conversazione. Comprendiamola, ha tredici anni e mezzo, un padre tradizionalista e nessun problema con l’essere nata femmina. Almeno con questo.
C | E se per Emma la cosa sia terribilmente semplice per Chloe è terribilmente complessa. Annuisce una volta, due volte. Tre. «Sì, la penso così. Insomma, non so nemmeno se è possibile una cosa del genere ma… Ecco. Non mi sento una ragazza.» ascolta la risposta lunga ad una domanda che Chloe voleva fare da un po’ di tempo a qualcuno. Ascolta sì, ma ad ogni risposta si rabbuia. Non ride alla battuta finale, non sorride. La guarda, in silenzio, si sente come qualcuno di un altro pianeta. Lei non vuole mettere i vestitini, perché? Perché sono da ragazza. Lei non vuole avere i capelli lunghi perché? Stesso motivo. 
«Io… Devo andare. Il mio papà mi starà aspettando, è tardi.» rivolge un sorriso di cortesia frettoloso ad Emma e un cenno della mano sinistra «Ciao.» e detto ciò si alza dalla sedia e si allontana velocemente per poi mettersi a correre, scansando la gente, facendo slalom tra quelle persone grandi. Vuole tornare a casa subito. Dov’è papà? Vuole tornare a casa.
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acasadisarina · 5 years
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Stregoneria, Accademia, MaterTerra
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Mattina di domenica 13 Ottobre 2019 - 15 gradi - nuvolo  Ascolto: Two Steps From Hell - Heart of Courage (Invincible)
Era diventato un peso vedere ogni giorno quel sito, incapace di gestirne da sola il sistema e obsoleto nei contenuti. Durante l’ultimo anno non vedevo l’ora di chiuderlo per togliermi quel peso, in questi giorni però, sarebbe scaduto il dominio e dovendo fare altre scelte, ho scoperto che un aspetto del sito mi manca. Mi manca il vecchio sito in html, quello colorato con le gif animate e i file midi stregosi (che ancora per un paio di giorni si può vedere digitando: win. materterra.it), mi manca l’epoca in cui c’erano “Il Sussurro delle Streghe”, ”Il Libro delle Ombre”, “Strega delle Mele”, “La bottega di Baubo” “Il Tempio di Febo”, “Corte Scontenti” e tutti i siti “pionieri” della Stregoneria on line fine anni ‘90…
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Il tempo passa, le cose cambiano ed è giusto che sia così, la chiusura del sito non ha certo cambiato il nostro essere “streghe nella vita di ogni giorno, anzi! Nel frattempo sono passati, l’ Equinozio di autunno con una celebrazione quasi commuovente e un’altra bellissima serata Ars Unguentorum, come sempre molto, molto. molto partecipata, ed è sempre un piacere parlare di incensi, resine, erbe, unguenti, oleoliti, olii essenziali, inchiostri, fatti da noi stessi, con persone così interessate e partecipative. Trovate questi eventi e le relative immagini, sulla pagina FB dell’ Accademia delle Arti Magiche di Torino
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Durante queste serate, non manchiamo mai di ribadire che in stregoneria, la parte della pratica erboristica e i suoi diversi aspetti, non può che essere meramente stagionale: dalla fine di febbraio a settembre ci occupiamo di cose che vanno dalla semina delle piante che ci interessano, alla loro cura, alla loro trasformazione, ma in questo periodo, essendo la Natura in una fase di riposo, per noi deve iniziarne una di introspezione durante la quale non ci perdiamo nell'inedia, ma, nell'attesa che arrivi il momento di fare candele, ci dedichiamo allo studio, all'approfondimento di un argomento in particolare, aggiorniamo e ampliamo gli erbarii, trascriviamo gli appunti sui nostri “libri”, facciamo un bilancio della nostra vita in quanto praticanti del culto a cui ci dedichiamo.
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Altra pratica a cui possiamo dedicarci in questo periodo anche in previsione della notte del 31 ottobre, è la preparazione degli inchiostri magici. Durante la serata quindi, abbiamo potuto sperimentare inchiostri ottenuti con la Phytolacca americana, con le bacche di sambuco, il nero fumo, l’inchiostro di Sangue di Drago e l’affascinante quanto laborioso inchiostro ferro gallico usato per secoli dai nostri avi nonché dagli amanuensi che miniavano i manoscritti negli scriptorium dei monasteri. Avrò le mani macchiate indelebilmente per sempre. :-D
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Intanto questo blog spesso langue (anche grazie al malfunzionamento di Tumblr che non mi salva i post che scrivo), ma da lenta, distratta e “perfezionista” quale sono, per scrivere un post come questo, mi ci vuole mezza mattinata (per poi magari perderlo per malfunzionamento del servizio), poi, non sempre succede qualcosa di interessante da lasciare ai posteri, quindi è meglio tacere. Per non lasciarlo proprio deserto condivido anche qui le stupidaggini che posto su instragram, almeno si capisce che sono viva. Ora ci dirigiamo veloci come un treno in corsa verso Calenda, Ognissanti... Sara
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08luglio2017 · 5 years
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Mi sento un giocattolo rotto.. uno di quei giocattoli usato.. e rotto in qualche modo..
Solo e inutile.. sto buttando gli anni migliori della mia vita dietro a nulla.. dietro a continue delusioni.. e sofferenze.. cosa mi resterà di tutto ciò? Niente.. so già la risposta.. e fa più male. Tutto ciò che voglio.. o a cui tengo.. o non mi sta vicino. O mi fa del male..
Io nonostante a tutto.. spero sempre che le cose cambiano.. ma la realtà.. le cose fatte, sono state fatte. E tutte ste cose, mi distruggono il cuore. Mi fanno male al cuore.. sento il cuore che mi piange.. deluso. Dalle persone e da me stesso. Che dopotutto questo tempo passato.. sono ancora a punto di partenza..
La vedo.. e il mio cuore batte.. ci guardiamo negli occhi.. e mi sale qualcosa.. la voglia di lei..la mancanza, i ricordi. I nostri momenti. Quell'8 luglio.. tutto quello che abbiamo passato insieme.. poi dopo.. penso. E mi ricordo tutto quello che è successo dopo e nel frattempo.. tutte le minchiate fatte.. e tutti i pianti e sofferenze che ho passato..
Sono in una lotta continua per cambiare tutto.. per poter Andare avanti.. magari portandomi dietro tutte queste sofferenze e delusioni.. ma in qualche modo devo farlo.. anche se mi Farà male., anche se mi Tormenterà a vita tutto ciò.. in qualche modo devo andare avanti.
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Benvenuti in: "Non riesco a scrivere, ma improvviso AU"
Per la serie - Ho le idee ma non riesco a buttarle giù. Non è esattamente un au esaltante, solo un human!au ispirato da "Le rose d'ogni mese" della Bottega Baltazar, ma spero vi piaccia lo stesso. A voi!
Ci troviamo più o meno, tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, in un paese delle montagne venete. In una casa, isolata rispetto alle altre, abita Giulia, vent'anni e ancora nessuna voglia di sposarsi.
Assieme a lei, vivono il fratello gemello Marco, gli altri due fratelli, le due sorelle e il nonno. La madre è morta di febbre quando erano ancora piccoli, mentre il padre è emigrato in Brasile, sperando di far fortuna.
Vicino a loro abitano anche tre dei quattro cugini - uno di loro, Karl, ha infatti preferito tagliare i ponti con il resto della famiglia e andarsene a Vienna, città natale della madre, per lavorare.
Giulia, avendo ormai la bellezza di vent'anni, si ritrova a dover rispondere continuamente alla domanda: "Ma quando te te sposi, tosa?"
Tranne Marco, nessuno sa quanto la ragazza non voglia minimamente sposarsi ora. Giulia mal sopporta l'idea di dover abbandonare tutti i suoi sogni - per lo più studiare e magari riuscire a prendere il diploma di scuola media - e il matrimonio le precluderebbe la possibilità di portarli avanti, dovendo occuparsi della casa e del marito.
Cosa che, tra parentesi, fa già da quando è morta la madre, assieme alle sorelle. E non è certo questa la piega che vuole dare alla sua vita.
Tra l'altro, in paese non ha esattamente una bella reputazione, visto che a quindici anni è stata vista dar un bacio ad un giovanotto con cui non era fidanzata.
La paura di dover cambiare casa sul momento era stata grande - nonostante ritenesse ridicola l'indignazione dei compaesani, non sapeva come i suoi tre fratelli e il padre avrebbero reagito. Per sua fortuna, il gemello è riuscito a calmare gli animi in famiglia e il padre, alla notizia, non ha potuto fare a meno di fare una grande risata e dirle che era tutta sua madre.
Anche se lo volesse, quindi, le premesse per sposarsi non sono esattamente ottimali, visto che quasi nessuno in paese sembra voler prendere in considerazione la possibilità di corteggiarla - per sua grande gioia.
Le cose cambiano una mattina quando, scendendo come sempre in paese con la cugina Valentina per andare al mercato, nota un giovane uomo che non è decisamente delle sue parti e non è neppure della sua stessa classe sociale.
Lo sconosciuto si accorge di lei quando la vide intenta a scegliere un mazzetto di fiori da portare sulla tomba della madre.
Inizia quindi a darle qualche consiglio, convinto si tratti di tutt'altro, ma quando Giulia si dimostra infastidita dalla cosa, non riesce a fare a meno di risponderle a tono e tornare a fare un giro in paese.
Da lì, le scenette si ripetono per la gran parte delle settimane successive, tanto da diventare un siparietto fin troppo noto e aspettato da tutti.
Nel frattempo, la ragazza inizia a ricevere di tanto in tanto, una rosa da un ammiratore segreto, cosa che tiene ben segreta, andando regolarmente a regalare il fiore alla madre. Non può evitare di mostrarsi lusingata, cantando in continuazione. L'idea di sposarsi non le piace, ma sapere di avere qualcuno là fuori che le vuole bene la rende comunque felice. È pur sempre una romanticona, sotto sotto.
In tutto questo, un Marco geloso - che si è accorto di tutto - ma non per la nuova conoscenza della sorella, ma per il fatto che lei e il suo nuovo "amico" gli stiano rubando la fama da attore improvvisato da paese.
Lo sanno tutti infatti quanto il giovane sia appassionato di recitazione, al punto da sognar di poter dare sfogo al proprio talento sui palchi più importanti del paese, ma sanno anche come abbia dovuto mettere da parte la sua ambizione per dedicarsi al mestiere di contadino e pastore per poter sfamare la famiglia.
Per sua fortuna, Giulia non ha la minima intenzione di rubargli il ruolo e per un po' decide di mandare la sorellina Diana a comprare i fiori per la tomba della madre.
Ciò non distoglie Marco dalla voglia di dirgliene quattro a quel demente che si permette il lusso di toglierli l'unica cosa che ha.
Scende quindi insieme a Diana e Valentina fin in paese, con la promessa di non fare nulla, ma una volta individuato il "colpevole" davanti alla bancarella dei fiori, non riesce a fare a meno di fare una scenata su quanto la debba piantare di infastidire la sorella.
Soprattutto ora che qualcuno stranamente ha deciso di farle la corte, se venisse a sapere la cosa lo spasimante della ragazza sarebbe tutto finito. Marco sa che un matrimonio, anche solo di convenienza, è qualcosa che metterebbe a tacere le malelingue del paese e spera che possa essere qualcuno che, se non assecondi, almeno non distrugga i sogni di sua sorella.
E il ragazzo delle rose segrete lascia biglietti molto gentili assieme al fiore - Giulia, non lasciarli in bella vista però, ringrazia il cielo che li trova lui e non il nonno!
Il "foresto" sentendo tutto quel discorso non può fare a meno di arrabbiarsi con il giovane.
Ma non per il motivo che crede lui.
No, è arrabbiato con lui perché è uno stupido ragazzotto arrogante, che davvero non sa fare uno più uno.
Insomma, ha pure una rosa in mano ora, ci vuole davvero tanto a capire che è lui l'ammiratore segreto?
Marco però è l'orgoglio fatto persona e non può fare a meno allora di dargli del codardo, visto che non riesce neanche a farsi avanti con la sorella. L'altro gli fa notare che non è esattamente la cosa più semplice da fare, soprattutto se la giovane in questione sembra detestarlo e le uniche volte in cui gli parla lo fa per stuzzicarlo e rivolgergli insulti velati.
Nulla, Marco capisce di essere un'idiota.
Le rose mandate davanti casa vanno avanti fino a quando Giulia non torna al mercato al posto di Diana. Da allora cessano di arrivare. Inutile dire che la ragazza un po' ci resta male, ma se ne fa una ragione: almeno la vicenda non è di dominio pubblico, no?
Sbagliato, perché suo fratello ha deciso di non dirle di aver fatto una scenata davanti a tutto il paese, quindi la giovane non riesce a spiegarsi perché, ogni volta che qualcuno la vede, sembra avere qualcosa da dire su di lei.
Non che non sia abituata, ma la cosa è aumentata. Molto. E anche se fa finta di nulla, come al solito, un po' la infastidisce.
Il tutto si sistema quando lo sconosciuto le regala una rosa proprio al mercato, recitando uno degli ultimi biglietti che erano allegati.
Giulia purtroppo non sa leggere - è per questo che i biglietti non li controllava mai e li dimenticava in giro - e quindi inizialmente non collega. Quando tutto inizia a quadrare, grazie ad un commento sarcastico dell'uomo, non riesce a crederci.
Come finisce? Non lo so, esattamente. Mi piace pensare che, una volta tornato al suo paese, il ragazzo abbia continuato a mandarle rose e, assieme a queste, un aiuto per farla studiare. Giulia potrebbe essersi sposata con lui, dopo esser riuscita a fare quello che le interessava maggiormente, oppure potrebbe non averlo mai fatto ed essersi trasferita lontano, nel tentativo di realizzare quanto le stava a cuore - o continuare. Oppure potrebbe essersi sposata e aver continuato a studiare, ma chi lo sa?
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pleaseanotherbook · 3 years
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I PREFERITI DEL MESE #19, #20, #21 e #22: Luglio, Agosto, Settembre & Ottobre
Ah, sono passati quattro mesi dall’ultima volta che mi sono seduta qui e ho iniziato a buttare giù il riassunto del mese precedente e mi sembra passato un secolo. L’estate è volata letteralmente via mentre le foglie hanno iniziato a cadere e ora ci ritroviamo in mezzo alla pioggia e al freddo. Questi mesi sono stati intensi e pieni e di certo sono felice di iniziare a vedere la luce, forse. Luglio è stato un mese di attesa in cui volevo risposte che tardavano ad arrivare ma nel frattempo ho passeggiato per Torino con due delle mie persone preferite. Sono anche riuscita a tornare a casa dei miei. Ad agosto sono riuscita finalmente a vaccinarmi in un rientro a dir poco rocambolesco. Mentre le ferie sembravano allontanarsi sempre di più invece che avvicinarsi e la burocrazia mi seppelliva sotto scartoffie e telefonate, abbiamo festeggiato un compleanno speciale ed è incredibile pensare a come cambiano le cose nel corso di un anno. A settembre finalmente mi sono goduta le ferie (la seconda dose del vaccino) e la consapevolezza che ce l’avevo fatta. Ho chiuso un capitolo importantissimo della mia vita per aprirne uno nuovo: il 20 settembre ho firmato il contratto per il mio nuovo lavoro e tutto ottobre è passato con un po’ di ansia da prestazione e il ritorno in ufficio in presenza cosa che mi ha lasciato senza parole e davvero non me lo aspettavo minimamente. Ed è così che abbiamo scavallato un altro mese e siamo quasi alla fine dell’anno con la consapevolezza che ormai ci siamo quasi, il Natale è arrivato a fagocitarci.
Comunque, per cambiare le carte in tavola e dare una rinfrescata a questo blog, da inizio anno ho deciso di portare qui su questo spazio di web una delle rubriche che più mi piace guardare su Youtube e che sostanzialmente dimostra che non mi so inventare niente, ma che amo inglobare nel mio modo di essere espressioni, modi e idee che mi colpiscono l’immaginario. “I preferiti del mese” è un format che forse non si presta molto alla parola scritta ma ci proviamo, che tanto se non funziona lo facciamo funzionare a modo nostro.
Enjoy!
MUSICA
La mia inossidabile playlist si è arricchita di nuove fantastiche tracce e ha perso qualcosa per strada, ma inevitabilmente ha visto accendersi il mio entusiasmo per quella che per me è la collaborazione del secolo. My universe dei Coldplay ft BTS (insieme a tutti i remix usciti quello di Guy Berryman e quello di Suga in primis) mi ha fatto urlare con la forza di un uragano (come si è sviluppata questa collaborazione è descritto brevemente in questo video e l’immagine di Jin che si entusiasma perché Chris Martin gli ha regalato la sua chitarra rimarrà per sempre impressa a fuoco nella mia testa).
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Questa estate ho ascoltato abbastanza compulsivamente anche Makumba di Noemi e Carl Brave. Ho scoperto Infinity di Jaymes Young e ascoltarla in loop è abbastanza semplice. All I know so far di Pink uscita quest’anno è stata una bella scoperta. La cover di Circle di Post Malone dei Of monsters and men vale davvero la pena di essere ascoltata almeno una volta. Mentre agonizzo con i mountain climbers sul tappetino da palestra risuona nel mio cervello Revolution di Neffex:
“I wanna start a revolution”.
LIBRI
In questi mesi ho letto diverse cose, magari non quanto avrei voluto, ma devo ormai fare i conti con il fatto che non ho più il tempo che avevo prima, che la mia vita è cambiata e per quanto ancora adori leggere non è più come prima. Uno dei libri che più mi ha colpito è La casa sul mare celeste di TJ Klune che ho letto dietro consiglio della mia amica Angharad. Me ne sono innamorata fin dalle prime pagine come non mi accadeva da un po’ con un libro fantasy… anche se definirlo solo così è semplicemente riduttivo. È una storia dolce e intrigante, che diventa un’esplosione di luce e calore anche quando tutto sembra perduto. È vero che a volte sembra non esserci via di uscita, ma è necessario non perdere la speranza, perché l’amore ci può trovare quando meno lo aspettiamo in modi che non avevamo neanche immaginato di incontrare.
FILM & SERIE TV
Sono tornata al cinema e ancora non riesco a capacitarmene. La pandemia aveva strappato via questa consuetudine e devo dire che mi aveva colpito relativamente il giusto. Al contrario di molte mie amiche non sono una grande appassionata di cinema, e preferisco magari guardare film sdraiata sul divano di casa. Sono andata a vedere quindi Dune al cinema con una mia amica. Si tratta di una storia distopica tratta dal libro di Frank Herbert uscito nel 1965, diretta da Denis Villeneuve.
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In un distante futuro l’Imperatore del mondo toglie la gestione del pianeta Arrakis dalla crudele casata Harkonnen per darla al duca Leto Atreides il cui potere e consenso inizia a crescere sempre di più. Arrakis, chiamato anche Dune, è l’unica fonte di una sostanza detta anche la “spezia”, presente nelle sabbie del pianeta, capace di fornire eccezionali capacità mentali e che rende possibile l’utilizzo dei viaggi interstellari. La spezia è ritenuta sacra dalla popolazione nativa di Arrakis, i Fremen per gli effetti che ha sugli esseri umani. Gli interessi su Dune sono elevatissimi, tutti vogliono il potere sul pianeta. Il figlio del duca Leto, Paul (interpretato da Timothée Chalamet) ha sogni ricorrenti, a tratti premonitori ed è stato educato da sua madre, Lady Jessica, in quanto strega Bene Gesserit (un gruppo di donne che sviluppa capacità mentali per il bene superiore e inevitabilmente per i loro scopi), a usare i poteri della voce e viene visto in lui il potenziale per essere l’eletto un individuo superiore capace di salvare l’umanità. L’arrivo su Arrakis è rocambolesco fin dall’inizio e la casata degli Atreides è messa in pericolo fin dall’inizio, starà a Paul che continua a sognare una ragazza Fremen (interpretata da Zendaya) a raccogliere l’eredità della sua famiglia e a trovare dentro di sé le risposte che cerca.
Il film ha una fotografia pazzesca, la luce, le inquadrature, il colpo d’occhio sono pazzeschi e lasciano a bocca aperta lo spettatore. Essendo la prima parte della storia, la trama lascia con molte domande, ma devo dire che riescono a condensare gli elementi principali senza che ci si perda troppo tra nomi di razza e consuetudini. È la classica storia dell’eletto, del buono che si erge dal male e che compie il suo viaggio di crescita e consapevolezza mentre si prepara per lo scontro finale da cui spera di uscire vincitore. Paul deve fare i conti con la perdita e i sacrifici, con le proprie paure e insicurezze ma alla fine ciò che conta è sempre lo spirito con cui si lotta, con cui si va avanti. Mi è molto piaciuto, super consigliato.
BEAUTY
Ah beauty non ho provato tantissime cose nuove ma vi voglio parlare di un paio di cose: dopo aver floppato con uno smalto giallo di Pupa, ho comprato uno smalto di O.P.I. di un colore magnifico che si chiama Kanpai (n8253) di cui mi sono innamorata appena l’ho visto. Io non sono una grande pro in fatto di stesura smalto ma devo dire che stendere questo è molto facile.
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Era da un po’ che volevo provare i prodotti di Espressoh e da quando ho scoperto che si possono trovare in Rinascente ho deciso di dargli una chance, a partire dal mascara, io ho preso la mini size di quello marrone, color Moka, che devo dire ha un effetto allungante che mi piace molto e un look molto naturale.
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CIBO
Ahhhhhhhhhhh riassumere il cibo di quattro mesi, come si fa a farlo? Potrei parlarvi della cena per il compleanno della Chia con i tortelli di zucca, degli innumerevoli pasti al coreano che ho fatto provare anche a Lorena quando è venuta a trovarmi ad ottobre, la cena all’egiziano di Halloween, tutte le merende buonissime con le mie adorate Merendine, tutti i cocktail che abbiamo provato (lo spritz Sorrento con il limoncello, mamma che buono) ma forse preferisco solo citarvi i tortellini che la Lo mi ha portato da Bologna e che ho mangiato con il primo brodo di pollo che mi sia preparata da sola. Assurdo come non avessi mai preparato da sola il brodo prima di questa occasione (se avete idee su come consumare gambi e gambi di sedano vi sarei molto grata).
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RANDOM
A questo giro nessuna notizia curiosa, ma alcune esperienze che ho vissuto in questi mesi che mi sono rimaste nel cuore.
Sono riuscita ad entrare nel Duomo di Milano, e soprattutto a girare sulle terrazze in cima al tetto. È stata una delle esperienze più emozionanti della mia vita. Guardare piazza Duomo dall’alto è una cosa da fare almeno una volta nella vita.
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Sono andata a vedere con le mie amiche la mostra di Monet a Palazzo Reale a Milano e mi è piaciuta un sacco. La mostra è curata da Marianne Mathieu ed è realizzata in collaborazione con il Musée Marmottan Monet di Parigi, da cui proviene l’intero corpus di opere. Ve la consiglio molto, ci sono dei pezzi molto interessanti e l’allestimento è molto curato.
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A Torino siamo riuscite a partecipare ad una bellissima iniziativa “Oper House Torino” che ci ha permesso di entrare in alcuni edifici privati che non sono quasi mai aperti al pubblico come il Palazzo della Luce. Sono luoghi incredibilmente affascinanti in cui perdersi e da visitare e che mi hanno lasciato a bocca aperta.
E voi che avete combinato negli ultimi mesi?
Raccontatemelo in un commento.
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tarditardi · 4 years
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ADW10 "Faccio After" / aiutiamoci tra noi
ADW sta per AllaDiscoWeekend...  Sono decisamente incasinato a scrivere l'eBook benefico "Faccio After". Spero di pubblicarlo all'inizio di giugno. A chi andranno i soldi? Solo e soltanto a dj ed artisti dell'intrattenimento in difficoltà. L'ebook costerà 10 euro. Come sceglierò a chi donare i (pochi) soldi raccolti? E' l'unico tassello che ancora mi manca ma pian piano sto capendo come fare e cosa fare, ovviamente di testa mia e mettendoci la faccia.
Purtroppo, oggi non c'è, ripeto non c'è, un'associazione che aiuti dj ed artisti in difficoltà. Ci sono diversi sindacati di dj, c'è il SILB, c'è Asso Intrattenimento, ma a differenza del Nuovo Imaie o SIAE, che almeno un po' i loro associati li aiutano, nessuna associazione di artisti, dj e simili oggi ha le spalle così larghe da poter aiutare chi è nella melma.
"Faccio After" nasce per questo. L'idea è quella di dare nuovi stimoli creativi a chi sa far divertire e nel frattempo aiutare chi, in tempo di pandemia, non sa affatto quando potrà riprendere a lavorare. Per troppi anche solo i 600 euro promessi dallo stato non sono che un miraggio. Io (che verso l'INPS con regolarità dal 1996) per ora non li ho visti, ma posso farne a meno, per ora. Tanti, tantissimi no.
E siccome "Faccio After" sicuramente non incasserà abbastanza per dare un aiutino anche solo simbolico a tutti quelli che ne avrebbero bisogno, l'idea principale è soprattutto quella di aiutarci tra noi. Telefoniamo a quell'amico che già faceva poche serate a gennaio, a quel collega bravo ma un po' sfortunato, a quel titolare che aveva già i debiti a gennaio... Una chiamata e magari, perché no, un piccolo aiuto economico, cambiano l'umore. Danno speranza. Può tornare la voglia di fare. C'è già chi sta facendo queste cose, il mio è solo uno stimolo in più.
E, piccolo dettaglio, come cappero sarà "Faccio After"? Sarà un manuale "completo", dalla A alla Z, per diventare meglio di David Guetta o magari fare qualcosa di più divertente con meno concorrenza. Tipo il dj resident, il performer, la ballerina o il ballerino, il door selector, il vj, il social media manager, il PR, l'art director, il comunicatore per dj, festival, il badante ovvero il personal manager... Sarà una roba tutta da ridere, molto seria quindi. O viceversa.
Ci saranno tante star,  del mixer  e non, e ci saranno le idee di professionisti che possono rappresentare un bello spunto per chi inizia o vuol ripartire. Chi vorrà dare il suo contributo scrivendo o facendosi intervistare ci sarà, con le sue stesse parole, altrimenti di quelli che credo contino scriverò comunque... Ad esempio, Lorenzo Jovanotti, Vasco Rossi e Gigi D'Agostino ci saranno senz'altro, se vorranno scrivere due righe di loro pugno ancora non so. Ciò che so e penso di loro credo possa essere utile e pure divertente. Il punto è che solo chi sarà presente in "Faccio After" conta qualcosa. E quindi tutti gli addetti ai lavori dovranno comprarselo per sapere se la loro vita ha un senso.
Sulla mia stendiamo un pietoso velo. La bella ragazza che vedete qui, fotografata ad un party Vida Loca, non ci sarà, in "Faccio After" ed è un vero peccato.
Lorenzo Tiezzi x AllaDiscoteca
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SPECIAL ADV SECTION CHE TI FA BALLARE MOLTO HOUSE CON MODUS DJ
E’ in arrivo Modus Dj feat. Andrea Love - Come On and Go With Me (Purple Music) - quando? Presto... intanto puoi cliccare https://www.mixcloud.com/modusdjofficial/ e ballare e/o molto bene.
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AllaDiscoteca.com e AllaDiscoWeekend sono pubblicati da ltc - lorenzo tiezzi comunicazione lorenzotiezzi.it
Vuoi leggere tutte le AllaDiscoWeekend? Eccoci!
ADW10 (quello che stai leggendo): bit.ly/ADweekendok10
AllaDiscoWeekend9 / Chi fa divertire ha bisogno di aiuto  - UDJ x ITALY - bit.ly/AllaDiscoWeekend9
AllaDisco8 che fine faranno tutti coloro che lavorano tra spettacolo e intrattenimento nella mitica Fase 2? bit.ly/AllaDiscoWeekend8
AllaDiscoWeekend7: 4,3 milioni di ragazzi che non ballano più & top dj “in cattività” bit.ly/AllaDiscoWeekend7
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AllaDiscoNews4 20/03/20 Musica dai balconi, dj set in streaming (…) http://bit.ly/AllaDisco4-balconi-djsetstreaming-SIAE
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AllaDiscoNews2: 6/3/20 -  Locali e concerti fermi (…) https://www.alladiscoteca.com/post/611832204290637824/locali-e-concerti-fermi-ideuzze-sostegni
AllaDiscoNews1: 28/2/20 - Di notte e divertimento non si parla mai (…) https://www.alladiscoteca.com/post/611220565039202304/di-notte-e-divertimento-non-si-parla-mai-anche-ai
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nuvoleverticali · 4 years
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11/11
L’ultima vita, meravigliosa La sera, tornato a New York, sono andato a Broadway per ascoltare Bruce Springsteen in teatro. Il Walter Kerr è una delle bomboniere intorno a Times Square. Il pubblico aveva, più o meno, l’età dell’artista: quasi tutti sopra i sessanta. Molti erano spettatori seriali, avevano visto decine, addirittura centinaia, di concerti nel mondo. Non so che cosa facessero nel tempo libero. Il mio vicino era a quota 287 e aveva una delle chitarre di Springsteen tatuata sul braccio. Non era un teatro, piuttosto una chiesa. Non un pubblico, un’adunata di fedeli. E non un concerto, nemmeno una messa, ma un incontro tra due anime, una individuale e l’altra collettiva, una lunga confessione a tratti accompagnata dalla musica, inevitabile prodotto – molto più che colonna sonora – del racconto. L’artista ha parlato a lungo dei suoi genitori e del loro amore sbilenco: lui sempre furioso con il destino, lei sempre pronta per il prossimo ballo. Ha raccontato la sua irresistibile voglia di correre lontano dalla trappola dov’era nato per poi finire a vivere a dieci chilometri da lì. Ha ricordato tutti quelli che ha perduto, con slanci d’affetto. In sostanza: la vita e la morte. Ogni raccolta di canzoni, ogni dipinto, ogni libro, ha questo per tema di fondo. Un libro di viaggi è un libro sulla vita e la morte. Un libro di cucina è un libro sulla vita e la morte. Questo è un libro sulla vita e la morte. A essere più precisi, un libro sull’ultima vita prima della morte. Siccome non puoi sapere quando morirai, tocca a te decidere quando sei entrato nella fase finale, poi può durare un anno o trenta, non è quello il punto. È la fase in cui superi le incertezze, cancelli dal retrovisore il rimpianto, sei a posto. Se non ci arrivi, vuol dire che sei morto prima e hai continuato a camminare come uno zombie in una serie televisiva registrata, che ti sei dimenticato di guardare. Tempo sprecato. Hai vissuto invano, confessalo pure. L’ultima vita è quella in cui non hai più tempo da perdere, non importa quanto te ne resti. Nel film di Paolo Sorrentino La grande bellezza, il protagonista Jep Gambardella, interpretato da Toni Servillo, lascia anzitempo la casa di una futile conquista e declama tra sé: “La più consistente scoperta che ho fatto pochi giorni dopo aver compiuto sessantacinque anni è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare”. Ci ha messo molto, ma ci è arrivato. È come arrivare all’ultimo amore: smetti finalmente di perdere tempo, trovi un senso, non ti tormenti più. Non è una questione di età, ma di consapevolezza. Non ogni amore produce questo effetto, esiste una differenza tra un grande amore e un amore definitivo. Così come tra il picco più alto di un’esistenza e quello in cui ci si assesta e, alleluia, si sa chi si è. Si tende a credere, perché te lo fanno credere, che la vita abbia un percorso “morale” predefinito, un po’ come quello fisico. Il più diffuso dei luoghi comuni è quello per cui “si nasce incendiari, si finisce pompieri”, tradotto politicamente con “se hai vent’anni e non sei rivoluzionario non hai cuore, se ne hai quaranta e non sei conservatore non hai cervello”. Perché non il contrario, perché non morire rivoluzionari e rivoluzionati? E perché sprecare sessantacinque anni a fare cose che non ci andava di fare, con il rischio di continuare a cambiare senza mai diventare noi stessi, ma soltanto proiezioni e brutte copie? Proprio perché ho cambiato molto, ho anche cominciato a diffidare di chi non smette di farlo. A un certo punto subentrano svolte che sanno più di matrimoni d’interesse che d’amore. A cinquant’anni diventi un liberista moderato perché hai la seconda casa, o viceversa un contestatore furioso perché hai perso il posto di lavoro a causa di una crisi di mercato. Ti scopri una fede politica in cambio di un incarico di sottogoverno o un posto nella pubblica amministrazione. A settant’anni ti converti perché hai paura di morire, a venti perché hai paura di vivere. È vero: solo gli idioti non cambiano mai idea, ma lo sono altrettanto quelli che la cambiano sempre. A un approdo devi arrivare. Come? Come in tutte le scelte della vita: intanto, procedi per esclusione. Nel romanzo di Dave Eggers Eroi della frontiera ho sottolineato questo passaggio: “Le si svelò una verità: gli uomini anziani non sono confusi. Non vanno in sette direzioni diverse. Un pensionato sa che cosa non vuole, e per chi di noi è stato ridotto in polvere una, o anche più volte, e ha trovato comunque il modo di tirare avanti, sapere che cosa non vuoi è molto più importante che sapere che cosa vuoi”. Sottolineato due volte: Sapere che cosa non vuoi è molto più importante che sapere che cosa vuoi. Occorre davvero diventare anziani, andare addirittura in pensione, per riuscirci? Come occorre il trauma (essere ridotto in polvere una o più volte) per capire che cosa è importante? Non possiamo fare uno sforzo d’immaginazione e smettere molto prima di andare “in sette direzioni diverse”? Smetti di provare nuove droghe, hanno un effetto comune: ti rendono schiavo. Smetti di cercare un’altra religione: vedi sopra. Dopo due incontri al buio con persone conosciute su internet, il terzo che incroci ti ammazza o vorresti ammazzarlo tu. Stai bene con il bianco, con il blu, con i due colori abbinati, lascia perdere i pantaloni rossi, le giacche verdi, i maglioni grigi e, soprattutto, i calzini fantasia, la fantasia non si calpesta mai. Se non sopporti più la metropoli vai a vivere in campagna. Se la campagna ti ha estenuato di grilli, non uccidere l’usignolo, trasferisciti in città, ma lascia perdere l’andirivieni selvaggio e i ripensamenti notturni alla luce dei fari. Fermati, prima di diventare un Barigazzi in servizio permanente. Se, come elettore, hai votato per tre partiti diversi, non dare la colpa a loro, e soprattutto non dire che i politici sono tutti uguali – lo sono per te. La storia delle dottrine politiche, come quella degli individui, propone un numero limitato di modelli tra cui scegliere. Se continui a sperimentare e non ti accorgi di essere ripassato dal via, il problema sei tu. Non inventeranno un nuovo modello di individuo o di società apposta per te, dovrai scegliere tra quelli esistenti, con le opportune variazioni di colore, interni e qualche optional. Se pensi che il punto sia fartela piacere, sei fuori strada. Il punto è: piacerti, riconoscerti in quello che sei diventato, proporre una versione evoluta di te stesso, dando un senso a tutti i tuoi errori, senza mai giustificarli. Se non hai sprecato gli anni arriverai all’ultima vita (il più in fretta possibile) e la farai durare (il più a lungo possibile), accanto al tuo ultimo amore. Indecisione e illusione sono avversarie della felicità. Mi affiora un ricordo lontano, che con l’amore ha a che fare poco, un po’ sì, ma molto poco. Ero in Germania per seguire i Mondiali di calcio del 2006 e mi trovavo per qualche giorno a Francoforte. Nella strada parallela al mio albergo sorgevano quattro palazzi di cinque o sei piani completamente adibiti a bordelli. Per curiosità una sera entrai nel primo, accodandomi a una rumorosa comitiva di tifosi olandesi. L’edificio era scarno, come fosse incompleto o in corso di abbandono. I pianerottoli erano nella semioscurità e su ciascuno si affacciavano una decina di porte. Su quelle aperte sostava una prostituta retroilluminata che invitava a entrare. Primo palazzo, primo piano, tutti proseguivano per vedere che cosa poteva riservare il secondo piano, il terzo, l’ultimo, il palazzo seguente, dal basso all’alto, il terzo, il quarto. Le gambe si stancavano. Le facce e i corpi visti si confondevano. Come in quei giochi di memoria in cui si sparpagliano sul tavolo le carte coperte e devi accoppiarle alzandone due alla volta, ognuno cercava infine di ricordare dove avesse visto la maliziosa malese o la procace bulgara con cui avrebbe voluto congiungersi, ma era impossibile riuscirci. Terzo piano del secondo palazzo o secondo piano del terzo? Bisognava prendere un appunto, come quando si lascia l’automobile nel garage multipiano di un centro commerciale. Potevano fare le strisce colorate sui muri almeno, no? Tornare indietro era una dannazione, perché magari s’indovinavano palazzo e piano, ma la porta nel frattempo si era chiusa per l’arrivo di un indigeno esperto e deciso. Gli olandesi continuarono a vagare, avanti e indietro, su e giù, cercando la perduta dea della perfezione o qualcuna che le somigliasse. Invano. Non ritrovandola, finirono per uscire, sedersi all’esterno di un bar tristemente essenziale, sotto ombrelloni colorati nella notte tedesca, e ordinare un giro di birre. Ci sono tre pericoli sulla strada: fermarsi prima di partire immaginando che il percorso riserverà amarezze, modello Kierkegaard; fermarsi alla prima stazione per paura del dopo, della solitudine o di James Dean; non fermarsi mai e morire vagando in un bordello multipiano di Francoforte inseguendo una divinità su misura, un movimento politico di duri e, soprattutto, puri – la porta aperta oltre la quale sta la perfezione altrui, miraggio per non riconoscere il deserto in se stessi. Bruce Springsteen racconta: “Sono stato laggiù nel deserto, cercando nella polvere, aspettando un segnale. Inseguendo un miraggio, guidando tutta notte molto presto prenderò il controllo della situazione”. E a quel segnale, sulle note di Promised Land, la terra promessa, entra silenziosamente sul palco Patti Scialfa, la donna promessa, seconda moglie, ultimo amore. Si conobbero giovanissimi. Lui la respinse a un provino, ma più tardi la accolse nella band. Mentre si esibivano insieme era evidente a tutti, da subito, la chimica che li univa. Eppure lui sposò un’altra. Impiegò otto anni per disamorarsene e correre, finalmente, da Patti. Hanno avuto i loro alti e bassi, come è normale che sia, ma ora è acqua passata, appaiono inseparabili e perfetti mentre, ancora insieme, suonano la stessa musica. Niente potrebbe essere più simbolico, alla fine di un percorso: avere imparato a suonare la stessa musica. Ho detto all’inizio che l’amore non si può racchiudere in una definizione, ma soltanto in una storia, forse. O in una serie di storie. Per l’ultimo amore esiste una possibilità. La trovai nella primavera del 2003, in una libreria di Beirut, sfogliando il libro più venduto in una lingua che conoscessi, un testo in inglese dal titolo: The Last Migration, l’ultima migrazione. Autore: un tal Jad El Hage. Era un romanzo autobiografico. Il protagonista lasciava il Libano durante la guerra civile e iniziava un lungo esodo a tappe che lo portava in vari Paesi, in una prigione, in un ospedale dove si curava il cancro. Francia, Canada, Svezia, Australia. Attentati falliti, vendette sfiorate, nostalgia. Si sposava, aveva un figlio, si separava. Emigrava, lottava, soffriva. Infine tornava in Libano e conosceva la donna con cui fermarsi, in una casa di pietra fra le montagne, vicino a quella che fu la residenza del poeta Khalil Gibran. Pacificato infine, Jad El Hage scriveva: “Love is the end of waiting”, l’amore è la fine dell’attesa. Quando lessi quella frase mi fermai, come accade di fronte alla possibile soluzione di un enigma. Ecco. Forse ci siamo. Basta aggiungere un aggettivo: l’ultimo amore è la fine dell’attesa. Tu vivi aspettando qualcosa che ti tolga l’affanno, ti faccia smettere di cercare, di pensare che esista un’altra, migliore possibilità. Di stare alla fermata della metropolitana e guardare le porte chiudersi, i vagoni affollati, i volti ai finestrini, con un misterioso rimpianto, come se tra quelli che irrimediabilmente fuggono via potesse esserci quello giusto, soave, definitivo, quello che aspettavi da una vita, la fine dell’attesa. Smetti di aspettare non quando perdi la speranza, ma quando l’hai trovata. Quando non ti giri più a guardare chi va nell’altra direzione sulla scala mobile. Quando non invochi più il domani perché domani è adesso. Quando non hai più paura di morire perché hai vissuto. A pacificarti possono essere soltanto l’amore o la morte. Meglio l’amore, no? Per un’altra persona, per una causa, per gli altri, alla fine per te stesso, ma in un modo nobile e duraturo. Ho poi conosciuto Jad El Hage: aveva baffetti inaffidabili e si rivelò corrispondente alla fisiognomica. Tuttavia, lasciando Beirut lo abbracciai: non serbavo rancore, non avrei avuto nostalgia. Anch’io migravo un’altra volta. Non avevo idea se e quando l’attesa sarebbe finita. Me ne andai che era notte, pensando che in volo l’alba sarebbe arrivata prima, che in un certo senso le stavo andando incontro, che stavo accorciando la notte. Amo la notte, soprattutto se è estate alle Isole Lofoten, in Norvegia, e non devi aspettare che arrivi la luce: è sempre con te. Le Lofoten d’estate, il luogo della luce permanente. È sempre la stessa storia, è sempre lo stesso viaggio, non a caso diciamo di quando nasciamo che veniamo alla luce. Poi camminiamo a zigzag, inciampiamo, prendiamo scorciatoie sbagliate e finiamo in vicoli oscuri, dove proviamo a innamorarci del buio. Ci agitiamo, non stiamo fermi un attimo, procedendo verso quella che abbiamo immaginato come l’oscurità definitiva, la perenne notte nera. E se avessimo sbagliato proiezione? Una sera al tramonto mi trovavo su una spiaggia della Virginia, a Cape Charles. Decine di persone intorno a me erano sedute sulla sabbia e guardavano l’orizzonte cambiare colore: un altro teatro-chiesa, un altro spettacolo-cerimonia. A pochi passi da me una madre stringeva il suo bambinetto, gli indicò la luce rosa che invadeva il cielo mentre il sole sprofondava nell’acqua e gli disse: “Vedi, è lì che sono tutti, è lì che andremo tutti, non saremo persone, ma faremo parte di quello...”. Il figlio la guardava incantato. Sarebbe meraviglioso se anche finire fosse un altro modo di venire alla luce. Al termine del concerto Bruce Springsteen non saluta con una canzone. Fa una cosa inattesa. Dice a tutti di evocare le persone che hanno perduto, garantisce che sono lì, intorno a noi, la loro energia come luce. China lo sguardo e invita a seguirlo, non in un ritornello familiare ma in una preghiera. Credo che tutta la nostra esistenza sia una preghiera, che tocca a noi esaudire. L’ultimo amore è una grazia che non viene concessa, ma conquistata. L’ho vista negli occhi di Alvin e Gertrud, in quelli dei miei genitori, in quelli di Lana, ma soprattutto in quelli di Carlo, che stavano entrando nell’oscurità, per andare incontro alla luce. Senza affanno, senza paura, senza fine.
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biby-lr · 4 years
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Ne mancano solo due.
Non sono solita scrivere cose sui social, e chi mi conosce, sa che non sono solita parlare di ciò che provo, ma stasera mi andava di farlo, magari ad un pubblico che probabilmente non esisterà ma che per me sarà comunque fin troppo.
Sette mesi fa ho scoperto di avere un tumore, un linfoma, anche grande, diamine sembrava una palla sul collo e io non me ne ero neanche accorta! A volte si è proprio ciechi, suppongo. E’ stata una bella batosta. Ho dovuto abbandonare una vita che amavo, degli amici, delle persone speciali, le mie abitudini, i viaggi, tutto. Spesso non ti dicono qual è il reale prezzo che un malato deve pagare solo per poter tornare a fare quelle cose basilari che tutti facciamo, quanto si complica la vita quando inizi le terapie che sì, sono tutte studiate per farti stare meglio, ma diamine che cazzo si lasciano dietro, cosa ti lasciano dentro, si prendono un pezzo di te, è vero, non sono melodrammatica, ho cercato sempre di affrontare tutto col sorriso, con una marcia in più, perchè non puoi fallire e soprattutto perchè io non sono una che fallisce, ma credetemi, sopportare tutta questa merda diventa un macigno sulle spalle. Curioso come le parole di mia zia, prima che iniziasse tutto, siano state ‘ora queste belle spalle devono essere larghe’. Io, Atlantide. Quanti rospi da dover mandare giù! E loro giù non vogliono starci!
Il tumore dicono che ti cambi, cambi il modo di vedere il mondo. Non so quanto sia vero. Io mi sento sempre la stessa persona, ma ci è voluto del tempo per capirlo, o forse non l’ho ancora capito. Una parola che ha segnato il mio tumore è stata ‘rimpianto’ perchè ogni volta che pensavo che questa malattia avrebbe potuto uccidermi, non riuscivo a fare a meno di pensare a quante cose ancora non avessi fatto: dare un bacio, vedere il Giappone, una vacanza da sola, un ragazzo con cui poter condividere tutto. E sono cose che ti danno fastidio perchè cambia la percezione che hai di te stessa: il tuo corpo cambia e cambiano le cose che ti permette di fare - non ti permette di fare un bel niente, non risponde quasi, all’inizio mi sentivo come una giovane intrappolata nel corpo di un’ottantenne, quella voglia di fare, di fare qualsiasi cosa che sia qualcosa e riuscire a stento ad alzarsi dal letto per andare in bagno, e sì, io sono stata che fortunata perchè la mia chemio è durata poco, ma non potevo smettere di pensare a quanto mi avesse tolto.
Innanzitutto l’immagine di me stessa. Mi sono sempre ritenuta una donna forte ed indipendente, e all’improvviso mi sono ritrovata ad essere uno straccio da dover essere raccolto da terra e posizionato piano su un letto, avendo cura di non stropicciarmi o di non parlarmi troppo. Non mi piaceva che le persone mi dicessero che tutto sarebbe andato bene, è un’affermazione straziante per chi sta male - è come se annullasse tutto quello che uno prova in quel momento, come se volesse sminuire il dolore che uno prova perchè ‘alla fine tutto andrà bene’, beh la mia risposta allora è sempre stata ‘sì, ma nel frattempo fa tutto schifo’ perché è vero, è così; ma non puoi farlo sempre, spesso devi tirarti su e stamparti un sorriso sulla faccia, raddrizzare quelle quattro ossa e far finta di stare bene, perché c’è gente intorno a te che soffre perché tu soffri e tu puoi fare qualcosa per farli stare più tranquilli, puoi far finta di aver dormito come un ghiro, che le lacrime non siano scese per tutta la notte sul tuo viso allagando il cuscino, che il cuore non ti sia esploso nel petto ad ogni battito.
La cosa che ricordo più vivamente è la settimana prima del responso ufficiale. Tutti mi stavano intorno, non in modo oppressivo ma avevo tutta la famiglia accanto, eravamo sempre a casa di mia nonna e giocavo spesso alla play con mio padre, cosa che per inciso succede una volta ogni dieci anni se tutto va bene, mi sembrava quasi di essere al centro di una formazione protettiva e che tutti volessero proteggermi a loro modo dal cattivone della situazione. Purtroppo non potevano. È stato anche il periodo più brutto perché ogni notte non dormivo, pensavo a cosa ne sarebbe stato, cosa sarebbe potuto succedere dopo, io che dormo anche se fuori ci sono le cannonate (ecco ora il mio sonno è molto leggero, non è più tranquillo come prima).
La prima chemio, ricordo che non mi faceva paura perché ero curiosa, insomma si parla tanto di chemio anche nei film ma io non avevo mai realmente capito di cosa si trattasse, e così ero curiosa di capire. E poi ti mettono un’ago nel braccio e ti cambiano un numero infinito di sacchetti, e pensi che tutta quella roba ora è dentro di te: no, non è come pensare ’evviva sono arrivati i rinforzi!’ No, non senti nulla. Una sensazione che ricorrerà ad ogni mia chemio è questa: è come se la mattina entrassi in quella stanza con tutta la gioia del mondo e ne uscissi prosciugata e debole, come se quella medicina cancellasse la mia felicità, la mia voglia di fare -che poi effettivamente è quello che faceva: mi rendeva sonnolente per tre giorni, nausea, dolori atroci, vomito, e poi iniziavo a non dormire, a non concentrarmi, a sentirmi stupida perché non riuscivo ad avere neanche la concentrazione per rileggere un libro che conoscevo a memoria. Gli effetti della prima chemio durano poco, però. In meno di una settimana ero tornata come nuova e in effetti non volevo tornare per il secondo giro, perché sembrava un po’ come quando ti si toglie il raffreddore e stai bene e il mondo ha di nuovo dei colori, degli odori, dei sapori e tu cosa fai? Torni in ospedale per riprendertelo? Sembrava che ogni volta miricrescessero della ali e potessi tronare a volare dovunque mi sarebbe piaciuto, ma poi ogni quindici giorni dovevano mettermi l’ago e recidermi le ali.
Cambiano i sapori, cavolo. Chi diamine l’avrebbe detto, chi se lo saprebbe aspettato? Tutto ciò che mangi sembra che abbia lo stesso sapore. E io sono rimasta traumatizzata. Perchè un conto è la nausea, che non ti fa tenere nulla nello stomaco, e te ne fai una ragione, perchè sì, ma poi quando stai un po’ meglio e puoi tornare a mangiare, niente è come prima, e questo un po’ mi rattristava perché io sono molto legata al cibo, il cibo è per me, la massima espressione: mangio se sono contenta, se sono triste, cucino se voglio dire qualcosa che non riesco a parole: mi sono sentita privata di un mezzo d’espressione che era stato mio per tuttta la vita e che negli ultimi anni avevo imparato a gestire al meglio. E magari per gli altri può sembrare una cosa superflua ma per me è stata davvero sconvolgente, mi faceva deprimere perchè non avevo nulla su cui puntare, mi sembrava tutto inutile.
Ciò non implica che non ci siano stati momenti belli. Una cosa che ho voluto fin da subito chiarire con me stessa, è che il cancro non è una fase: non è il mio Medioevo, è solo una parte della vita in cui si sono concentrati parecchi eventi negativi, ma ci sono state anche delle cose belle: mi sono rasata i capelli, era una vita che ci pensavo e nonostante avessi paura di vedere solo una malata allo specchio, in realtà non è stato così, mi sono sentita empowered (non mi viene in italiano); o ancora il maglione natalizio, il Natale che è stato bellissimo -ho fatto l’albero di natale tutto da sola, mi ci sono voluti tre giorni e parecchi riposini ma ce l’ho fatta-, ho conosciuto tante persone eccezionali che mi hanno offerto piccolo spiragli all’interno dei loro mondi ed è anche grazie a loro che non sono diventata matta; ho scoperto di essere brava con l’uncinetto e così ho realizzato tantissima roba con la lana. I momenti felici sono stati pochi, è vero, però forse li ho apprezzati di più perchè ho dato loro la giusta importanza.
Ecco, il tumore mi ha aiutato a capire le persone. Mi ha aiutato a mettermi nei loro panni. Perché se il tumore fa soffrire te, fa stare anche peggio chi ti sta attorno. Sembra una pubblicità progresso. Però è vero. Il mio dolore è stato diverso da quello che per esempio ha provato mia mamma nel vedermi così. Spero solo di essere riuscita a far capire a tutti coloro i quali mi sono stati attorno che, nonostante i momenti bui io sono sempre qua, pronta a combattere. Riuscivo a capire, a percepire, sentire quando qualcuno stava male attorno a me, credo che sia una specie di super potere ora, il che non è di conforto, perché io sono sempre stata sensibile, questo nessuno può negarlo, però prima riuscivo a tirare su un muro tra me e il mondo e non mi facevo così tanto male. Ora invece le emozioni vanno ovunque, buone e cattive, corrono all’impazzata e non riesco proprio a contenerle, diamine piango per ogni minima cosa. Forse però è un modo per apprezzare in maniera più sincera il mondo, senza filtri, senza troppa paura di farsi male o di mostrare agli altri le proprie debolezze. Non so, qui devo ancora lavorarci su...
Okay ora pausa doccia, poi torno sperando che Tumblr non butti la bozza.
Allora, dov’eravamo? Le persone, mi sembra. Non crediate che ci sia un filo logico, è un puro flusso di coscienza questo, uno sfogo personale. Non lo rileggerò neanche prima di pubblicarlo. Allora le persone. Ho capito da chi stare lontano. Chi mi era distante e chi davvero vicino. Ora vorrei parlare di una persona, una molto speciale. Oddio, non pensate subito ad una cotta, è “solo” la mia migliore amica. Solo l’ho scritto così perché è molto di più. Ma MOOLTO. Ogni volta che vorrei parlare di lei resto sempre senza parole perché lei ne è talmente tante che non saprei da dove iniziare. Quando ho scoperto del tumore non sapevo se dirglielo o meno. Non volevo farla soffrire. Poi ho pensato che magari non avrebbe sofferto perché potevamo non essere così legate come pensavo io, non so faccio un po’ schifo nei rapporti umani. L’ho incontrata in università, ad una lezione dove non capivamo una mazza (colpa del prof, ovvio). Ci siamo rincontrate per caso e poi lei a pranzo ha iniziato a parlami del suo ex, ed è stato come un fiume in piena. Ha iniziato a parlare e sembrava che non volesse finirla più. Le prime volte che ero con lei tornavo a casa stanca e dovevo rimettere a posto ogni tassello di quanto mi raccontava, un piccolo recap personale. Era sempre gentile. Anche quando era stressata o incazzata per il lavoro, o perché il fratello le aveva combinato qualche pasticcio da dover pulire. È piccolina ma ha un cuore grande, grande. All’inizio non la capivo. Mi sembrava un alieno perché lei sentiva tanto con il cuore, lo fa ancora. E suppongo che questa sia un’arma a doppio taglio. Piano piano abbiamo trovato un modo per funzionare e io, quel giorno a linguistica, non avrei mai immaginato di trovare una persona così importante. Cavolo io voglio fare un tatuaggio con lei, roba che non sono mai sicura di niente, ma di lei sì. Alla fine le ho detto del tumore. Vorrei tanto averle potuto risparmiare un po’ di dolore, avrei voluto donarle un po’ di tranquillità in questi mesi passati, invece mi sembrava di oberarla di preoccupazioni di cui sicuramente non aveva bisogno. Lei mi è stata accanto. Sempre. E più ci rifletto, più mi commuovo. Nonostante lei non sia stata qui con me fisicamente, è stata una delle presenze più tangibili che abbia avuto accanto. Anche solo scambiare due chiacchiere con lei mi rallegrava. E mi dispiaceva per tutte le volte in cui non riuscivo a prendere il telefono e rispondere perché stavo male e non mi andava di parlare, mi dispiaceva perché sapeva che stavo male e io sapevo di farla preoccupare. Mi manca un sacco. Mi manca andare al sushi con lei. Mi manca studiare assieme a lei. Oppure prendere la metro e lamentarsi della gente che è disgraziata. Oppure andare in discoteca, o bere assieme e cantare i cori da stadio per la città. Pranzare assieme in università, quando lei si portava solo una scatolina di quella specie di formaggio e diceva che le bastava, oppure la frutta, mangia sempre frutta, mentre io portavo sempre la pasta. Mi sembra di aver perso cose che non potranno tornare più. Però mi rallegro al pensiero che magari ce ne saranno di più belle. Perché io le voglio bene davvero, e cercherò di fare di tutto per lei. Io sono la sua spalla, può poggiarsi a me anche se adesso non è che mi mantenga poi tanto bene, ma ce la faccio. Vorrei trovare un modo per farle capire di star serena, che tutto andrà bene, anche se adesso è un po’ buio il suo mondo. Il tempo appiana tutto ed è proprio da come reagiamo alle cose che costruiamo noi stessi. Mi piacerebbe davvero capire come fa a fare tutto di pancia, io che resto bloccata sempre nella mia mente. Spero di poter imparare tante cose da lei. E se per caso dovessi leggere questa cosa, ah che imbarazzo, ma la maggior parte delle cose le sapevi già, sai già quanto ti stimi e quanto ci tenga a te e quanto creda in te. Molte cose ci hanno divise in questi mesi, ma siamo sempre rimaste luna accanto all’altra e spero di poter transcorrere così il resto della mia vita, perché con un’amica come te al mio fianco sarebbe tutto più bello.
Ultimamente ho iniziato a pensare che mi sarebbe piaciuto conoscerti prima, per poter condividere con te anche l’infanzia, per poter davvero dire, una volta vecchia, io la conosco da una vita! Vorrei aver trascorso con te l’adolescenza, mi avresti spinta a imparare ad usare i tacchi e a mettere i vestiti invece che le felpe, e io ti avrei contagiata con le serie tv, te ne avrei proposte a centinaia ma te ne avresti forse vista una. E sai quante cose che avremmo potuto cucinare assieme? Magari non avremmo dovuto aspettare i 21 anni per mangiare dei panzerotti assieme! E poi chissà se già prima eri un piccolo grinch? Sicuramente ti avrei invitata a casa a fare con me l’albero di Natale, perché l’ho fatto spesso con le amiche.
Quello che era iniziato come un post di sfogo si è lentamente trasformato, in non so cosa però. La prima frase è “ne mancano due” o qualcosa del genere. Mi mancano due giorni di radioterapia e poi sarà finito tutto. Ma lo sarà davvero? O vivrò sempre nell’ansia che possa tornare? Nell’ansia di dover vedere la mia vita di uovo andare in pezzi per iniziare le cure? Potrò davvero avere la forza di iniziare a costruire qualcosa nonostante questa possibilità? Ho paura. Il mondo fa effettivamente paura ora. È una paura più tangibile perché ci sei già stata a contatto e sai quanto è dura. Ma sai anche che ce l’hai fatta e questo dovrebbe farti stare tranquilla. Perché se l’hai ucciso una volta, e dovesse tornare, puoi solo fargli capire che fine farà: morirà lui e non tu.
Nonostante tutto si va avanti. Sì deve andare avanti. E non devono essere gli altri a dirtelo. Devi realizzarlo da sola, perché se non ci arrivai con i tuoi denti, non ci crederai mai. Non ci crederai mai per davvero.
Notte bella gente, e scusate per le chiacchiere. Love u all.
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myvanillabean · 7 years
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Per quanto si può essere forti il dolore ci viene a cercare. Ci trova sempre e ci colpisce nel posto più profondo che abbiamo. Non c'è un limite invalicabile. Il dolore preme e spreme. Non ha una fine nè una durata, aspettiamo solo. Quando c'eri tu mi sentivo come se niente avesse potuto rompermi, come se quella felicità fosse indistruttibile, c'era sempre, anche se litigavamo, anche se dopo un litigio non mi baciavi la fronte prima di dormire. C'era solo una cosa che mi rendeva vulnerabile, mi terrorizzava, l'idea di perderti. Il che se ci pensi, è una paura stupida, finché c'eri temevo il momento in cui non ci fossi stato, e poi, quando te ne sei andato non c'era più nulla di cui aver paura. Eri già lontano da me. Dopo quella notte estiva ho creduto che l'unico dolore me lo avrebbe portato la mancanza. Il letto vuoto, la doccia da sola, il bacio della buona notte sulla fronte, le mani intrecciate, il latte caldo, il rumore del phon, andare a pescare, camminare per mano, averti per sempre. Nel frattempo ho notato che le abitudini sono le prime cose che cambiano, così semplicemente che neanche ci se ne accorge. Tornavo a casa ed ero così stanca da sprofondare in un sonno profondo, la mattina dormivo di più, la sera correvo a casa a dormire, il resto erano pizze, patatine fritte e boccali di birra. Poi sono tornata da mamma e papà e allora è stato come tornare qualche anno indietro quando la mattina mi alzavo alle sei per andare a scuola. La vera mancanza la provo in momenti brevissimi, ad esempio papà si è rotto il ginocchio e mamma mi chiedeva chi potesse aiutarla ad pulire il giardino, mi sei mancato perché a te piaceva aiutare, e sicuramente non ci avresti pensato due volte ad accettare, ed io ti avrei anche aiutato togliendo l'erbetta con le mani che mi riempivano di terra. Oppure sai, qualche giorno fa ho portato i primi scatoloni nella casa nuova. Guardavo la strada in con una scatola che mi occupava entrambe le mani, ti ho pensato. Quando andavamo a scuola mi portavi sempre lo zaino, lo trovavo dolcissimo, quando vivevamo insieme spesso non mi facevi portare neanche la borsa, e la maggior parte delle volte se avevamo tante cose da portare a casa a me lasciavo sempre quell'unica piccola cosa leggera, e tu magari ti caricavi tutto sulla schiena. Mi ricordo quando andavi a pescare e cercavi di portare tutta l'attrezzatura da solo e poi mi dicevi 'tu porti la maschera', giusto per darmi la soddisfa di rendermi utile. Sentivo che capissi il mio essere più fragile rispetto a te. Mi sembrava un gesto di cavalleria proveniente da un altro pianeta. Non si più offerto nessuno di portarmi la borsa. Ormai ho scoperto di poter fare un sacco di cose da sola, però mi manchi lo stesso. Non inciampo più sulle pietre, riesco ad far partire il motorino con la pedalina di avviamento, rollo da sola ed esco sempre due filtri ma me ne ricordo in tempo e l'ho butto lì in mezzo al tabacco. Guido sotto la pioggia. Carico le scatole, le confezioni d'acqua. Da sola. Sono tutte cose che riesco benissimo a far da sola, il punto è che quando c'eri tu era meglio. Le cose fatte da te sembravano facili, quando mi aprivi i barattoli o quando la luce si staccava e tu uscivi in mutande sotto la pioggia a gennaio per accendere il contatore, perché sapevi che avevo paura. Quando mi aiutavi a saltare il gradone del pontile e poi con la barca ti avvicinavi tantissimo al molo e mi allungavi la mano, la barca sbatteva e ridendo mi dicevi che dovevo fartela nuova. Se un uomo ti lascia distruggere la sua barca ti ama davvero. Credo che dovrei farla pubblicare questa frase. Che poi a proposito ho visto che hai cancellato il mio pesce che ti avevo sapientemente imbrattato col pennarello. Il bello è che ho cercato la Barceta in lungo e in largo per tutti i porti. Poi l'altro giorno passavo di la, non c'era nessuno e ho rallentato. L'ho vista immacolata, senza i nostri nomi e le mie frasi sagge. Ci avevo messo tanto impegno comunque. Alla fine non è l'abitudine che manca, ma quelle piccole cose che non farei con nessuno se non con te. Il punto è quello che fa male davvero non sono gli ami da pesca, la camomilla alla vaniglia o le camporelle tra gli uliveti. È che il dolore brama. Cerca e scava. E trova la parte più interna. Scava nelle viscere e se c'è un punto debole lo trova. Il punto è che mi sono ritrovata da sola sopra una strada che non porta in nessun posto. E la mia più grande paura è sempre stata questa, non sapere cosa farmene della mia vita. Avere il terrore di arrivare a domani. Con te era semplice perché ogni giorno sarebbe stato diverso, ma quando s'imbocca la routine che non ci piace? Coraggio di cambiare o voglia di restare? Mi hai sconvolto gli equilibri ed ora non c'è equilibrio se non un rotolare giù verso chissà dove. È passato del tempo e vedo il cambiamento delle stagioni, ho spostato l'orologio un'ora avanti, vedo l'alternarsi dei giorni dispari a quelli pari, facendo caffè e servendo succhi di frutta in bicchiere, i pomeriggi passano sotto le coperte, che ancora mi servono perché mentre tutti hanno già la maglietta primaverile io ho ancora addosso la tua felpa in pile. Devo pur aver un segnale che torni.
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Intervista a Paola Gianotti: ultracycler, Ciclista e Guinness World Record
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“Ancora adesso mi interrogo sulla molla che mi ha spinto a cambiare vita. A volte, le cose più belle partono da gesti folli”
Ma chi l'ha detto che le donne sono meno forti degli uomini? In sella alla sua bici Paola Gianotti non teme rivali. Tenace avventuriera, ha fatto il giro del mondo su 2 ruote (battendo il record mondiale), ha partecipato alla gara più estenuante del Pianeta e, ultima, ha percorso 40 Stati in USA, battendo un altro record. La storia di una donna che si è inventata un mestiere seguendo la sua passione. È piccola, tanto che in molti la chiamano «scricciola». Ma la statura di Paola Gianotti, classe ‘81, si dovrebbe misurare in chilometri. Nel 2014 ne ha fatti 29.430, attraversando 25 paesi, in 144 giorni: la donna più veloce del Pianeta ad aver fatto il giro del mondo in bici. Nel 2015 in Russia ha percorso i 9.200 km della Red Bull Trans-Siberian Extreme, una gara di ciclismo a tappe tra le più dure del mondo.
Nel 2016 la pedalata da Milano a Oslo per la candidatura della bicicletta come premio Nobel alla pace e, ultimo, il progetto «48 Stati-48 giorni-48 bici», nuovo Guinness World Record. Partita dallo Stato di Washington all’estremo nord-ovest, è arrivata nel Maine a nord-est; 11540 chilometri in 560 ore, il tutto per una giusta causa: regalare biciclette a donne dell'Uganda con una campagna fondi raccolta sul suo sito Keepbrave. Dovevano essere 48 (una per ogni Stato), sono diventate 73.
Nel frattempo però si diverte. «Non solo. La mia ultima impresa, 48 bici in 48 Stati, non è stata solo un record sportivo, ma anche un’impresa di solidarietà. Durante la traversata sul mio sito ho raccolto fondi per acquistare 70 biciclette che - tramite Africa Mission - verranno donate ad altrettante donne del Karamoja, una regione dell'Uganda particolarmente povera dove solo il 6% delle popolazione è alfabetizzata. In questo modo non diamo soltanto un mezzo di trasporto, ma una possibilità di emancipazione economica».
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Le donne sono meno avvezze all'avventura, almeno così siamo stati abituati. Si sente giudicata in quanto donna? «Nel mio caso trovo che ci sia molta ammirazione per quello che faccio, sopratutto da parte delle donne. Forse c'è più empatia. Invece con i maschi c'è competizione». Le donne sono davvero ancora meno forti fisicamente degli uomini? «A livello fisico sul ciclismo la differenza è nella potenza. In altri sport le differenze si stanno assottigliando. Mi viene in mente il nuoto. Secondo me la donna ha più resistenza mentale e una soglia del dolore più alta. Spesso riusciamo a fare le stesse cose che fanno gli uomini, e a farle meglio».
Quando le dicono che «hai le palle» che reazione ha? «Sicuramente è una affermazione che mi fa piacere, perché tutto quello che faccio lo faccio con sacrificio e determinazione. Anche se mi dicono che sono una “scricciola”».
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Quanto si allena Paola al giorno? «Prima delle preparazione a un record, dalle 2 alle 4 ore al giorno, più 2 volte a settimana dalle 5 alle 7 ore. Fondo, potenza, resistenza, accompagnati da sezioni in palestra. Durante gli “scarichi” faccio solo delle passeggiate in bici. E comunque non sto mai ferma».
Il suo lavoro sembra un po una vacanza… «in realtà dietro ogni mia impresa c'è un lavoro lunghissimo. 7 giorni su 7 li faccio a programmare, pensare alle tattiche e allenarmi. Mi sono inventata un lavoro molto bello, ma che impegna molto di più di un lavoro normale».
Adesso guadagna anche qualcosa? «Per quanto riguarda le imprese sportive, quelle non sono un guadagno. Diciamo che sono un investimento. I guadagni arrivano dagli eventi ai quali partecipo in qualità di testimonial e poi dai corsi motivazionali».
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Quale altra folle avventura sta preparando? «Non ci ancora pensato. Le idee mi vengono da sole. Mi piace guardare il mappamondo e fantasticare, ma per il momento non ho deciso nulla. Ho capito però che non voglio più fare record fini a se stessi. Si accumulano uno all'altro, ma non cambiano la vita a nessuno. Mi piacerebbe molto sviluppare l'aspetto umanitario delle mie imprese, come ho fatto nell'ultima. Nel futuro per esempio mi piacerebbe impegnarmi per sensibilizzare sulla necessità di avere più piste ciclabili, magari portare al governo una proposta in tal senso, sensibilizzare sul rispetto delle regole». Come si vede tra 10 anni? «Mi vedo con 3 bimbi e con altre avventure nel cassetto. Non penso di smettere neanche quando sarò mamma».
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gcorvetti · 3 years
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Day 3
Com'è andata oggi? 'Nsomma, diciamo che se non era che sto seguendo questa idea di voler prendere lezioni di canto e quindi smettere di fumare, oggi avrei fumato più del solito, ma andiamo per ordine. 7.30 Sveglia, mi alzo e faccio il caffè, mi mangio una banana, piscio, mi prendo un pò di caffèlatte ci insuppo un paio di biscotti, poi salgo e inizio a lavorare, tutto regolare, a parte un piccolo delay dovuto al vpn che non voleva andare, ma niente di grave. 10.30 Mi becco un errore dal QA italiano, cazzo, vado a vedere di cosa si tratta, perché cmq se uno sbaglia sbaglia, all'inizio noto solo che non c'è la mail e allora gli dico : senti la mail non c'è, lui : si ok, ma devo cmq agire, io : no, perché, lui : si devi farlo e poi chiudi e commenti, io : nel documento c'è scritto solo chiudi e commenta, lui : ma adesso è così, io : vabè che le cose le cambiano senza avvertire però non lo sapevo e nella documentazione non c'è scritto, lui : vabè, vediamo cosa posso fare. Al che tra me penso che cazzo vuol dire cosa posso fare, mi fanno un favore, non ho sbagliato, una mezz'ora prima un altro mi dice che mi vuole parlare e alla fine non aveva capito che avevo accorpato tutto perché non si può cancellare tutto assieme e mi ha detto ok ok, ora ho capito, ma meglio che ti ho contattato, certo se no mi beccavo un altro errore.
A quel punto, con l'errore di lui, si forse ho fatto un pò di confusione, cmq lui arriva dopo sto qua che dice ok ok :D ... quindi inizia a farmi un pò male lo stomaco, penso è normale sta cosa di smettere mi ha portato dolori allo stomaco continui meglio non pensarci, nel frattempo chiedo al mio collega per quell'errore senza mail, mi dice eh si è capitato anche a me, ma quando?, lunedì aaaaaaahhhhh, quindi è veramente una cosa recente. Nel frattempo penso vabè un errore ci sta, vada che da qual momento il mal di stomaco inizia a farsi sentire di più, allora mi fermo e vado in bagno, mi prendo un altro caffè e torno a lavoro, faccio un paio di casi e mi contatta un'altro QA ancora e mi chiede se posso spiegargli come mai non ho cancellato sto coso, io : fammi vedere, lui (che non è quello di prima, ma un'altro) : vedi l'hai segnato ma non l'hai cancellato, io : vero, strano, mi sarò scordato di inserirlo, lui : ti devo dare l'errore, mi spiace, stai più attento, io : ok. Quando scrissi quell'ok in realtà ero ko, nel senso che avevo un forte dolore allo stomaco, nausea e mi veniva di vomitare, allora metto tutto in pausa e scendo, mi mangio una mela ma non passa un cazzo, allora penso che è meglio che mi stendo un pò e che cerco di appisolarmi anche solo per 15 minuti, così infatti faccio, e mi risveglio che mi è passato tutto, o quasi, perché i nervi per aver preso due errori stupidi restano, cazzo. Torno su, e chiedo scusa al tipo dicendogli che non sto bene per sto fatto che ho smesso di fumare e che ero corso in bagno, tutto ok, tanto non gli frega un cazzo. Ma poi vedo che il primo lui mi aveva scritto, apro la chat e leggo che per sta volta, dopo che si è consultato con altri QA, mi leva l'errore, perché in realtà non c'è scritto nella documentazione e quindi non è un errore, ma non mi ha fatto vedere dove è scritto l'aggiornamento, magari una mail circolare, niente, vabè poco male mi ha levato l'errore, prima di congedarmi mi raccomanda di ricordarlo; infatti dopo pranzo mi capitò un caso simile e gli chiesi anche se dovevo lasciare qualche commento extra oltre a no email, facoltativo, ok. Quindi levando il fatto che oggi ho cmq avuto una voglia di fumarmi una sigaretta più degli altri giorni per sta cosa degli errori, posso dire che è andata benissimo perché ho resistito, non mi sono fatto la sigaretta, nonostante mbare R e il primo lui mi hanno fatto la battuta, fumatela una, tiè :D
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marcotrabucchi · 8 years
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Intervista a Paola Gianotti: ultracycler, Ciclista e Guinness World Record
“Ancora adesso mi interrogo sulla molla che mi ha spinto a cambiare vita. A volte, le cose più belle partono da gesti folli”
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Ma chi l'ha detto che le donne sono meno forti degli uomini? In sella alla sua bici Paola Gianotti non teme rivali. Tenace avventuriera, ha fatto il giro del mondo su 2 ruote (battendo il record mondiale), ha partecipato alla gara più estenuante del Pianeta e, ultima, ha percorso 40 Stati in USA, battendo un altro record. La storia di una donna che si è inventata un mestiere seguendo la sua passione.
È piccola, tanto che in molti la chiamano «scricciola». Ma la statura di Paola Gianotti, classe '81, si dovrebbe misurare in chilometri. Nel 2014 ne ha fatti 29.430, attraversando 25 paesi, in 144 giorni: la donna più veloce del Pianeta ad aver fatto il giro del mondo in bici. Nel 2015 in Russia ha percorso i 9.200 km della Red Bull Trans-Siberian Extreme, una gara di ciclismo a tappe tra le più dure del mondo. Nel 2016 la pedalata da Milano a Oslo per la candidatura della bicicletta come premio Nobel alla pace e, ultimo, il progetto «48 Stati-48 giorni-48 bici», nuovo Guinness World Record. Partita dallo Stato di Washington all’estremo nord-ovest, è arrivata nel Maine a nord-est; 11540 chilometri in 560 ore, il tutto per una giusta causa: regalare biciclette a donne dell'Uganda con una campagna fondi raccolta sul suo sito Keepbrave. Dovevano essere 48 (una per ogni Stato), sono diventate 73.
Nel frattempo però si diverte. «Non solo. La mia ultima impresa, 48 bici in 48 Stati, non è stata solo un record sportivo, ma anche un’impresa di solidarietà. Durante la traversata sul mio sito ho raccolto fondi per acquistare 70 biciclette che - tramite Africa Mission - verranno donate ad altrettante donne del Karamoja, una regione dell'Uganda particolarmente povera dove solo il 6% delle popolazione è alfabetizzata. In questo modo non diamo soltanto un mezzo di trasporto, ma una possibilità di emancipazione economica».
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Le donne sono meno avvezze all'avventura, almeno così siamo stati abituati. Si sente giudicata in quanto donna? «Nel mio caso trovo che ci sia molta ammirazione per quello che faccio, sopratutto da parte delle donne. Forse c'è più empatia. Invece con i maschi c'è competizione». Le donne sono davvero ancora meno forti fisicamente degli uomini? «A livello fisico sul ciclismo la differenza è nella potenza. In altri sport le differenze si stanno assottigliando. Mi viene in mente il nuoto. Secondo me la donna ha più resistenza mentale e una soglia del dolore più alta. Spesso riusciamo a fare le stesse cose che fanno gli uomini, e a farle meglio».
Quando le dicono che «hai le palle» che reazione ha? «Sicuramente è una affermazione che mi fa piacere, perché tutto quello che faccio lo faccio con sacrificio e determinazione. Anche se mi dicono che sono una “scricciola”».
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Quanto si allena Paola al giorno? «Prima delle preparazione a un record, dalle 2 alle 4 ore al giorno, più 2 volte a settimana dalle 5 alle 7 ore. Fondo, potenza, resistenza, accompagnati da sezioni in palestra. Durante gli “scarichi” faccio solo delle passeggiate in bici. E comunque non sto mai ferma».
Il suo lavoro sembra un po una vacanza... «in realtà dietro ogni mia impresa c'è un lavoro lunghissimo. 7 giorni su 7 li faccio a programmare, pensare alle tattiche e allenarmi. Mi sono inventata un lavoro molto bello, ma che impegna molto di più di un lavoro normale».
Adesso guadagna anche qualcosa? «Per quanto riguarda le imprese sportive, quelle non sono un guadagno. Diciamo che sono un investimento. I guadagni arrivano dagli eventi ai quali partecipo in qualità di testimonial e poi dai corsi motivazionali».
Tumblr media
Quale altra folle avventura sta preparando? «Non ci ancora pensato. Le idee mi vengono da sole. Mi piace guardare il mappamondo e fantasticare, ma per il momento non ho deciso nulla. Ho capito però che non voglio più fare record fini a se stessi. Si accumulano uno all'altro, ma non cambiano la vita a nessuno. Mi piacerebbe molto sviluppare l'aspetto umanitario delle mie imprese, come ho fatto nell'ultima. Nel futuro per esempio mi piacerebbe impegnarmi per sensibilizzare sulla necessità di avere più piste ciclabili, magari portare al governo una proposta in tal senso, sensibilizzare sul rispetto delle regole». Come si vede tra 10 anni? «Mi vedo con 3 bimbi e con altre avventure nel cassetto. Non penso di smettere neanche quando sarò mamma».
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