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#vedute pugliesi
lamilanomagazine · 2 years
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Bari, arriva la mostra di carte geografiche antiche
Bari, arriva la mostra di carte geografiche antiche. Sarà inaugurata giovedì 6 ottobre, alle ore 18, al Museo Civico di Bari, in strada Sagges, alla presenza dell’assessora alle Culture Ines Pierucci, la mostra organizzata dall’associazione italiana di Cartografia antica Roberto Almagià “Bari e il suo mare: dal Rinascimento al Novecento. La rappresentazione cartografica e le vedute della Terra di Bari”. La mostra, promossa dall’assessorato alle Culture del Comune di Bari, presenterà un percorso di carte geografiche antiche e di vedute a partire dalle prime rappresentazioni a stampa fino alle piante della città relative ai piani regolatori e di sviluppo della fine del secolo scorso. Nella mostra aperta fino al 12 novembre saranno presentate opere di elevato spessore scientifico e rarità per il mondo collezionistico e per gli appassionati. Le diverse sezioni racconteranno, tra l’altro, qual era la rappresentazione della città e della provincia, allora denominata Terra di Bari, con le prime vedute più realistiche delle città a partire dalla fine del ‘600 e fino allo sviluppo del porto nella storia.Oltre alla celebre veduta scenografica della città di Bari detta Bianchi-Dottula, verranno esposte alcune rarissime carte nautiche dell’Adriatico come quella del Barentsz e del Coronelli, e la carta generale dell’Adriatico manoscritta del Visconti (1810), mai esposta prima d’ora. Una chicca anche la carta topografica del porto di Bari della Marina statunitense, coeva al bombardamento del porto. La cartografia del periodo borbonico (1650-1860) sarà largamente riportata, vista la sua importanza e l’altissimo livello topografico ed estetico che raggiunse. Tra le particolarità che susciteranno l’interesse del pubblico meno specialistico vi sarà il rapporto tra le vedute manoscritte della Biblioteca nazionale di Vienna e quelle a stampa del Pacichelli, di cui sarà possibile valutare le origini. Le vedute di costa del Porro, della Marina italiana post-unitaria, restituiranno una visione più familiare delle città pugliesi viste dal mare, anche se precedenti alle modifiche urbanistiche avvenute a partire dall’età umbertina. Una sezione apposita sarà dedicata a strade e trasporti in Terra di Bari, comprensiva anche dei movimenti della Guardia nazionale durante il brigantaggio e delle comunicazioni delle neonate Poste Italiane nel 1867. La mostra, quindi, ambisce a essere un momento di riappropriazione e rivalutazione di un passato su cui si innesta il nostro presente. Non solo ricostruzioni di tempi lontani ma un percorso che arriva vicino ai giorni nostri.... Read the full article
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La Terra d'Otranto in sette vedute ottocentesche
di Armando Polito
Credo che il potere dell’immagine, e non mi riferisco solo a quella artistica quale può essere una pittura, sul testo sia incontrovertibile, solo pensando all’effetto immediato e d’insieme (sul suo livello di profondità non m’attardo) che essa produce in chi l’osserva. La tecnologia digitale negli ultimi decenni ha favorito la prevaricazione, spero non definitiva, dell’immagine sul testo portando all’estreme conseguenze ciò che in passato era una rarità costosa che pochi, autori e lettori, potevano permettersi. E il pensiero corre alle miniature dei manoscritti medioevali e, dopo l’invenzione della stampa, alle tavole destinate a corredare testi per lo più scientifici o riguardanti la letteratura greca e latina (penso, in particolare alle innumerevoli  cinquecentine con le Metamorfosi di Ovidio tradotte e illustrate, sulla scia di analogo processo di “moralizzazione” innescato fin dal secolo XIV), prodotti oggi diremmo di nicchia, per arrivare poi nel XIX secolo alle edizioni illustrate di opere letterarie contemporanee (spicca tra tutte la quarantana dei Promessi sposi con le tavole di Francesco Gonin). In tempi in cui ci sentiamo quasi obbligati dalla sezione virtuale della nostra vita sociale a rendere partecipe tutto il mondo, soprattutto con foto e video, dei momenti anche più futili ed idioti della nostra esistenza, vacanze in luoghi più o meno esotici e … visite più o meno frettolose al bagno comprese, restiamo perfino perplessi se troviamo poche (rispetto alla mole dell’opera) illustrazioni in una produzione letteraria che nei secolo XVIII e XIX ebbe grande risonanza: i resoconti di viaggi. Chi non ha letto o  almeno una volta non ha sentito nominare, per esempio, il Voyage pittoresque ou Description des Royaumes de Naples et de Sicile di Jean-Claude Richard de Saint-Non, uscito a Parigi in quattro volumi dal 1781 al 1786? Avremo fra poco occasione di ritornarci a proposito di alcune tavole, ma intanto mi preme ricordare che non a caso le prime due parole del titolo ricorreranno in una caterva di opere consimili uscite nel secolo successivo e che pittoresco non sta nel dominante significato attuale di curioso, ma eredita quello che aveva nel secolo precedente, cioè si riferisce ad un gusto pittorico che rappresenta prevalentemente paesaggi solitari, specialmente con imponenti architetture o rovine, caratterizzato da forti effetti chiaroscurali. E due tra i periodici più diffusi del secolo XIX, entrambi napoletani,  erediteranno questa tendenza, non solo nel nome: il Poliorama pittoresco uscito dal 1830 al 1860 e L’omnibus pittoresco dal 1838 al 1854; al primo, guarda caso, farò fra poco riferimento anche per un dettaglio iconografico.
Nel novero delle innumerevoli relazioni di viaggio del secolo XIX un posto di rilievo spetta certamente a quella napoletana di Domenico Cuciniello e Lorenzo Bianchi dal titolo Viaggio pittorico nel regno delle due Sicilie, uscita in tre volumi dal 1830 al 1833.
Di quest’opera, che rappresenta certamente per quanto dirò a breve,  un gesto di coraggio imprenditoriale oltre che di sfida culturale, ignorerei ancora l’esistenza se non me l’avesse segnalata qualche giorno fa l’amico napoletano Aniello Langella1, grande conoscitore e cultore di storia locale,  titolare del blog Vesuvioweb (http://www.vesuvioweb.com/it/ ), che invito a visitare, non solo gli aspetti che ha comune con quello che mi ospita, non ultimo l’assenza di qualsiasi forma di pubblicità.
Un esemplare è custodito nella  ETH-Bibliothek di Zurigo (https://doi.org/10.3931/e-rara-51757) e da questo sono tratte le immagini che seguiranno relative all’argomento, cominciando dal frontespizio.
In basso si legge: NAPOLI Presso gli Editori Vico di S. Anna di Palazzo N° 38 presso Nicola Settembre negoziante di carta strada Toledo n° 290.
Questo spiega i concetti di coraggio e di sfida messi in campo qualche riga fa. Gli autori, infatti, avevano costituito fin dal 1825 un’impresa litografica che già nei due anni successivi si distinse per un primo album di tavole aventi come soggetto figure tipiche del popolo napoletano, cui seguì, con successo maggiore, un secondo.
Di seguito una parziale carrellata.
Il venditore di maccheroni cotti/Il segretario degli idioti*
* Era al servizio di chi non sapeva scrivere; idiota sta in senso etimologico, dal latino idiota(m)=ignorante, a sua volta dal greco ἰδιώτης (leggi idiotes) che dal significato di privato cittadino passò in un disgraziato climax a quello di popolano (non degno di pubblici incarichi) e poi a quello di ignorante; mi viene in mente per associazione parziale di idee il grande successo riscosso nel XIX ed oltre dal segretario galante, genere editoriale basato su opuscoli contenenti lettere preconfezionate, cui potevano attingere utenti, soprattutto innamorati, che sapevano leggere e scrivere ma non erano dotati di grandi capacità linguistiche o di sufficiente fantasia.
Il cambiamonete/Il pescivendolo
  Il ciabattino/Lo zoccolaio
  Il franfellicaro*/La venditrice di castagne infornate
* Venditore di franfelliche, pezzetti di zucchero e miele colorati; dal francese fanfreluche=fronzolo, a sua volta dal dal latino medioevale  famfaluca o famfoluca (Du Cange, p. 409, a sua volta dal greco dal πομϕόλυξ  (leggi pomfòliux=bolla d’aria,  vescichetta, efflorescenza metallica.
Tuttavia fu proprio il Viaggio pittorico il loro capolavoro editoriale, anche se il nome del Bianchi rimase un po’ defilato, mentre quello del Cuciniello ebbe gli onori della cronaca, tanto che in occasione del trasferimento della sua salma dalla sepoltura comune a quella della cappella di famiglia a cinque anni dalla morte comparve sul settimanale Poliorama pittoresco, n. 25, del Gennaio 1845, un articolo corredato anche del suo ritratto in un’incisione di Gaetano Riccio (lo riproduco di seguito).
  Alla Terra d’Otranto nella prima parte del secondo volume  sono dedicati vari pezzi testuali con questi titoli: Veduta di Otranto (pp. 87-88 con successiva tavola fuori testo); Veduta di Brindisi (pp. 193-194 con successiva tavola fuori testo); Colonna miliare di Brindisi (pp. 195-196 con successiva tavola fuori testo); Veduta di Taranto (pp. 101-102 con successiva tavola fuori testo)2; La piazza di Lecce (pp. 103-104 con successiva tavola fuori testo); Veduta di Lecce (pp. 105-106 con successiva tavola fuori testo); Veduta di Gallipoli (pp. 107-108 con successiva tavola fuori testo); La tribuna della cattedrale di Otranto (p. 109 con successiva tavola fuori testo). in calce recano tutte la firma del disegnatore Francesco Wenzel a sinistra e dei litografi Domenico Cuciniello e Lorenzo Bianchi a destra, ad eccezione di quella relativa ad Otranto, il cui disegno è di Gioacchino Forino.
Le riproduco nell’ordine appena riportato.
1) VEDUTA DI BRINDISI  
    2) COLONNA MILIARE DI BRINDISI
  3) VEDUTA DI TARANTO
   4) LA PIAZZA DI LECCE
      5) VEDUTA DI LECCE
  6) VEDUTA DI GALLIPOLI
  7) LA TRIBUNA DELLA CATTEDRALE DI OTRANTO
   Giunto a questo punto, non son riuscito a resistere alla tentazione di operare un confronto tra queste vedute e quelle riguardanti lo stesso soggetto che sono a corredo del Voyage del Saint-Non3. A sinistra le francesi, a destra le napoletane, che, secondo me, non hanno nulla da invidiare alle prime.
BRINDISI
LECCE
TARANTO
___________
1 Si tratta del dottore, non dell’omonimo, molto più giovane ballerino, anche lui napoletano (di Torre Annunziata, mentre il primo è originario di Torre del Greco) che s’incontra come prima ricorrenza in Google. Lo preciso  con tutto il rispetto  per i ballerini …
2 Per un errore di rilegatura questa sezione si trova qui e non prima.
3 Sono 9 e si trovano nel tomo III uscito nel 1783: due per Brindisi ed una ciascuna per Lecce, Squinzano, Maglie, Otranto, Soleto, Gallipoli e Manduria.
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vinotv · 3 years
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Sapete perché una delle cantine più rinomate della #puglia si chiama @tenuterubino , usando il Plurale? Perché il suo legame con questa regione si sviluppa su diverse aree produttive. Hanno scelto di diversificare, ma restando saldamente ancorati alla propria terra, esplorandola nelle sue sfumature tanto diverse quanto interessanti. @rominaleopardi e Luigi Rubino sono stati dei grandi viaggiatori, persone poliedriche ed esploratori dalle grandi vedute. Ma hanno poi scelto la Puglia e le sue meravigliose terre per costruire il loro sogno comune. Fu Tommaso Rubino, padre di Carlo, ad acquistare gran parte della proprietà terriera di oggi, ma fu poi il nipote Luigi, insieme alla moglie, nel 1999 a passare dalla vendita di uve alla costruzione di una cantina di produzione conosciuta oggi come #tenuterubino . Soprannominati la #casadelsusumaniello , questa realtà vinicola in realtà abbraccia 5 diverse tenute e molti prodotti territoriali: 🔸Tenuta #jaddico : a Nord di #brindisi si sviluppa con 110 e racchiude il cuore della produzione del #Susumaniello, oltre ad altri vitigni autoctoni. 🔸Tenuta #uggio : 125 ettari sull’altipiano salentino dove si coltivano #Primitivo, #Negroamaro, #Aleatico e #Vermentino. 🔸Tenuta #PuntaAquila : a Sud di Brindisi, sono 15 ettari tutti dedicati al #primitivo . 🔸Vigneto #ostuni : un solo ettaro dedicato a un altro vitigno tipico pugliese ma molto raro: #ottavianello 🔸Tenuta #palombara : da poco acquistata, 24 ettari nel cuore dell’arco ionico tarantino, altamente vocati per la produzione di #primitivodimanduria vino iconico del luogo. Tenute che mutano, si arricchiscono di nuovi terreni, e abbandonano quelli meno strategici, a dimostrazione di una realtà dinamica, in costante evoluzione sia a livello terriero sia tecnologico e imprenditoriale. Simbolico di questa mentalità moderna, innovatrice e sensibile, è anche l’apertura della #vinoteca chiamata #numeroprimo nel centro di Brindisi che rappresenta un #puntovendita di tutta la loro produzione ma anche un modo di degustare i loro vini in abbinamento a un’eccellente #cucinaterritoriale! E voi conoscete già qualcuno dei prodotti di queste splendide terre pugliesi? (presso Tenute Rubino) https://www.instagram.com/p/CXI-rTXtUTM/?utm_medium=tumblr
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Vetroramica by AGZ: vetrate panoramiche speciali da un'azienda di larghe vedute!
Siamo lieti di annunciare la nascita di Vetroramica, la nuova divisione di AGZ Sas per la produzione di vetrate panoramiche. AGZ è uno dei nostri più affezionati clienti, opera a Taranto ed è una grande organizzazione che ha già creato un network di aziende pugliesi e lucane specializzate nella vendita e installazione di infissi, porte e serramenti. Nel 2021, AGZ ha creato la divisione Vetroramica, affidando a Resolvis la campagna di marketing e comunicazione.
Le vetrate Vetroramica sono prodotte in Italia, e rappresentano il frutto della migliore tradizione artigianale, associata ad un know-how tecnologico di livello avanzato. La soluzione Vetroramica permette di aggiungere ambienti “quattro stagioni” agli immobili, mitigando gli eccessi climatici tipici dei periodi dell’anno caratterizzati dalle temperature più estreme.
Per Vetroramica, abbiamo messo a punto un nuovissimo sito internet (www.vetroramica.it), collegato a una serie di social network aziendali e alle news distribuite tramite newsletter aziendale.
Grazie AGZ: per guardare lontano, con Vetroramica!
Resolvis: Il marketing e la comunicazione al servizio dei migliori affari.
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Puglia gastronomica: un territorio co"stellato" di successi imprendiriali di famiglia Avete letto la chiacchierata di Vieni a viaggiare in Puglia con Antonella Millarte? @foodieantonellamillarte ...beh sono giusto 4 chiacchiere.... Avrei potuto scrivere un libro... Ma vale la pena rubarvi un po' di tempo per leggerlo... Antonella è "una" che ne sa "qualcosa" di cucina, guide e progetti vincenti! Vi lascio link come sempre in bio... Seguite la foto vi porterà all'articolo ❤️ Abstract... "Vince la Puglia e vince la famiglia nell'arte della gastronomia pugliese, ma in chiave manageriale moderna", non ha dubbi Antonella Millarte che il settore lo ha visto crescere ed evolvere: da "refugium peccatorum", per darsi un futuro occupazionale, a professione d'élite quale è divenuta oggi la "cucina". Serve questo al territorio secondo l'esperta di food: un progetto manageriale forte, sulla base di un'alta qualità della cucina. Un’attenzione alla programmazione territoriale. E più larghe vedute (diciamo anche più generosità di portafogli) degli stessi ospiti pugliesi. Il consiglio per i pugliesi? Partite da tour gastronomici nella vostra regione, spenderete meno, scoprirete la vostra eccellenza e avrete un buon metro di valutazione dell'alta qualità. Parola di Antonella Millarte! #vieniaviaggiareinpuglia #vieniaviaggiareconme #vieniamangiareinpuglia #mangiareinpuglia #puglia #pugliagram #ilovepuglia #pugliaexperience #food #foodblogger #foodlover #michelinguide #chef #chefstellati #gourmet #cucinamoderna #cuochiditalia #cuochi #cuochistellati #foodporn (presso Puglia, Italy) https://www.instagram.com/p/B4pNxg2CsfP/?igshid=1urt9po40xg9d
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lospeakerscorner · 5 years
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Il nostro autore questa domenica descrive la Villa Favorita e racconta la sua storia dalle origini della fabbrica sino ai giorni nostri
di Lucio Sandon
«Oggi facemmo visita a Philipp Hackert, il celebre paesaggista, che gode di speciale confidenza e d’insigne favore presso il re e la regina. È un uomo dalle idee assai chiare ed acute, che lavora senza tregua, ma sa godersi la vita. Dopo che i nostri sguardi si furono beati dell’affascinante paesaggio e che un sorso di vino ebbe soddisfatto il nostro stomaco e il nostro palato, ci aggirammo sulla montagna per scorgere altre caratteristiche di questa cima infernale che torreggia in mezzo al paradiso. Mi godetti sinceramente il ritorno, che fu rallegrato dal più meraviglioso tramonto e da una serata sublime. Nel frattempo fui in grado di constatare quanto un portentoso contrasto possa sconvolgere e smarrire i sensi. Il passaggio dal mostruoso al bello e viceversa annulla il significato dell’uno e dell’altro e conduce all’indifferenza. Se non si sentisse stretto fra Dio e Satana, sicuramente il napoletano sarebbe del tutto diverso.»
Johann Wolfgang von Goethe
La Real Villa della Favorita venne fatta edificare tra il 1762 ed il 1768 su quattro moggia circa di terreno proprietà di Giuseppe Beretta, duca di Simari e marchese di Mesagne, su progetto dell’architetto Ferdinando Fuga. L’esito è quello di una pianta delicata, mossa e stretta comunque in un formalismo rigido dato dall’uso delle lesene. L’elemento architettonicamente più significativo della costruzione è la grande scalea semicircolare in pietra che si apre sulla facciata posteriore, e mette in comunicazione la terrazza del grande salone ellittico con il parco retrostante.
Alla morte del duca, secondo le sue volontà testamentarie, la villa Favorita fu ereditata dai reali di Borbone, Ferdinando IV e Maria Carolina d’Austria, che la elessero, tra le regge e le ville principesche che possedevano a Caserta, Portici, Castellammare, e Capodimonte, come la “favorita”, la preferita.
La villa fu adibita in un primo momento a residenza della Reale Accademia dei Cavalieri Guardiamarina, che nei suoi giardini organizzavano ogni anno a novembre delle memorabili battute di caccia, poi successivamente agli eventi del 1799, a dimora estiva dei regnanti restaurati. A partire dal 1802 al complesso vennero apportate importanti migliorie: tra esse un imponente impianto boschivo che nei giardini prevaricò sulle luminose e calde geometrie dei busti marmorei e degli aranceti ornamentali. Gli arredi interni alla villa si arricchirono di tessuti provenienti dalle serigrafie di San Leucio, di sculture, busti, un monumentale lampadario di cristallo di rocca a 42 braccia, ghirlande, e al piano nobile di un terrazzo panoramico rivolto verso il mare.
Inaugurata con una spesa per festeggiamenti di oltre 20.000 ducati, dalla regina Maria Carolina, tra i presenti alla festa si ricordano Leopoldo e Maria Luisa di Borbone, il Gran Duca e la Gran Duchessa di Toscana, l’imperatore e l’imperatrice d’Austria.
Nella nota dell’inventario datato 1802 figurano presenti nella galleria della villa Favorita i quadri, oggi tutti in custodia alla Reggia di Caserta, della serie dei porti del Regno di Jakob Hackert, tranne alcuni che vennero trafugati dai francesi. Ecco un estratto dell’inventario:
«Al piano terra ancora amabilmente disposti secondo la maniera del più puro Settecento, il restrettè di sua maestà, con bidè di legno ceraso e maniglie in ottone, con annesso bacile di ramocedro, un’originale di porcellane e una cassetta a piegatore con vasetto di rame, una stanza da gioco ancora ammobiliata e bigliardo personale. L’anticamera del piano nobile conserva la meridiana nelle riggiole di fabbricazione regio meridionali, la loggia con il lungo parapetto, e sopra di esso un orologio a sole di ottone e cupolino di latta chiuso da catenaccetti. La galleria per ospitare i dipinti dei baccanti, la stanza di Marinella, con i muri dipinti a fresco di marine, e diverse figure con balaustra in chiaroscuro. La stanza dell’Etrusca, tutta dipinta all’etrusca, la stanza di Bacco col Trionfo di Bacco ed il quadro di Lorenzo Giusti; il primo Gabinetto col parato d’arazzo sulla Storia di Abramo e nel secondo fiori ed uccelli alla cinese ne dipingono la lamia con colori sgargianti, tutta lumeggiata d’oro ed il parato di calancà indiano e più in là la stanza lunga alla Cinese con figure cinesi ornate tra gli uccelli ed i fiori e cinque porte alla maniera cinese che guardano nelle direzioni delle altre stanze contigue, un camino incastonato tra quattro colonne; ed ancora la stanza delle Vedute ove trovano posto i dipinti su muro delle ville di Cardito e la villa del Real sito della Foresta di Carditello e quella del Belvedere di San Leucio oltre ad un altro bel camino. E quindi, la stanza lunga dei divani e dei bassorilievi dei baccanti e vari dipinti di città pugliesi. Le tre anticamere tutte rivestite di tappezzeria in seta pechino; nella prima anticamera in pechino bianco, trovano posto i dipinti di Filippo Hackert, mentre nella stanza di pechino verde vi sono dipinti di ispirazione siciliana. La disposizione di questi ambienti rispetta la tematica voluta farne centro per la Galleria dove un tempo, oltre ai bassorilievi in marmo bianco fondati turchini ed i sovrapporti rappresentanti i baccanti, di cui quattro di questi, detti anche amorini, posti al centro del sopratremò, esisteva un bellissimo pavimento a mosaico tutto di marmo fatto giungere direttamente da Castiglione sull’isola di Capri, e recuperato da uno dei due Ninfei imperiali di Tiberio ed oggi in esposizione al museo di Capodimonte a Napoli.»
Alla morte di Ferdinando IV la villa passò al figlio Leopoldo, principe di Salerno. Da Gioacchino Murat la villa medesima venne usata per sontuose feste: si ricordano quella del 19 agosto del 1809, vigilia del suo onomastico, e la festa del 10 giugno del 1814, giorno in cui ospitò a Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone fatta giungere a Villa Favorita direttamente dall’isola d’Elba.
Tra il 1879 e il 1885 molti ambienti del primo piano furono decorati in uno stile orientale “alla turca” perché il governo vi ospitò Ismāʿīl Pascià, deposto Kedivè d’Egitto in esilio in Italia. Il viceré d’Egitto, cacciato per bancarotta, giusto per non impiccarlo al ramo più vicino, era colui che aveva commissionato l’Aida a Giuseppe Verdi, per celebrare l’inaugurazione del canale di Suez e del teatro dell’Opera del Cairo.
Il parco della Favorita comprende peschiere e chioschi in stile moresco, e resta l’area verde storica più grande della costa vesuviana dopo il parco della Reggia di Portici. Il Parco sul Mare della Villa Favorita è quella parte della Real Villa che Ferdinando IV acquistò dai Zezza per creare un’unica grande area verde che conducesse dalla villa al mare.
In una grande fossa circolare era stata costruita una struttura in legno che faceva girare delle giostre a forma di barca. A testimonianza della liberalità dei Borbone, il parco veniva aperto al pubblico in alcuni giorni festivi. Attualmente l’area del Parco a Mare della Favorita è stata risistemata a prato e lecceto, e sono stati restaurati gli edifici presenti tra cui la Palazzina delle Montagne Russe e la bella Palazzina dei Mosaici così chiamata per il rivestimento dei muri del vestibolo e del salone con cocci multicolori di madreperla e porcellana che formano eleganti cornici policrome.
Al termine del parco, un passaggio sottoposto alla linea ferroviaria conduce all’Approdo Borbonico, costituito da due Cafehaus con torrette simmetriche, davanti ai quali si apre una piccola esedra da cui si accede sul molo in pietra vesuviana, ricostruito con l’apposizione di una barriera frangiflutti per proteggerlo dalle mareggiate, e una piattaforma di ormeggio per i collegamenti marittimi con Napoli.
Alla fine degli anni sessanta del secolo scorso il parco a mare fu separato anche fisicamente dal parco superiore, con la realizzazione dell’attuale via Gabriele D’Annunzio.
  Lo scrittore Lucio Sandon è nato a Padova nel 1956. Trasferitosi a Napoli da bambino, si è laureato in Medicina Veterinaria alla Federico II, aprendo poi una sua clinica per piccoli animali alle falde del Vesuvio.
Notevole è il suo penultimo romanzo, “La Macchina Anatomica”, Graus Editore, un thriller ambientato a Portici, vincitore di “Viaggio Libero” 2019. Ha già pubblicato il romanzo “Il Trentottesimo Elefante”; due raccolte di racconti con protagonisti cani e gatti: “Animal Garden” e “Vesuvio Felix”, e una raccolta di racconti comici: “Il Libro del Bestiario veterinario”. Il racconto “Cuore di figlio”, tratto dal suo ultimo romanzo “Cuore di ragno”, ha ottenuto il riconoscimento della Giuria intitolato a “Marcello Ilardi” al Premio Nazionale di Narrativa Velletri Libris 2019. Il romanzo “Cuore di ragno” è risultato vincitore ex-aequo al Premio Nazionale Letterario Città di Grosseto “Cuori sui generis” 2019.
Sempre nel 2019,  il racconto “Nome e Cognome: Ponzio Pilato” ha meritatola Segnalazione Speciale della Giuria  nella sezione Racconti storici al Premio Letterario Nazionale Città di Ascoli Piceno, mentre il racconto “Cuore di ragno” ha ricevuto la Menzione di Merito nella sezione Racconto breve al Premio Letterario Internazionale Voci – Città di Roma. Inoltre, il racconto “Interrogazione di Storia”  è risultato vincitore per la Sezione Narrativa/Autori al Premio Letizia Isaia 2109.
Articolo correlato:
https://wp.me/p60RNT-4kS
    Le Reali Delizie Borboniche – Ercolano Villa della Favorita Il nostro autore questa domenica descrive la Villa Favorita e racconta la sua storia dalle origini della fabbrica sino ai giorni nostri…
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salentipico-blog · 7 years
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Martedì 20 giugno (ore 18 – ingresso su invito) al Castello di Gallipoli, in provincia di Lecce, gestito dal 2014 dall’Agenzia di Comunicazione Orione, appuntamento con l’inaugurazione della mostra “I porti del Re” di Jakob Philipp Hackert. Sino al 5 novembre la Sala ennagonale dell’antico maniero ospiterà nove grandi opere dell’artista tedesco, raffiguranti altrettanti porti pugliesi del Regno di Napoli. Le opere furono realizzate su commissione di Re Ferdinando IVche, nella primavera del 1788, incaricò il pittore ufficiale di corte di ritrarre in dipinti e disegni tutti i porti del Regno borbonico. La mostra, a cura di Luigi Orione Amato e Raffaela Zizzari, è prodotta dal Castello in collaborazione con la Reggia di Caserta e il Comune di Gallipoli. Nel corso dell’inaugurazione interverranno lo storico dell’arte, docente universitario, autore e conduttore televisivo Philippe Daverio e il direttore generale della Reggia di Caserta Mauro Felicori, che saranno anche insigniti del Premio Barocco 2017. Durante la serata spazio anche al contributo musicale a cura del maestro Enrico Tricarico con Serena Scarinzi (soprano) e Floriana Cesari (pianoforte) e alla “Filarmonica Città di Gallipoli”. I visitatori approderanno anche nel “Porto animato” a cura di Openlabcompany.
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Il viaggio di Jakob Philipp Hackert, da Manfredonia a Taranto, dura più di tre mesi. L’artista appronta il materiale occorrente per poter poi ritrarre, una volta rientrato a Napoli, tutti i porti delle tre estreme province orientali del Regno di Napoli: Capitanata, Terra di Bari e Terra d’Otranto. Al rientro dai sopralluoghi, il pittore inizia a riprodurre su tele di grande dimensione i porti di Taranto e di Brindisi nel 1789, prosegue con i porti di Gallipoli, Manfredonia, Barletta, Bisceglie e Santo Stefano di Monopoli nel 1790, esegue nel 1791 il porto di Trani e infine chiude la serie nel 1792 con il porto di Otranto. Jakob Phillip Hackert (1737-1807) nacque in Germania a Prenzlau. Viaggiò molto in Europa e raggiunse la fama con le sue tele di scorci pittoreschi. Lavorò per Caterina di Russia e in Italia soggiornò a lungo a Roma, Firenze e Napoli. Qui, Ferdinando IV gli commissionò dodici quadri raffiguranti i porti del Regno delle Due Sicilie. L’intera commissione delle Vedute dei Porti del Regno è riconducibile alla volontà del Re di Napoli di emulare quanto il Re di Francia Luigi XV aveva realizzato, affidandone l’esecuzione al pittore Claude-Joseph Vernet nel 1753, con la serie di Vedute dei Porti di Francia. Le opere furono create sulla scorta di schizzi disegnati da lui stesso, come suggeriscono le repliche di figure ricorrenti in più tele: una raccolta di 136 cartelle di disegni preparatori conservata presso lo Staatliche Museeum di Berlino. Le nove tele saranno esposte nella Sala ennagonale, gioiello rarissimo e unico esempio di architettura militare di tale forma e dimensione. La sala ha, infatti, un diametro di 20 e un’altezza di 10 metri, con copertura a padiglione, inglobata nella torre grande posta nello spigolo sud-est della fortezza, interamente circondata dal mare. Sulle pareti, spesse 9 metri, si aprono le maestose bocche di fuoco. La torre grande è frutto di vari rimaneggiamenti dell’ingegno di Francesco di Giorgio Martini da Siena che cercò di adeguare la fortezza ai nuovi criteri imposti dal perfezionamento delle artiglierie senza demolire le preesistenze. È proprio in questa torre che giacciono le origini dell’arcaico sistema difensivo gallipolino, un mastio antichissimo di dimensioni minori e forma differente rispetto alle attuali.
Le sale del Castello ospiteranno anche il “Porto animato” a cura di Openlabcompany, un laboratorio di progettazione fondato nel 1991 da Laura Colombo e Luca Ruzza dove con un  team di progettisti, ingegneri e artisti si sviluppano idee di paesaggi futuri trasformandoli in realtà. Il Porto di Gallipoli dipinto da Hackert rivivrà grazie alle animazioni di Gioele Stella e al sound design di Laura Colombo e Bernardo Vercelli. C’è una pratica che mette in relazione la storia dell’arte con la motion graphic. Consiste nella realizzazione di prodotti video che hanno come tema la rivisitazione animata di quadri famosi di varie epoche, in chiave interpretativa, poetica, ironica, dissacrante. Le opere vengono riproposte con oggetti o personaggi della scena rappresentata in movimento, con elementi aggiunti che compiono azioni o interagiscono con le parti dei dipinti oppure con variazioni di punti di vista che esplorano lo spazio virtuale dell’opera, mettendo in evidenza particolari, espressioni o atteggiamenti presenti. Il filmato ci porta a considerare la “messa in scena” – intesa come elemento compositivo – nella sua funzione primaria, all’interno di un quadro. Scegliere un istante piuttosto che il successivo muta il senso del dipinto e gli equilibri
I porti del Re al Castello di Gallipoli Martedì 20 giugno (ore 18 - ingresso su invito) al Castello di Gallipoli, in provincia di Lecce, gestito dal 2014 dall’Agenzia di Comunicazione Orione, appuntamento con l'inaugurazione della mostra "I porti del Re" di Jakob Philipp Hackert.
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Nell’epopea degli “ppoppiti”, la ricerca dell’identità salentina,
Giorgio Cretì
  Poppiti (Il Rosone, 1996) è un romanzo moderno che ha sapore d’antico.
Ne è autore Giorgio Cretì (1933-2003), scrittore salentino, nato a Ortelle, in provincia di Lecce, ma trasferitosi presto a Pavia. Autore di vari racconti pubblicati su “Il Rosone”, la rivista dei pugliesi di Milano, e su altri periodici, Cretì, membro dell’Associazione Stampa Agroalimentare, ha dedicato i propri interessi di studio prevalentemente al settore della gastronomia e della cucina, dando alle stampe pregevoli testi come: Erbe e malerbe in cucina (Sipiel, 1987), il Glossario dei termini gastronomici, compresi i vocaboli dialettali, stranieri e gergali, annesso al volume I grandi menu della tradizione gastronomica italiana (Idea Libri, 1998), Il Peperoncino (Idea Libri, 1999), La Cucina del Sud (Capone Editore, 2000), A tavola con don Camillo e Peppone (Idea Libri, 2000), La Cucina del Salento (Capone, 2002), ed altri.
Il romanzo narra una storia d’amore che si volge nella campagna salentina, a Masseria Capriglia, fra Santa Cesarea Terme e Vignacastrisi, dove vivono i protagonisti del racconto, Poppiti appunto (o, nelle varianti Ppoppiti, con rafforzamento della lettera iniziale, o ancora Ppoppeti).
Varie le etimologie di questo termine gergale, ma la più accreditata è quella che lo fa risalire al latino post oppidum, ossia “fuori dalle mura del borgo”, ad indicare nell’antica Roma coloro che abitavano fuori dalle mura fortificate della città, dunque i contadini.
Questo termine è passato ad indicare la gente del Salento e in particolare dell’area più meridionale, ovvero di un territorio caratterizzato fino a cinquant’anni da un paesaggio prevalentemente agricolo e dominato dalla civiltà contadina.
ph Giorgio Cretì
  La storia si svolge all’inizio del secolo Novecento e gli umili contadini del racconto sono Ia e Pasquale, il quale è chiamato alla guerra di Libia del 1911 ed è così costretto a lasciare soli la moglie ed il bimbo appena nato. L’assenza di Pasquale si protrae a lungo perché in guerra egli viene fatto prigioniero. Quando ritorna nel Salento, con grandi progetti per la sua famiglia, Pasquale non trova però la situazione ideale che aveva immaginato ma anzi incombe sulla Masseria Capriglia una grave tragedia.
Del romanzo è stato tratto un adattamento teatrale dalla compagnia “Ora in scena”, per i testi della scrittrice Raffaella Verdesca e la regia dello studioso Paolo Rausa. La rappresentazione teatrale è stata portata in vari teatri e contesti culturali a partire dal 2013 con un discreto apprezzamento di critica e di pubblico. In particolare, fra il maggio ed il giugno del 2014, ad Ortelle, città natale dello scrittore, nell’ambito della manifestazione “Omaggio a Giorgio Cretì”, venne allestita in Piazza San Giorgio, la mostra di pittura Ortelle. Paesaggi Personaggi … con gli occhi (e il cuore) di Carlo Casciaro e Antonio Chiarello, presso Palazzo Rizzelli. Ortelle commemorava così un suo figlio illustre, con una serie di incontri e conferenze e con la messa in scena dello spettacolo teatrale, a cura di Raffaella Verdesca e Paolo Rausa. Le parole del romanzo di un cultore di storia patria si intrecciavano ai colori e alle immagini di due artisti del pennello, anch’essi ortellesi. La mostra pittorica di Casciaro e Chiarello ha portato alla pubblicazione di un catalogo dallo stesso titolo della mostra, con doppia speculare copertina, realizzato con il patrocinio del Comune di Ortelle, dell’Università del Salento, del CUIS e della Fondazione Terra D’Otranto.
Sulla copertina, in una banda marrone nella parte superiore, si trova scritto: “Per un antico (pòppitu) eroe. Omaggio a Giorgio Cretì”. Nella parte centrale, la foto di un bellissimo antico portale del centro storico di Ortelle. All’interno del volumetto, Casciaro e Chiarello si dividono equamente gli spazi: da un lato le opere dell’uno e dal lato opposto quelle dell’altro, realizzando una sorta di residenza artistica o casa dell’arte su carta. Il catalogo è introdotto da una bellissima poesia di Agostino Casciaro, dedicata proprio ad Ortelle e da una Presentazione della critica d’arte Marina Pizzarelli.
uno dei dipinti di Carlo Casciaro
Quindi troviamo i volti di Carlo Casciaro, fra i quali il primo è proprio quello dello Pòppitu Cretì, in un acrilico su tela del 2014; poi quello di Agostino Casciaro, tecnica mista 2014, e quello del pittore Giuseppe Casciaro (1861-1941), ch’è forse la maggior gloria ortellese, pittore di scuola napoletana, del quale Carlo è pronipote. Inoltre, l’opera Ortelle, acrilico su tela 2012, con una citazione di Franco Arminio; Capriglia, acrilico su tela 2014, con una citazione dal romanzo di Cretì; Largo Casciaro, acrilico su tela 2013, e infine una scheda biografica di Carlo Casciaro. Di Carlo ho già avuto modo di scrivere che dalla fotografia alla pittura, egli comunica attraverso la sua arte totale. (Paolo Vincenti, L’arte di Carlo Casciaro in “Il Galatino”, 14 giugno 2013).
Laureato all’Accademia di Belle Arti di Lecce, ha vissuto a lungo a Milano prima di ritornare nel borgo avito e qui ripiantare radici. L’oggetto privilegiato della sua pittura è il paesaggio salentino. Il suo è un naturalismo che richiama quello dei più grandi maestri, come Vincenzo Ciardo. È un paesaggismo delicato, fuori dal convenzionale, dal naif. Nelle sue tele, dai vivaci colori, in cui vengono quasi sezionati i reticolati urbani dei nostri paesini, più spesso le aree della socialità come le piazze, gli slarghi, le corti, si ammirano animali quali pecore, buoi, galline, gazze, convivere in perfetta armonia con oggetti e persone, in un’epoca ormai lontana, fatta di ristrettezze e di fatica, quella della civiltà contadina del passato. Il segno colore di Casciaro dà ai suoi paesaggi un’immagine di gioia temperata, di una serenità appena percepita, cioè non un idillio a tutto tondo, tanto che il cielo incombente sulle scene di vita quotidiana sembra minaccioso e il sole non si mostra quasi mai.
Nel microcosmo di una piccola e fresca cantina nella quale ha ricavato il suo studio, oggi Carlo fotografa vecchi e vecchine, parenti, amici, personaggi schietti e spontanei di quella galleria di tipi umani che offre la sua comunità, li immortala nei suoi ritratti a matita e pastello e li appende con le mollette a dei fili stesi nella cantina a suggellare arte e vita, sogno e contingenza. Una delle sue ultime realizzazioni infatti è Volti della Puteca Disegni-Foto-Eventi, Minervino Ortelle Lecce 2016 (Zages Poggiardo, 2017).
Mutando verso del catalogo, si ripetono la poesia di Agostino Casciaro e la Presentazione di Pizzarelli, e poi troviamo le opere di Antonio Chiarello. Fra i versi di Antonio Verri e Vittorio Bodini, sette acquerelli con una piantina turistica di Ortelle, cartoline e vedute panoramiche della città di San Vito e di Santa Marina e una Vecchia porta + vetrofania, L’uscio dell’orto (…e lucean le stelle), tecnica mista del 2011. Quindi, la scheda biografica di Antonio Chiarello. Anche di Antonio, fra le altre cose, ebbi a scrivere che egli, laureato all’Accademia di Belle Arti di Lecce, utilizza, per le sue Pittoriche visioni del Salento, le tecniche più svariate con una certa predilezione per l’acquerello. (Paolo Vincenti, Da Sant’Antonio ad Antonio Chiarello in “Il Paese Nuovo”, 18 giugno 2011).
Nel 2005 Chiarello ha realizzato per la prima volta la mostra devozionale “San’Antonio giglio giocondo…”, con “tredici carte devozionali” dedicate al suo santo onomastico ed ha portato questo progetto- ex voto in giro per la provincia di Lecce in tutti i paesi dove vi sia il protettorato o almeno una devozione per il santo. Visceralmente legato alla patria salentina, Chiarello ne ha dipinto le grotte, i millenari monumenti, gli alberi, i suoi borghi incantati, le bellezze di Castro e di Porto Badisco, di Santa Cesarea e di Otranto, di Muro Leccese, di Poggiardo e di tutta la costa adriatica leucadense.
Autore anche di svariate realizzazioni grafiche e di manifesti, nella sua avventura umana ed artistica, ha interagito con amici quali Antonio Verri, Pasquale Pitardi, Donato Valli, Antonio Errico, Fernando Bevilacqua, Rina Durante. All’epopea degli ppoppiti, Chiarello e Casciaro confessano di sentirsi intimamente vicini per cultura, formazione e scelta sentimentale.
Ecco allora, nell’ideale ricerca di un’identità salentina, la pittura dei due artisti poppiti salentini intrecciarsi, in fertile connubio, con la scrittura di uno poppitu di ritorno quale Giorgio Cretì.
Nell’epopea degli “ppoppiti”, la ricerca dell’identità salentina, in Identità Salentina 2020, Salento Quale identità quale futuro? Contributi e testimonianze per la cultura e il governo del territorio, Italia Nostra sezione Sud Salento, a cura di Marcello Seclì, Collepasso, Tip. Aluisi, 2021
Su Giorgio Cretì vedi:
Giorgio Cretì – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)
L’omaggio di Ortelle a Giorgio Cretì con la presentazione del volume antologico delle opere – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)
 Giorgio Cretì come uno sciamano – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)
Storia di guerra e passione nel Salento rurale – Fondazione Terra D’Otranto (fondazioneterradotranto.it)
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Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/04/10/viaggiatori-tedeschi-nel-sud-italia/
Viaggiatori tedeschi nel Sud Italia
di Paolo Vincenti
L’interesse dei tedeschi per il sud Italia parte da lontano. Già nel Cinquecento, Paul Schede detto Melissus (1539-1602) parlò di Rudiae negli Epigrammata in urbes Italiae del 1585 (1). Johann Heinrich Bartels (1761-1850) visita il Sud ma solo la Calabria e la Sicilia, verso la fine del Settecento, e documenta il suo viaggio nell’opera Briefe über Kalabrien und Sizilien. Dieterich, Göttingen 1787–1792 (2). Nel Settecento, arrivano in Italia il Barone von Riedesel  e il pittore Jacob Philipp Hackert. Abbiamo già detto del tedesco Johann Hermann von Riedesel, barone di Eisenbach (1740-1785) e del suo libro, Un viaggiatore tedesco in Puglia nella seconda metà del sec. XVIII. Lettere di J.H.Riedesel a J.J.Winckelmann, che è, come dice il titolo, un’opera epistolare, diretta al famoso archeologo Winckelmann (3).
Diplomatico e ministro prussiano, Riedesel aveva conosciuto a Roma e frequentato il Winckelmann, il quale gli aveva fatto da guida nella esplorazione dei monumenti della città. Il suo libro divenne un punto di riferimento in Germania e fu molto letto, anche da Goethe, che lo elogia nella sua opera “Viaggio in Italia”, in cui sostiene di portarlo sempre con sé, come un breviario o un talismano, tale l’influenza che quel volume, per la puntigliosità e l’esattezza delle notizie, esercitava sugli intellettuali (4).
Jacob Philipp Hackert (1737-1807), nella sua opera pittorica I porti delle Due Sicilie (Napoli 1792) inserì i porti di Gallipoli e di Otranto. Il grande artista divenne pittore di corte del re Ferdinando IV di Napoli e in questa veste fu in Italia con molti incarichi come quello di supervisionare il trasferimento della collezione Farnese da Roma a Napoli. Fu amico di Goethe che scrisse di lui nella sua opera “Viaggio in Italia”. Ma l’incarico più prestigioso che il pittore ricevette dal re Ferdinando IV fu la commissione del famoso ciclo di dipinti raffiguranti i porti del Regno di Napoli.
Le numerose vedute dei porti si articolano in tre gruppi suddivisi tra le vedute campane, pugliesi, calabresi e siciliane. Per eseguire i disegni preparatori si recò così in Puglia e in Campania. La serie comprende 17 quadri e si trova ancora oggi custodita alla Reggia di Caserta; vi sono raffigurati esattamente i porti di Taranto, Brindisi, Manfredonia, Barletta, Trani, Bisceglie, Monopoli, Gallipoli, Otranto.
La serie è stata in mostra, dal 20 giugno al 5 novembre 2017, presso la Sala Ennagonale del Castello di Gallipoli (Lecce).  L’esposizione intitolata “I porti del Re”, a cura di Luigi Orione Amato e Raffaela Zizzari, prodotta dal Castello in collaborazione con la Reggia di Caserta e il Comune di Gallipoli, ha visto all’inaugurazione l’intervento dello storico dell’arte Philippe Daverio e del direttore generale della Reggia di Caserta, Mauro Felicori (5). Nel giugno 2018, si è tenuta a Brindisi la grande mostra: “Brindisi: Porto d’Oriente”, a  Palazzo Nervegna, dove è stato possibile “ammirare per la prima volta  il celebre quadro ‘Baia e Porto di Brindisi’ che il vedutista prussiano Jakob Philipp Hackert realizzò nella seconda metà del ‘700 su incarico del re Ferdinando IV di Borbone. L’esposizione è stata organizzata nell’ambito del progetto ‘La Via Traiana’ e comprendeva una serie di opere che raccontano la storia della città attraverso alcune vedute del porto, fatte dai viaggiatori del ‘700” (6). Anche lo scrittore Johann Wilhelm von Archenholtz (1741-1813), famoso politologo, era stato in Italia ma egli, pur essendo tedesco, aveva pubblicato un’opera intitolata England und Italien, nel 1785, nella quale contrapponeva i due paesi, appunto il Regno Unito e l’Italia, con due sistemi politici diversi, propendendo decisamente per l’Inghilterra. Tuttavia nelle critiche feroci che Wilhelm fa a Genova, Venezia, allo Stato della Chiesa e al Regno di Napoli, è facile scorgere una larvata accusa alla sua Germania (7). Il poeta Friedrich Leopold Stolberg (1750-1819) nella sua opera Reise in Deutschland, der Schweiz, Italien und Sicilien in den Jahren 1791 und 1792, 4 voll., 1794, documenta il suo viaggio nel sud Italia dove però manifesta una posizione anticlassica e irrazionalistica, che provocò la sdegnata reazione di Goethe.
L’opera è stata recentemente tradotta in italiano da Laura A. Colaci, che scrive: “Dopo il viaggio nel Sud della Germania e della Svizzera col fratello e con Goethe, Stolberg ne intraprese uno più lungo in compagnia della moglie Sophie von Redern, del figlioletto, di G.A. Jacobi e G.H.L. Nicolovius attraverso la Germania, la Svizzera e l’Italia.
Frutto di questo viaggio è il volume Reise in Deutschland, der Schweiz, Italien und Sicilien in den Jahren 1791 und 1792. Viaggiò in Puglia dal 3 al 17 maggio del 1792”(9).  Si tratta di un’opera epistolare, composta cioè delle lettere che egli aveva inviato durante il suo soggiorno nel nostro Paese a vari corrispondenti tedeschi. Queste lettere però vennero rielaborate per la loro pubblicazione e ciò portò ad una certa stilizzazione, soprattutto in quelle che hanno un maggiore contenuto politico religioso. Egli visitò Brindisi, Lecce, Otranto, Gallipoli.
Il compagno di viaggio di Stolberg, Georg Arnold Jacobi (1768-1845), al ritorno dal suo viaggio pubblica Briefe aus der Schweiz und Italien nel 1796-7, ossia una raccolta delle sue lettere inviate da Brindisi, Lecce e Gallipoli.  Sempre di un’opera epistolare dunque si tratta, ma le lettere dello Jacobi sembrano essere più in presa diretta, ovverosia meno stilizzate, di quelle del suo compagno di viaggio Stolberg, e soprattutto si nota in lui una minore componete polemica, pur essendo protestante e classicista anch’egli. È molto più critico però nei confronti del governo di Napoli e del malcostume che in quella città allignava. Mentre la prosa dello Stolberg è più accattivante, controllata e in qualche modo romantica, avendo egli rimaneggiato le lettere, quella dello Jacobi è invece più scarna e realistica. Entrambi i viaggiatori comunque sono attratti dai resti dell’antichità classica, per cui, specie quando giungono in Puglia, a partire da Taranto, la loro attenzione si sofferma sulle influenze greche della nostra civiltà. Stolberg sente tutta la civiltà europea tributaria della cultura classica. Il suo classicismo però è filtrato dal cristianesimo. Questo lo porta a vedere l’Italia, e in particolare il Sud, in quanto più diretta emanazione di quella cultura, come una sorta di paradiso perduto che, con antesignano gusto romantico, egli idealizza, dandone una visione edenica, certo lontana dalla realtà. “Pur vivendo nel clima del classicismo winckelmaniano, lo Stolberg è distante dall’dea di classico alla Winckelmann”, scrive Scamardi (10).  Dunque egli ripudia ogni idea dell’arte che non sia classica, per esempio il barocco leccese. “l ruderi classici evocano, sì, l’idea della caducità della vita umana, un elemento, questo, certo presente in tanta poesia sulle rovine della fine del Settecento, solo che lo Stolberg oppone la certezza della fede cristiana[…] In questo lo Stolberg anticipa non solo taluni stilemi di un certo romanticismo, ma anche un certo kitsh romantico. Si può concordare, in definitiva, col giudizio di Helga Schutte Watt secondo la quale lo Stolberg in Italia ritorna ai fondamenti classici della cultura europea e della sua stessa formazione intellettuale e non solo non scorge alcun conflitto tra classicismo e cristianesimo, ma vede in quest’ultimo una forma di coronamento, di inveramento del primo” (11).
A Taranto sono ricevuti dal Vescovo Giuseppe Capecelatro, uomo di vastissima cultura, lo stesso che accompagnò il viaggiatore svizzero Carlo Ulisse De Salis Marschlins (1728-1800 ) nel suo viaggio in Puglia. Come già Eberhard August Zimmermann (1743-1815), naturalista e geografo, che venne in Puglia su incarico del Regno di Napoli per studiare la nitriera naturale di Molfetta (12),  anche il conte svizzero era accompagnato dall’Abate Fortis e i suoi interessi principali erano volti all’agricoltura e all’allevamento. Abbiamo già detto del De Salis Marschlins, che pubblica per la prima volta le sue impressioni di viaggio in tedesco in due volumi a Zurigo nel 1790 e nel 1793.  La prima pubblicazione del libro in lingua italiana viene fatta nel 1906 (13),  con la traduzione di Ida Capriati De Nicolò (ottima traduttrice anche delle memorie di Janet Ross)(14), e poi viene più volte ripubblicato (15).
Lo storico Ferdinand Gregorovius (1821-1891) visse più di vent’anni in Italia, soprattutto a Roma. Pubblicò i suoi resoconti di viaggio in Italia nell’opera  Wanderjahre in Italien tra il 1856 e il 1877,  in cui fa una descrizione analitica, davvero minuziosa delle condizioni di vita del nostro popolo in quegli anni. Il suo è un interesse erudito, per cui alle note naturalistiche, si accompagnano le descrizioni artistiche e letterarie e soprattutto sociologiche. L’opera si compone di cinque volumi ed è nell’ultimo volume, con il titolo Apulische Landschaften, (Lipsia, F. A. Brockhaus, 1877) che si occupa del nostro territorio. Gregorovius venne in Puglia due volte, nel 1874 e 1875. La prima traduzione della sua opera è di Raffaele Mariano nel 1882 (16).  L’itinerario si snoda attraverso le città di Lucera , Manfredonia, Monte Sant’Angelo, Andria, Castel del Monte, Lecce e Taranto.
“Il Gregorovius seguiva con interesse la ricezione della cultura tedesca in Italia e intratteneva rapporti cordiali con chiunque in qualche modo se ne occupasse. Ma è soprattutto la scuola filosofica hegeliana che attrae l’attenzione dello storico tedesco che, come è noto, aveva egli stesso studiato filosofia all’Università di Konigsberg. Fu proprio attraverso il Rosenkranz, suo maestro a Konisberg, che conobbe lo storico del cristianesimo e filosofo Raffaele Mariano, con cui oltre a compiere i viaggi in Puglia intrattenne sempre rapporti di amicizia. Il Mariano tradusse in italiano le  Apulische Landschaften. Nell’introduzione alla sua traduzione, nella quale il Mariano ricostruiva, attingendo alla pubblicistica meridionalistica di Pasquale Villari e Raffaele De Cesare, la situazione politico-sociale della Puglia, l’autore non nascondeva una certa animosità nei confronti dei pugliesi, che suscitò le forti proteste di Niccolò Brunetti…”. Così scrive Scamardi (17), che pubblica nel suo libro anche i Diari inediti di Gregorovius del secondo viaggio in Puglia (1875)(18).  Si rimproverava cioè al traduttore e quindi all’autore un punto di vista troppo “tedescocentrico”.
In realtà, Gregorovius dimostra grande interesse nei confronti dell’Italia meridionale, dei suoi punti di forza ma anche delle sue mancanze. Si appassiona della questione meridionale, si rammarica dell’arretratezza delle infrastrutture, si intrattiene sulla rete viaria e quella ferroviaria, sul porto di Brindisi, parla della mafia e della lotta dello stato contro la criminalità, ecc. Da storico non può non essere attratto dal fascino della storia millenaria, soprattutto a Roma, sua città elettiva. “In una pagina delle Wanderjahre in Italien fa una digressione sui paesaggi storici italiani dove si avverte, più che altrove, il respiro del passato. Dai monumenti emana come una forza elettrica per la quale il Gregorovius conia l’espressione ‘magnetismo della storia’”(19).  A lui si deve la definizione di Lecce come  “Firenze del Sud”. Gregorovius non amava il romanico e prediligeva il gotico. Il tedesco Gustavo Meyer Graz (1850-1900), corrispondente del Sclesische Zeitung di Breslavia arriva nel 1890 per raccogliere i canti della Grecia Salentina. I suoi articoli di viaggio vennero poi tradotti da Cosimo De Giorgi (che lo accompagnò nel viaggio) nel 1895 per “Il Popolo Meridionale”, rivista leccese, e poi successivamente in volume (20).   Gli articoli si intitolano: “Da Brindisi a Lecce”; “Lecce-San Nicola e Cataldo”; “Da Lecce a Calimera”; “Taranto”.  Il Meyer è molto preoccupato dal fatto che la lingua greganica vada persa a causa dell’incuranza dei governi.
Taranto nel 1789, Incis. da Hackert
Venne in Italia anche lo storico dell’arte Paul Schubring (1869-1935) corrispondente del giornale “Frankfurter Zeitung”, il quale mandava i suoi reportage di viaggio descrivendo minuziosamente la nostra regione. I suoi articoli vennero poi raccolti in volume da Giuseppe Petraglione (21).  Secondo il traduttore, gli articoli di Schubring  potrebbero essere considerati un ampliamento del libro del Gregorovius in quanto vi sono menzionati alcuni monumenti lì assenti, come la Chiesa di Santo Stefano in Soleto, e approfonditi altri di cui era stato fatto solo un fugace cenno, come la chiesa di Santa Caterina e la Cattedrale di Troia.
Note
[1]Raffaele Semeraro, Viaggiatori in Puglia dall’antichità alla fine dell’Ottocento: rassegna bibliografica ragionata, Schena, 1991, p.73.
[2] Johann Heinrich Bartels, Lettere sulla Calabria Viaggio in Calabria Vol III, Catanzaro, Rubettino, 2007.
[3] Johann Hermann von Riedesel ,Un viaggiatore tedesco in Puglia nella seconda metà del sec. XVIII. Lettere di J.H.Riedesel a J.J.Winckelmann, Prefazione e note di Luigi Correra, Martina Franca, Editrice Apulia, 1913, poi ristampata in Tommaso Pedio, Nella Puglia del 700 (Lettera a J.J. Winckelmann), Cavallino, Capone, 1979.
[4] Teodoro Scamardi, La Puglia nella letteratura di viaggio tedesca. Riedesel Stolberg Greborovius, Lecce, Milella, 1987, pp.35-58.
[5] http: www.famedisud.it/il-sud-settecentesco-di-philipp-hackert-in-mostra-a-gallipoli-i-porti-…
[6] http:www.brundarte.it/2018/03/23/baia-porto-brindisi-jakob-philipp-hackert/
[7] Teodoro Scamardi, op. cit., p.64.
[8] Friedrich Leopold Graf Zu Stolberg, Reise In Deutschland, Der Schweiz, Italien Und Sizilien In Den Jahren 1791 Und 1792 1794 Con traduzione italiana a cura di Laura A. Colaci, Edizioni Digitali Del Cisva, 2010.
[9] Carlo Stasi, Dizionario Enciclopedico dei Salentini, 2 voll, Lecce, Grifo, 2018, p.1128.
[10] Teodoro Sacamardi, op. cit., p.76 .
[11] Idem, p.77.
[12] Idem, p.24.
[13] Carlo Ulisse De Salis Marschlins, Nel Regno di Napoli : viaggi attraverso varie province nel 1789, Trani, Vecchi, 1906.
[14] Janet Ross, La terra di Manfredi, traduzione dall’inglese di Ida De Nicolo Capriati, illustrazioni di Carlo Orsi, Trani, Vecchi, 1899, poi ripubblicato in Eadem, La Puglia nell’Ottocento : la terra di Manfredi, a cura di Maria Teresa Ciccarese, Lecce, Capone, 1997.
[15] Fra gli altri, in Carlo Ulisse De Salis Marschlins, Viaggio nel Regno di Napoli, Galatina, Congedo, 1979, con Introduzione di Tommaso Pedio, e in Idem, Viaggio nel Regno di Napoli – che riproduce la prima traduzione italiana di Ida Capriati De Nicolò -, a cura di Giacinto Donno, Lecce, Capone, 1979 e 1999, e ancora in Idem, Nel Regno di Napoli Viaggi attraverso varie provincie nel 1789, Avezzano, Edizioni Kirke, 2017.
[16] Ferdinand Gregorovius, Nelle Puglie (1877), versione dal tedesco di Raffaele Mariano con noterelle di viaggio del traduttore, Firenze, G. Barbera, 1882.
[17] Teodoro Scamardi, op.cit., p.97.
[18] Idem, pp.137-147.
[19] Idem, p.127.
[20] Gustavo Meyer-Graz, Apulische Reisetage, a cura di Cosimo De Giorgi, Martina Franca, 1915. Poi ristampato in Idem, Puglia . Sud (1890), a cura di Gianni Custodero, traduzione di Cosimo De Giorgi, Cavallino, Capone Editore, 1980.
[21] Paul Schubring ,La Puglia: impressioni di viaggio (1900), traduzione e introduzione di Giuseppe Petraglione, Trani, Vecchi, 1901.
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De Domo David. 39 autori per i 400 anni della confraternita di San Giuseppe di Nardò
Il 9 novembre 2019, nella chiesa di San Giuseppe a Nardò, è stato presentato il volume De Domo David. La confraternita di San Giuseppe Patriarca e la sua chiesa a Nardò. Studi e ricerche a quattro secoli dalla fondazione (1619-2019), Edizioni  Fondazione Terra d’Otranto 2019, 640 pagine, colore, formato A/4, circa 800 illustrazioni, a cura di Marcello Gaballo e Stefania Colafranceschi. Edizione non commerciale
INDICE
Joseph il giusto nei mosaici dell’arco di Santa Maria Maggiore a Roma
Domenico Salamino
  La Fuga in Egitto. Suo importante significato teologico
Tarcisio Stramare
  Dal Sogno al Transito: iconografie nella chiesa confraternale di San Giuseppe a Nardò
Stefania Colafranceschi
  San Giuseppe e la Sacra Famiglia nel fondo antico della Biblioteca Casanatense di Roma
Barbara Mussetto
  La pala marmorea dei Mantegazza nella chiesa di Santa Maria Assunta in Campomorto di Siziano (Pavia)
Manuela Bertola
  Iconografie di San Giuseppe negli affreschi delle confraternite dei Battuti in diocesi di Concordia-Pordenone
Roberto Castenetto
  La basilica di Santa Maria Maggiore di Bergamo e i suoi arazzi
Giovanni Curatola
  Hierónimo Gracián e il suo Sommario (1597)
Annarosa Dordoni
  Le confraternite dei falegnami in Romagna
Serena Simoni
  La confraternita del SS. Crocifisso e S. Giuseppe nella chiesa di San Giuseppe in Cagli (PU)
Giuseppe Aguzzi
  La confraternita di San Giuseppe dei Falegnami di Todi e la chiesa di San Giuseppe
Filippo Orsini
  San Giuseppe in due dipinti astigiani di età moderna
Stefano Zecchino
  La confraternita di San Giuseppe a Borgomanero
Franca Minazzoli
  Il culto di San Giuseppe nella città di Napoli e un piccolo esempio di devozione: il quadro di Giovanni Sarnelli nell’Arciconfraternita di San Giuseppe dei Nudi
Ugo Di Furia
   Ite ad Joseph. San Giuseppe nella statuaria lignea tra Otto e Novecento: alcuni esempi
Francesco Di Palo
  L’oratorio di San Giuseppe di Isola Dovarese. Una pregevole testimonianza settecentesca
Sonia Tassini
Testimonianze giuseppine nella chiesa di San Vincenzo Martire in Nole (Torino)
Federico Valle
  L’oratorio di S. Giuseppe di Cortemaggiore (Piacenza)
Annarosa Dordoni
  San Giuseppe a Chiusa Sclafani (Palermo) tra arte e devozione
Maria Lucia Bondì
  San Giuseppe nell’arte. Sculture lignee di Francesco e Giuseppe Verzella tra Sette e Ottocento in ambito pugliese e campano
Antonio Faita
  Memento mori: il Transito di San Giuseppe
Biagio Gamba
  Storia e tecnica delle immagini devozionali a stampa
Michele Fortunato Damato
  Dal XVI al XIX secolo, quattro secoli di pizzo su carta
Gianluca Lo Cicero
  Stampe popolari giuseppine nel museo di Pitrè di Palermo
Eliana Calandra
  Le confraternite di S. Giuseppe in Puglia tra storia e religiosità popolare
Vincenza Musardo Talò
  Le Regole della confraternita di San Giuseppe Patriarca di Nardò, un esempio «moderno» del fenomeno confraternale
Marco Carratta
  Arte e devozione ad Altamura. La cappella di San Giuseppe in cattedrale
Ruggiero Doronzo
  Alcuni esempi di iconografia giuseppina a Taranto
Nicola Fasano
  In margine all’iconografia di San Giuseppe: il ciclo pittorico di Girolamo Cenatempo nella cappella del Transito di San Giuseppe a Barletta
Ruggiero Doronzo
   Sponsus et custos. Iconografia, culto e devozione per San Giuseppe nell’arco jonico occidentale. Exempla selecta
Domenico L. Giacovell
  La raffigurazione di San Giuseppe negli argenti pugliesi
Giovanni Boraccesi
  Esempi di iconografia giuseppina tra Puglia e Campania. Proposte per Gian Domenico Catalano, Giovan Bernardo Azzolino, Giovanni Antonio D’Amato, Giovan Vincenzo Forlì
Marino Caringella
  Postille iconografiche su Cesare Fracanzano. Alcuni esempi della devozione giuseppina
Ruggiero Doronzo
  I Teatini e il culto di san Giuseppe a Bitonto
Ruggiero Doronzo
  Esempi di antiche pitture parietali giuseppine nel leccese
Stefano Cortese
  La figura di san Giuseppe nella pittura post tridentina in diocesi di Lecce
Valentina Antonucci
  San Giuseppe nella pittura d’età moderna nelle diocesi di Otranto e Ugento
Stefano Tanisi
  Da comparsa a protagonista. Giuseppe in alcune opere pittoriche e in cartapesta della diocesi di Nardò-Gallipoli
Nicola Cleopazzo
  La devozione a san Giuseppe in Parabita (Lecce). Il culto e le raffigurazioni del santo
Giuseppe Fai
  Integrazioni documentarie e nuove fonti archivistiche per la storia della chiesa e della confraternita di San Giuseppe a Nardò
Marcello Gaballo
  Esemplificazioni iconografiche giuseppine a Galatone (Lecce)
Antonio Solmona
  L’altare maggiore della chiesa di San Giuseppe a Nardò
Stefania Colafranceschi
  Vedute di Nardò nella tela dell’altare maggiore in San Giuseppe a Nardò
Marcello Gaballo
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