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diceriadelluntore · 7 months
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Storia Di Musica #316 - The Black Crowes, The Southern Harmony And Musical Companion, 1992
La musica rock americana a fine anni ’80 è un calderone emozionante di vibrazioni che ribolle in continuazione. In quegli anni ci sarà una straordinaria concentrazione di visioni musicali, che a seconda della zona dell’immensa nazione prende dal passato per proiettarsi nel futuro. Se per esempio a Seattle la tradizione viene usata per fare a pezzi il vecchio e diventare occasione per buttare fuori tutta l’ansia del periodo, nel profondo Sud è il trampolino di lancio per catapultare nella contemporaneità il rock “classico”. La storia di oggi ci porta in Georgia, ad Atlanta, dove i fratelli Robinson crescono in una famiglia nella quale, nei decenni precedenti, la musica ha regalato qualche soddisfazione: infatti il padre, Dan, arrivò addirittura in classifica con un singolo, Boom-A-Dip-Dip, nel 1959. I fratelli Robinson, Chris alla voce e Rich alla chitarra, prima si avvicinano al punk, ma ben presto trovano molto più stimolante il rock anni ’60, sia quello tipico delle loro parti, il southern rock dal suono caldo e coinvolgente, sia il rock blues anni ’60 portato negli Stati Uniti dai gruppi inglesi. La prima formazione si chiama Mrs. Black Crowe’s Garden, ma nel 1988 cambiano nome in The Black Crowes: diventano localmente richiestissimi nei club di Atlanta e dintorni, dove li nota un emissario della A&M che fa registrare al gruppo dei demo. Non se ne fa nulla, ma una sera a sentirli suonati c’è George Drakoulias, famoso produttore e talent scout, che li segnala alla persona che in quel momento è il produttore più interessante del paese: Rick Rubin. Sebbene non suonino metal, la specialità della Def American di Rubin, i ragazzi suonano meravigliosamente nel loro mix di vecchio e nuovo, un rock solido e arricchito di soul, gospel e passione, e vengono messi sotto contratto. Tutta questa passione si percepisce già dalla copertina del loro primo disco, Shake Your Money Maker (1990): prodotto da George Drakoulias, si rifà nella grafica del titolo e nella foto a quelle mitiche dei gruppi british blues di 30 anni prima, fa pensare ai Faces e ai primi Rolling Stone, e il dubbio scompare sentendo con che voce si presenta Chris Robinson: un mix selvaggio di Rod Steward e di Mick Jagger, il suono potente e solido di brani come She Talks To Angels, Twice As Hard o la superlativa cover di Hard To Handle di Otis Redding. Il successo arriva quasi inaspettato: milioni di copie vendute e una fama crescente, frutto anche delle stupende esibizioni live, pirotecniche e imperdibili, che convincono pure gli spettatori delle band metal della Def American a cui sono chiamati ad aprire i concerti.
Nel 1992, in un paio di settimane, registrano il loro secondo album, chiamati all’arditissimo compito di replicare il successo del primo: ma sin dalle prime note, The Southern Harmony And Musical Companion, che prende il nome dal titolo di un inno di William Walker, un pastore battista dell’800, non delude le aspettative e sarà un disco epocale per bellezza e successo. È sempre la copertina che rivela la nuova strategia della band: i musicisti sono fotografati in bianco e nero facendo intuire che stavolta più che il rock blues inglese è la tradizione del southern rock alla Allman Brothers Band e Lynyrd Skynyrd ad essere di ispirazione. Con l’innesto di Marc Ford alla seconda chitarra (il resto vedeva Johnny Colt al basso, Steve Gorman alla batteria e Eddie Harsch alle tastiere), il suono diventa più pieno e pastoso, l’aggiunta di cori femminile rimanda alla grande tradizione Soul, l’affiatamento generale e le doti da cantante di Chris Robinson, davvero convincente, ne fanno un disco che schizza in vetta alle classifiche, con 4 singoli numero uno nella classifica di Billboard, record rimasto per anni imbattuto. La travolgente Sting Me apre il disco, seguita da Remedy dove si innalza il piano di Eddie Harsch a cadenzarne la ritmica . Thorn In My Pride, un super blues, come No Speak No Slave, ha echi zeppeliani (amore mai nascosto, dopo anni la band registrerà un live nientemeno che con Jimmy Page in persona). Bad Luck Blue Eyes, Goodbye è una ballatona ariosa e stupenda, come Sometimes Salvation, dove Robinson canta alla maniera straziante di Janis Joplin. Hotel Illness è il brano più immediato, come la bellissima My Morning Song. Chiude un omaggio a Bob Marley, Time Will Tell, che sigilla con una struggente natura gospel un disco che si ascolta tutto d’un fiato. Dopo l’ennesimo tour a mille e pieno di soddisfazioni, cambiano produttore e pubblicano nel 1994 Amorica: però più che per le canzoni è ricordato per con la famosa copertina, anche censurata, di un primo piano di un succinto slip a stelle a strisce che appena copre un pube di una donna nera. La band, dopo vari avvicendamenti (il più famoso fu l’allontanamento di Marc Ford come secondo chitarrista, per i gravi problemi di dipendenza da droghe di quest’ultimo) pubblicherà un altro grande disco, By Your Side del 1999, e continuerà una strepitosa carriera live nei più grandi festival e con collaborazioni prestigiose (oltre al già citato Page, anche i mitici Dead) ma i dissidi tra i fratelli, anche economici, porteranno ad una serie di liti e reunion, intramezzati anche da un ottimo disco, Warpaint del 2008, fino allo scioglimento del 2015.
Nel 2019 però l’inattesa svolta: prima l’annuncio di un tour celebrativo di Shake Your Money Maker, poi lo stop per la pandemia Covid-19, ma dal 2022 nuove date e addirittura un nuovo, inatteso disco, che uscirà la settimana prossima, il 15 Marzo 2024, dal titolo che è un programma: Happiness Bastards. Quando uscì, oltre 30 anni fa, Shake Your Money Maker (che è il titolo di un classico blues di Elmore James) la band era considerata la next big thing del rock a stelle e strisce, persino all’esordio musicale band dell’anno 1990 per la rivista Rolling Stone. A distanza di anni si può dire che in parte hanno disatteso quella speranza, ma hanno lasciato degli esempi di musica genuina e viscerale che sembra quasi stridere con tutto quello che in quegli anni diventerà preponderante.
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queermediastudies · 5 years
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C.R.A.Z.Y. and the Search for Identity
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C.R.A.Z.Y. is a 2005 French Canadian film from director Jean-Marc Vallée.  The film itself centers on Zac, a character that his going through an identity crisis over the course of the film.  Zac also has four brothers.  Christian is something of an egghead who reads everything and is (assumed) to be very smart.  Raymond, whom Zac declares his enemy and is the films problem child.  Then there is Antoine who is the athlete of the family.  Finally there is Yvan, the youngest in the family and the one who speaks the least. The movie itself, focuses on the relationship between Zac and his father. While the movie clearly shows the struggle for identity, and acceptance, this is all the movie really does. It is not actually interested in taking on the greater LGBTQ issues throughout. 
Zac is the fourth born son in the family.  When arranging the brothers in order of birth it is, Christian, Raymond, Antoine, Zac and Yvan.  The first letter of their names, in birth order, spells out C.R.A.Z.Y., which the film uses to symbolizes the dysfunction of the family as a whole.  The boys have all grown up under a strict, incredibly masculine father.  The father’s name is Gervais and he wants all of his children to grow up to be big strong men.  Zac is fortunate enough (or unfortunate enough) to be born on Christmas day in 1960.  He is constantly reminded that his birthday is the same as Jesus Christ (which is significant with him growing up in a very Catholic family) and that because of that he must have a gift.  He is, the film points out, not like other boys.  The film leads audiences astray by saying Zac must have a gift.  If he thinks of people while they’re in pain they’ll get better.  What the film is really alluding to, however, is Zac’s homosexual desires.
The film plays around with the identity crisis a lot.  While Zac is the main character and his identity throughout the film is front and center, the film is really about a father’s love for his sons, but also the toxic masculinity of that father.  As the film begins Zac is a child, and his father’s favorite son.  But as Zac gets older his father wants him to be a “man.”  He doesn’t want Zac to be soft or feminine. A key scene in the film is Gervais stumbling upon Zac wearing women’s clothing and enjoying himself. This moment, Zac narrates, is a moment which “declares war” on his father, unbeknownst to him.
The film goes through three different periods of time.  First the early 60’s when Zac is a child.  The film then jumps to the mid 70’s when Zac is in adolescence and finally ends in early 1981 when Zac is an adult. It’s in adolescence that the film primarily pays attention to Zac and the “problem child,” Raymond. 
Raymond, who represents a lot of toxic masculinity, is shown as Zac’s sworn enemy throughout the film.  Raymond picks on Zac, tortures him, and calls him homophobic slurs. But it is also in adolescence that Raymond begins to develop a drug addiction. Like Zac, Raymond disappoints his father, but it’s due to his drug addiction, not sexuality. On the other hand, Gervais actually sees Zac’s sexuality as more of a problem. 
Zac spends a great deal of the film wanting to desperately win his father’s approval and he does so by trying very hard to repress his homosexual desires.  The movie has a way of communicating Zac’s identity crisis as he explores who he may be.  In one particular scene the audience sees that Zac is a David Bowie fan in the 1970’s.  David Bowie was said to be undergoing an identity crisis during that time.  In 1972, David Bowie said he was a homosexual.  Of course, over the course of his life, Bowie has been quite ambiguous about his sexuality (with the most common answer now being that he was bisexual).  With Zac undergoing his own identity crisis, David Bowie is definitely the perfect symbol in the 1970’s.  In a scene where he’s singing David Bowie in his room the audience can also see the Pink Floyd rainbow spectrum in the background.  Though Pink Floyd has nothing to do with homosexuality, the rainbow is a symbol of gay pride.  The camera makes sure you don’t always see the whole Pink Floyd symbol and mostly shows the audience the rainbow.  
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In another scene Zac is seen interested in other boys and trying not to let that show (in one instance he feigns having an infatuation with his cousin when it is, in fact, her boyfriend he’s actually interested in).  
The most important part of his identity crisis comes from wanting to please his strict Catholic father.  Gervais has a Patsy Cline record where he listens to his favorite song: Crazy.  Part of how Zac “declares war” on his father is also because he accidentally broke that record. However, this symbolizes their destroyed relationship. A major subplot of the film is Zac constantly trying to find this record in hopes that this will please his father enough to accept him. 
Catholic guilt, another trait associated with homosexuality within catholic households, is also a major theme in the film. There are several instances of crosses seen throughout.  The mother is devout in her prayers and Zac even takes a trip to Jerusalem where he is able to accept his identity.  The fact that the film spends so much time with a son getting right with his father is likely another Catholic symbol.  Catholics often have to confess sins and ask for forgiveness to get back into the circle with God the Father.  This is exactly what Zac has to do throughout the movie.  Instead of having to get right with the Lord, however, Zac has to get right with his literal father. This can only happen by confessing his homosexuality to his father, and himself. Something Zac spends the majority of the film trying to repress. 
Another interesting aspect of the film is that throughout, it is clear that most of the other characters are aware of Zac’s homosexuality. Zac’s mother is quite supportive of him throughout the film. Even Raymond the “problem child,” ends up defending Zac from homophobes. The only character in denial is Gervais, who spends much of the film suggesting that Zac couldn’t possibly be a homosexual because in late adolescence and early adulthood Zac manages to get himself into a relationship with a woman. During this time in adulthood, it seems like Zac is able to please his father, but this means lying to himself. 
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C.R.A.Z.Y. definitely takes the issues of identity and acceptance quite seriously and without a lot of sex.  There are implied sexual acts, but nothing explicit. C.R.A.Z.Y. isn’t out to shock the audience, it is out to show a very real struggle that happens with those who identity as LGBTQ.  There is nothing presented about Zac’s identity crisis that’s funny. His process of coming out and acceptance isn’t treated as a joke, but rather torture. Whether that’s from his father or his brother.  
C.R.A.Z.Y. was a huge critical success, but it was not necessarily a mainstream one. Being a foreign film meant that it was not widely distributed in the United States. It was also a smaller independent project. C.R.A.Z.Y. also came out the same year as “Brokeback Mountain,” but this film’s lack of media publicity makes it feel less like a moment where the culture pats itself on the back, and more like it was trying to present something more authentic. C.R.A.Z.Y. doesn’t rely too heavily on stereotypes. As well as it handles the identity crisis, however, the movie shows that it is firmly a product of its time by refusing to be too political in any sense of the word. 
C.R.A.Z.Y. came out eight years after Ellen had literally come out. The approach that Ellen took was a means of depoliticizing queerness, and focusing on identity (Dow, 2001). C.R.A.Z.Y. is similar in that it does not spend a lot of time focusing on any particular political issues of the day, or even struggles beyond identity. This is especially baffling within the film, as the majority of it takes place in the 1970’s, but has little to say about the ongoing gay rights movement that was taking place in Canada at the time. The movie seems to care little for actually discussing the political climate that Zac is finding himself in. This suggests that the struggle for identity and coming out is one done in isolation, with nothing from the outside creeping in. 
It is also worth examining who created the film. Director Jean-Marc Vallée is known more today for the movie “The Dallas Buyer’s Club,” but he is a straight, cis-gendered, white male. This will often bring about the question who the movie is made for, and why. As Doty (1993) reminds us, the director of a film can actually influence what the audience sees and experiences on screen. Vallée is actually quite known for his attempts at allyship through film, but he has also been criticized for his handling of some of these issues. C.R.A.Z.Y. is his most praised work for how well it dives into identity, but it also shows the reality of who is able to have their projects funded. Could C.R.A.Z.Y. have been made by a queer man? It is unlikely that this would be the case. 
On the other hand, as Joyrich (2014) points out, such displays of identity can still help in smaller ways. I do believe this to be true of C.R.A.Z.Y.. The film came out in 2005 when such topics as gay marriage and visibility were greater topics of discussion throughout Canada and the United States. Nevertheless, the film would still be considered “safe,” by all accounts. C.R.A.Z.Y. is a fairly sexless affair. One that is able to meet the “approval” of most straight audiences. In fact, until the very end, one might wonder if C.R.A.Z.Y. even is about identity simply for the fact that even after Zac fully realizes his homosexuality… the movie doesn’t explicitly state this. The climactic discussion between Zac and his father is one in which “homosexual” or “gay” is never stated, but is explicitly implied. Much like the 2016 film “Moonlight,” C.R.A.Z.Y. is one that largely meets approval based on how little sexuality is on display. This might refer to Guy Lodge’s (2017) criticism that in order for queer cinema to succeed in the west it needs to be sexless. In discussing “Moonlight” Lodge pointed out “it’s hard to imagine an equally accomplished yet more explicit film receiving the same acclaim.” The same can be said of C.R.A.Z.Y. Even though C.R.A.Z.Y. is a French-Canadian film, it is still quite Americanized in its presentation. Homosexuality can be talked about, but it can’t fully be on display. 
This also means that the film risks being part of what Suzanne Walters (2014) refers to as “the tolerance trap.” Walters argues that gay visibility alone is not a sign of progress. “Acceptance is the handmaiden of tolerance, and both are inadequate, and even dangerous, for accessing real social inclusion…” (p. 3) C.R.A.Z.Y. has been praised substantially. It is one of a small number of films on Rotten Tomatoes to have a 100% rating (it is the only LGBTQ film to have such a rating). This praise may not have the same back-patting praise that a film such as “Brokeback Mountain,” has, but it still has the air of “tolerance,” to it. Zac spends the majority of the film either in the closet or repressed--unable to act on his sexuality in any regard. The main point of the movie is his father’s acceptance. This is the goal of the movie--to establish Gervais’s acceptance of his son. Once this is achieved and the “war” between them is over, the movie concludes. Considering that the movie itself ends in the year 1981, this means the movie does not have to deal with the AIDS crisis that will soon follow. 
C.R.A.Z.Y. is a film more concerned with visibility and identity, but does not seek to apply this in a manner that would deem the film too “political.” This approach more to acceptance and identity helps a little, but it isn’t quite enough, even in 2005. It’s certainly better than what the the championed mainstream film “Brokeback Mountain” was. However, the obsession with tolerance, acceptance, and the lack of engaging politically with struggles beyond the personal makes a film like C.R.A.Z.Y. only really appear daring at what it does. It’s feels like more than window dressing because it comes across as more authentic. This certainly allows audiences to empathize with Zac, but it also stands to leave the audience with the belief that empathy and acceptance is all that is required when engaging with LGBTQ people. It’s a lot like saying, “I don’t care if your gay, bisexual or attracted to buildings! You’re still my son and love you!” From a personal standpoint this sounds just fine, but it does not show that one would stand up and fight for LGBTQ rights, or fight to enact change. Rather it shows that one can engage in individual forms of acceptance and tolerance, but that once something more is required than simply the personal, audiences may not necessarily be willing to rise up and do something. This could be, as Doty (1993) notes, because the “queer operates within the nonqueer” (pp. 3). C.R.A.Z.Y. may not have been as big of a mainstream hit as “Brokeback Mountain,” but the intent was still to reach a much wider audience. This is something that the film cannot do if it’s “too political.” This would risk alienating a section of the audience. In order for a film like C.R.A.Z.Y. to find mainstream success, it needs to be seen as acceptable by dominant power structures. This involves not necessarily challenging those structures, which is why the film’s messages are more individualistic and personalized. 
References
Doty, A. (1993) “Something queer here,” in Making things perfectly queer  (pp. 1-16). University of Minnesota Press.
Doty, A. (1993) “Whose Text is it Anyway,” in Making things perfectly queer  (pp. 17-38). University of Minnesota Press.
Dow, B. (2001) Ellen, television, and the politics of gay and lesbian visibility, Critical Studies in Media Communication, 18(2) 123-140. doi: 10.1080/07393180128077
Joyrich, L. (2014). Queer television studies: Currents, flows, and (main) streams. Cinema Journal, 53(2), (pp. 133-139). doi: 
Lodge, G (2017, January 5). “Does Moonlight show gay cinema has to be sexless to succeed?” The Guardian. Retrieved from https://www.theguardian.com/film/2017/jan/05/does-moonlight-prove-that-gay-cinema-has-to-be-sexless-to-succeed 
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cheesebearger · 6 years
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an incomplete list of really good historical texts on LGBT+ history:
Marc Stein’s Rethinking the Gay and Lesbian Movement
Mark Blasius’ and Shane Phelan’s We Are Everywhere: A Historical Sourcebook of Gay and Lesbian Politics
The online Independent Voices Archive! Accessible via the New York Public Library
The Archive of Sexuality & Gender: LGBTQ History and Culture Since 1940; also accessible via the NYPL - has an incredible wealth of invaluable archival materials, including personal, unpublished documents produced by prominent LGBTQ activists throughout the Homophile, Gay Liberation, and HIV activist movements
Howl on Trial: The Battle for Free Expression, which is about Allen Ginsberg’s poetry collection, Howl and Other Poems and the obscenity trial it underwent for being blatantly super gay
Vicki Eaklor’s Queer America: A People’s GLBT History of the 20th Century
John D’Emilio’s Sexual Politics, Sexual Communities, which is a study of the Homophile Movement and the politics therein that led to the Gay and Lesbian Liberation Movement in the 70s
Michael Bronski’s A Queer History of the United States - a broad history that spans from colonial America to present day; has a very interesting section on LGB people in the military during WWII and the ensuing Lavender Scare and Section 8 discharges handed out to LGBT people which lead to high rates of unemployment and forced institutionalization, which led, in turn, to aversion/conversion therapies
Lillian Faderman’s The Gay Revolution: The Story of the Struggle (1950s to modernity, told through activist’s stories)
Audre Lorde’s Sister Outsider: Essays and Speeches
Some poetry collections I would recommend:
Jack Spicer’s My Vocabulary Did This To Me
Muriel Ruckeyser’s Collected Poems
John Wieners’ Supplication (a very good collection and I’m only a little biased because I just wrote a thesis on it)
Ronald Johnson’s ARK
Audre Lorde’s Chosen Poems: Old and New
Mark Doty’s Atlantis
Essex Hemphill’s Ceremonies: Prose and Poetry
Martha Shelley’s Crossing the DMZ
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auburnfamilynews · 4 years
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Photo by Logan Riely/Getty Images
A look at ten freshman that Auburn will face this fall who have a chance to make an immediate impact
The faces change but the talent level in the SEC tends to stay the same. Quite a few familiar names are gone but they will soon be replaced by a new squad of studs. Today, I am going to highlight a freshman off each of Auburn’s opponents this fall that fans should know. Chances are good, quite a few names on this lists are going to become well known nation wide in the not too distant future.
Kentucky - #7 S Vito Tisdale
Finding playing time on this veteran Kentucky squad will be difficult this fall for the Cats 2020 signing class but one name has consistently popped up this off-season as someone ready to contribute day 1. Vito Tisdale was first ranked as a top 100 player by 247 Composite but saw his stock plummet over the last year tumbling in the rankings to #473 and the 41st ranked safety in the country. But the early returns have been incredibly positive with head coach Mark Stoops specifically mentioning Tisdale as a youngster who has stood out during fall camp.
“He’s a guy we’re playing all over the place right now. He’s wearing No. 7 and I don’t want to put that on him yet but he reminds me of the other guy that wore 7 for us. That’s a pretty big compliment. Mike [Edwards] is one of my all-time favorite players. So instinctual and such a good player for us. Vito coming in as a true freshman and us moving him ... we’re playing him at nickel, at medium, at the sam position, he’s playing strong safety and really is doing some good things. He’s not quite there yet. A lot of guys you couldn’t even think about putting at all those positions. He is able to handle a lot and I really like his demeanor. It’s a lot like Mike. No nonsense and just goes and does his business.”
Georgia - #88 DT Jalen Carter
Obviously picking just one player from the nation’s #1 class is a little difficult. I imagine most Auburn fans will be interested to see how Broderick Jones’s career turns out after flirting with Auburn up until it was time to take an official visit. If not for an injury, 5-star CB Kelee Ringo would be someone to keep an eye on and it’s hard not to be mesmerized by the potential of a 6’7” 260 lb tight end like Darnell Washington. But for my money, Jalen Carter was one of the top 5 players in the 2020 class.
The true freshman has generated plenty of buzz during fall camp and looks poised to see snaps early for this loaded Dawg defense. Cater starred as both a defensive lineman and a tight end for his his school where he dominated with his elite athleticism. What jumps out watching his tape is how fluid he is for a big man. Not only can he move but he’s powerful in the interior with an outstanding knowledge on how to win with not just strength but leverage as well. The Dawgs continue to load up on elite defensive weapons.
Arkansas - #2 S Myles Slusher
Not going to lie this was a little bit difficult. While I liked a few of Sam Pittman’s late additions most notably 4-star QB Malik Hornsby, I don’t see a lot of instant impact players in this 2020 signing class. The one name that does appear to be popping up a bunch is unsurprisingly the Hogs top rated signee of last year’s class Myles Slusher. He was one of only four blue chips signed last cycle by Arkansas.
The Hogs return their two starting safeties on the backend in former Auburn targets Myles Mason and Joe Foucha but it looks likely Slusher will see some action too this fall. New DC Barry Odom stated they’ve worked the Oklahoma native not only at safety but at nickel as well. Given the dearth of talent on this Arkansas squad right now, any kid with potential is going to have a chance to make an early impact.
South Carolina - #4 QB/WR Luke Doty
Unfortunately for South Carolina, the guy I should be talking about, 4-star RB MarShawn Lloyd, is expected to miss all of the 2020 season due to an ACL injury. At worst, he would have been the #2 guy at tailback for the Gamecocks, likely #1 by the end of the year. Instead, AU fans should get to know former top 100 QB signee Luke Doty who is off to an interesting start to his career.
Doty was ranked the #4 dual threat QB in the 2020 class but faces an uphill battle to win the starting job with graduate transfer Collin Hill and Ryan Hilinski ahead of him. So the tremendous athlete will instead pull double duty working at WR as well where he has reportedly impressed South Carolina WR coach and former UGA quarterback Joe Cox.
“Luke is one of the most impressive young men I’ve ever been around because Luke has to deal with Coach Bobo’s meetings and my meetings,” Cox said in a post-practice interview on Tuesday. “Thinking back to being a first-year player in an offense where there’s so much going on, it’s been crazy how well he’s been able to comprehend things. He has a great attitude and has been a great leader on this football team.
“You see it, all the younger guys, he’s the guy in that class. They all gravitate towards him because they know he’s going to be doing things the right way, and it shows. He takes notes in meetings, practices the right way and does everything he’s supposed to do, and he’s going to be a guy pulling along a lot of young guys for a long time. My hat’s been off to him this whole fall camp with everything he has to learn playing all kinds of spots. I couldn’t imagine doing it - there’s no way. There’s been a couple days where his head’s been spinning pretty good, too, where he may have forgotten just how to play football. But he’s made some plays and I think regardless, it’s going to benefit him for both positions doing what we’ve had him do this fall camp.”
You turn on his tape and you can very quickly understand why new South Carolina OC Mike Bobo wants to find a way to get this kid on the field. While probably not a starter, he’s expected to be apart of the rotation at wide receiver this fall.
Ole Miss - #27 WR/S Marc Britt
Britt initially committed to Florida last fall but decided not to sign on National Signing Day and instead postponed a decision until February 20th. He flipped his pledge to the Rebels and has made an immediate impact since stepping on campus.
He initially started out at wide receiver but after a round of COVID-19 decimated the Rebels secondary, Britt flipped to defense where he was quickly working with the ones. Britt played both ways in high school and could end up doing the same for Ole Miss given their needs for impact players on both sides of the ball. He’s a fantastic athlete out of south Florida with a penchant for making big plays. I suspect AU fans will see a lot of him week 5.
LSU - #2 TE Arik Gilbert
Despite LSU signing a top 5 class this was actually one of the easiest picks to make. There aren’t many human beings in the world with Arik Gilbert’s skillset. Built like a defensive end at 6’5” 250 lbs but with speed of a wide receiver and the hands of a tight end, Gilbert can play all over the field for the Tigers.
His commitment came as one of the biggest surprises in recent recruiting history. In today’s world of Crystal Balls and RivalsCasts, everyone typically has an understanding of where a kid is about to commit. The Georgia Bulldogs were seen as the longtime leader for Gilbert with Alabama and Tennessee the top challengers. However, before his decision, the momentum seemed to be in the Tide’s favor up until he actually announced for LSU. LSU’s impressive offensive performance this past fall along with Gilbert’s connection with head coach Ed Orgeron lead the Tigers to pulling off one of the biggest recruiting coups of last cycle.
Expect to see Gilbert all over the field for the Tigers especially with the departure of Ja’Marr Chase. He’s listed as a tight end but he will spend a lot of time split out as well and has the top end speed to make big plays after the catch. In my amateur opinion, Gilbert was the top player in the 2020 class and I fully expect him to be a thorn in Auburn’s side for the next three years. How the hell did Kirby Smart let him get out of Georgia?
Mississippi State - #13 CB Emmanuel Forbes
It’s been a wild off-season for the Bulldogs of Starkville. They decided to send Joe Moorhead packing after a rough bowl performance and convinced Mike Leach to sail down from Pullman with his Air Raid offense. They snagged a graduate transfer quarterback from Stanford while losing three starters to the transfer portal themselves. They are also installing a brand new 3-3-5 defensive scheme while also transitioning from a Spread Power attack to a full on Air Raid on the offensive side of the ball. It’s gonna be wild.
The Bulldogs lose a lot off their defense especially with the transfers of Fabian Lovett and Jaylon Jones. At corner especially, Mississippi State seems to be on the hunt for some early impact players. The Magnolia State’s #2 ranked player of the 2020 class looks poised to fill that void for the Dawgs. Forbes isn’t a burner but possesses great length and isn’t afraid to get physical at the line of scrimmage.
Tennessee - #11 WR Jalin Hyatt
One of the more underrated playmakers from this past signing class is Jalin Hyatt. The 6’0” 175 lb speedster was a late riser in the rankings last cycle but I am not sure if he rose high enough. He had an ultra productive career at South Carolina HS powerhouse Dutch Fork where he holds the school record for receiving yards and receiving touchdowns.
The Vols are in need of some playmakers at the wide receiver position with the departures of Jauan Jennings and Marquez Callaway. Don’t be surprised if Hyatt is a starter by the time the Vols come to Jordan-Hare Stadium.
Alabama - #31 OLB Will Anderson
This was one of the tougher decisions to make on this list. The Crimson Tide signed the consensus #1 player in the 2020 class in 5-star QB Bryce Young who despite a late start to camp is locked in a QB battle with Mac “Pick 6” Jones. I also think 5-star edge player Drew Sanders is going to be a problem in the very near future and there’s a lot of buzz around 4-star WR Javon Baker. Plus there are 3 former Auburn commits on this list including Javion Cohen who had one of the uglier ends to a recruitment I’ve seen in some time. But the man I think ends up making the biggest impact for the Tide this fall is Will Anderson.
When Rodney Garner makes you a top priority early in your high school career, chances are pretty good you are a ball player. Auburn was one of the first SEC programs to offer the Georgia native and were even seen as the leader following his junior season. But Alabama made a serious push and landed the star pass rusher last spring. Anderson then went on to put together an absolutely absurd senior season recording 20+ sacks. He’s earned plenty of hype during fall camp and looks poised to at least be a 3rd down specialist for the Tide this fall.
Texas A&M - #1 WR Demond Demas
While much of the Aggie hype this off-season has been about the amount of returning production to the roster this fall, quietly the wide receiver position has become a major question mark for Jimbo’s squad. It started with the injury to Cameron Buckley who was expected to take on a much larger role this fall. Then it continued with the recent decision by the Aggies leading returning receiver Jhamon Ausbon to opt out and prepare for the NFL Draft. Ainas Smith has transitioned to running back leaving Jalen Preston as A&M’s most experienced WR heading into 2020. He caught 3 passes for 36 yds last season.
Good thing Dameyune Craig is still a damn good recruiter.
The nation’s #3 ranked wide receiver per 247 Composite, Demond Demas, looks poised to earn a starting spot this fall. The 6’3” 180 lb freakazoid was ineligible to play his senior year due to some drama around Texas’s transfer rules. That hasn’t slowed the hype train and the early returns this camp have been positive for the true freshman. Kellen Mond is going to need some new weapons on the outside to step up if this Aggie team is going to come close to the high expectations some are giving them. I suspect Demas quickly becomes one of his favored new targets.
War Eagle!
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Viaggio on the road insieme
“Mi dispiace che sia sempre tu quella a guidare” commenta a testa bassa Jimin tamburellando le dita sulle gambe. “A me invece no, per niente!” lo rassicuri a cuor leggero, sorridendo serena come non mai.  Siete in giro da ormai un paio di giorni, avete intrapreso quel viaggio con l'obiettivo di godere l’uno della totale compagnia dell’altro fino all’ultimo secondo. Non vi capita spesso di trascorrere del tempo di qualità da soli, lontani dalle mura dello studio di registrazione o la sala prove della compagnia perciò questa nuova avventura vi elettrizza molto. Non menti quando dici che non ti pesi; è vero, hai una grande distrazione seduta proprio accanto a te (e non è l’ideale quando si sta guidando) ma confidi nel tuo auto-controllo. Inoltre ti piace potergli dare l’occasione di rilassarsi un po’. “Sarai stanca; dovremmo fermarci da qualche parte, fare una sosta, mangiare qualcosa, roba così” continua lui nell’altruistico tentativo di darti un minimo di tregua.  “Non è affatto una cattiva idea, sai? Cominciavo ad avvertire un certo languorino, in effetti…” ne convieni, tentata dall’ipotesi di trangugiare patatine prendendole direttamente con la bocca dalle mani di quel Santo fidanzato che viaggia con te. Lo sa quanto odi la sensazione di unto perciò non hai dubbi sul fatto che lo farebbe per te. Ti stai già immaginando la scena leccandoti i baffi quando con la coda dell’occhio lo vedi sbloccare il cellulare. “Cerco un ristorante, allora” annuncia. A quel punto rimani semplicemente senza parole dinanzi al disastroso sgretolamento del tuo umile sogno ad occhi aperti. In sottofondo anche la musica proveniente dalla radio sembra zittirsi per un momento.  “Un ristorante” ripeti atona. “Siamo sulla superstrada e tu cerchi un ristorante.” “... no?” E fa ben attenzione per porre quanto più tono retorico-interrogativo in quelle due uniche lettere. “Pensavo stessi parlando, che ne so, di prendere al volo un paio di schifezze in autogrill, non che facessimo una pausa pranzo da due portate, caffè, ammazza caffè e dessert.” “Ma le schifezze non sono salutari.” “Neanche guidare durante l’abbiocco da digestione lo è” fai notare prontamente. “Oh, hai ragione!” spalanca gli occhi in realizzazione. “Ma posso darti il cambio! Così potrai riposarti!” Si offre volontario sciogliendo il tuo cuore in poltiglia e facendoti dunque sentire ancora peggio per via delle parole che stai per dirgli.  “Tesoro mio, io ti amo tanto -e lo sai- ma...” “Cosa?” “Tu e la guida…” no, devi cambiare approccio. È troppo sensibile. “Ci sono tante, tantissime cose che sei in grado di fare e che -infatti- fai alla perfezione…” “Stai cercando di dirmi che non sono un bravo guidatore?” curva le labbra in un broncio da bambino. I suoi occhi sono così tristi che ti sembra di aver appena spento una stella nel cielo. Per l’appunto. “No, no, è solo che… guido da più tempo di te e la strada è piena di pericoli.” “Okay, stai dicendo che non so guidare” persiste spostando lo sguardo su un punto impreciso del cruscotto, le sopracciglia chiuse al centro della fronte. “Nononono, davvero, non è questo!” neghi nel panico. “Ascolta, tu sei sempre molto galante e premuroso e... fai un mucchio di cose per me. Lascia che sia io a fare qualcosa per te questa volta, mh?” “Ma... tu fai molte più cose per me di quante io ne faccia per te” ti dice a spalle strette. “Ti ringrazio molto per le tue adorabili parole ma non credo proprio. Lo apprezzo ma non condivido.”  “Sono serio!” comincia con estrema convinzione. “Mi massaggi sempre le spalle quando dico di essere stanco, ogni volta che sono a casa prepari i miei piatti preferiti, non appena noti che sono giù di morale vieni prontamente a coccolarmi, quando il pomeriggio mi addormento sul divano mentre aspetto che faccia effetto la maschera per il viso, mi copri con una coperta per non farmi prendere freddo e a volte butti via anche la maschera perché passo troppo tempo a dormire e mi si è praticamente seccata in faccia. Quando ti svegli prima di me fai sempre molta attenzione a non fare rumore per non svegliarmi e non ti lamenti mai quando sono in ritardo o posticipo un appuntamento a causa dei miei impegni. Spesso la sera, dopo qualche concerto, resti in camera con me a leggere anche se preferiresti andare in giro e sei super paziente quando prendo il monopolio del bagno con le mie lunghe docce calde. Mi sorridi sempre anche nei tuoi giorni no, mi supporti quando ne ho bisogno al di là dei problemi che puoi avere a lavoro, mi tieni la mano durante le scene più spaventose nei film, mi dici che sono bello anche quando ho il viso gonfio dal sonno, porti sempre un paio di cerotti in borsa perché sai che mi faccio male continuamente e rassicuri mia madre quando sono in tour e non ho molto tempo per chiamarla.” E continuerebbe all’infinito se non lo fermassi nella sua cascata di elogi. Hai sempre fatto questo genere di cose per lui non perché volessi apparire la fidanzata perfetta; in realtà non hai mai fatto nulla di proposito. Tutte le tue scelte ed azioni sono condizionate da un solo, unico, fondamentale motivo. Lo ami, tanto. E prenderti cura delle persone a cui tieni ti riesce in modo naturale, con una spontaneità che non credevi Jimin potesse carpire anche nelle più piccole cose. “Sei davvero...dolce. Non credevo facessi attenzione a tutti questi dettagli” sussurri con voce mielata, desiderando come non mai di essere alla guida di un’auto in grado di prendere vita e continuare da sola il tragitto fino a destinazione senza la tua minima assistenza. Perché stai cercando con tutte le fibre del tuo corpo di mantenervi entrambi in vita, su quella superstrada. “Non sono dettagli per me.” Ed è esilarante come continui a parlare con il broncio, come se il tuo non auto-riconoscere le tue proprie doti lo offenda personalmente. “Ti serve questa mano?” Ti domanda indicando la destra, quella che sarebbe occupata a manovrare le marce se sono quell’auto non avesse il cambio automatico. Scuoti il capo allungandola a palmo aperto verso di lui, il quale la accoglie ben presto nella sua. “Il prossimo autogrill è a 13 minuti” comunica scorrendo con il police sulla mappa del cellulare. “Patatine BBQ?” “Nah, quelle vegetali andranno bene” suggerisci come perfetto punto d’incontro tra il tuo sogno croccante ed il suo piano di non morire d’infarto prima dei trent’anni. “Quindi da lì in poi guiderai tu, giusto?” Semplicemente si volta a guardarti, lo sguardo nuovamente rinvigorito di frizzante allegria. “Puoi contare su di me!”
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seminariodue · 5 years
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Il desiderio, quando è reciproco, è una trama ordita a quattro mani, contro o a dispetto di tutte le altre trame che definiscono il mondo. E' una cospirazione a due. Il piano è offrire all'altro una tregua dal dolore del mondo. Non la felicità (!), ma una tregua fisica dall'enorme debito del corpo nei confronti del dolore. In ogni desiderio convivono pietà e appetito: qualunque sia la loro proporzione, sono intrecciati. Il desiderio è inconcepibile senza ferita. Se a questo mondo ci fossero persone che non hanno subito ferite, vivrebbero senza desiderio. La cospirazione consiste nel creare insieme uno spazio, un locus, di esenzione, un'esenzione inevitabilmente provvisoria dalla ferita irriducibile che la carne ha ereditato. Il corpo umano ha ardimento, coraggio, grazia, allegria, e innumerevoli altre doti, ma è anche intrinsecamente tragico (a differenza dei corpi degli animali: nessun animale è nudo). Il desiderio aspira a proteggere il corpo desiderato dalla tragicità che incarna. E' la sua fede. Nel desiderio naturalmente non c'è nessun altruismo. L'offerta di proteggere, di concedere un'esenzione, avviene attraverso l'offerta del proprio intero sé, fisico e immaginario. Fin dall'inizio i corpi coinvolti sono due, perciò l'esenzione, quando e se la si ottiene, riguarda entrambi. L'esenzione è destinata a essere breve eppure promette tutto. Abolisce la fugacità e con lei le ferite associate alla minaccia della provvisorietà. [...] Il desiderio promette esenzione. Eppure un'esenzione dall'ordine naturale esistente equivale a una scomparsa. Ed è esattamente ciò che il desiderio, quanto più è estatico, ci propone: svanire.
John Berger & Marc Trivier
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holyjost · 7 years
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TEAM LISTS OF UNPROTECTED PLAYERS [source] ANAHEIM DUCKS
FORWARDS: spencer abbott, jared boll, sam carrick, patrick eaves, emerson etem, ryan garbutt, max gortz, nicolas kerdiles, andre petersson, logan shaw, nick sorenson, nate thompson, corey tropp, chris wagner
DEFENSEMEN: nate guenin, korbinian holzer, josh manson, jaycob megna, jeff schultz, clayton stoner, sami vatanen
GOALTENDERS: jonathan bernier, jhonas enroth, ryan faragher, matt hackett, dustin tokarski
ARIZONA COYOTES
FORWARDS: alexander burmistrov, shane doan, tyler gaudet, peter holland, josh jooris, jamie mcginn, jeremy morin, mitchell moroz, chris mueller, teemu pulkkinen, brad richardson, garret ross, branden troock, radim vrbata, joe whitney
DEFENSEMEN: kevin connauton, jamie mcbain, zbynek michalek, jarred tinordi
GOALTENDERS: louis domingue
BOSTON BRUINS
FORWARDS: matt beleskey, brian ferlin, jimmy hayes, alex khokhlachev, dominic moore, tyler randell, zac rinaldo, tim schaller, drew stafford
DEFENSEMEN: linus arnesson, chris casto, tommy cross, alex grant, john-michael liles, adam mcquaid, colin miller, joe morrow
GOALTENDERS: anton khudobinn, malcolm subban
BUFFALO SABRES
FORWARDS: william carrier, nicolas deslauriers, brian gionta, derek grant, justin kea, matt moulson, cal o'reilly, cole schneider
DEFENSEMEN: brady austin, mathew bodie, zach bogosian, justin falk, taylor fedun, cody franson, josh gorges, dmitry kulikov
GOALTENDERS: anders nilsson, linus ullmark
CALGARY FLAMES
FORWARDS: brandon bollig, lance bouma, troy brouwer, alex chiasson, freddie hamilton, emile poirier, hunter shinkaruk, matt stajan, kris versteeg, linden vey
DEFENSEMEN: matt bartkowski, ryan culkin, deryk engelland, michael kostka, brett kulak, ladislav smid, michael stone, dennis wideman, tyler wotherspoon
GOALTENDERS: brian elliott, tom mccollum
CAROLINA HURRICANES
FORWARDS: bryan bickell, connor brickley, patrick brown, erik karlsson, danny kristo, jay mcclement, andrew miller, andrej nestrasil, joakim nordstrom, lee stempniak, brendan woods
DEFENSEMEN: klas dahlbeck, dennis robertson, philip samuelsson, matt tennyson
GOALTENDERS: daniel altshuller, eddie lack, michael leighton, cam ward
CHICAGO BLACKHAWKS
FORWARDS: kyle baun, andrew desjardins, marcus kruger, pierre-cedric labrie, michael latta, brandon mashinter, dennis rasmussen, jordin tootoo
DEFENSEMEN: brian campbell, dillon fournier, shawn lalonde, johnny oduya, ville pokka, michael rozsival, viktor svedberg, trevor van riemsdyk
GOALTENDERS: mac carruth, jeff glass
COLORADO AVALANCHE
FORWARDS: troy bourke, gabriel bourque, rene bourque, joe colborne, turner elson, felix girard, mikhail grigorenko, samuel henley, john mitchell, jim o'brien, brendan ranford, mike sislo, carl soderberg
DEFENSEMEN: mark barberio, mat clark, eric gelinas, cody goloubef, duncan siemens, fedor tyutin, patrick wiercioch
GOALTENDERS: joe cannata, calvin pickard, jeremy smith
COLUMBUS BLUE JACKETS
FORWARDS: josh anderson, alex broadhurst, matt calvert, zac dalpe, sam gagner, brett gallant, william karlsson, lauri korpikosko, lukas sedlak, t.j. tynan, daniel zaar
DEFENSEMEN: marc-andre bergeron, scott harrington, jack johnson, kyle quincey, john ramage, jaime sifers, ryan stanton
GOALTENDERS: oscar dansk, anton forsberg, joonas korpisalo
DALLAS STARS
FORWARDS: adam cracknell, justin dowling, cody eakin, ales hemski, jiri hudler, curtis mckenzie, mark mcneill, travis morin, patrick sharp, gemel smith, matej stransky
DEFENSEMEN: mattias backman, andrew bodnarchuk, ludwig bystrom, nick ebert, justin hache, dan hamhuis, patrik nemeth, jamie oleksiak, greg pateryn, dustin stevenson
GOALTENDERS: henri kiviaho, maxime legace, kari lehtonen, antti niemi, justin peters
DETROIT RED WINGS
FORWARDS: louis-marc aubry, mitch callahan, colin campbell, martin frk, luke glendening, darren helm, drew miller, tomas nosek, riley sheahan, ben street, eric tangradi
DEFENSEMEN: adam almquist, jonathan ericsson, niklas kronwall, brian lashoff, dylan mcilrath, xavier ouellet, ryan sproul
GOALTENDERS: jared coreau, petr mrazek, edward pasquale, jake peterson
EDMONTON OILERS
FORWARDS: david desharnais, justin fontaine, matt henricks, roman horak, jujhar khaira, anton lander, iiro pakarinen, tyler pitlick, zach pochiro, benoit pouliot, henrik samuelsson, bogdan yakimov
DEFENSEMEN: mark fayne, andrew ference, mark fraser, eric gryba, david musil, jordan oesterle, griffin reinhart, kris russell, dillon simpson
GOALTENDERS: laurent brossoit, jonas gustavsson
FLORIDA PANTHERS
FORWARDS: graham black, tim bozon, jaromir jagr, jussi jokinen, derek mackenzie, jonathan marchessault, colton sceviour, michael sgarbossa, reilly smith, brody sutter, paul thompson, shawn thornton, thomas vanek
DEFENSEMEN: jason demers, jakub kindl, brent regner, reece scarlett, mackenzie weegar
GOALTENDERS: reto berra, sam brittain, roberto luongo
LOS ANGELES KINGS
FORWARDS: andy andreoff, justin auger, dustin brown, kyle clifford, andrew crescenzi, nic dowd, marian gaborik, jarome iginla, trevor lewis, michael mersch, jordan nolan, teddy purcell, devin setoguchi, nick shore
DEFENSEMEN: matt greene, vincent loverde, brayden mcnabb, cameron schilling, rob scuderi, zach trotman
GOALTENDERS: jack campbell, jeff zatkoff
MINNESOTA WILD
FORWARDS: brady brassart, patrick cannone, ryan carter, kurtis gabriel, martin hanzal, erik haula, zack mitchell, jordan schroeder, eric staal, chris stewart, ryan white
DEFENSEMEN: victor bartley, matt dumba, christian folin, guillaume gelinas, alexander gudbranson, gustav olofsson, nate prosser, marco scandella, mike weber
GOALTENDERS: johan gustafsson, darcy kuemper, alex stalock
MONTREAL CANADIENS
FORWARDS: daniel carr, connor crisp, jacob de la rose, bobby farnham, brian flynn, max friberg, charles hudon, dwight king, stefan matteau, torrey mitchell, joonas nattinen, steve ott, tomas plekanec, alexander radulov, chris terry
DEFENSEMEN: brandon davidson, alexei emelin, keegan lowe, andrei markov, nikita nesterov, zach redmond, dalton thrower
GOALTENDERS: al montoya
NASHVILLE PREDATORS
FORWARDS: pontus aberg, cody bass, vernon fiddler, mike fisher, cody mcleod, james neal, p.a. parenteau, adam payerl, mike ribeiro, miikka salomaki, colton sissons, craig smith, trevor smith, austin watson, colin wilson, harry zolnierczyk
DEFENSEMEN: taylor aronson, anthony bitetto, stefan elliot, petter granberg, brad hunt, matt irwin, andrew o'brien, adam pardy, jaynen rissling, scott valentine, yannick weber
GOALTENDERS: marek mazanec
NEW JERSEY DEVILS
FORWARDS: beau bennett, michael cammalleri, carter camper, luke gazdic, shane harper, jacob josefson, ivan khomutov, stefan noeson, marc savard, devante smith-pelly, petr straka, mattias tedenby, ben thomson, david wohlberg
DEFENSEMEN: seth helgeson, viktor loov, ben lovejoy, andrew macwilliam, jon merrill, dalton prout, karl stollery, alexander urbom
GOALTENDERS: keith kinkaid, scott wedgewood
NEW YORK ISLANDERS
FORWARDS: josh bailey, steve bernier, eric boulton, jason chimera, casey cizikas, cal clutterbuck, stephen gionta, ben holmstrom, bracken kearns, nikolay kulemin, brock nelson, shane prince, alan quine, ryan strome, johan sundstrom
DEFENSEMEN: calvin de haan, matthew finn, jesse graham, thomas hickey, loic leduc, scott mayfield, dennis seidenberg
GOALTENDERS: jean-francois berube, christopher gibson, jaroslav halak
NEW YORK RANGERS
FORWARDS: taylor beck, chris brown, daniel catenacci, jesper fast, tanner glass, michael grabner, marek hrivik, nicklas jensen, carl klingberg, oscar lindberg, brandon pirri, matt puempel
DEFENSEMEN: adam clendening, tommy hughes, steven kampfer, kevin klein, michael paliotta, brendan smith, chris summers
GOALTENDERS: magnus hellberg, antti raanta, mackenzie skapski
OTTAWA SENATORS
FORWARDS: casey bailey, mike blunden, alexandre burrows, stephane da costa, christopher didomenico, nikita filatov, chris kelly, clarke macarthur, max mccormick, chris neil, tom pyatt, ryan rupert, bobby ryan, viktor stalberg, phil varone, tommy wingels
DEFENSEMEN: mark borowiecki, fredrik claesson, brandon gormley, jyrki jokipakka, marc methot, patrick sieloff, chris wideman, mikael wikstrand
GOALTENDERS: mike condon, chris driedger, andrew hammond
PHILADELPHIA FLYERS
FORWARDS: pierre-edouard bellemare, greg carey, chris conner, boyd gordon, taylor leier, colin mcdonald, andy miele, michael raffl, matt read, chris vandevelde, jordan weal, dale weise, eric wellwood
DEFENSEMEN: mark alt, tj brennan, michael del zotto, andrew macdonald, will o’neill, jesper pettersson, nick schultz
GOALTENDERS: steve mason, michal neuvirth
PITTSBURGH PENGUINS
FORWARDS: josh archibald, nick bonino, matt cullen, jean-sebastien dea, carl hagelin, tom kuhnhackl, chris kunitz, kevin porter, bryan rust, tom sestito, oskar sundqvist, dominik uher, garrett wilson, scott wilson
DEFENSEMEN: ian cole, frank corrado, trevor daley, tim erixon, cameron gaunce, ron hainsey, stuart percy, derrick pouliot, chad ruhwedel, mark streit, david warsofsky
GOALTENDERS: marc-andre fleury
SAN JOSE SHARKS
FORWARDS: mikkel boedker, barclay goodrow, micheal haley, patrick marleau, buddy robinson, zack stortini, joe thornton, joel ward
DEFENSEMEN: dylan demelo, brenden dillon, dan kelly, paul martin, david schlemko
GOALTENDERS: aaron dell, troy grosenick, harri sateri
ST. LOUIS BLUES
FORWARDS: kenny agostino, andrew agozzino, kyle brodziak, jordan caron, jacob doty, landon ferraro, alex friesen, evgeny grachev, dmitrij jaskin, jori lehtera, brad malone, magnus paajarvi, david perron, ty rattie, scottie upshall, nail yakupov
DEFENSEMEN: robert bortuzzo, chris butler, morgan ellis, carl gunnarsson, jani hakanpaa, petteri lindbohm, reid mcneill
GOALTENDERS: jordan binnington, carter hutton
TAMPA BAY LIGHTNING
FORWARDS: carter ashton, michael bournival, j.t. brown, cory conacher, erik condra, gabriel dumont, stefan fournier, byron froese, yanni gourde, mike halmo, henri ikonen, pierre-luc letourneau-leblond, tye mcginn, greg mckegg, cedric paquette, tanner richard, joel vermin
DEFENSEMEN: dylan blujus, jake dotchin, jason garrison, slater koekkoek, jonathan racine, andrej sustr, matt taormina, luke witkowski
GOALTENDERS: peter budaj, kristers gudlevskis, jaroslav janus, mike mckenna
TORONTO MAPLE LEAFS
FORWARDS: brian boyle, eric fehr, colin greening, seth griffith, teemu hartikainen, brooks laich, brendan leipsic, joffrey lupul, milan michalek, kerby rychel, ben smith
DEFENSEMEN: andrew campbell, matt hunwick, alexey marchenko, martin marincin, steve oleksy, roman polak
GOALTENDERS: antoine bibeau, curtis mcelhinney, garret sparks
VANCOUVER CANUCKS
FORWARDS: reid boucher, michael chaput, joseph cramarossa, derek dorsett, brendan gaunce, alexandre grenier, jayson megna, borna rendulic, anton rodin, drew shore, jack skille, michael zalewski
DEFENSEMEN: alex biega, philip larsen, tom nilsson, andrey pedan, luca sbisa
GOALTENDERS: richard bachman, ryan miller
WASHINGTON CAPITALS
FORWARDS: jay beagle, chris bourque, paul carey, brett connolly, stanislav galiev, tyler graovac, garrett mitchell, liam o’brien, t.j. oshie, zach sill, chandler stephenson, christian thomas, nathan walker, justin williams, daniel winnik
DEFENSEMEN: karl alzner, taylor chorney, cody corbett, darren dietz, christian djoos, tom gilbert, aaron ness, brooks orpik, nate schmidt, kevin shattenkirk
GOALTENDERS: pheonix copley, philipp grubauer
WINNIPEG JETS
FORWARDS: marko dano, quinton howden, scott kosmachuk, tomas kubalik, jc lipon, shawn matthias, ryan olsen, anthony peluso, chris thorburn
DEFENSEMEN: ben chiarot, toby enstrom, brenden kichton, julian melchiori, paul postma, brian strait, mark stuart
GOALTENDERS: michael hutchinson, ondrej pavelec
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fashioncurrentnews · 7 years
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RuPaul Drag Race Season 10 tutte le concorrenti
È iniziata ieri, 22 marzo, la Season 10 di RuPaul Drag Race, il reality show dedicato all’affascinante mondo delle drag queen e, in attesa che lo show arrivi in Italia, vi sveliamo tutte le concorrenti in gara.
14 drag queen che si sfideranno a colpi di creatività e doti di playback, nel corso della decima stagione del programma condotto da RuPaul, la drag queen più famosa al mondo premiata agli Emmy, che ha recentemente ottenuto una stella sulla mitica Walk of Fame di Hollywood.
Nel corso delle precedenti edizioni, RuPaul Drag Race ha ospitato giudici e ospiti speciali tra cui Gigi Hadid, Lady Gaga e designer tra cui Jeremy Scott e Marc Jacobs. E per la prima puntata della Season 10, a giudicare le nuove concorrenti è stata chiamata Christina Aguilera.
Tra le 14 drag queen in gara quest’anno, compare a sorpresa Aquaria, uno dei personaggi della nightlife Newyorkese più amato dal fashion system, comparsa anche sul numero di marzo 2018 di Vogue Italia.
Sfoglia la gallery per conoscere tutte le regine di RuPaul Drag Race Season 10 e torna su questa pagina per tutti gli aggiornamenti sulla decima stagione del reality.
L'articolo RuPaul Drag Race Season 10 tutte le concorrenti sembra essere il primo su Vogue.it.
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pangeanews · 4 years
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L’oltraggio d’una minima stella rugginosa. Le traiettorie poetiche di Bartolo Cattafi
Bartolo Cattafi venne alla luce da facoltosi possidenti terrieri a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) nell’anno di grazia 1922, lo stesso che vide la prima pubblicazione del poemetto The waste land di Thomas Stearns Eliot, testo esemplare per le rotte del pensiero poetico contemporaneo. La sua fu una famiglia culturalmente e attivamente impegnata nel campo sociale. Il padre, Bartolo­meo, medico molto noto e apprezzato per le sue doti umane e professio­nali, non ebbe la gioia di vederlo nascere perché morì quattro mesi pri­ma. L’educazione di Bartolo fu incombenza solo della madre, Matilde Ortoleva, donna di severi e rigorosi costumi, religiosissima e con una pesante personalità, che però non poté colmare il vuoto prodotto dall’assenza di una figura paterna protettiva e rassi­curante.  In questo florido centro tirrenico, grazie allo zio Enrico Barresi, uomo di vasti interessi culturali, frequenta sin da giovane la casa del futurista siciliano Guglielmo Jannelli, incontrando nomi quali Giacomo Balla, Vann’Antò (al secolo Giovanni Antonio Di Giacomo), Fortunato Depero e soprattutto Nino Pino Ballotta.
Dal 1940 Cattafi frequentò la facoltà di Giurisprudenza della vicinissima Messi­na, seguendo saltuariamente le lezioni, senza entusiasmo e con scarsa convin­zione. Unica passione la lettura: Melville, Conrad, Faulkner, Caldwell, Saroyan, Hemingway e gli altri scrittori compresi in Americana di Vittorini, la cui pri­ma edizione risale al 1942; tra gli italiani: Zavattini, Vittorini, Pavese, Savarese, Malaparte, Bontempelli, Pirandello. Ben presto la sua preferenza andò verso i poeti: Machado, Jiménez, Lorça, Eliot, Hopkins, Auden su tutti, poi i nostri Govoni, Quasimo­do, Ungaretti, Montale.
*
L’esperienza militare del 1943, l’anno più cruciale della sua vita, lo riportò bruscamente alla realtà. Chiamato alle armi l’8 febbraio, raggiunse Bologna, dove fu aggregato al 3° Reggimento fanteria carristi, e da qui avviato al 17° Battaglione d’istruzione a Forlì, per frequentare il corso di addestramento per allievi ufficiali. Le marce estenuanti, l’equipaggiamento inadatto, il vitto carente, l’impreparazione e l’ottusità degli apparati militari, l’ubbidienza mor­tificante a ordini insensati gli causano (sono parole sue) un «crollo fisico e nervoso», di cui si hanno tracce marcate in vari componimenti di A dicembre Badoglio, sezione compresa poi ne L’aria secca del fuoco.
Frutto di questo primo «compitare in versi un ingenuo inventario del mon­do» è un folto materiale, che il nostro organizza in due raccolte, corredandole di due brevi note introduttive, l’una datata 28 aprile 1944, l’altra 16 ottobre 1946 (entrambe inedite). Siamo d’altronde negli anni della guerra, della resistenza al nazifascismo, dello sbarco alleato in Sicilia: periodo segnato da un soffocante aleggiare di morte che si intravede anche in molte di queste primissime poesie, permeate tuttavia da un abbacinante colorismo, in cui si rispecchia la fervida smania sensoriale di un animo ancora profondamente pagano, immerso nell’ovattata fisicità di un paesaggio dalla solarità allucinante, ovvero coercitiva perché illusoria. “Cominciai a scrivere versi non so come, ero sempre in preda a non so quale ebbrezza, stordito da sensazioni troppo acute, troppo dolci. Tutt’intorno lo schianto delle bombe e le raffiche degli Hurricane, degli Spitfire… Me ne andavo nella colorita campagna, nutrendomi di sapori, aromi, immagini: la morte non era un elemento innaturale in quel quadro; era come un pesco fiorito, un falco sulla gallina, una lucertola che guizza attraverso la viottola” (Bartolo Cattafi in Poesia italiana contemporanea 1909-1959, a cura di Giacinto Spagnoletti, Guanda 1964; ristampato in Roma, Newton 1994)..
*
Nel­l’immediato dopoguerra, Cattafi medita di trasferirsi a Milano, alternando però lunghe permanenze con periodici ritorni in Sicilia e, più tardi, con frequenti viaggi all’estero, finché, a partire dal 1956 e fino alla prima metà del 1967, vi dimora stabilmente trasferendovi anche la resi­denza. Stringerà qui amicizia con Sergio Solmi che gli fa poi conoscere Vittorio Sereni – diventerà presto suo fraterno amico –, il quale lo introduce negli ambienti letterari e artistici della città. In tal modo, Cattafi entra in contatto anche con Carlo Bo, Vanni Scheiwiller (suo futuro editore) Enrico Emanuelli, Giansiro Ferrata, Luciano Erba, Luciano Anceschi, Giacinto Spagnoletti, Giovanni Giudici, Piero Chiara. Le pubblicazioni si faranno così assai cospicue ed incisive, sia su rivista che in antologie, tra cui appunto la più rinomata è certamente Quarta generazione (proprio a cura di Piero Chiara e Luciano Erba, 1954).
Nel 1948 vince il «Concorso Nazionale “Pagine Nuove” per la poesia», con Corrado Govoni presidente della giuria, al quale egli era stato presentato dal concittadino poeta Nino Pino Ballotta, forse il suo primo lettore. La stessa rivista organizzatrice del premio, nel numero di maggio del 1949, gli pubblica sette componimenti che entreranno tutti – tranne Eolie, mai più ristampato – nel volumetto Nel centro della mano che, accolto da Sereni nelle Edizioni della Meridiana nel 1951, segna il «battesimo» poetico di Cattafi.
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Nel 1952 ha inizio la grande stagione dei viaggi: Francia, Inghilterra, Irlanda, Scan­dinavia, Spagna, Africa. Poiché ogni vicenda pas­sa «sulla sua pelle e dentro il suo sangue», è naturale che il nomadismo di Cat­tafi si traduca in poesia, in presa diretta o a distanza di anni, a cominciare da Partenza da Greenwich del 1955. Dai viaggi trae anche materiale per articoli e corrispondenze che manda a vari quotidiani e periodici, tra cui «L’Ora» di Palermo, la rivista «Pirelli», «L’I­talia illustrata», «L’Indicatore librario». Vagheggia di fare l’inviato speciale, anche per assicurarsi un tenore di vita dignitoso non bastandogli le modeste rendite dei suoi terreni. Di questa frammentaria e disorganica attività giornalistica mi piace ricorda­re il reportage Lo Stretto di Messina e le Eolie, corredato dalle fotografie di Alfredo Camisa e stampato, in bella veste tipografica, a cura dell’ACI nel 1961.
Contemporaneamente, tenta l’avventura pubblicitaria. Viene assunto in prova dalla Motta, ma si dimette dopo appena due mesi, e dalla Pirelli nella “Direzione propaganda”, in qualità di «compilatore di testi di prestigio». An­noiato e deluso, abbandona anche questo lavoro.
Nel 1958 esce il primo libro mondadoriano, Le mosche del meriggio, rias­suntivo della produzione 1945-1955, col quale vince il «Premio Cittadella».
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Due anni dopo, la perdita dolorosissima della madre (la ricorderà in una toccante poesia dell’Osso, Un 30 agosto), una tormentata e deprimente storia amorosa e l’aggravarsi della sua situazione finanziaria, seriamente compro­messa dall’incapacità di svolgere una stabile attività lavorativa, lo gettano in uno stato di profonda prostrazione fisica e psichica che, puntualmente, si ri­specchia ne L’osso, l’anima, edito sempre da Mondadori nel 1964. Questa raccolta, l’unica che può fregiarsi di una seconda edizione, vince il «Premio Chianciano» e segna la definitiva consacrazione poetica. Sarà poi la vendita all’Enel del fondo di contrada Archi, nel comune di S. Filippo del Mela (Messina), conclusa nel 1966 dopo lunghe e complesse trattative, a garantirgli la tranquillità economica, consentendogli di dedicarsi esclusivamente alla scrittura.
Dalla fine di dicembre del 1962, Cattafi non aveva infatti scritto un verso e non ne scriverà fino al 21 marzo del 1971: un lungo periodo di astinenza poetica, durante il quale dirotta altrove le sue energie creative. Disegna, dipinge – alcuni quadri sono bellissimi –, si dedica alla fotografia.
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Il 26 giugno 1967 sposa, col solo rito civile a Callander, in Scozia, Ada De Alessandri, milanese, di ventidue anni più giova­ne di lui, che aveva conosciuto a Milano e ritrovato in Inghilterra durante un viaggio organizzato. Qualche giorno dopo ritorna in Sicilia, ristruttura una vecchia casa colonica di sua proprietà nella campagna di Mollerino (vicino Barcellona n.d.r.) e qui stabilisce il domicilio, conservando la residenza a Milano, dove però ormai si recherà per brevi periodi, quasi solo per curare la pubblicazione dei suoi libri o per ragioni di salute.
Nel marzo 1971, come si accennava, finisce il silenzio poetico. “Alle quattro del mattino di un giorno del marzo 1971, come morso dalla tarantola, dovetti alzarmi dal letto e cercare carta e penna. Da quel momento si aprirono le cateratte: dopo sette anni di silenzio, durante i quali non ero riuscito a mettere insieme due versi, scrissi in dieci mesi circa quattrocento poesie” (Enzo Fabiani, In Sicilia a caccia di sirene. «Gente», 22 luglio 1972).
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Da quel giorno e fino alla morte, se si eccettuano gli anni 1974-’75, durante i quali si limita a rimaneggiare e a ordinare in volume le poesie concepite nel biennio precedente, l’urgenza espressiva di Cattafi non avrà so­sta o interruzione. Per dare un’idea di questa esplosione creativa, si pensi che, tra il marzo ’71 e il gennaio ’72, compone le 362 poesie de L’aria secca del fuoco, con cui vince i premi «Vann’ Antò» e «Sebèto». Esse, attraverso varie redazioni non sempre datate o databili, formeranno, per citare solo i vo­lumi riassuntivi, La discesa al trono (1975), Marzo e le sue idi (1977), Segni e parte di Codadigallo, (questi ultimi due pubblicati postumi).
La stagione dell’ultimo Cattafi è non solo caratterizzata da uno straordina­rio fervore creativo, ma anche ricca di avvenimenti che si riflettono sulla poe­sia. Il 10 agosto 1975, dopo otto anni di matrimonio, nasce l’unica figlia, la «dolcissima» Elisabetta Maria (destinataria di quattro delle 18 dediche).
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Da tempo però Cattafi accusava vari disturbi fisici, lo sa bene chi gli è stato vicino, ma la scoperta dell’insanabile ferita avviene solo il 20 aprile 1978, quando una visita radiologica rivela un «punto oscuro nella pleura del polmone sinistro», come si leg­ge nel Diario. Le analisi seguenti confermano la funesta diagnosi: «È dunque cancro», annota il poeta il 9 maggio dello stesso anno. E tuttavia non si può negare che la malattia e il presentimento della morte accelerano spesso le spinte se­grete, da sempre però operanti, e favoriscono la disponibilità dello spirito ad accogliere in sé il senso del divino e a lasciarsi invadere da esso.
Cattafi spende le ultime, residue energie lavorando alla revisione delle «poesie segniche», alla definizione di Codadigallo e alla stesura di nuovi componi­menti. Aveva appena avuto il tempo di firmare le copie del servizio-stampa de L’allodola ottobrina e di salutare gli amici in un ristorante milane­se, quasi presagisse non più rinviabile l’appuntamento con la morte. Una data, questa del 13 marzo (1979), che sembra preannunciata, come per una sorta di inquie­tante premonizione, nella poesia del lontano 1972, elevata a dignità di titolo del volume Marzo e le sue idi: «Di tutto diffido / del pugnale di bruto / della tenera carne di cesare / dello stesso destino / che passi presto il tempo / venga­no alfine marzo e le sue idi».
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Cattafi è abile come pochi nel costruire versi colla perizia derivata dall’uso finissimo dell’allitterazione, dei sintagmi paronomastici, delle rime al mezzo, strumenti questi sistemati come mattoni che si incastrano alla perfezione, a cui si aggiunge la malta di un pensiero illuminato e illuminante, ma tarlato dall’angoscia esistenziale: ne vien fuori una poesia di impeccabile compiutezza fonica e – soprattutto – mentale, sempre intenta a smascherare ogni minima aberrazione con vivido spirito metaforizzante e, dunque, maggiormente efficace poiché sprigiona, grazie a questa potenza simbolica, la massima carica esplicativa.
Se una vena barocca esiste in queste liriche così cesellate è di certo quella dell’analogismo ardito, dalla visionarietà quasi orfica e, al contempo, razionalissima, strutturata grazie alla giustapposizione di elementi disparati che creano abissali scarti, fulminei lampi di pensiero, estrose immagini plasmanti lucidi concetti. In molti passaggi si riscontra, oltretutto, una marcata inclinazione dell’io a defilarsi, il che comporta un investire l’oggetto della carica di “referente”, lasciandogli svolgere quel ruolo di “attante” solitamente interpretato dall’io lirico. Le ‘cose’vengono così innalzate ad emblemi di uno status esistenziale o intellettivo, come accade nel “correlativo oggettivo” di T.S. Eliot (uno fra i modelli di Cattafi ma, ancor prima, di Montale). Anzi il soggetto, a volte, sembra talmente ben nascosto da permettere un inusuale ribaltamento di prospettiva: lo ha intuito bene Silvio Ramat, secondo il quale si dovrebbe parlare piuttosto di un «correlativo soggettivo».
La spinta analogica dei versi è talmente complessa da sfociare in una sorta di “astrattismo espressionistico” del tutto sui generis, fatto di ingranaggi inusuali, di accostamenti capaci di una forte folgorazione, di metafore dagli addendi talvolta stranianti, ma limpidi poi negli effetti. Ne risulta una poesia rarefatta ma, allo stesso tempo, concretissima, che scandaglia gli eventi in maniera scrupolosa, come un microscopio farebbe con freddi campioni biologici: la mente è sempre protesa a sondare il nucleo nascosto delle cose, ricercando quel ‘nodulo’ che le rende maligne, inconoscibili, allo scopo di comprenderne non solo le fattezze esteriori ma anche i cancerosi meccanismi interni.
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Passiamo adesso ad analizzare alcuni testi.
Nel cerchio
Qui nel cerchio già chiuso nel monotono giro delle cose nella stanza sprangata eppure invasa da una luce lontana di crepuscolo può darsi nasca un’acqua ed una nebbia il mare sconosciuto e il lido dove per prima devi imprimere il tuo piede calando dalla nave consueta, transfuga che il rombo frastorna in corsa nella mente, lungo le belle curve di conchiglia. Sarà prossimo il centro: là s’appunta il nero occhio, la nostra perla di pece sempre in fiamme, serrata tra le ciglia, che per un attimo, in un battito ribelle intacca il puro ovale dello zero.
(da Le mosche del meriggio, Mondadori 1958)
In questa lirica un senso di soffocamento, di abitudinario ritualismo corrode la percezione della realtà circostante, occlusione che tarpa le ali ai voli della mente, succuba così della propria limitatezza. È forse la vana ricerca della verità, dell’indefinibile palpito dell’universo a tarlare l’immaginario del poeta che pur vorrebbe ribellarsi al perenne fallimento di ogni sforzo cognitivo. Siamo in completa consonanza con quel limite fisico che, metaforizzato, simboleggia l’insuperabile ostacolo alla piena comprensione: ricordiamoci per un attimo della ‘siepe’ leopardiana o dell’infinita ‘scala a chiocciola’ nell’antica torre di My house di Yeats. Tutto questo induce a pensare che il vero motore della poesia di Bartolo Cattafi sia da ricercare nell’ansia gnoseologica, sebbene – in fin dei conti – essa venga sistematicamente messa sotto scacco.
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Brughiera
[…] La stagione è finita; ancora vivono il dente infisso nel centro della mano, ciò che la spina lentissima ci scrisse. Una lampada gracile, l’allodola rientra incerta, s’addentra sull’immoto colore di brughiera.
La poesia di Cattafi si popola spesso, fin dal suo primo incedere, di immagini ancipiti che contemplano insieme il caldo abbraccio di un esasperato vitalismo e il rovello spasmodico della morte, in un quadro che risente delle precoci frequentazioni col simbolismo messinese di matrice futurista (in particolare Giuseppe Jannelli e Nino Pino Ballotta), sicuramente sperimentato dal poeta negli anni universitari trascorsi all’ombra del Faro.
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Mio amore non credere
Mio amore non credere che oggi il pianeta percorra un’altra orbita, è lo stesso viaggio tra le vecchie stazioni scolorite, vi è sempre un passero sfrullante nelle aiuole un pensiero tenace nella mente. Il tempo gira sul quadrante, giunge un segno di nebbia sopra il pino il mondo pende dalla parte del freddo. Qui le briciole a terra, la brace del camino, le ali, le mani basse e intente.
L’universo interiore di Cattafi risulta sempre orientato alla continua corrosione mentale: il poeta spesso si aggrappa al dialogo, quasi sotto forma epistolare, con qualcuno a cui ‘confessare’ le proprie afflizioni, i patimenti di un eterno sottofondo di dolore che sembra incrinare finanche la struttura intellettiva.
La martellante ossessione dei pensieri è resa con un’analogia tra le più vivide e funzionali dell’intera poesia cattafiana: il movimento convulso, a scatti, imprevedibile, instancabile del passero che mima, in un’immagine di rara precisione descrittiva, l’estrema saturazione – quasi ai limiti del compulsivo – della vessata interiorità del poeta. Egli accenna ad ulteriori motivi universali: l’inesorabilità dello scorrere del tempo («il tempo gira sul quadrante»), la precarietà della condizione generale – forse con la mente ancora alla difficile ricostruzione post-bellica («il mondo pende dalla parte del freddo. /Qui le briciole a terra, […] le mani basse e intente»). Il quadro negativo è rafforzato, a mio avviso, dalle efficaci forzature allitterativo-paronomastiche, con funzione di allarme, di sensibilizzatori della coscienza personale e collettiva.
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Arcipelaghi
Maggio, di primo mattino la mente gira su se stessa come un bel prisma un bel cristallo un poco stordito dalla luce. Dal soffitto si stacca neroiridato ilare il festone delle mosche, posa su grandi carte azzurre riparte e lascia ronzando isole minime, arcipelaghi forse d’Africa e d’Asia. Intanto in cielo sempre più si svolge la mesta bandiera della luce. Prima di sera l’unghia scrosta l’isole le immagini superflue. Le carte ridiventano deserte.
(da Qualcosa di preciso, Scheiwiller 1961)
Qui si assiste a una progressiva quanto discussa inversione di rotta, che trascorre da un colorismo ponderoso ad un lucore attenuato, quasi plumbeo; da una natura dirompente, sebbene già estenuata, ad un’asettica impronta meccanicistica; da un accennato intreccio ad una raziocinante epigrammaticità.
Attraverso pochi ma significativi aggiustamenti di traiettoria i versi diventano esemplari di una nuova ‘maniera’ del poetare più astratta, quasi assiomatica. Al tocco leggero, appena accennato, subentrano nuove forme aggettivali e sostantivali che tendono ad una maggior precisione, direi geometrica, ad evidenziare un rinnovato, lucido sforzo del raziocinio: Cattafi vorrebbe “scrostare le immagini superflue” cercando, col suo analogismo pregnante, una soluzione più incisiva rispetto al descrittivismo pittorico. Le sue liriche si appropriano così un’asciuttezza tonale adesso poco incline al narrare, immettendosi piuttosto sulla difficile strada della chiarezza sentenziosa («Le carte ridiventano deserte»). Si direbbe che il poeta abbandoni, quasi a malincuore – tant’è che lo riprenderà qualche anno dopo nelle liriche de Lo Stretto –, il proprio volto mediterraneo («[…] lascia/ ronzando isole minime, arcipelaghi»), dando risalto al lato ‘lombardo’, al retaggio ‘illuministico’ come nuova forma mentis («Intanto in cielo sempre più si svolge/ la mesta bandiera della luce»), che lo rende pienamente intrinseco allo spirito della cosiddetta “Quarta Generazione”.
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Qualcosa di preciso
Con un forte profilo, secco, bello, scattante, qualcosa di preciso fatto d’acciaio o d’altro che abbia fredde luci. E là, sul filo della macchina, l’oltraggio d’una minima stella rugginosa che più corrode e corrompe più s’oscura. Un punto da chiarire, sangue d’uomo, briciola vile oppure grumo perenne, blocco di coraggio.
Non resta adesso che giocarsi l’ultima chance prima di soccombere, di cedere il passo definitivamente, ma stavolta con diversi mezzi, servendosi di risorse più adeguate, di “qualcosa” che abbia una sconcertante evidenza, enumerabile con la “precisione” che sgorga dalla certezza di un esito risolutivo.
L’evidente trasmutazione si avverte anche nel forte cambiamento linguistico: dismessi i panni impressionistici, Cattafi si veste di un profondo rigore nomenclatorio, di matrice scientifica, davvero molto raro in poesia. C’è inoltre una netta modifica del tempo verbale, coniugato ora quasi esclusivamente al perfetto che descrive un’azione già conclusa (le sue occorrenze sono numerose lungo tutta la raccolta: andammo, indossammo, vedemmo, pensammo, uscimmo, camminammo, potemmo, navigammo, portammo, chiedemmo, fummo, etc.; tantissime dunque per un libro di sole 19 poesie). Se tutto ciò rappresenti una definitiva rinuncia, che peraltro pone l’accento sulla comune sorte umana (il poeta usa esclusivamente la prima persona plurale), od un ennesimo tentativo di superamento di una soglia di dolore esistenziale ormai giunta a livelli acutissimi, non è dato saperlo.
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L’osso
Avanti, sputa l’osso: pulito, lucente, levigato, senza frange di polpa, l’immagine del vero, ammettendo che in questo unico osso avulso dal contesto allignino chiariti, concentrati quesiti fin troppo capitali. Credo che tu non possa farcela: saresti cenere nella fossa, anima da qualche parte.
(da L’osso, l’anima, Mondadori 1964)
Sondare dentro il “vero”, alla fine, diventa un atto impossibile alle capacità umane; non solo: affannarsi a trovare la soluzione assoluta è un’operazione effimera, inservibile se poi la verità è sganciata dal contesto delle cose o pretenda di esaurire il reale. Non per questo Cattafi intende rinunciare, anche se un silenzio poetico, durato ben sette anni, lascia intendere che una resa, seppur parziale e provvisoria, è stata avvertita come necessaria, quantomeno per riordinare le idee in vista di una nuova battaglia contro l’inconoscibilità del mondo.
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Cancro
Il sei luglio alle cinque del mattino il tram a vapore partito da Messina emise dall’imbuto fumo faville e un lungo fischio, appena nato girai la testa verso quel primo saluto della vita. Appartengo a una razza bisognosa di auguri mi dolgo di non potere stringermi la destra con la destra baciarmi le guance quando una volta l’anno mi scorre accanto zampettando all’alba l’acquatico figlio della luna che porta la mia sorte sigillata nel pentagono della sua corazza.
(da L’aria secca del fuoco, Mondadori 1971)
La natura risulta sempre strumento o corsia preferenziale a esprimere la similitudine. Spesso trapela in Cattafi un forte senso di costrizione, di soffocamento che egli tenta di esorcizzare per mezzo di figurazioni oracolari simili ad allucinazioni (Cancro). L’andamento sospeso e misterico sfocia in sentenze spiazzanti e, talvolta, apparentemente indecifrabili.
Questa linea orfica lo accomuna a tanti illustri predecessori – penso a Yeats, a Campana e, non ultimo, a Lucio Piccolo – sospingendo il dettato in una direzione ermetica, infine addirittura “segnica”. E, paradossalmente, sembra che tanto più la poesia si faccia oscura, quanto più la sensazione è quella di una maggiore chiarezza sintetica dei messaggi. La parola aumenta di densità e consistenza, in modo tale da lasciar risplendere, in poche pennellate, una forte carica ‘universale’.
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L’allodola ottobrina
S’alzò in volo e cantò invece l’allodola ottobrina prima che giungesse concentrato il piombo dodici undici dieci.
(da L’allodola ottobrina, Mondadori 1979)
Il poeta affida ancora una volta ad un animale simbolico, adesso l’allodola, tutto un carico di impulsi attinenti ad uno stato di estrema resistenza, di sfacciato titanismo che oltrepassa il radicato dolore dell’anima. Chissà che in Cattafi non agisse una qualche reminiscenza ungarettiana di Agonia? (Morire come le allodole assetate/sul miraggio// […] Ma non vivere di lamento/ come un cardellino accecato).
È fondamentale continuare, imperterriti, a creare “pienezze di senso”, anche laddove ci si sente accerchiati da mali di sconcertante varietà: opporsi cantando (ecco il perché del corsivo per l’avverbio) anche se il mondo si dissolve. “In uno scrittore quale è Cattafi (post-montaliano e post-ermetico, sperimentatore per indole, senza dover chiedere lumi alle neoavanguardie coi loro codificati e spesso scontati azzardi), l’oggetto è sempre al centro, ha il compito di fisicizzare cioè di render concreta l’intenzione di un io storicamente perplesso quanto alla propria parte, dubbioso per forza del suo governo sulla fluidità del vivente. […] L’allodola è dunque anche il grande, persuasivo testo della persona che ha fiducia nell’oggetto, catturato di continuo e di continuo lasciato rifluire; oggetto amato infine anche nelle specie del male, del disgusto, della sventura. C’è un graduale incremento, pagina dopo pagina, degli aspetti ingrati, degli eventi penosi, eppure tutto segnala una medesima “teofania”… (Silvio Ramat, Bartolo Cattafi oltre la “quarta generazione”: il terzo tempo della poesia cattafiana, in AA.VV., Atti del Premio Nazionale di Poesia «Bartolo Cattafi» VII e VIII edizione – Barcellona P.G., 1996, 1999. Marina di Patti-Messina, Pungitopo 2000, pp. 46-49).
Tutto ciò non elimina l’azione ineluttabile della morte, che azzera qualsiasi tentativo di rivolta, distrugge ogni spasimo di volo (distinzione dalla massa?), spezza le fragili trame umane fatte di fatica, di un confuso annaspare per la difesa di una sterile sopravvivenza.
Ed è un annullamento totale, se è vero (come è vero) che il poeta si propone di cancellare addirittura la propria ombra, ultima proiezione residua del suo status di creatura terrena, che lo costringe ancora ad un’esistenza involuta.
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Creazione
In quel muro in quel foglio nell’area bianca che la tua mano cerca il mignolo bagnato nell’inchiostro sopra strisciato con fiducia azzurro corso d’acqua rapinoso vena arteria in cui scorre a occhi chiusi il mondo.
(da Segni, Scheiwiller 1986)
Si potrebbe dire che ogni enunciazione segnica produce linearità, ovvero consta di un’estensione nel tempo (oralità) o nello spazio (scrittura). Tutto ciò implica un’inevitabile distinzione tra una parola tratta dall’infinito ‘sottobosco’ dei segni in potenza e le effettive attuazioni in un discorso a sé stante: «Ségnala/ dalle un connotato/ spazio circondato d’altro spazio/ stràppalo come foglia/ all’immane foresta del non-segnato» (si legge in un’altra poesia: Pagina bianca). Da qui l’assoluta necessità della scrittura, vista come azione prometeica di conquista del barlume minimo di conoscenza possibile, sebbene ciò comporti un discernimento solo relativo dell’infinita molteplicità del reale.
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Nidiata
Coloniali parole gregarie filiformi da te lasciate in un luogo in un discorso nidiata ora straniera ritornante rimorso fosforo stridente nel sonno della sera.
Le parole – sostanziazioni del pensiero astratto (ricordiamo l’altra dicotomia saussuriana tra langue e parole) – hanno la capacità di rivelarsi ossessivo portato di una razionalità ormai destabilizzata: il poeta tenta di decrittare una realtà che gli si ribella, quasi fosse animata da palpiti cospirativi che disgregano una consistenza intellettiva faticosamente acquisita.
Perduta la vis demiurgica, l’io si trova svuotato di ogni orizzonte gnomico, dunque esistenziale; gli stessi oggetti dissipano la propria “funzione connotativa” di simboli: è un quadro dal barocchismo assai accentuato, un horror vacui che travolge anche la percezione più elementare. Insomma un’estrema negazione del mondo, sia esso identificabile con le cose (la vita) o col vano tentativo di arrestare il loro inarrestabile trascorrere (la scrittura):
I segni e il senso
I segni e il senso dei segni su soggetti scalpitanti… O apatiche scritture membra ammansite materie inerti ammucchiate in fondo all’anno scritte luminose di novembre.
Diego Conticello
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italianaradio · 5 years
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Nico, 1988: il film e la musica di Christa Päffgen
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Nico, 1988: il film e la musica di Christa Päffgen
Nico, 1988: il film e la musica di Christa Päffgen
Nico, 1988: il film e la musica di Christa Päffgen
La musa dei Velvet Underground raccontata nella sua dimensione più intima, la vita di Christa Päffgen dopo Nico, quando l’artista esprime a pieno sé stessa, allontanandosi dai cliché che la volevano bella e fatale per percorrere con rabbia e passione sentieri musicali oscuri e malinconici, per riannodare le fila della propria esistenza. È questa l’essenza di Nico, 1988, diretto e sceneggiato da Susanna Nicchiarelli, trionfatore a Venezia 2017 nella sezione Orizzonti. Prodotto da Vivo Film e Rai Cinema, Nico 1988 ha raccolto ampi consensi anche ai David di Donatello 2018 – Migliore Sceneggiatura, Miglior Trucco (Marco Altieri), Miglior Acconciatore (Daniela Altieri) e Miglior Suono (Adriano Di Lorenzo, Alberto Padoan, Marc Bastien, Eric Grattepain, Franco Piscopo). La colonna sonora del film si deve a Gatto Ciliegia contro il grande freddo e conta su diversi brani di Nico interpretati dall’attrice protagonista, la danese Trine Dyrholm (Festen, Love is all you need, Orso d’Argento a Berlino per La comune di Thomas Vinterberg).
Nico, 1988 secondo Susanna Nicchiarelli
Intervistata, la regista ha dichiarato che con Nico 1988 il suo intento non era fare un film biografico, ma “fare un film su una cosa che nessuno sa, che sta dietro a qualcosa che tutti sanno”. Ed è proprio questa la forza del film: mostrare una Nico inedita, ormai lontana dal clamore dei riflettori del primo periodo, ma più autentica, facendola conoscere a quanti ancora la identificano solo con la limitata e limitante esperienza assieme ai Velvet Underground. “Mi sembrava che la vita di Nico diventasse più interessante dopo i quarant’anni, quando era meno famosa e meno bella”.
Mentre sulla scelta di Trine Dhyrolm per il ruolo della protagonista Nicchiarelli ha affermato: “Ho scelto lei perché aveva l’energia giusta, era brava, e soprattutto non somigliava a Nico. Quando ho iniziato a cercare un’attrice, sapevo di doverne trovare una che non somigliasse a Nico. Era l’unico modo per distaccarmi dall’originale e creare la mia Nico”.
Trine Dyrholm è Nico
Trine Dyrholm si cala ottimamente nel ruolo della protagonista, pur non somigliandole esteticamente. L’attrice riesce a rendere con un’interpretazione toccante ed emotivamente sentita il tormentato personaggio di Nico. Una donna forte, nonostante l’infanzia turbolenta, la vita sregolata, la dipendenza, l’allontanamento dal figlio Ari, col quale in ultimo recupera un rapporto. Nico non si arrende e affronta i propri demoni, cercando una tranquillità che trova forse solo nell’ultimo periodo della sua vita. Ne emerge il ritratto vivido di chi ha voluto con tenacia tracciare la propria strada, scontrandosi con la fatica di affermarsi per ciò che realmente era.
Trine Dyrholm cantante per Nico, 1988
L’attrice danese mette al servizio del personaggio le proprie doti canore. La stessa Dyrholm è infatti anche una cantante ed ha interpretato tutti i brani di Christa Päffgen presenti nel film, riarrangiati per l’occasione. Il personaggio di Nico è stato creato proprio a partire dalla vocalità così particolare, parte integrante della sua identità, che Dyrholm ha saputo efficacemente ricreare. Una serie di pezzi accuratamente selezionati dal repertorio della cantante – tra cui Nibelungen, My heart is empty, My only child, These days – dai toni oscuri ma grintosi, e alcune emblematiche esibizioni live scandiscono i momenti salienti del film e accompagnano lo spettatore a scoprire cosa si agita nell’animo della protagonista. Significativa la performance durante il concerto oltre la cortina di ferro, un’esplosione di energia davanti a pochi ma entusiasti fan.
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  Nico, 1988, le frasi più significative 
Ecco come risponde il personaggio di Nico in un’intervista a chi le chiede perché porti sempre con sé un registratore, rendendo il profondo legame tra musica e memorie d’infanzia: “Cerco un suono che ho sentito quando ero bambina. Non quello in particolare, ma la sua qualità. Era il vento che lo portava, era il suono di Berlino bombardata, della guerra che finiva, della città che bruciava. Non era un vero suono. Era tante cose allo stesso tempo. Era il suono della sconfitta”.
Sugli alti e bassi di una carriera e di una vita: “Sono stata in cima, sono caduta in basso. Entrambi i luoghi sono vuoti”. Infine, una frase che sintetizza il difficile rapporto con la bellezza e con la propria immagine, oltre a racchiudere tutta la grinta di Nico: “Sono brutta? Bene, perché non ero felice quando ero bella”. Chi volesse approfondire, può consultare la recensione del film:
Nico, 1988: recensione del film di Susanna Nicchiarelli
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Nico, 1988: il film e la musica di Christa Päffgen
La musa dei Velvet Underground raccontata nella sua dimensione più intima, la vita di Christa Päffgen dopo Nico, quando l’artista esprime a pieno sé stessa, allontanandosi dai cliché che la volevano bella e fatale per percorrere con rabbia e passione sentieri musicali oscuri e malinconici, per riannodare le fila della propria esistenza. È questa l’essenza […]
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
Scilla Santoro
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ANCONA – Una settimana all’inizio dell’edizione 2019 di Ancona Jazz Summer Festival, la sedicesima, organizzata dall’Associazione Spaziomusica, giunta al 45esimo anno di attività. Oltre 50 musicisti in arrivo da 10 diverse nazione per un festival sempre più internazionale, quest’anno con una particolare attenzione agli under 35. Tre i luoghi del festival, la Mole con 8 appuntamenti e 1 mostra, tra canalone del cinema, corte e sala boxe, 4 concerti alla Terrazza di Moroder e 1 presentazione di un libro con momento musicale al Bugigattolo.
L’edizione 2019 si caratterizza per un’apertura verso altre discipline culturali, inserite in un ampio e diversificato programma concertistico, poggiando su produzioni originali ed esclusive, come detta la stessa storia di Ancona Jazz, e sulla presentazione di artisti giovani del tutto nuovi per la scena italiana.
Sono nel pianoforte e nel canto i due motivi conduttori del festival: si va dal giovane trio lussemburghese Reis-Demuth-Wiltgen, al trio di Matt Wilson con Rita Marcotulli (che ha recentemente ricevuto dal Presidente Mattarella l’onorificenza di Ufficiale della Repubblica Italiana) in progetto originale, dal doppio concerto con il solo del pianista argentino Carlos Franzetti al nuovissimo trio di Stefania Tallini, per finire con la consueta serata polacca affidata alle sicura mani del trio di Marcin Wasilewski, uno dei massimi pianisti della scena europea degli ultimi anni. I cantanti ospiti di questa edizione sono considerati i migliori al mondo fra i giovani sotto i trent’anni, vale a dire Jazzmeia Horn, anche immagine ufficiale del festival, e Charles Turner, il più convincente e fresco interprete della più nobile tradizione vocale.
Non mancano le esclusive: l’ormai decennale presenza della Colours Jazz Orchestra si avvarrà stavolta del contributo di Mats Holmquist, straordinario arrangiatore svedese per la prima volta in Italia, e della presenza come ospite del grande trombettista Fabrizio Bosso, tutti impegnati in una rilettura del repertorio di Herbie Hancock, fondamentale pianista e compositore che ha segnato la storia di questa musica.
E le novità proseguono con il quartetto tutto israeliano del sassofonista Eli Degibri, protagonista assoluto nei massimi festival mondiali, del giovane ma stimatissimo chitarrista tedesco di stile manouche Gismo Graf, e di un trombettista emergente, vincitore di tutti i referendum specifici, come Giacomo Tantillo, vincitore del premio Urbani e del bando Nuova Generazione Jazz della Siae e del Mibac.
Numerosi gli eventi collaterali: la performance multimediale di musica e foto dedicata a Hugo Pratt con il fotografo Pino Ninfa, con accompagnamento dal vivo di Giovanni Falzone alla tromba e l’elettronica e Alessandro Rossi alle percussioni; la presentazione del recente libro dedicato a Joao Gilberto dell’autore Francesco Bove; la sonorizzazione del film muto Cenere del 1916, unico documento dell’indimenticabile Eleonora Duse, eseguita dal duo formato dal pianista Giovanni Ceccarelli e dal sassofonista Marcello Allulli; un’esposizione fotografica dedicata alle donne nel jazz a cura del fotografo marchigiano Carlo Pieroni (1-11 luglio); un workshop destinato alla big band jazz tenuto da Mats Holmquist; un interessantissimo workshop di fotografia (5-6 luglio) guidato da Pino Ninfa che coinvolgerà i musicisti jazz e spazierà in tutta la città.
Tutto ciò è stato reso possibile, oltre allo storico sostegno economico da parte del Comune di Ancona, Regione Marche e Mibac, anche dal contributo erogato tramite Art Bonus del Gruppo Zaffiro e dall’Azienda Agricola Moroder. Ancona Jazz è membro della rete regionale Marche Jazz Network, nazionale I-Jazz ed europea Europe Jazz Network.
Il prossimo festival di luglio sarà anche l’occasione per presentare tre nuove realizzazioni discografiche prodotte da Spaziomusica-Ancona Jazz. Si tratta di vinili a tiratura limitata in 500 copie numerate, per cultori audiofili, nel rispetto del miglior suono possibile. Ancona Jazz continua così, sempre con l’etichetta GoFour, il suo impegno nel creare supporti culturali che possano affiancare e completare il momento concertistico. I titoli: Ricardo Toscano Quartet feat. Ingrid Jensen: What’s New?, Gianni Basso & The Ellington Trio Don’t You Know I Care e Rita Marcotulli con Martin Wind e Matt Wilson Trio The Very Thought of You – Remembering Dewey Redman.
Lunedì 1 Luglio – Mole Vanvitelliana (sala Boxe) – ore 21,30
“Sulla strada dell’avventura – Omaggio a Hugo Pratt”, Performance multimediale con Pino Ninfa, fotografia;         Giovanni Falzone, tromba, elettronica e Alessandro Rossi, percussioni. Sulle strade dell’Avventura – Omaggio a HUGO PRATT è il viaggio in 9 tappe compiuto da Pino Ninfa alla ricerca dell’avventura tanto cara al fumettista italiano, tappe che hanno portato il fotografo a Cuba sulle tracce della Porsche di Hemingway, a Buenos Aires sulle note del tango, nelle stanze remote di Villa Arconati alla scoperta di inedite lettere di Rimbaud, alla ricerca della giusta prospettiva per rendere la grandezza di Michel Petrucciani, in Dancalia sulle rotte del sale, in Etiopia alla ricerca delle chiese rupestri, attraverso l’America sulle tracce del blues.
Pino Ninfa, fotografo che da anni sviluppa progetti su territorio nazionale e internazionale, ha voluto incentrare questa mostra sul tema dell’avventura. “Sulle strade dell’Avventura” è un racconto di viaggi fatti dal fotografo nell’arco di questi anni e che hanno un rapporto di stimolo e di meta comune con quanto realizzato da Pratt nei suoi racconti. Oltre ai viaggi, troviamo una serie di ritratti fatti a Pratt nella sua casa studio in Svizzera. Le immagini realizzate da Pino Ninfa in luoghi come l’Argentina, l’Etiopia, Cuba, gli Stati Uniti e naturalmente Venezia, richiamano alla mente alcune delle avventure prattiane di “Corto Maltese” e degli “Scorpioni del deserto”.
Giovedì 4 Luglio – Terrazza di Moroder –  ore 21,30
Reis – Demuth – Wiltgen. Michel Reis, pianoforte; Marc Demuth, contrabbasso; Paul Wiltgen, batteria
Arriva dal Lussemburgo una delle formazioni più interessanti della scena europea del jazz. I tre si conoscevano e suonavano insieme fin dai tempi della scuola, ma soltanto nel 2011 hanno formato un trio regolare che si è subito imposto per originalità e bellezza delle composizioni. Reduci da frequenti tour in tutto il mondo, Reis , Demuth e Wiltgen hanno sviluppato un suono di rara compostezza e profondità, magnifico nella ricerca costante di nuovi impasti timbrici.
Un referente stilistico risiede in quel neoromanticismo creato dal grande Esbjorn Svensson, e poi impostosi un po’ dappertutto, un clima acustico che riporta la musica nel suo ambiente più consono e affascinante. Se la critica internazionale è concorde nel riconoscere la bravura dei tre, anche il pubblico non può che rimanere estasiato di fronte a tanta capacità nel fondere leggerezza e vigore, poesia e tensione ritmica. L’attualità proiettata nel futuro.
Venerdì 5 Luglio Mole Vanvitelliana – ore 21,30
Colours Jazz Orchestra meets Mats Holmquist Special guest Fabrizio Bosso “The Music of Herbie Hancock”. Mats Holmquist, arrangiamenti, direzione; Fabrizio Bosso, tromba
C’è un nome in particolare che è ormai emerso nella nuova scena degli arrangiatori e compositori per grandi orchestre, ed è quello di Mats Holmquist. Svedese di origine, Mats ha studiato a Stoccolma e in Texas prima di evidenziare un talento esplosivo, che coniuga tradizione e modernità ad ampio raggio attraverso un’ottica innovativa, tanto da essere trasportata in un libro “The General Method”, pubblicato nel 2013 da Jamey Abersold Inc. negli Stati Uniti. In questo “metodo” Mats individua 350 termini creati per una più profonda comprensione delle “leggi” della musica afroamericana.
E grazie a questi sta portando in tutto il mondo, attraverso seminari e concerti, il suo nuovo approccio alla musica. Con lui le barriere cadono naturalmente; Mats ha infatti composto anche per orchestre sinfoniche, quartetti d’archi, ha creato una fusione fra big band e il minimalismo legato ad autori come Steve Reich e John Adams, ed ha collaborato con il famoso gruppo pop svedese Roxette. Ma è nel jazz, soprattutto nelle big band, che l’arrangiatore dà il meglio di sé, soprattutto quando si mette al servizio di un solista superiore, come nel caso di Dave Liebman in un magnifico tributo a Wayne Shorter, di Dick Oatts in un omaggio a Herbie Hancock, e di Randy Brecker nel recentissimo “Together”, accanto alla UMO Jazz Orchestra (tutti su etichetta Mama Records).
La decennale presenza festivaliera della Colours Jazz Orchestra, iniziata proprio il 5 Luglio 2009 con l’indimenticabile Kenny Wheeler, si arricchisce così di una presenza eclettica e formidabile, che la brillantezza della tromba di Fabrizio Bosso, strepitoso musicista di cui è pleonastico descrivere le doti, saprà ancor più esaltare. Le composizioni di Herbie Hancock, già entrate nel repertorio dei jazzisti di tutto il mondo, riusciranno pertanto a rivivere di luce inedita e appassionante, perfetto specchio di un personaggio come Mats Holmquist, in grado come pochi di interpretare il passato con l’anima del presente.
Domenica 7 Luglio – Terrazza di Moroder – ore 21,30
Gismo Graf Trio. Gismo Graf, chitarra solista; Joschi Graf, chitarra ritmica; Simon Ort, contrabbasso
Nonostante l’ancor giovane età (compirà 27 anni tra pochi mesi) Gismo Graf è da tempo una delle stelle dello stile “gipsy swing”. Tutti coloro che hanno seguito la sua carriera non si stupiranno però di notare che il suo orizzonte musicale non si basa soltanto su un semplice rimescolio delle frasi dell’immenso Django Reinhardt, ma Gismo ama partire da quell’estetica come base per confronti con il mondo del pop, della bossa nova, del bebop, fino ad arrivare all’originalità di proprie composizioni.
Ciò si riflette in concerti entusiasmanti in ogni parte del mondo, dove il virtuosismo non è mai fine a sé stesso, ma al costante servizio di un’emozionante espressività. Al suo fianco potremo ascoltare il padre e mentore Joschi, la cui chitarra ritmica è in grado di fornire un sostegno implacabile, e il contrabbassista Simon Ort, che pur nella sua giovane età è già molto esperto di piccole formazioni senza batteria. Da tempo Ancona Jazz cercava di avere Gismo Graf nei suoi palcoscenici, e finalmente l’occasione è arrivata!
Lunedì 8 Luglio – Mole Vanvitelliana – ore 21,30
Eli Degibri Quartet “A Tribute to Hank Mobley”
Eli Degibri, sax tenore, sax soprano; Tom Oren, pianoforte;  Tamir Shmerling, contrabbasso; Eviatar Slivnik, batteria
Eli Degibri si mette in luce nel mondo del jazz dalla fine degli anni ’90, quando entra nel sestetto di Herbie Hancock, il quale spenderà per lui parole di notevole impegno, definendolo “potenzialmente, una forza formidabile per l’evoluzione del jazz”. Dal 2002 al 2011 il sassofonista fa parte del quartetto del grande batterista Al Foster, che gli permette di girare il mondo e di arricchire esperienza (ad Ancona nell’ottobre 2002, Hotel Emilia).
Eli è strumentista dotato di vigorosa sonorità e linguaggio fedele alla più alta tradizione bop. Compositore e arrangiatore, rivela anche carismatiche doti di leader guidando gruppi comprendenti musicisti importanti come Aaron Goldberg, Kurt Rosenwinkel, Kevin Hays, Gary Versace, Jeff Ballard, e poi un proprio recente quartetto formato da giovani brillanti strumentisti israeliani (anche suo Paese d’origine).
Il disco del 2015, “Cliff Hangin’”, ottiene il massimo di valutazione, cinque stelle, dalla rivista Down Beat, mentre il successivo, e ultimo, progetto riguarda un tributo ad una delle sue massime fonti d’ispirazione, il leggendario tenorsassofonista Hank Mobley, ed in particolare il disco Blue Note “Soul Station”, risuonato per intero con l’ottica del musicista del ventunesimo secolo.
Fra i suoi eccellenti partner di oggi, speciale attenzione merita il pianista Tom Oren, recente vincitore del prestigioso “Thelonious Monk Piano Competition”. Un quartetto formidabile, in definitiva, di quelli che fanno saltare sulla sedia, e che si sta imponendo in tutti i massimi festival del mondo.
Martedì 9 Luglio – Mole Vanvitelliana – ore 21,30
Matt Wilson Trio feat. Rita Marcotulli and Martin Wind “The Very Thought Of You – Remembering Dewey Redman”
Rita Marcotulli, pianoforte; Martin Wind, contrabbasso; Matt Wilson, batteria
Questo trio nasce da un’idea di “Ancona Jazz”, con lo scopo di produrre un disco in vinile puro per audiofili che sarà presentato in occasione del festival. Registrato in studio lo scorso ottobre, il repertorio vive della profonda empatia che si è subito instaurata fra i musicisti, sebbene Rita e Martin non si fossero mai visti prima. Potenze del jazz, di un linguaggio universale che travalica qualsiasi confine geografico e culturale per ritrovarsi in un terreno comune.
Stavolta questo si è realizzato su originali e standard legati alla figura di un grande sassofonista come fu Dewey Redman, nel cui quartetto degli anni ’90 figuravano per l’appunto Rita e Matt. Forti di tale esperienza i tre hanno subito trovato una poetica che legasse i momenti solistici al servizio di splendidi impianti melodici e armonici. La Marcotulli non ha bisogno di eccessive presentazioni essendo figura di primo piano non solo nel campo del jazz.
La sua carriera è infatti poliedrica come la sua statura artistica, che l’ha vista al fianco sì di jazzisti importanti come Charlie Mariano, Peter Erskine, Billy Cobham, Palle Danielsson, Joe Henderson, Joe Lovano, Sal Nistico e un mare di altri europei, ma anche di artisti pop quali Ambrogio Sparagna, Max Gazzè e in particolare Pino Daniele, di musicisti brasiliani, per non trascurare infine le colonne sonore (“Basilicata Coast to Coast”, grazie alla quale ha vinto un Ciak d’oro nel 2010 e un Nastro d’argento; nel 2011 David di Donatello come migliore musicista).
Martin Wind e Matt Wilson sono una coppia affiatatissima, specialmente nella formula strumentale del trio (Bill Mays, Dena De Rose), ma entrambi possono godere di una cospicua attività da leader di gruppi modernissimi, pur nel rispetto della tradizione. Padronanza strumentale, eleganza di esecuzione, raffinatezza stilistica, sono elementi che vanno a braccetto nella filosofia estetica dei tre, rivolta sempre ad offrire al fortunato ascoltatore un messaggio vibrante di sensazioni uniche. E così sarà anche stavolta, quando la storia diventa necessaria.
Mercoledì 10 Luglio – Mole Vanvitelliana – Palco “New Generations” – ore 21,30
Giacomo Tantillo Quarter “Water Trumpet”
Giacomo Tantillo, tromba; Andrea Rea, pianoforte; Giovanni Villafranca, contrabbasso; Enrico Morello, batteria.
Giacomo Tantillo è considerato uno dei giovani grandi talenti della tromba in Italia. Ha già vinto premi prestigiosi, come il “Massimo Urbani – XVI ed.”, e con il suo disco più recente “Water Trumpet” ha conquistato il primo posto nel bando “Nuova Generazione Jazz” sostenuto dal MIBAC (Ministero dei Beni Culturali) e dalla SIAE. Come professionista ha affiancato importanti jazzisti italiani e non, ma anche esponenti del mondo pop del calibro di Eros Ramazzotti, Francesco Renga, Nina Zilli e Nek.
Dal punto di vista stilistico, Giacomo parte dalla tradizione per sfociare in temi originali dall’innovativo impianto sonoro, eppure non dimentica mai la lezione del suo principale mentore, Woody Shaw, di cui ama proporre sempre alcuni brani. Una personalità già molto ben delineata, quindi, che rappresenta quella continuità creativa essenziale affinché il jazz possa riproporsi in tutte le sue potenzialità comunicative. Accanto a lui, altri giovani eccellenti del panorama nazionale, e tuttavia molto richiesti, a conferma di un lusinghiero stato di salute del jazz italiano.
Giovedì 11 Luglio – Mole Vanvitelliana – ore 21,30
Jazzmeia Horn
Jazzmeia Horn, voce; Keith Brown, pianoforte; Irvin Hall, alto & tenor sax;  Rashaan Carter, contrabbasso; Anwar Marshall, batteria
Nel folto gruppo delle giovani cantanti che stanno animando la scena del jazz americano (ma non solo), la figura di Jazzmeia Horn (1991) merita un posto di assoluta preminenza. Sono bastati pochi anni di attività, fra cui la vittoria prestigiosa nel Thelonious Monk  Vocal Competition del 2015 e la realizzazione di un solo disco, perché il suo canto, la sua personalità, riuscissero immediatamente ad imporsi.
Nella vocalità di Jazzmeia è possibile udire tracce di Betty Carter, innanzitutto, e poi Sarah Vaughan e Nancy Wilson, insomma una tradizione nobilissima. E poi, da artista ben più matura della sua età, lei possiede un senso dello spettacolo, una capacità di guidare i suoi musicisti, una padronanza del palco, che sfociano sempre in reazioni entusiaste del pubblico.
Anche l’immagine, che richiama ancestrali discendenze africane, conforta sul fatto che la Great Black Music possiede ancora importanti segnali di appartenenza. Se l’ascolto del CD, “A Social Call” per la storica Prestige, ha subito ottenuto i massimi riconoscimenti della critica a livello mondiale, fra cui il Grammy come miglior album di jazz vocale, ciò si deve ad una reale capacità di rendere moderno il passato, attraverso un repertorio di standard e originali innervato da screziature soul e R&B. “Mi chiamo Jazzmeia Horn, vengo da Dallas, Texas, e sono una musicista jazz”, ecco come semplicemente si presenta nell’intervista che appare sul suo sito. Può bastare così, il resto lo fanno la sua straordinaria bravura e il suo indubbio fascino.
Venerdì 12 Luglio – Canalone della Mole – ore 21,30
“Cenere” (1916) con Eleonora Duse. Film muto con sonorizzazione dal vivo di Giovanni Ceccarelli, pianoforte; Marcello Allulli, sax tenore
Cenere è un film muto italiano del 1916 diretto da Febo Mari e tratto dall’omonimo romanzo di Grazia Deledda; in esso è presente l’unica apparizione di fronte a una cinepresa della grande attrice Eleonora Duse, considerata da più parti forse la migliore  del mondo in quel momento storico per capacità innovative di recitazione e interpretazione. Il film non fu bene accolto da pubblico e critica, ma resta documento fondamentale per tramandare ai posteri l’arte della Duse, che qui comunque offre un ulteriore saggio della sua immensa classe.
L’operazione di restauro, effettuata in occasione del centenario, ci restituisce un documento prezioso nel suo massimo fulgore, del quale il pianista Giovanni Ceccarelli e il sassofonista Marcello Allulli curano l’accompagnamento sonoro, basato su temi scritti per l’occasione ma anche su improvvisazioni spontanee. Giovanni è ben noto per scorribande in territori diversi, soprattutto il Brasile con il gruppo InventaRio, ma il suo principale campo d’azione resta il jazz (Lee Konitz, Ada Montellanico, Tiziana Ghiglioni) dove gli è possibile dialogare  con partner altrettanto creativi.
Lo spettacolo è stato già proposto in Italia e in Europa, e prevede una introduzione del solo duo per mezz’ora circa e poi la proiezione del film. Una serata insolita, di notevole interesse e perfettamente rivelatrice di quanto il jazz sia materia malleabile, che non teme confronti con nessun altro linguaggio artistico.
Domenica 14 Luglio – Terrazza di Moroder – ore 21,00 – “Piano Night”
Carlos Franzetti “Ricordare – A Solo Recital”. Carlos Franzetti, pianoforte
Difficile trovare nel mondo un musicista tanto versatile quanto Carlos Franzetti. Nella sua lunga carriera (è nato a Buenos Aires, Argentina, nel 1948), Carlos ha composto sinfonie, concerti, opere, musica da camera, per big band jazz, e arrangiato per innumerevoli orchestre. Ha anche scritto colonne sonore importanti, come “The Mambo Kings” e “Terzo grado” di Sidney Lumet negli anni ’90, e collaborato con grandi esponenti latini del calibro di Ruben Blades e, soprattutto, Paquito D’Rivera.
Fra i molti riconoscimenti, un Grammy Award 2001 per l’album “Tango Fatal”, e due nominations nelle categorie “crossover” e “arrangiamento strumentale” per il disco “Poeta de Arrabal”. La sua lunga discografia presenta anche rilevanti titoli jazz, spesso dedicati al mondo degli standard. Ha suonato in solo, in duo con il grande bassista Eddie Gomez, e poi accanto al cantante Jackie Paris, con Gato Barbieri e arrangiato per Steve Kuhn. Supremo melodista, Carlos ama cimentarsi in tutti quei territori che gli permettono di esaltare il suo pianismo lirico e appassionato. Nulla ferma e frena un impeto narrativo che trova nel linguaggio del jazz il suo ambiente più consono.
Carlos Franzetti è in definitiva un artista prodigioso, di quelli che puntano direttamente al cuore dell’ascoltatore. E il suo ultimo disco, “Ricordare”, inciso in trio con due giganti quali il bassista David Finck e il batterista Eliot Zigmund, è pronto a confermarcelo. Temi da film di Morricone, Lai, Cosma, si intrecciano con originali che hanno il medesimo denominatore: la bellezza. L’occasione per incontrare una personalità del genere è più unica che rara, perciò da non mancare.
Stefania Tallini Trio “Uneven” feat. Greg Hutchinson
Stefania Tallini, pianoforte; Matteo Bortone, contrabbasso; Greg Hutchinson, batteria
Di Stefania Tallini dobbiamo ammirare non soltanto la nitida e brillante tecnica strumentale, ma soprattutto le cospicue doti di compositrice, che le permettono di scrivere sempre temi di notevole pregnanza melodica e di profonda maestria nel riuscire a fondere stili diversi, vale a dire i suoi amori principali, il jazz, la musica classica, il Brasile. Da sola o con partner prestigiosi, Stefania è autrice di nove album da leader, tutti basati su proprie composizioni, alcune delle quali sono già state riproposte da altri importanti musicisti.
In questo nuovo progetto è affiancata da eccelsi compagni di viaggio, come il contrabbassista Matteo Bortone, votato fra i migliori 15 bassisti europei, e l’eccezionale Greg Hutchinson, già nei gruppi di Lou Donaldson (Ancona Jazz 1989), Dianne Reeves (Teatro delle Muse 2002), Betty Carter, Wynton Marsalis, John Scofield, Roy Hargrove, Charles Lloyd, Diana Krall, Joshua Redman, Christian McBride e Maria Schneider, collaborazioni per cui è stato giustamente definito dalla rivista Jazz Magazine “the drummer of his generation”.
Stefania Tallini è intervenuta varie volte ad Ancona Jazz, l’ultima nel 2014 accanto al grande chitarrista brasiliano Guinga, e sempre ha lasciato un ricordo indelebile dei suoi concerti e della sua straripante musicalità. Questa nuova esperienza non potrà far altro che aumentare il numero dei suoi estimatori.
Mercoledì 17 Luglio – Terrazza di Moroder – ore 21,30
Charles Turner Quartet. Charles Turner, voce; Cedric Hanriot, pianoforte; Alex Gilson, contrabbasso; Paul Morvan, batteria
Appena ventiseienne, Charles Turner arriva per la prima volta in Italia dopo notevoli successi nei massimi club e festival americani e europei. Il suo stile rappresenta una ventata d’aria fresca pur avendo appreso tutta la verità nell’affrontare il song, standard o originale che sia. Cioè esprimere sé stesso attraverso la valorizzazione delle liriche, instaurare un rapporto privilegiato con l’ascoltatore, tenere in primo piano lo swing senza acrobazie vocali, creare un rapporto solidissimo con la sezione ritmica.
Prerogative dovute a studi molto approfonditi, la sua biografia racconta a tale proposito di un master alla Berklee e di corsi frequentati con musicisti del calibro di Dee Dee Bridgewater, Dave Samuels, Joanne Brackeen e Terri Lyne Carrington. Grazie a loro, ma soprattutto ad un grande talento naturale, Charles ha trionfato nel 1^ Duke Ellington Vocal Competition di New York, e il nostro festival non può che sentirsi orgoglioso nel presentare, insieme con Jazzmeia Horne, i due migliori cantanti sotto i trent’anni a livello mondiale.
Giovedì 18 Luglio – Mole Vanvitelliana – ore 21,30 – “Jazz from Poland”
Marcin Wasilewski trio “Live – 25th Anniversary Tour” Marcin Wasilewski, pianoforte; Slawomir Kurkiewicz, contrabbasso; Michal Miskiewicz, batteria
Marcin era già intervenuto ad una precedente edizione del festival, nel 2014 per la precisione, ma in piano solo. Ora torna con la sua formazione preferita, il trio, in cui riesce a fornire un’immagine sonora di enorme raffinatezza formale e di estrema interazione con i suoi compagni di sempre, fin dai tempi in cui, giovanissimi, costituivano la sezione ritmica del memorabile trombettista Tomasz Stanko. Parliamo del 1994, e Marcin, con i suoi diciotto anni, era addirittura il più “anziano” dei tre. Eppure, la classe, l’intelligenza e le capacità strumentali si imposero subito, così come un percorso espressivo ben chiaro.
Con loro, seguendo le orme di Brad Mehldau e Esbjorn Svensson, il trio assume una fisionomia nuova, puntando su repertori che mettano in primo piano l’aspetto melodico, tratto da brani originali o colti dal repertorio pop/rock, sorretto da un impianto ritmico variegato. L’ultimo disco, semplicemente “Live”, per la ECM, è la testimonianza più tangibile della bontà dei concerti che questo magnifico pianista, vero cultore del suono e delle atmosfere, riesce ad offrire ad una sempre più vasta platea di appassionati.
E così, dopo aver iniziato con il trio lussemburghese Reis-Demuth-Wiltgen, proseguito con il trio di Matt Wilson, il solo di Carlos Franzetti e il trio di Stefania Tallini, ecco che il trio di Marcin Wasilweski chiude un ideale percorso di ciò che è oggi il piano jazz nel mondo, più che mai affascinante osmosi fra Europa e America e capace di coniugare al massimo livello influenze e stimoli diversi. Concerto realizzato in collaborazione con l’Istituto Polacco di Roma, il Consolato Onorario della Repubblica di Polonia ad Ancona e l’Associazione Italo-Polacca delle Marche, in occasione del ricordo della liberazione di Ancona.
Inoltre:
Dal 1 all’11 luglio – Mole Vanvitelliana (Sala Boxe): mostra fotografica “Women in Jazz” di Carlo Pieroni: orario 18,30 – 20,30 / 19,00 – 21,30 (sere dei concerti). Giovedì 4, ore 15,00: Workshop/Prova aperta di Mats Holmquist su composizione e direzione per big band. Sabato 6: Incontro con l’autore – Francesco Bove presenta il libro “Joao Gilberto – Un impossibile ritratto d’artista” (ore 18,30 – Il Bugigattolo, via Traffico 4, Ancona); a seguire: Silvania dos Santos (voce) / Giancarlo Bianchetti (chitarra) Duo
Dal 5 al 6: Workshop: Il Jazz e la Città – Una storia da raccontare, Workshop fotografico con Pino Ninfa e Andrea Rotili. Il workshop svilupperà l’esigenza di raccontare una storia, grazie all’uso di immagini fotografiche. Per fare questo i concerti della rassegna Ancona Jazz insieme alle architetture della città saranno la cornice ideale per sviluppare incontri con la macchina fotografica.
Programma: Venerdì 5, ore 15, Mole Vanvitelliana : incontro con Pino Ninfa che introdurrà alle modalità di costruire un racconto con immagini legate alla musica jazz e alle architetture della città; ore 18: si fotograferà il soundcheck della CJO diretta da Mats Holmquist, ospite Fabrizio Bosso; ore 21: foto al concerto. Sabato 6 mattina: foto per Ancona alla ricerca di scorci e situazioni da esplorare. Pomeriggio: foto per Ancona in compagnia di alcuni musicisti che verranno ambientati in location cittadine. Costo del workshop: 150,00 euro / info e iscrizioni: [email protected]
CARLO PIERONI-Non è difficile, per lo spettatore, notare la figura di Carlo aggirarsi guardingo intorno al palco per cogliere il momento giusto dello scatto. Febbrile girovago nella scena jazz marchigiana, da quasi cinquant’anni il “nostro” (è nato a Filottrano nel 1948) ama anche avventurarsi dovunque, in Italia e all’estero, allo scopo di incontrare il musicista che meglio possa ispirare il suo occhio fotografico. Maestro di immagini e di passioni, Carlo rimane fedele al bianco e nero e all’analogico, dimensione che esalta il musicista nei suoi risvolti più umani e poetici.  Molti suoi scatti sono apparsi nell’edizione inglese di “Jazz Forum” e di “Musica Jazz”, e sue sono anche le copertine di dischi per etichette come Red Records, Soul Note, Dire, Timeless, Demon, Philology, Evidence, Splasc(h), Notami.
Francesco Bove – Ha scritto di musica per alcune webzine come “Mescalina” e “Indieforbunnies”, e ha creato “L’armadillo furioso”, un blog culturale condiviso. E’ appassionato di teatro ed esperto di Bossa Nova e Musica Popolare Brasiliana. (dal retro copertina del libro)
Silvana Dos Santos (voce) / Giancarlo Bianchetti (chitarra)- Nato nel 2014, il duo ha già inciso un CD in omaggio alla MPB (Musica Popolare Brasiliana), incentrato soprattutto sulla musica del Nord-Est, quindi su composizioni di grandi nomi come Djavan, Luiz Gonzaga, Lenine. Ha inoltre partecipato a numerosi ed importanti festival jazz in Italia e in Europa.
Pino Ninfa- Nasce a Catania, da dove parte per Milano all’età di 17 anni. L’interesse per la musica e per il sociale ha fornito il senso complessivo del suo lavoro. E’ presidente dell’associazione P.I.M. (poesia- immagine – musica), che si occupa della diffusione e organizzazione di mostre e seminari di fotografi musicali. Negli ultimi anni ha lavorato a New York, Città del Capo, Lima e San Paolo in Brasile. Ha esposto in diversi musei in Italia e all’estero fra cui: Palazzo Ducale di Genova, Fondazione Benetton a Treviso, e all’Auditorium Parco della Musica a Roma con la mostra “Jazz Spirit”. Molteplici le pubblicazioni di viaggi e sulla musica jazz.
Presentazioni di Massimo Tarabelli
INFO & BIGLIETTI
MOLE VANVITELLIANA
1/7: ingresso libero e gratuito
5/7: € 20,00 / ridotto € 17,00
8/7: € 15,00 / ridotto € 13,00
9/7: € 15,00 / ridotto € 13,00
10/7: ingresso libero e gratuito
11/7: € 20,00 / ridotto € 17,00
12/7: € 10,00/ ridotto € 8,00
18/7: € 15,00 / ridotto € 13,00
In caso di maltempo consultare il sito www.anconajazz.com
Riduzione: giovani fino a 26 anni, soci MJN 2019, soci ARCI, soci COOP, soci FAI, Soci Touring Club. È possibile acquistare i biglietti anche alla biglietteria Mole Vanvitelliana (Sala Boxe del Museo Omero), aperta tutte le sere di concerto a partire dalle ore 20. L’ingresso alla Mole Vanvitelliana per il 2019 sarà dal lato Mandracchio.
TERRAZZA DI MORODER
4-7-14-17: ingresso € 15,00 (consumazioni facoltative a parte). Agricola Moroder, via Montacuto 121, Ancona; prenotazioni ai numeri 071 898232 / 335 8089283
 NOVITA’ ABBONAMENTI:
Concerti alla Mole (5 concerti, film escluso): € 65,00; Concerti all’Az. Agricola Moroder (4 concerti): € 45,00 ; Formula All-in (Mole + Moroder): € 100,00
Prevendita dal 15 maggio: Casa Musicale, c.so Stamira 68, Ancona; Online: www.vivaticket.it
Info: [email protected] – www.anconajazz.com – www.marchejazznetwork.it
Infoline: 350 0214370
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Strepitoso successo per i fotografi italiani: Federico Borella vince l’ambito titolo di “Photographer of the Year” ai Sony World Photography Awards 2019
La World Photography Organisation ha reso noto oggi il nome del vincitore del titolo più ambito dei Sony World Photography Awards: Federico Borella è Photographer of the Year 2019 con la serie Five Degrees. L'apprezzatissima serie, premiata con il primo posto nella categoria Documentario, ha sbaragliato le altre nove opere vincitrici delle diverse categorie nella sezione Professional, conquistando il titolo assoluto e aggiudicandosi la somma di 25.000 dollari. Nel novero dei vincitori figurano anche altri italiani: il duo artistico composto da Jean-Marc Caimi & Valentina Piccinni, vincitore del 1° premio nella categoria Documentario, Alessandro Grassani, vincitore del 1° premio nella categoria Sport e Massimo Giovannini, vincitore del 2° premio nella categoria Ritratto della sezione Professional.
Giudicata da esperti internazionali di fotografia provenienti dal mondo dei media, dei musei, dell’editoria e accademico, la competizione Professional premia serie da cinque a dieci immagini eccezionali che dimostrano particolari doti artistiche in dieci diverse categorie. Questo prestigioso riconoscimento rende fruibile a un vasto pubblico il meglio della fotografia contemporanea dell’ultimo anno e offre agli artisti di questo settore un’esposizione mediatica e opportunità ineguagliabili.
Photographer of the Year - Federico Borella, categoria Documentaria per la serie Five Degrees
Borella, 35 anni, originario di Bologna, è stato scelto tra i dieci vincitori di categoria come detentore del titolo Photographer of the Year per la serie Five Degrees. La serie ha trionfato nella categoria Documentario per la potenza delle immagini che raccontano la piaga dei suicidi maschili nella comunità agricola di Tamil Nadu, nel sud dell’India, colpita dalla più grave siccità degli ultimi 140 anni.
Ispirato da uno studio dell’Università californiana di Berkeley, che ha riscontrato una correlazione positiva tra il cambiamento del clima e l’aumento nel numero dei suicidi tra i contadini indiani, Borella ha esplorato l’impatto dei cambiamenti climatici su questa regione agricola e la sua comunità attraverso immagini vivide e toccanti del paesaggio, dei ricordi dei defunti e dei loro cari ancora in vita, con l’obiettivo di dare risalto a questo problema e sensibilizzare l’opinione pubblica: “Senza un intervento mirato delle istituzioni, il surriscaldamento globale farà aumentare il numero di suicidi in tutta l’India”, ha dichiarato. “L’impatto dei cambiamenti climatici si ripercuote sul benessere a livello globale, oltrepassando i confini dell’India e rappresentando una minaccia per tutta l’umanità”.
Borella è un fotoreporter con oltre 10 anni di esperienza alle spalle e collaborazioni attive con numerose agenzie in tutto il mondo. Dopo gli studi in letteratura classica e archeologia mesoamericana presso l’Università Alma Mater Studiorum di Bologna nel 2008, ha conseguito un master in fotogiornalismo presso l’Accademia Jhon Kaverdash di Milano.
Il giurato Brendan Embser (Curatore editoriale, Aperture, USA) illustra le qualità che hanno portato Borella alla vittoria nella categoria Documentario: “Il cambiamento climatico è una tematica molto pervasiva e tuttavia così difficile da rappresentare, in parte per la sua natura così travolgente. L'aspetto che ci ha maggiormente colpito è stato l’approccio molto intelligente di Borella nel raccontare una storia sul cambiamento climatico che ha messo in primo piano con delicatezza le persone colpite - il piccolo gruppo di persone ritratto da Borella rappresenta un gruppo più vasto di persone che si sono tolte la vita o le cui vite sono state distrutte dai cambiamenti climatici. A colpirci particolarmente sono state le diverse tecniche utilizzate per raccontare questa storia: ritratti, nature morte, vedute aeree e paesaggi: un approccio a 360° che dà movimento al racconto.”
Il premio per il fotografo vincitore comprende la somma di 25.000 dollari, viaggio in areo e soggiorno a Londra per la cerimonia di premiazione, oltre ad attrezzature fotografiche di ultima generazione di Sony e alla pubblicazione delle immagini nel volume dedicato ai vincitori. L’opera potrà essere ammirata alla mostra dei Sony World Photography Awards presso la Somerset House di Londra e, in un secondo momento, in un tour globale.  
● Jean-Marc Caimi e Valentina Piccinni, 1° posto nella categoria Scoperta per la serie Güle Güle
Güle Güle (“arrivederci” in turco) esplora la città di Istanbul da una prospettiva documentaristica e di scoperta con un’attenzione particolare ai cambiamenti della società turca. Il duo artistico originario di Roma, che ha pubblicato quattro libri di successo e partecipato a numerose mostre internazionali, ha osservato da vicino la città, cogliendone aspetti caratteristici come la gentrificazione, la discriminazione e l’immigrazione dei rifugiati siriani.
Questo il commento del giurato Brendan Embser (Curatore editoriale, Aperture, USA) a riguardo: “Si tratta di un’opera eccezionale realizzata con grandissima precisione e uno humor intrigante. Passa da scene molto intense a immagini più composte con una qualità quasi cinematografica. Interessante l’uso del colore e del flash che concorrono alla creazione di un’opera delicata e arguta”.
● Alessandro Grassani, 1° posto nella categoria Sport per la serie Boxing Against Violence: The Female Boxers Of Goma
La serie vincente di Grassani Boxing Against Violence: The Female Boxers of Goma offre al pubblico un’istantanea sul ruolo della box come gruppo di sostegno e luogo sicuro per molte donne a Goma nella Provincia di Kivu Nord. A proposito di questa serie, l’autore ha dichiarato: “Qui le donne non imparano solo ad assestare colpi, ma riacquistano forza e voglia di combattere contro le ingiustizie, oltre ad allenarsi e sognare di diventare le future campionesse mondiali”.
Il fotografo ha al proprio attivo numerose collaborazioni con pubblicazioni internazionali come il National Geographic e il New York Times e sta attualmente creando nuovi progetti sul cambiamento climatico e la guerra.
Nelle parole della giurata Emma Lewis (Assistente curatrice, Tate, Regno Unito) le motivazioni della vittoria della serie di Grassani: “Siamo stati davvero entusiasti di vedere questo progetto nella categoria Sport perché ci ha raccontato una storia che non conoscevamo attraverso dei ritratti, anziché con le tipiche immagini di attività e azione dello sport. Oltre a essere molto ben eseguita dal punto di vista tecnico, la serie offre un punto di vista differente su questa particolare regione del mondo rispetto a ciò che siamo forse abituati a vedere attraverso i media occidentali”.
● Massimo Giovannini, 2° posto nella categoria Ritratto per la serie Henkō
Giovannini viene da Trento e la sua serie Henkō (parola giapponese che significa “cambiamento” e “luce variabile o insolita”) esplora il concetto secondo il quale la luce può alterare la nostra prospettiva degli oggetti. La serie fa leva sulle variazioni di luce e sul trucco per sfidare i pregiudizi di genere dell’osservatore. Parlando della sua serie, Giovannini afferma: “Se bastano l’illuminazione e un trucco superficiale per mettere in discussione l’idea di genere, forse allora il confine tra maschile e femminile è più labile di quanto siamo portati a credere?”.
Questo il commento del giurato Liu Heung Shing (Fondatore del Shanghai Center of Photography): “Questa serie di immagini porta gli osservatori a guardare senza ambiguità e questa è la caratteristica più affascinante delle fotografie: attirare all’interno chi le osserva”.
Premi Professional
Tutti i vincitori della sezione Professional riceveranno attrezzature fotografiche di ultima generazione di Sony e parteciperanno alla cerimonia di premiazione a Londra. Le opere dei vincitori delle diverse categorie e dei finalisti potranno essere ammirate alla mostra dei Sony World Photography Awards 2019 presso la Somerset House di Londra e, in un secondo momento, in un tour globale.   Sony World Photography Awards 2019
Istituiti dalla World Photography Organisation, i Sony World Photography Awards sono uno dei concorsi fotografici più rinomati e poliedrici al mondo, quest’anno alla 12° edizione. L’edizione 2019 ha registrato un totale di 326.997 candidature provenienti da 195 Paesi diversi, una cifra record.
I successi degli artisti italiani vengono annunciati oggi assieme ai vincitori delle categorie della sezione Professionisti e ai vincitori assoluti delle sezioni Open, Giovani e Studenti.  
La proclamazione segue la pubblicazione di marzo dei finalisti della sezione Professionisti, nei quali figurava anche l’italiano Filippo Gobbato per la categoria Sport. La notizia va a completare il quadro dei riconoscimenti assegnati nel 2019, che ha iniziato a delinearsi lo scorso febbraio con l’annuncio dei 10 vincitori delle categorie Open e dei 62 vincitori dei National Awards.  Per maggiori dettagli, visitare il sito https://www.worldphoto.org/galleries  
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ddc-bside · 7 years
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ddc-gear · 7 years
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galina5500 · 8 years
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