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edcounsellinguk · 3 years
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paoloxl · 4 years
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A Verona, neofascisti uccidono Nicola Tommasoli.
Forse la sua colpa fu quella di avere il codino o forse rispose con fare seccato alla richiesta di una sigaretta ma certamente il suo omicidio maturò nell’humus fascio-alcolico che spesso la sera trabocca nelle strade e nelle piazze della “città dell’amore”. Cinque ragazzi, tutti molto giovani, in giro per i vicoli del centro, ne incontrarono altri tre, un po’ più anziani e probabilmente “non conformi”. La richiesta di una sigaretta, negata, e poi quattro urla, uno spintone, schiaffi e pugni. Una violenza che ebbe conseguenze pesantissime. Nicola Tommasoli, 29 anni, di professione grafico, uno dei tre aggrediti, morì dopo cinque giorni di coma.
I cinque, quella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio 2008, fuggirono tutti, lasciando Nicola a terra.
La città si svegliò attonita, interrogandosi sui propri figli ma ci fu anche chi non si stupì, perché dal 2001 quello era “soltanto” il quindicesimo episodio di violenza, contando solo i fatti più gravi, compiuto da gruppi od esponenti del mix esplosivo ultras Hellas-destra radicale.
Particolarmente originale il commento sull’accaduto del sindaco Flavio Tosi, intervistato da Giuseppe Salvaggiulo per “La Stampa” (3 maggio 2008): “Non fa storia, capita una volta su un milione”. Una frase evocata ancora oggi, che offende la memoria della città.Il 4 maggio Raffaele Dalle Donne, 19 anni, di San Giovanni Lupatoto, studente del liceo classico Maffei ed ex attivista di Blocco Studentesco, propaggine di CasaPound, si costituisce e finisce in carcere con l’accusa di “lesioni gravissime”. Il Dalle Donne è già noto alle forze dell’ordine, in quanto colpito dal Daspo, il provvedimento che allontana gli ultras violenti dagli stadi e implicato nelle indagini della Procura veronese su un gruppo di 17 giovani ritenuti responsabili di vari pestaggi avvenuti tra il 2006 e il 2007, per i quali si ipotizza il reato di “associazione a delinquere con l’aggravante della Legge Mancino”. La Digos comunica anche di aver individuato altri due del gruppo aggressore, che però sarebbero fuggiti in Austria.
Lo stesso giorno, il solerte sindaco Flavio Tosi, che meno di cinque mesi prima aveva sfilato con Piero Puschiavo ed altri simpatici elementi in un corteo neonazista con codazzo di pestaggio ai danni di tre militari “terroni”, dichiara che “Verona non è una città fascista né neofascista, la matrice politica non c’entra” e chiede “pene severe” per i colpevoli (L’Arena, 5 maggio 2008). Non contento, in un’intervista al Corriere della Sera, anche questa pubblicata il 5 maggio 2008, alla domanda della giornalista: “Sindaco Tosi si dice che siano suoi elettori i ragazzi che hanno aggredito Nicola. Gente dell’estrema destra …”, il primo cittadino risponde: “Mi viene da ridere. Pensi che nella nostra coalizione abbiamo bandito tutto ciò che ha a che fare con l’estrema destra, a cominciare dai simboli. Ci sono milioni di persone che ci hanno votato. Può anche darsi che qualcuno sia un criminale …” (vedi il capitolo sulla Lista Tosi). Dal canto suo l’avvocato di estrema destra Roberto Bussinello, che ha assunto la difesa di Dalle Donne, fa una sviolinata sul dramma in cui – sostiene – “ci sono solo vittime …, il giovane disegnatore in coma, i suoi genitori e i genitori di questi ragazzi” (L’Arena, 5 maggio 2008), un assaggio di quella che sarà la sua linea di difesa in tribunale al processo per l’omicidio di Nicola.
Alle 18 del 5 maggio 2008 Nicola Tommasoli viene dichiarato morto. L’accusa di “lesioni gravissime” si trasforma per Raffaele Dalle Donne in quella di omicidio. E non solo per lui. Nella notte tra il 4 e il 5 maggio la Digos preleva dalle loro abitazioni altri due giovani implicati nell’aggressione, ambedue di Illasi: Gugliemo Corsi, 19 anni, operaio, tifoso dell’Hellas e fondatore di un gruppo di supporter, e Andrea Vesentini, 20 anni, promotore finanziario, del tutto sconosciuto sia nell’ambiente calcistico che politico. Il dirigente della Digos Luciano Iaccarino comunica che i due giovani fuggiti all’estero sono stati individuati, volti e nomi noti per la loro militanza in gruppi di estrema destra e nella tifoseria ultras, i loro soprannomi sono “Peri” e “Tarabuio”. Uno dei due, come Dalle Donne, è nella lista dei 17 indagati e perquisiti dalla Procura per le violenze 2006/2007. Iniziano le prime ricostruzioni dell’accaduto, la serata al bar Malta e poi in giro per il centro fino all’incontro con Nicola e i suoi amici a Porta Leoni: “Codino, dame na sigareta”, il rifiuto, le parole, gli spintoni, l’intervento degli altri, Nicola a terra, la fuga. E le reazioni dei cinque, il silenzio di Vesentini e Corsi, apparsi “strani” ai genitori, il tentativo di fuga di Dalle Donne, fermato dal padre e convinto a presentarsi in questura, gli altri due che spariscono. Notti insonni per la polizia e per il magistrato Francesco Rombaldoni. Nella notte tra il 5 e il 6 maggio i due ricercati, che erano fuggiti a Londra, tornano in Italia. Sono Federico Perini, “Peri”, 20 anni, di Boscochiesanuova, e Nicolò Veneri, “Tarabuio”, 19 anni, già indagato nella lista dei 17; ambedue sono ultras dell’Hellas, colpiti da Daspo. Perini è stato candidato di Forza Nuova alle ultime amministrative per la seconda e l’ottava Circoscrizione.
Sui media locali i commenti si sprecano, dai paesani dei giovani in carcere, compresi sindaci e parroci, a sacerdoti, capi scout, psicologi, pedagogisti, educatori, scolastici e non, e, ovviamente, politici di ogni ordine e grado. L’emergenza “educativa” e la “crisi dei valori” diventano pane quotidiano, qualcuno si azzarda anche a nominare gli ultras e a criticare l’ex ministro Castelli (Lega Nord) che, in una trasmissione radiofonica andata in onda il 5 maggio ha stigmatizzato l’accaduto come “statisticamente irrilevante”. Ma il più divertente, seppur nella tragedia, resta il presidente della Provincia ed ex rettore della locale università Elio Mosele, il quale afferma (L’Arena, 6 maggio 2008) che quanto successo dipende dal venir meno della “figura materna, intesa come principio di organizzazione familiare e certezza relazionale”. Intanto, sul luogo dell’aggressione, uomini e donne, giovani e anziani, portano fiori, lasciano biglietti e poesie, si fermano in raccoglimento. La città è presa d’assalto dai media nazionali e non, al presidio antifascista che si svolge nel pomeriggio del 6 maggio partecipano centinaia di persone come centinaia sono le lettere di cittadini e cittadine alla rubrica del quotidiano locale “L’Arena di Verona”. L’assedio dei media, in particolare l’attenzione sulle frequentazioni e alleanze politiche del primo cittadino, produce strani effetti persino sul quotidiano storico dei veronesi, da sempre schierato dalla parte dei “potentati” cittadini. Stavolta neanche “L’Arena” può esimersi dal pubblicare notizie e interviste che smentiscono le dichiarazioni di chi intende minimizzare l’accaduto o escludere la matrice politica.
Il 7 maggio il quotidiano dedica nove pagine al delitto Tommasoli, dieci con quella delle “Lettere”. A p. 7 troviamo la notizia della seduta straordinaria del Consiglio comunale e della manifestazione silenziosa previste per il giorno successivo, con la richiesta al sindaco del presidente dell’assemblea Pieralfonso Fratta Pasini (Fi) di proclamare il lutto cittadino nel giorno dei funerali di Nicola Tommasoli. Il Fratta Pasini, collega di partito delll’ex sindaca Michela Sironi (2 mandati, 1994-1998 e 1998-2002), la prima a sdoganare i fascisti nelle istituzioni comunali, ci tiene a far sapere di voler mantenere “il profilo istituzionale di questo Consiglio straordinario, non entrando nel merito delle polemiche politiche …”. Polemiche peraltro già in atto, visto che il capogruppo dei Comunisti italiani, Graziano Perini, si è rifiutato di sottoscrivere il documento comune contro la violenza firmato da tutti i consiglieri comunali. Non bastasse, a p. 10 c’è un’intervista con un ragazzo massacrato dai fascistelli un anno prima in centro storico, che denuncia come i suoi aggressori siano ancora in giro “da un bar all’altro in cerca di risse”, tanto che lo stesso giornalista è costretto a rintuzzare il commento del sindaco Tosi sull’aggressione a Tommasoli “è un caso isolato”, ricordando le decine di pestaggi avvenuti in città nell’ultimo anno e mezzo e l’allarmante rapporto del Viminale (marzo 2007) sull’estremismo politico a Verona, in cui veniva scritto chiaro e tondo che i gruppi dell’ultradestra avevano intensificato le iniziative di impronta razzista.
Il procuratore Guido Papalìa, che aveva già parlato di una “nuova area dell’estrema destra disomogenea che si è aggregata spontaneamente” (L’Arena, 5 maggio 2008), rincara la dose parlando di “matrice nazifascista” del delitto; secondo il magistrato, passato alla storia della città non solo per aver condotto tante scomode inchieste ma anche per essere stato prematuramente “sepolto” in una aiuola di piazza Bra durante la manifestazione che la Lega organizzò nel 2005 proprio per “difendere” i suoi militanti accusati di violazione della legge Mancino in relazione alla campagna del 2001 “contro gli zingari”, dall’ideologia nazifascista questi ragazzi hanno preso “la caratteristica razzista, nel senso che si è voluto colpire il diverso. Ma non solo il diverso per razza, bensì il diverso perché si comporta in modo diverso, la pensa diversamente, perché ha un atteggiamento diverso, si veste in modo diverso e secondo questa ideologia non può convivere nel centro storico della mia città. Sono scuse per colpire chi non è omologabile a me”. Chi ha orecchie per intendere intenda. Non è il caso di un certo numero di esponenti politici, dai prudentissimi Pd che fanno sapere di non voler strumentalizzare politicamente la vicenda ma invitano il sindaco Tosi a “smarcarsi definitivamente da certe forze” (Stefania Sartori, capogruppo Pd in consiglio comunale) allo stesso Tosi, che, oltre a prendersela con Perini, reo di “strumentalizzazione politica”, si produce a p. 15 in un’imbarazzante intervista. Prima invoca per le persone coinvolte nel pestaggio “una condanna durissima e pesantissima”, poi, quando gli viene ricordato (durante la trasmissione radio “Unomattina”) che i giovani fermati sono indicati come vicini alla destra più estrema, ricorda che lo stesso procuratore capo (!) ha detto che non facevano parte di un partito organizzato, sono dei disgraziati, tra l’altro non sono neanche di Verona, ma della provincia”. Dopo essersela presa con Paolo Ferrero (Prc, ministro uscente) per “l’uso fatto del tragico e brutale assassinio di Nicola Tommasoli” dichiara che tale uso “assomiglia molto alla richiesta della sigaretta fatta dal branco alla povera vittima: un puro pretesto per massacrare mediaticamente la città”. E poi avanti tutta con il “caso Marsiglia”, il professore di origine ebraica che denunciò falsamente di essere stato picchiato, mettendo la città sotto una luce ingiustamente negativa, il “disagio giovanile e l’emergenza educativa” e, infine, la replica al consigliere regionale Franco Bonfante (Pd), reo di ricordare la visita fatta da Tosi nel 2005, insieme ad Andrea Miglioranzi e Federico Bricolo, ad altri cinque giovani di estrema destra, in carcere in attesa di giudizio per il pestaggio e l’accoltellamento di Volto san Luca (2005, vedi Cronologia). Da questo momento in poi la posizione del sindaco Tosi e dei suoi sodali resterà inalterata. Verona e la sua fama di “città dell’amore” va difesa a tutti i costi e nonostante qualsiasi evidenza. Quindi nonostante la costituzione di parte civile del Comune di Verona al processo Tommasoli e la richiesta di 150mila euro di risarcimento per i danni patiti dall’immagine della città (il tribunale fisserà la cifra a 50mila euro), nonostante il successivo pestaggio di Francesca Ambrosi da parte dei soliti “disgraziati” della Curva, nonostante i raid in Veronetta di Marcello Ruffo (CasaPound e Lista Tosi) , nonostante l’approvazione in consiglio comunale di ordini del giorno ributtanti come quello proposto da Zelger sul “numero verde” per denunciare chi parla di “gender” nelle scuole.
Nonostante tutto Flavio Tosi, convenientemente aggiustato dal suo addetto stampa, partecipa a miriadi di talk-show sulle tv nazionali, dove fa la parte del gigione di famiglia, tanto amante del calcio ma in fondo dotato del tipico buonsenso della casalinga veneta. Del resto, non è il solo. La città ha dimenticato, la città dimentica in fretta.
Ma c’è ancora chi la memoria la coltiva, e sono gli estremisti tanto invisi a Tosi e ai suoi, quelli che Vittorio Di Dio vorrebbe fossero “sistemati” per la strada, gli unici che tutti gli anni, da quel 30 aprile 2008, organizzano manifestazioni, presidi, spettacoli teatrali (tra i tanti ricordiamo “Verona caput fasci” scritto e interpretato da Elio Germano ed Elena Vanni), reading, invitano madri di altri ragazzi uccisi dalla violenza di destra, intellettuali, esponenti politici, musicisti per ricordare Nicola.
Nicola, poteva essere qualsiasi di noi.
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levysoft · 5 years
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A CINQUECENTO anni dalla morte di Leonardo Da Vinci, oltre alle invenzioni del genio toscano, sono i misteri nascosti dietro la sua opera più famosa, la Gioconda, ad aver stimolato nei secoli storici dell’arte, scienziati, psicologi, filosofi, scrittori, registi. Teorie, studi, esperimenti, ricerche d’archivio (e qualche bufala, va detto) alimentano l’enigma del quadro conservato al Louvre in cui è ritratta Lisa Gherardini, “Monna Lisa”. Ma che si tratti della moglie di Francesco del Giocondo, perfino su questo, non c’è l’assoluta certezza.
Tra i dettagli che più affascinano, oltre all’ormai celebre "Monna Lisa Effect", lo sguardo ipnotico che colpisce i visitatori che giungono a migliaia ogni giorno a Parigi per guardare l’opera dal vivo, c’è il sorriso della donna. Uno studio dell’Università di Friburgo aveva di recente stabilito che quella della Gioconda fosse un’espressione di felicità. Secondo un’analisi di tre neuroscienziati italiani, pubblicata sulla rivista Cortex, però, si tratterebbe di un sorriso “finto”, forzato, non spontaneo.
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Nel loro lavoro Lucia Ricciardi della St. George University di Londra, Luca Marsili della University of Cincinnati e Matteo Bologna della Sapienza di Roma hanno applicato i principi della neuroscienza partendo dalla “scomposizione” della bocca della Monna Lisa. Sono state realizzate due foto chimeriche: nella prima la parte sinistra della bocca con il corrispettivo emivolto, nella seconda lo stesso procedimento è stato seguito per il lato destro.L'esperimentoMesse di fronte a 42 persone, tutte hanno concordato che la parte sinistra fosse più espressiva e felice, mentre la destra è stata descritta come “seria”, “disgustata” e “triste”. Da un confronto si vede che il sorriso della Monna Lisa sia asimmetrico. Secondo alcuni studiosi si sarebbe trattato di una paresi del soggetto dipinto, per altri la conseguenza di un dente mancante.
Ma i tre ricercatori italiani optano per la volontarietà dell’artista di Vinci nell’inserire un altro aspetto enigmatico. “Con la tecnica pittorica dello sfumato Leonardo, nella parte sinistra, ha alzato leggermente il labbro della donna, quasi a voler dipingere un ghigno. La neuroscienza – spiega Ricciardi – ha dimostrato come i sorrisi spontanei siano simmetrici, mentre quelli forzati no. Restando pur sempre nel campo delle ipotesi, pensiamo che Leonardo, grande conoscitore del corpo umano, sapesse che ridendo l’incurvatura delle labbra e le pieghe vicino agli occhi fossero simmetriche, prima ancora della teorizzazione di Duchenne nell’Ottocento”.
Non va dimenticato che un soggetto in posa per molte ore tiene un’espressione forzata, ma i risultati di questo studio portano i neuroscienziati a pensare che Leonardo abbia aggiunto questo particolare innaturale di proposito per comunicare qualcosa. “Cercando delle risposte abbiamo aggiunto un’altra domanda al mistero – conclude Ricciardi – ma pensiamo che quella espressione abbia un significato preciso e non sia frutto solo di un’imperfezione fisica”. Un nuovo enigma si va ad aggiungere alla Gioconda, secoli e secoli dopo la scomparsa del genio che la dipinse.Chi è la Gioconda?
Molti documenti ritrovati, testimonianze dirette e indirette e tanti studi concordano che la Gioconda sia Lisa Gherardini, moglie di Francesco di Giocondo. Secondo alcuni studiosi potrebbe trattarsi invece di Caterina Sforza. Altri sono convinti che si tratti di Isabella d’Aragona e c’è chi pensa perfino che sia la madre del pittore, Caterina Buti del Vacca. Nel dipinto, c’è addirittura chi ritiene che ci sia più di una Gioconda: secondo lo scienziato francese Pascal Cotte sotto il dipinto ci sarebbe il disegno di un’altra donna. Lo sfondoSi è ancora alla ricerca di prove che dicano dove sia stata dipinta la Gioconda, in quale parte d’Italia si trovi il paesaggio alle sue spalle. Tra le ipotesi più accreditate c’è la zona di zona di Ponte a Buriano, in provincia di Arezzo. Ma secondo uno studio recente molti elementi sarebbero riconducibili alla valle di Bobbio.
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edoardozolloitalian · 1 month
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edoardozolloitalian · 2 months
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edoardozolloitalian · 2 months
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