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#vittor sinistra
burntpink · 8 months
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Aquarela usando Vittor Sinistra, fotografada por Menê
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arlindogrund · 2 years
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51ª Casa de Criadores :: O autoral monstruoso de Vittor Sinistra
51ª Casa de Criadores :: O autoral monstruoso de Vittor Sinistra
Por Arlindo Grund e Lari Mariano. Com “Cidade Monstra”, Vittor Sinistra abriu os desfiles presenciais do quinto dia de Casa de Criadores. No conceito do desfile, uma tradução do que tem sido, para o estilista, a vivência em São Paulo. As propostas foram além de uma maquiagem de caracterização. Ganharam desde moletons mais amplos com aplicações até uma paleta que trabalhou bastante pretos e…
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casadecriadores · 2 years
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Projeto Lab: Vittor Sinistra, Alexei e Da Silva Santos Neto
Projeto Lab traz para a 50ª Casa de Criadores três novos nomes como aposta. Vittor Sinistra, que apresentou seu fashion film e dois desfiles presenciais, Alexei e Da Silva Santos Neto.
Confira as fotos de Marcelo Soubhia / @agfotosite.
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Vittor Sinistra
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Alexei
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Da Silva Santos Neto
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corallorosso · 3 years
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L'Olocausto dei bambini ad Auschwitz Nel lager di Auschwitz furono circa 230mila i bambini e gli adolescenti che furono prigioneri, il numero più numeroso gli ebrei, ma anche rom, polacchi e slavi. Quasi tutti furono uccisi nelle camere a gas, altri perirono di stenti o di malattie. Il 27 gennaio 1945 giorno della Liberazione del lager si contarono solo 700 bambini e adolescenti, di cui 200 erano i superstiti dei bambini selezionati da Josef Mengele per i suoi esperimenti medici. I bambini ebrei e rom furono condotti ad Auschwitz essenzialmente a morire, 216mila piccoli ebrei finirono nelle camere a gas, 67mila adolescenti superarono la selezione e furono assegnati al lavoro coatto, lavoro durissimo, molti non riuscirono a superare le fatiche e perirono. I bambini rom: 11mila furono inizialmente assegnati al campo per le famiglie rom, poi il famigerato Josef Mengele fece costruire per questi bambini un Kindergarden, ma solo per facilitare i suoi esperimenti, le condizioni igeniche erano terribili. Moltissimi furono i bambini morti o per malattia o soppressi con iniezioni di fenolo da Mengele, il boia non forniva ai bambini nessuna cura medica e si limitava a studiare i progressi delle loro malattie per le sue ricerche. Liliana Segre Fu una delle adolescenti sopravvissute, numero di matricola 75190. Durante la sua prigionia ad Auschwitz, fu messa per circa un anno ai lavori forzati presso la fabbrica di munizioni Union, che apparteneva alla Siemens, subì altre tre selezioni. Gennaio 1945 dopo l'evacuazione del campo, affrontò la marcia della morte verso la Germania. 1 Maggio Venne liberata dal campo di Malchow, dall'Armata Rossa. Dai 776 Bambini italiani deportati ad Auschwitz furono solo 25 i sopravvissuti fra questi Liliana Segre testimone della Shoah. "Ammanettarono mio padre, lui che era stato ufficiale della prima guerra mondiale che era orgoglioso di essere italiano, che era laureato alla Bocconi e aveva un bel lavoro ed era un galantuomo. Ricordo che le sue belle mani e i suoi bei polsi avevano le manette, non riusciva a parlare e aveva gli occhi rossi. Ci condussero al carcere di Varese prima e a quello di Como e in testa avevo sempre le stesse domande, ossia non riuscivo a capire cosa avessimo fatto per essere perseguitati. Poi ci spostarono a San Vittore, che fu l’ultimo ambiente che dividemmo. Era terribile e spesso piangeva scusandosi con me per avermi messa al mondo, nonostante tutto però eravamo ancora insieme. A calci e pugni ci fecero salire su vagoni bestiame. Fu il primo passo verso Auschwitz – Birkenau. (..) Uomini a destra e donne a sinistra. E poi non lo vidi più. Anche se vivessi altri cento anni quel momento resterebbe indelebile perché fa parte di me. Come papà." Liliana Segre al ritorno di Auschwitz, visse prima con gli zii e poi con i nonni materni, di origine marchigiana, gli unici superstiti della sua famiglia. Liliana: " Era molto difficile per i miei parenti convivere con un animale ferito come ero io: una ragazzina reduce dall'inferno, dalla quale si pretendeva docilità e rassegnazione. Imparai ben presto a tenere per me i miei ricordi tragici e la mia profonda tristezza. Nessuno mi capiva, ero io che dovevo adeguarmi ad un mondo che voleva dimenticare gli eventi dolorosi appena passati, che voleva ricominciare, avido di divertimento e spensieratezza " Oggi come ieri Che cosa si dirà dei lager in Libia, dei campi profughi in Croazia, dei migranti torturati, uccisi, dei bambini nati dagli stupri in questi lager, grazie ad un'Europa sorda ed egoista come durante il nazifascismo. Santina Sconza
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floweredalmond · 3 years
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Ritratto di gentiluomo dell'ordine costantiniano, Vittore Ghislandi, detto Fra Galgario, 1740, olio su tela. 
Il nobile ha il corpo di rivolto verso destra e il volto leggermente frontale con lo sguardo diretto verso l’osservatore. Il protagonista ha un’espressione sicura di sé, molto determinata, quasi incurante. È vestito con abiti molto eleganti dal che si desume sia una persona molto abbiente. La sua mano sinistra è parzialmente infilata all’interno dell’abbottonatura del panciotto riccamente decorato. Le maniche, l’apertura della giacca del panciotto e il bordo del Tricorno che indossa sono decorati con un pizzo elaborato e argentato. Il gentiluomo porta sul petto uno stemma decorato in oro dell’ordine di cavaliere. Si tratta, infatti di una croce rossa con quattro gigli, il Sacro Ordine Costantiniano di San Giorgio. Intorno al collo, sul colletto bianco, porta un papillon nero, molto di modo al suo tempo. La capigliatura è quella tipica dei gentiluomini settecenteschi. La grande parrucca grigia è fissata al collo per mezzo di un nastro nero. Al polso sinistro porta un bastone da passeggio trattenuto da una corda.
Il dipinto si trova nel Museo Poldi Pezzoli (Milano).
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biancaascerra · 4 years
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La Porta del Paradiso
è la porta est del Battistero di Firenze, quella principale situata davanti al Duomo di Santa Maria del Fiore. Realizzata dall'orefice e scultore Lorenzo Ghiberti tra il 1425 e il 1452 (con un'importante collaborazione del figlio Vittore) rappresenta il suo capolavoro. Completamente dorata, fu soprannominata del Paradiso da Michelangelo Buonarroti. Danneggiati durante l'alluvione di Firenze, i pannelli originali, dopo essere stati sottoposti a restauro, sono conservati nel vicino Museo dell'Opera del Duomo.
Dieci grandi riquadri sostituiscono le 28 formelle tipiche delle altre porte dell’edificio, mentre gli episodi dell’Antico Testamento vengono sviluppati con una tecnica che va dal rilievo dall’alto al basso, fino allo schiacciato.
Le figure e gli oggetti diminuiscono progressivamente creando un effetto prospettico, senza trascurare la raffinatezza dei dettagli.
Ognuno dei grandi pannelli quadrati raggruppa due o più storie, secondo una concezione di rappresentazione simultanea, molto utilizzata nel Duecento e Trecento.
Grazie a questo espediente le scene rappresentate sono più di 50 e sono da leggersi partendo dall’alto, da sinistra verso destra.
Dopo le prime tre formelle, incentrate sul tema del peccato, dalla quarta si inizia ad evidenziare in maniera più esplicita il ruolo salvifico di Dio e la prefigurazione della venuta di Cristo. La storia di Giuseppe venduto dai fratelli, e poi misericordioso verso di essi, sembra una discreta ma evidente proiezione della storia di Cosimo de’ Medici, prima cacciato e poi riaccolto dalla città.
Le successive tre scene ribadiscono come la salvezza umana dipenda dall’intervento divino, mentre la decima ha una doppia valenza, sia come matrimonio ideale tra Cristo e la sua Chiesa, sia come celebrazione del successo politico dei Medici nel riunire la Chiesa d’Occidente e quella d’Oriente durante il Concilio di Firenze.
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giancarlonicoli · 4 years
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25 nov 2020 19:15
TERRORISMO E MEMORIA DI PIOMBO – FERMA E GARBATA REPLICA ALL’AMICO MUGHINI – GALLI DELLA LOGGIA E PIGI BATTISTA HANNO PUNTATO IL DITO CONTRO I “BANDITORI DI VIOLENZA” CHE HANNO FATTO IMPUNEMENTE CARRIERA SENZA FARNE I NOMI, RIMUOVENDO LA GOGNA MEDIATICA DI TANGENTOLI ALLESTITA DA MIELI IN VIA SOLFERINO. SOLTANTO PER VENDERE QUALCHE COPIA IN PIÙ DEL 'CORRIERE', COME SCRIVE MUGHINI? O MAGARI PAOLINO ERA IN PRIMA LINEA PER DIFENDERE I SUOI EDITORI, AGNELLI&ROMITI, DAL RISCHIO DI FINIRE NEL TRITACARNE DI TANGENTOPOLI?
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DAGONOTA
Riepilogo dei fatti. O, meglio, rinfreschiamo la memoria ai lettori di questo disgraziato sito sulle querelle esplosa tra Dagospia e lo scrittore Giampiero Mughini perché di damnatio memoriae si tra tratta. E non di altro. Né del “cretinismo di sinistra” né dei suoi “tradimenti”.
Sabato 21 novembre il Corriere della Sera ospitava una articolessa di Ernesto Galli della Loggia. Il titolo dell’editorialista era inequivocabile: “Terrorismo e anni di piombo, le ragioni di una rimozione”. Il testo di Galli della Loggia sui “banditori di violenza” che oggi, “indisturbati”, che occupano posti rilievo nella stampa era ripreso e pubblicato da Dagospia con ben altra titolazione.
Dato il riferimento al figlio del commissario Luigi Calabresi, l’ex direttore Mario  - assassinato secondo sentenze definitive dei tribunali da appartenenti a Lotta continua -, che si rifiutava (giustamente per Ernestino) di stringere la mano ad alcuni di loro, il Della Loggia veniva sollecitato a fare almeno i nomi di chi firmò l’appello dell’Espresso (giugno 1971) sul caso Pinelli e mettere in croce il commissario Calabresi.
Paolo Mieli, poi pentito (a parole), nell’ottobre dello stesso anno sottoscrisse anche la lettera di solidarietà pubblicata dal giornale Lotta continua in difesa dei suoi militanti e dei suoi direttori.
Contro il silenzio (passabile per omertà) dei chierici colpiti da improvviso Alzheimer (intellettuale), con una successiva Dagonota, veniva fatto proprio il motto del filosofo del Sessantotto, Theodor W. Adorno: “Di quello di cui non si può parlare bisogna parlare, per “non lasciar parlare i gestori della chiacchiera”.
E nel testo dagoniano era ampliato il campo della rimozione ai guasti di Tangentopoli (gogna mediatica), con riferimento a Paolino Mieli e Pierluigi Battista; ai silenzi sui danni provocati dai Poteri marci nell’ultimo trentennio denunciati da Flebuccio de Bortoli a babbo morto; alla storia alla Billionaire di “ribelli e padroni” del “comunista con Rolex”, Gad Lerner.
Contro “la bassa mistica del silenzio”, soltanto Giampiero Mughini con i suoi libri e le sue interviste (“Penso che un comando di Lotta continua abbia ucciso Calabresi…e Sofri non poteva non sapere dell’azione”) in passato si era ribellato al muro eretto dalla sua generazione sessantottina: dagli “Anni della peggio gioventù” a un “Disastro chiamato seconda Repubblica”. Ma nel tributargli questi titoli di merito evidentemente non ci siamo preservati dall’accusa di Giampiero di aver “sbagliato bersaglio”.
Primo bersaglio. Bontà sua, egli riconosce che Paolo Mieli ai tempi di Mani pulite “diede corda ai distruttori della prima Repubblica”, ma soltanto per vendere qualche copia in più del Corriere. Davvero? Anche se, dati alla mano il calo delle vendite dei quotidiani (tutti) ha inizio proprio nel 1992 ed è proseguito nel 2007 con il volume “La Casta” scritto da Rizzo e Stella.
O, magari, “il saturnino Mieli alla Luciano Moggi” (Mughini) era in prima linea per difendere i suoi editori-padroni, Agnelli&Romiti, dal rischio di finire nel tritacarne di Tangentopoli?
E in quale stanza del quotidiano di via Solferino è stato scritto il memoriale Papi, il manager dell’Impregilo rinchiuso da mesi a San Vittore che stava per crollare e consegnare ai magistrati i nomi dei vertici dei vertici Fiat che sapevano tutto delle mazzette nel campo delle costruzioni?
E sapremo un giorno da Paolino la verità sullo scoop dell’avviso di garanzia al premier Berlusconi costretto alle dimissioni? Quando usciranno dall’oltretomba le sue memorie? Oppure continuerà a cavalcare l’onda (nera) del revisionismo.
Cioè a parlare di antifascismo, degli anni di piombo e di Tangentopoli come, per dirla con Cesare Garboli, “polvere di forfora che si spazza via come dall’abito prima di uscire di casa” e andare in tv dalla Gruber prima di scegliersi gli altri convitati.
Punto secondo. Della Loggia e Pigi Battista non hanno nulla a che vedere con il “cretinismo di sinistra”. Nessuno l’ha mai sospettato o scritto. Tra l’altro, Ernestino ha dato alle stampe un onesto libro in cui si sofferma anche sul culto dell’ortodossia del terrorismo e dei successivi tradimenti.
Per fare una equazione azzardata (e cattivella) sull’affidabilità, Battista sta a Mieli come Dell’Utri a Berlusconi. Ma la sua sortita sulla morte del giornalismo a causa oggi del “colla in colla” delle carte della procura, ha dell’incredibile.
Perché dimenticare la gogna mediatica di Mani pulite di cui il Corrierone del superdirettore Mieli è stato il protagonista: 4525 mila persone arrestate (poi molte assolte), oltre 25 mila avvisi di garanza sbattuti in prima pagina, 11 mila politici coinvolti nelle inchieste per non dire dei suicidi di Moroni, Gardini, Cagliari…
Punto terzo. Dispiace che Mughini si “rattristi” per il presunto “accanimento” di Dagospia contro il suo amico Matteo Renzi (che ha straquerelato Roberto, reo di averlo definito “bullo”, con richieste milionarie di risarcimento) e l’esimio avvocato Alberto Bianchi.
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ilragazzodellemele · 4 years
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Basilica di Sant’Ambrogio:
Edificata tra il 379 e il 386 per volere dello stesso vescovo Ambrogio, che la dedicò ai santi martiri in essa sepolti (ovvero i santi martiri Satiro, Vittore, Nabore, Vitale, Felice, Valeria, Gervasio e Protasio). Il nome della chiesa divenne "Sant'Ambrogio" alla morte del vescovo fondatore. Importanti lavori di ampliamento furono voluti dal vescovo Angilberto II, mentre nel XII sec. fu costruito il tiburio. La basilica è preceduta da un grande quadriportico, all'interno del quale si ha una chiara visione sulla grande facciata a capanna ed i due campanili, detti "dei Monaci" e "dei Canonici”. L'interno è a pianta basilicale, con vasto matroneo sopra le navate laterali. Nel presbiterio, sotto il tiburio ottagonale, si trova il famoso Altare d'oro, del magister phaber Vuolvino, coperto dal ciborio del IX secolo. L'abside è su due livelli: in quello inferiore, più basso rispetto alla navata, c'è la cripta con i corpi dei Santi Ambrogio, Gervasio e Protasio e, nel livello superiore, ci sono gli stalli lignei del coro (XV sec.). Sulla sinistra del quadriportico, infine, si trova la cosiddetta colonna del diavolo, così chiamata poiché la leggenda narra che il demonio, durante una lotta con Sant'Ambrogio, vi conficcò le corna: ci sono infatti due buchi affiancati.
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burntpink · 11 months
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Aquarela usando Vittor Sinistra, fotografada por Menê
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arlindogrund · 2 years
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50ª Casa de Criadores :: O performático interior de Vittor Sinistra
50ª Casa de Criadores :: O performático interior de Vittor Sinistra
Por Arlindo Grund e Lari Mariano Num filme que mostra a moda como forma de expressividade, Vittor Sinistra fala de diálogos internos, de estar bem consigo e assumir identidades que nos pertencem. Os acontecimentos falam muito sobre se identificar. Sobre externar sentimentos, viver de forma justa consigo mesmo e se ouvir. É uma leitura diária, intensa e de âmago, que precisa ser entendida pela…
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paoloxl · 6 years
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Domenica 6 ottobre 1974.
Il telegiornale dà tra i suoi titoli di testa l'annuncio della devastazione da parte di un commando armato di un impianto industriale alla periferia di Milano.
Il servizio all'interno mostra ampie panoramiche di un incendio che ha distrutto un intero magazzino di apparecchiature elettroniche per la telefonia. La località è Fizzonasco, nel comune di Pieve Emanuele. Il magazzino viene indicato come il principale deposito per i prodotti finiti della Face Standard, industria di proprietà della Itt, la multinazionale americana delle comunicazioni.
Una decina di individui armati e mascherati, fatta irruzione nel recinto della fabbrica, dopo aver immobilizzato il guardiano, ha applicato il fuoco con taniche di liquido infiammabile alle merci pronte per la spedizione. L'azione è organizzata dalle prime realtà milanesi dell'Autonomia Operaia, che facevano riferimento alla rivista Rosso.
I danni vengono indicati in almeno cinque miliardi di lire. Il servizio si chiude indicando la probabile matrice politica dell'azione e citando genericamente un volantino di rivendicazione fatto pervenire al Corriere della Sera.
Più che l'azione in sé, preceduta da un lungo lavoro di informazione e di ricognizioni sul posto, viene soprattutto ricordata l'importanza che la cosa ebbe sul piano politico, stante anche la risonanza suscitata e il consenso ottenuto. Infatti a Milano, nessun attacco a un impianto industriale era stato compiuto sino ad allora su una simile scala. L'azione non aveva implicato danni alle persone; la distruzione del prodotto finito non comportava danni salariali per gli operai delle fabbrica.
Nel volantino di rivendicazione si diceva a chiare lettere che ''...noi vorremmo che la Itt nel suo bilancio registrasse che il suo deposito di Fizzonasco (Face Standard, Milano, Italia) è bruciato perchè i militanti italiani non hanno dimenticato i compagni trucidati in Cile da Pinochet, servo delle multinazionali... Il deposito di Fizzonasco è bruciato perchè anche noi comunisti dobbiamo sperimentare nuove tecnologie su sempre nuovi obiettivi...''; terminando con un solo slogan finale:
''Mai più senza fucile, dunque: senza tregua per il comunismo''.
La Face fu l'occasione concreta per l'apertura di una discussione sulle forme di lotta che coinvolse un numero incredibile di compagni e portò a una sorta di generale consenso politico sull'accaduto.
La stessa rivendicazione dell'azione fu a suo modo anch'essa un' ''azione esemplare'': per un'intera settimana, lo stesso volantino fatto pervenire alla stampa fu diffuso nelle fabbriche, nelle scuole, nei locali frequentati dai militanti della sinistra, nei cinema del centro e nei cineclub.
Tra l'altro, un tragico caso aveva voluto che il 4 ottobre fosse stato ucciso Manuel Rodriguez, il capo politico e militare del Mir cileno. La settimana di rivendicazione permise anche di dare il giusto risalto alla drammatica notizia.
http://www.infoaut.org/index.php/blog/storia-di-classe/item/5684-6-ottobre-1974-azione-alla-face-standard
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L'azione di Fizzonasco fu anche la causa ( o meglio l'occasione) di due incredibili persecuzioni giudiziarie.
La magistratura milanese che se ne occupò si fissò sin dall'inizio, e nonostante la diversa rivendicazione ( che peraltro raccontava particolari che solo gli autori materiali potevano conoscere e che quindi era certamente autentica), che quella doveva essere un azione dei Nap ( Nuclei Armati Proletari).
E questo nonostante pure il fatto che i Nap si occupavano di "carcerario", argomento che nulla aveva a che spartire con l'azione di Fizzonasco.
Per cui fu incriminato subito tale Claudio Carbone, un passato di mega-truffatore internazionale, poi politicizzatosi in carcere e passato per Lotta Continua e successivamente per i Nap. Carbone era allora ricercato per un azione esplosiva con tanto di messaggio diffuso con un altoparlante contro il carcere di San Vittore a Milano.
E con lui fu incriminata una cittadina svizzera, già piuttosto anziana e seriamente malata, Petra Krause, il cui numero di targa dell'auto era stato riferito da un testimone dell'azione di Fizzonasco ... niente a che vedere nè coi Nap nè col gruppo degli effettivi attentatori ... aveva semplicemente prestato la macchina, senza sapere che uso ne avrebbe fatto, al futuro "pentito" Carlo Fioroni, suo amico personale, e poi, una volta arrestata, si era però ben guardata, con ammirevole coerenza, dal coinvolgerlo negli interrogatori.
A breve anche Carbone fu arrestato e la vicenda di Fizzonasco fu inserita, senza alcun elemento serio in questo senso, nel maxi-processo ai Nap che poi si tenne a Napoli.
Col risultato che non solo Carbone sarà condannato, senza prova alcuna, per ben due gradi di giudizio per l'azione di Fizzonasco che non era opera dei Nap ... ma che anche la Krause, che dei Nap non era, fu condannata per gli stessi due gradi di giudizio non solo per l'azione specifica ma pure per appartenenza ai Nap.
Solo cinque anni dopo, nel 1979, quando Fioroni divenne "pentito" nel processo 7 Aprile intentato contro i vecchi vertici di Potere Operaio, si decise a scagionare sia la Krause che Carbone che poi finirono assolti, per la vicenda di Fizzonasco, solo in Cassazione.
Allora i processi si facevano così .... sulla base di un "teorema" iniziale e poi andando comunque avanti anche contro ogni evidenza ... e, se nei confronti della Krause, almeno un vago indizio ... la targa dell'auto ... c'era, anche se comunque il personaggio appariva, per mille motivi, del tutto alieno da suggestioni lottarmatiste o anche semplicemente militanti .... nel caso di Carbone era veramente solo una specie di "pregiudizio" originario di giudici e sbirraglia varia ....
E, con criteri simili, furono a volte comminati anche degli ergastoli ...
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floweredalmond · 3 years
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Pala Pesaro, Tiziano Vecellio, 1519-1526, olio su tela. L'opera venne commissionata nell'aprile 1519 da Jacopo Pesaro, vescovo di Pafo nell'isola di Cipro; era nata come ringraziamento per la vittoria nella battaglia di Santa Maura, riportata il 28 giugno 1502 all'interno della guerra turco-veneziana del 1499-1503, come ricordano i turchi prigionieri e il vessillo con le insegne dei Pesaro e dei Borgia, promotori, col defunto papa Alessandro VI, dell'iniziativa. Tiziano studiò un'originale composizione a sviluppo laterale della sacra conversazione, calibrata però per il punto di vista laterale, per la collocazione lungo la navata sinistra. Lo spazio della pala apre infatti una sorta di finestra illusoria, con il trono di Maria disposto su un ipotetico altare orientato nello stesso modo dell'altare maggiore. Il seggio di Maria col Bambino è infatti spostato verso destra, in posizione rialzata e sbieca, come chiarisce l'angolo dei gradini in basso. Attorno ad essa, sui gradini, si trovano i santi, Pietro (con le chiavi appoggiate ai piedi), Francesco d'Assisi (con le stigmate) e Antonio di Padova. Francesco e Antonio erano due importanti santi francescani, omonimi di due fratelli del committente, nonché promotori, soprattutto Antonio, del culto dell'Immacolata Concezione a cui l'altare era dedicato. Il Bambino, protetto dal velo della madre, è voltato verso Francesco e sembra osservarne le stigmate con interesse, come prefigurazione della Passione. Nella parte più bassa infine, sul pavimento a scacchi, si allineano inginocchiati i committenti. Si tratta di una presenza insolita per Venezia e l'area veneta in generale, che dovette apparire senz'altro innovativa e audace agli occhi degli osservatori dell'epoca. Per motivi politici si evitava infatti solitamente di farsi rappresentare. A sinistra Jacopo Pesaro, isolato, davanti a un armigero (forse san Giorgio) che impugna lo stendardo Pesaro-Borgia, decorato da un rametto d'alloro che indica la vittoria, e che tiene alla mano alcuni prigionieri ottomani, uno dei quali indossa un vistoso turbante bianco. A destra si trovano invece i fratelli di Jacopo: Francesco, Leonardo, Antonio, Fantino e Giovanni o Vittore. L'altare il luogo di sepoltura della famiglia, per cui la presenza di personaggi già defunti ne ricordava le fattezze, mentre per gli altri era una sorta di ritratto funebre prima del fatto. Il piccolo Leonardo, garante della linea maschile della casata, è girato verso l'osservatore per stabilire un contatto con il reale. In alto due angioletti, su una nuvoletta scura, giocano con la croce. Le due monumentali colonne, di sapore classico, che si perdono oltre il limite della cornice, non descrivono esattamente un edificio in prospettiva ma appaiono piuttosto collocate con libertà per evidenziare le figure di Maria e di Pietro. L'orchestrazione cromatica e luminosa è ricchissima. Il rosso squillante di alcune vesti e del vessillo non fa che riprendere i toni caldi dell'Assunta, a sua volta legati al colore dei mattoni che compongono le pareti. I colori sono luminosi, con una prevalenza di tinte pure rispetto ai mezzi toni sfumati, i panneggi cangianti, forti ed espressive le contrapposizioni tra chiari e scuri. L'animazione dinamica arriva a livelli fino ad allora sconosciuti, mentre lo spazio pittorico si dilata in tutte le direzioni, suggerendone la continuazione. La Pala è ammirabile nella basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari (Venezia).
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    Torre di Palme un piccolo borgo
ma famoso e ricercato fin dall’antichità
Torre di Palme il terrazzo sul mare
Nelle Marche tra Porto San Giorgio e Pedaso, nel Fermano, si trova un piccolo ma caratteristico borgo, arroccato su di un colle fronte mare, a guisa di terrazzo panoramico, piccolo ma già famoso fin dall’epoca di Plinio il Vecchio.
Torre di Palme segnato nelle antiche carte geografiche, come “Agro Palmense”, aveva il suo porto nella Palma romana, antica città picena, prima, romana poi, così chiamata quasi certamente per la presenza di palme.
Sorgeva sul versante di un colle a sud della foce del fiume Ete, ed era nota per il porto di importanza primaria, per il commercio nell’Adriatico, soprattutto come citato da Plinio il Vecchio, per il suo pregiato vino, noto come “Palmense”.
Torre di Palme, nata come torre di avvistamento, poi rimaneggiato a castello e munito di forte sistema difensivo, veniva utilizzato contro le invasioni barbariche e saracene, che distrussero Palma, facendo rifugiare la popolazione sulla sommità del colle e dando modo di costruire il borgo attorno alla torre.
L’antico borgo medievale e rinascimentale di Torre di Palme
Torre di Palme deve al movimento religioso agostiniano, che già dal secolo XI vide stabilirsi dei monaci eremitani, la costruzione di gran parte del nucleo più antico del borgo.
Gli abitanti orgogliosi della propria indipendenza, entrarono spesso in contrasto con il comune di Fermo, perdendo, poi, l’autonomia nel 1861 quando divenne frazione di Porto San Giorgio, per passare poi definitivamente, un secolo dopo, sotto l’amministrazione di Fermo.  
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  Torre di Palme
    Arrivando a Torre di Palme bisogna lasciare la macchina in uno dei parcheggi sotto il borgo antico, come si lascia la strada asfaltata per entrare nel centro storico, i vicoli e le strette stradine, sono lastricate con i cubetti di porfido, proprio a staccare il moderno, dal medievale e proprio da Piazzale della Rocca, già si vedono i primi palazzi e edifici di epoca medievale e rinascimentale.
L’unicità del borgo che, oltre ad ospitare gli edifici più significativi dell’antico abitato, consente di ammirare scorci senza confronto, in cui le strette vie, caratterizzate dalle facciate in cotto,con abbondanza di fioriture di gerani, inquadrano ampie vedute del mare e delle colline circostanti.
Una visita alla Chiesa di Sant’Agostino e al suo convento, costruita con uno splendido cotto rosso, al suo interno custodisce un polittico, una pala d’altare costituita da diversi pannelli, accreditata a Vittore Crivelli, impreziosita da una cornice in stile gotico, l’opera è composta da una fascia dipinta e divisa con nove formelle e tredici pannelli disposti lungo due ordini.
il Polittico del Crivelli nella Chiesa di Sant’Agostino di Torre di Palme
  Raffigura la Vergine in trono, con in grembo il Bambino Gesù benedicente, alla estrema destra della Vergine è raffigurato San Giovanni Battista, al suo fianco è ritratto san Pietro Apostolo con indosso gli abiti papali, mentre all’estrema destra dell’ordine inferiore, è rappresentato Sant’Agostino, abbigliato con i peculiari indumenti vescovili.
Proseguendo lungo il corso, si raggiunge la Chiesa di Santa Maria a Mare, costruita nel XII secolo, in blocchi squadrati di pietra e cotto, il campanile decorato con archetti intrecciati e bacini maiolicati, l’interno a tre navate con presbiterio sopraelevato e affreschi.
Sulla sinistra della chiesa, in un giardinetto, si trova una costruzione a balaustra intorno ad un pozzo, adibita un tempo a Battistero.
Il Boschetto di Cugnolo area attrezzata per la sosta
La Grotta degli Amanti
Di fronte alla chiesa sorge il romanico Oratorio di San Rocco del XII secolo, sul cui portale, cinquecentesco, fa mostra di sé, lo stemma di Torre di Palme.
Al termine del corso si apre il piazzale Belvedere, dal quale si ha una meravigliosa vista sulla costa e sul mare sottostante.
Tutta Torre di Palme è circondata da una fitta vegetazione, l’area floristica protetta, del Boschetto di Cugnolo, conserva tipiche specie della macchia mediterranea, ed è meta di escursionisti, anche grazie alla suggestiva Grotta degli Amanti, teatro del tragico amore di Antonio e Laurina, i due amanti che trovarono la morte gettandosi nel vuoto dal Fosso di San Filippo.
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  Torre di Palme terrazzo sul mare Torre di Palme un piccolo borgo ma famoso e ricercato fin dall’antichità Nelle Marche tra Porto San Giorgio e Pedaso, nel Fermano, si trova un piccolo ma caratteristico borgo, arroccato su di un colle fronte mare, a guisa di terrazzo panoramico, piccolo ma già famoso fin dall’epoca di Plinio il Vecchio.
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giancarlonicoli · 5 years
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27 GIU 2019 18:53
“GIOCHI” PERICOLOSI - TRAVAGLIO TORNA A SMONTARE LA RETORICA SULLE OLIMPIADI: “SALA DICE NIENTE PROCEDURE D'URGENZA. E CHI ADOTTÒ LE PROCEDURE D'URGENZA DA COMMISSARIO DI EXPO 2015, RIUSCENDO AD ASSEGNARE CENTINAIA DI APPALTI SENZA UN BANDO DI GARA? LUI. E NON BASTA: "PER LE OLIMPIADI NIENTE AMICI DEGLI AMICI". GIUSTO, ANCHE PERCHÉ I SUOI GLIELI HANNO ARRESTATI TUTTI''
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Marco Travaglio per il “Fatto quotidiano”
Ci sono momenti in cui, sopraffatti dalla commozione, si fatica a trattenere le lacrime. A me è accaduto ieri, leggendo il nuovo inno olimpico, purtroppo ancora senza accompagnamento musicale, scritto da un paroliere d' eccezione: Francesco Merlo. Meglio delle "notti magiche inseguendo un gol" di Bennato e Nannini.
Il Mogol di Repubblica ci ricorda che "le Olimpiadi, come i mondiali di calcio e gli Expo, sono opportunità di sviluppo offerte alle città che da sole non ce la fanno".
Infatti, per dire, Atene e Rio non ce la facevano proprio, da sole, a fallire: poi arrivarono le Olimpiadi e fallirono all' istante. Ma ecco i versi più lirici del Cantore Pentacerchiato: ah, quei "salti di gioia" di Carraro, Pescante, Montezemolo e Malagò che "esprimono il ritorno alla vita dell' Italia che crede nella grazia e nella sapienza edificatoria combinata con l'intelligenza urbana", "l'Italia degli architetti e degli ingegneri", ma anche dei fuochisti e macchinisti, frenatori e uomini di fatica! Ah la bella "edilizia verde, antisismica, sostenibile, energetica e a volume zero" (qualunque cosa voglia dire)!
E il tenero "abbraccio tra il sindaco Pd Beppe Sala, i governatori leghisti del veneto Luca Zaia e della Lombardia Attilio Fontana, e il tedoforo (sic, ndr) di un Coni tramortito e resuscitato, Giovanni Malagò"! "Ecco perché Sala, che di solito ride a labbra chiuse, si abbandona al riso liberatorio che sempre, diceva Umberto Eco, 'è il punto della ripartenza'.
È una risata 'sblocca-Italia', un abbraccio che taglia il nastro non solo alle Olimpiadi, ma all'alta velocità, ai tunnel, ai sottopassi, ai ponti, a strade e autostrade, aeroporti, gasdotti, inceneritori". Una leccornia via l'altra, da delibare a pieni polmoni e farci l'aerosol. Poi tutti in marcia con Greta per salvare l'ambiente.
L'Aedo del Laterizio ricorda un altro caldo abbraccio cementifero "tra Romano Prodi e Letizia Moratti quando a Milano fu assegnato l'Expo": già, perché "nell' euforia si abbraccia anche il nemico". E - tenetevi forte - "battono insieme i cuori che vanno in direzioni diverse". Anche quelli che si avviano verso San Vittore. Ma non sarà questo il caso perché - zufola garrulo il Merlo - "il Comune di Sala non ha subìto processi, non ha la cattiva fama della Regione, non ci sono scandali giudiziari".
C'è solo un processo al sindaco Sala per falso in atto pubblico sull'appalto più grande di Expo, ma che sarà mai. Infatti "Sala ha già ricordato che l'Expo ancora prima di cominciare fu sconvolto dagli scandali e dalle tangenti e che lui si trovò circondato da inquisiti, arrestati, condannati, gente con il quid di troppo del mascalzone, una imponderabile nuvola di corruzione".
Ecco: Sala era circondato di mascalzoni, e fra l'altro li aveva scelti tutti lui, ma come fargliene una colpa? Per il Vate del Bitume, quelle sono "nuvole imponderabili", come quella di Fantozzi, che ti si posa sul capo quando meno te l' aspetti, per pura sfiga. Un po' come quando ti capita di retrodatare le gare d'appalto a tua insaputa. Infatti ora Sala non sente ragioni e, pur ridendo sempre a labbra chiuse, apre un pertugio per annunciare: "Per le Olimpiadi niente procedure d'urgenza". E chi adottò le procedure d'urgenza da commissario di Expo 2015, riuscendo ad assegnare centinaia di appalti senza un bando di gara? Lui. E non basta: "Per le Olimpiadi niente amici degli amici". Giusto, anche perché i suoi glieli hanno arrestati tutti.
"Devono essere chiamati i più bravi, bisogna essere trasparenti nella selezione". Non è meraviglioso? Sala diffida chiunque a fare come fece Sala da capo dell' Expo e poi da sindaco di Milano. Il suo braccio destro Angelo Paris glielo arrestarono subito con tutta la cupola degli appalti Expo. Il suo subcommissario Antonio Acerbo, responsabile del Padiglione Italia e delle vie d' acqua, glielo ingabbiarono. Il facility manager di Palazzo Italia, Andrea Castellotti, glielo carcerarono. Antonio Rognoni, capo di Infrastrutture Lombarde, glielo ammanettarono.
Ma solo perché erano i più bravi, selezionati nella più assoluta trasparenza. Come pure Pietro Galli, promosso da Sala a direttore generale Vendite e marketing malgrado una condanna per bancarotta. "Il talento va premiato", diceva Totò. Infatti Sala passò da destra (era il braccio destro della Moratti) a sinistra (si fa per dire: il Pd di Renzi) e divenne sindaco di Milano per le sue doti da talent scout e il suo fiuto da rabdomante: sempre per evitare gli "amici degli amici" (orrore), nominò assessore al Bilancio e Demanio il suo socio in affari, Roberto Tasca; promosse segretario generale Antonella Petrocelli, imputata per turbativa d'asta, poi in cinque giorni fu costretto a furor di stampa a revocarla.
Ora, nell' ultima Tangentopoli lombarda che per Merlo riguarda la Regione ma non il Comune, per carità, sono indagati il dirigente comunale dell' Urbanistica Franco Zinna e la geometra Maria Rosaria Coccia, con l'accusa di far parte del sistema tangentizio di Daniele D'Alfonso, socio e prestanome del boss calabrese Giuseppe Molluso.
Ed è finito dentro Mauro De Cillis, capo operativo di Amsa, l'azienda comunale dei rifiuti, per aver truccato le gare d'appalto per lo sgombero della neve, la raccolta dei rifiuti pericolosi, perfino per la pulizia delle aree per cani e bambini, in combutta con un imprenditore vicino alle cosche. Ora, per le "Olimpiadi a costo zero", arriva una cascata di dobloni: 1 miliardo dal Cio, 211 milioni dalla Regione Lombardia, 130 milioni dalla Regione Veneto, 400 milioni dallo Stato, e siamo soltanto ai preventivi (Giorgetti l' aveva detto: "Chi vuol fare le Olimpiadi se le paga da solo"). Basta solo aspettare. Le forze dell' ordine preparano i Trojan, le Procure lustrano le manette. Intanto il maestro Merlo Scannagatti compone le musiche.
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enricocassi · 7 years
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L’escursione avrà come punto di partenza l’abitato di Priocca e precisamente il sito della neogotica parrocchiale di Santo Stefano.
Percorreremo le colline che hanno visto svillupparsi insediamenti abitativi che affondano le radici nel periodo del neolitico e dell’antica Roma.
Visiteremo il sito dell’antichissima pieve di San Vittore di impronta protoromanica: al suo interno, nel catino absidale della navatella di sinistra, si conserva un antico affresco tripartito raffigurante la madonna col bambino, fiancheggiata da San Vittore martire e da Santa Caterina di Alessandria.
Attraversando una verde vallata procederemo sulla collina che conduce al territorio di Magliano Alfieri caratterizzato dalla presenza di numerosi frutteti e noccioleti e raggiungeremo il sito dell’antico mulino secentesco inserito in passato nelle proprietà dei conti Alfieri di Magliano.
Per la pausa pranzo raggiungeremo l’abitato di Govone dominato dal castello barocco con il suo bellissimo parco.
Il castello di Govone è patrimonio Unesco, famoso per i suoi ambienti interni e il parco settecentesco, fortezza in epoca medievale fu ricostruito nelle attuali forme barocche dai conti Solaro.
Nel parco del castello ci attende Il magico paese di Babbo Natale.
Tra il Viale ed il Castello si potranno trovare chalet di street food selezionati che utilizzano ingredienti locali e materie prime premiate, troveremo cibi di strada che raccontano la storia di questo territorio.
Farina di Ceci per la farinata Tantì, gli hamburger di allevatori di razza Piemontese, i plin e i tajarin di cucina delle Langhe con sughi fatti al momento tipici e profumatissimi, offerte anche vegetariane e tantissimi i dolci tipici che si potranno trovare nelle casette.
Inoltre, potremo gustare la ricetta tradizionale storica della cioccolata calda di Baratti&Milano, la piccola pasticceria sabauda e molto altro ancora.
Per concludere l’anello percorreremo la dolce valletta dove si trova il ponte del Re, un tragitto utilizzato dai reali e dalla corte sabauda per raggiungere, partendo dalla residenza reale di Torino, il castello di Govone: una lunga sfilata di eleganti carrozze attraversava il territorio.
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paoloxl · 7 years
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Pasquale Valitutti, Lello, è un testimone “fantasma”, lo è da 48 anni. Lello è l’unico testimone non appartenente all’Ufficio Politico, non appartenente a nessuna forza di polizia, presente nel piano della Questura milanese da cui venne “suicidato” Pino Pinelli.  Da 48 anni Lello continua a ribadire con fermezza la sua verità perché “la verità non ha una sua variabilità”. Prima del 15 dicembre 1969, non conoscevamo Pinelli. Poi diventò uno di noi, per noi diventò la “Vittima” di quella “strategia della tensione” che fu agita dalle classi dominanti contro le nostre lotte e le nostre speranze. Riportiamo una parte di una conversazione che abbiamo avuto con Lello, in cui ribadisce la sua memoria dei quella notte del 15 dicembre nella Questura di Milano. Lello non ha mai subito alcuna denuncia per “falsa testimonianza”. E’ noto che hai già testimoniato e ricordato più volte i fatti che ti hanno visto testimone direttamente interessato e coinvolto in quei giorni della strage del 12 dicembre 1969. Sono eventi che dovrebbero essere molto conosciuti, fatti di grande importanza per la nostra storia, che oggi sono stati stravolti, ridimensionati, archiviati come parte della “pazzia” degli anni 60 e 70. Tu sei un testimone per certi aspetti unico di quelle giornate; puoi quindi contribuire a restituire una memoria viva che oggi appare lontana nel tempo soprattutto per i giovani. Iniziamo chiedendoti qual era il clima che si respirava fra gli anarchici all’indomani delle bombe di piazza Fontana. Tu quali ambienti politici frequentavi? Non è una storia semplice, io posso spiegarmi o non spiegarmi, però uno deve entrare in una situazione molto articolata. Sei obbligato ad immergerti in una atmosfera molto complessa. Vedo, dalle domande che mi vengono fatte, anche da compagni che hanno la mia età, che certe cose non sono chiare nemmeno a loro. Non devi meravigliarti che i giovani non capiscano o non sappiano; è una storia complicata che richiede anche una fatica mentale. Frequentavo poco il Ponte della Ghisolfa, di più lo Scaldasole. Quando mi chiedi qual era l’atmosfera bisogna sempre tener presente che la mia è una risposta soggettiva, non oggettiva. Altre persone, in altre situazioni, potrebbero dare risposte diverse. Posso semplicemente dire qual era la situazione per come la vivevamo noi che eravamo un gruppo di anarchici giovani, abbastanza nuovi, slegati dalle strutture tradizionali dell’organizzazione anarchica. Questo va chiarito. Nel 1968 era finita in un certo modo l’euforia del 68 e il movimento della sinistra si stava strutturando in una forma che a noi anarchici non è che piacesse tantissimo. Nasceva il Movimento studentesco con i suoi katanga, le strutture autoritarie contrarie alle nostre convinzioni. Il movimento anarchico era stata tirato dentro come responsabile di episodi particolarmente importanti come le bombe alla Fiera di Milano, le bombe sui treni del mese di agosto e di altri fatti minori. Indagavano sugli anarchici e quando la polizia inizia ad indagare non è che sei sereno, sai che non c’entri niente, però non puoi stare tranquillo. Cosa succede in quel periodo a Milano? Era arrivato da poco Calabresi, un anno o due, non ricordo con precisione, ma Calabresi, ben prima di piazza Fontana incomincia subito ad indagare sugli anarchici. Ne vengono arrestati parecchi per le bombe alla Fiera che poi saranno tutti prosciolti. Calabresi tenta di coinvolgere Valpreda e anche Pinelli perché era ferroviere. Anche per le bombe sui treni risulterà che le hanno messe i fascisti e che i compagni non c’entravano nulla. Pietro Valpreda decise allora di lasciare Milano per stabilirsi a Roma perché non ne poteva più di quella situazione; anche Pino era abbastanza seccato di quella situazione. Tutto sommato devo dire che questo clima non ci aveva tolto la gioia di vivere, non ci aveva tolto la gioia di fare attività politica e soprattutto non ci aveva tolto la gioia di sperare che un cambiamento sarebbe stato possibile. Il clima continuava ad essere abbastanza ottimistico, c’era quella situazione per cui si aveva voglia di andare avanti. Noi si continuava a fare battaglie sulle carceri, sugli sfratti, a fare campagne perché i compagni incarcerati potessero avere un processo veloce. Erano lotte che si facevano con serenità, con tranquillità, non c’era ancora quell’aria pesante che ci sarà dopo. Questo è quello che posso raccontare, è la mia percezione soggettiva. Quando ci sono dati oggettivi lo rimarco, lo dico. Dove ti trovavi il giorno della strage di Piazza Fontana? Quel giorno mi trovavo a Senigallia nella casa dei miei, quindi vengo a sapere di Piazza Fontana quando non ero a Milano. Resto sconvolto dalla notizia di quello che era successo, ma non c’era neanche lontanamente l’idea della possibilità che si potessero coinvolgere gli anarchici. Era una cosa fuori dalla nostra immaginazione, fuori dalla nostra portata mentale. Poi mia madre si mette in contatto telefonico con me e mi dice: “guarda, è venuta a casa la Questura e ha preso tua sorella”. Mia sorella, poveretta, non si è mai interessata di politica: l’hanno letteralmente sequestrata. Arrivo a Milano il 13 mattina e vado in Questura dove rilasciano mia sorella. La Questura era strapiena di gente, sembrava una fiera; hanno fatto una retata prendendo tutti gli anarchici che conoscevano. In seguito siamo venuti a sapere, è un fatto storico verificato non una supposizione nostra, che da Roma era arrivato un telegramma che in pratica diceva: “investigate sugli anarchici”. Questo in sostanza voleva dire mettere le indagini nelle mani di Calabresi. Nell’Ufficio Politico della Questura (allora si chiamava così) c’era una separazione degli incarichi, c’era chi si occupava dei fascisti, chi aveva altri incarichi specifici. Degli anarchici se ne interessava Calabresi che iniziò le indagini facendo fermare tutti gli anarchici conosciuti. Quindi in Questura c’era un sacco di gente; passa il 13, passa il 14, di mano in mano le persone venivano rilasciate e mandate a casa. Nei giorni di sabato, domenica e lunedì sei sempre rimasto nella Questura; non sei mai stato interrogato? Ogni tanto uno veniva preso e portato in una stanza e interrogato. Io non sono mai stato sottoposto a nessun tipo di interrogatorio, non ho mai dovuto firmare alcun verbale. Mi hanno fatto qualche domanda generica, oppure qualche battuta del tipo: “ah, come mai non eri a Milano? ah si, eri al mare…”, battute di questo tipo, nulla di specifico, nessuna contestazione specifica, mi spiego no? Quindi arriviamo al tardo pomeriggio del 15 dicembre, in quanti siete rimasti nello stanzone? Cosa successe nelle ultime ore della giornata? Nel pomeriggio inoltrato di quel lunedì rimaniamo solo io e Pino. La stanza si era svuotata completamente, gli altri erano stati rilasciati, qualcuno portato a S. Vittore: gli si faceva passare una nottata in carcere. A questo punto i nostri due fermi erano del tutto illegali perché dopo 48 ore la Questura avrebbe dovuto avvertire l’autorità giudiziaria, la quale doveva convalidare il fermo o rilasciare il fermato. Pino era in Questura dal 12 pomeriggio, io dal 13 mattino, entrambi eravamo abbondantemente oltre le 48 ore di fermo. Nessun magistrato era stato informato della nostra condizione. Eravamo quindi trattenuti in Questura in modo illegale. Questo deve essere molto chiaro. Nel tempo che sei rimasto solo con Pinelli, vi siete parlati? Avete scambiato qualche battuta? Si cercava di capire perché eravamo trattenuti. Io ero un ragazzo, ero sorpreso, un po’ inquieto, dicevo al Pino: “perché ci tengono ancora qui?”, lui mi tranquillizzava: “dai Lello non ti preoccupare, ci sentono e ci lasciano andare a casa”. Ricordo che lui era sereno, molto tranquillo; aveva più esperienza e quindi era molto sereno. Arriviamo a quando vengono a prendere Pinelli. Viene portato in una stanza per gli interrogatori. Ad un certo punto… ecco bisogna entrare in quell’ atmosfera per poter capire. A quell’ora lavorava solo l’Ufficio Politico della Questura intorno ai fatti di Piazza Fontana. C’era un silenzio terribile, ero solo in quello stanzone dove c’era una di quelle macchinette per il caffè. Ero seduto e di fronte a me c’era un’ apertura grande come 4-5 porte, molto grande. Un’apertura che dava sul corridoio, non arrivava fino al pavimento, ma non era nemmeno troppo alta. Dalla mia posizione potevo vedere bene il corridoio. Prima di mezzanotte, penso un quarto d’ora, venti minuti prima, così all’improvviso, iniziano ad arrivare dei rumori che provenivano dalla stanza degli interrogatori. Sentivo dei rumori che posso descrivere come un trambusto, delle voci con toni alti, un parlare concitato. Fino ad allora non avevo sentito assolutamente nulla, erano diverse ore che Pino era li dentro. All’improvviso sento questi rumori e mi allarmo. Allora cosa succede? Dopo un quarto d’ora, 20 minuti, sento un rumore che rompe il silenzio della notte, un tonfo in quel silenzio assoluto. Dopo pochissimo tempo sento spostarsi della gente nel corridoio, vengono da me: “cos’è successo?”, mi dicono: “si è buttato”. Arriva poi Calabresi che mi dice: “stavamo parlando tranquillamente, non capisco perché si sia suicidato”. Non gli ho chiesto se era nella stanza; mi ha detto: “stavamo parlando tranquillamente…” era evidente, per come l’ha detto, che lui era nella stanza. Non me l’ha detto esplicitamente, ma era assolutamente evidente che era nella stanza dove c’era Pinelli. Vengo preso e portato a San Vittore, vengo lasciato li tutta la notte e alla mattina rilasciato. Dopo mi avvicina un avvocato che mi chiede: “Lello, ma hai visto qualcuno passare nel corridoio nei momenti precedenti l’assassinio di Pinelli? ( dico sempre ‘assassinio’ perché per me così è stato). Io dico: “no, non è passato nessuno; ho sentito dei rumori prima, 15-20 minuti pima, ma dopo non è passato assolutamente nessuno”, “ma Lello, non ti sarai distratto?”, dico “no, ero li di fronte alla porta, aspettavo di capire cosa era successo nella stanza degli interrogatori”. Ma quello, l’avvocato, insiste, tant’è che gli dico: “eh cavolo, te l’ho già detto, perché insisti così?” Allora, quando mi venne chiesto la prima volta se avevo visto passare qualcuno nel corridoio, io non sapevo ancora quello che aveva detto il commissario Calabresi, non lo sapevo proprio. In quel momento la mia testimonianza, in sé stessa, non voleva dire niente. Quando diventa importante? Quando smentisce quello che Calabresi aveva affermato. Infatti Calabresi aveva detto: “non ero nella stanza dove è morto Pinelli, sono uscito pochi istanti prima per andare nell’ufficio di Allegra”. L’ufficio di Allegra era di fronte all’apertura nella parete che ho descritto prima. Quando vengo a sapere cosa sostiene Calabresi capisco che ha mentito. Non è uscito nei momenti che precedono la morte di Pinelli, nell’ufficio di Allegra non c’è sicuramente andato. Lui si costruisce questa scappatoia; mi spiego no? “Ma come fai a essere così sicuro che non è passato?”, “ma guarda, ero attento, era buio, era tutto silenzioso, era impossibile non sentire rumore di passi nel corridoio. Poi il fatto che lui mi dica: “stavamo parlando tranquillamente…” Questa testimonianza l’ho fatta al primo magistrato che mi ha interrogato, che mi sembra fosse Caizzi, a lui ho detto queste cose. Sono andato avanti 45 anni a dirle, sono sicuramente monotono e ripetitivo, però la verità non ha il dono della variabilità. Non può essere variata, modificata, è la verità. Poi hai sentito il trambusto e sei diventato più vigile e attento, difficile pensare che in una situazione del genere potessi essere distratto… E’ assolutamente impossibile, ero assolutamente sveglio e molto attento a quello che stava succedendo. La cosa divertente, e anche documentata da un rapporto scritto, è che lo stesso Allegra, il capo dell’Ufficio politico della Questura, ha detto, in un primo momento, che Calabresi, quando è caduto Pino, era nella stanza e lo stava interrogando. Lo stesso Allegra, interrogato in seguito, dirà: “mah, posso anche essermi sbagliato”. Allucinante, no?  Poi, andiamo a quello che succede dopo. Viene convocata nella notte stessa una conferenza stampa con Guida, il questore di Milano, con Allegra che era il capo dell’Ufficio Politico e Calabresi. Su questo si possono anche andare a vedere i giornali dell’epoca. Questi tre sostengono all’unisono che Pinelli si è suicidato perché era il complice di Valpreda che è quello che ha messo le bombe e si è buttato gridando: “l’anarchia è finita”. Calabresi la racconta sempre in prima persona, eh! Non dice “non ero nella stanza”. Non dice: “mi hanno detto i miei… io non ero nella stanza”. Passa poco tempo, un paio di settimane e si rimangiano tutto: “non è vero che Pinelli è colpevole”. Di questa storia hanno detto tutto e il contrario di tutto; perché tutte quelle versioni? Tutte quelle menzogne? Delle cose successe quella notte si sono sentite veramente delle cose caricaturali. Pensiamo solo al processo Calabresi-Lotta continua: ad un certo punto Panessa, che era un brigadiere presente nella stanza dell’interrogatorio, dice: “io ho cercato di fermare Pinelli e mi è rimasta una scarpa in mano”. Al che lo stesso Presidente lo riprende: “guardi brigadiere che Pinelli è stato trovato nel cortile con tutte e due le scarpe”. Tutti quelli che erano nella stanza dell’interrogatorio di Pino si sono dimostrati assolutamente incapaci di raccontare bene delle balle, assolutamente incapaci. Nei processi che ci sono stati su Piazza Fontana e sull’assassinio di Pinelli, sei stato chiamato a testimoniare? Sono stato interrogato da Caizzi che aveva aperto un’inchiesta sommaria che è stata subito chiusa, come sappiamo. Poi sono andato a testimoniare al processo Calabresi-Lotta Continua. Ho detto esattamente le cose che ti sto dicendo, guardando Calabresi in faccia. Lui era difeso da un avvocato allora molto conosciuto, mi pare si chiamasse Lener o qualcosa del genere, Insomma, l’avvocato di Calabresi non mi ha interrogato, questo significa una sola cosa: ha ritenuto che fossi un testo inattaccabile. Poi ci fu la denuncia di Licia, la moglie di Pino, a seguito della quale è stata aperta un’indagine che venne affidata a Gerardo D’Ambrosio. Guarda caso si è dimenticato di interrogarmi; ha interrogato i poliziotti presenti nella stanza dell’interrogatorio, i quali erano tutti potenzialmente imputabili, quindi sappiamo bene cosa potevano dire, sempre tra molte contraddizioni. Eri l’unica persona presente in quel piano della Questura che non appartenesse in qualche modo alla polizia e hai sempre sostenuto le cose che stai dicendo. La tua testimonianza è fondamentale e capiamo bene perché sia stata sempre rimossa. Ti chiediamo un’ultima cosa sulla figura del commissario Calabresi. Negli ultimi anni è stato costruito su di lui l’immagine del poliziotto buono, dell’eroe positivo che lavora per il rispetto della legalità. In quegli anni tu eri a Milano, che ricordo hai di Calabresi? Calabresi ha accusato gli anarchici per le bombe alla Fiera di Milano e sono stati i fascisti, ha accusato gli anarchici per le bombe sui treni e sono stati i fascisti, ha accusato gli anarchici per Piazza Fontana e sono stati i fascisti. Volendo vederlo come investigatore è stato un fallimento completo. Tutto l’operato di Calabresi, dal primo all’ultimo giorno che è stato a Milano, denota un accanimento contro gli anarchici, già prima di Piazza Fontana. Potrei raccontare parecchie cose sul modo di fare l’investigatore; lui cercava di sconvolgere le persone che indagava. Prendeva informazioni sulla vita privata delle persone, su fatti strettamente personali che nulla avevano a che vedere con le inchieste, per usarli per destabilizzare l’indagato. Una tattica che usava l’Ovra, la polizia fascista, dei buoni maestri! Non era per nulla un poliziotto democratico, era un poliziotto più astuto degli altri da cui magari potevi prendere quattro schiaffoni. La strage di Piazza Fontana è stata una Strage di Stato contro le nostre lotte, per costringere sulla difensiva un movimento che era all’offensiva, per avviare, sull’onda dell’emozione per i fatti di Piazza fontana, una svolta di regime di tipo autoritario. L’operazione non è riuscita per l’enorme risposta che siamo riusciti a dare a tutti i livelli. Pino Pinelli, in quei tre giorni di fermo illegale aveva, con ogni probabilità, inteso il senso reale delle bombe del 12 dicembre, per questo non poteva uscire vivo dalla questura di Milano. da Lotta Continua
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