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#toponomastica salentina
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Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/02/27/otranto-dintorni-carta-aragonese-del-xvi-secolo/
Otranto e dintorni in una carta aragonese del XVI secolo
di Armando Polito
Caccumoli sopr(a):  oggi Cocumola
Caccumoli sot(to) dir(uta)
Casale delle Fantanelle: da leggere Fontanelle; ha dato il nome ad un agriturismo sulla strada provinciale 366 Otranto-Alimini. Fontanelle nelle carte di Ianssonius e del Bulifon (XVII secolo):
Casa Massella: oggi Casamassella
Corfiniano: oggi Cerfignano
Fanale della Serpe: oggi Torre del Serpe. Si ritiene che la prima costruzione risalga al periodo romano e fungesse da faro. Fu restaurata in età federiciana. Il toponimo è legato ad una leggenda narrante di un serpente che ogni notte saliva sulla torre per bere l’olio che alimentava la lanterna del faro. Un’altra leggenda, probabilmente più recente, narra che, pochi anni prima della presa di Otranto nel 1480, i Saraceni avevano già tentato di prendere la città ma l’impresa era fallita perché il serpente, bevendo l’olio, aveva provocato lo spegnimento del faro.
Jordiniano: oggi Giurdignano
Porto2 badiscio: il successivo Porto fondo fa pensare ad un nucleo abitato del vicino entroterra.
Porto fondo: oggi Porto Badisco; il toponimo aragonese sembra quasi una nota etimologica, una sorta di traduzione dal greco βαθύς (leggi bathiùs), che significa profondo. Il riferimento sarebbe a prima vista al mare e in tal caso bisogna ipotizzare che la parte finale di Badisco sia il suffisso –ίσκος (leggi –iscos) con valore diminutivo; in tal caso l’allusione sarebbe alla modesta profondità del mare. Tuttavia, proprio il badiscio della carta aragonese apre la possibilità che il nome derivi dal greco βαθύσκιος  (leggi bathiùschios) composto dal ricordato βαθύς e da σκιά (leggi schià) che significa ombra, per cui il riferimento sarebbe alla folta vegetazione, di cui abbiamo un indizio nel in Girolamo Marciano (1571-1628) che, Descrizione, origini e successi della Provincia d’Otranto, opera usscita postuma per i tipi della Stamperia dell’Iride a Napoli nel 1855, dove, a p. 375 si legge: Vadisco è piccola ed amenissima valle vestita di oliveti, dalla quale trascorrono nel mare alcuni ruscelli di acque ov’è il Porticciolo, ricovero di piccoli vascelli. E subito dopo cita un passo del De situ Iapygiae del Galateo: Quarto ab Hydrunto lapide convallis parva, attamen amoenaissima et oleis consita est, quam incolae pomarium nuncupant; per hanc rivulis acqua decurrit. Haec pusillum portum efficit, quem ideo Vadiscum incolae dicunt; parvarum navicularum statio est (A quattro miglia da Otranto c’è una valle piccola ma amenissima e ricca di olivi, che gli abitanti chiamano frutteto; attraverso questa valle l’acqua scorre a ruscelli. Essa forma un piccolo porto un piccolo porto che perciò gli abitanti chiamano Vadisco; è riparo di piccole navicelle).
S.a M(aria) del Soccorso. Attendo notizie.
S.ta Pelagia: oggi Punta Palascìa; vedi http://www.fondazioneterradotranto.it/2013/09/27/antonio-maria-il-pescatore-etimologo-di-punta-palascia/
S.to Emiliano: oggi Torre di S. Emiliano. La mappa mostra, come già in altri casi, un nucleo abitato in corrispondenza del toponimo e la torre distante sulla costa. È legittimo pensare, quando ciò succede con l’implicazione del nome di un santo che il nucleo abitato ne abbia tratto il nome per motivi devozionali che intuitivamente si perdono nella notte dei tempi e in epoca successiva l’abbia trasmesso alla torre. Se tutto ciò corrisponde al vero la mappa costituirebbe una sorta di ibrido sospeso tra il passato e il presente, Molto più, insomma, di quello che s’intende per carta storica.
S.to Francesco: oggi Convento dei Cappuccini
S.to Stephano: l’attuale Torre di S. Stefano presenta un’ubicazione in corrispondenza orizzontale sulla costa per cui quella che si nota in basso probabilmente è frutto di un errore di rappresentazione. 
Torre [di] Coccoruccio. Nelle carte di Hondius,  di Magini e di Ianssonius (XVII secolo) Torre di Cocorizzo.
   Nella carta di Bulifon (XVII secolo) Torre di Coccorizzo
Nella carta del De Rossi (1714), aggiornamento di quella del Magini, la torre e il toponimo sono assenti. Cocoruccio, Cocorizzo e Coccorizzo potrebbero essere italianizzazione  del salentino cucuruzzu (Cicirizzu è pure il nome di una località nel territorio di Nardò) che indica l’insieme di pietre che dopo il dissodamento del terreno venivano sistemate in un cumulo conico. Se è cosaì il nome della torre potrebbe essere connesso con la sua forma oppure con la sua dislocazione nel punto più alto del promontorio. Di essa, comunque, oggi non v’è traccia.
Torre della Vecchia: oggi Torre di Specchia di guardia)
Torre di S. Cesarea: oggi S. Cesarea terme
Torre Pelagia: vedi Santa Pelagia e il relativo link.
Torrione di Orte: oggi Torre dell’Orte o dell’Orto
Ugiano: oggi Uggiano la Chiesa
E siamo al caso disperato che non a caso ho lasciato per ultimo:
Il nunc S.to Eligio (?), che mi pare di poter leggere nel secondo rigo, grazie al nunc (ora) ci fa intuire che il primo rigo reca la forma antica del toponimo, che, per quanti sforzi abbia fatto, anche con l’ausilio delle carte precedentemente usate per la comparazione degli altri e con gli strumenti messi a disposizione dai migliori programmi di grafica, non sono riuscito a decifrare a causa de”evidente degrado del supporto. Chiudo con la speranza, ormai ricorrente, che ci riesca qualcun altro.
___________
1 http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/02/05/lecce-porto-s-cataldo-cosi-al-tempo-adriano/
http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/02/15/brindisi-suo-porto-carta-aragonese-del-xv-secolo/ 
2 Anche se appare scritto Porta.
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Confini, strade, contrade e masserie tra interpretazioni storiche e tradizione popolare
Morgincap o “mar’a a ci ccappa”?
Toponimi di confini, strade, contrade e masserie tra interpretazioni storiche e tradizione popolare
  In agro di Latiano è presente il toponimo Malcicappa; in agro di Francavilla Fontana, similmente, Maraciccappa, entrambi fatti derivare da diversi studiosi dal vocabolo morgincap o mongergabe, che si traduce con “dono del mattino”, un istituto dell’antico diritto germanico consistente nel dono che il marito faceva alla sposa in una cerimonia mattutina in presenza di amici e parenti.
La contrada Malcicappa a Latiano si trova nella zona individuata da tali stessi studiosi come attraversata dal cosiddetto Limitone dei Greci, e precisamente a nord del limitone, nel territorio ipotizzato come longobardo. Allo stesso modo, Maraciccappa nel francavillese si troverebbe in prossimità del confine tra longobardi e bizantini.
  Agro di Latiano, nei pressi della località Malcicappa: cippo con croce incisa
  Latiano, strada vicinale Malcicappa, cripta detta di Sant’Angelo o di San Giovanni (XI-XII sec.)
  Maracicappa e Malcicappa vengono dunque considerate località poste sul confine tra longobardi e bizantini, più o meno a ridosso del famoso Limes. Ma la questione dell’origine, del percorso, della storia e della stessa reale esistenza di un “Limitone dei greci” in Terra d’Otranto è un gran rompicapo, ed oggetto di dispute tra storici ed archeologi.[1] Nella intricata e dibattuta storia di questa opera (detta in gergo il “Paretone”) o di questa serie di opere (i “paretoni” presenti, appunto, a tratti – e in vari tratti del Salento e più in generale della Puglia) si avvicendano, insieme alle interpretazioni degli studiosi, le leggende e la tradizione popolare che attribuiscono a queste strutture ed ai luoghi circostanti altre origini, simbologie e significati.
Così, a Sava “Lu Paritoni di li Sierri” che è un tratto di muraglia presente nei dintorni del monte Magalastro, già descritta dagli storici come delimitazione facente parte del percorso del mitico Limitone, insieme con il tratto ancora presente in zona Pasano (nelle contrade Camarda, Morfitta, Curti di l’oru), secondo la versione popolare è stato invece “costruito dai diavoli in una sola notte”, come mi racconta Cosimo Schifone, un informatore depositario di molte delle più antiche tradizioni orali del posto. Tale paretone difatti è detto anche, sempre secondo il resoconto dell’intervistato, “Parete del Diavolo”. Allo stesso modo, tratti di antiche muraglie presenti in altre località son dette “Paretone del diavolo”: è il caso di Mottola (San Basilio), Gioia del Colle, Noci, e altre località.
In competizione con le ipotesi dotte attorno alle origini e alla paternità della costruzione del Limitone si insinua anche la questione delle presunte derivazioni dal termine longobardo morgincap delle già citate località in territorio di Francavilla e di Latiano. Anche qui, la spiegazione fornita dalla tradizione orale si discosta assai da quella derivata dalle teorie dei ricercatori: Maraciccappa è un posto maledetto, e, povero appunto chi ci capita: tra fantasmi, malombre e occhiature che fanno morire o sparire le persone, nell’ immaginario popolare di un tempo si guardavano con timore e diffidenza questi posti.
Francavilla Fontana, interno masseriola in località Maraciccappa
  Nel 1933 Giovanni Antonucci pubblica su “Japigia” un articolo dal titolo “Il Limitone dei Greci”, dal quale riporto il seguente passo (il corsivo è mio per evidenziare la parte nella quale parla di Malcicappa in territorio di Latiano):
“Nel febbraio del 1915 io e l’amico Cosimo De Giorgi visitammo gli avanzi del Limitone esistenti nella masseria Scaloti e insieme constatammo che la grande muraglia era ridotta alle più meschine proporzioni: pietre informi ammassate le une sulle altre per un’altezza di circa un metro, coperte di terra e di erbe selvatiche, di rovi di scille di asfodeli. A tanta distanza di tempo ricordo benissimo che il muretto ad un certo punto subiva un’interruzione decisa e recisa, sena la minima traccia di continuità: originaria tale interruzione, o derivata da asportazione del materiale? Ipotesi l’una e l’altra ugualmente attendibili.Rileggendo oggi il bozzetto che nell’occasione fu steso dal De Giorgi e poi pubblicato nella Rivista storica salentina (an. X, pag. 5 e segg.), mi torna chiaro alla memoria il sorriso di compiacenza che animò il volto dell’illustre amico quando io richiamai a proposito della tradizione salentina i perduranti toponimi di due masserie in territorio di Mesagne, la Camarda e la Camardella, immediatamente a sud del Limitone, accennanti, secondo il Racioppi, ad accampamenti greco-bizantini. Il De Giorgi non tacque, e, osservata la carta dell’Istituto geografico militare che teneva stesa fra le mani, mi segnalò subito il toponimo Morgingappa (da Morgengabe) tradotto erroneamente in Malch’incappa, e che designa una masseria a nord del Limitone in territorio di Latiano; nonché l’altro Campi dei Longobardi, oggi Campi distrutto, a nord di Mesagne, verso S. Vito.”[2]
Copertina della rivista Japigia
  Del Morgincap francavillese parla invece Cesare Teofilato, in un suo articolo del 1947[3], e il Rholfs, nel suo Vocabolario dei Dialetti Salentini inserisce il vocabolo Maru-c’incappa così definendolo: “nome di una masseria tra Francavilla e Sava (‘povero chi ci capita’, deform. dal longob. morgangaba ‘dote’?)”. [4]
Maraciccappa è in effetti una località in agro di Francavilla Fontana, attraversata dalla strada provinciale Sava-Francavilla Fontana e dalla strada comunale San Marzano-Oria. Qui si trovano la Masseria Maraciccappa e la Masseria Trentavagliuni, la Specchia Tarantina con la sua grotta carsica, e nelle contrade circostanti sorgono altre suggestive masserie, edicole votive e antiche case rustiche.
Del toponimo Maraciccappa, definendolo di origine longobarda in quanto derivato da morgengabe (o morgengab, morgingab, morgincap) parlano anche la Uggeri Patitucci[5] e lo storico locale savese Gaetano Pichierri,[6] inserendolo in una lista di toponimi presenti in diverse località situate appunto sul confine tra Longobardi e Bizantini. Tra Torre Santa Susanna, Mesagne e Latiano esistono “Camarda” e “Camardella” (tende, accampamenti bizantini) , “Farai” (guarnigioni di militari), “Maraciccappa” (doni della prima notte). A Francavilla Fontana Maraciccappa (detto anche Mali a ci ccappa e Marucincappa) e Guardiola (warta in longobardo), a Sava Camarda.
Tuttavia, nel suo saggio “Riflessi linguistici della dominazione longobarda nell’Italia mediana e meridionale”, il Sabatini va cauto nella attribuzione del toponimo Marucincappa ad un etimo longobardo: lo inserisce difatti in una lista di toponimi dalla incerta derivazione.[7]
  targa incassata nel muro del cortile di una masseriola sulla strada Maraciccappa
  Come abbiamo già detto, secondo gli assertori della derivazione longobarda del toponimo, Maraciccappa o Maruciccappa, Marucincappa, Malicicappa (e varianti similari) deriverebbe da mongergabe (morgengab, morgingab, nei documenti latini spesso morgincap, morgincapitis) che sta a significare “dono del mattino”, ed era il regalo che il marito faceva alla sposa il giorno dopo la prima notte di nozze. Questo dono, oltre a sancire l’unione coniugale, veniva concepito anche come risarcimento alla donna della verginità perduta (per questo motivo, era detto anche pretium virginitatis).
Abbiamo visto però che il Sabatini mette in dubbio la derivazione di Maraciccappa da morgengabe, e certamente il toponimo attribuito a queste località dalla tradizione popolare sottende qualcosa di più che un mero “erore di traduzione” come lo definisce l’ Antonucci. Che si tratti del riadattamento o della rielaborazione di un termine e di un toponimo più antico o che sia semplicemente il toponimo coniato in origine non possiamo affermarlo con certezza, ma la tradizione attribuisce alla località e al toponimo stesso ulteriori significati. In occasione di alcune interviste da me condotte sulle credenze popolari locali alcuni anni fa, Cosimo Schifone, contadino savese (condussi la mia intervista nel 2014, e Cosimo, oggi scomparso, all’epoca aveva 84 anni), mi racconta della “strada di mar’a ci ccappa” o “mali a ci ccappa”, situata tra Sava e Francavilla Fontana, in prossimità di Francavilla: “Dalle parti della strada Sava-Francavilla c’è la “strada di mali a ci ccappa”. La chiamavano così, perchè si dice che ci fossero le malombre: potevi uscirne morto, da quella strada, si raccontava …”. Nella prosecuzione del racconto, Cosimo, dopo aver abbozzato un sorrisetto imbarazzato, mi dice, razionalizzando: “… ma io non ci credo: la spiegazione è nel fatto che da lì passavano i briganti, e assalivano la gente che si avventurava in quelle strade��. Mi espone però, anche , un antico detto popolare: “Alla strata ti mali a ci ccappa, si mori pi la fami e pi la secca”. “Perchè questo detto ?”, gli chiedo. – “ Perchè, appunto, là ti assalivano le malombre e non ti lasciavano più andare, secondo la diceria”.
Se trattasi dunque di rielaborazione popolare, è assai originale; c’è da chiedersi, deriva da una attribuzione toponomastica dei luoghi fondata su altre, slegate leggende? Oppure prende spunto dal “morgincap” e affonda fantasiosamente le sue radici nella storia dei luoghi rievocando i fantasmi dei suoi antichi abitatori?[8] Dunque “è tutto vero”, nel senso che la tradizione popolare ha arricchito di fantastiche simbologie e leggende la storia di questi posti, tanto intrisi di magia quanto le vicende che li hanno caratterizzati? Sono luoghi che in effetti trasmettono e suscitano inquietudine, curiosità e senso di mistero: caratteristica e inquietante al tempo stesso è un antica masseriola situata lungo la strada Maraciccappa (tra la masseria Trentavagliuni e la masseria Monte Ciminiello), all’interno della quale vi è una targa numerata con la denominazione della contrada. La costruzione, in cattivo stato di conservazione e attualmente piena all’interno di cumuli di rifiuti e di residui di eternit là abbandonati, è assai suggestiva ed è dotata di un muro di cinta di antichissima fattura.
  Mura di cinta masseriola in località Maraciccappa
  Masseriola in località Maraciccappa, particolare
  Masseriola in località Maraciccappa
  La masseria Trentavagliuni (detta anche Trentavagnuni) situata nei paraggi, è citata nel 1893 nella Rivista delle Tradizioni Popolari italiane curata da Angelo De Gubernatis. Chi ne parla è, con lo pseudonimo di Duchessa D’Este, Caterina Barbara Forleo (1874-1935), nobile napoletana trapiantata a Francavilla Fontana.
Caterina Barbara Forleo
  La Forleo fu apprezzata poetessa, giornalista e scrittrice con una grande passione per l’etnografia. In un articolo dal titolo Usanze, credenze e superstizioni pugliesi scrive:
“si sa che nella masseria Trenta vagnuni (ragazzi) vi è una grotta chiamata grotta del cane; le si da questo nome perchè – si dice – che nemmeno un cane resiste ad avvicinarsi all’imboccatura di essa senza morire. Un signore, amico nostro, asserisce ch’esso vi è entrato, quando era piccolo, e che la volta è ornata tutta di stalattiti. I contadini dicono che là dentro vi è lu contra jentu (contra vento) e nessuno osa entrarvi”.[9]
Nei paraggi le cavità naturali abbondano, e probabilmente la grotta alla quale la Forleo si riferisce è una diramazione della nota “Grotta Tarantina” o “Grotta Specchia Tarantina” situata a poca distanza dalla masseria.
Imboccatura Grotta Tarantina, immagine tratta da Catasto Grotte e cavità Artificiali FSP – Federazione Speleologica Pugliese
  Masseria Trentavagnuni o Trentavagliuni
  La masseria Maraciccappa invece è una struttura in buona conservazione, risalente al XVII-XVIII secolo sul cui lato frontale è inglobata una imponente cappella in stile tardo-neoclassico. Qui, è interamente ambientato il testo di una canzone popolare nota tra Francavilla Fontana, San Marzano, Sava e altri paesi della zona. La canzone è intonata su una melodia di pizzica in minore e si apre con la citazione, nella prima strofa, del detto popolare di cui abbiamo già parlato (“alla strata ti mara a ci ccappa si mori pi la fami e pi la secca”: in questo caso, varia leggermente riferendosi alla masseria “questa è la masseria ti mara a ci ccappa, si mori ti la fami e ti la secca”). Le strofe seguenti raccontano di un giovane lavoratore della masseria vessato dai suoi gestori, e si configura da una parte come canto di dileggio, e al tempo stesso di malizioso corteggiamento da parte del giovanotto verso la sua datrice di lavoro. Si tratta di una versione locale della nota canzone “Mamma la rondinella”. L’intero testo differisce completamente dalle versioni eseguite dai moderni gruppi di pizzica e musica popolare, eccetto che nel ritornello “mamma la rondinella, mamma la rondinà”, mentre la melodia è identica in questa e in tutte le altre versioni. Lo riporto a seguire (ringrazio Corina Erario per averlo rintracciato e avermelo fornito):
“Questa è la massaria mara a ci ccappa
si mori ti la fami e ti la secca
ninà ninà ninà l’ora è rrivata
allu patrunu li mu fattu la sciurnata
antera antera facci ti galera
fa scapulà li femmini ca è sera
e ci cu me uè canti aza la voci
ca lu palazzu è iertu e no si senti
e ci lu palazzu è iertu fallu bbasciàri
ca voci no ni tegnu pi cantari
com’aggia fa lu pani crammatina
mi manca lu luatu e la farina
ninà ninà ninà tu non la vinci
pani ti casa mia tu no ni mangi
lu pani ti casa tua aggià mangiari
e allu liettu tua m’aggià curcari
mamma la rondinella mamma la rondinà
mamma la rondinella gira e vota e se ne va”
    Masseria Maraciccappa, Francavilla Fontana
  Piantina zona Maracciccappa, tratta dalla cartografia PUG Francavilla Fontana
    Note
[1]  Via via, nelle ipotesi e negli studi dei vari eruditi, storici, ricercatori ed archeologi salentini e non, “il Paretone” è passato da Magnus Limes eretto dagli abitanti della Magna Grecia, a opera difensiva messapica, da Limes bizantino a muro di confinamento tra il Principato di Taranto e la Foresta Oritana, sino al negazionismo di chi la identifica come “muraglia immaginaria” eretta come un fantasioso puzzle dagli stessi studiosi che avrebbero “messo insieme” e in un (più o meno) unico (ma anche cangiante) percorso, grosse muraglie originate dalla spartizione tra feudi. Vedi: Giovanni Stranieri, Un limes bizantino nel Salento? La frontiera bizantino-longobarda nella Puglia meridionale. Realtà e mito del “limitone dei greci”, in “Archeologia Medievale, XXVII, pp. 333-355
[2]  Giovanni Antonucci, Il Limitone dei Greci, Japigia Rivista Pugliese di Archeologia Storia e Arte, IV, 1, 1933, pp. 79-80
[3]  Cesare Teofilato, Confine Longobardo di Terra d’Otranto e ‘Morgincap’ Francavillese nel secolo VIII, in: Libera Voce, Lecce 1947 (V, 20-21-22). Ho rintracciato note su questo scritto ma non sono riuscito a visionarlo.
[4]  Gerard Rohlfs, Vocabolario dei dialetti salentini (Terra d’Otranto) Volume Primo, Accademia bavarese delle scienze di Monaco di baviera, 1956, ristampa a cura di Congedo Editore, Galatina, 2007, pag. 322
[5]  Stella Uggeri Patitucci, La necropoli longobarda di Gennarano sul confine bizantino di Terra d’Otranto, Università degli Studi di Lecce, Facoltà di Lettere e Filosofia, 1974, pp. 5-31
[6]  Gaetano Pichierri, Sava, il “Limitone dei Greci”, in: G. Uggeri, Notiziario Topografico Pugliese, I, Contributi per la Carta Archeologica e per il censimento dei Beni Culturali, Brindisi, 1978, pag. 152
[7]  Francesco Sabatini, Riflessi linguistici della dominazione longobarda nell’Italia mediana e meridionale”, in: Carlo Ebanista e Marcello Rotili (a cura di), “Aristocrazie e società fra transizione romano-germanica e alto medioevo”, Atti del Convegno internazionale di studi Cimitile-Santa Maria Capua Vetere, 14-15 giugno 2012 , Tavolario Edizioni, S. Vitaliano (NA), 2015, pag. 407
[8]  Angelo Sconosciuto (pseud.), Là dove San Pietro ferma il tempo, Alceo Salentino, luglio 2005 http://www.alceosalentino.it/l-dove-san-pietro-ferma-il-tempo.html
[9]  Caterina Barbaro Forleo (pseud. Duchessa D’Este), Usanze, credenze e superstizioni pugliesi, in “Rivista delle Tradizioni Popolari italiane diretta da Angelo De Gubernatis”, Anno I, fasc. I, Forni Editore, Bologna, 1893, pag. 319.
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Montesardo e i suoi due famosi Geronimo/Girolamo
di Armando Polito
immagine tratta da http://www.lameta.net/blogsalento/?attachment_id=275
Può sembrare uno stupido campanilismo, con la globalizzazione in atto, soprattutto se detto da me che, pur legato alla mia terra, mi dichiaro e mi sento cittadino (se lo dimostro non sta a me giudicarlo) del mondo, non poter negare che ogni terra rimane nella memoria più o meno collettiva, non fosse altro che per aver dato i natali ad un personaggio illustre.
Montesardo, lo dico anche per i salentini, pochi o molti, che probabilmente lo ignorano, è una frazione di poco più di mille abitanti, del comune di Alessano, in provincia di Lecce. Sul toponimo mi soffermo brevemente, prima di passare al cuore dell’argomento di oggi.
A chi non verrebbe in mente in prima battuta di ipotizzare che Montesardo nasca dalla fusione di un sostantivo (monte) e di un aggettivo (sardo)? A quel punto, però, ci si chiederebbe: passi il monte, ma la Sardegna che ci sta a fare con il Salento? Prima di avventurarsi in una navigazione tempestosa, quella stessa che avrebbe dovuto portare gli isolani a mettere piede da noi, ipotizzando, magari un naufragio a causa di un carico di loro pietre da noi commissionato, col tempo recuperate e poi utilizzate per l’edificazione del primo nucleo abitativo, col rischio che la nostra fantasia contribuisca alla circolazione delle tante bufale che vagano nel web, magari sotto forme di leggende più o meno inventate sul momento, è proprio alla ricerca delle fonti che dovremmo subito dedicarci.
Scopriremmo, così, che la più antica testimonianza del toponimo risale al XVI secolo. Antonio de Ferrariis detto il Galateo così scrive nel De situ Iapygiae scritto tra il 1510 e il 1511 e pubblicato postumo per i tipi di Perna a Basilea nel 1553, scrive:
A Vastis nulla occurrunt antiquitatis vestigia usque ad Montem Arduum oppidum, ab acra Iapygia VII millibus passuum remotum, ubi et urbs antiqua fuit; eius pars in colle, pars in plano sita, mediocris magnitudinis: huius et nomen abolitum est. In eminentiore huius urbis parte in edito colle pulchrum est oppidulum. Memini me a veteribus audisse Graecis hanc urbem τραχεῐον ὅρος, quod Latine asperum, seu arduum montem exprimit: erat enim urbs in lapidoso, et aspero monte sita. Hic pars est Apennini,qui ad Acram Iapygiam terminatur. Quin etiam a peritis navigantibus me audisse memini usque ad XL, aut L milia passuum in mare protendi iuga Apennini, cum hinc atque illuc illius metiatur mare
(Non si presenta nessun resto antico da Vaste fino alla città  Monte Arduo, distante sette miglia dal promontorio iapigio, dove ci fu pure un’antica città; una sua parte sita su un colle, l’altra in pianura, di mediocre grandezza. Il suo nome è scomparso. Nella parte più alta di questa città su un colle elevato c’è un un grazioso piccolo villaggio. Ricordo di aver sentito da vecchi che per I Greci  questa città era τραχεῐον ὅρος, che in latino significa ripido monte: infatti la città era sita su un monte pietroso e scosceso.Qui c’è la parte dell’Appennino che termina presso l’estremità della Iapigia. Anzi ricordo do aver sentito pure da esperti naviganti che la catena dell’Appennino si protende in mare fino o quaranta o cinquanta miglia, considerando il suo mare dall’una e dall’altra parte).
Luigi Tasselli in Antichità di Leuca, Eredi di Pietro Micheli, Lecce, 1693: … ho inteso da persone molto erudite che Monte Sardo era Città antichissima, e si chiamava da tutti con nome scorretto Ananduso, o in lingua messapia Vetuso: e che quando arrivarono i Mori nella Salentina, i Primari di Montesardo, mandarono tutto l’oro, che havevano in Vereto,  Città in quei tempi fortissima, acciò ivi meglio si custodisse: perloche i Veretini, così l’oro proprio, come di Montesardo, scavando una fossa, lo sotterrarono.  Ma spianata da’ Mori Vereto, e rovinata tutta la Puglia da questi Barbari, havevano sempre in proverbio le genti, e dire: L’Oro di Amanduso , o Vetuso, dentro Vereto sta chiuso.
La testimonianza del Galateo è quella tenuta più in conto ai fini dell’etimo del toponimo. In buona sostanza: Montesardo sarebbe il risultato della deformazione di un originario Mons arduus, a sua volta traduzione in latino del greco τραχεῐον ὅρος. Il carattere deformante del processo si sostanzierebbe nella conservazione della s finale di mons dopo la sua traduzione in monte.
In rete, tuttavia, non mancano proposte alternative che, partendo dal Galateo e dal Tasselli,  mettono in campo il capo messapico Artas. A tal proposito segnalo al lettore interessato: http://montesardo.ilcannocchiale.it/
http://www.salogentis.it/2011/11/27/appunti-sullorigine-e-la-storia-di-montesardo-monte-aspro-o-monte-di-artos/
Certo è che tutto è dubbio quando già le uniche due  fonti di partenza mettono in campo a suffragio del loro ricordo fonti orali (memini me a veteribus audisse il Galateo e, parallelamente, ho inteso da persone molto erudite il Tasselli) e, dando per scontato in tal tipo di trasmissione la probabilità più alta di deformazioni , magari nel tempo sedimentate l’una sull’altra, qualsiasi ipotesi è teoricamente plausibile .
Chiusa la parte toponomastica, va detto che tutta la Terra d’Otranto in passato (oggi non saprei …) è stata la culla vivace di personalità di livello spesso non solo nazionale e già per Alessano ho avuto occasione di ricordare Cesare Rao (http://www.fondazioneterradotranto.it/2014/10/13/cesare-rao-di-alessano-e-il-suo-bestseller/?). Oggi lo farò per due figli della sua frazione, l’uno pressoché contemporaneo del Rao (XVI secolo), l’altro fiorito nella prima metà del secolo successivo, il primo filosofo e docente nell’Università di Padova, poi di Salerno e infine di Napoli, il secondo musicista.
Il taglio di questo post è esclusivamente bibliografico, perciò mi limiterò a presentare i frontespizi delle loro opere più significative che sono riuscito a reperire. Comincio dal filosofo.
Di seguito il colophon da cui si ricava la data di edizione.
Passo ora al musicista, Girolamo Melcarne, tanto legato alla sua terra da assumere il nome di Girolamo Montesardo.
Alcune sue composizioni furono inserite alle p. 15-17 dell’opera, postuma, di un altro musicista pugliese (era nato a Bari) Pomponio Nenna (1556-1608). Di seguito quest’ultimo frontespizio.
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