Tumgik
#scrittura seriale quello che è
omarfor-orchestra · 2 years
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no, è che assomiglia a lost come temi ecc ma non è un remake
No ma infatti hai ragione anon, mi son ricordata ora che è stata ideata da 4 ragazzə che hanno fatto il master di sceneggiatura di fiction a Perugia organizzato dalla Rai, quindi è nuova
Ho anche i nomi aspè
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gcorvetti · 1 year
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I sogni son desideri?
Questa mattina ho aperto gli occhi troppo presto, il piccolo orologio che sta sul mobile segnava le 7 e qualcosa, li richiudo e m'addormento istantaneamente e parte il sogno, che non ricordo nella sua totalità ma ho qualche flash, peccato perché nel sogno scrivevo una poesia bellissima e mi veniva in mente un buon'oggetto per la scrittura mattutina, mannaggia, quello che ricordo è inutile o di poca importanza. C'erano i gatti, il giardino senza neve, la musica che non manca mai nei miei sogni e quella voglia infinita di creare che ho, che però è minata dalle cose che devo fare per forza giornalmente e che mi portano via tempo, sono anche un procrastinatore seriale oppure lo sono diventato in questi anni vista la situazione in questo posto ai confini del mondo dove nulla è permesso se non sei del posto e dove la cultura è un vaso con poche cose sul fondo.
Ma come dice DrSpock "pensa positivo e tutto cambierà", ci provo ogni giorno, penso ai mille modi che ho di uscire fuori da questo loop e quando sto per fare qualcosa di interessante arriva il momento di fare qualcosa che è di vitale importanza come cucinare o dare una pulita, perché sono io il casalingo disperato, da quando non lavoro mi devo occupare delle cose della casa, raramente le fa lei visto che deve lavorare, ancora più raro è quando le fa mia figlia; ho provato a darmi una sorta di routine settimanale e giornaliera dove incastrare le cose, non funziona almeno non con me. Nel corso di marketing che ho fatto il primo capitolo riguardava la cura di se stessi e dell'ambiente che mi circonda con tanto di tabella in exel che ti aiuta a mantenere tutto in ordine, ma non ci riesco, la vita è caos, è dionisiaca, irregolare, caotica, oggi fai tutto bene come si deve, domani non riesci neanche a farti un caffè (che non bevo più).
Mi ripeto sempre :"Devo iniziare a registrare almeno i brani che ho pronti e poi si vede, finiti, mi faccio un bandcamp e riprendo l'attività musicale in qualche modo, non importa se vado dal vivo basta iniziare", ma sono sempre bloccato nel riquadro degli impegni e le giornate passano, si lo so, sono in una sorta di depressione e vedo tutto nero, ma come si può andare oltre se tutto attorno è vuoto, se la mediocrità di un mondo che vive oramai online e che non ha niente a che vedere con la sostanza ma solo con l'apparenza. Fare fare fare e smettere di pensare, dovrebbe essere il mio motto, farò qualcosa a riguardo.
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veronica-nardi · 4 years
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Tell me what you saw Commento
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Questa è stata la prima serie asiatica puramente thriller che ho visto, e sotto questo punto di vista non mi ha delusa: per sedici episodi sono rimasta incollata davanti allo schermo, a volte ho avuto paura, altre volte ho addirittura pianto.
La serie intrattiene molto bene lo spettatore, la trama è intrigante e il ritmo scorrevolissimo.
Ma come ho detto ieri a @dilebe06, Tell me what you saw è un buon thriller, ma non una buona serie.
I problemi sono diversi:
- La logica. A quanto pare gli sceneggiatori hanno pensato che fosse un opzional e hanno deciso di dimenticarla a casa.
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- Il livello di assurdità. In questa serie accadono cose talmente assurde che in confronto un film di fantascienza è più credibile.
- Il buio. La fotografia a volte è davvero buia, ma il problema è che guarda caso la luce smette di esistere proprio nei momenti di maggior pathos, quando magari l'assassino sta inseguendo la sua vittima. Al che si vede che è fatto apposta per inquietare lo spettatore.
- il super serial killer della serie. Questo villain non mi è piaciuto. È solo un tizio completamente pazzo che si diverte a giocare con le sue vittime. Diventa assassino già in giovanissima età, compie infatti il suo primo assassinio da bambino, e quando ti chiedi il perché, come sia possibile una cosa del genere, la serie ti risponde che devi provare tristezza per lui perché essere un killer è nella sua natura, non può farci niente.
EDIT: ok, siccome sono scema mi ero dimenticata di un pezzo importante: quando la protagonista smentisce questa concezione affermando che a un certo punto entra in gioco la volontà, facendo quindi passare il messaggio che sì, ognuno di noi ha della cattiveria nell'animo, ma poi sta a noi decidere che cosa farne. È una nostra responsabilità.
Grazie @dilebe06
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- L'over power di Oh Hyun-jae. Il protagonista di questa serie è super intelligente, furbo, perspicace, forte, agile, bravissimo a combattere (vince anche contro dieci uomini), ed è capace di scalare i muri e camminare sui tetti degli edifici che al confronto Spiderman non è nessuno. Quest'uomo è Dio.
- L'over power della protagonista. Va bene possedere una buona memoria fotografica e una buona vista, ma il modo in cui Cha Soo-young riesce a cogliere dettagli e particolari è semplicemente assurdo.
- Le forzature di trama. Ce ne sono tante.
- Il numero di psicopatici: uno a puntata. I poliziotti di questa serie non devono catturare dei classici criminali, ma dei veri e propri psicopatici, tizi bipolari e serial killer. Uno o due va bene, ma possibile che in questa città non esistano casi un po' più "normali"?
Più di una volta nel corso della visione sono rimasta basita da ciò che stavo vedendo, ma nonostante tutti questi problemi, come ho detto poco fa, la serie intrattiene molto bene ed è un vero thriller dall'inizio alla fine, con alcuni momenti toccanti e qualche spunto di riflessione.
- Cha Soo-young mi è piaciuta come protagonista. È un personaggio che a livello di scrittura ha dei problemi, come la ripetitività della dinamica di lei che ricorda dettagli, e sopratutto l'assoluto irrealismo di come riesca a trovare l'assassino della madre dopo vent'anni, ma sono cose a cui sono riuscita a passare oltre.
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Innanzitutto mi è piaciuto come non sia una strafiga né nei modi di fare né nel modo di vestire, è quasi anonima, e adoro come abbia sempre risposto a tono a Oh Hyun-jae senza mai sfociare nella maleducazione o arroganza. Mi sono piaciute la sua rabbia, il suo dolore, la sua determinazione, la sua scarsa autostima, tutte cose che l'hanno resa molto umana. Da poliziotta alle prime armi non molto capace e che è entrata nell'arma solo per un motivo egoistico, Cha Soo-young compie una bella evoluzione che la porta ad acquistare fiducia in se stessa, a migliorare come agente, e ad essere contenta di fare la poliziotta per aiutare le persone.
- Oh Hyun-jae è il mio personaggio preferito della serie, perché lo stile di quest'uomo è qualcosa di divino. A parte il suo essere Dio, l'ho preferito nei momenti in cui si è mostrato umano, come quando ha ammesso di provare paura dietro la sua fredda barriera esteriore, o quando ha parlato del dolore e del ritrovare se stessi. Bellissimi poi quei momenti, seppur pochi, in cui è riuscito a mostrarsi empatico, dimostrando di essere un grandissimo e adorabile tsundere.
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- Vendetta o giustizia? Questa domanda mi ha accompagnata durante tutta la serie e l'ho trovata molto interessante. I personaggi sono mossi da vendetta, però sono dei poliziotti, quindi fin dove possono spingersi dando sfogo alla propria rabbia ignorando le regole dell'arma?
- La polizia. Ok, a volte mi è sembrata deficiente per via delle forzature o della logica inesistente, ma il drama mette in campo una questione molto triste, tosta e frustrante: l'organizzazione che talvolta abbandona i poliziotti o li usa come capri espiatori quando le fa più comodo. In questi casi i poliziotti mi fanno molta tristezza: non solo lavorano a ritmi massacranti e rischiano la loro vita ogni giorno, ma devono pure ritrovarsi traditi da quella stessa organizzazione che hanno cercato di proteggere.
Come ha detto giustamente @dilebe06, in questa serie il vero villain sembra la polizia più che il serial killer in questione. Sembra che il killer sia stato usato solamente per mostrarci come si muove la polizia attorno a lui.
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- il direttore Choi. Un personaggio che mi è stato molto antipatico ma che ho trovato scritto molto bene. Ambizioso e disposto a tutto pur di salvaguardare l'organizzazione della polizia, per assurdo l'ho trovato più realistico, sfaccettato, umano e interessante del serial killer.
- Cha Soo-young e Oh Hyun-jae. Il loro rapporto è la cosa che mi è piaciuta di più di tutta la serie. Sono innanzitutto contenta che non sia sfociato in una storia d'amore, e in generale mi piace come la serie riesca a farsi guardare nonostante la mancanza di romance. Un bel rapporto maestro-allieva, ognuno dei due ha qualcosa che serve all'altro, si completano a vicenda. Ho adorato la fiducia che si instaura tra i due, e la parte finale mi ha ricordato tantissimo Memories of the Alhambra.
- il detective Yang. Non gli ho mai dato molta importanza perché non mi sembrava un tipo molto intelligente o con doti particolari. Al confronto, Oh Hyun-jae si ruba tutta la scena. Ma mi ha fatto ricredere, e alla fine si è dimostrato il poliziotto con più buon senso là dentro, nonché un buon amico.
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Quest'uomo meritava di meglio.
- alcune volte è prevedibile quello che sta per succedere, ma devo ammettere che questa serie mi ha regalato due grandi colpi di scena che non mi sarei mai aspettata, sopratutto quello all'episodio sei (SONO ANCORA SCONVOLTA).
Devo però vantarmi per essere riuscita a capire che Hwang Ha-young nascondeva un segreto. Pride.
Punteggio: 7
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waitthetimeyouneed · 4 years
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Promesse non mantenute
Mi ero fatta una promessa. La promessa di non scrivere più. Di mantenere il silenzio. Ma proprio non posso. Non credevo che tornare ai vecchi metodi di sfogo sarebbe stato utile, non pensavo davvero di dover trovare un mezzo che riuscisse a liberarmi. Mi sento punto e a capo. Avevo promesso che non avrei più scritto perché a nessuno realmente interessava, non avrei scritto perché in fondo, forse, non serviva a niente. Non avrei scritto perché scrivere non avrebbe cancellato nulla. Non avrei più sofferto di logorrea scritta. Mi sbagliavo. Completamente. Tornare ai vecchi metodi mi fa sentire sconfitta, pensavo davvero di essere in grado di superare la situazione senza ricorrere ad inutili sotterfugi, perché in fondo, scrivere non è cambiare. Scrivere non fa tornare qualcuno, scrivere non cambia il corso delle cose. Avrei voluto mantenere i miei pensieri. Ma quando crolli, per l’ennesima notte, in un vortice di frustrazioni che non hanno fine, capisci che c’è qualcosa che non va e che devi agire. Mantengo il silenzio già troppe volte, non parlo, mi chiudo a riccio e ingoio con fatica tutto quello che succede, permettendo che accada, guardando inerme le cose scorrere. Mantengo il silenzio e sorrido, fingendo che vada tutto bene. Mantengo il mio autocontrollo, mi permetto di non provare fino ad esplodere. Fino ad urlare. Ci sono giorni, notti, in cui l’unica cosa che vorrei fare è urlare. Tirare fuori tutta quella poltiglia verde e appiccicosa che non permette di muoversi, che mi fa sentire intrappolata. Censurarmi, forse sarebbe troppo. Sebbene lo abbia già fatto e continui a farlo, senza pietà. Sono troppo autocritica. Troppo dura. Troppo severa. Troppo concentrata a mantenere quel minimo che ho costruito per non farlo andare a pezzi. Ho distrutto già troppe cose, in primis, me stessa. Quando la notte, ti ritrovi a mordere le lenzuola per evitare di singhiozzare, devi prendere provvedimenti. Quando tutto quello che provi, diventa quasi una sensazione fisica, ti spezza le ossa. Come una gigantesca belva che guaisce, sbuffa, ringhia, all'interno della sua gigantesca gabbia dorata. Bisogna correre ai ripari. Quindi, sono tornata alla scrittura. Scrivere mi fa sentire leggera, seppur amplifichi notevolmente le sensazioni, le emozioni e non so quanto sia positivo. Non ne ho veramente idea. Ma la cosa positiva è che dopo mi sento vuota. Anche questo non so sia davvero positivo. Scrivere in un qualche modo mi premette di essere lucida e razionale, analizzare a situazione. Non sono brava con le parole a voce. Mi si aggroviglia il cervello. Mi sento immensamente stupida quando parlo e quindi scrivo. Le parole sono più lineari, scivolano via senza che io le possa trattenere, sono più facili da incastrare tra di loro, hanno un senso e mi danno un senso. Il mio autocontrollo ha troppo potere su di me. Sono un’accumulatrice seriale di cose e situazioni. Smaltisco scrivendo.
Chissà per quale assurdo motivo.
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pangeanews · 5 years
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“L’italiano prosciugaticcio di certi romanzi contemporanei mi lascia perplesso, noi siamo gente folle, è con il Barocco che abbiamo fatto il cu*o al mondo”: dialogo eccentrico con Fabrizio Patriarca
Fabrizio Patriarca, solida formazione letteraria e filosofica, è quanto di più lontano dalla schiera di ominicchi, delusi dal burosauro accademico, che accusano il sistema e i prosivendoli insensibili al talento per giustificare la propria frustrazione. Eppure era sulla buona strada, dopo laurea, specializzazione e dottorato, due opere di critica letteraria, Leopardi e l’invenzione della moda, del 2008 e Seminario Montale, del 2011, usciti entrambi per Gaffi. Classe ’72, non fa parte della generazione degli apocalittici, marginali che amano definirsi emarginati e che odiano Lagioia e Cognetti solo perché loro hanno raggiunto fama e ricchezza.  Fabrizio percorre orgoglioso la propria strada. Si sbatte, apre partita iva, approfitta del regime forfettario e sfodera nel 2016 un romanzo che fa discutere, Tokio Transit, per 66thand2nd. Chi lo legge non rimane indifferente: o lo odia, o lo saluta per la libertà e il caustico realismo che nulla concede all’aurea mediocritas. Tutto è eccessivo, enfatico, spericolato. Poi, il 7 febbraio 2019, quando Annamaria Franzoni, contemporanea Medea, ritrova la libertà, Minimum Fax pubblica L’amore per nessuno, che sulla figura della Medea Pop Annamaria Franzoni costruisce l’ossessione del protagonista e la chiave d’innesco della trama. Non avevo alternative: l’ho incontrato.
Mi sono divertito: il tuo è un libro spassoso, scorre via senza momenti di stanca, ottimo per l’autobus o la metro. Personalmente mi è bastato un volo d’aereo e l’attesa al gate. Eppure. Mi chiedo, e ti chiedo: ma com’è possibile? Il fatto è che L’Amore per nessuno non fa nulla per rispettare le regole del romanzo, seppure esplicitamente le citi continuamente, da Campbell-Vogler alle regole della buona sceneggiatura. Il plot scimmiotta eventi scatenanti e viaggi dell’eroe, ma depotenzia ogni possibile escamotage narrativo, lo svuota. Si tratta in realtà di un gigantesco collage di elzeviri, erudito, pieno di citazioni pop: digressioni, pezzi di costume, gossip. Come sei riuscito a farmi sorbire d’un fiato dodici capitoli (più l’epilogo) di un blob che tu stesso riconosci essere costituito da genuine seghe mentali? Parlaci dei tuoi segreti.
Sono cresciuto all’università in mezzo a falangi di fanatici heideggeriani, leggevo Walter Benjamin di nascosto, come un ladro, nel discreto cono d’ombra di un paio di cattedre compiacenti (Estetica, Mario Perniola; Letterature Comparate, Rosalma Salina Borello) – trattenevo frammenti di pensiero: l’arte può supporre la natura degli esseri umani ma non la loro attenzione. Rovesciando fruttuosamente il concetto per i miei lerci scopi: il romanzo suppone tutta una serie di regole – alcune codificate, altre ancora da codificare – ma non necessariamente la loro osservanza, e siamo al punto. Frequento il romanzo perché mi sembra resistere come forma libera, nonostante sia stretto d’assedio dai militanti dello schema, i maledetti “plottisti”. La buona architettura, in narrativa, non è una faccenda che puoi delegare solo agli intrecci, o alla funzionalità della singola pagina, altrimenti il barbuto George R. R. Martin l’avrebbe sempre vinta sul baffuto V. L. G. E. Marcel Proust. Credo insomma che la forma romanzo sia ancora abbastanza accogliente da permettere una sana biodiversità degli scrittori. Le analisi alla Campbell-Vogler sono entusiasmanti, perché ti svelano un arco, e sono senz’altro efficaci, finché non diventano manualistica. La manualistica al massimo produce replicazione dello schema, variazioni sullo schema, qualche saltuaria e apertamente intenzionale rottura dello schema. Agli estremi delle concezioni-circa-la-letteratura hai il mistico, che proclama il suo fervore per il Sacro-Fuoco-Dell’Arte, e il sacerdote, che celebra le Lettere da un’altana storico-critica, quando non da un pulpito. Preferisco il mistico, che tutto sommato è innocuo, perché mosso da una Fede. Il sacerdote tende a fare Chiesa. Dunque sarei tentato di suggellare il tutto con una massima da arti marziali: quando sei padrone della tecnica puoi dimenticartela o buttarla via. Non è così. Mi sembra che si scrivano romanzi “alla ricerca” della propria tecnica – così come si scrive inseguendo l’ispirazione, non in-seguito-a. Bruce Lee, Jeet Kune Do: nessuna via come via, nessuno stile come stile. Ora penso alle scuole di scrittura, ai loro saldi precetti, alla diffusione di forme narrative come il serial-tv (che non a caso è la chimera al centro della mia storia): il serial, in particolare, è visto da molti scrittori come punto di riferimento contemporaneo, il competitor. Mi domando perché non i videogame. Se guardi bene la narrativa si è sempre messa in competizione. Col cinema, prima, con la televisione, più tardi. Ogni volta ha finito per riscoprire sé stessa – in una dimensione che riusciva a includere alcuni meccanismi mutuati dai linguaggi dei competitor, ma prendendo in definitiva strade autonome. Se insomma vuoi leggere il mio romanzo come un inno all’autonomia della narrativa rispetto al mondo dei media non mi offendo. L’aspetto blob potremmo riferirlo agli albori del romanzo: la satira menippea, le “anatomie” da cui viene fuori un Don Chisciotte, il gusto di mescidare l’alto e il basso, prosa e versi (Satyricon), realismo e grottesco (ancora Cervantes: la grotta di Montesinos, che poi è il luogo dove veramente si libera lo spirito romanzesco moderno).
Il pezzo forte del tuo repertorio è il linguaggio. Non nego di aver consultato spesso i dizionari on line per la gretta curiosità di conoscere parole nuove. Ma non si tratta solo di esattezza: il tuo stile è acrobatico, densissimo di figure metriche e di suono, sintattiche e semantiche, salti mortali di metonimie e metafore. Anche qui, esattamente l’opposto di quanto suggerito dai manuali di buona scrittura, per lo più costruiti sul modello della letteratura americana. Ci sono modelli propriamente tuoi?
Esistono modelli straordinari, soprattutto nel romanzo americano, ma considerarli come l’esclusiva della letteratura mi sembra possa nuocere alla letteratura stessa, nel senso che non le rende un buon servizio, né riguardo alle possibilità (parolaccia) poietiche, né tantomeno dal punto di vista storico. Posso godermi entrambi, Hemingway e Nabokov, senza sentirmi condizionato da nessuno dei due (anche visti i mezzi che al confronto risulteranno sempre poverissimi). Forse conviene l’onestà di giocare il gioco che sappiamo giocare meglio, stare nella luce giusta. La domanda è se questa, che declina, sia luce di raccordo o di cesura. Visto? Ho fatto due endecasillabi. Il problema è che l’italiano non è una lingua nata per il romanzo: è fatta per la lirica, per i versi, per i poemi – la lingua dell’amore. Una lingua fantastica che dà il massimo quando deve gonfiare una misura stabilita – un’ottava, un paragrafo, un capitolo. A me l’italiano prosciugaticcio di certi romanzi contemporanei che viene osannato perché richiamerebbe il “nitore” di alcuni modelli americani – sempre gli stessi – lascia sempre un po’ perplesso: ci vedo un abbandono della “strada folle” di dantesca memoria. Noi italiani siamo gente dantescamente folle. Il Barocco, disciplina in cui rompiamo il culo al mondo, ci ha insegnato che non esiste solo il nitore di “sottrazione”, ma pure un nitore fatto di aggiunte e superfetazioni, di enfietà, flogosi, metastasi. Viva Stefano D’Arrigo e Gesualdo Bufalino! Ovviamente, oggi come oggi, non puoi seguire un’ideale espressionista da “nipotino di Gadda”, perché il mercato ti castiga. Per me ho risolto intellettualizzando variamente l’espressionismo, verso forme fredde – come già in Tokyo transit – che trovo particolarmente adatte a rappresentare il mondo dei miei personaggi dalle emozioni desertizzate. Nel realismo intellettualistico della mia prosa – così lo chiama il mio editor – c’è tutto il mio amore per gli anaffettivi – un amore evidentemente mal riposto.
Non è facile scrivere di sesso, soprattutto nell’era del porno universalmente accessibile. Eppure ti cimenti con disinvoltura. La tua prosa è satura di odori e liquidi corporei. Lo sfondo è maschilista e misogino. Direi: senza autocensure, libero. Non ti fermi di fronte agli stereotipi, al gratuitamente scurrile, neppure di fronte al compiacimento del dettaglio per scatenare lo scandalo (o i pruriti, che abbisognano di subitaneo sollievo). Usi senza parsimonia anche l’indicibile parola con la “n”.
Il sesso è sempre un banco di prova per lo scrittore, e non mi riferisco alla solita metaforizzazione su cui senti spendere tante parole in giro, quando appunto si parla di sesso e scrittura. Idiozie come «entrare nel profondo della carne» o ancora peggio «la scrittura che si fa corpo stesso». Il sesso è difficile perché ormai è organizzato e diviso in una serie di linguaggi autonomi che la gente conosce a puntino: codificati, stratificati, acquisiti al bagaglio dei singoli linguaggi. Quando senti “il capezzolo turgido” o “il membro muschiato” sai già di essere in una certa enciclopedia culturale – quella della rivista hard-core o del giornaletto da edicola: è un linguaggio definito, sai come funziona e puoi prevederlo, dietro alla “patta che sembra scoppiare” c’è sempre un “glande tumido” in agguato, che finirà per soffocare qualche sventurata. Poi esistono altre enciclopedie culturali, dove il sesso è ugualmente collocato a una precisa altezza di registro: il sesso televisivo, quello cinematografico, il porno-amateur online ecc. A me piace giocare con questi linguaggi ormai acquisiti, farli confliggere con le orbite mentali dei miei personaggi, evaderli, talvolta, irriderli, sempre.
Che posto ha nel tuo universo il politicamente corretto?
Il che?
L’amore per nessuno parla in modo dichiarato, fin dal titolo, di alessitimia. Il tuo protagonista Riccardo è un campione di analfabetismo emotivo, sembra concepito direttamente dalle pagine dell’ICD 10. Su questo piccolo insight si costruisce tutto il resto. Il cinismo, l’incapacità di relazioni empatiche, la superficialità consapevole, la falsità un po’ snob sono le matrici di un’intera generazione, cresciuta con la tata TV. Esiste dunque un profondo trattato di analisi psico socio cazzica sotto alle tue storielle di narcisi, maniaci, famiglie disfunzionali e relazioni evitanti? Un ritratto impietoso della bistrattata generazione X? Oppure ancora mi stai fregando, e non c’è alcun progetto simile?
Più che all’analisi psico socio cazzica inclino, in genere, al cazzeggio psico socio anal, ma è chiaro che parliamo di punti di vista. Nei romanzi è importante mettere i fatti, questo lo sai bene – le analisi stanno nel calderone delle idee ed è meglio che non agiscano direttamente sulla pagina. Ovvio però che dietro al racconto puoi sistemare a piacimento una sociologia sarcasmo-pamphlet, un j’accuse rivolto al cinismo del mondo televisivo, un pianto per mia madre ecc. Tutto lecito, per carità. La questione che mi preme è un’altra, e te la sottopongo rivoltando la domanda: può darsi un ritratto, un vero ritratto, che non sia impietoso?
Hai ragione, «ritratto impietoso» è fastidioso come «innumerevoli costellazioni». Meglio sarebbe trovare un contrario per «accondiscendente» o ancor meglio per «auto assolutorio». Tokyo Transit dopo poche pagine dichiarava esplicitamente la propria poetica: «Dalla solitudine ci aspettiamo tonnellate di enfasi, è giusto. Enfasi e la dovuta porzione di disincanto». Anche in L’amore per nessuno enfasi e disincanto ci sono, inoculate a dosi massicce. Allora è a solitudine la colpa che dobbiamo espiare, o da cui ci dobbiamo assolvere?
Sì, l’enfasi della solitudine, attesa nella solitudine è una convinzione che mi porto dietro dal romanzo precedente – anche come enfasi linguistica naturalmente. È bello che alcune condizioni particolari passino da un libro all’altro, un po’ come le coblas capfinidas delle canzoni medievali, che si richiamano di stanza in stanza attraverso termini chiave. La solitudine è stata, fino a questo libro, un orizzonte fondamentale, perché mi permetteva di far viaggiare in simultanea il panorama interno e il panorama esterno. Espiazione-assoluzione mi sembrano altresì una coppia notevole, almeno come funzioni propulsive in un romanzo, e sono contento che tu abbia voluto sottolinearle: entrambe richiedono un “percorso”, rispetto al quale i miei personaggi, che desiderano molto, sono sempre riottosi. Non è – credo – una banale meccanica del “tutto subito”, è proprio mancanza di strumenti, quelli “umani” diciamo così, quelli che Vittorio Sereni vedeva «avvinti alla catena / della necessità». Come vedi c’è un enjambement tra «catena» e «necessità»: dire le cose negandone il fondamento, affermare con la semantica mentre spezziamo con la metrica – che grande lezione!
Non sembra proprio che ti interessi l’immortalità. Il tuo romanzo è irrimediabilmente radicato nell’attualità, annacquata se vogliamo da ruffiani EasterEgg anni ottanta. Penso che possa risultate assolutamente incomprensibile da chi non frequenta la cultura pop italiana della contemporaneità. Ma chi è il lettore perfetto de L’amore per nessuno?
La prima volta che mi hanno messo in bocca un’ostrica non sapevo assolutamente cosa fosse, ero un bambino. Il sapore mi ha lasciato perplesso, però ne ho mangiate altre tre-quattro, senza troppe conseguenze, e anzi con una certa gioia dell’inatteso. Siamo sicuri che il punto sia la comprensibilità? Forse è la digeribilità, o l’apporto calorico. O, perché no, il semplice gusto. Martin Amis ha scritto che gli scrittori «competono per l’Universale», per questo sono destinati a odiarsi tra loro, a cercare la rissa. In questa allegra competizione fra tagliagole entrano a viva forza i lettori, che come diceva Debenedetti sono dei veri e propri strozzini: ti concedono il loro tempo, a patto di esigere un tasso di interesse altissimo. Il mio lettore ideale – quello che tu chiami perfetto per il mio libro – è uno abbastanza stanco di prestare il proprio tempo a un romanzo e ancora abbastanza in credito da permettersi di passare del tempo con un romanzo.
Scrivi in modo talmente intelligente e scopertamente arrogante da risultare antipatico. Ti chiedo tre ragioni, nonostante questo, per cui vale la pena leggere il tuo libro.
Con questa domanda mi hai messo in un cul-de-sac dialettico. Qualsiasi risposta mi sforzi di pensare verrà recepita non “nonostante”, ma in ordine ai tuoi argomenti. Colpa mia, ho peccato di leggerezza. Presentarmi con un coltello a uno scontro a fuoco. È comunque dimostrato che in generale i romanzi sopra le trecento pagine a) distruggono la massa grassa a beneficio del core addominale, b) potenziano la libido del soggetto leggente; c) sterminano le spore terrapiattiste e arredano vivacemente il paesaggio urbano quando deposti e disposti in simmetrie goffrate. Il mio in particolare impedisce l’uptake della dopamina nei neurotrasmettitori, prolungando la caratteristica sensazione di euforia, ed è un ottimo presidio contro il traduttese.
Non credo di aver capito proprio tutto, ma devo ammettere che sei convincente.
Simone Cerlini
L'articolo “L’italiano prosciugaticcio di certi romanzi contemporanei mi lascia perplesso, noi siamo gente folle, è con il Barocco che abbiamo fatto il cu*o al mondo”: dialogo eccentrico con Fabrizio Patriarca proviene da Pangea.
from pangea.news http://bit.ly/2JBpQbU
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In Biblioteca puoi scoprire autori e opere che non conoscevi o di cui avevi sentito parlare ma che ancora non avevi avuto modo di leggere. Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicare un angolo alla scoperta di questi "tesori nascosti".
Oggi l'opera prescelta è "Ragazzi di scorta: Rocco, Vito, Antonio. Gli agenti di scorta di Giovanni Falcone" di Gian Marco De Francisco e Ilaria Ferramosca.
È il 23 maggio del 1992. Alle 17.58 il silenzio delle campagne di Capaci viene squarciato da un tremendo boato causato dall'esplosione di cinque tonnellate di tritolo piazzate sull'Autostrada A29. Poche ore dopo due famiglie partono da Brindisi con una manciata di notizie date loro frettolosamente. Sono quella d'origine del ventinovenne Antonio Montinaro, capo della scorta di Falcone e dell'agente scelto Rocco Dicillo, trent'anni appena compiuti. Le famiglie non si conoscono né hanno informazioni precise su quanto accaduto. In un volo notturno di poche interminabili ore, i fratelli minori di Antonio e Rocco, Matilde e Michele, ripercorrono i ricordi d'infanzia e adolescenza dei loro cari: il legame con la propria terra d'origine, gli affetti, la quotidianità, le scelte che li hanno portati a svolgere il lavoro di agenti di scorta.
Prendendo le mosse dalle ore successive alla strage di Capaci, durante le quali i familiari delle vittime – ancora ignari – vengono condotti in Sicilia in un volo notturno carico di silenzi tesi e disperati, Ilaria Ferramosca ripercorre l’esperienza di vita dei poliziotti Montinaro e Dicillo (entrambi classe 1962 e entrambi pugliesi), partendo dalla loro infanzia, e ne mostra la lenta e non facile costruzione di una coscienza sociale, di un senso del dovere e della giustizia, la presa di consapevolezza della necessità a fare del bene.
Ferramosca non indugia nel buonismo e nella retorica, offrendo sempre un punto di vista realistico e veritiero sulla vicenda, aiutata da una complessa ricerca sul campo: ne emergono tavole in cui la cura per i dettagli è evidente. Si alternano le scene collocate nel presente storico del maggio 1992 – subito individuabili grazie a una scelta cromatica di bianco e nero – e i flashback – per i quali l'illustratore De Francisco ha scelto una tavolozza sui toni dell’ocra, quasi a richiamare la patina ingiallita e rossastra delle vecchie fotografie di famiglia.
Il racconto, intimo e sentito, è frutto di incontri e interviste condotte con alcuni dei familiari di Montinaro e Dicillo, inoltre è arricchito da un apparato bibliografico attraverso il quale il lettore più curioso e attento può meglio documentarsi.
"Ragazzi di scorta" è, senza esagerazioni, un fumetto dalla grande valenza sociale, dal quale emerge un forte messaggio: Falcone, Morvillo, Montinaro, Dicillo e Schifani – così come tutti coloro che oggi chiamiamo “eroi” per aver votato la propria vita a combattere la criminalità e il malaffare – non avevano in effetti nulla di eroico. Il loro unico potere, quello che li ha distinti in vita e ce li ha resi indimenticabili, era la normalità, il loro essere semplicemente umani, e consapevoli che solo facendo fino in fondo il proprio dovere avrebbero cambiato il Paese.
Ilaria Ferramosca, nata a Maglie (LE), ha iniziato a scrivere curando alcune rubriche su riviste del settore R.U. Successivamente si è dedicata alla narrativa, vincendo alcuni concorsi nazionali di scrittura con pubblicazione di brani inediti in antologie di autori vari. Scrive inoltre sceneggiature per il fumetto e ha sceneggiato il romanzo grafico noir "Un riflesso nel vetro", per il quale ha ricevuto il premio "miglior sceneggiatore", in occasione del "Gran Premio Autori ed Editori 2010" a Fullcomics 6. Ha collaborato con il periodico Talkink, per il quale ha creato anche il personaggio seriale W.I.L.D. In fine, collabora periodicamente con alcune riviste pugliesi (Lecce e Taranto). Da aprile 2010 è coordinatrice editoriale per Edizioni Voilier. Per l'associazione A&C Artists & Creatives, è coordinatrice delle attività culturali in Puglia.
Gian Marco De Francisco, architetto e fumettista tarantino, è stato allievo di Carlos Meglia, uno dei maestri della scuola sudamericana del fumetto. Ha al suo attivo le graphic novel "Nostra madre Renata Fonte" (001 Edizioni, 2012) e "Un caso di stalking" (Edizioni Vollier, 2010). Nel 2012 è stato ideatore e a oggi è il coordinatore generale di "Grafite", primo polo di formazione regionale sull'arte del fumetto, presente sui territori di Taranto, Bari e Lecce, nata dalla partnership fra lo studio http://www.iltratto.com/ e la Lupiae Comix.
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rideretremando · 2 years
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LA PARODIA DA FOLGORE A MICHELE SERRA (2011)
La parodia è stata la grande vocazione del Novecento. O meglio la sua necessità trasformata in virtù, il destino obbligato di un secolo cresciuto postumo. Molta letteratura del XX secolo è una mostruosa caricatura di spartiti ottocenteschi che gli scrittori, ormai orfani delle certezze dei loro modelli, eseguono insieme rimpiangendoli e irridendoli. Il nostro primo liquidatore della belle époque, Guido Gozzano, è un superbo parodista di D'Annunzio. E la sua “Amica di nonna Speranza” è stata poi a sua volta parodiata, al quadrato e al cubo, da eredi che hanno sostituito al busto d'Alfieri e alle tele di d'Azeglio gli angolosi divani razionali e i quadri di Maccari o Burri. Ma con la sclerotizzazione identitaria indotta dai mass media, la parodia è divenuta anche il perverso principio evolutivo di molte biografie artistiche. Esaurita l'ebbrezza sperimentale, quanti autori non hanno iniziato a rifarsi il verso? Non si parla qui solo di neoavanguardie, di umorismo o poetiche dell'assurdo. Quel sontuoso e rozzo palinsesto che è l'opera di Pasolini, non è forse un'atroce parodia narcisista dei suoi esordi e di una sognata alba premoderna, come in modo diverso l'opera di Elsa Morante? Ma qui vogliamo fermarci a un significato più limitato e tecnico del termine «parodia»: quello che allude alle imitazioni caricaturali della letteratura altrui, a quella varia miscela di omaggio e sfottò, di satira e agnizione con cui si riscrive il testo-tipo di un autore ingigantendone i tic. Questo tipo di parodia - che del resto, nel Novecento, è stata inaugurata proprio da un parodista “assoluto” come Proust – è uno show da attor comico, ma anche un mezzo critico inarrivabile per forzare il laboratorio di un artista. Per riprodurne il timbro bisogna essere abitati da un demone speciale, un demone critico e vampiresco da traduttore-interprete. Tra omaggio e puro tiro al bersaglio, tra ritratto somigliante e schizzo liquidatorio, si stende un vasto terreno di mezzo. Anni fa, stanco di recensire certi mediocri poeti italiani, mi dissi che la sola recensione sensata avrebbe coinciso con la scrittura di antologie apocrife, che tramite un'imitazione appena ironica evidenziassero la riproducibilità seriale dei loro versi. Così inventai sillogi “di” Valerio Magrelli e Gianni D'Elia. Questo per dire che il “rifacimento”, la “possessione” con cui ci si arrende alle voci altrui può avere cause, conseguenze e manifestazioni molto diverse. I miei falsi erano roba per pochi intimi: per fortuna, infatti, solo rari masochisti leggono questi poeti. Invece, nella sua forma canonica, la parodia presuppone una riconoscibilità diffusa del modello.
Prendiamo tre esempi, tre interpreti che ci accompagnano lungo l'arco del Novecento e che rappresentano bene tre modi distinti di accostarsi all'obiettivo. Dagli anni Venti ai Settanta, il diplomatico Paolo Vita-Finzi (1899-1986) ha gestito una fiorente fabbrica parodistica. Le sue riscritture in falsetto, sfornate in più serie e riunite nel '78 nell'“Antologia apocrifa”, scortano impassibilmente il lettore dalla generazione di Emilio Cecchi a quella di Ennio Flaiano. Non si tratta di aperti sberleffi, ma di diaboliche, pazienti, millimetriche “esecuzioni a freddo”: di macchinette celibi che portano alla luce gli ingranaggi formali e a volte, implicitamente, anche l'impulso psichico che muove le vittime. Vita-Finzi ne ruba l'anima e virtualmente la museifica, la uccide. Le sue “copie” sono scheletri fedeli, imbalsamazioni scrupolose, sottili riduzioni all'osso. Si prenda il caso di Cecchi. Il falso che Vita-Finzi gli attribuisce, “Variazioni su di una corda”, serve a mostrare come la pagina del saggista rondesco resti ugualmente asettica e traslucida davanti a una boccia di pesci come davanti a uno strumento di tortura. Il viaggiatore Cecchi si siede al centro del suo cinema panottico e traduce lo spettacolo, qualunque esso sia, nelle stesse minuziose equivalenze verbali: come dire che dietro il cosmopolita fa capolino il toscanuccio bottegaio, sempre un po' gretto e insensibile. O si prenda, ancora, il falso Carlo Cassola. Qui Vita-Finzi modula un impagabile paragrafo di romanzo. Siamo sulla soglia di un'abitazione maremmana e piccolissimo-borghese, dove un Paolo chiede a una Francesca se Gianciotto è in casa, e lei gli risponde che il marito sta a caccia «in padule». Poi il dialogo procede esitante, con la stolida storditezza che avvicina Cassola al nouveau roman, ma anche col gustoso contrappunto atmosferico della sua tradizione regionale e letteraria. Celebre è poi la pagina dell’“Antologia” dedicata a Giuseppe Ungaretti. Ecco la poesia apocrifa, “Convalescenza”: «Rilievito / docilmente / a questa brezza / fievole». E sotto, inseparabile, il corsivo che l'accompagna: «Di questa poesia sono stati stampati dieci esemplari numerati su carta del Giappone, con ritratto dell'Autore e riproduzione del manoscritto autografo, che costituiscono l'edizione originale; 30 esemplari su carta di Fabriano e 50 esemplari su papier d'Arches. Precede uno studio di 148 pagine di Alfredo Gargiulo. La poesia ha inoltre un commento di Paul Valéry e note esplicative dì Valéry Larbaud. Seguono una versione in francese di Lionello Fiumi e uno studio sulle fonti e sulle varianti».
Qui la satira non riguarda tanto il testo quanto il paratesto, ossia il logorroico culto novecentista sorto intorno al poeta del “Porto sepolto”. Ma il brano in cui Vita-Finzi espugna il suo oggetto con la più diligente, sardonica noncuranza, quasi tracciasse dei ghirigori su carta carbone, è quello composto entrando di frodo nell'officina gergale di Carlo Emilio Gadda. Se la parodia rimane sempre un buon esercizio da proporre nelle scuole - perché niente è più utile, per studiare davvero un autore, che ricopiarlo come si fa con statue e quadri - in questo caso l'esercizio sembrerebbe tanto più necessario, vista l'acritica mitizzazione dell'ingegnere. Infatti la copia vitafinziana ci aiuta a capire quel che già videro i pochi critici severi: e cioè che lo scrittore Gadda, preso tutt'intero, spesso non è all'altezza di quella sua parte, di quel suo interiore homunculus nevrotico che è il Gadda stilista. La cancerosa e compiaciuta proliferazione degli inventari intestinali, il dilagare senza freni d'intarsi maccheronici, leziosità e perifrasi, svelano a volte una tendenza meramente meccanica a far lo sgambetto alla parola consueta (così Cesare Cases) con “infrazioni” ingegnose quanto puerili. Ma per capirlo davvero, non c'è niente di meglio che leggere l'attendibile apocrifo di Vita-Finzi, letterato dilettante di solidissima cultura che è poi anche un quasi coetaneo del gran lombardo: «E valga il vero: in confronto agli scrittorelli comuni (hoi polloi) che allineano per benino in approssimativa lor lingua italiota i faticati soggetti, verbi e predicati, e conducono (benché non di penna rossa sian provvisti, bensì soltanto d'azzurra pallida biro) quelle loro assestatuzze scolaresche a passeggiare compostamente sulla pagina di stampa, fra i due candenti marciapiedi dei margini, l'écrivain encyclopédique giganteggia, cribbio, avec la grandeur du Général de Gaulle, deux mètres et trois mentons, fra la marea ossequiosa et dévouée dei cheppì a visiera piatta e degli emisferici chapeaux melons. By Jove! Ubiquo e proteiforme, ameboide e cangiante, letterato e chimico, filologo ed elettrotecnico, filosofo e perito industriale, teologo e lampista, il Nostro si estolle sulla turba dei miselli che “hanno fatto studi classici” (sic) come la torre di Babele che secondo il Genesi i figliuoli degli uomini edificarono, e che doveva giungere fino al cielo. E si nun ve piace er paragone de la Bibbia, penzate a quell'antra torre che con massiccia prepotenza da adjudant de logis stampa ormai da settant'anni i suoi quattro zamponi fra Senna e Trocadero...».
Un analogo meccanismo autoptico viene impiegato da Vita-Finzi con Flaiano. Una volta afferrato un motivetto di costume, questo indolente stenografo scuce e ricuce gli stessi Witze in un tessuto potenzialmente illimitato di aforismi, cabalette, apologhi. Come tema su cui sbizzarrirsi, il falsario sceglie i sequestri di persona, cronaca nera dell'Italia del benessere. Ed ecco come reagisce lo pseudo-Flaiano al «nostro ratto quotidiano»: «STATISTICA. I rapimenti in Italia crescono con ritmo esponenziale. Nel 1974 ce ne sono stati circa 2000, di cui 3000 a Milano». O ancora, in limerick: «C'era una poetessa di Cosenza / che i rapitori scopavano in cadenza. / Ritornata all'ovile — ripeteva con stile: / È stata una simpatica esperienza». E infine, una delle famose lapidi flaianee: «Qui giace Peppino R. / Nuovamente rapito / All'affetto dei suoi cari / Ma questa volta / Gratis».
Sorelle più agonistiche delle parodie di Vita-Finzi sono quelle di Luciano Folgore, alias Omero Vecchi (1888-1966), poeta di grazia lineare e decorativa che potrebbe ossimoricamente definirsi un “futurista giapponese”. Anche lui, dagli anni Venti ai Sessanta, non smise mai di mettere in scena i suoi colleghi. Come si nota sfogliando il tomo riassuntivo di questa attività fumistica (“Il libro delle parodie”, 1965), Folgore tenta dei ritratti quasi mimetici: conduce i poeti allo specchio, li accarezza controluce e contropelo, e li fa parlare da sé e di sé come attori sul palco, caricaturizzando con tocco leggero la loro gestualità stilistica, la loro sagoma psicologica e intellettuale. Ecco ad esempio come sistema quel minimo comun denominatore del crepuscolarismo che è Marino Moretti: «Sono Marino, il piccolo Marino, / quello che vive dove tu lo metti, / ho tutto il cuore nel fazzolettino / con gli M di Marino e di Moretti. / Sono piccino, sai, sono infantile! / Lo dico al babbo se mi fai dei torti! / Bisogna coi fanciulli esser gentile / quando hanno ancora i calzoncini corti!». Il romagnolo è insomma un bamboleggiante, bizzoso letteratino che non vuol crescere, e che avendo trovato in gioventù una cifra perfettamente in accordo con lo Zeitgeist, pretende di continuare a sillabarla all'infinito. Vediamo invece come Folgore castiga (facilmente) il tronfio volontarismo del duce futurista: «Ma ecco balzare dall'acqua, chiomato d'alghe e di muschio, / il Marinetti torrenziale dal contropelo di fosforo (...) - Olà — egli urlava ai salsi puledri dei flutti — / è questa l'ora della conquista iperbolica / dei mappamondi metallici. / Mi sento pieno di cannoni grandinifughi, / di rivoltelle ammalate, di genio incompreso / e ho voglia di maciullare il metatarso ai tritoni (...) E' l'ora dell'impeto pirotecnico, del balzo ortografico, / sono incinto di futurismo, ho le doglie purpuree / del parto titanico, e con la sciabola d'oro / del sole farò il taglio cesareo alla mia gravidanza / mostruosa e partorirò 200.000 copie / di manifesti incendiari».
Un altro ritratto inappuntabile è quello in cui Folgore riproduce le muscolari, teppistiche, stonate strofe di Papini. Così si presenta agli esordi il polemista: «Mattine senza lavacro, / usciti fuori di noi stessi / c'incalzavam come ossessi / a calci nell'osso sacro. / Bestemmie a dritta e a mancina, / pepe al culo della modestia, / stanchi montavamo in bestia / e si correva la cavallina». Ma poi arriva l'abbaglio sulla via d'Oltretevere: «Paghi e non paghi, in sere d'oblio, / mal saziati di cappuccini, / fu la Voce di Prezzolini / coperta dalla voce di Dio». Come in Vita-Finzi, anche in Folgore si trovano parodie gustose di letterati più giovani, che ci portano nel cuore del Novecento. Ma davanti ai montaliani e ai loro fratelli minori, dopo averne colto la patina lessicale o ritmica, il parodista risolve presto la strofa in battuta: si sente che l'analisi di lingua e carattere non s'accorda più così spontaneamente al bersaglio come avviene con gli ex sodali (e in particolare con Palazzeschi).
D'altronde, dopo la metà del Novecento, fare la parodia dei poeti diventerà appunto un gioco di società per gruppi sparuti e settari: la “letteratura” condivisa dal nuovo e vasto pubblico è ormai quella degli opinionisti, o di qualche narratore trasformatosi nell'industria pop di sé stesso. E' questa prosa che Michele Serra tratta nei suoi “44 falsi” del 1991. Qui non siamo più di fronte al ruminante processo autoidentificatorio di Vita-Finzi, che gareggia con nobili letterati già quasi classici; ma non siamo nemmeno di fronte all'agonismo canzonatorio di Folgore, sfogatosi in testi che non sfigurerebbero nelle raccolte di molti suoi colleghi. Nei “44 falsi”, il dozzinale fraseggio di tipi più sociologici che estetici serve a liquidare fin da subito ogni abbozzo di ritratto, e ad approdare di slancio a un'aggressiva, iperbolica riduzione all'assurdo. Spesso non ci è data neppure una iniziale imitazione deformata dall'interno, ma ci si srotola direttamente davanti agli occhi una traduzione satirica, compiuta con straordinario orecchio sintetico, del ron ron emesso da autori che riscrivono ogni giorno per anni lo stesso articolo. Anziché lasciarli parlare, Serra li fagocita immediatamente, giudicandoli con scherno da ventriloquo. Tra i falsi troviamo un esilarante Alberoni, il Moravia fallico e africano, un Giorgio Bocca reso demente dal suo darwinismo nordista, un Andreotti diarista che somiglia molto al Cecchi di Vita-Finzi. Ma soprattutto, vale la pena di rileggersi Oriana Fallaci ed Enzo Biagi. Ecco un passo dal reportage della prima: «“Signora, mi deve mezzo dollaro.” Con i suoi occhi cisposi, i denti cariati, l'alito fetido, l'espressione idiota, la voce odiosa, il salumiere aspettava che gli pagassi la dozzina di uova. Aveva la classica faccia da porco ma da porco vecchio, malato, guasto dentro. Il suo negozio era disgustoso. Fuori cadeva, lentissima, una pioggia lercia. Vomitai: una, due, tre, quattro volte. Dentro le viscere sentivo esplodere la violenza, la meschinità, l'ignominia, la sporcizia, la volgarità, la viltà del mondo (...) Mi doleva la ferita alla natica destra: due pallottole a Città del Messico. Mi bruciava anche la ferita alla natica sinistra. Già: dove, quando, come, perché, in quale vergognoso budello del mondo mi ero ferita alla natica sinistra? Per quanto mi sforzassi di ricordare (e il cervello mi doleva, urlava, impazziva, soffriva, smaniava, piangeva, pregava, guaiva, puzzava), ero certa di non avere mai subito ferite alla natica sinistra. Eppure mi bruciava». Ma alla fine, dopo l'acquisto, ecco la palinodia spiritualista con cui la pseudo-Fallaci riscatta il suo truculento pathos: «mi ricomposi ed entrai in casa: le uova si erano tutte rotte. Tranne un uovo. Uno, uno, uno solo, un uovo, un uovo, solo uno. Quell'uovo, proprio quell'uovo. Lui. Sì: si può ancora vivere, sperare, provare tenerezza, amore, bisogno, fede, sapienza, bellezza, intelligenza, speranza, giustizia, verità. Ancora guardare il tramonto. Ancora destarsi sereni. Ancora vivere. Ancora». Un capolavoro è poi l'incipit à la Biagi, «scritto sonnecchiando»: «Molti anni fa, quando le donne non dicevano parolacce in pubblico e salivano sulle Seicento coprendosi le gambe, un mio prozio di Brisighella si iscrisse al partito socialista. Aveva solo due vestiti, uno grigio e uno maròn, come si usava una volta, quando l'Italia preferiva i colori della serietà e della modestia alle arlecchinate; e non si ricordava mai nella tasca di quale vestito avesse messo la tessera. Un giorno la tessera finì in tintoria assieme al vestito grigio. Mio zio, che credeva di averla riposta in quello maròn, ci rimase male: la tessera era tutta sbiadita e rovinata. Non la volle mai più usare. Così erano fatti i socialisti di una volta. Da allora ho capito che è meglio non avere tessere in tasca».
Michele Serra raccoglieva questi falsi ai tempi di «Cuore» e dei corsivi sull'«Unità»: luoghi e congiunture che lo aiutavano a esprimere il meglio della sua vocazione, mentre oggi «Repubblica» gli rende difficile toccarne le corde più autentiche. Serra è scrittore stilisticamente dotatissimo e quasi calligrafico, nella sua precisione cecchian-calviniana (basterebbe un racconto come “Davanti al baltico”, in “Il nuovo che avanza”, per dare la misura delle sue potenzialità). Ma è anche un autore che sopravvive solo a precise temperature. Esistono diversi tipi di satirici: ci sono i battitori liberi krausiani, capaci d'intingere il veleno delle loro frecce in qualche originale idea sulla società; e ci sono quelli che hanno bisogno di sentirsi le spalle coperte da un'assicurazione collettiva, di giocare di sponda facendo rimbalzare la loro levigata prosa contro un muro ideologico-morale tutto desunto. Come Guareschi, e al di là delle idee professate, Serra appartiene a questa seconda categoria di satirici naturaliter conservatori. Non importa stabilire se le pareti ideali della vecchia «Unità» fossero più o meno solide di quelle di oggi. Importa il fatto che gli consentivano di trasformare anche i vizi peggiori di Pci ed eredi in affilati strumenti euristici adatti a cogliere, o addirittura a divinare, alcuni lineamenti ridicoli degli avversari. La separazione dei ruoli tra seriosità da politburo e angolino irriverente era perfetta. Nulla di peggio, quindi, che ritrovarsi chez Scalfari (lo Scalfari da lui già mirabilmente satireggiato), cioè nel circuito politico-culturale che fonde omelie impettite e comicità perbenista in un solo indistinguibile tono da “orgoglio dei migliori”. Così, spesso la penna di Serra si riempie di un inchiostro greve o simpatico. Da una parte, per fortuna, sgorga ancora a tratti la vena del «breviario comico»; ma dall'altra è uscito allo scoperto proprio ciò che invece deve nutrire la sua scrittura senza mai mostrarsi, pena la stecca: e cioè un fondale ideologico-morale sbiadito, una petizione di principio irriflessa, un involontario cinismo che può far da piedistallo alla satira ma non sostanziare un sermoncino. Se cade la maschera, insomma, si ritrova a girar nudo l'ethos compiaciuto di quelli a cui basta spegnere la tivù e delibare De André in un casale ristrutturato per credere che lì la «volgarità anni Ottanta» non li possa toccare: ossia l'ethos di chi rifiuta di rendersi conto che questo immaginario nasconde una volgarità bovaristica legata a filo doppio all'Italia berlusconiana da cui si vorrebbe fuggire. Da “Che tempo fa” (Serra fortebraccesco più Ellekappa) a “Che tempo che fa” (Fazio e simili) il passaggio è esiziale. Però il talento del satirico si conserva intatto altrove. Quante voci, tra quelle che lambiscono ogni giorno i bordi della sua «Amaca», meriterebbero il trattamento dei “44 falsi”! Ma forse Serra sa che non ne vale più la pena: intorno al francobollo della sua prosa, che è pur sempre di ottima fattura, si estende un largo mare di firme che nascono già come parodie di modelli assenti.
(2011)
Matteo Marchesini
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gaiagun · 4 years
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Influenza è sinonimo di binge watching
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Numero di giorni a letto: tre.
Serie guardate:
Vida, stagione 2
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Mi aspettavo un Girls con protagoniste latino americane e, invece, mi sta piacendo di più. Gentrificazione, LGTBQ+, donne millennial, famiglia, minoranze... Solo alcuni dei temi trattati da Vida. Può sembrare un miscuglio, ma funziona. Benissimo. 
Bonus: non solo davanti la macchina da presa, tante donne (latinas) anche dietro la macchina da presa e al lavoro sulla scrittura. Ah, anche la colonna sonora, pazzesca, vede pezzi di donne di origine sudamericana.
Bonus 2: sapete che negli USA una donna di origine sudamericana, a parità di educazione e posizione, ci mette 23 mesi a guadagnare lo stesso stipendio annuale di un uomo bianco?
Mindhunter, stagione 2
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I serial killer hanno un fascino tale su di me che, questa serie, potrebbe essere girata pure con un iPhone 3 e essere, e mi piacerebbe comunque. Però è anche un gioiellino, quindi tutto bene.
The End Of The F***ing World, stagione 2
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Non male, mi ha intrattenuto, ma... Bastava la prima stagione. F***ing denaro.
Unbelievable, mini serie (AKA una stagione e basta)
*non ho trovato la gif adatta*
Recitata benissimo. Mi è piaciuta. La consiglio. Però penso me ne scorderò fra qualche giorno. Alla fine, penso sia difficile trovare una serie ORRIBILE nel 2020.
La lista non è completa. Un po’ mi vergogno a elencare proprio tutto quello che ho visto, non penso che la febbre possa giustificare tutto.
NB: si accettano consigli, questa febbre sembra non voler passare in fretta.
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pleaseanotherbook · 5 years
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Sono una lettrice maleducata? Book Tag
Mi spiegate come è potuto succedere che sia già maggio? Perché il tempo vola via, che fine ha fatto la mia giovinezza, come è potuto succedere che sto già per raggiungere il baluardo dei trent’anni? Sono sconvolta da tutto il tempo che ho trascorso sul web, dieci anni in cui ho costruito e disfatto rapporti, conosciuto persone che ancora mi porto dietro nella mia vita quotidiana, ho un lavoro che mi permette di viaggiare e soprattutto di avere un tetto sulla testa e vivo da sola. Quando ero una adolescente uno dei miei desideri più grandi era vivere da sola, senza la presenza fin troppo ingombrante dei miei genitori, e ora che finalmente lo sto facendo davvero i miei mi mancano molto.
Deliri da vicinanza del compleanno a parte e da entusiasmo da Salone che come al solito mi riempie di gioia nonostante l’ombra che vi si è distesa sopra oggi sono qui per proporvi un post un po’ leggero e spero divertente. Un book tag, nello specifico “Sono una lettrice maleducata? Book Tag” di cui mi sono invaghita subito perché molto particolare. Ho visto questo tag in un video di Valeria di Read Vlog Repeat (una ragazza pugliese molto simpatica che mi sta offrendo diversi spunti di riflessione) che lo ha visto a sua volta in un altro video, in una lunga catena che non mi ha fatto capire chi è la testa dietro il tag, se lo sapete non esiterò a taggarlo.
Enjoy!
  Orecchie alle pagine:
Un libro che ti ha fatto svisionare ad ogni pagina
Io non faccio mai le orecchie alle pagine. Faccio parte della schiera di chi è un purista e non si azzarderebbe mai a rovinare le pagine dei propri volumi. Le orecchie poi sono quella cosa che li deforma per sempre, anche se a volte diventa inevitabile lasciare i nostri segni sulle pagine che ci hanno inevitabilmente cambiati.
Il libro che voglio citare è Il nido di Kenneth Oppel edito da Rizzoli nella versione in italiano, che io ho letto perché teoricamente dovevano esserci delle api nella storia *coffcoff* si ho una leggerissima ossessione *coffcoff*. In realtà non ci sono i miei insetti preferiti ma si tratta di un incubo vividissimo, un horror, un libro sulla diversità e su cosa significa assumersi le proprie responsabilità. Inquietante e sconvolgente, una storia che non lascia indifferenti, da leggere e rileggere.
Sottolineature a penna:
Un libro che hai letto e ti è rimasto impresso per molto tempo
Sottolineare i libri in genere ma a maggior ragione a penna è una cosa che non farei mai, neanche sotto tortura. Sono convinta anche che i libri vadano vissuti in un altro modo, ma ognuno è libero di viverli come vuole.
Se penso ad un libro che continua a dilaniarmi dentro è sicuramente Un uomo di Oriana Fallaci. Ve ne avevo già parlato ma è uno di quei libri che non possono lasciarti indifferente. La Fallaci racconta la sua storia personale, storia che si intreccia alle vicende del simbolo della resistenza greca Alekos Panagulis. Non è solo una storia d’amore, è la storia di un uomo che non si piega, che non si lascia corrompere, che non si fa fermare neanche dall’amore che prova per la sua donna. Alekos è uno spirito che mi ha lasciato un senso di profondissima ingiustizia, mi ha raccontato di un mondo che soffre, di gente che non è libera, che si consuma per la lotta per la libertà. E la Fallaci non edulcora, racconta i fatti nudi e crudi con una lucidità disarmante e allo stesso tempo condita da tutto il potere del dolore.
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Salta pagine:
Un libro che ti annoia
Questa in realtà è una cosa che faccio se il libro che sto leggendo mi annoia molto. Il “bla bla bla” fine a sé stesso mi annoia molto, saltare righe o intere pagine mi viene naturale. Se la scena è statica lo si può fare senza grosse perdite, a mio avviso.
Un libro che mi ha annoiata tantissimo è The Giver di Lois Lowry che devo dire la verità, mi sono davvero pentita di avergli dedicato un intero Read Along. Mentirei se dicessi che si tratta di una storia illeggibile, mentirei anche se dicessi che non mi è piaciuta affatto. È una storia che apre gli occhi su quello che potrebbe succedere e che è molto interessante ma che mi ha lasciata molto indifferente. Penso che il problema sia da ricondurre allo stile della Lowry molto semplice, incerto e senza fronzoli. Mentirei se vi dicessi che mi ricordo qualcosa.
Libraccio:
Un libro che hai regalato o venduto perché non ti è piaciuto
Devo dire che vado spesso da Libraccio e dare una nuova vita ad un libro nella mia libreria non mi disturba affatto ma non ho mai usufruito di questa possibilità.
Ma Il ponte di argilla di Markus Zusak mi fa venire voglia di approfittarne. La storia di un ponte che cerca di superare le distanze fisiche ed emotive di una famiglia, il ritratto cristallizzato di scelte sbagliate e avventure azzardate e i tentativi di ricostruire i rapporti sfilacciati di uomini stanchi ma non sconfitti. Ma per me è decisamente no. Troppo lenta, troppo inconsistente, troppo incerta.
Wikipedia:
Un libro che avresti voluto leggere sotto forma di riassunto
Questa è la tecnica che adotto per capire se un libro su cui sono in dubbio vale la pena. O per andarmi a spoilerare l’ennesimo libro di una serie che sono certa che non leggerò mai più.
Potessi tornare indietro non leggerei mai Someday, Someday, Maybe di Lauren Graham e nonostante la adori come attrice (indimenticabile il suo ruolo Lorelai Gilmore #GilmoreGirlsForever) come scrittrice è assolutamente un no.
Spoiler:
Un libro che ti è piaciuto talmente tanto da raccontarlo troppo
Chi segue questi lidi da un po’ sa che io seguo una ferrea campagna antispoiler che è quasi valsa l’espulsione di Mirya dal suo stesso gruppo, i Trentatré Anonimi. Tutto tranne gli spoiler, questa è una regola aurea, sempre.
L’unica eccezione che forse non segue questo diktat è l’entusiasmo che mi travolge quando cerco di riassumere L’Ordine della Spada, ma Black Friars tutto, di Virginia de Winter (da quanto non lo nominavo in un book tag? Sono stata brava no? MA DOVEVO CITARLO ORA!). Una storia straordinaria che unisce azione e romance, scene strappasospiro e ansia vertiginosa in un cumulo di sentimenti autentici e un worldbuilding esemplare che fa da apripista ad una saga emozionante e coinvolgente. Personaggi ben caratterizzati, una scrittura ricca e armoniosa, contribuiscono a rendere indimenticabile “L’Ordine della Spada” e la lunghezza non si sente, seppellita tra combattimenti e riti, abbracci e lacrime, moti d’orgoglio e confessioni in piena notte. E poi, vabbé AXELUCCIO MIO ADORATO, lo devo proprio nominare?
Wishlist:
Un libro che hai in wishlist da troppo tempo e ancora non hai letto
La mia wishlist è un antro oscuro, in cui preferisco non entrare perché rischio di non uscirne mai più. Non scherzo quando dico che tra un po’ devo scegliere se dormirci io o lasciare solo i libri nel mio monolocale. Sono una accumulatrice seriale, di quelle serie, ma ovviamente questo non mi impedisce di comprarne ancora e ancora.
Comunque prendendo il piumino della polvere posso dire con una certa sicurezza che La riva delle sirti di Julien Gracq edito da L’Orma editore (si andrò a stalkerarli al Salone) giace da un po’ nella pila. Lo devo leggere perché sono estremamente incuriosita dall’atmosfera distopica, “opera che tra Storia e mito racconta la decadenza e la rovina di un'intera civiltà. Una guerra ormai sopita, eppure mai ufficialmente conclusa, tiene in scacco da trecento anni la fittizia repubblica di Orsenna, ricca di tradizioni e povera di futuro. L'attesa - questa paralisi della speranza - consuma la vita di Aldo, un giovane dell'aristocrazia cittadina piombato dagli agi e dalla spensieratezza della capitale alle sperdute e silenti lande di una sonnecchiante frontiera.”. E niente ADORO!
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Acquisto compulsivo:
L’ultimo libro che hai comprato
Faccio copia e incolla da sopra? Direi di si… Accumulatrice seriale di libri potrebbe essere un titolo esaustivo per la mia persona.
L’ultimo libro che è entrato in mio possesso in realtà è ancora nelle mani della mia fida Lorena di Petrichor che ha recuperato per me una copia di Lingua Nera di Rita Bullwinkel edito da Black Coffee che veniva presentato proprio oggi al Salone. Vi ricordate che sarei dovuta andare nel pomeriggio, ecco appunto. Lavoro, lavoro, lavoro. Comunque si tratta di una raccolta di racconti, in cui “i corpi si trasformano in oggetti e gli oggetti in corpi, dando vita a qualcosa di affascinante e inspiegabile, sempre in bilico tra reale e surreale. Normali scene di vita quotidiana si popolano di spettri, medium e chiese carnivore rievocando umanità e calore attraverso il grottesco.” Una figata pazzesca, spero.
Pregiudizio:
Un libro che non ritenevi all’altezza e invece ti ha stupito
Cerco sempre di aprire un libro con una mente avulsa da qualsiasi tipo di pregiudizio ma è inevitabile che mi faccia condizionare anche io, in fondo siamo umani.
Però ne La canzone di Achille di Madeline Miller mi ci sono buttata senza sapere niente e soprattutto senza grosse aspettative e invece mi ha sorpreso proprio un sacco. Un ritratto incredibilmente affascinante di un eroe ma soprattutto di un amore che supera i confini del tempo per approdare nell’olimpo dei ricordi. Un retelling che supera i confini dell’epica e parla direttamente al cuore del lettore. Achille e Patroclo sono proprio due tatoni. “La canzone di Achille” diventa l’esempio perfetto per una lettura con una codifica differente di un racconto sentito più e più volte e che in fondo ha poco a che vedere con il contesto originale.
Macchia di caffè sulle pagine:
Un libro che avresti scritto in modo diverso
Questa cosa per fortuna non mi è mai successo, sono certa che avrei pianto tutte le mie lacrime se fosse accaduto. Tra l’altro il caffè è uno dei miei piaceri, irrinunciabile. Una botta di vita che amo alla follia.
Un libro con una bella intuizione alle spalle ma che poi a livello di trama non regge niente e quindi avrei riscritto, almeno nella seconda metà è Vox di Christina Dalcher. Una distopia angosciante e cupa, che toglie la voce per provare a restituirla amplificata, in un vortice di resistenza e consapevolezza. Non sempre convincente, ma di sicuro con delle ottime intenzioni. Le distopie al femminile mi hanno sempre affascinato tantissimo, perché danno uno spaccato tanto terribile quanto necessario sul mondo così come lo stiamo vivendo oggi. Ma questo libro manca di sostanza nel worldbuilding e quelle fondamenta su cui gli aspetti distopici dovrebbero propagarsi e convincere.
Come avreste risposto a questo book tag?
Condividetelo con me nei commenti.
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italianaradio · 5 years
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DCEU: i segreti nascosti nei costumi DC al cinema
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/dceu-i-segreti-nascosti-nei-costumi-dc-al-cinema/
DCEU: i segreti nascosti nei costumi DC al cinema
DCEU: i segreti nascosti nei costumi DC al cinema
DCEU: i segreti nascosti nei costumi DC al cinema
Negli ultimi anni, gli eroi DC che sono arrivati al cinema nel DCEU non hanno goduto sempre di una buona accoglienza da parte dei fan e non tutti hanno avuto un trattamento adeguato da parte dei filmmaker che hanno raccontato le loro avventure.
Quello che però non si può certo negare è la perizia con cui gli artigiani dietro a questi film e personaggi, dai costumisti, agli scenografi, fino ai truccatori, hanno lavorato minuziosamente per svolgere al meglio il loro lavoro, regalando ai fan tanti piccoli preziosi dettagli su cui rimuginare. Di seguito, infatti, potete trovare 10 piccoli segreti e accorgimenti nascosti dentro ai costumi degli eroi del DCEU:
Jonny Frost
Sono proprio i piccoli dettagli che possono aggiungere spessore ai film, soprattutto quando si tratta di portare al cinema personaggi che appartengono ad un altro mondo e regalare ai fan dei fumetti elementi in più da ricercare e notare. In Suicide Squad di David Ayer, Joker è assistito dal suo braccio destro, anche se il suo nome non viene menzionato nel film.
Tuttavia, gli spettatori con la vista aguzza sono stati in grado di notare un adesivo dell’esercito sul costume del personaggio che lo ha identificato come Jonny Frost, che in realtà ha un ruolo significativo come narratore in Joker, la graphic novel di Brian Azzarello e Lee Bermejo. Si tratta di un piccolo dettaglio che ha gettato una luce sul lato oscuro del DCEU, appena esplorato in Suicide Squad.
Il guardaroba di Joker
Parlando del Joker di Jared Leto, mentre la sua interpretazione del Clown Principe del crimine ha molto diviso i fan, il reparto costumi ha lavorato davvero bene con il personaggio, realizzando tutti abiti che avevano a che fare con un particolare momento del personaggio nei fumetti.
Alcuni degli abiti di Joker più iconici del film includono la sua giacca appariscente e la camicia viola di The Dark Knight Returns, il suo look in smoking con guanti bianchi richiama l’iconico dipinto di Joker e Harley di Alex Ross che è stato omaggiato nel film, e persino il soprabito viola che Joker indossa è una versione più vistosa del suo solito abito viola.
L’origine di Katana
Uno dei personaggi meno sviluppati del Suicide Squad di David Ayer è stato quello di Katana, che nel film arriva ad azione già iniziata e salva la squadra grazie alle sue abilità. Nonostante il ruolo marginale, i costumisti sono riusciti a includere nel suo costume più storia di quanta ne abbiamo vista effettivamente raccontata sul grande schermo.
Mentre apprendiamo parte della sua storia con suo marito e la sua mistica lama Soultaker, piccoli dettagli, sulle maniche del suo costume raccontano storie del suo amore perduto e una promessa millenaria, dettaglio che sarà sicuramente passato inosservato agli spettatori distratti!
La divise dei corpi ausiliari femminili
Mentre il design del costume di Wonder Woman e il resto delle Amazzoni è pieno di dettagli interessanti e potrebbe essere considerato un corso di design nella costruzione del mondo di supereroi, sembra molto più interessante osservare il costume che Diana indossa quando si fonde con gli uomini mortali e indossa la divisa da ausiliaria.
Diana ovviamente non era interessata ai soliti indumenti femminili, con corsetti e crinoline, quindi quando i designer cercava ispirazione per il suo costume, hanno cercato l’ispirazione per le giacche di alcune delle prime donne militari che hanno prestato servizio nel Corpo femminile ausiliario.
L’armatura di Atlanna
In Justice League, abbiamo avuto modo di vedere per la prima volta Atlantide, ma è stato solo con Aquaman di James Wan che i fan si sono davvero immersi nel regno sottomarino. Mentre il design di Atlantide è stato influenzato dalle Scatole Madre (ne parleremo più avanti), i designer hanno anche guardato alla natura per incorporarne i motivi in ogni aspetto della cultura atlantidea.
Uno dei migliori esempi si vede nell’armatura atlantidea di Atlanna. La madre di Aquaman appare per la prima volta nella sua armatura azzurra che, ad un esame più attento, rivela un disegno esagonale in patchwork che è influenzato dalla precisa forma esagonale che in natura si trova nel corallo. Un riferimento affascinante.
La tuta di Shazam
I costumi dei supereroi hanno fatto molta strada dai serial cinematografici che hanno dato vita a Batman e Superman negli anni ’40. Innovazioni come la stampa 3D hanno cambiato il modo in cui vengono realizzati i costumi e consentono di aggiungere al costume stesso piccoli dettagli che potrebbero passare inosservati al cinema.
Per Shazam, i costumisti hanno stratificato un glifo greco sul tessuto del costume, aggiungendo texture in tale da richiamare le radici del personaggio. Il glifo greco è stato quindi incluso, in forma più grande, come una rifinitura in oro sull’orlo di mantello e cappuccio, il che ha contribuito a rendere omogenei i vari elementi di design.
Il bottone con Mr. Tawny
Il glifo greco non è l’unico elemento che fa riferimento alla storia di Shazam, in quanto il costume presentava una coppia di bottoni attaccati al mantello con un’interessante caratteristica di design. Nei fumetti, Shazam presenta una rosa di personaggi molto varia, e tra questi c’è una tigre magica parlante di nome Mr. Tawny.
Se si osservano attentamente i bottoni cerimoniali sul costume di Shazam, sì può vedere chiaramente l’immagine di una tigre a decorazione. Questo è un omaggio al personaggio che sarebbe stato difficile inserire nel film per via del fatto che era troppo distaccato dalla realtà per risultare omogeneo.
Le iscrizioni kryptoniane
Abbiamo già visto simboli nascosti inclusi nei costumi di Superman, ma anche Zack Snyder ha avuto una richiesta particolare da fare a Michael Wilkinson, costumista di Batman v Superman: Dawn of Justice, per il costume del suo Superman.
Il costume di Superman presenta una trama stampata in 3D, ma Wilkinson ha incluso nel costume delle linee di scrittura kryptoniana. L’inserto può essere visto al meglio sulla fascetta dorata sui fianchi del costume. La citazione è di Joseph Campbell, sebbene sia stata tradotta in kryptoniano dal team di progettazione. “E dove avevamo pensato di essere soli, avremo tutto il mondo al nostro fianco.”
La tuta di Flash del futuro
Sebbene non sia necessariamente un dettaglio nascosto, i fan potrebbero aver facilmente trascurato il fatto che il Flash visto da Bruce Wayne nel suo incubo in Batman v Superman: Dawn of Justice indossa un costume molto diverso da quello che indossa in Justice League.
Poiché questo Barry Allen viene presumibilmente dal futuro, il suo costume corazzato ad alta tecnologia riflette alcuni cambiamenti nel suo guardaroba. Non riusciamo a vedere molto bene il design reale della tuta, ma ha una sorprendente somiglianza con un’armatura vista nel videogioco Injustice 2, in cui il mondo è governato da un malvagio Superman.
Le Scatole Madre
Abbiamo precedentemente detto che le Scatole Madre hanno influenzato i design di Atlantide, e lo stesso si può dire per le altre razze della Terra che hanno tenuto nascoste le Scatole Madre per anni, come apprendiamo in Justice League. I design di entrambi i primi uomini e le Amazzoni, sono stati tutti ispirati dall’aspetto delle loro “personali” Scatole Madre.
Tutto è iniziato con il concept art delle Scatole Madre che presentava differenze che riflettevano l’ambiente in cui erano conservate, che a sua volta avrebbe continuato a influenzare l’evoluzione del design all’interno di quegli ambienti e dei personaggi che in essi interagivano, in un ciclo continuo di rimandi.
Cinefilos.it – Da chi il cinema lo ama.
DCEU: i segreti nascosti nei costumi DC al cinema
Negli ultimi anni, gli eroi DC che sono arrivati al cinema nel DCEU non hanno goduto sempre di una buona accoglienza da parte dei fan e non tutti hanno avuto un trattamento adeguato da parte dei filmmaker che hanno raccontato le loro avventure. Quello che però non si può certo negare è la perizia con […]
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Chiara Guida
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veronica-nardi · 4 years
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When the camellia blooms
"Siamo tutti plasmati dalle nostre esperienze passate."
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Avevo delle buone aspettative riguardo questo drama, perché a parte la lentezza non avevo sentito parlare di altri difetti, ma comunque pensavo che fosse solo una storia romantica contornata da qualche riflessione profonda, e invece When the camellia blooms mi ha stupita.
Intanto ignoravo completamente l'esistenza di una parte thriller all'interno della storia, e questo ha solo reso il tutto più intrigante ed inquietante, e poi lungi da me aspettarmi uno scenario realistico così triste, crudo, eppure carico di calore e di speranza.
A livello emotivo, questa serie mi ha dato moltissimo. Sarà di certo una delle mie serie preferite dell'anno.
Inoltre, ad essere sincera, questa lentezza di cui avevo sentito parlare io personalmente l'ho percepita davvero poco. Forse perché mi sono maratonata il drama divorando un episodio dietro l'altro. Ma comunque non penso che sia lenta, penso che si sia presa il suo tempo per dare il meritato spazio alle tematiche affrontate.
Questa serie dà voce a dei personaggi complessi e meravigliosi, protagonisti di vite tragiche e travagliate, e trovo giusto che abbiano ricevuto tutto lo spazio per raccontare al meglio le loro storie.
La protagonista di questa serie è Dong Baek, una madre single di un bambino di otto anni che deve affrontare i pregiudizi e le malelingue della gente. Io ero convinta che la serie parlasse solo di lei e del lead che si incontrano e si innamorano, sfidando la società, punto. Non avevo nemmeno preso in considerazione, ad esempio, la presenza del padre del bambino. E oltre a lui la serie mette in scena alcuni personaggi sì secondari, ma caratterizzati bene, con una buona evoluzione o introspezione.
Le storyline raccontate sono uno dei punti forti della serie: storie tristi, umane, tragiche e realistiche. I personaggi sono umani nel bene e nel male, forti e deboli, determinati e vulnerabili.
La protagonista è stata un ottimo personaggio ben caratterizzato e approfondito, che compie un'evoluzione ma che rimane umana nei suoi momenti di crollo. Adorabile e sfaccettata, mi è piaciuta un sacco.
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E come non adorare il lead? Anche se più semplice come personaggio rispetto a lei, tra la forte scrittura del personaggio e una genuina recitazione, Yong Shik non è affatto rimasto nell'ombra.
Tra i personaggi secondari vincono il podio la madre della lead, il bambino, e la cameriera del bar Hyang Mi, tre personaggi che mi hanno spezzato il cuore in più momenti per motivi diversi.
Questi sono quelli che ho preferito io, ma cito anche Kang Jong Ryul e Noh Gyu Tae per le loro belle evoluzioni.
Bella e commovente la bromance al femminile tra Dong Baek e Hyang Mi (un personaggio a cui non avrei dato due lire, e invece... wow!).
La recitazione è ottima (un applauso al bambino!!), così come la chimica tra i due protagonisti, che hanno dato vita a una bella e difficile storia d'amore, scritta e costruita molto bene. Belle anche le ost.
When the camellia blooms dedica molto spazio alla figura della madre: Dong Baek, sua madre, la madre del lead, Hyang Mi (praticamente una madre per il fratello), sono tutte donne che hanno compiuto grossi sacrifici, che sono "morte dentro", per i loro figli. La serie ci mostra, raccontando il tutto in modo realistico e convincente, che nel momento in cui hanno figli, queste donne diventano innanzitutto delle madri, l'essere donna viene dopo. A volte smettono di essere donna, smettono di essere Dong Baek, Jung Sook o Duk Soon, e sono solo delle madri che non si fermano mai, non si stancano mai, non si ammalano mai. Diventano le "avengers" dei loro figli.
Riguardo il villain, qui si entra nella parte thriller, cosa che mi ha ricordato molto Strong Woman, ma questo penso che sia stato approfondito un po' meglio rispetto al killer di Strong Woman. Comunque non lo vedo nemmeno come il vero villain della storia, il vero villain è la crudeltà della vita.
Grossi difetti non riesco a trovarne. Il finale è un po' favolistico (ma super commovente, ho pianto un sacco), ma dopo perdite e tragedie direi che ci stava.
Ho anche notato (e non so se è una mia impressione), che negli ultimi episodi ci sono stacchi troppo repentini tra una scena e un'altra: più di una volta ho visto una scena molto intensa ed emotiva, e un secondo dopo - letteralmente un secondo dopo che i personaggi avevano finito di parlare - partiva la scena successiva, con io magari ancora in lacrime che dovevo processare e riflettere su quanto appena detto.
E poi ci sono certamente quelle assurdità o forzature di trama presenti in tutte le serie di questo mondo (tipo il lead che conduce le indagini praticamente da solo mentre il resto della polizia pare idiota), ma in questo caso sono cose piccole e preferisco guardare al quadro generale e a cosa la serie ha voluto raccontare.
Punteggio: 8.5
Spoiler
3
2
1
Dong Baek e Yong Shik
"Si può diventare il miracolo di qualcuno?"
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Li ho amati entrambi, sia come singoli sia come coppia.
Tra i due, lei è di certo quella caratterizzata meglio, perché è più sfaccettata, approfondita, complessa. È stata un personaggio per me molto particolare fin dall'inizio. Timida, ferita e perdente, ma capace di travolgere con la sua schiettezza. Non è una badass alla Jang Man-wol di Hotel del Luna, ma trova comunque il coraggio di rispondere a modo suo, e nel corso del tempo acquista forza e sicurezza, trova l'amore, diventa più sciolta, matura e combattiva.
È di certo uno dei personaggi più sfigati che abbia mai visto:
- padre morto
- povera in canna
- abbandonata a sette anni dalla madre
- cresciuta in orfanotrofio
- mal vista da tutti
- le sue due uniche amiche uccise dal serial killer
- perseguitata dal serial killer
- la madre del suo amato contraria alla relazione
Ero pronta ad aggiungere alla lista "madre con demenza senile", o "madre malata in punto di morte", ma per fortuna la prima si è rivelata una bugia e la seconda si è risolta per il meglio.
La scrittura di un personaggio così sfortunato può piacere o meno, ma è innegabile che Dong Baek sia un personaggio con una psicologia realistica e sfaccettata.
Dong Baek è stata abbandonata da sua madre quando era piccola, e questo l'ha influenzata per tutta la vita. Si è sempre sentita una perdente, ha vissuto una vita da miserabile. Anche quando stava con Kang Jong Ryul, viveva una vita triste, come se fosse annullata: mentre lui andava avanti con la sua vita e conquistava il successo, la vita di Dong Baek rimaneva ferma, priva di interessi o sogni personali.
Poi ha incontrato Yong Shik, ed è poetico pensare che questo incontro sia stato il miracolo che l'ha salvata, ma mi è piaciuto molto quando nel finale Dong Baek afferma di credere in se stessa più che nel destino.
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Ma Yong Shik è stato davvero una benedizione per lei, che per tutta la vita si è sentita sminuita e umiliata, con lui si è sentita importante e preziosa per la prima volta. Tutte le attenzioni e i complimenti di lui, l'hanno in parte aiutata a cambiare.
Dong Baek compie un'evoluzione - davvero bella - sia come persona, come figlia e come madre, e adoro come nel corso della serie abbia comunque i suoi momenti di crisi, questo la rende molto umana e realistica.
Una parte che mi è piaciuta un sacco - e che mi ha anche spezzato il cuore - è quando si "vendica" con la madre abbandonandola, esattamente come aveva fatto con lei. La sua rabbia è legittima e realistica, e mi piace come si sia vendicata con la madre con la stessa moneta. Invece di fare la santa, ha dato sfogo al suo rancore, per poi sentirsi in colpa, e anche questo è umano.
Yong Shik è invece un personaggio semplice e divertente, quello che mi ha scaldato il cuore e fatto sorridere per tutta la serie. Incapace di voltare le spalle di fronte a un'ingiustizia, ha finito per fare il poliziotto sempre a caccia dei cattivi.
Non compie una particolare evoluzione come la sua collega, e la sua personalità è decisamente un po' sopra le righe, ma non ho potuto fare a meno di adorarlo per tutto il tempo.
Penso che Dong Baek e Yong Shik siano una coppia ben equilibrata. Mentre guardavo la serie, ho paragonato questa coppia con le coppie di Hotel del Luna e Graceful Family: in questi due casi le protagoniste sono state dei personaggi talmente potenti che le controparti maschili sono finite nell'ombra. O forse erano i lead ad essere troppo deboli.
Qui abbiamo una protagonista profonda, sfaccettata, a tratti cazzuta, che si evolve; eppure Yong Shik è stato talmente adorabile che è riuscito a conquistarmi e non ho mai avuto la sensazione che fosse finito in un angolo.
Riguardo la storia d'amore, l'ho amata.
Tra una storia d'amore che parte con un colpo di fulmine, e una storia d'amore in cui i personaggi si innamorano nel corso del tempo conoscendosi, preferisco la seconda opzione, ma è solo il mio gusto personale. Qui tutto nasce da un colpo di fulmine, ma la relazione va avanti per gradi ed è costruita bene.
La scena della proposta mi ha fatta commuovere come una scema, ed è la mia preferita della serie. Non me l'aspettavo, ero pronta a una rottura, ma sono stata stupida perché dovevo fidarmi di Yong Shik e del suo amore per Dong Baek. Mi è piaciuta molto perché è stata una proposta semplice, naturale e improvvisata, fatta su un letto d'ospedale tra visi stanchi e mani fasciate: l'ultimo contesto al mondo in cui penserei di fare o ricevere una proposta di matrimonio. E quel bacio dato tra malati e feriti, mi ha riempita di gioia e di calore.
Comunque diciamocelo: il vero miracolo sarebbe incontrare un uomo come Yong Shik nella vita reale. Mission impossible.
GLI ALTRI PERSONAGGI
Pil Goo
"Credi che i bambini dormano sempre bene?"
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Questo bambino mi ha conquistato il cuore e me l'ha spezzato in diversi momenti. È un delizioso personaggio che mi è piaciuto fin dall'inizio: furbo e simpatico, infantile e intelligente, un piccolo ometto che si preoccupa dei soldi di casa e che cresce proteggendo la madre.
Ho adorato il rapporto tra lui e Dong Baek. Entrambi sono tutto il mondo dell'altro, per otto anni hanno vissuto insieme loro due da soli, Dong Baek lavorando e Pil Goo proteggendola. Questo ha reso lei una bambina bisognosa di protezione, e lui un piccolo adulto costretto a farsi forza.
Quando nella loro vita entrano altre persone, tutto si sfalda e Pil Goo va in crisi: perché la mamma può sposarsi con qualcuno e lui deve crescere senza un padre? Perché non ha chiesto la sua opinione? Mi ha davvero fatta piangere nei suoi momenti di sfogo, perché tra i vari intrecci degli adulti, lui è l'unica vittima innocente che può soltanto risentirne.
Ricordiamoci che i bambini non sono degli animaletti stupidi che non capiscono le cose perché sono piccoli. Sono più intelligenti di quanto crediamo. Sentono, ascoltano, percepiscono, pensano, soffrono. Credo che soffrano molto di più di quello che immaginiamo.
Ho anche adorato il rapporto sia con Yong Shik sia con il vero padre, che frequenta solo per i giochi e i regali (questo bambino ha capito tutto).
La scena del "l'eroe arriva all'ultimo minuto" è stata semplicemente epica.
Hyang Mi
"Non dimenticarmi"
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Di certo non la dimenticherò. Come potrei dopo che mi ha fatta versare calde lacrime amare?
Come ho detto prima, io a questo personaggio davvero non avrei dato due lire inizialmente. Pensavo fosse superficiale e approfittatrice, e scoprire nuovi lati di lei e la sua storia, mi ha davvero commossa.
Una ragazza abbandonata, ferita, costretta a fare il lavoro sporco per mantenere la nonna in ospedale e permettere al fratello di avere una vita all'estero. Mai stata amata, trova accoglienza, amicizia e comprensione nel grande cuore di Dong Baek, che la prende con sé senza giudicarla e trattandola come una di famiglia.
Una bromance femminile davvero triste per come è andata a finire. Hyang Mi meritava di meglio.
Kang Jong Ryul
"Le persone mostrano il loro vero volto all'ultimo momento."
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All'inizio non capivo cosa avesse fatto di male quest'uomo. Tutti lo odiavano, e io non capivo. Ho compreso continuando a vedere le puntate, quando mi si è presentato un quadro più completo davanti.
All'inizio mi sono chiesta perché Dong Baek fosse sparita senza dirgli del bambino, sparendo dalla sua vita senza una parola. La cosa mi aveva anche dato fastidio. Ma se Dong Baek è stata egoista, Jong Ryul è stato stupido. Perché se la tua ragazza ti presenta un test di gravidanza negativo e il giorno dopo sparisce, come puoi non farti due domande? Come puoi lasciarla andare senza cercarla?
Jong Ryul non era cattivo o un violento, era semplicemente un cazzone troppo concentrato su se stesso, pieno di buone intenzioni e immaturità. Non sa fare il padre, deve imparare. Compie errori e le cose all'inizio non vanno bene con Pil Goo, ma ci tiene davvero ad essere presente e a tenerlo al sicuro.
Bello anche il personaggio di Jessica, una ragazza mai stata amata dal padre e che cerca l'attenzione sui social, creando con essi un rapporto malato. Credo che questo personaggio rispecchi molto la realtà di oggi.
Bella l'evoluzione del rapporto tra lei e Jong Ryul.
Jung Sook (mamma di Dong Baek)
"Quando abbandoni tuo figlio perché sei senza soldi, muori dentro."
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Uno dei personaggi più commoventi della serie, una delle storyline più tragiche.
Abbandona la figlia, finge di avere la demenza senile, le serve un rene. Sono tutti motivi per odiarla ma non sono mai riuscita a farlo. Prima di tutto perché non mi sembrava una persona cattiva, mi stava proprio simpatica e mi faceva tenerezza, e poi ogni cosa si scopre avere una motivazione.
Non ha mai davvero abbandonato la figlia, l'ha sempre portata nel cuore e per anni le è stata vicina anche se Dong Baek non lo sapeva. La demenza senile è stato solo un mezzo per avvicinarsi a lei. Non ha mai voluto chiederle un rene, ha lavorato come una serva per tutta la vita per poterle dare dei soldi.
Non oso neanche immaginare che cosa deve aver passato questa donna. È la vera eroina di questa serie. Alla fine tutti i suoi sforzi sono stati ripagati in quello che è il miracolo della serie.
Qui mi collego a:
Gli abitanti gli Ongsan
"E la sincerità di tutti è stata così forte da separare il Mar Rosso".
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Gli abitanti di Ongsan possono sembrare persone antipatiche e piene di pregiudizi a una prima occhiata, specialmente quel gruppo di comari che sa sempre tutto di tutti. Le vicine di Dong Baek non sono davvero state molto amichevoli all'inizio, ma dopo sei anni passati lì, Dong Baek è finita per diventare parte integrante del paese. È diventata una di loro, ed ecco che gli "avengers" di Ongsan si sono messi in moto per proteggerla.
E come dimenticare l'esilarante scena del linciaggio del killer?
Tutte le brutte occhiate e i maltrattamenti subite da Dong Baek in quanto madre single, mi hanno fatto pensare (in realtà non è la prima volta) a quanto la Corea sia un paese buffo: tecnologia ad altissimi livelli e internet più veloce del mondo, e molto tradizionalista e conservatrice sugli aspetti di carattere umano. L'ho trovata una riflessione molto interessante.
La parte finale della corsa in ospedale per operare la madre di Dong Baek, l'ho trovata piena di calore e di speranza, poetica, emozionante, da favola, struggente e commovente.
SE MI METTETE LE CANZONI DI NATALE IO PIANGO DI DEFAULT, BASTARDI!!!!!!!
Il killer
"Voi fate pure i buffoni, noi saremo sempre in maggioranza"
Come ho detto prima, rispetto al serial killer di Strong Woman credo che questo sia stato caratterizzato meglio, anche grazie alla presenza del padre.
Mi è piaciuto molto il discorso del "fare i buffoni": il killer per tutta la serie intima alle sue vittime di smetterla di essere buffoni, ma Yong Shik vince su tutto quando alla fine gli fa notare che l'unico buffone è lui, e che i buoni avranno sempre la meglio perché saranno sempre di più dei cattivi (forse un discorso da favola, ma dopo tutte le tragedie della serie un po' di speranza ci stava).
Gyu Tae e Ja Young
"Era come se vivessimo insieme perché non si ordina una sola porzione a domicilio."
Non posso chiudere senza dire anche solo due parole su questa coppia. Una maestrina che fa la finta dura e un coglione che ha bisogno di crescere, mi hanno fatta sorridere. Non era l'amore ad essere finito, dovevano solo ritrovarsi.
Bella l'evoluzione di lui, che compie un arco di consapevolezza e maturazione.
Chiudo con questa perla, ammirare lo stile di quest'uomo:
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agnestiggs · 5 years
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Cos’è il copywriting e qual è la sua funzione principale?
Signore e signori, è giunto il momento di conoscere il nostro caro amico Copywriting… (che non deve essere confuso con il copyright, perché è proprio un’altra cosa).
Per imparare quest’antica arte, basta un pezzo di carta (qualsiasi pezzo di carta) e una penna.
Anche se a prima vista semplice, il tema è tutt’altro che facile.
Il motivo? Tutti pensano di sapere cosa sia, ma molti non fanno altro che banalizzare questa tematica, o peggio, la considerano inutile. C’è poi il gruppo di persone che lo confonde con il copyright, e in quel caso alzo solo le mani al cielo e non aggiunto altro.
Posso provare a capire tutti coloro che considerano questo tema inutile, ma solo se sono soggetti convinti di vivere in un diverso periodo storico, come gli Anni ’60 magari. In quel periodo fare pubblicità era davvero molto costoso, e quindi si trattava di un’attività che in pochi potevano prendere in considerazione. Oggi invece con Internet, Facebook e altri social network, possiamo affidarci a un advertising copywriter, per creare promozioni con 10 euro, e attirare un importante bacino di utenti. Ma, prima di approfondire il concetto, partirei proprio dalle basi!
Copywriting, definizione: Inizia da qui
Se volessi partire dalla formulina magica, potrei dirti che copywriting è l’abilità di scrittura che permette a una persona di “influenzare” e incuriosire un gruppo di persone, al fine di far compiere loro un’azione.
Attenzione ho detto influenzare, non manipolare. Mi piace però definirla come un mezzo di persuasione, nel senso più positivo del termine. Pensiamo spesso che la persuasione sia qualcosa di negativo, che preveda una manipolazione delle cose per portare qualcuno o qualcosa verso la tua direzione. In parte è vero, ma non vi è nulla di negativo nel farlo, ma piuttosto una capacità di incuriosire e incentivare gli altri. Questo discorso vale chiaramente per il settore pubblicitario, come ho già spiegato poco fa. Con il copywriting persuasivo (podcast), si va quindi a riorganizzare le parole per riuscire a ottenere il meglio da una vendita. Anzi, lasciami dire che è davvero una forma scritta di vendita, che va ad arricchire il web marketing.
Chi svolge queste attività? Il copywriter? E la figura del copywriter cosa fa? Supponiamo che questa figura mitologica debba scrivere 5 mail per invitare gli utenti a comprare e interagire con un dato prodotto venduto da un’azienda. Scrive 5 semplici e-mail e sai che accade? Niente. Una beatissima mazza di niente! Perché? Perché ha sbagliato a comunicare.
Se io scrivo: “Da lunedì ci sono le promozioni nel negozio ‘Bella Angelo’”, ma chi vuoi che mi prenda in considerazione? Provando invece con qualcosa di più profondo e persuasivo, con il classico messaggio che “chiama all’azione”, sicuramente stimolerò almeno un utente su 3. Qualcosa del tipo:
“Hey, hai programmi per lunedì prossimo? Non perderti le nuove gustosissime promozioni di ‘Bella Angelo’. Ne vedrai davvero delle belle: ti aspettiamo in negozio!”.
Pur restando un esempio molto generico, (poiché non ho stabilito e quindi detto che tipo di prodotto vendo e che tipo di promozione effettuo), parlo direttamente al lettore e lo coccolo. Ecco, il copywriter deve rendere meno “noioso” un messaggio pubblicitario.
Come diventare copywriter
Se vogliamo ottenere un buon copywriting, dobbiamo cercare chi lo crea, chi lo realizzerà per noi in modo preciso e incisivo.
Cerchiamo un giornalista? NO.
E allora cerchiamo un mago? ANCHE NO.
Un romanziere forse? MANCO PER FINTA.
Il nostro professionista solitamente lavora con un’agenzia pubblicitaria, oppure è un freelance che si appoggia a diversi clienti e che è sempre ben aggiornato, perché deve conoscere le costanti novità di questo lavoro.
Io mi occupo spesso di copywriting per i miei clienti ma attenzione a chiamarmi web editor! Perché rispetto a lui, un copywriter non si occupa di creare grande mole di contenuto testuale. Deve dire ciò che serve, magari in merito a un servizio o un prodotto e lo deve fare con parole giuste (e senza essere troppo prolisso). Insomma servono le giuste parole e il giusto target.
Per diventare un copy, dovrai seguire una serie di passaggi fondamentali (e non semplicissimi) che sono alla basse di questa professione.
Se non hai mai avuto modo di lavorare nel settore comunicazione, il consiglio è quello di iniziare con i corsi di copywriting (come questo gratis che metto a disposizione),  per migliorare la tua abilità creativa;
Realizza un tuo portfolio e crea qualcosa che possa attirare l’attenzione dei clienti;
Cerca un lavoro o fai uno stage presso un’agenzia comunicativa;
Devi avere buone conoscenze della lingua e grammatica italiana, delle scienze della comunicazione;
Migliora il tuo personal branding, e aiuta chi ti contatta a capire di te tutto ciò che serve per proporti un lavoro.
E l’SEO? Non dimenticarti di lavorare anche sull’ottimizzazione, così potrai conoscere tutto ciò che serve per essere competitivo al 100%. Nessuno già presente sul mercato da anni potrà spaventarti, perché a fare la differenza è la tua conoscenza completa dell’argomento.
Arrivare ad affermarsi non è immediato, ma se questa è la tua strada, è giusto faticare per arrivarci! Un copywriting efficace, è come una bella macchina: fa veramente la differenza!
Lavorare come copywriter non è da tutti!
In sostanza si lavora con ragione, creatività e parole. Già, le parole, senza quelle questo tipo di professione non potrebbe esistere, e oserei dire che l’intero mondo del web marketing potrebbe non essere lo stesso. Pensa a tutti i neolaureati, magari creativi che hanno una passione per la scrittura e vogliono tentare la strada del copywriting. Ma c’è una cosa che ho sentito dire una volta, quando mi trovavo in Inghilterra, e mi ha davvero illuminato. “Non basta saper scrivere per essere un copywriter”. Ho ancora i brividi!
Insomma non tutti quelli che suonano sono musicisti, o non tutti i bravi cuochi sono chef. Di solito solo i bravi pirla diventano cretini, ma quella è una categoria a parte credo, e non legata alla professione!
E’ vero che se vuoi scegliere la via del copywriting devi saper scrivere e devi amare la scrittura, ma devi anche usarla bene. Ogni penna ha le sue sfumature: devi solo imparare a riconoscerle le tue. Quindi, nel dubbio, se non sai da dove iniziare, inizia a scrivere. Fallo in modo creativo, fallo pensando a quello che VUOI dire, che PUOI dire e che DEVI dire. La creatività è una di quelle cose che si insegna per mezzo di speciali tecniche, ma che spesso si coltiva dentro le persone.
Sei in cerca di lavoro copywriter? Ci sono alcune cose che devi imparare a considerare rispetto al tipo di ragionamento che verrà fatto da un’azienda che cerca un professionista. Ci sono diverse cose che si chiederanno prima di considerare il tuo CV:
Che scuola hai fatto e come ne sei uscito;
Le esperienze di lavoro svolte;
La presenza di una pagina Facebook attiva;
Per chi hai lavorato;
Esempi del tuo lavoro.
Ecco perché ti ho parlato di corsi prima, perché se davvero vuoi essere preso in considerazione non deve mai mancare l’auto-formazione. Se ti interessa sapere come scrivere parole che vendono, puoi seguire il mio corso gratuito per incrementare prima di tutto le tue conoscenze di copywriting. Nello specifico mi concentro sulle le tecniche di scrittura persuasiva, per attrarre i lettori e trasformarli in clienti. Perché avere delle basi da marketing copywriter è sempre importante se vuoi arrivare in alto!
Copywriting persuasivo: udite, udite!
Riesci a coinvolgere una persona senza essere troppo pressante e invasivo? Alla fine, la chiave del successo in questo campo è proprio quella! Non devi diventare uno spammatore seriale (che già detta così non suona bene eh!), perché non puoi sempre e solo chiedere qualcosa in modo avido. Devi avere la voglia di conquistare chi hai davanti, andando a ridurre al minimo la pressione.
Ti ricordi le famose 5 e-mail che dovevamo scrivere a inizio articolo, per invitare gli utenti a interagire con un prodotto? Se hai queste nozioni base, potrai riuscire a coinvolgere e dare qualcosa di te, di ciò che devi proporre senza essere pesante. Applica sempre la voglia di fare, inserisci un pizzico di ironia e umiltà nel redarre le cose. Gli utenti devono avere la sensazione che il tuo sia un vero aiuto, e non un obbligo a fare qualcosa.
Vedrai che da quelle 5 mail nascerà qualcosa di bello, con persone che iniziano a interagire e rispondere, fino a ottenere un ottimo tasso di conversione. Le vendite aumentano e tu hai acquistato il potere del copywriting persuasivo.
Come si riconosce un testo, una pubblicità, uno slogan efficace? Ovviamente dal tipo di impatto che ha, e dalle regole di comunicazione persuasiva che hai usato!
Molte volte non ce ne rendiamo conto, ma facciamo delle scelte di acquisto o lettura, soprattutto sul web, che sono proprio spinte da queste tecniche. Un titolo o uno slogan che sa dire tutto in poche parole, è il modo più efficace per usare il giusto linguaggio. E allora, ogni volta che devi farlo, prova a pensare a questa piccola lista di consigli:
Devi sapere sempre per chi lavori, ma soprattutto dove pubblichi: se lavori via email, piuttosto che sui social network è fondamentale per riuscire ad adattare il tuo stile ed essere persuasivo in modo vincente;
Ricordati il target: devi usare poche parole, ma catturare con attenzione gli utenti. Se punti ai 30enni avrai un approccio ben diversi rispetto ai 60enni, quindi non dimenticare mai chi vuoi avere di fronte a te;
Trova un “problema” da parte dalla domanda di mercato (e quindi gli utenti) e vai a offrire una soluzione.
SEO o non SEO?
C’è un’altra piccola problematica che voglio chiarire, perché alcune persone mi hanno scritto per avere delucidazioni in merito al SEO copywriting. Per prima cosa con il termine SEO parliamo di Search Engine Optimization, ovvero l’ottimizzazione per i motori di ricerca, in primis Google. Il tentativo è quello di essere ben classificati, ma per riuscirci bisogna saper usare al meglio le tue abilità. Questa nicchia del copywriting permette di:
Trovare una parola chiave che vuoi classificare;
Scrivere un articolo su questo tema;
Classificare la parola, quindi il testo e soprattutto il sito nella parte alta dei risultati di ricerca per una data keyword che hai scelto.
Ti farò un esempio per capire come funziona. Abbiamo il nostro amico Angelo (così un nome a caso, per la serie ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale). Angelo ha un’attività che vende cibo per animali. La prima cosa da fare è effettuare una ricerca sulle keywords per cibo per animali, in modo da capire che cosa viene cercato, nello specifico dagli utenti. E si scoprirà così il numero maggiore del volume ottenuto. Il risultato della ricerca può portare Angelo a scrivere un articolo completo in merito al “Miglior cibo per animali domestici”.
Quindi bisogna parlare dei prodotti, suggerire le loro caratteristiche e che tipo di benefici possono offrire a cani e gatti. Ma attenzione, se anche tu sei un Angelo in cerca di idee, devi sfruttare il copywriting per riuscire a rendere il tuo post come il numero uno, quello completo che potrà così scalare ogni classifica di mister Google. Considera che quest’ultimo, è molto cambiato nel tempo. Agli inizi del 2000 era possibile realizzare anche degli articoletti “spazzatura”, inserendo solo le parole chiave giuste e via, era praticamente automatica la possibilità di essere notati. Oggi no! Anche i motori di ricerca come Google sono diventati intelligenti, e allora devi farti furbo anche tu! Perché Google non sopporta lo spam, ma adora i contenuti ricchi e profondi, che invitano alla riflessione.
Angelo ha scritto un testo perfetto sul cibo per animali: ci sono caratteristiche, consigli, esempi, immagini e istruzioni per l’uso. Praticamente il numero uno dichiarato (sì, la modestia sempre prima di tutto)! Ci sono tutti i link giusti al momento giusto e alla fine Google lo nota.
Quindi la morale qual è? L’SEO copywriting, se usato bene, ti assicura di fare grandi numeri, ma richiede anche un sacco di sforzi per rendere i tuoi articoli i migliori del web.
Copywriting a risposta diretta
Il copywriter a risposta diretta è colui che, con il suo testo scritto, deve scaturire una risposta in termini di marketing. Quindi opera su vendita, richieste di informazioni e molto altro ancora. Se mal gestito, lo scritto può causare cambiamenti sulla percezione di un prodotto o di un’azienda e quindi sul posizionamento nel mercato. Insomma non è una caramella alla menta, è un’altra nicchia importante del copywriting.
Supponiamo allora che il nostro già citato amico Angelo che ha scritto di cibo per animali, voglia raggiungere il pubblico lavorando su un ampio raggio d’azione. Fino a qualche anno fa si lavorava con inviti, lettere, giornali e annunci su riviste. Ma oggi? Il copywriting per il web è cambiato e così cambia il modo di gestire ogni lavoro. Stampare lettere, inviti e cartoline (o biglietti da visita per dire) ha un costo. Ed è spesso un signor costo! Qui entra in scena il copywriting a risposta diretta: altro non è che la capacità di aumentare il tasso di conversione degli acquirenti partendo dai tuoi inviti, o flyer.
Problema: Angelo deve spedire 10mila flyer in zona a un costo di 1.350€ (ed è l’opzione più economica!), per avere una stampa fronte e retro. Come si massimizza questa spesa? Bisognerà testare alcune versioni (almeno 2) per capire cosa sia giusto e cosa sbagliato.
COSE DA NON FARE (versione 1): realizzare un flyer con sfondo banale, magari tutto bianco, e inserire solo la scritta “Prova il nostro cibo per animali”, inserendo la via del negozio e il nome del brand. Con un briciolo di fortuna su 10mila volantini, 3 persone risponderanno. Questo vuol dire che (se la matematica non mi inganna!), solo lo 0,03% rappresenta il tasso di conversione.
Il volantino era banale, troppo vago e non indirizzato nel giusto modo!
COSE DA FARE: Angelo ha capito il suo errore, e adesso usa il tuo talento da copywriter a risposta diretta. Studia bene il target per lavorare nella zona in cui opera il suo negozio. Sceglie come pubblico solo le persone che hanno realmente animali e crea un volantino che presenta:
Parte anteriore: l’annuncio di risposta diretta con classico “call to action”;
Sul retro del volantino: un buon esempio di copywriting a risposta diretta, con informazioni, dettagli ed esempio pratico sui benefici dati dal suo cibo per animali.
Chi ha un cane o un gatto, sentirà la voglia di provare qualcosa di nuovo per il proprio amico a 4 zampe e il tasso di conversione aumenta a dismisura, fino a portare a migliaia di euro di profitti.
Per concludere… Ora, pur avendo accertato il fatto che io non sono Angelo che vende cibo per animali, conosco bene in che modo potrebbe funzionare la sua attività.
Se usi bene il tuo talento da copywriter, puoi fare la differenza su più fronti. Questo è incoraggiante, perché se sei un bravo professionista, puoi sicuramente trovare tantissimo lavoro su più settori, e aiutare chiunque a vendere di più. Ma se lo usi male, potresti rovinare il tuo operato, mettendo in crisi qualsiasi attività commerciale!
Quindi pensaci bene, informati e lanciati nella mischia solo quando sai di avere a che fare con un vero professionista.
That’s all folks!
Io vado ad acquistare crocchette, ma tu lascia un commento e dimmi che cosa ne pensi!
P.S C’è chi pensa che il copywriting sia un’abilità ormai inutile visto che il mondo viaggia a colpi di audio, video e poco testo. Tuttavia ci terrei a far notare che solo perché un messaggio è “impacchettato” in un video non è detto che sia interessante.
Quante volte abbiamo mandato avanti un video su Youtube perché palloso? Per di più facendo fatica a trovare il punto che ci interessava? Allo stesso tempo, quante volte ci siamo immersi nella lettura di un testo così bello che le parole facevano vivere in noi le scene del romanzo?
Questo per dire che le parole sono alla base di un testo, ma anche di un audio o di un video così anche di un discorso faccia a faccia. Colorano la conversazione e stimolano le emozioni, che sono alla base di un acquisto in termini di marketing.
Certo se la tua massima aspirazione è quella di diventare influencer e partecipare al Grande Randello, siamo rovinati…
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pangeanews · 6 years
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Luca Doninelli: Discorso sulla fine del Testo e dell’autorità (ma lo scrittore resta un vulcano)
Per gentile concessione dell’autore si pubblica una selezione di brani dal saggio di Luca Doninelli, inedito, “La fine del Testo. Letteratura, media e politica dopo la fine della modernità”.
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[…] Tutte le forme di potere moderno, dalla sempre ambigua democrazia al totalitarismo più rivoltante, hanno sempre gradito cinema e teatro e riempito sale da concerto, teatri lirici e teatri di prosa. Non per una forma di coazione, ma perché l’esistenza di un regime moderno (di qualunque tipo) si regge sulla partecipazione, e il garante di questa azione, del suo valore, non è più un potere personale ma un testo, qualcosa che sta scritto e sta lì. Il potere conquista il consenso offrendo al pubblico uno specchio adeguato di sé.
La nascita di nuovi dispositivi, dalla macchina per proiettare diorami al grammofono, introduce una novità che appartiene, in realtà, anche a molte epoche e contesti precedenti: la possibilità di interrompere il testo. Possiamo bloccare il DVD player, indietreggiare di una scena, avanzare rapidamente, rinviare al giorno successivo.
Per la verità non fu esattamente così per il grammofono (dove l’interruzione comprende sempre il rischio di un danno materiale – per la puntina stessa del grammofono, o per il disco), viceversa è così per il Cd, l’MP3. Non credo di tratti solo di un’evoluzione tecnologica, ma di un mutamento nella domanda che noi rivolgiamo a un dispositivo di riproduzione. Il grammofono è figlio di un’epoca della testualità, il DVD player non più.
In realtà per la letteratura il problema dell’interruzione si è sempre posto in termini non temporali. Un romanzo, lo si legge in un tempo che dipende dalla sua lunghezza, lo si può abbandonare, se ne può saltare una parte o più parti, lo si può riprendere anni più tardi. Per non parlare della poesia, che prevede l’interruzione, la pausa, nella sua stessa struttura. Ma qui è in questione la continuità in un altro senso: nel senso, appunto dell’esser-testo del testo. La sua durata – sia che leggiamo un romanzo d’un fiato, sia che ne interrompiamo la lettura più e più volte – svolge (o svolgeva) la sua unità nella continuità che riusciva a stabilire nel tempo interiore del lettore. A distanza di anni, è difficile ricordare il tempo impiegato a leggere Anna Karenina o Lo straniero, mentre la loro unità, la loro continuità nel tempo interiore risulta evidente per una qualità che non ha un riferimento immediato con la velocità o il tempo della lettura, e nemmeno con l’immedesimazione psicologica che si realizzò al momento della lettura.
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Considerato tutto questo, verrebbe da concludere che l’epoca della continuità si mostri circoscritta nel tempo, e che presenti più i caratteri di una necessità propria dell’epoca stessa che non della forma d’arte rappresentata. Anche un grande disegno – romanzo o poema o affresco o film che sia – acquista la sua forza nel frammento: è nel frammento che si può comprendere se il disegno esiste o no.
La durata di quest’epoca è all’incirca la durata di quella che siamo soliti chiamare modernità, un’epoca caratterizzata non tanto dalle grandi scoperte scientifiche quanto dalla forma del contratto sociale: un contratto dove in luogo della persona del re aveva preso posto il testo. Non a caso è l’epoca delle monarchie prima, e poi delle repubbliche costituzionali. La convivenza è regolata, limitata ma anche sostenuta mediante un testo scritto.
Fa impressione pensare che le ultime comparse importanti della parola “testo” appartengano a opere della crisi, quando cioè il testo perde trasparenza e si presenta nella sua – diciamo così – testualità (textualité) opaca, che non lascia penetrare nulla al difuori di sé stessa, da Monsieur Texte di Mallarmé a quel capolavoro in parte inesplorato che è Le plaisir du texte di Roland Barthes – passando attraverso l’epoca dell’école du regard (e soprattutto di Tel Quel) – dove la stessa insistenza del grande critico-scrittore sul piacere ci indirizza verso un pensiero nuovo, e cioè che alla fine la testualità del testo non esiste, o comunque è essa stessa niente più che un gioco.
Io stesso mi chiedo: quelli che scrivo a Dio piacendo si possono dire romanzi, racconti, saggi, ma posso chiamarli “testi”? La mia esperienza mi rinvia, nuovamente, alla nozione foucaultiana di campo, ossia di luogo dove opera una molteplicità di soggetti che raggruppiamo sotto il termine “autore”.
Io non provo avversione per questo termine, ma sostengo che esso consiste proprio nella sua necessità di essere continuamente ridefinito. Ciò che mi fa “autore” non è lo scriver libri o il girare film, e nemmeno il contenuto di queste cose, bensì ciò che attraverso me si mette in atto, adesso.
Un buon insegnante di scrittura creativa (o anche non-creativa) dà sempre ragguagli sulla necessità che un racconto sviluppi sempre linee orizzontali e linee verticali, trama e ordito, che il “questo” e il “possibilmente altro” rimangano connessi, e così via.
Eppure – proprio come la crisi dell’istituto-famiglia ha prodotto sull’argomento molte opere letterarie e non (dai Simpson a Le correzioni) aventi per oggetto la famiglia, così il tornare a insegnare l’arte della composizione di un testo non può ripristinarne l’ufficialità: proprio quell’ufficialità (che è anche quella dell’orinatoio di Duchamp) è venuta meno con il venir meno dell’età moderna.
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Oggi ci troviamo nell’epoca della fine del testo, o del dopo-testo. Sarebbe curioso fare una campionatura tra giornali, web ecc. e contare il numero delle occorrenze della parola “testo” rispetto a certi composti come “ipertesto” o “sottotesto”. Già la nozione di “sottotesto” ci fa capire che siamo usciti da una certa epoca: fino a qualche anno fa quello che chiamiamo “sottotesto” sarebbe stato considerato per quello che era, ossia una parte del testo. Il sottotesto è il testo, ne è una componente essenziale, tanto che un testo senza sottotesti è così perché è stato voluto così. L’uso odierno, viceversa, presenta il sottotesto come qualcosa di altro dal testo stesso, una deviazione segreta, una strada per pochi capace di immettere in paesaggi-altri. Invece fino a qualche anno prima il paesaggio era uno, il testo era uno, e come tale lo si trattava.
Oggi la parola “testo” indica l’enunciazione come tale, oppure l’enunciato letterale: ogni stratificazione è un’aggiunta, è qualcosa in più rispetto al testo.
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Si perde così l’aspetto politico della letteratura, almeno nel modo in cui l’abbiamo conosciuto finora, che coincide con la sua testualità. Al posto del testo abbiamo nuovi termini, come per esempio “progetto”, diciamo: questo romanzo è parte di un progetto che vado portando avanti da tot anni. L’idea, insomma, che un testo non è solo un componimento retorico ma una realtà politica, un documento sempre in qualche modo ufficiale, un elemento del contratto sociale, si è perso, come in un certo senso si è perso il contratto sociale stesso così come era stato concepito nell’età moderna. Le attuali vicende politiche (scrivo nel 2018), in Italia come in Europa come nel resto del mondo, mostrano un cammino parallelo tra fine della testualità e fine di un’idea generale di contratto (in primis sociale).
Perciò abbiamo bisogno di riformulare non tanto l’idea di Testo, ma il senso della politica.
Oggi l’idea della testualità passa, per esempio, attraverso un (cosiddetto) lavoro di squadra. Il mondo si è riempito di team e di staff. Un testo lo si costruisce insieme, così come si costruisce insieme la vittoria a un campionato mondiale di ciclismo: anche se a vincere è uno solo, essa è sempre il risultato di un lavoro ottimizzato di squadra, tra preparatori, meccanici, direttori sportivi, alimentaristi ecc. Allo stesso modo, basterebbe scorrere l’immancabile pagina di ringraziamenti che ogni romanziere si sente in dovere di apporre alla propria opera per capire che il fenomeno di cui stiamo parlando è generale, e non riguarda solo la letteratura, lo sport, il cinema, ma una vasta gamma di azioni, la grana – direi – dell’agire stesso dell’homo œconomicus.
La pubblicità è il modello-base del testo moderno: breve, indifferente alle interruzioni (e quindi interrompibile ad libitum), ogni secondo viene studiato e analizzato da un team di persone espertissime, e ciò che noi vediamo è il risultato finale. Nei ringraziamenti che quasi sempre compaiono alla fine di un romanzo o di un saggio, specie di una certa dimensione, si fa sempre cenno al fatto che senza Tizio o Caio non si sarebbe mai raggiunto questo risultato – che si suppone stratosferico in quanto realizzato in team. Lo scrittore sensibile non manca mai di rimarcare che i pregi dell’opera sono collettivi mentre gli errori sono soltanto suoi, ma questo fa parte del gioco.
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[…] La mia persuasione è che il romanzo resti necessario per ciò che in esso esclude i dispositivi che regolano la produzione di un testo. Detto altrimenti: non è vero che una storia può diventare indifferentemente film o romanzo o telefilm: non tanto e non solo per ragioni tecniche (certe situazioni sono più adatte al cinema, altre al romanzo ecc.), perché le cosiddette “ragioni tecniche” costituiscono, anzi, un grande stimolo: se fossi un regista mi piacerebbe fare esattamente ciò che non si deve fare in un film. Come tanti modesti scrittori pubblica(va)no romanzi fatti come i film che speravano di realizzare – cosa comprensibilissima, è chiaro -, così si potrebbe dire che la separazione dei generi è fatta per essere violata. Questa storia dovrebbe diventare un romanzo? Bene, noi faremo un film. Questo dovrebbe essere un film? E noi faremo un album rock (importanza storica di The Wall).
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Che tutto questo avvenga è augurabile e auspicabile, sempre. Tuttavia la funzione dello scrittore resta. Può occuparsi di cinema, può scrivere per un serial tv (è il sogno nel cassetto del sottoscritto), ma sa – ne è costretto – che la sede naturale del suo operare è il romanzo.
Può esserne cosciente al 100%, al 20% o allo 0,05%, ma è così. Può diventare il manager di sé stesso, anzi, glielo auguro di tutto cuore (qué viva Stephen King), ma per quanto sia condotto a pensare che, in fondo, fare un film o un serial da diffondere su YouTube o scrivere un romanzo di 400 pagine sia alla fine una questione di scelte tecniche, e pur giungendo a concepire il proprio lavoro come un lavoro essenzialmente di squadra, una cosa non potrà essere cancellata, e cioè il fatto che raccontare non equivale né ad affabulare da un lato né, dall’altro, ad esprimere una visione del mondo. Se fosse tutta una questione di entertainment da un lato e di weltanschauung dall’altro, il romanzo potrebbe sparire e la rilocazione si compirebbe come puro evento spirituale.
Ma così non è. Il romanzo è (se lo è) un dispositivo sui generis – o meglio il prodotto di una serie cangiante di dispositivi facilmente identificabili: quella che 15 anni fa appariva una scrittura prodigiosa rivela oggi i suoi trucchi, a meno che quella scrittura prodigiosa non celasse un vero, profondo malessere che era la sostanza vera dell’opera (penso, come tutti, a David Foster Wallace, o a Carlo Emilio Gadda, due scrittori che sono stati presi erroneamente come modelli di qualcosa che sarebbe dovuto accadere – una nuova letteratura, una nuova scrittura…).
L’oggetto del romanzo non è la visione del mondo, né l’interpretazione della realtà, e nemmeno il nostro bisogno di raccontare/ascoltare storie. Tutto questo non fonda alcuna differenza specifica. E vero: esistono cose che un romanzo non può raccontare e che solo l’espressione del volto di un attore può rendere, così come nessun film si può addentrare nella materia delle cose (o in quella dei sogni) come il romanzo, e questo perché esistono aree dell’esperienza umana che sono soltanto verbali.
Ma questi sono temi tecnici, oppure filosofici, o neurologici, e riguardano lo studio e la definizione delle diverse componenti dell’esperienza. Esiste infatti un’esperienza parlata, o che parla.
Tuttavia la vera ragione per cui i romanzi esistono è che siamo esseri finiti: questa è la differenza di cui lo scrittore è, volente o no, il custode. Questa realtà che le cose finiscono, le storie finiscono, noi finiamo, l’universo è finito, l’ininterrotto non esiste se non in un mondo virtuale mentre quello presente ci appare nel segno della discontinuità, dell’intervallo, dell’interruzione – e noi, che agiamo nel finito, non smettiamo di amare questa finitezza (quest’ultima è un’aggiunta mia personale): questo è il fondamento della differenza nella quale lo scrittore, destituito di ogni autorità/autorialità legislativa e sacerdotale, continuerà a vivere, anche se non scriverà mai un romanzo in vita sua, anche se farà per sempre lo sceneggiatore di serial tv.
Se Chuck Lorre non avesse messo al mondo Sheldon Cooper, The Big Bang Theory resterebbe una sit com come tante: invece si è prodotta un’eccedenza, Sheldon è portatore non solo di risate o di situazioni paradossali ma di un dolore, di una solitudine, di una povertà umana che ce lo fa amare. La sua differenza (un q.i. esagerato, che lo accomuna ai dementi) è fonte di comicità ma anche di pena per ciò che tutti noi siamo. E nasce in qualcuno il sospetto che il q.i. di Sheldon non sia che la metafora di quella differenza nella quale consiste la natura dello scrittore, quel suo non essere mai uguale al lettore che forse lo adora ma che non lo potrà mai capire fino in fondo – non per la sua intelligenza, che è un gioco, ma perché noi non capiamo mai quello che ci appartiene più profondamente. Sheldon è portatore sano di un oscuro romanzo, gli altri personaggi della serie no. Forse Chuck Lorre non ha il coraggio (anche perché ci perderebbe economicamente) di gettare un po’ di luce su quell’oscura storia.
Il romanzo non è più normativo rispetto alle altre arti narrative perché non possiede il Sapere del Testo, anche se ne conserva il piacere. Tale sapere è dissipato, interrotto, discontinuo, e il romanzo ne fa parte come ne fa parte il cinema, la tv, la radio, il web ecc. Ma questa non è una novità, anzi: così facendo il romanzo può meglio appropriarsi della sua natura, o quantomeno farsi ad essa un po’ più vicino.
Dinanzi a un potere tecnologico in grado di dislocare storie, sentimenti, emozioni in tutti i modi, dinanzi alla capacità gestionale di chi detiene il potere di mescolare problemi, necessità e passioni creando l’illusione di un nuovo ordine possibile – e questo proprio nel momento in cui il caos sfila come una parata militare sotto i nostri occhi (ma proprio qui sta l’abilità di chi mescola le carte: mostrarci la guerra e farci sentire in pace, raccontarci gli sbarchi dei derelitti a Lampedusa e offrirci vacanze da sogno sempre a Lampedusa) – la letteratura e specialmente il romanzo introducono, o possono introdurre (poiché tale è lo statuto dello scrittore) quelle sconnessioni di cui il mondo sembra dover morire e che, viceversa, lo fanno vivere.
Lo scrittore è vulcanico, tellurico, distruttivo, ma noi sappiamo che senza l’attività sismica il mondo sarebbe da milioni di anni nient’altro che un sasso di grosse dimensioni.
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Per finire. Questo ci permette di rispondere alla domanda se un romanzo sia o meno un dispositivo. Non è un dispositivo, e questo lo differenzia radicalmente dagli altri media. Il romanzo è un contratto dotato di una forza mimetica che si è rivelata capace di somigliare – non nell’aspetto esteriore ma nell’uso che se ne è fatto – ai dispositivi e alle esperienze estetiche o di fruizione artistica o di semplice intrattenimento con le quali si è dovuto confrontare. Nell’era del testo si raccomandava di leggere tutto il libro prima di decidere che era brutto: il libro andava comunque finito. Oggi non è più così. Ciò che è fuorviante è il concetto di “influenza” o “influsso”, che risulta alla fine più immaginativo che concettualmente fondato.
Non domandiamoci, dunque, che ne è del romanzo nell’età dei social media. Non è una domanda seria. Domandiamoci che ne è della comunicazione oggi, sapendo che il romanzo è un pezzo di questa comunicazione ma sapendo anche che lo scrittore è il custode di quella differenza che renderà sempre arduo il compito di chi vorrà mettere, per così dire, “a sistema” l’universo comunicativo.
L’arte, per quanto possa far uso della tecnologia, ha il compito di precipitarci nell’età della pietra. Per costruire un universo comunicativo coerente basta Joseph Goebbels. Per entrare nel cuore della comunicazione ci vuole la divina imperfezione dell’essere. […]
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L’età dello smontaggio. Viviamo nell’epoca dello smontaggio. Tutto è un giocattolo, tutto ha un meccanismo, tutto ha un suo funzionamento, ogni cosa è riducibile, l’Irriducibile (che era il punto d’arrivo dell’indagine di Derrida e, prima ancora, di Heidegger) è abolito, e con esso è abolito, per così dire, lo spessore dell’esperienza, il fatto che esista sempre una doppia faccia dell’esperienza. Lo smontaggio non ammette alternative: un romanzo è fatto di X elementi, e sarà con questi elementi che lo si potrà costruire. Le cosiddette “istruzioni per l’uso” sono sempre esistite, ma un conto è se esse possano essere usate al contrario, uno se debbano essere seguite alla lettera. Quello che mi irrita nelle scuole di scrittura è che le istruzioni non possano essere usate al contrario, non per fare così ma per non fare così.
Con l’affermarsi dello smontaggio si è smarrita l’idea di reversibilità. Alla coppia irriducibile (e dunque) reversibile si sostituisce la coppia opposta: riducibile (e dunque) irreversibile, poiché una volta stabiliti gli elementi-chiave di una struttura (riduzione) il modo di ricostruirla sarà sempre lo stesso: irreversibile.
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Credo che il modello culturale di questo rivolgimento si possa riferire al protestantesimo americano, e alla sua tangenza con il pragmatismo orientale. Se tutto è smontabile, ciascuno può dominarne gli elementi, la realtà non ha più segreti da conservare, dalla SS. Trinità alle polpette della nonna: basta accendere la tv e constatare il numero esorbitante di trasmissioni nelle quali la persona si ricostituisce (acquisisce cioè una dignità) a seconda che abbia o meno superato una prova: di canto, di pasticceria, di scrittura creativa. L’oggetto è secondario, conta la gestione delle sue parti, o elementi. Uno chef, uno scrittore, una rockstar – possessori del “fattore X” – giudicheranno l’operato dell’esaminando.
Ma c’è un prezzo da pagare: con l’età dello smontaggio finisce quella della saggezza, dell’auctoritas. Esistono due tipi di autorità: quella personale e quella di un testo. “Testo” e “persona” sono correlati, si fanno eco: c’è l’uno perché c’è l’altro. L’antropologia dell’età moderna – giustamente identificata da Antoine Compagnon con gli oppositori della modernità – si fondava su questa coppia: l’umano si reggeva su un poema, una Costituzione, un testo-base, una Teoria. Al chi è costui? che definiva lo stupore totalmente umano di chi incontrava Gesù Cristo si è sostituita l’autorità dei Testi Sacri, i quali non hanno mai rinviato direttamente alla persona di Cristo, ma ne hanno piuttosto de-finito la natura, la missione, l’escatologia ecc.
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Questa a me pare una questione primariamente politica. Per fare un testo in epoca moderna sono necessari un auctor e un luogo dove chi fa dell’autore un autore (lettori, spettatori, discepoli, assemblea popolare, parlamento) può riceverne le parole. L’ufficialità dell’autore, la sua universalità, dipendono dall’ufficialità del luogo e viceversa: le stesse parole pronunciate su un angolo di strada o nello speaker’s corner avrebbero avuto un altro valore se pronunciate da un microfono del Collège de France. Ma è anche vero che il Collège si conquista (microfoni compresi) per merito, per titoli. L’autorevolezza dipende insomma dal Testimone non in quanto tale ma nella forma con la quale la testimonianza viene messa a punto: apparato teatrale, il teatro come modello dell’autorevolezza moderna.
Testo è tutto quanto fa testo. E per fare testo occorre autorità. E l’autorità si dota di luoghi, di teatri, e i teatri sono luoghi dove l’autorità è attestata, perciò “fa testo”.
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Ma a un certo momento – databile diversamente a seconda degli ambiti – questa coppia è saltata. Lo chef, lo scrittore famoso non necessitano di un’autorità intrinseca: l’importanza dello chef dipende unicamente dal ristorante in cui lavora, quella dello scrittore dai premi che ha vinto o dalle copie vendute o dal numero di traduzioni, ecc. Essi hanno conquistato il diritto (il potere) di mettere sotto esame quello che fu il testimone, il testificatore dell’autorità. Non c’è più un’assemblea di persone che giudica un autore, ma un autore che mette sotto esame tanti “x” passibili di accedere o meno al rango di persona.
Quello che non esiste più, o è diventato inutile, è il livello della condivisione. Nel pensiero classico la parola che definiva uno Stato e la sua autorità era “consenso”. Oggi il consenso può essere considerato un passaggio inutile: il paragone di chi aspira all’autorità con chi può concederla o revocarla si può saltare, la rappresentanza non ha più luoghi. L’autorità ci si conquista con altri strumenti – per esempio l’asfissiante presenza in tv, dove al consenso si sostituisce il gradimento.
Perché dunque non votare standosene a casa propria? Ti inviano un codice segreto con una password, tu accedi al sito “elezioni amministrative”, inserisci la password, digiti il codice personale – come nell’home banking – e dai il tuo voto: sarebbe un sistema più sicuro, meno costoso e non c’è dubbio che le percentuali dei votanti aumenterebbero: bisognerebbe rinunciare solo alla solitudine della cabina – ma sono ancora in molti a comprendere il valore essenziale (essenziale perché rituale) di quel momento?
*
Parlare della Fine del Testo significa parlare della fine di tutta una serie di procedimenti – in arte, in letteratura, in politica, nei rapporti giudiziari, forse anche in economia – nei quali la Modernità ha fissato la propria legittimazione. Ma è una fine contraddittoria, la modernità è viva e vegeta in certi ambiti (la Scuola p. es.) con tutte le sue regole e più che morta in altri, come nei social media, nel mondo dello spettacolo e nello spettacolo della politica.
Il problema che queste osservazioni sollevano può essere riassunto come segue: come è possibile ridefinire il contratto – letterario, ma anche politico, sociale – dopo la Fine del Testo? Cosa troveremo al posto dell’Autore, al posto del Testimone? Come avverrà la mediazione tra questi ipotetici nuovi poli affinché il patto sociale possa rafforzarsi? Come ridefiniremo la cittadinanza (che è di diritto, ma anche culturale, economica)? Il problema esiste ed è pressante: quando ci definiamo cittadini, ci sarebbe da chiedersi: cittadini di cosa? Cosa intendiamo definendoci italiani? Qual è la vera forma dell’Italia oggi? Una forza centralizzata? Una somma di potentati locali con molte infiltrazioni? Una costellazione di abusi? O un’entità da ridefinire dove spiccano alcune nuove città-stato?
E, soprattutto: se la dignità umana ci viene restituita come attestato, o premio, su cosa si fonda nel XXI secolo la polis?
La polis è la più grande creazione dell’uomo, e il contratto sociale ha bisogno di una forma per mantenere in vita quest’opera suprema.
Luca Doninelli
*Luca Doninelli, tra l’altro, è l’autore de “I due fratelli” (Rizzoli, 1990), “Talk Show” (Garzanti, 1996), “La polvere di Allah” (Garzanti, 2007), “Le cose semplici” (Bompiani, 2015). Il suo legame con Giovanni Testori è narrato in “Una gratitudine senza debiti” (La Nave di Teseo, 2018). Di recente, ha adattato per il teatro “I miserabili” di Victor Hugo, con Franco Branciaroli nelle vesti di Jean Valjean.
L'articolo Luca Doninelli: Discorso sulla fine del Testo e dell’autorità (ma lo scrittore resta un vulcano) proviene da Pangea.
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manuelaruso · 5 years
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Cos’è il copywriting e qual è la sua funzione principale?
Signore e signori, è giunto il momento di conoscere il nostro caro amico Copywriting… (che non deve essere confuso con il copyright, perché è proprio un’altra cosa).
Per imparare quest’antica arte, basta un pezzo di carta (qualsiasi pezzo di carta) e una penna.
Anche se a prima vista semplice, il tema è tutt’altro che facile.
Il motivo? Tutti pensano di sapere cosa sia, ma molti non fanno altro che banalizzare questa tematica, o peggio, la considerano inutile. C’è poi il gruppo di persone che lo confonde con il copyright, e in quel caso alzo solo le mani al cielo e non aggiunto altro.
Posso provare a capire tutti coloro che considerano questo tema inutile, ma solo se sono soggetti convinti di vivere in un diverso periodo storico, come gli Anni ’60 magari. In quel periodo fare pubblicità era davvero molto costoso, e quindi si trattava di un’attività che in pochi potevano prendere in considerazione. Oggi invece con Internet, Facebook e altri social network, possiamo affidarci a un advertising copywriter, per creare promozioni con 10 euro, e attirare un importante bacino di utenti. Ma, prima di approfondire il concetto, partirei proprio dalle basi!
Copywriting, definizione: Inizia da qui
Se volessi partire dalla formulina magica, potrei dirti che copywriting è l’abilità di scrittura che permette a una persona di “influenzare” e incuriosire un gruppo di persone, al fine di far compiere loro un’azione.
Attenzione ho detto influenzare, non manipolare. Mi piace però definirla come un mezzo di persuasione, nel senso più positivo del termine. Pensiamo spesso che la persuasione sia qualcosa di negativo, che preveda una manipolazione delle cose per portare qualcuno o qualcosa verso la tua direzione. In parte è vero, ma non vi è nulla di negativo nel farlo, ma piuttosto una capacità di incuriosire e incentivare gli altri. Questo discorso vale chiaramente per il settore pubblicitario, come ho già spiegato poco fa. Con il copywriting persuasivo (podcast), si va quindi a riorganizzare le parole per riuscire a ottenere il meglio da una vendita. Anzi, lasciami dire che è davvero una forma scritta di vendita, che va ad arricchire il web marketing.
Chi svolge queste attività? Il copywriter? E la figura del copywriter cosa fa? Supponiamo che questa figura mitologica debba scrivere 5 mail per invitare gli utenti a comprare e interagire con un dato prodotto venduto da un’azienda. Scrive 5 semplici e-mail e sai che accade? Niente. Una beatissima mazza di niente! Perché? Perché ha sbagliato a comunicare.
Se io scrivo: “Da lunedì ci sono le promozioni nel negozio ‘Bella Angelo’”, ma chi vuoi che mi prenda in considerazione? Provando invece con qualcosa di più profondo e persuasivo, con il classico messaggio che “chiama all’azione”, sicuramente stimolerò almeno un utente su 3. Qualcosa del tipo:
“Hey, hai programmi per lunedì prossimo? Non perderti le nuove gustosissime promozioni di ‘Bella Angelo’. Ne vedrai davvero delle belle: ti aspettiamo in negozio!”.
Pur restando un esempio molto generico, (poiché non ho stabilito e quindi detto che tipo di prodotto vendo e che tipo di promozione effettuo), parlo direttamente al lettore e lo coccolo. Ecco, il copywriter deve rendere meno “noioso” un messaggio pubblicitario.
Come diventare copywriter
Se vogliamo ottenere un buon copywriting, dobbiamo cercare chi lo crea, chi lo realizzerà per noi in modo preciso e incisivo.
Cerchiamo un giornalista? NO.
E allora cerchiamo un mago? ANCHE NO.
Un romanziere forse? MANCO PER FINTA.
Il nostro professionista solitamente lavora con un’agenzia pubblicitaria, oppure è un freelance che si appoggia a diversi clienti e che è sempre ben aggiornato, perché deve conoscere le costanti novità di questo lavoro.
Io mi occupo spesso di copywriting per i miei clienti ma attenzione a chiamarmi web editor! Perché rispetto a lui, un copywriter non si occupa di creare grande mole di contenuto testuale. Deve dire ciò che serve, magari in merito a un servizio o un prodotto e lo deve fare con parole giuste (e senza essere troppo prolisso). Insomma servono le giuste parole e il giusto target.
Per diventare un copy, dovrai seguire una serie di passaggi fondamentali (e non semplicissimi) che sono alla basse di questa professione.
Se non hai mai avuto modo di lavorare nel settore comunicazione, il consiglio è quello di iniziare con i corsi di copywriting (come questo gratis che metto a disposizione),  per migliorare la tua abilità creativa;
Realizza un tuo portfolio e crea qualcosa che possa attirare l’attenzione dei clienti;
Cerca un lavoro o fai uno stage presso un’agenzia comunicativa;
Devi avere buone conoscenze della lingua e grammatica italiana, delle scienze della comunicazione;
Migliora il tuo personal branding, e aiuta chi ti contatta a capire di te tutto ciò che serve per proporti un lavoro.
E l’SEO? Non dimenticarti di lavorare anche sull’ottimizzazione, così potrai conoscere tutto ciò che serve per essere competitivo al 100%. Nessuno già presente sul mercato da anni potrà spaventarti, perché a fare la differenza è la tua conoscenza completa dell’argomento.
Arrivare ad affermarsi non è immediato, ma se questa è la tua strada, è giusto faticare per arrivarci! Un copywriting efficace, è come una bella macchina: fa veramente la differenza!
Lavorare come copywriter non è da tutti!
In sostanza si lavora con ragione, creatività e parole. Già, le parole, senza quelle questo tipo di professione non potrebbe esistere, e oserei dire che l’intero mondo del web marketing potrebbe non essere lo stesso. Pensa a tutti i neolaureati, magari creativi che hanno una passione per la scrittura e vogliono tentare la strada del copywriting. Ma c’è una cosa che ho sentito dire una volta, quando mi trovavo in Inghilterra, e mi ha davvero illuminato. “Non basta saper scrivere per essere un copywriter”. Ho ancora i brividi!
Insomma non tutti quelli che suonano sono musicisti, o non tutti i bravi cuochi sono chef. Di solito solo i bravi pirla diventano cretini, ma quella è una categoria a parte credo, e non legata alla professione!
E’ vero che se vuoi scegliere la via del copywriting devi saper scrivere e devi amare la scrittura, ma devi anche usarla bene. Ogni penna ha le sue sfumature: devi solo imparare a riconoscerle le tue. Quindi, nel dubbio, se non sai da dove iniziare, inizia a scrivere. Fallo in modo creativo, fallo pensando a quello che VUOI dire, che PUOI dire e che DEVI dire. La creatività è una di quelle cose che si insegna per mezzo di speciali tecniche, ma che spesso si coltiva dentro le persone.
Sei in cerca di lavoro copywriter? Ci sono alcune cose che devi imparare a considerare rispetto al tipo di ragionamento che verrà fatto da un’azienda che cerca un professionista. Ci sono diverse cose che si chiederanno prima di considerare il tuo CV:
Che scuola hai fatto e come ne sei uscito;
Le esperienze di lavoro svolte;
La presenza di una pagina Facebook attiva;
Per chi hai lavorato;
Esempi del tuo lavoro.
Ecco perché ti ho parlato di corsi prima, perché se davvero vuoi essere preso in considerazione non deve mai mancare l’auto-formazione. Se ti interessa sapere come scrivere parole che vendono, puoi seguire il mio corso gratuito per incrementare prima di tutto le tue conoscenze di copywriting. Nello specifico mi concentro sulle le tecniche di scrittura persuasiva, per attrarre i lettori e trasformarli in clienti. Perché avere delle basi da marketing copywriter è sempre importante se vuoi arrivare in alto!
Copywriting persuasivo: udite, udite!
Riesci a coinvolgere una persona senza essere troppo pressante e invasivo? Alla fine, la chiave del successo in questo campo è proprio quella! Non devi diventare uno spammatore seriale (che già detta così non suona bene eh!), perché non puoi sempre e solo chiedere qualcosa in modo avido. Devi avere la voglia di conquistare chi hai davanti, andando a ridurre al minimo la pressione.
Ti ricordi le famose 5 e-mail che dovevamo scrivere a inizio articolo, per invitare gli utenti a interagire con un prodotto? Se hai queste nozioni base, potrai riuscire a coinvolgere e dare qualcosa di te, di ciò che devi proporre senza essere pesante. Applica sempre la voglia di fare, inserisci un pizzico di ironia e umiltà nel redarre le cose. Gli utenti devono avere la sensazione che il tuo sia un vero aiuto, e non un obbligo a fare qualcosa.
Vedrai che da quelle 5 mail nascerà qualcosa di bello, con persone che iniziano a interagire e rispondere, fino a ottenere un ottimo tasso di conversione. Le vendite aumentano e tu hai acquistato il potere del copywriting persuasivo.
Come si riconosce un testo, una pubblicità, uno slogan efficace? Ovviamente dal tipo di impatto che ha, e dalle regole di comunicazione persuasiva che hai usato!
Molte volte non ce ne rendiamo conto, ma facciamo delle scelte di acquisto o lettura, soprattutto sul web, che sono proprio spinte da queste tecniche. Un titolo o uno slogan che sa dire tutto in poche parole, è il modo più efficace per usare il giusto linguaggio. E allora, ogni volta che devi farlo, prova a pensare a questa piccola lista di consigli:
Devi sapere sempre per chi lavori, ma soprattutto dove pubblichi: se lavori via email, piuttosto che sui social network è fondamentale per riuscire ad adattare il tuo stile ed essere persuasivo in modo vincente;
Ricordati il target: devi usare poche parole, ma catturare con attenzione gli utenti. Se punti ai 30enni avrai un approccio ben diversi rispetto ai 60enni, quindi non dimenticare mai chi vuoi avere di fronte a te;
Trova un “problema” da parte dalla domanda di mercato (e quindi gli utenti) e vai a offrire una soluzione.
SEO o non SEO?
C’è un’altra piccola problematica che voglio chiarire, perché alcune persone mi hanno scritto per avere delucidazioni in merito al SEO copywriting. Per prima cosa con il termine SEO parliamo di Search Engine Optimization, ovvero l’ottimizzazione per i motori di ricerca, in primis Google. Il tentativo è quello di essere ben classificati, ma per riuscirci bisogna saper usare al meglio le tue abilità. Questa nicchia del copywriting permette di:
Trovare una parola chiave che vuoi classificare;
Scrivere un articolo su questo tema;
Classificare la parola, quindi il testo e soprattutto il sito nella parte alta dei risultati di ricerca per una data keyword che hai scelto.
Ti farò un esempio per capire come funziona. Abbiamo il nostro amico Angelo (così un nome a caso, per la serie ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale). Angelo ha un’attività che vende cibo per animali. La prima cosa da fare è effettuare una ricerca sulle keywords per cibo per animali, in modo da capire che cosa viene cercato, nello specifico dagli utenti. E si scoprirà così il numero maggiore del volume ottenuto. Il risultato della ricerca può portare Angelo a scrivere un articolo completo in merito al “Miglior cibo per animali domestici”.
Quindi bisogna parlare dei prodotti, suggerire le loro caratteristiche e che tipo di benefici possono offrire a cani e gatti. Ma attenzione, se anche tu sei un Angelo in cerca di idee, devi sfruttare il copywriting per riuscire a rendere il tuo post come il numero uno, quello completo che potrà così scalare ogni classifica di mister Google. Considera che quest’ultimo, è molto cambiato nel tempo. Agli inizi del 2000 era possibile realizzare anche degli articoletti “spazzatura”, inserendo solo le parole chiave giuste e via, era praticamente automatica la possibilità di essere notati. Oggi no! Anche i motori di ricerca come Google sono diventati intelligenti, e allora devi farti furbo anche tu! Perché Google non sopporta lo spam, ma adora i contenuti ricchi e profondi, che invitano alla riflessione.
Angelo ha scritto un testo perfetto sul cibo per animali: ci sono caratteristiche, consigli, esempi, immagini e istruzioni per l’uso. Praticamente il numero uno dichiarato (sì, la modestia sempre prima di tutto)! Ci sono tutti i link giusti al momento giusto e alla fine Google lo nota.
Quindi la morale qual è? L’SEO copywriting, se usato bene, ti assicura di fare grandi numeri, ma richiede anche un sacco di sforzi per rendere i tuoi articoli i migliori del web.
Copywriting a risposta diretta
Il copywriter a risposta diretta è colui che, con il suo testo scritto, deve scaturire una risposta in termini di marketing. Quindi opera su vendita, richieste di informazioni e molto altro ancora. Se mal gestito, lo scritto può causare cambiamenti sulla percezione di un prodotto o di un’azienda e quindi sul posizionamento nel mercato. Insomma non è una caramella alla menta, è un’altra nicchia importante del copywriting.
Supponiamo allora che il nostro già citato amico Angelo che ha scritto di cibo per animali, voglia raggiungere il pubblico lavorando su un ampio raggio d’azione. Fino a qualche anno fa si lavorava con inviti, lettere, giornali e annunci su riviste. Ma oggi? Il copywriting per il web è cambiato e così cambia il modo di gestire ogni lavoro. Stampare lettere, inviti e cartoline (o biglietti da visita per dire) ha un costo. Ed è spesso un signor costo! Qui entra in scena il copywriting a risposta diretta: altro non è che la capacità di aumentare il tasso di conversione degli acquirenti partendo dai tuoi inviti, o flyer.
Problema: Angelo deve spedire 10mila flyer in zona a un costo di 1.350€ (ed è l’opzione più economica!), per avere una stampa fronte e retro. Come si massimizza questa spesa? Bisognerà testare alcune versioni (almeno 2) per capire cosa sia giusto e cosa sbagliato.
COSE DA NON FARE (versione 1): realizzare un flyer con sfondo banale, magari tutto bianco, e inserire solo la scritta “Prova il nostro cibo per animali”, inserendo la via del negozio e il nome del brand. Con un briciolo di fortuna su 10mila volantini, 3 persone risponderanno. Questo vuol dire che (se la matematica non mi inganna!), solo lo 0,03% rappresenta il tasso di conversione.
Il volantino era banale, troppo vago e non indirizzato nel giusto modo!
COSE DA FARE: Angelo ha capito il suo errore, e adesso usa il tuo talento da copywriter a risposta diretta. Studia bene il target per lavorare nella zona in cui opera il suo negozio. Sceglie come pubblico solo le persone che hanno realmente animali e crea un volantino che presenta:
Parte anteriore: l’annuncio di risposta diretta con classico “call to action”;
Sul retro del volantino: un buon esempio di copywriting a risposta diretta, con informazioni, dettagli ed esempio pratico sui benefici dati dal suo cibo per animali.
Chi ha un cane o un gatto, sentirà la voglia di provare qualcosa di nuovo per il proprio amico a 4 zampe e il tasso di conversione aumenta a dismisura, fino a portare a migliaia di euro di profitti.
Per concludere… Ora, pur avendo accertato il fatto che io non sono Angelo che vende cibo per animali, conosco bene in che modo potrebbe funzionare la sua attività.
Se usi bene il tuo talento da copywriter, puoi fare la differenza su più fronti. Questo è incoraggiante, perché se sei un bravo professionista, puoi sicuramente trovare tantissimo lavoro su più settori, e aiutare chiunque a vendere di più. Ma se lo usi male, potresti rovinare il tuo operato, mettendo in crisi qualsiasi attività commerciale!
Quindi pensaci bene, informati e lanciati nella mischia solo quando sai di avere a che fare con un vero professionista.
That’s all folks!
Io vado ad acquistare crocchette, ma tu lascia un commento e dimmi che cosa ne pensi!
P.S C’è chi pensa che il copywriting sia un’abilità ormai inutile visto che il mondo viaggia a colpi di audio, video e poco testo. Tuttavia ci terrei a far notare che solo perché un messaggio è “impacchettato” in un video non è detto che sia interessante.
Quante volte abbiamo mandato avanti un video su Youtube perché palloso? Per di più facendo fatica a trovare il punto che ci interessava? Allo stesso tempo, quante volte ci siamo immersi nella lettura di un testo così bello che le parole facevano vivere in noi le scene del romanzo?
Questo per dire che le parole sono alla base di un testo, ma anche di un audio o di un video così anche di un discorso faccia a faccia. Colorano la conversazione e stimolano le emozioni, che sono alla base di un acquisto in termini di marketing.
Certo se la tua massima aspirazione è quella di diventare influencer e partecipare al Grande Randello, siamo rovinati…
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nancystephenss · 5 years
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Cos’è il copywriting e qual è la sua funzione principale?
Signore e signori, è giunto il momento di conoscere il nostro caro amico Copywriting… (che non deve essere confuso con il copyright, perché è proprio un’altra cosa).
Per imparare quest’antica arte, basta un pezzo di carta (qualsiasi pezzo di carta) e una penna.
Anche se a prima vista semplice, il tema è tutt’altro che facile.
Il motivo? Tutti pensano di sapere cosa sia, ma molti non fanno altro che banalizzare questa tematica, o peggio, la considerano inutile. C’è poi il gruppo di persone che lo confonde con il copyright, e in quel caso alzo solo le mani al cielo e non aggiunto altro.
Posso provare a capire tutti coloro che considerano questo tema inutile, ma solo se sono soggetti convinti di vivere in un diverso periodo storico, come gli Anni ’60 magari. In quel periodo fare pubblicità era davvero molto costoso, e quindi si trattava di un’attività che in pochi potevano prendere in considerazione. Oggi invece con Internet, Facebook e altri social network, possiamo affidarci a un advertising copywriter, per creare promozioni con 10 euro, e attirare un importante bacino di utenti. Ma, prima di approfondire il concetto, partirei proprio dalle basi!
Copywriting, definizione: Inizia da qui
Se volessi partire dalla formulina magica, potrei dirti che copywriting è l’abilità di scrittura che permette a una persona di “influenzare” e incuriosire un gruppo di persone, al fine di far compiere loro un’azione.
Attenzione ho detto influenzare, non manipolare. Mi piace però definirla come un mezzo di persuasione, nel senso più positivo del termine. Pensiamo spesso che la persuasione sia qualcosa di negativo, che preveda una manipolazione delle cose per portare qualcuno o qualcosa verso la tua direzione. In parte è vero, ma non vi è nulla di negativo nel farlo, ma piuttosto una capacità di incuriosire e incentivare gli altri. Questo discorso vale chiaramente per il settore pubblicitario, come ho già spiegato poco fa. Con il copywriting persuasivo (podcast), si va quindi a riorganizzare le parole per riuscire a ottenere il meglio da una vendita. Anzi, lasciami dire che è davvero una forma scritta di vendita, che va ad arricchire il web marketing.
Chi svolge queste attività? Il copywriter? E la figura del copywriter cosa fa? Supponiamo che questa figura mitologica debba scrivere 5 mail per invitare gli utenti a comprare e interagire con un dato prodotto venduto da un’azienda. Scrive 5 semplici e-mail e sai che accade? Niente. Una beatissima mazza di niente! Perché? Perché ha sbagliato a comunicare.
Se io scrivo: “Da lunedì ci sono le promozioni nel negozio ‘Bella Angelo’”, ma chi vuoi che mi prenda in considerazione? Provando invece con qualcosa di più profondo e persuasivo, con il classico messaggio che “chiama all’azione”, sicuramente stimolerò almeno un utente su 3. Qualcosa del tipo:
“Hey, hai programmi per lunedì prossimo? Non perderti le nuove gustosissime promozioni di ‘Bella Angelo’. Ne vedrai davvero delle belle: ti aspettiamo in negozio!”.
Pur restando un esempio molto generico, (poiché non ho stabilito e quindi detto che tipo di prodotto vendo e che tipo di promozione effettuo), parlo direttamente al lettore e lo coccolo. Ecco, il copywriter deve rendere meno “noioso” un messaggio pubblicitario.
Come diventare copywriter
Se vogliamo ottenere un buon copywriting, dobbiamo cercare chi lo crea, chi lo realizzerà per noi in modo preciso e incisivo.
Cerchiamo un giornalista? NO.
E allora cerchiamo un mago? ANCHE NO.
Un romanziere forse? MANCO PER FINTA.
Il nostro professionista solitamente lavora con un’agenzia pubblicitaria, oppure è un freelance che si appoggia a diversi clienti e che è sempre ben aggiornato, perché deve conoscere le costanti novità di questo lavoro.
Io mi occupo spesso di copywriting per i miei clienti ma attenzione a chiamarmi web editor! Perché rispetto a lui, un copywriter non si occupa di creare grande mole di contenuto testuale. Deve dire ciò che serve, magari in merito a un servizio o un prodotto e lo deve fare con parole giuste (e senza essere troppo prolisso). Insomma servono le giuste parole e il giusto target.
Per diventare un copy, dovrai seguire una serie di passaggi fondamentali (e non semplicissimi) che sono alla basse di questa professione.
Se non hai mai avuto modo di lavorare nel settore comunicazione, il consiglio è quello di iniziare con i corsi di copywriting (come questo gratis che metto a disposizione),  per migliorare la tua abilità creativa;
Realizza un tuo portfolio e crea qualcosa che possa attirare l’attenzione dei clienti;
Cerca un lavoro o fai uno stage presso un’agenzia comunicativa;
Devi avere buone conoscenze della lingua e grammatica italiana, delle scienze della comunicazione;
Migliora il tuo personal branding, e aiuta chi ti contatta a capire di te tutto ciò che serve per proporti un lavoro.
E l’SEO? Non dimenticarti di lavorare anche sull’ottimizzazione, così potrai conoscere tutto ciò che serve per essere competitivo al 100%. Nessuno già presente sul mercato da anni potrà spaventarti, perché a fare la differenza è la tua conoscenza completa dell’argomento.
Arrivare ad affermarsi non è immediato, ma se questa è la tua strada, è giusto faticare per arrivarci! Un copywriting efficace, è come una bella macchina: fa veramente la differenza!
Lavorare come copywriter non è da tutti!
In sostanza si lavora con ragione, creatività e parole. Già, le parole, senza quelle questo tipo di professione non potrebbe esistere, e oserei dire che l’intero mondo del web marketing potrebbe non essere lo stesso. Pensa a tutti i neolaureati, magari creativi che hanno una passione per la scrittura e vogliono tentare la strada del copywriting. Ma c’è una cosa che ho sentito dire una volta, quando mi trovavo in Inghilterra, e mi ha davvero illuminato. “Non basta saper scrivere per essere un copywriter”. Ho ancora i brividi!
Insomma non tutti quelli che suonano sono musicisti, o non tutti i bravi cuochi sono chef. Di solito solo i bravi pirla diventano cretini, ma quella è una categoria a parte credo, e non legata alla professione!
E’ vero che se vuoi scegliere la via del copywriting devi saper scrivere e devi amare la scrittura, ma devi anche usarla bene. Ogni penna ha le sue sfumature: devi solo imparare a riconoscerle le tue. Quindi, nel dubbio, se non sai da dove iniziare, inizia a scrivere. Fallo in modo creativo, fallo pensando a quello che VUOI dire, che PUOI dire e che DEVI dire. La creatività è una di quelle cose che si insegna per mezzo di speciali tecniche, ma che spesso si coltiva dentro le persone.
Sei in cerca di lavoro copywriter? Ci sono alcune cose che devi imparare a considerare rispetto al tipo di ragionamento che verrà fatto da un’azienda che cerca un professionista. Ci sono diverse cose che si chiederanno prima di considerare il tuo CV:
Che scuola hai fatto e come ne sei uscito;
Le esperienze di lavoro svolte;
La presenza di una pagina Facebook attiva;
Per chi hai lavorato;
Esempi del tuo lavoro.
Ecco perché ti ho parlato di corsi prima, perché se davvero vuoi essere preso in considerazione non deve mai mancare l’auto-formazione. Se ti interessa sapere come scrivere parole che vendono, puoi seguire il mio corso gratuito per incrementare prima di tutto le tue conoscenze di copywriting. Nello specifico mi concentro sulle le tecniche di scrittura persuasiva, per attrarre i lettori e trasformarli in clienti. Perché avere delle basi da marketing copywriter è sempre importante se vuoi arrivare in alto!
Copywriting persuasivo: udite, udite!
Riesci a coinvolgere una persona senza essere troppo pressante e invasivo? Alla fine, la chiave del successo in questo campo è proprio quella! Non devi diventare uno spammatore seriale (che già detta così non suona bene eh!), perché non puoi sempre e solo chiedere qualcosa in modo avido. Devi avere la voglia di conquistare chi hai davanti, andando a ridurre al minimo la pressione.
Ti ricordi le famose 5 e-mail che dovevamo scrivere a inizio articolo, per invitare gli utenti a interagire con un prodotto? Se hai queste nozioni base, potrai riuscire a coinvolgere e dare qualcosa di te, di ciò che devi proporre senza essere pesante. Applica sempre la voglia di fare, inserisci un pizzico di ironia e umiltà nel redarre le cose. Gli utenti devono avere la sensazione che il tuo sia un vero aiuto, e non un obbligo a fare qualcosa.
Vedrai che da quelle 5 mail nascerà qualcosa di bello, con persone che iniziano a interagire e rispondere, fino a ottenere un ottimo tasso di conversione. Le vendite aumentano e tu hai acquistato il potere del copywriting persuasivo.
Come si riconosce un testo, una pubblicità, uno slogan efficace? Ovviamente dal tipo di impatto che ha, e dalle regole di comunicazione persuasiva che hai usato!
Molte volte non ce ne rendiamo conto, ma facciamo delle scelte di acquisto o lettura, soprattutto sul web, che sono proprio spinte da queste tecniche. Un titolo o uno slogan che sa dire tutto in poche parole, è il modo più efficace per usare il giusto linguaggio. E allora, ogni volta che devi farlo, prova a pensare a questa piccola lista di consigli:
Devi sapere sempre per chi lavori, ma soprattutto dove pubblichi: se lavori via email, piuttosto che sui social network è fondamentale per riuscire ad adattare il tuo stile ed essere persuasivo in modo vincente;
Ricordati il target: devi usare poche parole, ma catturare con attenzione gli utenti. Se punti ai 30enni avrai un approccio ben diversi rispetto ai 60enni, quindi non dimenticare mai chi vuoi avere di fronte a te;
Trova un “problema” da parte dalla domanda di mercato (e quindi gli utenti) e vai a offrire una soluzione.
SEO o non SEO?
C’è un’altra piccola problematica che voglio chiarire, perché alcune persone mi hanno scritto per avere delucidazioni in merito al SEO copywriting. Per prima cosa con il termine SEO parliamo di Search Engine Optimization, ovvero l’ottimizzazione per i motori di ricerca, in primis Google. Il tentativo è quello di essere ben classificati, ma per riuscirci bisogna saper usare al meglio le tue abilità. Questa nicchia del copywriting permette di:
Trovare una parola chiave che vuoi classificare;
Scrivere un articolo su questo tema;
Classificare la parola, quindi il testo e soprattutto il sito nella parte alta dei risultati di ricerca per una data keyword che hai scelto.
Ti farò un esempio per capire come funziona. Abbiamo il nostro amico Angelo (così un nome a caso, per la serie ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale). Angelo ha un’attività che vende cibo per animali. La prima cosa da fare è effettuare una ricerca sulle keywords per cibo per animali, in modo da capire che cosa viene cercato, nello specifico dagli utenti. E si scoprirà così il numero maggiore del volume ottenuto. Il risultato della ricerca può portare Angelo a scrivere un articolo completo in merito al “Miglior cibo per animali domestici”.
Quindi bisogna parlare dei prodotti, suggerire le loro caratteristiche e che tipo di benefici possono offrire a cani e gatti. Ma attenzione, se anche tu sei un Angelo in cerca di idee, devi sfruttare il copywriting per riuscire a rendere il tuo post come il numero uno, quello completo che potrà così scalare ogni classifica di mister Google. Considera che quest’ultimo, è molto cambiato nel tempo. Agli inizi del 2000 era possibile realizzare anche degli articoletti “spazzatura”, inserendo solo le parole chiave giuste e via, era praticamente automatica la possibilità di essere notati. Oggi no! Anche i motori di ricerca come Google sono diventati intelligenti, e allora devi farti furbo anche tu! Perché Google non sopporta lo spam, ma adora i contenuti ricchi e profondi, che invitano alla riflessione.
Angelo ha scritto un testo perfetto sul cibo per animali: ci sono caratteristiche, consigli, esempi, immagini e istruzioni per l’uso. Praticamente il numero uno dichiarato (sì, la modestia sempre prima di tutto)! Ci sono tutti i link giusti al momento giusto e alla fine Google lo nota.
Quindi la morale qual è? L’SEO copywriting, se usato bene, ti assicura di fare grandi numeri, ma richiede anche un sacco di sforzi per rendere i tuoi articoli i migliori del web.
Copywriting a risposta diretta
Il copywriter a risposta diretta è colui che, con il suo testo scritto, deve scaturire una risposta in termini di marketing. Quindi opera su vendita, richieste di informazioni e molto altro ancora. Se mal gestito, lo scritto può causare cambiamenti sulla percezione di un prodotto o di un’azienda e quindi sul posizionamento nel mercato. Insomma non è una caramella alla menta, è un’altra nicchia importante del copywriting.
Supponiamo allora che il nostro già citato amico Angelo che ha scritto di cibo per animali, voglia raggiungere il pubblico lavorando su un ampio raggio d’azione. Fino a qualche anno fa si lavorava con inviti, lettere, giornali e annunci su riviste. Ma oggi? Il copywriting per il web è cambiato e così cambia il modo di gestire ogni lavoro. Stampare lettere, inviti e cartoline (o biglietti da visita per dire) ha un costo. Ed è spesso un signor costo! Qui entra in scena il copywriting a risposta diretta: altro non è che la capacità di aumentare il tasso di conversione degli acquirenti partendo dai tuoi inviti, o flyer.
Problema: Angelo deve spedire 10mila flyer in zona a un costo di 1.350€ (ed è l’opzione più economica!), per avere una stampa fronte e retro. Come si massimizza questa spesa? Bisognerà testare alcune versioni (almeno 2) per capire cosa sia giusto e cosa sbagliato.
COSE DA NON FARE (versione 1): realizzare un flyer con sfondo banale, magari tutto bianco, e inserire solo la scritta “Prova il nostro cibo per animali”, inserendo la via del negozio e il nome del brand. Con un briciolo di fortuna su 10mila volantini, 3 persone risponderanno. Questo vuol dire che (se la matematica non mi inganna!), solo lo 0,03% rappresenta il tasso di conversione.
Il volantino era banale, troppo vago e non indirizzato nel giusto modo!
COSE DA FARE: Angelo ha capito il suo errore, e adesso usa il tuo talento da copywriter a risposta diretta. Studia bene il target per lavorare nella zona in cui opera il suo negozio. Sceglie come pubblico solo le persone che hanno realmente animali e crea un volantino che presenta:
Parte anteriore: l’annuncio di risposta diretta con classico “call to action”;
Sul retro del volantino: un buon esempio di copywriting a risposta diretta, con informazioni, dettagli ed esempio pratico sui benefici dati dal suo cibo per animali.
Chi ha un cane o un gatto, sentirà la voglia di provare qualcosa di nuovo per il proprio amico a 4 zampe e il tasso di conversione aumenta a dismisura, fino a portare a migliaia di euro di profitti.
Per concludere… Ora, pur avendo accertato il fatto che io non sono Angelo che vende cibo per animali, conosco bene in che modo potrebbe funzionare la sua attività.
Se usi bene il tuo talento da copywriter, puoi fare la differenza su più fronti. Questo è incoraggiante, perché se sei un bravo professionista, puoi sicuramente trovare tantissimo lavoro su più settori, e aiutare chiunque a vendere di più. Ma se lo usi male, potresti rovinare il tuo operato, mettendo in crisi qualsiasi attività commerciale!
Quindi pensaci bene, informati e lanciati nella mischia solo quando sai di avere a che fare con un vero professionista.
That’s all folks!
Io vado ad acquistare crocchette, ma tu lascia un commento e dimmi che cosa ne pensi!
P.S C’è chi pensa che il copywriting sia un’abilità ormai inutile visto che il mondo viaggia a colpi di audio, video e poco testo. Tuttavia ci terrei a far notare che solo perché un messaggio è “impacchettato” in un video non è detto che sia interessante.
Quante volte abbiamo mandato avanti un video su Youtube perché palloso? Per di più facendo fatica a trovare il punto che ci interessava? Allo stesso tempo, quante volte ci siamo immersi nella lettura di un testo così bello che le parole facevano vivere in noi le scene del romanzo?
Questo per dire che le parole sono alla base di un testo, ma anche di un audio o di un video così anche di un discorso faccia a faccia. Colorano la conversazione e stimolano le emozioni, che sono alla base di un acquisto in termini di marketing.
Certo se la tua massima aspirazione è quella di diventare influencer e partecipare al Grande Randello, siamo rovinati…
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nellamazzi · 5 years
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Cos’è il copywriting e qual è la sua funzione principale?
Signore e signori, è giunto il momento di conoscere il nostro caro amico Copywriting… (che non deve essere confuso con il copyright, perché è proprio un’altra cosa).
Per imparare quest’antica arte, basta un pezzo di carta (qualsiasi pezzo di carta) e una penna.
Anche se a prima vista semplice, il tema è tutt’altro che facile.
Il motivo? Tutti pensano di sapere cosa sia, ma molti non fanno altro che banalizzare questa tematica, o peggio, la considerano inutile. C’è poi il gruppo di persone che lo confonde con il copyright, e in quel caso alzo solo le mani al cielo e non aggiunto altro.
Posso provare a capire tutti coloro che considerano questo tema inutile, ma solo se sono soggetti convinti di vivere in un diverso periodo storico, come gli Anni ’60 magari. In quel periodo fare pubblicità era davvero molto costoso, e quindi si trattava di un’attività che in pochi potevano prendere in considerazione. Oggi invece con Internet, Facebook e altri social network, possiamo affidarci a un advertising copywriter, per creare promozioni con 10 euro, e attirare un importante bacino di utenti. Ma, prima di approfondire il concetto, partirei proprio dalle basi!
Copywriting, definizione: Inizia da qui
Se volessi partire dalla formulina magica, potrei dirti che copywriting è l’abilità di scrittura che permette a una persona di “influenzare” e incuriosire un gruppo di persone, al fine di far compiere loro un’azione.
Attenzione ho detto influenzare, non manipolare. Mi piace però definirla come un mezzo di persuasione, nel senso più positivo del termine. Pensiamo spesso che la persuasione sia qualcosa di negativo, che preveda una manipolazione delle cose per portare qualcuno o qualcosa verso la tua direzione. In parte è vero, ma non vi è nulla di negativo nel farlo, ma piuttosto una capacità di incuriosire e incentivare gli altri. Questo discorso vale chiaramente per il settore pubblicitario, come ho già spiegato poco fa. Con il copywriting persuasivo (podcast), si va quindi a riorganizzare le parole per riuscire a ottenere il meglio da una vendita. Anzi, lasciami dire che è davvero una forma scritta di vendita, che va ad arricchire il web marketing.
Chi svolge queste attività? Il copywriter? E la figura del copywriter cosa fa? Supponiamo che questa figura mitologica debba scrivere 5 mail per invitare gli utenti a comprare e interagire con un dato prodotto venduto da un’azienda. Scrive 5 semplici e-mail e sai che accade? Niente. Una beatissima mazza di niente! Perché? Perché ha sbagliato a comunicare.
Se io scrivo: “Da lunedì ci sono le promozioni nel negozio ‘Bella Angelo’”, ma chi vuoi che mi prenda in considerazione? Provando invece con qualcosa di più profondo e persuasivo, con il classico messaggio che “chiama all’azione”, sicuramente stimolerò almeno un utente su 3. Qualcosa del tipo:
“Hey, hai programmi per lunedì prossimo? Non perderti le nuove gustosissime promozioni di ‘Bella Angelo’. Ne vedrai davvero delle belle: ti aspettiamo in negozio!”.
Pur restando un esempio molto generico, (poiché non ho stabilito e quindi detto che tipo di prodotto vendo e che tipo di promozione effettuo), parlo direttamente al lettore e lo coccolo. Ecco, il copywriter deve rendere meno “noioso” un messaggio pubblicitario.
Come diventare copywriter
Se vogliamo ottenere un buon copywriting, dobbiamo cercare chi lo crea, chi lo realizzerà per noi in modo preciso e incisivo.
Cerchiamo un giornalista? NO.
E allora cerchiamo un mago? ANCHE NO.
Un romanziere forse? MANCO PER FINTA.
Il nostro professionista solitamente lavora con un’agenzia pubblicitaria, oppure è un freelance che si appoggia a diversi clienti e che è sempre ben aggiornato, perché deve conoscere le costanti novità di questo lavoro.
Io mi occupo spesso di copywriting per i miei clienti ma attenzione a chiamarmi web editor! Perché rispetto a lui, un copywriter non si occupa di creare grande mole di contenuto testuale. Deve dire ciò che serve, magari in merito a un servizio o un prodotto e lo deve fare con parole giuste (e senza essere troppo prolisso). Insomma servono le giuste parole e il giusto target.
Per diventare un copy, dovrai seguire una serie di passaggi fondamentali (e non semplicissimi) che sono alla basse di questa professione.
Se non hai mai avuto modo di lavorare nel settore comunicazione, il consiglio è quello di iniziare con i corsi di copywriting (come questo gratis che metto a disposizione),  per migliorare la tua abilità creativa;
Realizza un tuo portfolio e crea qualcosa che possa attirare l’attenzione dei clienti;
Cerca un lavoro o fai uno stage presso un’agenzia comunicativa;
Devi avere buone conoscenze della lingua e grammatica italiana, delle scienze della comunicazione;
Migliora il tuo personal branding, e aiuta chi ti contatta a capire di te tutto ciò che serve per proporti un lavoro.
E l’SEO? Non dimenticarti di lavorare anche sull’ottimizzazione, così potrai conoscere tutto ciò che serve per essere competitivo al 100%. Nessuno già presente sul mercato da anni potrà spaventarti, perché a fare la differenza è la tua conoscenza completa dell’argomento.
Arrivare ad affermarsi non è immediato, ma se questa è la tua strada, è giusto faticare per arrivarci! Un copywriting efficace, è come una bella macchina: fa veramente la differenza!
Lavorare come copywriter non è da tutti!
In sostanza si lavora con ragione, creatività e parole. Già, le parole, senza quelle questo tipo di professione non potrebbe esistere, e oserei dire che l’intero mondo del web marketing potrebbe non essere lo stesso. Pensa a tutti i neolaureati, magari creativi che hanno una passione per la scrittura e vogliono tentare la strada del copywriting. Ma c’è una cosa che ho sentito dire una volta, quando mi trovavo in Inghilterra, e mi ha davvero illuminato. “Non basta saper scrivere per essere un copywriter”. Ho ancora i brividi!
Insomma non tutti quelli che suonano sono musicisti, o non tutti i bravi cuochi sono chef. Di solito solo i bravi pirla diventano cretini, ma quella è una categoria a parte credo, e non legata alla professione!
E’ vero che se vuoi scegliere la via del copywriting devi saper scrivere e devi amare la scrittura, ma devi anche usarla bene. Ogni penna ha le sue sfumature: devi solo imparare a riconoscerle le tue. Quindi, nel dubbio, se non sai da dove iniziare, inizia a scrivere. Fallo in modo creativo, fallo pensando a quello che VUOI dire, che PUOI dire e che DEVI dire. La creatività è una di quelle cose che si insegna per mezzo di speciali tecniche, ma che spesso si coltiva dentro le persone.
Sei in cerca di lavoro copywriter? Ci sono alcune cose che devi imparare a considerare rispetto al tipo di ragionamento che verrà fatto da un’azienda che cerca un professionista. Ci sono diverse cose che si chiederanno prima di considerare il tuo CV:
Che scuola hai fatto e come ne sei uscito;
Le esperienze di lavoro svolte;
La presenza di una pagina Facebook attiva;
Per chi hai lavorato;
Esempi del tuo lavoro.
Ecco perché ti ho parlato di corsi prima, perché se davvero vuoi essere preso in considerazione non deve mai mancare l’auto-formazione. Se ti interessa sapere come scrivere parole che vendono, puoi seguire il mio corso gratuito per incrementare prima di tutto le tue conoscenze di copywriting. Nello specifico mi concentro sulle le tecniche di scrittura persuasiva, per attrarre i lettori e trasformarli in clienti. Perché avere delle basi da marketing copywriter è sempre importante se vuoi arrivare in alto!
Copywriting persuasivo: udite, udite!
Riesci a coinvolgere una persona senza essere troppo pressante e invasivo? Alla fine, la chiave del successo in questo campo è proprio quella! Non devi diventare uno spammatore seriale (che già detta così non suona bene eh!), perché non puoi sempre e solo chiedere qualcosa in modo avido. Devi avere la voglia di conquistare chi hai davanti, andando a ridurre al minimo la pressione.
Ti ricordi le famose 5 e-mail che dovevamo scrivere a inizio articolo, per invitare gli utenti a interagire con un prodotto? Se hai queste nozioni base, potrai riuscire a coinvolgere e dare qualcosa di te, di ciò che devi proporre senza essere pesante. Applica sempre la voglia di fare, inserisci un pizzico di ironia e umiltà nel redarre le cose. Gli utenti devono avere la sensazione che il tuo sia un vero aiuto, e non un obbligo a fare qualcosa.
Vedrai che da quelle 5 mail nascerà qualcosa di bello, con persone che iniziano a interagire e rispondere, fino a ottenere un ottimo tasso di conversione. Le vendite aumentano e tu hai acquistato il potere del copywriting persuasivo.
Come si riconosce un testo, una pubblicità, uno slogan efficace? Ovviamente dal tipo di impatto che ha, e dalle regole di comunicazione persuasiva che hai usato!
Molte volte non ce ne rendiamo conto, ma facciamo delle scelte di acquisto o lettura, soprattutto sul web, che sono proprio spinte da queste tecniche. Un titolo o uno slogan che sa dire tutto in poche parole, è il modo più efficace per usare il giusto linguaggio. E allora, ogni volta che devi farlo, prova a pensare a questa piccola lista di consigli:
Devi sapere sempre per chi lavori, ma soprattutto dove pubblichi: se lavori via email, piuttosto che sui social network è fondamentale per riuscire ad adattare il tuo stile ed essere persuasivo in modo vincente;
Ricordati il target: devi usare poche parole, ma catturare con attenzione gli utenti. Se punti ai 30enni avrai un approccio ben diversi rispetto ai 60enni, quindi non dimenticare mai chi vuoi avere di fronte a te;
Trova un “problema” da parte dalla domanda di mercato (e quindi gli utenti) e vai a offrire una soluzione.
SEO o non SEO?
C’è un’altra piccola problematica che voglio chiarire, perché alcune persone mi hanno scritto per avere delucidazioni in merito al SEO copywriting. Per prima cosa con il termine SEO parliamo di Search Engine Optimization, ovvero l’ottimizzazione per i motori di ricerca, in primis Google. Il tentativo è quello di essere ben classificati, ma per riuscirci bisogna saper usare al meglio le tue abilità. Questa nicchia del copywriting permette di:
Trovare una parola chiave che vuoi classificare;
Scrivere un articolo su questo tema;
Classificare la parola, quindi il testo e soprattutto il sito nella parte alta dei risultati di ricerca per una data keyword che hai scelto.
Ti farò un esempio per capire come funziona. Abbiamo il nostro amico Angelo (così un nome a caso, per la serie ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale). Angelo ha un’attività che vende cibo per animali. La prima cosa da fare è effettuare una ricerca sulle keywords per cibo per animali, in modo da capire che cosa viene cercato, nello specifico dagli utenti. E si scoprirà così il numero maggiore del volume ottenuto. Il risultato della ricerca può portare Angelo a scrivere un articolo completo in merito al “Miglior cibo per animali domestici”.
Quindi bisogna parlare dei prodotti, suggerire le loro caratteristiche e che tipo di benefici possono offrire a cani e gatti. Ma attenzione, se anche tu sei un Angelo in cerca di idee, devi sfruttare il copywriting per riuscire a rendere il tuo post come il numero uno, quello completo che potrà così scalare ogni classifica di mister Google. Considera che quest’ultimo, è molto cambiato nel tempo. Agli inizi del 2000 era possibile realizzare anche degli articoletti “spazzatura”, inserendo solo le parole chiave giuste e via, era praticamente automatica la possibilità di essere notati. Oggi no! Anche i motori di ricerca come Google sono diventati intelligenti, e allora devi farti furbo anche tu! Perché Google non sopporta lo spam, ma adora i contenuti ricchi e profondi, che invitano alla riflessione.
Angelo ha scritto un testo perfetto sul cibo per animali: ci sono caratteristiche, consigli, esempi, immagini e istruzioni per l’uso. Praticamente il numero uno dichiarato (sì, la modestia sempre prima di tutto)! Ci sono tutti i link giusti al momento giusto e alla fine Google lo nota.
Quindi la morale qual è? L’SEO copywriting, se usato bene, ti assicura di fare grandi numeri, ma richiede anche un sacco di sforzi per rendere i tuoi articoli i migliori del web.
Copywriting a risposta diretta
Il copywriter a risposta diretta è colui che, con il suo testo scritto, deve scaturire una risposta in termini di marketing. Quindi opera su vendita, richieste di informazioni e molto altro ancora. Se mal gestito, lo scritto può causare cambiamenti sulla percezione di un prodotto o di un’azienda e quindi sul posizionamento nel mercato. Insomma non è una caramella alla menta, è un’altra nicchia importante del copywriting.
Supponiamo allora che il nostro già citato amico Angelo che ha scritto di cibo per animali, voglia raggiungere il pubblico lavorando su un ampio raggio d’azione. Fino a qualche anno fa si lavorava con inviti, lettere, giornali e annunci su riviste. Ma oggi? Il copywriting per il web è cambiato e così cambia il modo di gestire ogni lavoro. Stampare lettere, inviti e cartoline (o biglietti da visita per dire) ha un costo. Ed è spesso un signor costo! Qui entra in scena il copywriting a risposta diretta: altro non è che la capacità di aumentare il tasso di conversione degli acquirenti partendo dai tuoi inviti, o flyer.
Problema: Angelo deve spedire 10mila flyer in zona a un costo di 1.350€ (ed è l’opzione più economica!), per avere una stampa fronte e retro. Come si massimizza questa spesa? Bisognerà testare alcune versioni (almeno 2) per capire cosa sia giusto e cosa sbagliato.
COSE DA NON FARE (versione 1): realizzare un flyer con sfondo banale, magari tutto bianco, e inserire solo la scritta “Prova il nostro cibo per animali”, inserendo la via del negozio e il nome del brand. Con un briciolo di fortuna su 10mila volantini, 3 persone risponderanno. Questo vuol dire che (se la matematica non mi inganna!), solo lo 0,03% rappresenta il tasso di conversione.
Il volantino era banale, troppo vago e non indirizzato nel giusto modo!
COSE DA FARE: Angelo ha capito il suo errore, e adesso usa il tuo talento da copywriter a risposta diretta. Studia bene il target per lavorare nella zona in cui opera il suo negozio. Sceglie come pubblico solo le persone che hanno realmente animali e crea un volantino che presenta:
Parte anteriore: l’annuncio di risposta diretta con classico “call to action”;
Sul retro del volantino: un buon esempio di copywriting a risposta diretta, con informazioni, dettagli ed esempio pratico sui benefici dati dal suo cibo per animali.
Chi ha un cane o un gatto, sentirà la voglia di provare qualcosa di nuovo per il proprio amico a 4 zampe e il tasso di conversione aumenta a dismisura, fino a portare a migliaia di euro di profitti.
Per concludere… Ora, pur avendo accertato il fatto che io non sono Angelo che vende cibo per animali, conosco bene in che modo potrebbe funzionare la sua attività.
Se usi bene il tuo talento da copywriter, puoi fare la differenza su più fronti. Questo è incoraggiante, perché se sei un bravo professionista, puoi sicuramente trovare tantissimo lavoro su più settori, e aiutare chiunque a vendere di più. Ma se lo usi male, potresti rovinare il tuo operato, mettendo in crisi qualsiasi attività commerciale!
Quindi pensaci bene, informati e lanciati nella mischia solo quando sai di avere a che fare con un vero professionista.
That’s all folks!
Io vado ad acquistare crocchette, ma tu lascia un commento e dimmi che cosa ne pensi!
P.S C’è chi pensa che il copywriting sia un’abilità ormai inutile visto che il mondo viaggia a colpi di audio, video e poco testo. Tuttavia ci terrei a far notare che solo perché un messaggio è “impacchettato” in un video non è detto che sia interessante.
Quante volte abbiamo mandato avanti un video su Youtube perché palloso? Per di più facendo fatica a trovare il punto che ci interessava? Allo stesso tempo, quante volte ci siamo immersi nella lettura di un testo così bello che le parole facevano vivere in noi le scene del romanzo?
Questo per dire che le parole sono alla base di un testo, ma anche di un audio o di un video così anche di un discorso faccia a faccia. Colorano la conversazione e stimolano le emozioni, che sono alla base di un acquisto in termini di marketing.
Certo se la tua massima aspirazione è quella di diventare influencer e partecipare al Grande Randello, siamo rovinati…
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