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#o mi compatisce
yoursweetberry · 1 year
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Non ho voglia di sentire e parlare con nessuno, perché di quello che succede a me non è mai fregato per davvero a nessuno e quando mi sono trovata e mi trovo in momenti di merda gravi anche magari riguardanti problematiche dello stesso peso che vedo affrontare dagli altri, quando si tratta e si è trattato delle mie è sempre stato sminuito tutto. È proprio vero che finché non ci stai dentro non si ha sempre la capacità di capire l’altro. Io mi sono sempre messa nei panni degli altri e ho fatto sempre tutto quello che potevo per gli altri anche troppo probabilmente, mo mi sono rotta. Perchè io non ho mai avuto nessuno e non ho nessuno e ci sto sempre solo io a pensare a me stessa e ciò che mi succede anche riguardo la mia famiglia.
Non credo che la mia assenza sia importante tanto voi avete chi vi compatisce. A me non servono gli “interessi” finti di circostanza sul p fa a vre di aver fatto la domanda. Io non mi dimentico di quando ho avuto bisogno e si faceva finta di non vedere e capire. Non me lo dimentico quello che sto passando adesso e non c’è nessuno. Ora non voglio nemmeno più nessuno. Non ho più fiducia in nessuno e non me ne frega un cazzo della vita in generale. Questo è quanto. Non ho voglia di mettermi a raccontare cosa mi succede o come sto tanto per, perché non mi serve a niente, anzi mi fa solo sentire peggio e delusa quando so che non avrò mai l’attenzione che merito e che invece gli altri hanno sempre con estrema facilità
18:03
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gaysessuale · 2 years
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È un periodo strano, non rispondo a nessuno da giorni e quando lo faccio, capita solo perchè presa dal dispiacere verso le persone che mi scrivono. Apro whatsapp, chiudo whatsapp. E può capitare che le chat rimangano lì a fissarmi, senza la voglia di darle ascolto; le guardo con aria di sfida, come guardo mia madre mentre mi rimprovera per non aver preso la giacca la sera, o quando non mi sveglio mai al mattino. Quelle chat mi rimproverano con lo stesso tono polemico e fastidioso di mia madre, mi dicono che è l’ora di smettere di ignorare e di affrontare i discorsi, mi sbattono in faccia con franchezza ciò che mi sta succedendo, o peggio, cosa non va. Molto spesso evito di rispondere perché voglio evitare di parlare. Mi devo chiudere in me stessa per ritrovare serenità interiore, scombussolata continuamente da un’imperterrita realtà esterna nervosa. Mi isolo come gli eremiti, che si possono permettere di impegnare tutta la vita a pensare, che cercano dentro una soluzione interiore e non una soluzione per un problema esteriore. Ho bisogno di farlo perché anche se odio stare da sola (la paura della solitudine è collocata al secondo posto nella mia lista delle paure), la mia stessa compagnia è quella che più accetto tra tutte le altre che trovo al di fuori. Può risultare molto cinico, ma sono l’unica persona per la quale dovrei dare tutto. Perché il mio io mi compatisce, mi lascia spazio a terra quando non voglio sollevarmi, non cerca di spronarmi e non usa frasi fatte, ma accetta semplicemente il mio dolore e lo lascia entrare. Lascia che possa usurarmi e insegnarmi qualcosa, che rimanga impregnato dentro di me per non far si che io possa dimenticare senza aver imparato. Poi, una volta che ho fatto l'amore con il dolore, sembra quasi incredibile la forza che trova per aiutarmi e tirarmi sù, perchè mi prende dolcemente e mi raccoglie, mi permette di stare dolorante nelle sue braccia ancora per un po’. Mi culla come una madre, senza avere fretta di farmi diventare grande. Alche, io recupero le forze, attraversando il dolore in tutte le sue salite e in tutte le sue sfumature, apprendendo tutti gli insegnamenti possibili.Questo non fa si che io non soffra nuovamente, perché il dolore non è inversamente proporzionale all’esperienza e ai lividi sul cuore, come molti vanno dicendo. Semplicemente vivo l’esperienza della sofferenza consapevole che essa non mi vincerà, non mi sbranerà viva, perche la paura non può far altro che alimentare il patimento. La consolazione alquanto rincuorante è che tornarò a sorridere, prima o poi, senza essere più condizionata dal turbamento.Questa è la vittoria che il dolore mi e ci concede, perché non è vero che prende senza dare.Insegna ad apprezzare il benessere, l'amore e l'affetto quando ci sono, la bellezza dello stare insieme. Ho capito quanto vale un sorriso spuntato dopo giorni vuoti pieni di coperte usurate da pianti e libri o cuscini volati per aria, ancora a terra. Li risolleverò con più attenzione, la stessa che non essendoci stata, ha provocato in me un’ira tale da voler spaccare il mondo con un solo dito. Mi sollevo ogni volta con un amore sempre più riguardevole e attento, faccio attenzione a tutto quello che prima ho lasciato che mi sfiorisse, e mi concedo una risata. Penso che sia così stupido soffrire, ma è anche appagante, liberatorio, necessario.Odio quelle chat sospese, perché in esse non trovo nulla di tutto ciò. Chiedo venia ai miei affetti, ma quando riesco ad amarmi così tanto, questo affetto riesce a battere tutto il resto. Molti dicono che non so amarmi, e fino a quando non riuscirò a farlo non incontrerò mai nessuno che a sua volta ci possa riuscire. Ma curarsi non lo è già? Accettarsi ed rispettarsi nel dolore, è molto più difficile che sopportare la propria semplice solitudine. Io sono l’unico rifugio, l'unico porto sicuro, dove posso approdare presa della confusione, e mi accolgo a cuore aperto. Lascerò quelle chat da visualizzare e non mi sentirò in colpa, perché non è mai abbastanza il tempo che mi dedico per rifiorire. Voglio avere cura di splendere.
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donatoantonio75 · 6 years
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Carissimo figlio nel Voler Divino, nel Voler Divino, per vivere in Esso non si tratta di cambiare azioni, ma solo volontà: invece di far correre la nostra in tutto ciò che facciamo, facciamo correre Quella di Dio. E volete sapere che succede nel nostro atto? È tanto il suo Amore, la sua Bontà, che, come formiamo l'atto e facciamo correre la sua Volontà, così viene formata la Vita Divina nell'atto nostro, e tante volte ripetuta questa Vita di Dio nei nostri atti per quanti atti facciamo; e vi pare poco dire che, purché faccia correre la sua Volontà, mi dà il potere di poter formare tante Vite Divine per quanti atti faccio? Siano pure atti naturali o piccoli, purché ci sia la sua Volontà, il gran prodigio viene compiuto. In riguardo alle debolezze, miserie o altro, non vi date pensiero, purché non ci sia la nostra volontà, perché essa è la nostra rovina. Possono servire come sgabello su cui il Voler Divino forma il suo trono per dominarci e regnare, oppure come servono le pietruzze e le macerie a chi vuole farsi una abitazione, oppure come terra in mano al nostro Agricoltore Celeste, che delle miserie senza la nostra volontà fa le belle fioriture per estendere il suo Regno. Tutto serve a sua gloria e a nostro bene nelle mani divine del Fiat. Però, mi raccomando, non pensate alle miserie, alle debolezze; quanto più si pensano, più si sentono. Invece, col non pensarle svaniscono e si sentono di meno. Molto più che il dolce Gesù non guarda a ciò che sentiamo, ma a quello che vogliamo, anzi, molte volte ci compatisce e aumenta la sua Grazia, la sua forza, per fare che le miserie stiano al loro posto. Del resto, il caro Gesù, col volere che viviamo nella sua Volontà, non vuole avere a che fare coi morti, ma coi vivi; sicché le nostre miserie dicono che siamo vivi, non morti, e Lui, volendo fare da Vincitore, le vince e ne fa il più bell'ornamento per il suo Regno. Perciò, coraggio e fiducia; sono le armi che vincono Dio. Se non facciamo i primi passi, non possiamo fare i secondi, i terzi e via via... Se non entriamo nel mare, non possiamo bagnarci né nuotare dentro; perciò, l'essenziale è incominciare davvero, il resto verrà da sé. Luisa Piccarreta a Federico Abresch https://www.instagram.com/p/Bt-Louxn4T_/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=17hnl2os5rvhc
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divina-volonta · 2 years
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Novembre 9, 1906 vol 7 Libro di Cielo La cosa che più piace a Gesù è il meditare sempre la Sua Passione. . Trovandomi nel solito mio stato stavo pensando alla passione di Nostro Signore, e mentre ciò facevo è venuto e mi ha detto:“Figlia mia, è tanto gradito chi va ruminando sempre la mia passione e ne sente dispiacere e mi compatisce, che mi sento come rinfrancato da tutto ciò che soffrii nel corso della mia passione, e l’anima ruminandola sempre, viene ad apprestare un cibo continuo, e in questo cibo ci sono tanti diversi condimenti e sapori che formano diversi effetti. Sicché se nel corso della mia passione mi diedero funi e catene per legarmi, l’anima mi scioglie e mi dà la libertà; quelli mi disprezzarono, mi sputarono e disonoravano, essa mi apprezza, mi pulisce da quegli sputi e mi onora; quelli mi spogliarono e mi flagellarono, essa mi risana e mi veste; quelli mi coronarono di spine trattandomi da re di burla, mi amareggiarono la bocca di fiele e mi crocifissero, l’anima ruminando tutte le mie pene, mi corona di gloria e mi onora per suo re, mi riempie la bocca di dolcezza dandomi il cibo più squisito qual è la memoria delle mie stesse opere, e schiodandomi dalla croce mi fa risorgere nel suo cuore, dandole io per ricompensa, ogniqualvolta che fa ciò, una nuova vita di grazia. Sicché essa è il mio cibo ed io mi faccio suo cibo continuo. Onde la cosa che più mi piace è il ruminare sempre la mia passione”. ♥️♥️♥️♥️♥️♥️♥️♥️♥️♥️♥️♥️♥️♥️♥️♥️ ➡️➡️➡️ N.B. PER CHI VUOLE CONOSCERE o fare conoscere ad altri LA DIVINA VOLONTÀ rivelata da Gesù alla mistica che visse di sola Eucarestia Luisa Piccarreta (Padre Pio da Pietrelcina ha profetizzato di Lei che che in tutto il mondo in futuro Luisa brillerà come una 🌟 stella), questi i LINK PER POTER ENTRARE NEL GRUPPO 'ANIME NELLA DIVINA VOLONTÀ♥️', a scelta (i 2 gruppi son uguali)⤵️: - 🌟 in TELEGRAM (che consigliamo potendo lì vedere anche i post arretrati, e non avendo questa app limite di posti, basta scaricarla per entrare)⤵️: accedendo da questo link: http://t.me/FiatTotusTuus - 🌟 in FACEBOOK⤵️ https://www.facebook.com/groups/2809619742601483/?ref=share Info: - Marina - Sara - Donato https://www.instagram.com/p/CcLCPUxD2OW/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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marikabi · 6 years
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Like Fishes in the Net (XXX puntata)
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Cosa postate in bacheca? Cosa dite del vostro umore? Condividete sentimenti ed emozioni negative o positive? Più negative o più positive?
E come commentano i vostri amici? Vi compatiscono abbastanza quando siete giù?
Una cosa è certa, però: non vi calano proprio se postate una bella esclamazione di gioia o un pensiero positivo o state semplicemente di buon umore.
L’altra verità è che le persone tendono comunque a postare cose positive. O per lo meno: solo cose positive. Significa che nelle foto della festa di compleanno del nonno, non si vede l’incazzatura per i bambini troppo agitati, o le facce livorose delle cognate invidiose, o le svaccate del cugino che ha bevuto un po’ troppo. C’è solo il bello, tutto il bello della vita quotidiana e forse, tutto sommato, è anche un bene sia così. Vediamo queste foto e leggiamo post entusiasti e ci ritroviamo a pensare che questi nostri ‘amici’ e ‘amiche’ sono fortunati, felici, hanno belle compagnie e si divertono un mondo. Ovviamente, non è così.
Insomma, nessuno vuole fare la parte dello sfigato, ma di converso nessuno vuole commentare con gioia con chi ha condiviso una felicità (è tutta invidia, ve lo dico io). Tutt’al più, si compatisce l’amico (o l’amica) che ha confessato un pensiero o un umore triste, semplicemente per rimarcare la differenza tra noi e loro.
Non è molto onesto. Ma fèisbuk non è il diario personale, a cui confessare le proprie depressioni. Fèisbuk è una piazza dove si respira la stessa aria di diplomatica ipocrisia che pervade le nostre quotidianità amicali. Non è il Posto della Sincerità, bensì il Posto della Beltà. Cioè, è il posto in cui si è quasi esattamente come si è nella vita reale, solo un po’ più abbelliti.
C’è un detto proverbiale “Nessuna nuova, buona nuova”, nel senso che se non si hanno notizie, vuol dire che tutto va per il meglio. Ebbene, ai tempi di fèisbuk questo detto non ha più significato. Se il profilo non viene aggiornato vuol dire che qualcosa è successo, e considerato che si postano quasi sempre notizie entusiasmanti, allegre o cretine (il che significa che per lo più non si hanno problemi per la mente), nessun nuovo post indica che c’è qualche problema che distoglie il cazzeggio su fèisbuk.
Un pensiero negativo ha poca cittadinanza su fèisbuk e spesso le persone insistentemente cupe o vittimiste vengono inesorabilmente ‘oscurate’ (cosa diversa dalla cancellazione e dal blocco).
Spesso, inoltre, se si ha l’infelice idea di consolare l’amica (o l’amico) triste, si riceve come risposta un pensiero ancora più tetro o sconsolato. Insomma, la tristezza è una spirale inconcludente, perché esternarla su fèisbuk non aiuta. Infatti, pare che cortocircuitare attorno ai propri pensieri tristi e trovare sul web chi ce li rinforza (illudendosi di darci una mano) renda ancora più depressi, perché il pensiero viene obbligato a soffermarsi sulla tristezze e sull’ineluttabilità dello stato. Tant’è che è sorto pure un gruppo di aiuto (sempre su fèisbuk) cui rivolgersi nel caso si abbiano pensieri troppo tristi, che rasentano la pericolosità per sé stessi. Si chiamano ‘Samaritans’ e hanno la funzione degli assistenti sociali on line (visto su The Guardian). Basta segnalare al Centro di Assistenza di Facebook il nominativo di un ‘amico’ che ha postato notizie allarmanti sulla sua condizione mentale o che ha minacciato il suicidio.
Oppure – salvo alcune sottospecie di catene virali assolutamente false – fèisbuk aiuta a ritrovare persone scomparse. Non sempre, ovviamente. Nel caso di Sarah Scazzi, Yara Gambirasio o le gemelline svizzere non è servito, ma quando si tratta di un anziano smemorato, oppure di un disabile mentale che non riesce ad orientarsi, fèisbuk può dare una mano, come ci viene raccontato in un articolo americano. Non si trovano solo gattini, cuoricini e torte, ma anche volti di persone in difficoltà che potremmo aver incrociato per caso. Il fatto di essere così diffuso e popolare rende il social network uno strumento efficace per aiutare le persone in difficoltà. Ma anche per ritrovare cari animaletti domestici persi, come frequentemente si legge nelle cronache, una sorta di ‘Chi l’ha visto?’ per cani e gatti di casa. Pare che funzioni.
Ma in definitiva sul social network si condivide buon umore, allegria, ironia e satira.
Vanno forte le barzellette, le battute, gli aforismi imperdibili ed eccezionali di Spinoza.it (li adoro, i ragazzi di Spinoza!), i video satirici, le parodie (imperdibile quella dei calciatori doppiati in napoletano.
Insomma, il web è un posto dove si ride molto e si è più propensi a condividere cose allegre (nonché quegli odiosi cuccioli del Buon Karma) che roba triste. Altro sono le campagne di solidarietà (inutili) costruite come catene di Sant’Antonio 3.0, del tipo: “Condividete se avete un cuore”, sotto a foto (spesso atroci) di bambini malati o sfigurati. Ma anche di cani e gatti abbandonati (“Condividi se sei contro l’abbandono degli animali”). Però, adesso mi dovete spiegare se funziona (e anche come) questa cosa di condividere appelli generici contro i mali del mondo.
Io ho molto cuore, ma non condivido queste foto e questi appelli. Vado in banca e ordino un bonifico ad una associazione umanitaria. Questo funziona, ve lo garantisco.
C’è un altro aspetto della condivisione delle disgrazie attraverso fèisbuk. Siamo incappate nello strappalacrime temino di un tizio (ovviamente americano) che commosso raccontava come la sua fede si fosse rinforzata attraverso i messaggi di amore e affetto da tutto il mondo che gli arrivano ogni qualvolta posta qualcosa sul decorso della malattia neurologica del figlio. Secondo noi è una cosa orribile. Per tanti motivi. In primis perché non è simpatico raccontare urbi et orbi della malattia di un bambino. Il tipo, tutto molto compreso, ha anche dichiarato che fèisbuk è il suo nuovo tempio, digitale, virtuale, ma pieno di belle persone che dispensano Luce&Fede, benedizioni&empatia, Preghiere&Amore, nel più puro stile del corn belt americano. Ha anche detto che “fèisbuk ha trasceso la banalità per accogliere il divino”. Sic et amen.
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watercolour-blur · 3 years
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a mia nonna piacciono le persone obbedienti e che le sorridono, che la ascoltano e le danno ragione. a mia nonna piacciono le persone che la cercno quando vuole lei e che non siano sua figlia. no, sua figlia non va bene, le vuole male e la tratta male. sua figlia, mia mamma, trama sempre alle sue spalle ed è troppo stupida per darle consigli.
mia madre è una persona originale e responsabile, ma a volte molto infantile. mia madre apprezza le persone intelligenti ma che scherzino sempre, che la trovino divertente e che le diano attenzione, nonostante a lei piaccia ascoltarle. mia mamma non ha cattive intenzioni facilmente e tiene a mia nonna perché la compatisce, infatti finisce con lo sfogare la frustrazione che le provoca su di me e su sé stessa.
io non piaccio a mia nonna perché se non penso abbia ragione le rispondo in modo freddo, perché non faccio ciò che vuole lei e perché sono troppo 'arrogante e impertinente'.
lei non mi piace perché ha sempre trattato male mia madre e le ha lasciato delle ferite che mi ha trasmesso. perché ha comportamenti sadici ed ossessivi, perché fa la vittimista davvero e in qualche modo deve sempre farti sentire in colpa o in debito con lei. non mi piace perché è bigotta e non si fa problemi ad alzare le mani o altro. non mi piace perché è una sanguisuga e non mi piace perché non capisce o almeno non ammette i suoi errori.
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🔹Credete che io possa fare questo?🔹 Stavo pensando alla Passione del mio dolce Gesù, onde nel venire mi ha detto: “Figlia mia, ogniqualvolta l’anima pensa alla mia Passione, si ricorda di ciò che ho sofferto o mi compatisce, si rinnova in lei l’applicazione delle mie pene, il mio sangue sorge per inondarla e le mie piaghe si mettono in via per sanarla se è piagata, o per abbellirla se è sana e tutti i miei meriti si mettono in via per arricchirla. Il traffico che fa è sorprendente, è come se mettesse al banco tutto ciò che feci e soffrii e ne riscuote il doppio, perché tutto ciò che feci e soffrii sta in continuo atto di darsi all’uomo, come il sole sta in continuo atto di dar luce e calore alla terra; il mio operato non è soggetto ad esaurimento, solo che l’anima lo voglia e quante volte lo vuole riceve il frutto della mia Vita, sicché, se si ricorda venti, cento, mille volte della mia Passione, tante volte di più godrà gli effetti di essa; ma quanto pochi sono quelli che ne fanno tesoro! Con tutto il bene della mia Passione si vedono anime deboli, cieche, sorde, mute, zoppe, cadaveri viventi che fanno schifo perché la mia Passione è messa in oblio. Le mie pene, le mie piaghe, il mio sangue, sono fortezza che toglie le debolezze, luce che dà vista ai ciechi, lingua che scioglie le lingue ed apre l’udito, via che raddrizza gli zoppi, vita che risorge i cadaveri, tutti i rimedi che ci vogliono a tutta l’umanità, sono nella mia Vita e Passione , ma la creatura disprezza la medicina e non si cura dei rimedi e perciò, nonostante la mia Redenzione, si vede perire lo stato dell’uomo come affetto da una tisi incurabile. Ma quello che più mi addolora è vedere persone religiose che si affaticano per fare acquisto di dottrine, di speculazioni, di storie e non della mia Passione, sicché la mia Passione molte volte è messa da parte dalle chiese, dalla bocca dei sacerdoti, sicché il loro parlare è senza luce ed i popoli restano più digiuni di prima.” #DivinaVolontà #LuisaPiccarreta #FiatVoluntasTua https://www.instagram.com/p/CIXnCI8hP5u/?igshid=9037indkj2k2
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tiseguiro · 4 years
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Custodire o nascondere?
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di don Paolo Zamengo sdb
Mt 25,14 -30
Al termine del cammino si fa più intenso il richiamo alla vigilanza: diventare discepoli di Gesù non significa accogliere una dottrina umana o imparare ad osservare precetti etici ma accogliere Lui, il dono imprevedibile di Dio che entra nella nostra carne, ci fa figli suoi e ci rende operatori fecondi di frutti nuovi.
I discepoli di Gesù sono attenti, vigilanti per accogliere il dono della meraviglia di Dio e sono fedeli nel lasciare che il dono accolto porti frutti e si moltiplichi. I discepoli di Gesù sono "servi buoni e fedeli": sono "servi buoni" perché non vivono per se stessi, presumendo delle proprie doti, ma vivono la vita come dono ricevuto; e sono "fedeli" perché sentono che il dono accolto chiede di essere donato, per poter continuare a portar frutti.
"...un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi...". La parabola parla di "un uomo...": tutto è incentrato sulla relazione personale con Dio, la relazione nuova, filiale di Gesù con il Padre, nella quale i discepoli sono chiamati ad entrare. Tutto inizia da quest'uomo, ricco, che parte per un viaggio. Egli si allontana aprendo lo spazio per la libertà dei suoi "servi": essi, quindi non sono schiavi, ma liberi. Tutto è "suo", ma la relazione con i "suoi servi" è di conoscenza, rispetto, fiducia, non di dominio e di potere.
A loro consegna "i suoi beni". Il talento era una misura di peso e corrispondeva a un enorme valore, ovvero un talento era il guadagno di più di 20 anni. Si tratta dunque di una ricchezza immensa, si tratta dei beni del Signore: il Regno, la vita di Dio, la comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; la misericordia, lo Spirito Santo, la sua stessa vita, la sua Parola. Lui ci dona tutto questo affinché noi, con le nostre capacità, li investiamo bene.
Il talento non è la nostra capacità, ma è il dono del Regno. Tutto dipende da come ciascuno risponde con la propria libertà alla responsabilità affidatagli liberamente da chi, donandogli pure i "propri beni", vuol coinvolgere i "suoi servi" in un progetto di gioia e di felicità. In qualsiasi aspetto di questa vita io mi coinvolgo a causa dei talenti ricevuti, l’effetto sarà di rendermi sempre più parte integrante del Regno, io sarò sempre più simile a quel dono che ho ricevuto, quel dono mi assorbirà.
Dio non è geloso dei suoi beni e vuole condividere il bene più prezioso che ha, il suo amore per il Figlio, con ciascuno di noi. Lo affida alla nostra responsabilità, creatività, libertà, alla nostra capacità di rispondere al dono del suo amore. Certo che possiamo sbagliare o rischiare di non investire i beni donati nel modo giusto, ma la certezza di un padrone esigente si, ma misericordioso, l’amore per lui che ci muove, ci può far sperare di sentire anche per noi le parole che Gesù disse alla donna peccatrice nella casa di Simone “le sono perdonati i suoi molti peccati perché molto ha amato”, rischiando e amando.
“Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone”. C'è anche chi è un servo cattivo e pigro, chiuso in se stesso, incapace di relazioni che gli facciano gustare la gioia e il calore dell'Amore. Ma perché è un servo cattivo e pigro? "Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo", è la sua confessione.
Più che un giudizio morale su di lui "servo cattivo e pigro", è la denuncia della radice del suo comportamento, della sua relazione con quello che lui dice di conoscere: "Signore, io so", e lo ritiene "uomo duro, che miete dove non ha seminato...". È la visione distorta di Dio come il legislatore che condanna l'uomo che non ha la forza di osservare le leggi che lui gli impone e non vede la novità di un Dio che si è abbassato, che condivide, compatisce, che è diventato lui stesso "il seme" che chiede di essere accolto per poter germogliare e portare frutti abbondanti.
Il Dio di Gesù è l'opposto di quello a cui pensa il servo, un Dio "duro", chiuso nella "sua ricchezza", che non vuol perdere ciò che è "suo": è un Dio di Amore, di libertà, di fiducia. Un Dio che dona tutto, chiede all'uomo questo atto iniziale di fiducia, di totale abbandono, poi tutto è frutto della forza inarrestabile dell'Amore.
Questo servo non si è lasciato prendere da questo dono immenso che il padrone gli fa rendendolo partecipe dei suoi beni. La sua preoccupazione e ridare al donatore ciò che è suo, che è rimasto distante dalla sua vita. Certo i doni di Dio vanno custoditi nel profondo perché possano maturare in opere che parlino del Regno, ma non nascosti, sotterrati per paura, per non voler scomodarsi dalla vita misera che possiamo scegliere che tiene conto solo di ciò che siamo, delle nostre capacità e non degli orizzonti più ampi che ci spalanca Colui che ci conosce profondamente e ci chiama a rischiare le misure del suo amore senza misura.
L’amore, la fiducia di Dio non hanno cambiato la vita di questo servo pigro, non hanno cambiato la sua conoscenza del volto del Padre rimanendo chiuso nella sua logica di paura. Anche per noi risuona forte il richiamo del Vangelo: il discepolo di Gesù se ha incontrato Lui, si lascia amare da Lui, lascia che il suo rapporto con Dio cambi radicalmente, e vive la vita ormai come un gioco d'Amore che diventa sempre più grande.
Il guadagno è la mia umanità trasfigurata dai beni del Regno che ho ricevuto. Cioè il dono per gli altri che io stesso sto diventando. Solo in questo modo questi doni mi salveranno e mi permetteranno di godere e prendere parte alla gioia del mio Signore.
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oiziyi9494 · 7 years
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Avevo avuto
Avevo avuto
Ci fu un tempo, rapido e valoroso, come la libellula a tocco d'acqua, lasciando cadere e nascere il suo amore.
Il cielo era così limpido, anche le nostre anime, pure e riempite di una sensibilità sensibile.
Tra di noi non c'erano i secreti; le giornate passavano per gioia, di lacrime, dalla sorpresa appena sentivamo il suono della notifica; correvamo, anche se eravamo tuffati nello studio o stavamo sulla tavola nel mar dei cibi: eravamo così semplici e sinceri.
Facevamo le figure di merda, ma fatti con il motivo, perché volevamo vedere qualcosa su entrambi, quella cosa che emerge solo in noi due guardandosi a vicenda; anzi, sono certo che volevamo che l'altro vedesse se stesso e riderle sempre di più fino all'infinito.
Non avevamo uno scopo, volevamo solamente rimanere uniti, per sempre; dandoci a vicenda un nome, come la nuova nascita di due bambini su questa terra colorata, decorati di vari fiori, tra cui il girasole.
'Il tempo invecchia i visi ma più le anime.'
Non ricordo da quando che non ci scambiamo più una parola. Neanche uno sguardo, come se ci fossero stati prima. So solo in quel giorno, dopo che le mie scuse erano diventate ormai gratuite, non sento più la tua notizia, non sento più le tue accarezze delicate, non sento più il calore del tuo petto, non sento più le tue mani appoggiate sulla mia schiena....non sento più il cuore.
'Con crescere dell'età, imparo che esistono le cose più importanti della vita.'
Guardo fuori dalla finestra, con una mano appoggiato sul vetro, tento a superare la barriera d'acqua che ci sono nei miei occhi, specchiando un viso sconosciuto. Come se il cielo mi compatisce, piange anche lui. Ed è molto simpatico, prova a consolarmi coprendo i miei singhiozzi con le sue, andando sempre più forte di me.
La notte arrivava velocemente. Mi sono svegliato appoggiandomi sul muro, seduto sulla sedia, con la mano ancora attaccata alla finestra: non volevo toglierla. Abituato al gelo, aziono un po' le dita e inizio a muovere in questo nuovo ambiente.
Vedo un bagliore trapassare da una porta, come se mi stesse dando una mano, e comincio a trascinarmi verso quella luce, cercando rispondendola con un sorriso.
Sento le mie palpebre che si picchiano a vicenda, ma sono ancora in coscienza; tengo ben stretto le mani, per non cadermi nell'illusione che il buio crea.
Ma non ho più la forza, così la distanza si accorcia sempre più lentamente, neanche fino all'ultimo momento ho sentito il calore latente di quella luce: era un fiore appassito giallastro, di un nome sconosciuto; ma che appena entra nei miei occhi, come se avesse preso una scossa, rimango immobile e nello stesso momento sul mio viso appare un sorriso come un tempo fu.
'Avevo avuto tutto ciò che non potevo avere ma che dovevo averle.'
E così che in quella notte si inserisce un nuovo membro. O forse, nel sogno, avevo avuto.
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cipensopoi · 7 years
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L’indegna nipote di un sindacalista.
In quasi 10 anni di tentata vita lavorativa, direi che ne ho viste tante. Ho lavorato in nero in due bar, sono stata assunta con agenzie interinali per contratti brevi di cui le ditte non volevano farsi carico, ho avuto contratti a progetto dove nel conteggio orario veniva esclusa anche la pausa pipì, ho ricevuto pagamenti in voucher prestampati, e poco importa se poi mi è stato chiesto di fare in 4 giorni 10 ore in più di quelle pattuite: i voucher eran quelli. Ho lavorato due anni in un’azienda a direzione familiare che mi ha prosciugato l’anima (e anche i chili, va detto), dove scambiare giorni liberi o entrare/uscire mezzora dopo/prima era qualcosa da poter fare solo di nascosto e con l’angoscia; dove le delucidazioni sui mancati pagamenti, da parte del commercialista connivente, erano: “non avete segnato bene le ore, siete delle deficienti, cavoli vostri”, dove ho regalato un centinaio di ore di lavoro, almeno, oltre che benzina, fegato, combattività e fiducia malriposta.
Poi c’è stata la grande azienda, quella che dà tanti diritti e garanzie, quella che tutti mi continuano a nominare come fosse un ottimo ed invidiabile obiettivo cui ambire, quella che ti mette 5 euro in più in busta paga se accetti la flessibilità oraria (e sticazzi non ce lo metti, nella busta paga scritta in comic sans?), che ti fa contratti di 3 mesi poi ciao, poi 2 mesi, poi di nuovo ciao, poi 7 settimane anziché 8 (e devi ringraziare, perché l’han fatto per permetterti di sposarti), poi ciao e via così, da un’estate all’altra. E poi magari smette di chiamarti e tante care cose.
Io sono senza dubbio riconoscente a molte di queste aziende e persone, perché comunque mi hanno sfamata, sollevata moralmente ed economicamente. Per molte delle persone incontrate nutro profonda stima, mi sono venuti incontro, mi hanno insegnato e mi hanno dato tanto.
Poi c’è il negozio in cui lavoro da quasi due anni, dove ricevo uno stipendio regolare e più che onesto (almeno rispetto ai canoni cui sono abituata), dove se faccio ore in più mi vengono pagate o più facilmente fatte recuperare, dove se chiedo un pomeriggio libero per andare ad un concerto me lo danno senza riserve, dove posso fermarmi a mangiare quando ho fame (cosa vietata in due dei posti di lavoro citati precedentemente), ed usare il cellulare quando serve. Dove quando sbaglio mi viene detto senza incutermi terrore e dove non ho mai assistito a scenate nei confronti di altri dipendenti, dove, per quel che vedo/ ne so, è tutto in regola.
Certo, le pecche si trovano sempre: c’è sempre chi sta meglio, c’è sempre a chi è andata meglio e chi si è meritato di meglio (ché alla fine se non ho mille miliardi di vantaggi in più e lavoro durante le feste è per demerito mio, che ho studiato poco e male e non ho trovato la maniera di diventare nobile e svincolata da poteri altrui).
Tutto questo per dire che chi mi compatisce perché la mia datrice di lavoro è cinese, oltre ad essere un razzista di merda, non ha capito una sega.
NB: con questo non intendo santificarla: può benissimo rivelarsi una stronza in un prossimo futuro (o al presente, con altri dipendenti), ma lo è/è stata/sarà in quanto tale o in quanto titolare, non in quanto cinese.
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GESÙ GRADISCE CHI RUMINA SEMPRE LA SUA PASSIONE. (Scrive Luisa:) Trovandomi nel solito mio stato, stavo pensando alla Passione di Nostro Signore; mentre ciò facevo, Gesù è venuto e mi ha detto: “Figlia mia, mi è tanto gradito chi rumina sempre la Mia Passione, ne sente dispiacere e Mi compatisce, poiché Mi sento rinfrancato da tutto ciò che soffrii nel corso della Mia Passione. L’anima, ruminandola sempre, prepara un cibo continuo, nel quale ci sono tanti diversi condimenti e sapori, che formano diversi effetti. Nel corso della Mia Passione Mi diedero funi e catene per legarMi, l’anima Mi scioglie e Mi dà la libertà. Quelli Mi disprezzarono, Mi sputarono e disonorarono, ella Mi apprezza, Mi pulisce da quegli sputi e Mi onora. Quelli Mi spogliarono e Mi flagellarono; ella Mi risana e Mi veste. Quelli Mi coronarono di spine, trattandomi da Re di burla, Mi amareggiarono la bocca di fiele e Mi crocifissero, ella, ruminando tutte le mie pene, Mi corona di gloria, Mi onora per suo Re, Mi riempie la bocca di dolcezza, dandoMi il cibo più squisito quale è la memoria delle Mie stesse Opere, e, schiodandoMi dalla Croce, Mi fa risorgere nel suo cuore. Io le do per ricompensa, ogniqualvolta ella fa ciò, una nuova vita di grazia; perciò, ella è il mio cibo ed Io Mi faccio suo cibo continuo. Ciò che più Mi piace è chi rumina sempre la Mia Passione”. (Vol. 11 - 24 marzo 1913) ******* E’ tanto il compiacimento che ne prova Gesù benedetto dalla meditazione di queste Ore, che vorrebbe che di queste meditazioni vi fosse almeno una copia per ogni città o paese, e si praticassero; allora avverrebbe che in quelle riparazioni Gesù sentirebbe riprodursi la sua stessa voce e le sue preghiere, quali le levava al Padre suo nelle 24 ore della sua dolorosa Passione; e se ciò si facesse almeno in ogni paese o città da alquante anime, Gesù pare che mi faccia intendere che la divina Giustizia rimarrebbe in parte placata, e verrebbero in parte arrestati e come smorzati i suoi flagelli in questi tristi tempi di strazi e di spargimento di sangue. #DivinaVolontà #LuisaPiccarreta #Leoredellapassione https://www.instagram.com/p/Bv2GIZonm5r/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=1e8obzqizxj9q
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LETTERA INVIATA DA LUISA PICCARRETA AL SUO CONFESSORE STRAORDINARIO, SANT’ANNIBALE MARIA DI FRANCIA “Molto Reverendo Padre, Ecco finalmente, le rimetto le Ore scritte della Passione, e tutto a gloria di Nostro Signore. Le accludo pure un altro foglietto in cui si contengono gli affetti, e le belle promesse di Gesù per chi fa queste Ore della Passione. Io credo che se colui che le mediterà è peccatore, si convertirà, se è imperfetto diverrà perfetto, se è santo, si farà più santo, se è tentato troverà la vittoria, se è sofferente troverà in queste Ore la forza, la medicina, il conforto; e se l’anima sua è debole e povera, troverà il cibo spirituale ed uno specchio dove si rimirerà di continuo per abbellirsi e farsi simile a Gesù nostro modello. E’ tanto il compiacimento che ne prova Gesù benedetto dalla meditazione di queste Ore, che vorrebbe che di queste meditazioni vi fosse almeno una copia per ogni città o paese, e si praticassero; allora avverrebbe che in quelle riparazioni Gesù sentirebbe riprodursi la sua stessa voce e le sue preghiere, quali le levava al Padre suo nelle 24 ore della sua dolorosa Passione; e se ciò si facesse almeno in ogni paese o città da alquante anime, Gesù pare che mi faccia intendere che la divina Giustizia rimarrebbe in parte placata, e verrebbero in parte arrestati e come smorzati i suoi flagelli in questi tristi tempi di strazi e di spargimento di sangue. Faccia Lei, Reverendo Padre, appello a tutti: compia così l’operetta che il mio amabile Gesù mi ha fatto fare. Onde le dico pure che lo scopo di queste Ore della Passione, non tanto è di raccontare la storia della Passione, perché molti libri ci sono che trattano questo pietoso argomento, e non sarebbe stato necessario farne un altro; ma lo scopo è la riparazione, unendo assieme i diversi punti della Passione di Nostro Signore con la diversità di tante offese, e insieme a Gesù farne degna riparazione, rifacendoLo quasi di tutto ciò che le creature tutte Gli debbono; e da ciò i diversi modi di riparare; in queste Ore cioè, in alcuni tratti si benedice, in altri si compatisce, in altri si loda, in altri si conforta...#LuisaPiccarreta #DivinaVolontà #Orologiodellapassione https://www.instagram.com/p/BvR-9U2nxsM/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=a57s94nm0vrd
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pangeanews · 5 years
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“L’avversario” è libero. La vera storia di Jean-Claude Romand, l’uomo che per restare fedele alle sue menzogne sterminò la famiglia
Qual è il vero volto di uno spietato assassino? “Quasi tutti gli album della famiglia Romand sono andati distrutti durante l’incendio. Le poche fotografie che si sono salvate assomigliano alle nostre”. L’avversario tornerà libero, a fine giugno. Jean-Claude Romand, il feroce e lucido assassino, parricida, matricida, uxoricida e figlicida – il protagonista bugiardo, doppiogiochista, indimenticabile dell’opera di Emmanuel Carrère, pubblicata in Italia da Adelphi (e dell’omonimo film con Daniel Auteuil) – nel gennaio 1993 aveva ucciso la moglie, i figli e i suoi genitori, poi aveva tentato di suicidarsi. Dopo ventisei anni di reclusione, Romand uscirà dal carcere. Annunciano la notizia al Tg1, scorrono sullo schermo, rapidamente, le immagini della tragica pagina di cronaca nera, la faccia pallida dell’impostore, gli occhiali dalla vecchia montatura e gli occhi chiari, la casa mezza bruciata, inevitabile il cortocircuito tra cronaca e letteratura. Era l’alba di lunedì 11 gennaio 1993, i pompieri chiamati a spegnere l’incendio divampato nella casa di Prevessin-Moëns, vicino alla Svizzera, si trovano davanti i corpi mezzi carbonizzati di una donna, Florence Cloret e di due bambini, Caroline, 7 anni, e Antoine, di cinque anni: la moglie e i figli di Jean-Claude Romand. Aveva ucciso anche il cane. Lui, moderna e revisionista trasposizione di dottor Jekyll e Mr Hyde, era gravemente ustionato e suicida fallito: aveva ingerito barbiturici. La verità inizia, lentamente, inesorabile a venire a galla. A fuoco più che la casa, era andata una articolata cattedrale francese di menzogne.
*
“La tesi dell’incidente resse solo poche ore – scrive Carrère – La donna era stata ammazzata dal colpo di un corpo contundente, i bambini uccisi a fucilate, e la loro morte risaliva a quasi due giorni prima”. Uno zio dell’assassino si reca nel Giura, nel borgo di Clairvaux-les-Lacs, per dare la tremenda notizia ai genitori dell’uomo, ma li trova morti, a colpi di fucile. Cinque delitti per una doppia vita, scrive Carrère. Insomma, Jean-Claude Romand aveva fatto a pezzi, con un mattarello e il fucile, la sua famiglia modello perché ormai stava affondando nelle sue stesse ventennali menzogne che stavano per essere smascherate. Come cancellare la lavagna, o strappare i fogli dal quaderno, Romand fa a pezzi la sua vita familiare. Il suo ergastolo – era stato condannato nel 1996 – si è tradotto, dopo ventisei anni, in libertà. Dovrà indossare il braccialetto elettronico, in un monastero. “Ha ingannato e continua a ingannare tutti”, dice il cognato Emmanuel Crolet. Ma fino a dove può arrivare la finzione? In questo caso, la creazione letteraria, del celebre scrittore francese, ha fatto di lui un personaggio narrativo, il protagonista e l’artefice di una tragedia. Ma la finzione-regina non è tanto la sua doppia vita amorosa – il corredo di amante, Corinne/Chantal, che aveva passato con lui la sera di sabato a Parigi (“l’aveva raggiunta per portarla a cena dal suo amico Bernard Kouchner, a Fontainebleau. Appena qualche ora prima, stando all’autopsia, aveva fatto fuori moglie, figli e genitori, cosa che naturalmente lei non poteva immaginare. In un angolo isolato del bosco aveva tentato di farla fuori come gli altri. Lei si era difesa, lui aveva desistito”) – quanto, quella lavorativa. Il falso medico con il finto impiego all’OMS. “Romand aveva quasi trentanove anni, ma ne dimostrava un po’ di più; un uomo calmo, posato, colto; uno specialista in arteriosclerosi, che lavorava a Ginevra come ricercatore per l’Organizzazione Mondiale della Sanità”. La sua preparazione, nel settore, era solida, approfondita. Un medico immaginario, però. Costruire, ma, soprattutto, tener fede ad una menzogna importante, una vera palla colossale, richiede una preparazione altrettanto tecnica e considerevole. “Prima di appiccare l’incendio aveva scarabocchiato sul retro di una busta ritrovata dalla polizia nella sua auto un messaggio piuttosto confuso in cui parlava di una «ingiustizia» e di un «banale incidente» che possono «spingere un uomo alla follia»”. Già. Ma cosa spinge un uomo affettuoso, un padre molto amato, colto, premuroso ma senza titoli e senza impiego, sull’orlo, anzi fin giù nel baratro della follia? Cosa conduce a mentire così spudoratamente a se stessi e agli altri per così lungo tempo?
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Figlio unico di una coppia di amministratori forestali del Giura, aveva intrapreso una storia “fervida e casta” con la lontana cugina Florence, che poi sposerà, come lui iscritta alla facoltà di Medicina. Sembrava una vita come tante. Era una vita come tante. Quello che accade nel settembre 1975, forse, è l’incipit della sua seconda vita: “Romand non ha passato gli esami di giugno, è stato rimandato alla sessione di settembre, ma gli mancano soltanto tre punti per essere ammesso al terzo anno. È allora che cade dalle scale. Frattura del polso. Atto mancato o no, chi potrà mai saperlo? Fatto sta che Romand non si presenta all’esame”. Sembra iniziare così il tortuoso percorso di alterazione, manomissione seriale della verità. Escono i risultati, passa gli esami, conclude brillantemente gli studi, trova un posto di ricercatore all’OMS, con un valido stipendio. Per finta. I suoi capi, puntualmente, fanno i regali ai suoi figli, la moglie scrive loro lettere di ringraziamento. Lui che va all’estero per i convegni e ritorna con i regali per i figli, presi all’aeroporto. Inevitabile, di fronte alla rovinosa caduta del sipario, davanti alla nuda, dolorosa verità, una semplice, banalissima domanda: “Si chiedevano tutti la stessa cosa: come abbiamo fatto a vivere così a lungo accanto a quest’uomo senza sospettare nulla? E tutti cercavano nella memoria il ricordo di un momento in cui erano stati sfiorati dal sospetto, o da qualcosa che avrebbe potuto suscitarlo”. La verità non può che tormentare, torturare un uomo che scrive tutta la sua vita su un taccuino di pura invenzione. La prova di filosofia che aveva svolto alla maturità: “che cos’è la verità?”. Il lavoro che fingeva di svolgere all’OMS era ben pagato, era quindi normale fidarsi di lui, che si occupava quindi di investire il denaro di amici e parenti in Svizzera, tenerlo al sicuro. Quello stesso denaro veniva “reinvestito” dal bugiardo seriale per provvedere a sé e alla sua famiglia. Ma l’amante Corinne/Chantal vuole indietro il denaro, intende acquistare un nuovo studio a Parigi. Il nodo della menzogna si stringe intorno al suo collo, è un cappio. “Un vicolo cieco”. E non si può più tornare indietro.
*
Dopo le festività natalizie, acquista i proiettili, i barbiturici, le taniche di benzina. Non vuole che i suoi scoprano quello che è veramente. Cioè che non è quello che è sempre stato, ai loro occhi. Guarda la moglie addormentata, dopo “un momento di vuoto”, lei ha il cranio sfondato con un mattarello, è morta. I figli sono già svegli e stanno guardando la videocassetta dei Tre porcellini. Le loro carni sono tenere, l’amato papà inventa un gioco per ammazzarli con il fucile. Poi copre la piccola Caroline (è lei colpita a morte, per prima) con un piumone, la testa sotto il cuscino. Rimbocca le coperte. Prima di uccidere i suoi figli, se li coccola un po’. Esce a comprare due giornali. Poi parte per Clairvaux, va ad uccidere i suoi genitori. Pranza con loro, attira il padre nella sua vecchia camera per controllare un condotto di areazione, che mandava un cattivo odore. La carabina che aveva in mano l’avevano comprata insieme nel giorno del sedicesimo compleanno. Una volta freddato con il silenziatore, ha avvolto il corpo del vecchio padre nel copriletto di velluto a coste, color vinaccia, che usava da bambino. Poi è andato a prendere sua madre, l’ha portata nel salottino, si è girata anzitempo, ha avuto il tempo forse di chiedere “Jean-Claude, che mi sta succedendo?” oppure “Che ti sta succedendo?” prima di essere uccisa. Cadendo, ha perso la dentiera e suo figlio, amorevolemente, l’ha rimessa a posto, prima di avvolgerla in un copriletto verde. E fa fuori pure il labrador, teneva la sua foto nel portafoglio. Guida, “con una certa imprudenza, contrariamente alle sue abitudini” fino a Parigi, cerca di uccidere la sua amante, con una bomboletta lacrimogena, non ci riesce. Torna a casa, il salotto un po’ in disordine, Jean-Claude inserisce nel videoregistratore una cassetta che registra vari frammenti di trasmissioni televisive, si dedica allo zapping. Telefona nove volte all’amante, verso sera. Alla decima, lei risponde, lo compatisce, non chiamerà la polizia. Cosparge la soffitta, i bambini, di benzina. Si mette il pigiama, si prepara a dormire/morire. Non trova i barbiturici, ma si prende un flacone di Nembutal, che aveva comprato per alleviare l’agonia di uno dei cani. Verso le quattro, appicca il fuoco, iniziando dalla soffitta. Si stende accanto alla moglie Florence, sembra addormentata sotto il piumone. Sembrano tutti addormentati, quella notte. Quando si alzano le fiamme, trovano la strada, escono dal tetto, viste dai netturbini, durante il giro mattutino. E bussano alla porta.
Linda Terziroli
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“Figlia mia, ogniqualvolta l’anima pensa alla Mia Passione, si ricorda di ciò che ho sof- ferto, mi compatisce, si rinnova in lei l’afflizione delle mie pene, il Mio Sangue sorge per inon- darla, le mie piaghe si mettono in via per sanarla se è piagata, o per abbellirla se è sana, e tutti i miei meriti per arricchirla. Il traffico che fa è sorprendente: è come se mettesse al banco tutto ciò che feci e soffrii, e ne riscuotesse il doppio. Perciò tutto quello che feci e soffrii sta in continuo atto di darsi all’uomo, come il sole sta in continuo atto di dar luce e calore alla terra; il mio operato non è soggetto ad esaurimento. Solo che l’anima lo voglia e quante volte lo vuole, riceve il frutto della Mia Vita. Sicché, se si ricorda venti, cento, mille volte, della Mia Passione, tante volte di più gode gli effetti di Essa. Ma quanto pochi sono quelli che ne fanno tesoro! Con tutto il bene della Mia Passione, si vedono anime deboli, cieche, sorde, mute, zoppe, cadaveri viventi che fanno schifo. Perché? Perché la Mia Passione è messa in oblio; le mie pene, le mie piaghe, il mio Sangue, sono for- tezze che tolgono le debolezze; sono luce che danno vista ai ciechi; sono lingua che scioglie le lingue ed apre l’udito; sono via che raddrizza gli zoppi; sono vita che fa risorgere i morti. Tutti i rimedi che ci vogliono per l’umanità, nella mia Vita e Passione ci sono, ma le creature di- sprezzano la medicina e non si curano dei rimedi, e perciò si vede che con tutta la Mia Re- denzione, lo stato dell’uomo perisce, come affetto da una tisi incurabile. E quello che più Mi addolora è vedere persone religiose che si affaticano per fare acqui- sto di dottrine, di speculazioni, di storie e, della Mia Passione: nulla! Sicché la Mia Passione molte volte è sbandita dalle Chiese, dalle bocche dei Sacerdoti: il loro parlare è senza Luce e i popoli restano più digiuni di prima”. #Leoredellapassione #LuisaPiccarreta #DivinaVolontà https://www.instagram.com/p/Bquixd0nXsF/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=7c6x30xsj72p
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🌼“Gli portarono un sordomuto…” (Mc 7, 32)🌼 dagli scritti della Serva di Dio Luisa Piccarreta – vol. 13; Ottobre 21, 1921 - “Figlia mia, ogniqualvolta l’anima pensa alla mia passione, si ricorda di ciò che ho sofferto o mi compatisce, si rinnova in lei l’applicazione delle mie pene, il mio sangue sorge per inondarla e le mie piaghe si mettono in via per sanarla se è piagata o per abbellirla se è sana, e tutti i miei meriti per arricchirla. Il traffico che [l’anima] fa è sorprendente, è come se mettesse al banco tutto ciò che feci e soffrii, e ne riscuote il doppio, perché tutto ciò che feci e soffrii sta in continuo atto di darsi all’uomo, come il sole sta in continuo atto di dar luce e calore alla terra. Il mio operato non è soggetto ad esaurimento; solo che l’anima lo voglia, e quante volte lo vuole, riceve il frutto della mia vita. Sicché se si ricorda venti, cento, mille volte della mia passione, tante volte di più godrà gli effetti di essa; ma quanto sono pochi quelli che ne fanno tesoro! Con tutto il bene della mia passione si veggono anime deboli, cieche, sorde, mute, zoppe, cadaveri viventi che fanno schifo, perché la mia passione è messa in oblio. Le mie pene, le mie piaghe, il mio sangue, sono fortezza che toglie le debolezze, luce che dà vista ai ciechi, lingua che scioglie le lingue ed apre l’udito, via che raddrizza gli zoppi, vita che risorge i cadaveri. Tutti i rimedi che ci vogliono a tutta l’umanità, nella mia vita e passione ci sono; ma la creatura disprezza la medicina e non si cura dei rimedi, e perciò si vede che con tutta la mia redenzione lo stato dell’uomo perisce come affetto da una tisi incurabile. Ma quello che più mi addolora è vedere persone religiose che si affaticano per fare acquisto di dottrine, di speculazioni, di storie, e della mia passione nulla. Sicché la mia passione molte volte è sbandita dalle chiese, dalla bocca dei sacerdoti; sicché il loro parlare è senza luce ed i popoli restano più digiuni di prima.” #DivinaVolontà #LuisaPiccarreta https://www.instagram.com/p/BnftLvQApUl/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=1g4gdt4gt5lh1
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