Tumgik
#monca
spkyscry-a · 2 years
Text
Tumblr media
Lila it’s 2 fuckin’ am, you’re keeping the gaymind up...
4 notes · View notes
unluckyservice4 · 19 days
Note
hey dad can i have the glass bottle where the potion was can you give that to me you cant ask questions this is important i need you to just tell me where it is so i can get it or have one of my siblings to get it please
@hmaperscarlett
monca was th one who did it so sh prolly know.
But also what r u doin with it. :/
5 notes · View notes
Text
Tumblr media
1008 The One With The Late Thanksgiving
Monica doesn't buy it and then Chandler watches in horror and tries to talk her out of when it does start working on her. Monca and Chandler trying so hard to make sure they never have a marriage like his parents, or treat their children like her parents did. They want to be healthy together and that means working.
9 notes · View notes
susieporta · 3 months
Text
Sei di Coppe.
"La Riconciliazione con i nostri Avi".
Non è facile ristabilire "gli ordini dell'Amore" interiori.
Possiamo aver maturato lungo il corso della nostra Infanzia la sensazione di essere capitati nel "luogo" sbagliato della gerarchia familiare, posti in condizioni non consone alla nostra età e ai nostri bisogni evolutivi, di sentirci troppo protetti, soffocati, o al contrario abbandonati, troppo adultizzati, o magari rifiutati e invisibili.
Possiamo aver ereditato fratture traumatiche molto pesanti, inconsapevoli di aver sostenuto memorie di dolore assai antiche, di aver vissuto dentro ad un'esperienza familiare di totale negazione dell'Autenticità e perdita del Potere generativo.
Comunque sia andata, oggi abbiamo l'immensa opportunità di ristabilire gli Equilibri perduti. Di recuperare i Doni dell'Eredità. Di guarire le Ferite dei traumi inter-generazionali.
E questo non è mai stato così "abbordabile" a livello energetico: tutto il potente sommovimento vibrazionale degli ultimi anni ha reso possibile ciò che prima necessitava di generazioni intere di purificazione e lavoro interiore.
In particolare, gli ultimi giorni, hanno aperto un "Varco di guarigione" importante.
Lavorare sulle memorie di Rilascio dentro a questo potente Spazio energetico, ha permesso a tante Anime di liberarsi definitivamente di situazioni di blocco e di di irretimento davvero inossidabili.
Il Rilascio si è reso improvvisamente più "fluido".
I movimenti di crescita e maturazione, che abbiamo coraggiosamente affrontato in questa prima fase di Luglio, sono stati risolutivi su tanti aspetti di blocco interiore.
Questi passaggi di risoluzione, in Passato, sarebbero stati lenti e farraginosi. E probabilmente avremmo trovato degli sbarramenti troppo inespugnabili ad attenderci.
Molte Anime si lamentano del carico psichico e dei disagi fisici che stiamo vivendo. Ma c'è solo da ringraziare.
Eravamo incatenati dentro ad un'"Esistenza "monca", condannati ad una vita recitata e spenta.
Adesso vediamo. I nostri occhi sono aperti, spalancati.
La Verità ci spinge verso direzioni nuove, autentiche, libere. Ci guarisce dal Giudizio, dal Senso di Colpa e dalla Vergogna. Ci permette di "Amare".
E Amare era qualcosa che nemmeno aveva più un senso dentro di noi.
Era solo una forma di recitazione e dramma, di menzogna e di dolore, di illusione e di reiterazione di ruoli disfunzionali.
Oggi siamo stanchi, affaticati.
Spesso le "bugie interiori" sembrano più semplici energeticamente da affrontare, rispetto alla Verità.
Ma è così solo in superficie.
Le Vittime e i Carnefici impostano fin dall'inizio il loro rapporto sulla Menzogna e sulla pura Finzione. Hanno un dispendio energetico altissimo per tenere in piedi con costanza questa "messa in scena".
A volte ne sono consapevoli. Altre no.
E nonostante uno dei due, o entrambi, si rendano conto della dinamica malata di Relazione, scelgono di alimentare comunque il perpetrarsi del "massacro".
Per non doversi lasciare. Per non dover mai giungere al "punto più vivo ed esposto della Ferita". Quello dove la Realtà è vista da entrambi. E non può essere più negata. O evitata.
La colpa ricadrà sulla Vittima. E il Carnefice si barricherà sulle proprie convinzioni di assoluta "innocenza".
E tutto si ridurrà nuovamente ad un puro teatrino di immaturità incarnazionale.
Luglio spazza via l'ipocrisia di questi schemi dentro ai nostri pattern di funzionamento emozionale e mentale.
Ribalta i nostri automatismi. Li incenerisce. Crea spazio per altre "qualità di esecuzione".
Ci pone di fronte a noi stessi e alle nostre reticenze, divampando tra le pieghe dell'insicurezza e della negazione.
Ci ricongiunge ai Doni dell'Albero familiare, ai nostri Avi, ai loro immensi Talenti generazionali.
Ci pacifica con il Passato.
Ci offre uno sguardo al Futuro.
Ci avvolge con il suo ardente Fuoco di Passione.
Le Fiamme di Luglio ridurranno in cenere tutto ciò che è tossico, disequlibrato, illusorio, finto.
Malattie ereditarie, rabbie ancestrali, schemi relazionali distorti, bisogni di riconoscimento e teatrini dell'assurdo.
Tutto raso al suolo.
Poi Agosto sedimenterà il nuovo concime, nutrendo un terreno fertile per le incredibili aperture di Settembre.
Ma tempo al tempo.
Lasciamoci guidare e travolgere da questo movimento di purificazione. Approfittiamo per osservarne i Sacri movimenti. Assecondiamo la spinta alla Trasformazione. Non cerchiamo appigli o distrazioni. Restiamo nella centrifuga. Nel vortice.
Tutto è perfetto. Tutto è in orario.
Come sempre d'altronde.
Mirtilla Esmeralda
5 notes · View notes
oramicurcu · 3 months
Text
La mia collega è in ferie e io mi sento monca.
6 notes · View notes
eleonorasimoncini · 8 months
Text
L'INVIO DEL BIGOLO - 10 REGOLE PER NON SBAGLIARE
1) Si sappia che l'effetto sorpresa è sgradito, a meno che non sia il primo di aprile o siate certi che sia monca e muta, quindi impossibilitata a chiedervelo esplicitamente. L'invio deve essere circostanziato e pianificato, ricordate la cosa del "Mi devi prendere la mente”? Ormai è diventata condizione sine qua non. 2) Assolutamente no all'effetto nudo con i calzini: nè al polpaccio, né con i fantasmini, tanto meno di spugna corti alla caviglia: a meno che non siate John Holmes redivivo e una rievocazione del porno anni '70. 3) Assicuratevi che l'erezione sia esemplare e impeccabile: sbandamenti a destra o a manca risultano deprimenti e provocano l'effetto labirintite. 4) La mutanda abbassata uccide gli ovuli e il normale flusso ormonale. Se proprio necessario assicuratevi almeno che il fondo sia "asciutto" e, soprattutto, evitate il bianco. 5) Da evitare le foto in bagno da seduti: da l'impressione che sia un diversivo o un rimedio alla stitichezza. 6) Curate l'impugnatura oltre la spada, anche il guerriero ha il suo valore. 7) L''effetto pollo spelacchiato sa di porno-divo e di esibizionismo seriale, meglio una vegetazione curata. 8 ) No alle canottiere a costine e magliette della salute, a meno che non siate febbricitanti. Le macchie di unto e di salsa sono sempre in agguato. 9) Evitate inquadrature dal basso e oggetti di grosse dimensioni nelle vicinanze, le donne sono furbe e hanno una mente matematica, tendono a fare le proporzioni e sanno benissimo che le foto dal basso “ingrassano”. 10) Seppur il vostro sogno è il triangolo, evitate di mandarlo anche all'amica del cuore, avrà comunque modo e motivo di vederlo nei giorni successivi.
dal web
4 notes · View notes
furute · 6 months
Text
monca
Tumblr media
6 notes · View notes
aparticularbandit · 6 months
Note
Question for your Dr rewrite: what ever happens to AI junko? Or more specifically, what happens to shirokuma/kurokuma? Considering the fic focuses on junko and her relationship with hersel(ves)f, I'm curious if they'll be mentioned.
Tumblr media
I haven't decided - or realized, maybe - what's happened/happening with AI Junko yet. I'm not sure if she exists in the scope of this particular fanfic. I've thought about where she might fit or what to do with her, but nothing's really clicked yet. I don't want to throw her in just to have her show up, you know? And unlike with Nagito, who I knew got a message from Junko and was doing something but just hadn't figured it out yet, I've gotten no indication from Junko that AI Junko is a thing.
(There's a way to get her involved, but I'm not sure if I'm going to go in that direction.)
That said, Shirokuma and Kurokuma do not exist in this series.
They both cropped up as a result of the Warriors of Hope's attack on Towa City, which was prompted primarily by Monaca's desire to create a second Junko - a successor - after Junko's death. Due to the premise of the series, Junko is not dead, and so Monca would have no reason to want to create a successor to Junko and the Warriors of Hope would not attack Towa City.
(You could make the argument that Izuru put them there, since Monaca doesn't seem to have known that Kurokuma was a Junko, but Izuru was also on a path to trying to bring Junko back, which no one needs to do right now, because Junko's not dead. Also as of right now, I have no reason to believe that he has access to AI Junko, supposing she exists. If anyone has her, Nagito does. Maybe. Hm.
I should think on this more, actually. Access to AI Junko - and who gets that first - would really depend on exploring Hope's Peak and finding wherever she was put. Again, while Izuru could do that, I feel like Nagito would have her re: the message Junko left for him, if anyone has her at all.)
Anyway.
I have different ideas for how Monaca and Towa City might be used in the series, but those won't come up until probably Of A Light Hope. She's still mass-producing Monokumas (of a sort) (probably), but there's no Shirokuma or Kurokuma. (And I think Mikan references...Jataro? I think? in one of the Remnants chapters, so the Warriors definitely exist within etc. That's not your question, though.)
3 notes · View notes
der-papero · 1 year
Text
Tumblr media
Mi ci ero appassionato tanto alla sua tecnologia, ne ho fatti di post qui, un esempio molto raro di come si sia sin da subito provato a trovare un linguaggio più o meno comune con uno scopo condiviso.
Mi dispiace soltanto che la massa senza alcuna competenza ne abbia subito approfittato per fare sfoggio della propria ignoranza buttando merda ingiustificata e costringendo ad una implementazione "monca", che viceversa avrebbe potuto fornire più dati di analisi agli istituti di ricerca. Del resto, il problema dell'informatica è nato il giorno in cui il PC è entrato nelle case di gente che nemmeno sa fare le addizioni in colonna, ma questa è una storia ormai vecchia di decenni, e ce la teniamo così.
La nota positiva è che sono stati soldi trovati a terra per la mia azienda, visto che il governo tedesco non ha esitato un attimo a pagarci fantastilioni di euro per due immagini stilizzate.
10 notes · View notes
rideretremando · 1 year
Text
"IL CONTRARIO DEL PRESTIGIO. LA FORZA, L'AMORE E SIMONE WEIL (2017)
“Non resta / che far torto, o patirlo”, diceva l’Adelchi morente di Manzoni. Aggiungendo subito, a chiosa, che “Una feroce / forza il mondo possiede, e fa nomarsi / dritto”. Il “mondo” rifiutato da Cristo è interamente sottoposto alle leggi della sopraffazione. Niente e nessuno ne è immune, e chi si illude di esserlo sta tirando una coperta ideologica sulla nuda realtà dei fatti. Il massimo che possiamo fare è sospendere a tratti il dominio di questa fisica bruta, trovare un geometrico equilibrio tra le forze e tenere ferme le tensioni contrarie in un’ascesi contemplativa. Non si può cancellare la ferocia che ci governa, solo esercitarsi ad arrestarne provvisoriamente l’azione. Ma la sua natura è così travolgente che anche per fare questo occorre un miracolo. Bisogna venire investiti dalla grazia.
La forza, la grazia: sono i due poli intorno a cui ruotano alcuni dei saggi più importanti di Simone Weil, come “L’Iliade o il poema della forza”, “Non ricominciamo la guerra di Troia” e “L’ispirazione occitana”. Succede spesso, negli ultimi anni, che editori più o meno piccoli ripropongano queste pagine scarne e perentorie composte subito prima e subito dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale; e non penso sia un caso. Da quando è sfumata la speranza diffusa in una palingenesi sociale (e non importa qui discutere la sua fondatezza, negata dalla Weil con argomenti decisivi), ci ritroviamo davanti a un puro potere che può mostrarsi senza pudori, ma al tempo stesso fingere che il suo ordine coincida con la giustizia. Siccome tutti, nessuno escluso, siamo condizionati dalle credenze che la vita comune infonde giorno per giorno in ognuno, questa pedagogia priva di alternative ci persuade col suo ghigno che al di là dell’esistente restano appena velleità, fantasmi, chiacchiere. Così, come sappiamo da mezzo secolo, meno sembra possibile una rivoluzione o un mutamento radicale, più la Storia si traveste da immodificabile Natura. E allora, chi alle leve del potere è più vicino si convince che se è in quella posizione non lo deve anche a un intreccio di combinazioni imperscrutabile, ma soltanto ad alcune caratteristiche eccezionali che lo distinguono, appunto per natura, da chi si trova in basso ed è schiacciato dalla sventura; la quale a sua volta, per usare le parole weiliane, apparirà non il frutto di una serie di casi e di fatalità mai del tutto riconducibili a progetti o a doti umane, bensì qualcosa di molto simile a una “vocazione innata”. In una società che, non importa quanto fantasiosamente, ritiene possibile un altro mondo storico, chi in quello presente non riesce a integrarsi può essere considerato come un’avanguardia, una prefigurazione monca del futuro; in una società dove questa fiducia evapora è solo uno sfigato – termine in cui, significativamente, la sfortuna diventa una qualità negativa del soggetto che la subisce.
Vivere sottoposti al regno della forza implica prima di tutto rimuovere verità del genere. Se infatti questo regno è così potente, è anche perché in fasi storiche come la nostra accorrono a fornirgli giustificazioni ideologiche molte delle intelligenze migliori, più attendibili e più scrupolose; mentre a ricordare che esiste uno iato, sebbene quasi invisibile, tra le differenze di natura e le differenze imposte dal potere, rimangono o un pugno di acrobati della dialettica o una vasta platea di retori davvero velleitari, di chiacchieroni e utopisti da bar o da tastiera. Questo però, come sapevano qualche decennio fa a Francoforte, contrariamente a ciò che si crede non dice nulla sulla legittimità dell’esigenza che balena nella loro oratoria degradata, perché la sua apparenza ridicola e deforme è la veste nella quale sempre vengono imprigionate le istanze sconfitte. Quando la pressione della forza è enorme, chi in quel momento è portato in alto dalla sua onda può scegliersi l’avversario a sua immagine, e sconciarlo fino a farne un relitto kitsch o un comiziante da sagra. Ma specularmente, intanto, le intelligenze impegnate a ripeterci i loro inesauribili “se è così c’è una ragione, sveglia!”, non possono non rivelare al fondo l’ingenuità propria di tutti i cinici, che si illudono di poter calcolare e controllare ciò che non si controlla e non si calcola: cioè la realtà, che per definizione coincide con l’imprevedibile, con l’inatteso, e che prima o poi li prende in contropiede (sotto il cuscino dei perdenti si scopre spesso una copia del “Principe”, diceva Brancati).
Capire perché le cose stanno come stanno è bene, e sfuggire a questa comprensione è segno di infantilismo; ma tessere l’apologia di ciò a cui va reso solo l’onore di riconoscergli che “è ciò che è”, trasformandolo in un “è perché deve essere”, asseconda un bisogno di rassicurazione altrettanto infantile. Chi vuole far tornare i conti con uno stridulo Gott mit uns dimentica quello che, secondo la Weil, il poeta dell’“Iliade” ha espresso nel modo più puro descrivendo la guerra, la situazione per eccellenza in cui il potere si mostra nella sua aperta crudeltà: ossia il fatto che nessuna diversità essenziale separa vincitori e vinti. La forza, anche quando li rende simili a tempeste in apparenza inarrestabili, non è mai un possesso dei guerrieri, ma una corrente che passa dal campo troiano a quello acheo, e viceversa, svilendo gli uomini a “cose” – fulmini gli uni, tronchi mozzati gli altri. E quando agli eroi capita la parte del tronco, della preda, “tremano” tutti, persino il grande Ettore. Eppure basta che la forza torni a sollevarli, ed ecco che la sua droga cancella dalla loro mente questo dato elementare. Allora si sentono di nuovo invulnerabili, oltrepassano il limite della tracotanza e sono puniti dalla Nemesi – un concetto che, osserva la Weil, l’Occidente moderno non ha nemmeno più parole per esprimere.
Dunque lo sguardo omerico è supremamente equo perché non veste di ragioni ciò che non lo merita. Nel poema, l’efferatezza di chi sta vincendo una battaglia non è mai soffusa di una luce apologetica, e nel lamento disperato di chi soccombe non si vede mai il tratto distintivo di un “essere spregevole”. Come poi la tragedia attica, e come la cultura occitana (provenzale, romanica, catara) spazzata via nel tredicesimo secolo dalle crociate, l’“Iliade” ci mostra secondo la Weil una civiltà eccezionalmente consapevole del dominio della forza, e insieme indisponibile a identificare questo dominio con la giustizia. “Solo se si conosce l’imperio della forza e se si è capaci di non rispettarlo è possibile amare” ed essere giusti, conclude la pensatrice francese. Il contrario della forza è l’amore, che nei versi omerici avvolge tutto ciò che è vulnerabile e minacciato dall’annientamento. Ma accedere a questa forma di amore, come si è detto, richiede una capacità sovrumana: appunto perché il mondo umano appartiene alla forza, che quando ci innalza ci acceca, additandoci il miraggio di una realtà senza ostacoli e illudendoci di essere onnipotenti, mentre quando ci schiaccia giù a terra, in una servitù da cui sembra impossibile immaginare una liberazione, ci strappa la “vita interiore” e cancella in noi ogni sentimento.
In questi saggi la Weil si sofferma anche su un altro punto cruciale, che riguarda proprio la copertura ideologica dei rapporti di forza. Siccome il potere si posa sull’uno o sull’altro uomo con un’ampia dose di arbitrio, rendendo radicalmente diversi i destini di individui radicalmente simili, chi vuole mantenerlo senza suscitare rivolte deve saper occultare questo arbitrio e razionalizzarlo. È così che intorno alla forza, fingendosi sua causa, si diffonde l’aura illusoria del “prestigio”, che gli uomini scambiano per qualità innata mentre è l’effetto di un contesto determinato, di un provvisorio gioco di luci i cui riflessi tendono però a moltiplicarsi illimitatamente. Qui forse non è inutile ricordare la nazionalità di Simone Weil, dato che la Francia è stata nel mondo moderno il paese più socializzato, quello dove i fantasmi impalpabili ma pervasivi delle identità pubbliche sono penetrati in ogni fessura dell’esistenza. Né è certo un caso che sia stato un altro francese, pochi anni prima di lei, a eternare letterariamente questi fantasmi nella mappa più ramificata e ricca d’implicazioni che ci sia mai stata fornita. “Solo chi è incapace di scomporre, nella percezione, ciò che a prima vista sembra indivisibile, crede che la situazione faccia corpo con la persona”, ha scritto Marcel Proust, che attraverso i molti strati della sua “Recherche” avvicina all’esperienza quotidiana le essenze platoniche weiliane.
L’analisi dello snobismo, cioè, secondo il critico americano Lionel Trilling, dell’“orgoglio a disagio” di chi non è mai sicuro della propria identità, è appunto l’analisi degli equivoci creati dal “prestigio”. In un universo come quello borghese, dove non esistono più ruoli fissi e garantiti da ordini aristocratici o da fedi nel soprannaturale, questa precarietà è fisiologica; e il romanzo, col suo dinamismo, è nato per rappresentarla. Ma di solito i romanzieri, anche i più estremisti, portano gli equivoci a uno scioglimento: o sotto la loro superficie abbagliante si rivela una certezza solida, inconfutabile, oppure questa superficie diventa il segno di una metafisica, arcana indecifrabilità, cioè in fondo di un’altra certezza, seppure di segno negativo. Proust, invece, dimostra che l’equivoco è la sostanza stessa, la stoffa onirica e fantastica di cui è fatta la pretesa identità di ognuno: una sagoma destinata inevitabilmente a variare a seconda delle luci che il luogo, ma soprattutto il tempo, l’immaginazione e i sentimenti personali o collettivi le proiettano sopra. L’ambiguità, in questo senso, è senza fine. La magia dei nomi trasfigura di continuo la materia, e la materia fa cadere a un tratto il sipario di una convenzione, di una magia effimera. La gelosia stabilisce ragnatele finissime, e non si sa mai se abbia occhi straordinariamente acuti o se straveda. Ogni gesto, ogni parola, ogni episodio racchiudono un gomitolo di equivoci che si intrecciano e si divaricano nel tempo. Volgarità e finezza, bontà e perfidia, onorabilità e impresentabilità, prosaicità e fascino esclusivo, provincialismo grottesco e talento supremo, filisteismo e regalità si scambiano ovunque le parti, e toccano tutti i principali caratteri di questo romanzo di romanzi: Saint-Loup, i Verdurin, Morel, Charlus, Swann, i Guermantes, Rachel, Odette, Bergotte, Albertine, Vinteuil, Cottard, Elstir… e ovviamente il narratore.
Col prestigio, col potere e con i ruoli di vittime e carnefici, questi personaggi cambiano la loro stessa pelle. Ma se è così, non hanno ragione i lodatori di ciò che appare, di ciò che ‘è’ in quanto s’impone? Non basta, per approvarli senza riserve, imprimere un po’ di mobilità eraclitea al loro troppo statico sistema panglossiano, al loro hegelismo mummificato e andato a male? Quale identità nuda o profonda ci resterebbe in mano da difendere, al di là delle mutevoli maschere sociali? Esiste forse là dietro un volto, un ‘noumeno’ che non sia un’astratta, umanistica petizione di principio? Difficile crederci: soprattutto oggi che siamo tutti più socializzati dei vecchi francesi, essendo social e tendendo a una assai più totalitaria indistinzione di ‘intimità’ e ‘pubblicità’. In quel vorticoso primo Novecento, tra Proust e Weil, un altro francese ha messo in bocca a un suo personaggio teatrale una risposta disinvoltamente contraddittoria. “Non state confondendo la gloria e l’amore? Amereste Giocasta se non regnasse?”, chiede Tiresia a Edipo nella “Macchina infernale” di Cocteau. “Domanda stupida e ripetuta mille volte”, ribatte il marito e figlio della regina di Tebe. “Giocasta mi amerebbe se fossi vecchio, brutto, se non sbucassi dall’ignoto? Credete che non ci si possa buscare il mal d’amore toccando l’oro e la porpora?”. Ma poi aggiunge che “i privilegi di cui parlate non sono la sostanza stessa di Giocasta e aggrovigliati così strettamente ai suoi organi da non poterli disunire”. La scena è interessante anche perché qui, come altrimenti in Proust, la politica, cioè il campo per eccellenza del potere, fa tutt’uno con l’amore.
Ma non è, s’intende, l’amore soprannaturale che per la Weil sta sull’altro piatto della bilancia rispetto alla forza. Eppure anche di questo amore è fatto l’amore umano. Chi, che cosa amiamo dunque davvero? È il nostro amore separabile dal prestigio? All’alba della modernità, in una Russia infranciosata, il romantico e ironico Aleksandr Puškin ha lasciato nell’“Onegin” una immagine memorabile della divaricazione tra società e verità su cui è fiorita la nostra cultura. “In quel tempo, in quel deserto, / Lontano dal pettegolezzo, / Io non vi piacqui: questo è certo… / E dunque mi inseguite adesso? / Che cosa a voi mi pone in vista? / Non forse il fatto ch’io apparisca / Per il mio rango in società; / L’esser di ricca nobiltà; / O il marito che in guerra è stato / Ferito e alla corte è in favore? / Non forse che il mio disonore / Da tutti sarebbe osservato, / A voi nel bel mondo recando / Un lusinghevole vanto?”, domanda malinconicamente Tatiana a Eugenio verso la fine del poema, dopo che lui l’ha prima tenuta affettuosamente a distanza, moderando il suo dongiovannismo, quando era una semplice ragazza di campagna, e poi l’ha ardentemente corteggiata quando l’ha vista muoversi da dama impeccabile tra i ricevimenti pietroburghesi.
Non so chi potrebbe rispondere alla domanda di Tatiana. Quanto è grande, specie in un mondo più che mai socializzato, la dose di desiderio mimetico che ci entra in circolo? Quanto influisce sui nostri atti il prestigio, questo vestito imperiale della forza? Se esistessero confini visibili o palpabili tra un’‘essenza’ e un’‘apparenza’, combattere sotto l’insegna di una delle due riuscirebbe relativamente facile. Sarebbe lecito pensare a una lotta di princìpi, confidare in un mutamento progressivo che a poco a poco conduca a esiliare dal mondo la forza magnetica e menzognera del prestigio contrabbandato per cosa salda. Invece il mondo è strutturalmente suo. Perciò una tale etica è ritenuta insufficiente dalla platonica Simone Weil, e contemporaneamente anche dalla sensuale Etty Hillesum. Solo il riconoscimento di questa realtà, la sua accettazione senza risarcimenti e la contemplazione della forza possono sospenderla, tenere in miracoloso equilibrio la bilancia.
E sì: noi siamo anche i nostri privilegi, gli ori e le porpore di cui non potremmo mai dire, senza apparire tracotanti di fronte al fato, di esserceli guadagnati da soli. Eppure, c’è chi alle origini della nostra civiltà ci ha mostrato uomini spogliati di tutto ciò: uomini ridotti a ‘cose’ passive, resi schiavi o annientati da uomini ridotti a ‘cose’ ciecamente attive come catastrofi naturali. Chi amerà questi nudi? Chi rimarrà vicino a un corpo, a una voce, a un volto totalmente privati di prestigio e di potere? Chi sopporterà di stringere esseri che basta un soffio a cancellare dalla scena, e che non sembrano avere più alcuna dignità umana? Noi tendiamo a immaginare la sventura in chiave eroico-hollywoodiana, a incastonarla in una sequenza in cui lo sconfitto mantiene intatto il suo fascino, la sua forma socializzabile di uomo. Ma proviamo a immaginare invece la vera sventura, cioè una condizione in cui tutte le nostre coordinate vacillano come nel Vangelo vacillarono i discepoli durante la Passione. Immaginiamo una situazione dove ogni circostanza sembra dare ragione al mondo che umilia lo sventurato. Immaginiamo il momento in cui la sventura arriva a toccare l’ultimo strato dell’identità della persona che diciamo di amare – il momento in cui, senza che questa persona si sia inconfutabilmente macchiata di una colpa, le sue attrattive si mutano in un motivo di imbarazzo, di smarrimento o di nausea, in una specie di vergogna senza nome. Immaginiamo tutto questo, e la domanda ci farà tremare.
Forse di una tale figura nuda, senza protezioni sociali e senza neppure il marchio di una minoranza esclusa ma ‘riconosciuta’, non si può predicare nulla. Forse si può dire solo che l’uomo è più di tutto il suo prestigio, di tutte le qualità in cui i “privilegi” si mescolano ambiguamente agli “organi”. Ma questo più non si può descrivere. Come l’anima, si può cogliere solo con un atto di fede. E proprio dalla fessura che lascia tra sé e il resto passa la grazia. È da lì che soffia l’amore trascendente, incondizionato, assoluto: l’amore senza il quale, diceva Denis De Rougemont occupandosi dei provenzali negli anni della Weil e in modi per molti versi opposti, siamo destinati a cadere in un romanticismo calcolatore che non troverà mai un oggetto su cui fermarsi, perché ci sarà sempre qualcosa di più attraente a meritare l’innamoramento.
Solo una decisione mai giustificabile, che è poi il contrario di una facoltà d’opzione, può arrestare questa fuga nell’illimitato. Un decennio prima, montando le tessere del suo discorso sulle “Affinità elettive” e il matrimonio, Walter Benjamin lasciava intravedere una prospettiva molto simile.
Credo che il saggio della Weil sull’“Iliade” sia uno dei due massimi capolavori della saggistica filosofica del Novecento. L’altro, non unilaterale e spoglio ma tormentosamente dialettico, va sotto il titolo di “Minima moralia”. Negli aforismi di Adorno si trova una frase che può stare accanto alla conclusione weiliana: “Sei amato solo dove puoi mostrarti debole senza provocare in risposta la forza”. Il mondo, però, ci consegna un’ingiustizia ulteriore. Di solito si aderisce alla forza là dove la pressione collettiva è troppo intensa rispetto alle convinzioni che potrebbero farci resistere alla sua piena: cioè quando a propria volta, come carnefici, ci si trova in una condizione di debolezza, quando non si è abbastanza sicuri della propria comprensione delle cose da poter rimanere saldi in mezzo alla tempesta insieme a chi è rimasto nudo (la pressione consiste spesso in un sottile gioco di suggestioni atmosferiche incrociate, ma chi voglia vederne rappresentati i tratti più elementari e irresistibili può pensare al Bube di Cassola spinto a picchiare il prete Ciolfi, o al giovane ufficiale Eric Blair, alias George Orwell, accerchiato dalla folla birmana che esige di vederlo abbattere un elefante). Non è questa l’ultima ragione per cui il mondo ci chiude la bocca impedendoci di dire a ogni passo “non è giusto”, e quasi assimilando il nostro comportamento a un fatto di natura. Ma appunto, quasi. Resta quella fessura. Di cui nessuno si può appropriare senza tradirla, ma che nessuna forza può ridurre a sé."
Matteo Marchesini
4 notes · View notes
utente-null · 2 years
Text
chissà che stra catzo avevo da piccola nella testa per cui ogni tot dovevo tagliarmi la frangia da sola a scuola
e bella per mia mamma che mi vedeva tornare da scuola con sta frangia tagliata stra corta e storta e per le foto con la frangia monca
3 notes · View notes
Text
Tumblr media
1014 The One With Princess Consuela
Chandler trying to be so supportive. Monca and Chandler have the same 'listening and sympathising' expression. Chandler sitting in the divot made by Monica. I love when they switch up who's the little and big spoon on the couch, especially in the space of an episode. Same costumes this time too.
6 notes · View notes
Text
Rio Segundera - Senda de Montaña Cañones del Cárdena y Segundera - Monca...
youtube
0 notes
weirdesplinder · 4 months
Text
Il Ciclo Asiatico di James Clavell
Sono anni che mi riprometto di leggere il romanzo Shogun di James Clavell, un best sellers del 1975. Io ne posseggo un'edizione italiana anni '80 di Sonzogno che ho ereditato da mia zia, ma nonostante sia una lettrice che ama i romanzi lunghi e questo lo è, e anche i romanzi storici e anche il Giappone, qualcosa mi ha sempre frenato. Forse dalla trama temevo fosse simile al film con Tom Cruise L'Ultimo samurai, che sinceramente mi aveva parecchio deluso. O che somigliasse ad alcuni romanzi di Wilbur Smith che io non apprezzo come scrittore sinceramente. Non lo so.
Poi quest'anno ecco che su Disney + esce una serie televisiva di 10 puntate tratta dal romanzo, e mi dico prima guardo la serie e poi giuro leggo il romanzo. La inizio, ma poi scopro che esiste un'altra serie tv, del 1980, tratta dal romanzo, la cui sceneggiatura fu curata proprio dallo stesso autore! Conta solo 4 puntate e conta un cast di attori molto validi come Richard Chamberlain e John Rhys-Davies. E vuoi non guardare anche quella e magari fare una comparazione fra le due?
Quindi per preparare questo post ci sono voluti mesi, ma alla fine ce l'ho fatta. Partiamo a parlare delle due serie televisive.
Shogun del 1980 è una miniserie di 5 puntate che però sono lunghe ognuna quanto un film. Shogun del 2024 conta invece 10 puntate ma più brevi. Fare una comparazione fra le due è molto difficile perchè pur nascendo dalla stessa opera letteraria a cui restano anche abbastanza fedeli, sono molto diverse a causa di alcune scelte stilistiche.
Shogun del 1980 è stata girata dal punto di vista del protagonista John Blackthorne, quindi alcune sequenze che riguardano invece i personaggi giapponesi e i loro intrighi di palazzo vengono saltate se lui on è presente. Inoltre i dialoghi giapponesi non sono stati nè doppiati nè sottotitolati, se non nelle scene in cui è presente un interprete per John. Anche alcune scene del libro che riguardano dialoghi e intrighi di gesuiti e portoghesi dove John non è presente sono assenti nella serie, quindi capirete che questo crea dei buchi narrativi e noi spettatori come il protagonista ci troviamo spiazzati e non capiamo cosa sta accadendo intorno a noi. Io poi che non avevo letto il libro prima di vedere la serie ho capito parte del piano di Toranaga solo a fine della serie e non del tutto.
Questa scelta stilistica ti fa immedesimare molto col protagonista, ma al tempo stesso ti estranea e crea confusione su alcuni punti della trama. Esiste una versione della miniserie doppiata in italiano totalmente anche le parti in giapponese ma io non l'ho trovata e ho guardato la versione del dvd senza doppiaggio nè sottotitoli dei dialoghi giapponesi senza interprete.
Quali sono i punti di forza di questa serie? Senza dubbio la sceneggiatura che fu curata in parte dallo stesso James Clavell e ha dei dialoghi stupendi, in particolar modo tutto quello che dice Mariko, è fantastico e la delicatezza della storia tra lei e Blacktorne è veramente toccante. Poi gli attori sono veramente tutti veramente bravi e carismatici, in primis Richard Chamberlain che interpreta Blacktorne, Yoko Shimada che inrpreta Mariko, Toshiro Mifune che interpreta Toranaga e John Rhys-Davies che interpreta Vasco Rodrigues. La serie è inoltre molto fedele al romanzo anche per la cronologia dei fatti, ma per problemi di tempo ha dovuto tagliare alcune cose, e molte riguardano i personaggi giapponesi, inoltre la mancanza di traduzione dei dialoghi giapponesi è veramente un detrimento importante per la comprensione di diversi punti della trama che sembra monca a tratti.
La serie Shogun del 2024 è molto più comprensibile poichè tutti i dialoghi sono tradotti o sottotitolati e molti punti di trama vengono spiegati con dovizia di particolari, a volte pure troppo fin quasi a divenire didascalici. Tipo, aspetta che faccio dire questa frase a questo personaggio nel caso non avessi capito quella cosa che ti ho mostrato prima. Anche alcune scene vengono anticipate cronologicamente rispetto al romanzo glissando su cose che sarebbero accadute prima e non vengono mostrate pur di far capire subito allo spettatore il fulcro del potere e degli intrighi che muovono i personaggi che è il Castello di Osaka. Se la serie del 1980 ti voleva fare immedesimare fin troppo col protagonista inglese e ti faceva provare ciò che lui provava cioè confusione primariamente e sceglieva di mostrare quasi solo scena dove lui è sempre presente, Shogun del 2024 fa la stessa cosa ma con Toranaga è lui il fulcro della serie, tanto che l'inglese Blacktorne ad un certo punto quasi scompare compare in poche scene o quasi non parla. Tutto gira intorno ai personaggi giapponesi alle loro motivazioni vengono creati flashback per mostrarci il loro passato ecc...
La serie risulta chiara e fruibile ma un poco sbilanciata rispetto al romanzo a mio avviso, Blacktorne è veramente troppo secondario. Entrambe le serie esagerano un tantino mettendo al centro un lato più dell'altro, ma sono scelte stilistiche immagino che possono piacere o meno ma non sono sbagliate. Sono scelte.
Dove la serie del 2024 invece secondo ha sbagliato sono la scelta degli attori che interpretano Blacktorne e Mariko, che non sono veramente all'altezza dei loro predessori del 1980, ma nemmeno lontanamente. E anche nei dialoghi che sono molto più semplici, fin troppo a volte, e molto più scurrili.
Detto questo sono entrambe serie tv molto belle e godibili, ma nessuna delle due mi è entrata nel cuore o mi ha fatto urlare al miracolo sinceramente , se non per alcune scene circoscritte della serie del 1980 con dialoghi veramente stupendi.
Il romanzo di Clavell è però di gran lunga superiore come opera ad entrambe le serie tv, molto più coeso e bilanciato. Anche lui a tratti non mi ha convinto del tutto perchè per mio gusto non approfodisce alcuni punti del quadro stirico del periodo che avrebbero meritato più spazio (rapporto gesuiti spagnoli e portogallo, e guerra inglese olandesi contro portogallo e spagna, politiche coloniali, rotte commerciali, ruolo chiesa cristiana in giappone, altri gruppi religiosi...) e in alcuni punti diventa prolisso su cose che a mio avviso poteva glissare, ma è una cosa soggettiva mia. E io come gusto nell'ambito romanzi storici guardo allo stile di Alexandre Dumas e Victor Hugo quindi il mio metro di giudizio è davvero molto ma molto in alto. Nella mia mente leggendo il libro continuavo a comparare Shogun al Conte di Montecristo cosa ingiustissima per i due libri hanno veramente quasi niente in comune se non il fatto che i film tratti da entrambi sono stati interpretati da Richerd Chamberlain, e quindi Shogun ha risentito molto di quetso mio preconcetto di cui mi scuso, ma dopotutto sono umana e la mia mente ha funzionato così.
Per farmi personare ecco un piccolo excursus del ciclo asiatico di James Clavell, una saga che raccoglie 6 romanzi dell'auutore tutti ambientati in orienti, ma leggibili singolarmente, di cui Shogun fa parte.
Shogun
Link: https://amzn.to/4axOkMs
Trama: 1600. Partito alla volta dell'Oriente per il monopolio olandese del commercio con Cina e Giappone, John Blackthorne, comandante dell'Erasmus, si ritrova costretto da una tremenda tempesta al naufragio in un villaggio di pescatori nel Giappone feudale del XV secolo. In quel mondo sconosciuto e lontano, Blackthorne deve trovare il modo di sopravvivere. Grazie al suo coraggio, che lo condurrà sulla via dei samurai, con il soprannome di Anjin (il navigatore) diventerà il fido aiutante dello Shōgun e nella sua ascesa al potere conoscerà l'amore impossibile per la bella e ambigua Mariko.
2. Tai-pan
Link: https://amzn.to/3W07kQ3
Trama: 1842 Hong Kong è solo un porto naturale abitato da poveri pescatori. Ma Dirk Struan, capo di una delle maggiori compagnie mercantili operanti in Estremo Oriente, intuisce che quel pezzetto di terra battuta dai tifoni potrà diventare la base per l'espansione commerciale inglese in Asia. E' un uomo coraggioso, tagliato per il comando, rispettato dai cinesi che lo chiamano Tai-Pan, signore assoluto. Per realizzare il suo sogno, però, dovrà affrontare nemici senza scrupoli in una lotta implacabile. Una storia di passioni e violenze, ma anche l'epopea di un'epoca che vide l'inizio del declino del Celeste Impero e la nascita della colonia più ricca d'Oriente.
3. Gai-jin
Link: https://amzn.to/3PKOrwd
Trama: È il 1862 e il potere dello Shogun si indebolisce sempre di più: tra le fazioni rivali si accende una lotta senza scrupoli per impadronirsi dell'Impero. A Yokohama, anche i gai-jin, gli odiati stranieri, cercano di trarre profitto dallo scompiglio per imporre il proprio Tai-Pan sulla dinastia degli shogunati. La vicenda del romanzo si svolge circa vent'anni dopo gli eventi di Tai-Pan e ha come protagonista Malcolm Struan, il figlio di Culum e Tess Struan.
4. Il re
Link: https://amzn.to/43JHD82
Trama: Seconda guerra mondiale. Nel brutale campo di prigionia di Changi, in territorio occupato dai giapponesi, nei pressi di Singapore, un caporale americano detto il Re, tiene in pugno più di ottomila uomini senza speranza e attaccati alla vita. È un uomo spietato quanto brillante, capace di tener testa ai prigionieri e ai carcerieri, continuamente alla ricerca di un'improbabile salvezza all'interno di un abisso di sofferenza ma anche dell'opportunità di espandere il proprio potere, corrompendo o distruggendo chiunque gli si metta di fronte. James Clavell ci regala un nuovo capitolo della sua saga asiatica, la storia coraggiosa di un uomo che deve vivere e sopravvivere alla terribile esperienza dei campi di prigionia giapponesi, un racconto basato sui tre terribili anni che lo stesso Clavell passò a Changi.
5. La nobil casa
Link: https://amzn.to/3VBfApk
Trama: Hong Kong, 1963. La Nobil Casa prosegue a un secolo di distanza le vicende narrate nel best seller Tai-Pan. Ian Dunross, tenace erede della Nobil Casa fondata da Dirk Struan, è impegnato in una lotta per salvare la posizione patrimoniale, compromessa dal precedente amministratore.
6. Tempesta
Link: https://amzn.to/3PN2odj
Trama: Iran, 1979. Lo scià, appena partito per l'esilio, si lascia alle spalle un paese all'apice della rivoluzione. Le folle si ergono a giudice, le esecuzioni prendono il posto dei processi, mentre la lotta tra le due fazioni rivali sfocia in aperta e sanguinosa guerra civile. Tra confuse alleanze ed incerti giochi di potere, l'unico elemento che accomuna gli iraniani è l'odio fanatico nei confronti degli stranieri, particolarmente americani e britannici. I piloti di una compagnia di elicotteri inglese, controllata segretamente dalla Nobil Casa di Hong Kong, di stanza in Iran con le loro famiglie rischiano perciò di perdere non solo il lavoro, ma addirittura la vita. Cercheranno di fuggire con un piano segreto denominato Tempesta.
1 note · View note
bingofood · 5 months
Text
Bún cá Nam Định
0 notes
ovettifamily · 5 months
Text
Storia Rock
Mercoledì scorso… “Qui usignolo moscio… passo”“Qui aquila monca… sono in ascolto.”“Usignolo moscio parte ora. Il piano sta riuscendo”“Aquila monca non vede l’ora di vedervi. A dopo…. Chiudo.”Con un’organizzazione degna dei migliori agenti segreti in circolazione, lo scorso mese papà Ovo ha cercato di avere dei biglietti per una lezione del professore di storia preferito del Monno.Ah… per la…
View On WordPress
0 notes