Tumgik
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n61qorm90y3y4 · 1 year
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petalidiagapanto · 7 months
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«Qui dove or è molti anni
s'espresse il nostro mattino
s'invera la tua vita
Guido, in un'ora che sembra
dolcisonante risacca
di memorie su dolci prode.
Bellezza dell'arco che si tende
e di tutto che ascende nel ronzante
tripudiare del sole! Io non un fiore
t'offro, sì questa bacca.
Conservala com'è; che nulla teme.
Su lei su te Acquario mai non versi
l'urne; sopra le viaggino
tersi gli astrali segni!»
(Eugenio Montale)
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Siamo diversi
noi che viviamo di versi
Non siamo persi anzi no
grazie alla poesia siamo riemersi
Liberi d’essere perversi
Pronti ad entrare in mille universi
I nostri cuori ora son tersi
Non più dispersi fra menzogne no
Liberi ci permettiamo d’abbandonare ogni regola
Anche quelle create da noi stessi
Liberi ci permettiamo d’essere felici
D’essere veri con noi stessi
- francisco finnegan.
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synaptica · 3 years
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La via del rifugio
'
I.
Mio cuore, monello giocondo che ride pur anco nel pianto,
mio cuore, bambino che è tanto felice d'esistere al mondo,
pur chiuso nella tua nicchia, ti pare sentire di fuori
sovente qualcuno che picchia, che picchia... Sono i dottori.
Mi picchiano in vario lor metro spiando non so quali segni,
m'auscultano con gli ordegni il petto davanti e di dietro.
E sentono chi sa quali tarli i vecchi saputi... A che scopo?
Sorriderei quasi, se dopo non bisognasse pagarli..
"Appena un lieve sussulto all'apice... qui... la clavicola..."
E con la matita ridicola disegnano un circolo azzurro.
"Nutrirsi... non fare più versi... nessuna notte più insonne...
non più sigarette... non donne... tentare bei cieli più tersi:
Nervi... Rapallo... San Remo... cacciare la malinconia;
e se permette faremo qualche radioscopia..."
II.
O cuore non forse che avvisi solcarti, con grande paura,
la casa ben chiusa ed oscura, di gelidi raggi improvvisi?
Un fluido investe il torace, frugando il men peggio e il peggiore,
trascorre, e senza dolore disegna su sfondo di brace
e l'ossa e gli organi grami, al modo che un lampo nel fosco
disegna il profilo d'un bosco, coi minimi intrichi dei rami.
E vedon chi sa quali tarli i vecchi saputi... A che scopo?
Sorriderei quasi, se dopo non fosse mestiere pagarli.
III.
Mio cuore, monello giocondo che ride pur anco nel pianto,
mio cuore, bambino che è tanto felice d'esistere al mondo,
mio cuore dubito forte - ma per te solo m'accora -
che venga quella Signora dall'uomo detta la Morte.
(Dall'uomo: ché l'acqua la pietra l'erba l'insetto l'aedo
le danno un nome, che, credo, esprima un cosa non tetra.)
È una Signora vestita di nulla e che non ha forma.
Protende su tutto le dita, e tutto che tocca trasforma.
Tu senti un benessere come un incubo senza dolori;
ti svegli mutato di fuori, nel volto nel pelo nel nome.
Ti svegli dagl'incubi innocui, diverso ti senti, lontano;
né più ti ricordi i colloqui tenuti con guidogozzano.
Or taci nel petto corroso, mio cuore! Io resto al supplizio,
sereno come uno sposo e placido come un novizio.
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sciatu · 6 years
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PAESAGGI SICILIANI - Cala Li Turchi ( di Tiberio  Frascari) , Madonie, mare di Siracusa, Stromboli, Costa Ionica vicino Messina (foto di Linci Gugliotta) , Valle dei templi.
D’amore riempio ogni mio minuto, amando ogni cosa di quanto mi circonda, cercando ogni bellezza in quanto vedo e sogno. E sono parte di acqua e di fuoco, di lunghe spiagge dalla cristallina acqua, e bianche scogliere dalla splendente immacolata purezza. Verrà il tramonto a rubarmi ogni ricchezza, ma ogni mio minuto è stato riempito d’amore e bellezza che nessuno può uccidere o cancellare. D’amore riempio ogni mia parola scrivendo con l’anima e amando con versi tutto quello che il cuore trova, lasciando un’emozione tra silenzi e cieli tersi. E sono parte di castelli diroccati, vulcani fumanti e lune che vagano in cieli sognanti e chiese e piazze con archi spaiati. Verrà l’inverno a gelare ogni bellezza, ma ogni mio minuto, avrà d’ogni rima la ricchezza che nessuno potrà alla fine spegnere o dimenticare D’amore rivesto ogni mio abbraccio che nel giorno le dono e con cui lei si nutre, tenerezze e silenzi in cui verso nel suo cuore ogni minuto che ho riempito con il mio dolciastro furore. E monti divento che cullano villaggi antichi e cieli puri e trasparenti come i suoi occhi puri e saggi. Verrà la notte a sciogliere tutti i legami che tra noi abbiamo scritto e cucito ma ogni mio minuto è stato un “ti amo” che la notte non potrà nascondere o cancellare.
I fill every minute  loving everything that surrounds me, looking for every beauty as I see and dream. And I am part of water and fire, of long beaches with crystalline water, and white cliffs of pure immaculate purity. Sunset will come to steal my wealth, but every minute of mine has been filled with love and beauty that no one can kill or erase. Of love, I fill every word of mine by writing with the soul and loving with verses all that the heart finds, leaving an emotion between silence and clear skies. And I am part of ruined castles, smoking volcanoes and moons that wander in dreamy skies and churches and squares with unpaired arches. Winter will come to freeze every beauty, but every minute of mine will have in every rhyme the richness that no one will be able to extinguish or forget in the end. Of love I cover every embrace that in the day I give her and with which she feeds, tenderness and silences in which towards her in his heart every minute I have filled with my sweet rage. And I become mountains that cradle ancient villages and pure and crystalline skies like her pure and wise eyes. The night will come to dissolve all the bonds between us that we have written and sewn but in every minute of mine I wrote “I love you” andt the night can not hide or cancel these three words.
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alemicheli76 · 3 years
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Il blog presenta "Periello. Rcconti di versi" di Virginia Benenati. Da non perdere!
Il blog presenta “Periello. Rcconti di versi” di Virginia Benenati. Da non perdere!
Come fini rami sottiliche nel rigoglio festante della rinascitasi librano in aria, intrecciandosi,screziando i tersi cieli di primaveracosì i nostri incontri s’addensanocadenzati al suono d’una vecchia campana paesanae improvvisi, come i fremiti di risa che ridisegnano il tuo volto;le dita indugiano a giocarea mo’ di bimbi su di un prato.Poi la tua voce scendecome pioggiaad ammantare la…
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drowningpoet · 3 years
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c’è si innamora
d’un fiore appena sbocciato
chi invece s’incanta
dinanzi ad un tramonto
chi si lascia cullare
dalle onde d'un mare in burrasca
ma a me piace perdermi
nei versi di un poeta affranto
nelle parole di chi sa capire
nelle storie d’uomo altrui
mi piace ammirare
le vastità del nulla
e lasciarmi prendere
da quel senso di libertà
che soltanto si trova
nei cieli tersi
e nei prati verdi in primavera
mi piace correre
nelle menti di persone
che non riusciranno mai a prendermi
e lasciare che la mia
sia affollata quanto Piazza Duomo
perché solo la confusione
riesce a zittire ciò
che calmo non è.
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Nuovo post su https://is.gd/sJRTKK
Francesco Porrata Spinola di Galatone e l'eruzione del Vesuvio del 1631
di Armando Polito
Il Vesuvio prima e dopo l’eruzione del 16 dicembre 1631 in due incisioni del francese Nicolas Perrey tratte da Gianbernardino Giuliani, Trattato del Monte Vesuvio e de’ suoi incendi, Longo, Napoli, 1632 (https://doi.org/10.3931/e-rara-10365)
Non sono pochi i salentini che nel corso dei secoli si sono occupati in prosa o in versi di ciò che nell’immaginario collettivo dell’intero pianeta è il simbolo di Napoli, dopo la pizza e il mandolino1. Nella sterminata schiera, poi, dei testi scientifici un posto preponderante è senz’altro occupato da quelli che si occuparono della catastrofica eruzione del 1631. Tra essi è da annoverare quello il cui frontespizio presento di seguito.
A parte la rarità2, il volume già nel titolo, conformemente all’uso del’epoca chilometrico, presenta qualcosa di insolito e, dunque, originale, cioè il pronostico di effetti maggiori, basato su concomitanze astrologiche riassunte nella figura di p. 20.
Non sono un medico o un filosofo o un astrologo (tanto meno eccellentissimo): forse so, più probabilmente presumo di sapere qualcosa di letteratura propriamente detta e ancora meno di filologia, e per questo lascio a lettori più qualificati di me il giudizio sul valore scientifico di tutto il Discorso, che ognuno potrà agevolmente leggere dal link prima segnalato per le tavole.
Mi limiterò, perciò, a prendere in considerazione e ad approfondire solo alcuni dettagli. Comincio dall’autore dicendo che le notizie sono estremamente scarne e non sapremmo nemmeno che era di Galatone senza il Galateo del provvidenziale e pretenzioso (per via dei titoli, ma allora non c’era la specializzazione spinta di oggi, cosa che, d’altra parte, aveva pure i suoi aspetti positivi …) frontespizio. debbo precisare, però, che la famiglia Porraca Spinola è di chiarissima origine genovese e che essa vantava anche uno zecchiere (Agostino). Di seguito una moneta del 1563 con la sua sigla (AS) nel verso.
Dal frontespizio apprendiamo pure che l’opera è dedicata è al nobile fiorentino Vincenzo Sirigatti, il cui stemma appare bene in vista, mentre dalla dedica interna che, stranamente breve, occupa solo le prime due pagine, apprendiamo che Vincenzo era dotato di rare e gentili maniere, ammirate e amate da tutti non solo in questa Provincia, dove al presente si ritrova, ma molto più di lungi e poco dopo l’autore dichiara di aver composto il Discorso in volgar lingua contro ‘l mio Genio, come V. S. e molti sanno , acciò in questa pubblica occasione ogn’uno publicamente goda l’utile, e ‘l diletto insieme. Insomma il nostro aveva intenzione di scriverlo in latino, poi prevalse l’intento divulgativo (di mercato, diremmo oggi, se non fosse che testi simili restavano pur sempre di nicchia). E quanto ad esibizione di titoli sbattuti nel frontespizio a concorrenza non sarebbe stata certamente da meno. Basta considerare il frontespizio che segue, tratto da  https://doi.org/10.3931/e-rara-23442.
Nel titolo, qui ancor più chilometrico, spicca il greco ῥιγοπύρετον che per il suo significato (febbre con brividi) conferisce una connotazione quasi umana al vulcano in eruzione e poi l’autore (Vincenzo Alsario della Croce) dopo essersi dichiarato di Genova, sventola la sua brava caterva di titoli: Professore di medicina pratica all’Università della Sapienza, già camerlengo segreto di Gregorio XV, ora camerlengo onorifico del papa Urbano VIII. Ma torniamo al volume del salentino.
Alla dedica seguono, secondo una prassi consolidata in pubblicazioni del genere, quattro componimenti elogiativi (tre sonetti ed un epigramma in distici elegiaci) che riproduco e, laddove è necessario, commento.
Il primo sonetto, dedicato Al Signor Vincenzo Sirigatti, è di Francesco San Pietro di Negroa.    
Tu che del nobil Arno i tersi Argenti
rendi adorni di Glorie, e di splendoei,
tu che virtù difendi da furori
di nemica Fortuna, e d’empie genti,
tu col tuo chiaro nome, ch’eran spenti
questi d’Astrologia raccolti fiori
per dotta man sacrati  hor à tuoi honori
solo ravvivi con affetti ardenti
così ben pare sculto in lettere d’oro
perche il Vesuvio hà svelto arsi macigni
et omicide vampe à i vicin Campi;
e quando fia, che Marte non più avvampi
e la Pace trionfi del suo Alloro,
e gli altri influssi à noi rotin benigni. 
_________
a Da identificare forse con  Lagonegro, in Basilicata.
  Gli altri due, dedicati all’autore, sono di Pietro Angelo De Magistris Galateob Academico Ociosoc detto il Tranquillo.
Sparse armato il Vessuvio à danni nostri
con Tremoti d’orror fiamme voraci,
ceneri spaventose, onde fugaci,
theatro infausto di Prodigi, e mostri.
E ‘l Tuon, che diè da suoi Tartarei Chiostri
rimbomba hor ne’ tuoi scritti aurei, e veraci,
e i baleni veggiam viè più vivaci
co’ lampi, e rai de’ tuoi purgati inchiostri.
Ammira il Mondo le raggioni, e l’arte
de la tua dotta Penna, e ‘l tuo lavoro
de gli Astri le Virtù pinge in gran parte.
Prendan dal tuo bel dir l’alme ristoro,
e contempli ogni cor nelle tue carte
la Cenere hor cangiata in pioggia d’Oro. 
_____________
b Di Galatone.
c L’Accademia degli Oziosi era stata fondata a Napoli nel 1611.
  T’impennò l’ali à la Celeste Metaa
girando ogn’hor con regolati errorib,
e dando all’almac tua lampi, e splendori
ogni Stella, ogni Segno, ogni Pianeta.
E già con dir facondo, e mente quieta
de le Ceneri sparse, e de gli ardori
sveli il ver, cause adduci, incendi i corid
con tua Virtù qual degna aurea Cometa.
Da foco di Vessuvio è il mondo offeso
quasi infermo di febre, e in sì ria sorte
in fumo si dissolve il mortal peso;
deh fà (volgendo al Ciel tue luci accorte
di quelle fiamme sempiterne acceso)
pronostichi di Vita, e non di Morte.
_______
a Consentì alla tua scienza astrolofica di innalzarsi
b In senso etimologico: movimenti.
c animo
d susciti discussioni
  L’epigramma, indirizzato a Vincenzo Sirigatti,  è di anonimo, ma, dietro la dicitura cuiusdam perfamiliaris (di uno molto amico) non mi è difficile supporre che si nasconda l’autore dell’opera, in un’ulteriore dichiarazione di modestia …
Magnus Alexander sic Mundo sculptus ab uno
Lisippo, atque uno pictus Apelle, datur,
praeclarum, SIRIGATTE, tuum sic Spinola nomen
ingenio clarus (perlege) non maculat.
Traduzione: Così si tramandaa che Alessandro Magno fu scolpito dal solo Lisippob e dipinto dal solo Apellec, così, o Sirigatti, Spinola illustre per talento (finisci di leggere) non macchia il tuo nome illustrissimo.
_________
a Plinio, Naturalis historia, VII, 38: Idem hic imperator edixit ne quis ipsum alius quam Apelles pingeret, quam Pyrgoteles scalperet, quam Lysippus ex aere duceret (Quest’imperatore medesimo stabilì che nessun altro potesse raffigurarlo con la pittura se non Apelle, con la scultura in marmo se non Pirgotele, con quella in bronzo se non Lisippo).
b Scultore greco del IV secolo a. C.
c Pittore greco del IV secolo a. C.
  Vi lascio immaginare quanto desidererei conoscere il pensiero del dedicatario, sempre che l’opera sia stata da lui letta …
E, in chiusura, non posso non ricordare il contributo etimologico che sul nome del vulcano il nostro offre a p. 4: Mons Vaesevus da Vae, cioè guai, e Saevus, cioè crudele, perché guai a chi lì fabrica, ò coltiva, o confida habitare, veggendosi poi esso o suoi discendenti all’improviso perder così la robba, e la vita. Essa ricalca nella prima parte  quella del contemporaneo Camillo Tutini3, che, riprendendo una tradizione popolare, sosteneva che Vesuvio è da Vae suis (Guai ai suoi!) partendo dalla considerazione che la sua attività distruttiva storicamente aveva preceduto o seguito disgrazie per la popolazione. Confesso che nella miriade di proposte etimologiche avanzate e citate in molti lavori  questa del salentino la leggo per la prima volta, anche se mi pare anch’essa una paretimologia. Un tocco di originalità, che pur con riserva sto campanilisticamente sottolineando (forse per farmi perdonare qualche spunto ironico al quale nemmeno qui ho saputo rinunciare) o semplicemente una mia lacuna di letture su questo argomento e non solo?
__________
1 Vedi, per esempio, https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/11/07/salento-vesuvio-poesia-pellegrino-scardino-san-cesario-lecce/
https://www.fondazioneterradotranto.it/2016/11/03/nardo-vesuvio-anno-piu-anno-meno/
https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/01/12/leruzione-del-vesuvio-del-1631-nella-poesia-di-un-salentino-e-di-un-napoletano-con-una-sorpresa-finale/
https://www.fondazioneterradotranto.it/2020/01/12/gli-arcadi-di-terra-dotranto-gregorio-messere-di-torre-s-susanna-20-20/
https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/01/26/marco-antonio-delli-falconi-di-nardo-tiene-a-battesimo-il-monte-nuovo/
Ad integrazione della produzione in versi in riferimento all’eruzione del 1631 di cui al terzo link appena segnalato a breve in un altro lavoro saranno aggiunti altri contributi di letterati salentini.
2 L’OPAC ne registra solo 4 esemplari.
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pangeanews · 4 years
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“Solcata ho fronte, occhi incavati intenti, crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto”. Ugo Foscolo, o dell’arte dell’autoritratto in versi
È un mondo senza aggettivi, il nostro. Un mondo dai nomi sbiaditi e privo di aggettivi, ché quelli che usiamo altro non sono che etichette, la temeraria attitudine, per dirla con Eliot, a usare parole sempre più raffinate per sentimenti sempre più rozzi.
Forse perciò, in quest’epoca di accuse sommarie giudizi sommari esecuzioni sommarie – sì, forse per questo è così sorprendente ritrovarsi per le mani i sonetti foscoliani, e in particolare mettere a confronto il suo autoritratto nella versione a stampa del 1803 e quella definitiva del 1824.
*
L’autoritratto è una tradizione possibile ma abortita della nostra poesia a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo: ne scrive uno celebre Alfieri, con il sonetto CLXVII, ne scriverà uno Manzoni; prima, dopo e intorno, poco altro di memorabile, oltre a questo foscoliano che colpisce fin da subito per l’esattezza priva di simbolismi. Mentre Alfieri infatti confonde spesso i piani descrittivi e metaforici e usa le stesse similitudini in modo espansivo e non chiarificante, di Foscolo piace proprio l’opposto, l’architettura chiara del sonetto e la precisione chirurgica delle parole.
Quando pubblica la prima versione, Foscolo ha venticinque anni; si trova, cioè, in quello che considera un momento di passaggio tra la giovinezza e l’età matura. E l’autoritratto, scritto nei due anni precedenti, è infatti lo schizzo di un giovane ancora vigoroso e, nonostante le botte prese, pieno di fede nel futuro.
Solcata ho fronte, occhi incavati intenti, Crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto, Labbro tumido acceso e tersi denti, Capo chino, bel collo e largo petto;
Giuste membra; vestir semplice eletto; Ratti i passi, i pensier, gli atti, gli accenti; Sobrio, umano, leal, prodigo, schietto; Avverso al mondo, avversi a me gli eventi:
Talor di lingua, e spesso di man prode; Mesto i più giorni e solo, ognor pensoso, Pronto, iracondo, inquïeto, tenace:
Di vizi ricco e di virtù, do lode, Alla ragion, ma corro ove al cor piace: Morte sol mi darà fama e riposo.
Questa è l’immagine in cui Foscolo fissa i suoi venticinque anni. Intanto, dicevamo, l’architettura esatta. Ecco allora nell’ordine la descrizione fisica dei primi cinque versi; ecco il suo scivolare nel campo del carattere attraverso la fotografia dei gesti; ed ecco che dal carattere gestuale si va a quello morale, con l’elenco delle caratteristiche astratte (sobrio, umano, eccetera) e del rapporto io-mondo, che anche da questi caratteri è modellato. Infine, nell’ultima terzina, un riassunto sommario del proprio mondo intimo e il rimando all’aspirazione per una gloria che lo renda immortale.
*
Ma una fotografia, un ritratto, sono istantanei. Che cosa fare quando il tempo e le occorrenze schiacciano e deformano il soggetto, al punto che il vecchio ritratto somiglia troppo a un Dorian Gray che splende all’esterno e conserva all’interno il proprio marciume?
Possenza dell’arte e degli aggettivi – Foscolo ce lo mostra, che fare, e come farlo con pochissimi, lievi ritocchi. Possenza dell’arte e degli aggettivi – e chi dimentica che arte e artigianato hanno lo stesso seme, chi dimentica che al demone dell’ispirazione deve succedere l’oscuro e lungo lavorio appassionato dell’operaio, peste lo colga.
Eccoci allora vent’anni più avanti, AD 1824, ed ecco che Foscolo riprende in mano il sonetto giovanile per renderlo più adatto al sé attuale e al tempo trascorso. Pochissimo è cambiato dell’aspetto, ma un pochissimo che in una manciata di parole cambia tutto l’accento, tutta la prospettiva.
Solcata ho fronte, occhi incavati intenti, Crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto:
Fin qui tutto uguale, ma nel terzo verso sparisce il riferimento ai bianchi denti e nella descrizione puramente fisica della prima versione, si insinua un accenno morale, che dice di un uomo le cui labbra esprimono intelligenza, più che passione, e il cui riso è raro e misurato.
Labbro tumido acceso, e tersi denti (1803)
diventa perciò
Labbri tumidi, arguti, al riso lenti (1824).
Del pari, il «largo petto» del quarto verso resta evidentemente largo, ma è ormai anche «irsuto», ed è a questo tratto distintivo che la nuova versione dà voce.
*
Nella seconda quartina, le parole che cambiano sono ancora meno, soltanto due. Eppure, anche qui, potenza dell’arte!, che mutamento descrittivo che questi due soli cambiamenti consentono!
Le «giuste membra» divengono allora «membra esatte», il che sposta l’accento da un canone oggettivo ed esterno a un’accettazione interna. Per quanto mutate possano essere, le membra foscoliane sono «esatte», quelle che la storia e il destino gli hanno consegnato. Ma ancora più interessante è il settimo verso, dove cambia un solo aggettivo, ma dove il cambiamento di questo singolo aggettivo e lo spostamento dell’ordine degli altri mostra una mutata scala di valori. Ecco allora che da
Sobrio, umano, leal, prodigo, schietto; (1803)
il nuovo Foscolo si descrive come
Prodigo, sobrio; umano, ispido, schietto (1824).
Prodigalità e sobrietà vanno in cima e si combattono come due facce di una stessa medaglia; la lealtà è caduta nelle disillusioni politiche e militari e al suo posto c’è la sgradevole caratteristica dell’essere ispido. L’aggettivo umano, infine, si sposta al centro, come ad assumere su di sé tutti gli altri.
*
Ed ecco la vecchiaia che avanza, che nelle due terzine si mostra con chiarezza e con chiarezza evidenzia la distanza tra l’uomo di oggi e il giovane di ieri. Il giovane di ieri era un eroe romantico, ardito, pronto a menare le mani e a battagliare, ma capace di solitudine e di introspettività.
Talor di lingua, e spesso di man prode; Mesto i più giorni e solo, ognor pensoso, Pronto, iracondo, inquïeto, tenace:
L’uomo di oggi vede la propria solitudine mesta salire in posizione dominante, come una virtù divenuta condanna. E vede ardore e speranza sostituite da disillusione e viltà.
Mesto i più giorni e solo; ognor pensoso; Alle speranze incredulo e al timore, Il pudor mi fa vile; e prode l’ira:
Svanita la tenacia e la prontezza, solo l’ira resta, un’ira amara. Così, nell’ultima terzina resta il contrasto tra la ragione e il cuore. Ma se da giovane questo contrasto era un vanto, un “sì certo, lodo la ragione ma faccio vincere il cuore”
Di vizi ricco e di virtù, do lode Alla ragion, ma corro ove al cor piace:
adesso, vent’anni dopo, è una sorta di rimpianto, un vizio non amato e purtroppo inemendabile.
Cauta in me parla ragion, ma il core, Ricco di vizi e di virtù delira –
*
Resta, al di là di tutto, l’attesa di un dono, di una ricompensa, che Foscolo non sa vedere altrove che nella grandezza lasciata dietro di sé, nella fama e nel riposo della morte. Ma anche questa attesa, questa aspettativa, si è fatta più incerta, più incrinata, sfumata dai colpi della vita e dalla coscienza dei propri difetti. Perciò la chiusa che nel 1803 era apodittica e profetica, «morte sol mi darà fama e riposo», nella versione tarda si fa allocuzione alla morte.
Morte, tu mi darai fama e riposo.
La morte non è più un principio impersonale, da trattarsi in terza persona. Diventa un «tu», un’entità sempre più vicina e perciò sempre più reale. E se il tono resta impositivo, il rivolgersi direttamente ad essa ordinando, o forse implorando, fama e riposo dice una volta di più della maturazione interiore di chi scrive. E dice una volta di più – possenza dell’arte – dell’abilità sartoriale con cui Foscolo prende un vecchio vestito inadatto e con pochi rammendi lo rende nuovo: più adeguato a chi è diventato, al mondo che gli è intorno, alla vita che gli resta da vivere e lottare.
Daniele Gigli
***
Il proprio ritratto (versione 1824)
Solcata ho fronte, occhi incavati intenti, Crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto: Labbri tumidi arguti, al riso lenti, Capo chino, bel collo, irsuto petto;
Membra esatte; vestir semplice eletto; Ratti i passi, i pensier, gli atti, gli accenti: Prodigo, sobrio; umano, ispido, schietto Avverso al mondo, avversi a me gli eventi.
Mesto i più giorni e solo; ognor pensoso; Alle speranze incredulo e al timore, Il pudor mi fa vile; e prode l’ira:
Cauta in me parla la ragion, ma il core. Ricco di vizi e di virtù delira – Morte, tu mi darai fama e riposo.
L'articolo “Solcata ho fronte, occhi incavati intenti, crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto”. Ugo Foscolo, o dell’arte dell’autoritratto in versi proviene da Pangea.
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vocidaiborghi · 5 years
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Evelina Cattermole Mancini. Versi. 1883
Evelina Cattermole Mancini. Versi. 1883
Peggio che al vento, se n’andran dispersi là giù tra ‘l fango de l’oscura via, risa, baci, sospiri fatti armonia. fatti profumo in questi fogli tersi.
Qualche somaro che il sentier traversi li calcherà ragliando un’omelia; e tizio ghignerà: la poesia sta ne’ fogli di banca e non ne’ versi.
La casta dama che fin dietro i letti bianchi de’ bimbi i frolli amanti cela, scandalizzar faranno i miei…
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