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#uominieinsetti
albertomilazzo · 9 years
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Uomini e insetti
http://www.librimondadori.it/libri/uomini-e-insetti-alberto-milazzo
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“Uomini e insetti”, di Alberto Milazzo. In libreria dal 21 Aprile con Mondadori.
 Intervista con l’autore.
(Le domande sono state raccolte fra alcune di quelle che mi sono state rivolte).
 D: Perché “Uomini e insetti”?
 R: Ti potrei rispondere perché il protagonista, Andrea, nella sua vita pubblica, è un artista visivo e fotocompone nei suoi lavori immagini d’insetti, mentre in quella privata, pare accumulare corpi con lo stesso sguardo estetizzante con cui collezione esapodi. Ma c’è anche che gli uomini e gli insetti sono come due estremi della scala evolutiva e sembrano fare fatica a trovare una coabitazione. Questo è il pianeta degli insetti, esistevano molto prima di noi, sono quantità innumerevoli e divisi in una infinità di specie, una catalogazione completa è praticamente impossibile. Esisteranno ben oltre la scomparsa del genere umano. Noi siamo una piccola porzione nello spazio e nel tempo di un organismo vivente, la Terra, che ha scelto gli insetti come specie più diffusa e longeva. Il titolo, uomini e insetti, e forse tutto il lavoro di Andrea, sono questo tentativo di mettere insieme il rimosso, di far convivere ciò che la società ha epurato, ha cercato di non vedere, come se usando i pesticidi sugli insetti avessimo negato anche il nostro lato più primitivo, una tensione vitale inesauribile brulicante che si moltiplica e resiste ben al di là di ragione e sentimento.
 D: Questo libro, nonostante le pagine di sesso estremo, di violenza anche, è a suo modo un libro romantico. Che idea hai del romanticismo?
 R: Il romanticismo ha un prezzo, al suo altare siamo disposti a sacrificare tutto, perfino la nostra vita. Siamo imbevuti di un romanticismo letterario che ci parla di un’infinita teoria di morti per amore. Da Didone a Cleopatra, da Romeo e Giulietta fino a film come Love story. Veniamo allevati con questo falso mito che se la vita ha un valore, l’amore può pretenderne il sacrificio. L’amore cioè, ci dicono, ha un valore superiore a quello della singola esistenza, che anzi pare nobilitarsi nel sacrificio estremo, come a trovare un suo compimento, una certificazione della sua qualità intrinseca. Chi muore per amore non è semplicemente un matto, ma una sorta di modello da seguire. Andrea, il protagonista, c’è andato vicino, ha quasi distrutto se stesso per quell’ideale romantico, ma ad un certo punto ha come una rivelazione: ne vale davvero la pena? La risposta pare essere no. E che alternativa abbiamo allora alla narrativa romantica che ci circonda e di cui siamo imbevuti? Se da una parte abbiamo l’ideale romantico – che è una divinizzazione dell’amore e ogni divinizzazione è difficilmente distinguibile da una demonizzazione … - dall’altra parte cosa c’è? I latini già dividevano in un amore sacro e un amor profano, una Venere sensuale e una spiritualizzata. Dante stesso li contrappone e tutta la letteratura religiosa pare non fare altro. L’alternativa al gioco al massacro dell’amore sacro è dunque anche per Andrea l’amor profano. Il corpo. La materia. E nel libro seguiamo passo passo questa decisione di Andrea di rinunciare alla idealità, alla sacralità, e indagare la fisicità, la corporeità dei rapporti umani. Chissà che non riservi sorprese, si chiede Andrea. Chissà che non sia meglio. Il viaggio è una specie di calata agli inferi, Andrea come un Dante sottosopra s’immerge in una sorta di inferno della passione carnale con la voglia di colare a picco e non di elevarsi. Il fatto è però che non esistono sentieri facili. Almeno è quello che Andrea realizza. Il cristianesimo ci parla di una strada larga per chi voglia “peccare”. Pare che questa strada larga non lo si affatto, almeno nelle esperienze di Andrea. Richiede sacrifici, altri, diversi, ma pur sempre costosi.
 D: E non c’è salvezza?
 R: Non lo so. Qui il meccanismo narrativo fa sopraggiungere una specie di deus ex machina: il padre di Andrea gli regala per il compleanno il diario della madre che è morta quando lui era appena adolescente. Dopo una certa resistenza, un pudore di Andrea ad immergersi nella lettura delle pagine più private della madre, ne viene fuori un dialogo a distanza, impossibile e forse necessario fra due mondi, due tempi, due modi di vivere l’amore. A solo una generazione di distanza. Che sia questo il meccanismo di salvezza? Che sua madre sia una specie di Beatrice venuta a strapparlo dalle spire della disperazione? Non lo so. Forse Andrea non è destinato a salvarsi, forse non vuole salvarsi, o forse se si salva, sarà altro ad avere questo potere.
 D: Perché scrivere un romanzo con un protagonista gay?
 R: Ti rispondo con una memoria. Ho visto un’intervista a Toni Morrison, una scrittrice afroamericana che nei suoi romanzi disegna solo protagonisti neri. Il giornalista le chiede perché non scriva di bianchi e se e quando si disporrà a farlo. Toni risponde – anche con una certa abilità nel contenere il disappunto – che una domanda del genere non la si farebbe ad un bianco che scrive di bianchi. C’è cioè una specie di retro-pensiero: che scrivere di bianchi eterosessuali sia il fine ultimo della scrittura, che si diventa adulti e scrittori veri quando si scrive della “maggioranza”. Io sto con la Morrison. Ogni autore dovrebbe essere libero di scegliere la propria voce, la scommessa è capire se poi quella voce, anche la più specifica, riesca ad essere universale.
 D: Questo è il tuo primo romanzo?
 R: Il primo che pubblico. In verità ho cominciato sui banchi di scuola a scrivere romanzi e racconti. Ne ho sette che precedono “uomini e insetti”. E uno che ho scritto, dopo “uomini e insetti”. Di quei sette però ne salverei solo uno. Mentre mi piacerebbe trovare il mondo di pubblicare quello che ho appena finito di scrivere.
 D: Di che cosa parla il tuo romanzo?
 R: Ho sentito pareri diversi dai singoli amici che hanno letto le bozze. C’è chi lo vede come una specie di denuncia, un modo di scoprire attraverso le scelte del protagonista cosa si nasconde nel vissuto di un uomo gay che viva a Milano oggi. Come si vive, quali possibilità d’incontro si hanno, come si consuma la sessualità e come si gestisce l’affettività. Io però volevo scrivere un romanzo che mettesse in luce un salto generazionale. Per me è una specie di dittico, ci sono le pagine del diario della madre di Andrea, con il loro procedere romantico, sontuoso, sognante – un po’ romanzo ottocentesco – e poi ci sono le pagine che raccontano la vita del protagonista, una vita in cui un po’ per scelta un po’ per caso il romanticismo pare del tutto bandito. Mi interessava questo confronto, capire come nel giro di una sola generazione la tenuta argomentativa della narrativa romantica pare non reggere più. E quali scenari possibili si aprono per il futuro.
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