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the-over-ground · 7 years
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the Singer is Dead - \\\ ALBUM
Si conclude l’estate, svanisce lasciandoci i vetri appannati di ottobre. Si fiuta l’umidità, la nostra indolenza si addensa insieme ad un brivido nervoso, un senso di malinconia, ma l'inizio di nuovi capitoli.
Uno di questi è " \\\ " (da leggersi come “due”), primo full-length della band milanese the Singer is Dead. Eco, riflesso e conflitto sono gli aggettivi che meglio definiscono quest'album. Una stasi momentanea di più forze in constante ricerca di equilibrio.
In superficie l'album è intriso di two hands tapping, batteria impaziente, cambiamenti temporali disorientanti, metrica dispari e moduli bruschi. La chitarra riverberata galleggia sopra il contesto fragile che, mentre la canzone progredisce lentamente, sviluppa un'atmosfera di presentimento. Fino a quando la canzone si avvicina al suo climax e la traccia viene inondata da una viva sezione ritmica. Con un buon comando di tensione, batteria e basso marciano insieme, diventando un blocco costante nonchè elemento più coesivo.
La produzione complementata da sinth a volte è un po' troppo sottile e permette al basso di perdersi nel mix, ma gli effetti generali che permeano l'album mescolano gli strumenti e contribuiscono a perfezionare una risposta emotiva ed un umore spazioso e meno frenetico.
Con " \\\ " i the Singer is Dead stabiliscono la loro presenza non solo nel genere post/math-rock, ma come identità nella musica nel suo complesso. Il semplice numero, da titolo viene elevato a principio, via via che é esteso dall'ordine aritmetico a quello musicale. Essendo un principio duale si delinea dal contrasto, dalla polarità, ma anche da un forte tentativo di conciliazione.
\\ by the Singer is Dead
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the-over-ground · 7 years
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ALTER // PENDULUM ALBUM
Spesso ci identifichiamo come un sistema fisico costituito da filo insostenibile, da una sfera mobile all'estremità e, nonostante le nostre piccole e fragili oscillazioni, ci muoviamo con isocrona imponenza. Nell'incanto dei nostri placidi respiri – irrazionalmente alle menti sublunari, leghiamo tutti i frammenti possibili – così che il tempo del nostro vagare diventa effetto di un'arcana cospirazione tra il punto di sospensione e la dualità di una dimensione astratta, la natura.
Il nuovo Ep della band del Maryland,Alter, su quel punto di sospensione, diventa un dispositivo magnetico, comunicando il suo richiamo, garantendo la costanza del moto. Contrastano le resistenze della materia, che permette loro di manifestarsi, di stratificarsi, creando distorsioni di suono che non subiscono la resistenza dell'aria e nemmeno attrito tra le differenze di strumentazione.
Dopo un primo ascolto, è facile comprendere come l'Ep si disseziona in due parti, rivelando due distinte sfumature di umori: la paura/timore e la voglia di realizzazione. Essi manipolano e dipingono il tono in modo crescente ed intenso: il tamburo è spesso audace e forte, la chitarra invece si sviluppa all'interno di una propria melodia, spingendo la voce in una sorta di un urlo “riverbero”.
L'armonia floaty si fa spazio lungo la linea d'ascolto, senza lasciare orme, mentre i colpi dei cembali si trasformano in un mare di crash e in un'accettazione definitiva della mancanza di controllo. Il cambiamento di dinamica e tono, porta uno stile moody che svanisce sullo sfondo. A questo punto è chiaro che la band si è stabilita su questa terrificante sensazione di anticipazione. Disassemblare le parti di questo album rivela un viaggio coerente a due pezzi.
Questi due strati sono la prova di come anche la musica si possa ribaltare su sè stessa, nell’ottica del suonare ermetico per sentirsi finalmente allineati con il mondo.
Pendulum by Alter
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the-over-ground · 8 years
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ZEIT // THE WORLD IS NOTHING ALBUM
"The world has never impeded us to express ourselves, but what it gave us is a preclusive language."
La consapevolezza di essere posti sempre davanti ad mondo in cui la nostra libertà di espressione non si rivela mai, se non raramente, mezzo di differenziazione ma ostacolo, ci rende nucleo polarizzante di spinte frantumatrici di vedetta.
"The World Is Nothing", nuovo materiale eterogeneo di Zeit, lo definirei come portavoce di questa affermazione. Esso si rivela come un'anarchia di atomi che finisce inevitabilmente per distruggersi in un’infinità di variabili sconnesse. E' un album che ha la volontà di accordare le disarmonie riducendole ad una potenza capace di regolare la policromia: il “collante” che attribuisce a ciò che è molteplice un’interezza, un senso, un valore “soggettivo”.
Feroci urla caustiche indulgono aggressive quasi come se stessero per collassare. Tutto questo viene fatto in un tono estremamente denso e schiacciante. Non è un disco per cui è necessario concentrarsi troppo. In un primo momento questa brutalità si sente quasi liberatoria nel suo tono anche se non si può ignorare nella sua ripetitività un pulsare intermittente e soffocante.
Alcuni stacchi di chitarra contrastano fortemente con il muro di suono a cui siamo costantemente esposti. Le transizioni non sembrano neanche lontanamente controllate eppure la disorganizzazione presunta è intenzionale attraverso battiti esplosivi ed istantanei. E sono proprio questi ultimi a creare le giuste transizioni per farci desiderare di aggrottare le sopracciglia verso il basso.
"The World Is Nothing", in ultima analisi, è una combo rozza di energia, dipende solo da come vi piace la miscela.
The World Is Nothing by ZEIT
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the-over-ground · 8 years
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selvə // elèo ALBUM
Spazio. La sola menzione della parola richiama alla mente immagini di un luogo avvolto nella bellezza misteriosa e terrificante. “La musica è lo spazio tra le note” affermava C. Debussy -e allo stesso modo lo è lo spazio in cui esistiamo. Speriamo sempre di non divergere mai con la zona di mezzo: dove la disperazione si scontra con la pura alterità e crea qualcosa di sublime.
Molte band hanno tentato di catturare l'essenza di questa zona, ma raramente ne hanno colto gli aspetti di solitudine ed inquietutdine che si possono trovare in ampie zone del nostro intimo universo. “elèo”, nuovo prodotto della band selvə, che potrete ascoltare prossimamente a partire dall’11 giugno, incorpora invece uno spazio a vari livelli: da quello più immediato, dove ogni linea melodica trova una subordinata connotazione timbrica a quello, più astratto, evocato da particolari alchimie timbriche che proiettano l’ascoltatore in dimensioni di estrema distanza spaziale per poi finalmente liberarsi nel baratro dello spazio.
L'uso di elaborati vettori di chitarra si traduce in un suono fluttuante di distorsione. La voce si insinua con angosciose grida che, insieme a drumwork agili e disinvolti, accelera la pista in un territorio più pesante. Da qui selvə prosegue dunque in tipico stile post-metal, fino a costruire imponenti climax che si assottigliano in sezioni più lente, più atmosferiche.
Tuttavia, il modo in cui si creano le dinamiche sono molto diverse. Mentre ci sono infatti momenti di pesantezza ormai matura, “elèo” sembra essere, per la maggior parte, più inclinato rispetto al prodotto precedente a molteplici strati di atmosfera riverberata che si smarrirscono in qualche auto-indulgenza.
In parallelo ai driven riff dell'album resuscita dunque l'astrattezza post-rock d'intermezzi malinconici ed agrodolci. Ogni traccia si compone di muri di tensione, ma il trucco di catturare la passione dietro il rumore è il motivo per cui la band può continuare a tenere testa alta. La caratteristica che rende questo sfogo è la differenziazione delle dinamiche dove la belligeranza diventa un equilibrio naturale lungo le linee di basso ampie fino a raggiungere l'inevitabile, momento di fusione.
Elèo emerge, nel caos, in un centro inamovibile e calmo, stabilizzante, configurandosi in uno spazio che si riempie di suoni, strepiti e persino silenzi. E prende forma.
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the-over-ground · 8 years
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FALL OF MINERVA // PORTRAITS ALBUM
Dopo un lungo periodo d'ingiustificabile ibernazione, interviene (quasi) sempre, una cura “urto”, una canzone o meglio un album che ci sveglia, salvaguardandoci dall'inquietudine.
Ma cosa dico, inquietudine vuol dire tormento del pensare, raffica di dubbi mentali, esistenziali e metafisici. Oggi in prevalenza non siamo inquieti, se non nei fondali inesplorati della nostra vita; piuttosto siamo irrequieti, nel senso che non ci fermiamo mai, ma riversiamo sulla musica, sugli spazi, sui viaggi, sull’instabilità esistenziale, l’inquietudine della mente. E questo è un segno di intelligenza, vuol dire che non ci accontentiamo della vita così come viene, non ci basta un unico ritratto di noi e nemmeno la realtà, c’è qualcosa che eccede e che cerca.
Questo è "Portraits", nuovo full-lenght della band vicentina Fall of Minerva, portavoce di questi tratti distintivi che, seppur singolari, trovano il loro senso in una fondamentale tendenza alla distinzione, che esprime primariamente un'identità. In tal senso questi volti contengono gli strumenti cognitivi e percettivi che si configurano come il punto di connessione tra l'interno e l'esterno, come una sorta di filtro permeabile che, primo tra tutti, consente di stabilire una forte connessione emotiva. Le tendenze progressive del gruppo, spesso al limite del melodico, districandosi in paesaggi sonori, attraversano una serie spietata di esplosioni di furia, dimostrando una buona abilità della band nella lavorazione di dinamiche di tensione.
Il fascino di questo album sta nella realizzazione di enormi lastre di suono, densamente stratificate e intensamente pesanti, con abbondante espansione ed atmosfera. Il vocalist svela una potente risorsa, facendo un passo oltre la sua zona di comfort, unendo urla appassionate seppur non del tutto comprensibili a prestazioni mirabilmente versatili profondamente personali e genuine.
C'è un concetto di dualità insita nella disillusione di Portraits. Il fragile è giustapposto con l'abrasivo, trattenuto dall'altisonante e dai passaggi apocalittici di distorsione. I Fall of Minerva stanno diventando sempre più abili a bilanciare questi aspetti divergenti della loro produzione: quest'album suona più sicuro e dinamico rispetto al suo predecessore, facendo progressi sia in termini di coesione sia di inventiva.
Nel complesso, "Portraits" acquisisce il potere di perseverare la memoria e di preservare nella distruzione la presenza di un'essenza singolare.
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the-over-ground · 9 years
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WINTER DUST // THRESHOLDS ALBUM
Dalla soglia passa (ma alla soglia non appartiene) chi si immedesima in una figura di trapasso o che si pone di traverso passando, facendo quel passo che passando in-trattiene. E non è un gioco di parole. Si tratta di passaggi: il tempo/l'immaginazione/il ricordo. Sono analogie, legami fra fenomeni che non hanno finalità pratiche, ma producono spostamenti di attenzione, cambio di punto di vista e di ragionamento. Lo scopo conseguito è il piacere del raggiungimento di un'intuizione e del passaggio dall'intuizione al concetto.
Questo è "Thresholds". Questo è un album immediato. Anche se si definirebbe più un EP per la presenza di sole quattro tracce, nonostante ci sia una lunga durata di riproduzione per ogni pezzo caratteristico di un album. Non c'è effettivamente nulla di terribilmente complicato in corso. Il pianoforte non è abusato, chitarre e basso abbondano, ma nessuno è difficile da discernere. Hai semplicemente bisogno di più tempo per pensare a quello che stai ascoltando e di comprendere e assorbire il messaggio contenuto all'interno di ogni traccia.
La band padovana Winter Dust è molto più consapevole rispetto al precedente album di debutto "Autumn years": il clima e il paesaggio sonoro confluiscono con soluzione di continuità. Gli accordi calmanti e i riffing malinconici lasciano il posto ad una batteria che galleggia contemporaneamente ad onde d'urto sonore. Queste ultime si aprono a ventaglio in ogni direzione, ad ogni colpo facendo filtrare le urla come per dare adito ad una tempesta.
Le note acustiche morbide e uggiose evocano dunque uno stato d'animo di narrazione ben risaltato a livello di editing e produzione con brani che si costruiscono gradualmente, delineandosi e riempiendosi con stratificazioni fonematiche che modulano il ritmo a seconda dell'ampiezza di suono elaborata. La corsa contro il tempo si fa sentire nella tensione e nell'urgenza strumentale duellando con fondali di guida di batteria/basso ed echi aperiodici di chitarre.
I tamburi sordi e striscianti si smussano notevolmente grazie ad una modulazione che quasi inganna un commediante senso di sicurezza. Quasi. Forse per la dolcezza del brano in chiusura. O forse per la promessa che lo spirito di esplorazione e di scoperta non è annegato.
Thresholds by Winter Dust
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the-over-ground · 9 years
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124C41+ // SELF-TITLED EP
La passione, in generale, non solo per la musica, nasce cieca, avventata, ma consapevole. Si salva proprio perché minaccia le nostre difese. Non si vive senza. Solo se si padroneggia si vive a metà, ma se si bandisce si guarda al passato. Se le attuali generazioni riaccendessero questa fiamma, proprio dove questa bruciava luminosa essa riuscirebbe ad essere valorizzata. La maggior parte di noi sono nati intrappolati in un sistema che ci deruba sin dall'inizio. Un sistema in cui la ricchezza conta al di sopra di qualsiasi passione, appassendo le nostre personalità. I 124C41+ (One To Foresee For One Another) di Terni, si sono sottratti a tutto questo, realizzando in sole tre tracce qualcosa di passionatamente personale, qualcosa che fa sentire in un certo senso indifesi.
La strumentazione di questo Extended Play è assoluta, nonostante la qualità della sua elaborazione lasci un po' a desiderare: non si tratta di un suono statico, ma di una processualità di note in divenire, che compie un percorso di “oggettivazione”, una manifestazione progressiva. Le urla grezze si sciolgono in lamenti emotivi dove nessun riff di chitarra riverberata si sente inutile. In tutti i brani la batteria gioca con battute agevoli per creare l'atmosfera e, mentre il suono culmina, riempie gli spazi senza opacizzarsi. Il basso si insidia dopo un digiuno iniziale ad un ritmo sincopato proponendo una risoluzione spontanea che crea una strana sensazione oscillante rara nel genere screamo.
Gli approcci melodici e ritmici creano in particolare una percezione di moderazione e varietà, dettata probabilmente dall'influenza e dalla potenzialità del piano che sviluppa suoni molto armonici, facendoci sentire alla fine dei venti minuti della produzione come se ci fosse ancora qualcosa che ci vuole trattenere lì al cinquantesimo secondo, all'infinito, ma senza più alcun motivo di urlare.
In ultima analisi, questo Self-titled Ep è nel totale coeso, un processo di riconoscimento, di conciliazione e di ricomposizione dei propri turbamenti.
s/t by 124C41+
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the-over-ground · 9 years
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iBOX // SENZA PARANOIE NE' PERCHE' ALBUM
Nel gergo contemporaneo il concetto di paranoia è spesso usato in un'accezione impropria, come rafforzativo di "ansia" o "forma nevrotica simile alla malinconia". Se dovesse essere così, ho optato due soluzioni valide: aprire un mutuo per comprare uno psicoterapeuta o crearsi un alter ego e perseguitarlo. Un'ulteriore alternativa a tutto questo potrebbe essere "Senza paranoie né perché", circa trenta minuti di pop punk standard che farà sciogliere la ragazza della porta accanto ed il suo fragile giovane battito cardiaco come il joystick della vostra playstation.
iBox, trio pop-punk/rock del veneziano scaglia rari lampi di potenziale incarnando un generico e blando pop punk: concesso, dal momento in cui la produzione ed il mixaggio presentano sforzi apprezzabili. I sette brani risultano essere sonoricamente troppo familiari e persino costretti in una certa misura. Nonostante questo record in effetti suoni piuttosto maturo rispetto al lavoro precedente, questa mentalità adolescente non riesce a colmare il divario tra anonimato e progressione. Si spera ad ogni brano che si possa ascoltare qualcosa di trascendente, ma a dispetto di un impegno deludente. Tutto sommato, l'album è nella media, un cliché pop-punk sopraffatto dall'orecchiabilità strumentale e dai testi banali.
Nonostante un ascolto selettivo, questo album non offre nulla di nuovo: sezioni di chitarra finite, canti blandi e cori vivaci. I drumming sono riciclati con la variazione occasionale dei modelli temporali. Sicuramente non è un album pigro e cattura in qualche modo un senso di energia, ma non di varietà. Di certo non è la prima band a portare nulla di innovativo ad un genere che è diventato famoso per gli imitatori pedissequi. Il disco prende forma attraverso melodie troppo omogenee e prive di contorni. Un mix di progressioni di chitarra acustica/elettrica, voce tonica leziosa.
"Senza paranoie nè perchè" presenta comunque un suono facile da digerire e nonostante tutte queste annotazioni critiche, il gruppo è in età giovane e impressionabile ed il pensiero di progresso può sempre essere plausibile in futuro, ma solo allontanandosi da una zona di comfort commerciale e ricercando elementi di creatività, perchè ad essere onesta, anche se fossi senza paranoie e senza perchè, non riuscrei a non valutare quest'album come un prodotto incolore.
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the-over-ground · 9 years
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IN DEPTH WITH WHALES // NORTHWOOD
Se dovessimo fare un tuffo e una risalita all’interno di noi stessi, alla scoperta della profondità che la psiche può custodire, avremmo sempre un'idea di come far maturare i nostri progetti e le nostre idee. Questo incipit solo per spiegare come la band In Depth With Whales abbia scelto un nome affascinante, nonchè significativo di cui dovrà sentirsi di essere all'altezza.
Rilasciato con cura dalla Stay Home Records, etichetta indipendente del nord-est, “Northwood” è una produzione spessa e corporea, anche se elaborata con un mixaggio non eccelso, che non permette ad alcuna voce di ripercuotersi contro lo stratificato muro del suono, concentrandosi invece sulla creazione di un percorso strumentale prolungato. Gli strumenti in simbiosi, passano da momenti turgidi a sezioni torbide ma dolci che si attenuano dopo brevi momenti di climax enfatici. In particolare, le chitarre arpeggiate e le linee di basso profonde creano il luogo ideale per un viaggio risonante guidate da interessanti pattern di batteria.
Esplorando Northwood, la melodia indulge nel cuore del tradizionale post-rock condotta da chitarre distorte che tendono a disturbare l'atmosfera ciclica, utilizzando distorsioni complete di ruggiti. Nonostante non ci siano specifici confini nel genere integralmente strumentale o concetti obbligatori da seguire, la band ha saputo amalgamare un lavoro sufficientemente coerente cedendo spesso il passo ad arpeggi angolari che creano una sezione ritmica non consueta, seppur sempre troppo malinconiosa.
Durante l'ascolto ci si aspetterebbe una voce per dare una silhouette concettuale, nonchè un “taglio mediatico”, se così si può affermare, che consenta alla musica ad essere meno anonima all'ascoltatore. Northwood è comunque un album in cui bisogna immergersi. Non assicura risposte né scoraggia i progressi. Se ci fosse un regresso, questo sarebbe del tutto auto-inflitto. Se la mia esperienza di ascolto non è servita ad alcuna indicazione, potete scegliere di analizzare questo album per conto vostro oppure sguazzare nelle pozzanghere senza riserve.
Northwood by In Depth With Whales
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the-over-ground · 9 years
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NOVALISI // ANIMALI ALBUM
Secondo alcune meditazioni teoriche, gli animali non possiedono anima, linguaggio, risposte. L’animale non sceglie, non è libero, non parla. La condizione indispensabile dell’esistenza dunque, esclude gli animali dal regno dell’essere, confinandoli in un'altra dimensione -seppur non sia ormai tanto diversa- rispetto a quella degli esseri umani. Eppure, gli animali sono li che ci guardano. Noi siamo esposti al loro sguardo, perché sono tra noi, ci scuotono e ci interrogano, rendendoci responsabili nei loro riguardi. Gli animali possiedono un punto di vista su di noi, che possiamo ignorare, ma al quale non possiamo sottrarci. Questo può essere un motivo valido per cui non potete sottrarvi all'ascolto di "Animali".
Nuovo album della band trevigiana Novalisi, "Animali" è un'onnicomprensiva miscelazione. Dal punto di vista sonoro, nonostante la produzione non sia proprio superba, le parti di chitarra si snodano in prima linea, intrise dal motivo di basso dalle linee melodiche, accompagnando le parti vocali in armonie contigue. Musicalmente la dinamica si alterna tra morbidezza e risolutezza, dunque spesso le chitarre dettano un flusso costante per essere di più di un semplice e riempitivo costruttore dinamico.
L'album scivola attraverso sette tracce che si saturano per mezzo del suono mite delle accordature, permettendo alle percussioni di verificarsi con energica immediatezza. Le voci, dal carattere piuttosto enunciativo, risuonano sopra delay e riverberi cominciando a farsi talvolta troppo ripetitive, forse nello stesso modo in cui le nostre azioni si ripetono eppure ci sembrano così intime e familiari.
"Animali" è imperfetto in quanto nulla è forzatamente originale, ma è preciso nonchè euritmico (elementi molto apprezzabili soprattutto in live), filtrato rispetto ai lavori precedenti in stile shoegaze alla ricerca di una nuova forma cromatica che si delinea attraverso una lirica per nulla prolissa ed incisiva. La band pertanto valorizza la matura istintività di chi non vuole seguire il gregge o rimanere nel recinto, e voi? Lo scoprirete ascoltando questo disco.
Animali by Novalisi
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the-over-ground · 9 years
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DHOLE // OLTRE I CONFINI DELLA NOSTRA ESSENZA ALBUM
I confini favoriscono la logica nella selezione delle nostre esperienze di vita, dei valori che pensavamo andassero coltivati e dei punti di riferimento un tempo stabili in piena trasformazione. E tutti questi limiti hanno un destino comune: quante più esperienze pretendono di chiarire, tanto più esse stesse diventano oscure.
Smantellare le strutture e liquefare i modelli, senza dare sempre un riferimento spaziale alla nostra entità è possibile per mezzo della musica. Nel caso di "Oltre i Confini Della Nostra Essenza", nuovo prodotto della band Dhole di Lodi, penso di dover essere sia realista che morale: troppo volentieri si satura quotidianamente il genere dello screamo.
In questa circostanza la consistenza e l'immediatezza di questa natura -emo- all'italiana conta più della notorietà, che comunque di rado viene saggiata, poiché il pubblico è apatico e capace di brevi attenzioni poco efficaci. Penso che ci si possa permettere di decantare solo nel momento in cui si riescono a dare le giuste attenzioni.
La rappresentazione che questa band ha del suono, non è dovuta solo dalle urla fragili nonchè esigenti, che scorrono bene con la natura generale di questo disco, ma anche dal peso emotivo delle affermazioni che esse espongono. Il caos all'interno di questo album non è troppo sicuro di sé probabilmente per dare spazio ad un'idea d'impotenza al limite della rabbia.
L'aspetto strumentale tuttavia, non è solo lì per supportare la voce in senso funzionale anzi, nonostante le urla possano diventare invadenti a volte, è difficile perdere l'intonacato melodico alimentato dai momenti multistrato delle chitarre (classico dello shoegaze) e dalla fune della percussione. Nonostante ciò, non mancano interludi d'atmosfera sperimentale con pianoforte (es."Letargo"); ma è il lirismo un tema chiave qui, che pur mantenendo sempre lo stesso stile enunciativo, si basa su un certo livello di energia meditativa.
Le parole "sono sprecate se sprecato è il loro senso", quindi dateci un senso anche voi, magari ascoltando questo disco.
Oltre i Confini Della Nostra Essenza by Dhole
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the-over-ground · 9 years
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THE SINGER IS DEAD // SELF-TITLED EP
La musica strumentale è spesso immediatamente accusata di essere troppo tecnica e talvolte "senz'anima", sulla base del fatto che le folate di note volano senza lasciare spazio a momenti emozionanti o crescendo particolarmente accattivanti. Questa affermazione potrebbe non valere per una band milanese come the Singer is Dead, che non dà alcun accento sul songwriting, ma tenta di sottomettere l'ascoltatore all'energia grezza del math rock melodico, denso e dinamico.
Il loro primo EP omonimo, uscito lo scorso febbraio, si è rivelato, con la sua ritmica asimmetrica, un buon punto di partenza non solo per la sobria musicalità, ma anche per la strumentazione qualificata. Questo self-titled è uno di quegl'autoprodotti che sposa inesorabilità e distensione in un modo che dovrebbe attirare anche coloro che di solito non amano il genere. Grazie alla variazione di tono e ritmo, le varie tracce si dilettano in un procedimento di autodissezione, rivelando nel complesso una capacità di resistenza e coesione.
Con il suo suono sperimentale, la band mantiene comunque accumuli post rock, ottenendo un fonema che in ogni climax si allinea gradualmente alle chitarre riverberanti, alla tensione del basso che aggiunge profondità e al drumming disinvolto. Nonostante ciò l'ascoltatore non sempre riesce a lasciarsi alle spalle la ripetitività sonora che emerge in ogni brano, per questo motivo l'energia condensata non si riesce ancora ad interiorizzare incisivamente.
the Singer is Dead è comunque una band commutabile; ma se da un lato espone la propria apertura all'esperienza, intesa come disposizione a ricercare stimoli musicali con un orientamento valoriale diverso da quello di riferimento, dall'altro necessiterà di definire con un ulteriore lavoro la propria personalità come configurazione di tale esperienza.
s/t by the Singer is Dead
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the-over-ground · 9 years
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ICEBERG // "MEGLIO COSI'" EP 2015
Esiste un principio in scrittura che attribuisce il successo di un libro per il suo minimalismo. In sostanza, un'opera efficace si ottiene attraverso la sottrazione: eliminare tutte le parti superflue e trasmettere al lettore un’esperienza che possa entrare a far parte della sua, come quelle reali. Lo stesso si potrebbe dire della musica, dove entro l'arte della sua narrazione le basi sono esaurienti per ottenere un sound considerevole e apprezzabile.
Questo caso può essere attribuito ad Iceberg, band di Pavia nata nel 2008, che dimostra questa teoria in cinque brani avvolti in un pacchetto semplice. La semplicità spesso viene liquidata perchè ritenuta noiosa o priva di sforzo, ma è il contrario; si tratta di tagliare l'eccedente per consentire di esprimere direttamente ciò che è si vuole trasmettere.
"Meglio Così", nuovo EP curato dall'emergente etichetta DIY Falena Dischi, è un autoprodotto dal suono misurato, confortevole e veritiero. Il tutto funziona perchè la sua essenza mantiene un dialogo piuttosto costante tra voce e strumentazione. In questo modo, gli spazi dinamici di ognuno di questi elementi, donano linfa vitale e rinnovano la relazione e l'interazione tra essi evitando la creazione di quel "mondo separato e parallelo" che, se abusato, sempre più spesso disgiunge i due fino a renderli due estranei.
Invece di diffondere se stessi nella varietà stilistica, l'attenzione del gruppo è stata attivata per la creazione di una ricca texture musicale. Non si tratta affatto di suonare qualcosa di meno angosciante o "troppo morbido". Si tratta di trovare un suono che si articoli con la struttura voce-strumenti per creare un suono coeso, pur mantenendo un peso emotivo e un songwriting solido.
E' indispensabile aggiungere però che questo suono non rischia mai di essere pretenzioso o sopra le righe e questo porta la creatività ad essere regressiva e smorzata, soprattutto nel caso della voce che mantiene quasi sempre la stessa formula. Il drumming è appropriato, succinto e dinamico, ma senza declinare troppo pesantemente sulla linea melodica, con tatto morbido quando necessario. La chitarra rimane molto fedele al movimento dei tamburi, mantenendone l'abilità senza sentirsi usurata, ripetitiva o generica.
Nel complesso, "Meglio Così" risulta un nuovo punto di partenza per la band in termini di accessibilità, ispirato e appassionato, ma che racconta forse solo un'ottavo di quello che è Iceberg. Di una cosa certa, quei sette ottavi sommersi, non ci metteranno molto ad emergere.
Meglio così by Iceberg
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the-over-ground · 9 years
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ZIDIMA // BUONA SOPRAVVIVENZA ALBUM
Nella nostra vita, come in musica, spesso ci atteniamo alla struttura. Gli orari puntuali, gli obiettivi da raggiungere e le scommesse sicure occupano la maggior parte delle nostre preoccupazioni. Cerchiamo di bilanciare la sessione di allenamento di un'ora alla "YMCA" alle pause pranzo del "se fosse un hamburger vegetariano lo mangerei". Ci abituiamo alla calma di periferia, ai lavori sottopagati e lodiamo l'idea del tempo passato con gli amici, a malincuore acquistando una birra in più, mentre i tredicenni implorano il nuovo iwatch. E anche se questo può sembrare uno stile di vita (im)meritevole è, in ultima analisi, uno stile di vita di inazione.
"Buona Sopravvivenza", nuovo prodotto della band milanese ZiDima, offre invece una sfida ad una convenzionale aspettativa musicale, ignaro di tendenze tradizionali di songwriting. La parola chiave è la struttura. Nove brani si dilettano, con voce che più si avvicina al parlato, a detonazioni cacofoniche, intense, eccentriche, talvolta lamentose.
Il sarcasmo criptico del cantato non si sente sotto pressione per combattere le iniquità. Questo approccio vocale, meglio si addice all'atmosfera creata dal basso e dalla chitarra dissonante che si fondono senza intoppi, né troppo prominenti né soffocati. In realtà, il più delle volte il basso segue i binari e le percussioni scandiscono, portando un gradito senso ritmico. Ogni traccia ha la giusta direzione e intenzione. Per tutto quello che ha da offrire, l'album però non integra il suo potenziale perchè privo di momenti catartici.
Oltre angolari riff di chitarra e cumuli di dissonanza, c'è bisogno di guardare oltre il brano e notare il songwriting teso e autodistruttivo, che sembra rifiutare qualsiasi costruzione troppo viscerale. L'album raggiunge un climax denso nella traccia finale, risoluzione strumentale ben compensata dall'elaborazione di batteria.
"Buona Sopravvivenza" è essenzialmente un prodotto retrospettivo che incorpora le varietà di stili del noise/post rock con la voglia di "non suonare forte ma suonare bene", ma anche con la naturale disinvoltura richiesta dal genere.
BUONA SOPRAVVIVENZA by ZiDima
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the-over-ground · 9 years
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SELVA // LIFE HABITUAL ALBUM
E' difficile ottenere un suono che possa essere allo stesso tempo inquietante e feroce. Con un album debutto completo di riff fangosi, screamo viscerali e un'atmosfera espansiva, è abbastanza sicuro dire che la band lombarda Selvə abbia saputo ritagliarsi una nicchia per se stessa con questo album adottando un approccio hardcore/post-metal e aggiungendo più dimensione ad esso.
Una delle cose più interessanti di "Lajf Həbɪtʃuəl" è che introduce naturalmente nuove influenze da traccia a traccia cominciando da un intro morbida che si accumula centralmente (es. brano "Pərsɪstənte") in un payoff emotivo in termini di ritmo e struttura, riuscendo ad ottenere un suono spaventosamente monolitico. Dagli echi di chitarra inoltre risuona un bagliore di conforto; un abbraccio che avvolge, ma che mostra a nudo la furia indomabile al suo interno.
Questo è "Laif Habitual", si tratta di un microcosmo: il suo nucleo scuro di rabbia nichilista è mascherato nella nebbia e il calore cade nel polso immediato del lavoro di batteria sempre in agguato, sfondando la distesa ruvida e costante di chitarre distorte. I vocals lugubri diventano l'anima condivisa che trascende e precipita sugli accordi.
Questa produzione è malleabile e propone una comprensione chiara del fascino delle varie influenze: l'assalto percussivo di black metal ospita l'adrenalina dello screamo, completato da un climax post-rock che cattura la speranza subconscia. La musica qui è costruita con effetto drammatico e attenzione risoluta alla propria "autenticità black metal", ed è giusto così: il genere ha dimostrato di essere un buon mezzo per manifestare l'attrito strumentale, le grida e le texture di basso e chitarra distorta.
Sei composizioni torreggianti definiscono le ambizioni della band, con un intermezzo per dare contrasto all'atmosfera generale. Come in seguito ad una turbolenta tempesta per un momento di riflessione, sciogliendo la tensione prima del prossimo decollo alla stratosfera.
Inquietante tonalità, razionalizzazione di toni vitali, metallo atmosferico sembrano essere però una trama emotiva piuttosto che una forma di auto-personalizzazione, ma risulta inconfondibilmente genuina. Nel complesso questo album è denso e non intende concentrarsi su bocconcini tecnici, ma sulla combinazione di estremi e influenze polari in completa sintonia.
lajf həbɪtʃuəl by ['selvə]
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the-over-ground · 9 years
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BLIEN VESNE // MIENTRAS SEAMOS JOVENES ALBUM
Non sempre le parole sono necessarie in musica. Non sempre c'è bisogno di avere un testo per capire le parole. In questi casi però diventa poi piuttosto difficile da raccontare. Dovreste provarlo voi stessi. Posso iniziare facendovi un semplice esempio: è come distendersi di notte su una spiaggia e sentire le onde infrangersi ed estendersi sul suolo.
"Mientras seamos jovenes" si avvicina molto a questa sensazione. Si tratta di una produzione di sette tracce che rendono ogni sentimento negativo irrilevante e lo trasformano in qualcosa di assolutamente rilassante. E' qualcosa di così affascinante, così potente che potrebbe ferire, ma sarebbe la ferita più calda che abbiate mai sentito.
Al primo ascolto, la musica può sembrare tanto, forse troppo omogenea. E' molto ambient e post-rock sognante senza chissà quali accumuli altisonanti o climax epiche a la Godspeed You! Black Emperor. C'è solo l'atmosfera e il paesaggio sonoro, le chitarre ronzanti e l'orchestrazione della tastiera. E' semplice, ma a volte la semplicità è bellezza, e questo è esattamente il caso dei Blien Vesne, band argentina. Di tanto in tanto ci sono canti tranquilli per dare alla canzone dei picchi sonori e il ritmo di batteria spesso si intromette per rendere il brano energico e distinguibile dall'atmosfera cosmica dell'album.
La scena che creano è di una bellezza delicata, una sorta di sensazione eterea. Sia attraverso passaggi edificanti o faticosi paesaggi enfatici, la band produce una luminosità morbida che rende l'ascoltatore pensieroso, ma non ansioso. Sicuramente è una boccata d'aria in superfice.
Tuffatevi.
Mientras seamos jóvenes - Blien Vesne by Sadness
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the-over-ground · 9 years
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SHIZUNE // LE VOYAGEUR IMPRUDENT LP
"Nous sommes un mouvement éternel dans le temps"
Movimento ed eternità sono due caratteristiche che ben si uniformano nell'anima degli Shizune. "Le Voyageur Imprudent", album che segue lo split con i Minus Tree del 2013, sintetizza in dieci brani questo principio vitale in un perfetto equilibrio tra bellezza grezza e caos assoluto, testimonianza di una passione autentica.
La produzione dà un tatto informe quando necessario e si ammorbidise con riff di fango lasciando dunque il posto a momenti di contrasto, mentre gioca la bipolarità dell'estensione vocale, sebben limitata. Le chitarre, che sanno come impostare e mantenere uno stato percepibilmente interessante nel complesso, passano dalle sezioni calme e sottomesse alle sezioni forti e cacofoniche in pochi secondi con linee pesanti e riff più puliti raccolti dallo spessore della batteria.
Anche se questo è innegabilmente un album -emo-, è impossibile identificarlo con precisione in un genere ed è difficile mettere un'etichetta su di esso in particolare per il piacevole mix di stili e di lingue differenti nel songwriting. Nonostante questo, però, si percepisce come un corpo coeso.
Parte di ciò che rende questo album così unico sono la voce, tra urla e parlato, e i testi per l'intrigante stilistica. "Le Voyageur Imprudent" è un viaggio non condizionato dallo spazio e dal tempo, un album che trova la sua costituzione nell’eterno: la sua musica rivela, apre, manifesta, e non salta in un impossibile fuori metafisico. Anzi, è proprio nel suo mondo che si trova la porta da cui "il viaggiatore" temporale passa a conoscere e vivere l’unità eterna simultanea del tutto.
Buon ascolto.
Le Voyageur Imprudent by shizune
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