Ho sentito il disincanto apparire sul mio volto, un sorriso impalpabile. Non ce ne accorgiamo spesso, ma il corpo sa prima di noi e non fatica a dire. Bocca e guance si sono mobilitate senza sforzo, fuori dal mio controllo, come una lieve corrente. Le fattezze hanno preso la forma dell’abbandono, di fronte a ciò che non può essere cambiato.
Un attimo dopo la mente è intervenuta a ricomporle, nascondendo, riscrivendo. Le piace attendere e le piace imbrogliarsi, al rischio che sia per sempre.
“Implori d’essere trovata e poi lo fai senza voce, senza occhi, senza mani”, l’ha subito rimproverata il corpo.
Trascuriamo ciò che esiste qui e ora per sopravvivere solo in ciò che non si vede. E il sorriso che ci salva - aprendo un varco tra ciò che è e ciò che, semplicemente, non è - finisce sotto la sabbia. Fa male riconoscerlo, ma è lì per indicarci la via.
Scambiamo il riflesso per l’oggetto, la fissazione per il sentimento, la sovrastruttura per il nucleo.
“Mi hai stancato - ha proseguito il corpo - così tanto che ti sottrarrò la parola, e sarai tanto stanca da non poterti nemmeno raccontare. Non esisterai, perché tu esisti solo perché io esisto”.
Cosi nella mente è sceso il silenzio, simile a quello che si posa sul mare prima della tempesta. Si faranno scure le nuvole, arriveranno il vento e i fulmini e, con essi, le onde. Saranno assordanti ed elettriche. E restituiranno alla luce ciò che ora giace nascosto. È il corpo a volerlo.