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Crotone e lo spirrinchio
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Crotone e lo spirrinchio
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C’era una volta un’antica colonia della Magna Grecia, dove già il termine “Magna” fa venire l’orticaria. Nella terminologia del dialetto romanesco “magna”richiama alla  mente Alberto Sordi, davanti ad un bel piatto di maccheroni e la sua frase: “mo ve magno tutti”. A parodiare su quel termine, dopo gli ultimi avvenimenti, non è aleatorio  parlare di  un grande magna magna generale, dove si banchetta allegramente e gli ossi vengono gettati ai cani umani. Crotone, dove le inchieste della Magistratura hanno scoperchiato il vaso di Pandora, è la città di tutti i mali possibili; qui si campa grazie ad accordi sottobanco, a consorterie che nascono come i funghi dal momento che gli affari sono congrui e nemmeno una briciola deve essere sprecata. Il vero male di questo territorio è l’illegalità diffusa che risale alla notte dei tempi. Un vero Medio Evo dell’ingiustizia, che ha messo radici e regna sovrana. Lo dimostra l’operazione Stige che ha decapitato il malaffare istituzionale  e, a Crotone,  il sequestro di 80 villette costruite in contrada Margherita, area di dissesto idrogeologico. Sappiamo bene cosa significa questa catalogazione, quali rischi comporti in un territorio fragile, che rischia di sbriciolarsi sotto i nostri piedi. Crotone, la città dei palazzinari con una propensione così forte a edificare, da farlo anche nelle zone archeologiche, con tanto di permessi concessi da uffici comunali, oppure di occhi chiusi, tanto da far finta di non vedere lo scempio che si consuma sotto i nostri occhi. Nonostante ciò, siamo ancora capaci di credere alle favole dei grandi vecchi, in cambio di vane promesse che non si potranno mantenere, ma che pur tuttavia vengono inseguiti come i sogni che svaniscono alle prime luci dell’alba. C’era una volta una città dal passato glorioso, sospinta irrimediabilmente indietro dal vento della storia, tornata ai fasti della cronaca per le assurdità che si vivono, che pesano come un pesante macigno sul nostro groppone e quello dei nostri figli. Figli di nessuno, perché quelli dei faraoni hanno percorso così velocemente le orme del gigante da rimanere piazzati e in pole position nei posti che contano, capaci di strumentalizzare uomini e donne della propria cordata, perché uniti si vince e l’impossibile diventa possibile. Dove stiamo andando? Abbiamo bisogno di idee copia e incolla. I giovani della maggioranza silenziosa della città fanno prima a prendersi bagatti e bagattelle per andare a tentare la sorte altrove. Così, mentre ci priviamo delle menti migliori, qui rimangono solo avvoltoi e falchetti ammaestrati alla caccia sul braccio del signorotto di turno. Qui, dove un nome fa la differenza, siamo ritornati ai tempi del notabilato: ricche famiglie come ai tempi del podestà fanno il salto di qualità non solo per se stessi ma per tutta la loro progenie, la sola in grado di essere classe dirigente. Dirigente di se stessa, dei propri interessi, mentre le voci libere vengono silenziate, messe a tacere, costrette all’immobilismo nel vedere il degrado umano della propria città. La colonia del Magna Magna continua a fortificarsi, impoverendo un tessuto sociale spolpato fino all’osso. Purtroppo è come navigare nell’oceano, esposti ai mari in tempesta senza possibilità di toccare terra. Non promettono nulla di buono nemmeno queste elezioni, con una rivoluzione annunciata dal Movimento 5 Stelle  che ha rivoluzionato soltanto il modo di stazionare sulla poltrona. Testa e coda continuano a toccarsi a Crotone come altrove.
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Crotone e lo spirrinchio
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C’era una volta un’antica colonia della Magna Grecia, dove già il termine “Magna” fa venire l’orticaria. Nella terminologia del dialetto romanesco “magna”richiama alla  mente Alberto Sordi, davanti ad un bel piatto di maccheroni e la sua frase: “mo ve magno tutti”. A parodiare su quel termine, dopo gli ultimi avvenimenti, non è aleatorio  parlare di  un grande magna magna generale, dove si banchetta allegramente e gli ossi vengono gettati ai cani umani. Crotone, dove le inchieste della Magistratura hanno scoperchiato il vaso di Pandora, è la città di tutti i mali possibili; qui si campa grazie ad accordi sottobanco, a consorterie che nascono come i funghi dal momento che gli affari sono congrui e nemmeno una briciola deve essere sprecata. Il vero male di questo territorio è l’illegalità diffusa che risale alla notte dei tempi. Un vero Medio Evo dell’ingiustizia, che ha messo radici e regna sovrana. Lo dimostra l’operazione Stige che ha decapitato il malaffare istituzionale  e, a Crotone,  il sequestro di 80 villette costruite in contrada Margherita, area di dissesto idrogeologico. Sappiamo bene cosa significa questa catalogazione, quali rischi comporti in un territorio fragile, che rischia di sbriciolarsi sotto i nostri piedi. Crotone, la città dei palazzinari con una propensione così forte a edificare, da farlo anche nelle zone archeologiche, con tanto di permessi concessi da uffici comunali, oppure di occhi chiusi, tanto da far finta di non vedere lo scempio che si consuma sotto i nostri occhi. Nonostante ciò, siamo ancora capaci di credere alle favole dei grandi vecchi, in cambio di vane promesse che non si potranno mantenere, ma che pur tuttavia vengono inseguiti come i sogni che svaniscono alle prime luci dell’alba. C’era una volta una città dal passato glorioso, sospinta irrimediabilmente indietro dal vento della storia, tornata ai fasti della cronaca per le assurdità che si vivono, che pesano come un pesante macigno sul nostro groppone e quello dei nostri figli. Figli di nessuno, perché quelli dei faraoni hanno percorso così velocemente le orme del gigante da rimanere piazzati e in pole position nei posti che contano, capaci di strumentalizzare uomini e donne della propria cordata, perché uniti si vince e l’impossibile diventa possibile. Dove stiamo andando? Abbiamo bisogno di idee copia e incolla. I giovani della maggioranza silenziosa della città fanno prima a prendersi bagatti e bagattelle per andare a tentare la sorte altrove. Così, mentre ci priviamo delle menti migliori, qui rimangono solo avvoltoi e falchetti ammaestrati alla caccia sul braccio del signorotto di turno. Qui, dove un nome fa la differenza, siamo ritornati ai tempi del notabilato: ricche famiglie come ai tempi del podestà fanno il salto di qualità non solo per se stessi ma per tutta la loro progenie, la sola in grado di essere classe dirigente. Dirigente di se stessa, dei propri interessi, mentre le voci libere vengono silenziate, messe a tacere, costrette all’immobilismo nel vedere il degrado umano della propria città. La colonia del Magna Magna continua a fortificarsi, impoverendo un tessuto sociale spolpato fino all’osso. Purtroppo è come navigare nell’oceano, esposti ai mari in tempesta senza possibilità di toccare terra. Non promettono nulla di buono nemmeno queste elezioni, con una rivoluzione annunciata dal Movimento 5 Stelle  che ha rivoluzionato soltanto il modo di stazionare sulla poltrona. Testa e coda continuano a toccarsi a Crotone come altrove.
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L'inverno del loro scontento
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L'inverno del loro scontento
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       Nel durissimo inverno 1864-1865, l’ultimo del conflitto, i ranger del 43rd Virginia Cavalry Battalion, al comando di John Singleton Mosby, si trovarono ad operare nella valle dello Shenandoah in condizioni mai conosciute in precedenza: costante presenza unionista e appoggio sempre più tiepido da parte della popolazione, che certo condivideva la causa confederata, ma aveva paura delle terribili rappresaglie dei nordisti, i quali – in base a uno stile poi consolidatosi negli anni a venire – non facevano distinzioni nel colpire.
       Così, isolati e oggetto di perdite sempre più gravi, gli uomini di Mosby dovettero affrontare un duro inverno, ormai certi dell’esito negativo del conflitto e spesso rattristati dalla morte di commilitoni, che non erano solo compagni d’armi, ma amici, fratelli, cugini, compaesani. Il reclutamento locale del battaglione, infatti, ne aveva riempito le file di giovani ventenni e trentenni che venivano tutti dalla stessa area della Virginia.
       Anche i funerali dei caduti dovevano essere celebrati la notte, al chiarore della luna e lontano da sguardi indiscreti e da potenziali minacce unioniste, come risulta da questo famoso ed emotivamente partecipe dipinto di John Paul Strain.
PIERO VISANI
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AstroPlant
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AstroPlant
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AstroPlant is an educational citizen science project with the European Space Agency to engage a new generation of space farmers, collect data and ideas for agriculture on Mars, develop open source research equipment, and create awareness of regenerative and closed-loop life support systems.
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AstroPlant is a citizen science initiative that aims to inspire home-gardeners, schools, urban farmers and enthusiasts to nourish seeds selected by the MELiSSA team. Data recorded via a smartphone app will be sent to ESA for processing.
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Firenze: Spedale degli Innocenti
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Firenze: Spedale degli Innocenti
Spedale degli Innocenti
Firenze e la Toscana sono sempre stati un passo avanti; per secoli e secoli da questa piccola cittadina sono partiti innumerevoli esempi in campo politico, artistico, economico. Inutile vergare elenchi, troppo lunghi, basta ricordare la Repubblica Fiorentina, l’abolizione della pena di morte e su tutto il rinascimento culla dell’arte.
Potevamo essere secondi verso i bimbi?
Prima del 1400 gli spedali presenti a Firenze erano moltissimi, spedali intesi come luoghi d’accoglienza, dove curarsi o essere aiutati. Si dice che in via Romana, dopo la porta fino a piazza Pitti erano presenti addirittura nove spedali atti ad assicurare le cure a tutti coloro che dalla Porta Romana entravano in città dopo lunghi e spesso pericolosi viaggi.
Busto di Cione Pollini
Gli Spedali fiorentini, prima del 1400, che si dedicavano anche ad accogliere bambini erano solo due, uno lo Spedale di San Gallo fuori dalle mura e l’altro lo Spedale di Santa Maria della Scala che Cione Pollini aveva assegnato all’amministrazione dei frati Serventi di Siena. Erano spedali che accoglievano i bimbi per le cure assieme ad adulti e morenti, tutti in un unico salone, come usava allora, con rischi altissimi di contagi e prostrazione psicofisica.
      Francesco Datini
L’idea di uno spedale per piccoli abbandonati ed orfani scaturì dalla mente di Francesco Datini che non realizzandola in vita la rese possibile nella morte (1410) imponendo nel testamento un lascito che aveva lo scopo di creare un istituto per l’infanzia. Questo determinò che nel 1419 si iniziarono a mettere su carta i primi accordi per realizzare uno spedale per gli orfanelli, cioè un luogo solo per i bambini abbandonati che potesse prendersene cura.
  Stava nascendo Lo Spedale degli Innocenti.
Questo spedale era il primo in tutta Europa, da qui sono partite tutte le opere a favore dell’infanzia.
Fondamentale per la realizzazione del progetto fu “L’Arte della Seta” in quanto investita “dell’uffizio” della cura dei trovatelli su incarico dalla Repubblica fiorentina. L’Arte della Seta ottenne nel 1421 il benestare del Comune e l’equiparazione di tutti i privilegi goduti dagli altri enti ospedalieri cittadini per il nuovo Ospedale che fu intitolato a Santa Maria degli Innocenti.
Stemma dell’Arte della Seta
L’Arte della Seta aumentò il denaro donato molte volte e questo denaro assieme a quello offerto dai fiorentini, fra cui illustri come i Medici e gli Albizzi, oltre l’aiuto della Repubblica Fiorentina, permise di comprare un podere degli Albizzi sulla Piazza Santissima Annunziata ed affidare il progetto dello Spedale a Filippo Brunelleschi.
  Lo Spedale fu progettato ed edificato tra il 1419 ed il 1444, i lavori ebbero inizio ufficialmente nel 1421 e rimasero sotto la direzione del Brunelleschi fino al 1427 ed affidati dopo a Francesco della Luna.
Chiostro per le Donne
L’architettura dell’Ospedale degli Innocenti si basa sul progetto iniziale del Brunelleschi e della Luna apportò modifiche successive senza però svilire il progetto iniziale. Tutto il progetto era fatto con il pensiero primario rivolto ai piccoli ospiti, il refettorio, i dormitori, l’infermeria, i chiostri, le camere, erano progettati in maniera che i bimbi potessero svolgere la loro principale attività, crescere e studiare, crescere e pregare, crescere e correre. Ne è un esempio il chiostro di forma rettangolare realizzato di questa geometria, invece che quadrato come usava all’epoca, proprio per permettere ai fanciulli di correre all’aperto e se la giornata era piovosa di poter stare all’aperto ma sotto il porticato.
Putto di Andrea della Robbia
In questo Spedale Brunelleschi fece della funzionalità il suo obbiettivo modulando equilibrio e geometria; è dirimente in questo il portico esterno, lungo 71 metri il quale presenta le arcate a tutto sesto e al disopra di esse sono presenti le finestre che permettono una perfetta illuminazione del piano superiore e sopra ancora sono presenti dei tondi in terracotta che rappresentano i putti, cioè gli innocenti, e sono realizzati da Andrea Della Robbia.
Il 25 gennaio 1445 l’ospedale fu inaugurato e l’11 aprile 1451 fu consacrata la chiesa. Nella realtà delle cose i lavori proseguirono per buona parte del 1500 ma i bimbi cominciarono ad affluire nel grembo spedaliero già dal 1445. L’Arte della seta finanziava lo Spedale tramite il versamento obbligatorio di un contributo da parte degli iscritti e affidava la gestione ad un eletto “spedalingo”, affiancato da tre “operai”. Il primo spedalingo fu Lapo di Piero Pacini.
Lo Spedale accoglieva tutti i bimbi abbandonati sia lasciati ufficialmente che abbandonati presso la famosa ruota. In un primo tempo i fanciulli potevano essere abbandonati deponendoli in una pila cioè una conca posta sotto il porticato. In seguito fu sostituita da una finestra che poi nel 1660 fu spostata all’estrema sinistra del portico. Le madri lasciavano i loro figli e suonata la campanella questi venivano portati all’interno il tutto senza che le madri fossero viste e riconosciute. I bambini molto spesso venivano dotati segni di riconoscimento come una medaglietta spezzata di cui una parte era tenuta dalla madre e l’altra parte lasciata con il figlio, questo poteva permettere in un futuro un riconoscimento e un ricongiungimento. Nel 1875 la ruota fu murata.
Già nel 1448 si contavano 260 bambini cresciuti grazie allo spedale e nel 1560 arrivarono a 1320 e a più di 3000 nel 1681. Il numero dei bambini era divenuto tale che il latte che le balie potevano fornire cominciò a scarseggiare tanto che nel 1577 si attuò per la prima volta nel mondo l’allattamento artificiale usando latte di mucca mediante dei rudimentali biberon cioè dei bicchieri con un beccuccio detto pippio.
Lo spedale nei secoli ha permesso a innumerevoli bambini di crescere e poter avere una vita. Le ragazze cresciute spesso entravano nelle fila dei tessitori e affini o si facevano monache o ancora restavano nello spedale a prestare il loro aiuto. I bambini spesso diventavano ragazzi di bottega e imparavano un mestiere. Sia i bambini che le bambine frequentavano la scuola interna ed imparavano a leggere, scrivere e far di conto.
Lo Spedale degli Innocenti e l’impegno dell’Arte della Seta hanno permesso di salvare e inserire nel mondo bambini che avrebbero avuto un ben triste destino ed infatti ancora oggi i cognomi Innocentini o degli Innocenti o ancora Nocentini sono cognomi diffusi a Firenze e testimoniano che almeno un antenato di quella famiglia è stato cresciuto all’interno dello Spedale.
Oggi lo Spedale degli Innocenti è anche un museo visitabile.
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Firenze: Gli scherzi di Buffalmacco
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Firenze: Gli scherzi di Buffalmacco
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  Come in tutte le categorie di persone, anche tra gli artisti vi sono sempre stati dei burloni. Nella Firenze del ‘300 ve ne fu uno in particolare, un pittore soprattutto di tabernacoli, che passava più tempo a burlarsi del prossimo che a dipingere: il suo nome era Buffalmacco Buonamico. Un nome così strano e buffo farebbe pensare a un personaggio inventato per una fiaba; invece è realmente esistito anche se, evidentemente, pagò cara la sua mania di fare burle, visto che poche delle sue pitture sono giunte fino a noi. Solo recentemente ha acquisito una personalità artistica precisa grazie alle ricerche che gli hanno attribuito gli affreschi del Camposanto di Pisa, uno dei più importanti momenti della storia dell’arte italiana. Secondo il Vasari fu allievo di Andrea di Ricco, detto Tafo, al quale però lo stesso scrittore aretino assegna una data di morte (1294) inconciliabile con l’apprendistato di Buonamico. La notizia però mantiene una sua rilevanza, in quanto Vasari sembra escludere in maniera categorica, anche nel resto della Vita, qualsiasi rapporto di alunnato o influenza artistica dipendente da Giotto, cosa che trova riscontro nella ricostruita personalità artistica di Buffalmacco. Dalle notizie documentarie relative al pittore fiorentino Bonamichus, sappiamo che egli risultava iscritto per la prima volta nella Matricola dei Medici e Speziali di Firenze intorno al 1315; pertanto si deduce che potrebbe essere nato intorno al 1290-95. Ancora nel 1320 è iscritto col nome di Bonamichus magistri Martini. Dalle testimonianze del Ghiberti sappiamo di una sua attività artistica a Firenze nella cappella Spini della Badia a Settimo (dove si conserva un’iscrizione con la data 1315) e nel convento delle Donne a Faenza (intorno al 1314-1317). Queste notizie sarebbero confermate dalla documentazione d’archivio che lo vede iscritto all’Arte a Firenze solo tra il 1315 e il 1320, mentre dopo il secondo decennio del secolo Buonamico Buffamacco non viene citato in alcun altro documento. Secondo Franco Sacchetti, Buffalmacco lavorò per il vescovo di Arezzo Guido Tarlati, che fu signore di quella città tra il 1320 e il 1327. Vasari, che riprende in parte le notizie del Ghiberti, ci ragguaglia sulla sua attività artistica a Bologna, ad Assisi, ad Arezzo e a Pisa. Anche se attribuzioni vasariane sono relative ad opere in larga misura scomparse e sono da prendersi con grande cautela, esse hanno consentito a Luciano Bellosi (1974) di identificare Buffalmacco come l’autore degli straordinari cicli di affreschi nel Camposanto di Pisa. Tale ipotesi è avvalorata anche da un documento d’archivio che attesta la presenza di Buffalmacco in Pisa nel marzo-aprile 1336. Il motivo per cui, comunque, è rimasto famoso sono i tantissimi scherzi da lui fatti a molti fiorentini dell’epoca: un modo come un altro per conquistare quella “immortalità” che altrimenti non avrebbe avuto. Boccaccio lo ha reso protagonista di divertenti aneddoti e storielle nel Decamerone. Per dare un’idea di Buffalmacco, citiamo l’episodio di una povera donna che, oltre a cucinare e sfaccendare tutto il giorno, veniva obbligata dal marito a lavorare al telaio fino a tarda notte e il continuo battere del telaio disturbava il sonno di Buffalmacco, che abitava nella casa accanto. Una mattina il pittore, stanco di questa situazione, riempi di sale una lunga cannuccia e, dalla finestra, soffiando nella cannuccia, fece cadere tutto quel sale nella pentola di minestra che quella donna faceva bollire sul fuoco. Il marito della donna non poté mangiare quella minestra eccessivamente salata, ma soprattutto capì che la moglie, per poter cucinare a dovere, di giorno doveva essere ben sveglia; di conseguenza, con buona pace di Buffalmacco, da quella sera la povera donna poté riposare come gli altri. Tra gli scherzi di Buffalmacco, purtroppo, ve ne fu anche uno che si concluse tragicamente. Durante le feste di “Calen di maggio 1304” , come era usanza, allegre compagnie e brigate di giovani organizzavano feste per tutta la città. I popolani di Oltrarno, detti “sanfrianini” dal nome del Borgo di San Friano (oggi San Frediano) in cui abitavano, fecero un bando per annunciare a tutta Firenze che “chiunque volesse sapere notizie dell’altro mondo, altro non avesse da fare che recarsi, il dì di Calen di maggio, in sul ponte alla Carraia o d’intorno all’Arno.” La notizia incuriosì un gran numero di fiorentini, che accorsero a vedere come I Sanfrianini avrebbero rappresentato il mondo dell’oltretomba. Buffalmacco, ideatore e organizzatore di quello spettacolo, era intenzionato a fare una rappresentazione infernale così realistica e paurosa da far venire i brividi a tutti. Il Villani ci descrive così quell’episodio che si concluse tragicamente: “e andarono in Arno, sopra barche e navicelle, palchi, e fecionvi la somiglianza e figura dello inferno, con fuochi e altre pene e martorii , con uomini contraffatti a demonia orribili a vedere, e altri i quali avevano figure di anime ignude, che pareano persone, e mettevangli in quegli diversi tormenti con grandissime grida, e strida, e tempesta, la quale pareva odiosa e spaventevole a udire e a vedere”. La fantasia di Buffalmacco in quella occasione si dimostra davvero eccezionale; purtroppo però il ponte alla Carraia, sul quale si era accalcata una folla incredibile, era fatto di legname che si appoggiava sulla muratura dei piloni. Accade che le assi del ponte, sotto l’enorme peso della folla, cedettero in più punti e il ponte crollò; moltissimi annegano in Arno e tanti altri perirono cadendo sui piloni del ponte o sulle barche che passavano sotto. Il Villani concluse la cronaca di quella tragedia con questa riflessione: “così che moltissime persone che erano andate lì per vedere come era fatto l’altro mondo, fini’ che a vedere l’altro mondo ci andarono davvero.” Buffalmacco è sepolto nel chiostro detto “Ossa” dell’Ospedale di Santa Maria Nuova, in pieno centro di Firenze: “a 68 anni fu dalla Compagnia della Misericordia, essendo poverissimo e avendo più speso che guadagnato, per essere un uomo così fatto, sovvenuto nel suo male in Santa Maria Nuova, Spedale di Firenze; e poi morto, nell’Ossa come altri poveri seppellito, l’anno 1340.”
Gabriella Bazzani
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