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Catarsi
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Ci siamo, questo posto sembra adatto. L’erba è molto rada, non ci sono alberi o arbusti nel raggio di decine di metri e neanche l’accenno di anima viva. Ho vagato un po’ prima di trovarlo, ma seguendo i consigli degli altri ce l’ho fatta. Appoggio lo zaino a terra ed inizio a preparare l’occorrente. Dispongo le pietre ed i rametti come ho visto fare sul video, ci verso sopra quei cinque euro di benzina che ho nella tanica, annusando un po’ quel nauseante aroma chimico. Il sole batte fortissimo sopra la radura. Il fuoco potrebbe accendersi spontaneamente da un momento all’altro. Mi asciugo il sudore dalla fronte e faccio un bel respiro, cercando di distrarre la mente. Estraggo dallo zaino l’intera scatola. Quando l’ho preparata era talmente leggera che sembrava vuota. Come mai ora è pesante come un macigno? L’appoggio un attimo. Dovrei accendere il fuoco. Ordino alla mia mano di tastare le tasche della giacca per trovare i fiammiferi, ma non riesco a controllarla. Quasi inconsciamente apro la scatola. E li vedo tutti. I ricordi. Li prendo uno ad uno, fissandoli intensamente, osservandoli con la mia più immensa attenzione. C’è uno scontrino di una cena fantastica, un ricordo che conservo perfettamente intatto nella mia memoria. Sento ancora la brezza marina di quella serata. C’è una foto che preferisco non guardare troppo, la rimetto subito in fondo alla scatola, stropicciandola. Ma chi prendo in giro, l’ho ripresa e sto cercando di salvarla dalle pieghe. Riconosco i volti di due persone che si baciano. Sono entusiaste, serene, inossidabili. Sono due persone a cui volevo molto bene. Ora entrambe mi sono distanti, in un modo o nell’altro, in un piano fisico e metafisico, forse. Ogni volta che guardo questa foto mi fa sempre un effetto diverso. Dapprima era la gioia, la spensieratezza, poi c’è stato il dolore, la rabbia, il rimorso...ora solo una pesante indifferenza che non dovrebbe esserci. La piego accuratamente e la ripongo dentro la scatola. Continuo a scavare. Un bracciale ed un pendente d’argento. Sono soltanto simboli di qualcosa che ora non c’è più. Il loro scopo è terminato. Anche loro tornano dentro. Ci sono due biglietti di un film orribile, ma che ricordo esser stato in qualche modo importante per quei due che andarono a vederlo. Tasto con la mano e percepisco il velo tagliente di una carta spessa. Sono numerose lettere. Riconosco la calligrafia. Non riesco ad ammettere, ad accettare che queste parole sono state scritte da me, in un altro tempo, in un altro mondo. Preferisco pensare che siano state scritte da un’altra persona. Ci sono un paio di libri pieni di sottolineature, frasi a matita, battibecchi che hanno attraversato settimane, forse anni, che si concludono solo nelle pagine bianche finali di ogni volume, con delle delucidazioni e delle critiche da parte di due calligrafie. Ricordo ogni cosa, ogni evento, ogni aneddoto, ogni sensazione che questi ninnoli rievocano nella mia mente. Non voglio più esser schiavo del contenuto di questa scatola, sono qui apposta. Non dovrei continuare a rovistare, anzi, non avrei proprio dovuto riaprire questo pezzo di cartone. Devo metter la parola fine a tutto questo. La Catarsi non può avvenire senza il Dolore, ma questo è troppo anche per me. Chiudo la scatola e la sbatto sopra ai legnetti pregni di benzina. Percepisco la lenta danza di petali e fiori dei pioppi circostanti come un rapidissimo valzer viennese. Sento il vento cambiare direzione più e più volte, la luce addirittura va e viene, si nasconde tra le fronde degli alberi lontani per poi accecarmi quando meno me l’aspetto. Il sole è ormai tramontato dietro i colli, all’orizzonte. Cosa sto facendo? Devo darmi una mossa.  Afferro con foga i fiammiferi, li ho trovati immediatamente alla prima tastata. Ne prendo uno e lo sfrego. Una rapida scintilla illumina il crepuscolo. Non devo far altro che gettare il fiammifero, e sarò pronto a fare qualsiasi cosa. La Libertà sopraggiungerà automaticamente col Fuoco della Purificazione e della Distruzione. Ma invece del Fuoco, a cadere tra il nido di rametti ed il mio personalissimo Vaso di Pandora c’è solo qualche lacrima. Il fiammifero consuma tutto il legno, sento il suo flebile calore consumarmi la pelle delle dita. Sto per esser avvolto dall’oscurità. Ma ormai che differenza fa?  
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Combattuto. Da una parte, la brama di fama, di potere e successo, la voglia di diventare immortale, spinto dalla paura dell’Oblio nel fare qualcosa di epocale per essere ricordato nei secoli a venire. Dall’altra l’ozio, la quiete e la pace, la tranquillità che solo una vita ritirata, composta e pregna d’amore può darti, un amore che forse hai trovato, un amore che ti ha già dato tanto e potrà darti ancora di più, se glielo concedi. Forse le due strade sono conciliabili, ma più probabilmente sono opposte. Che fare? Quale scelta prenderai? E nel frattempo il tempo scorre, inesorabile, in avanti. Ogni istante perso a tentennare, a non fare ciò che ami e ciò che reputi utile, è un istante perso. Perfino fare ciò che ti aggrada, ciò che ti fa godere potrebbe essere tempo perso. Senti così tanto il peso del tempo che potresti non riuscire più a sopportarlo. Devi decidere, ed in fretta. Devi diventare immortale e sofferente oppure effimero ma, almeno in terra, sereno. Qualunque cosa tu voglia fare, falla in fretta.
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Let’s be honest, this is all of us
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Risolutezza
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Una flebile luce entrava dal portone della cappella, aiutando i ceri ed i candelabri ad illuminare decentemente il ventre pietroso dell’edificio. Alcuni monaci intonarono un debole “Kyrie Eleison” che riecheggiò sbattendo contro i modesti arazzi della Passione di Cristo. William era inginocchiato di fronte all’Altare, la spada conficcata a terra, le sue mani appoggiate sull’elsa. La cotta di maglia era pesante, ma il sudore ed il carico dell’armatura isolavano il freddo pungente di Dicembre. I suoi occhi socchiusi intravedevano solo il pavimento e l’elmo di ferro ai suoi piedi. Recitò l’Atto di Dolore più volte, finché la lingua e la mascella non iniziarono a dolergli, e giunto al fastidio più estremo continuò ancora e ancora con la preghiera. Le sue spalle iniziarono a tremare dallo sforzo della posizione. Fu solo dopo l’ennesima ripetizione che l’orecchio di William, addestrato a riconoscere il suono di un rametto spezzato dal piede di un bandito in una foresta da qualche decina di metri di distanza, si accorse che qualcuno si era inginocchiato al suo fianco. Il cavaliere cercò di vedere in faccia quella persona con la coda degli occhi, senza alzare il capo e senza smettere di pregare. 
<< Devi aver peccato tanto per pregare così ardentemente, Ser. >> William si morse la lingua. Sentiva il bisogno immane di confessarsi con qualcuno. Gli sarebbe bastato anche un misero contadino. 
<< Non ho ancora peccato, Padre. Lo farò a breve. >> Il prete sogghignò dolcemente, congiungendo i palmi delle mani in preghiera. 
<< Siete per caso un indovino, Ser? Siete capace di prevedere il futuro? >> William alzò lo sguardo, fissando il misero crocefisso affisso sopra la navata della cappella. 
<< Tutti gli uomini sono tendenti al peccato. Sebbene siamo stati creati dall’Onnipotente, e quindi la nostra Anima è puro bene, la nostra Carne e la nostra Natura ci inducono a peccare. Quindi io chiedo il perdono, Padre, perché peccherò. >> 
<< Dove avete studiato, messere? Siete scaltro di ragionamento...>>
<< Mio zio era un prelato molto importante a Canterbury. Da piccolo passavo qualche mese all’anno da lui, a studiare, prima di iniziare l’addestramento. >>
<< Interessante. Ma sapete meglio di me che non vi ho chiesto una lezione di teologia. Figlio mio, perché sei così sicuro del tuo peccato? >> William socchiuse gli occhi, inarcando gli angoli della bocca in una smorfia di disgusto. 
<< Mi è stato ordinato di peccare, Padre. Devo commettere il più malvagio e imperdonabile dei peccati. >> 
<< Ovvero? >> Il cavaliere volse lo sguardo al prete. Il suo viso leggermente rugoso trasmetteva serenità solo osservandolo, così come fissare quei due occhi cerulei. Una corona di capelli gli cingeva i lati della testa. Il cavaliere non poteva parlare apertamente con nessuno della propria missione. Ma mentire ad un servo di Dio significava mentire a Dio stesso. 
<< Devo uccidere un uomo buono, un puro di cuore, un agente magnanimo di Cristo che ha fatto tanto bene al popolo, a questa nazione e al mondo tutto. Se potessi rifiutare, Padre, rifiuterei all’istante un incarico simile, ma ho giurato di fronte a Dio stesso che avrei servito il mio signore fino alla morte, senza mai contraddirlo, senza mai dubitare. Essere cavalieri significa essere la risolutezza in persona. Ma prima di un cavaliere io sono Inglese, e ancor prima di Inglese io sono Uomo, e ancor prima d’esser uomo io sono figlio di Dio. E non potrei mai togliere la vita ad un altro mio fratello così virtuoso. >> 
<< Sei indeciso sul da farsi, Figlio? >> William scosse la testa. 
<< Io ucciderò quella persona, Padre. E’ il mio dovere. Sto solo pregando Dio affinché accetti il mio pentimento. Non sono sicuro di voler esser perdonato, però...>> William chinò di nuovo la testa. Il prete richiuse gli occhi, inspirando ed espirando lentamente. 
<< Il fatto che tu non abbia dubbi riguardo alla tua missione ti rende o estremamente leale o estremamente sciocco, Figlio. Qui, ricercare il perdono dopo aver commesso un crimine così ignobile contro Dio non è il problema. Il Problema è chiederti: cosa accadrebbe se non lo facessi? >> Una scintilla d’attenzione spalancò le palpebre del cavaliere. << Allora? Risponditi. >> 
<< Se non compiessi il misfatto, l’intero regno precipiterebbe nel Caos. Quest’uomo è buono, così come i suoi fini su questa terra, ma ha tanti, troppi seguaci, e nessuno di loro è buono quanto lui. Approfitterebbero delle sue parole, delle sue idee, della sua missione per perseguire i propri infausti scopi. Se non uccidessi quest’uomo, l’Inghilterra potrebbe azzannare alla propria gola, innescando una guerra civile che danneggerebbe irreparabilmente la nostra terra. E’ per questo che mi è stato affidato quest’onere. >> 
<< Questo è quindi il prezzo della sua vita? Un regno nel Caos? >>
<< Sì, Padre. >>
<< Allora Dio ti ha già dato la risposta, Figlio. >>
<< Ma davvero Dio preferirebbe la vita di un Santo al posto di migliaia dei suoi Figli? Davvero l’Altissimo fa una tale distinzione, gioca in così malo modo con le nostre esistenze? >> Il prete sorrise, volgendo lo sguardo al crocefisso. 
<< Ti stupiresti di quello che Dio può e vuole fare. Potremmo passare l’intera nostra esistenza a studiare la sua Parola e a contemplare il suo operato, ma non riusciremmo a capire neanche un briciolo del suo Essere. La Teologia, Figlio mio, non è altro che una farsa. A Dio non importa del nostro Destino. >> 
<< Potrei sfoderare il mio acciaio e decapitarti qui, sul momento, per questa blasfemia. >> 
<< Allora fallo, Cavaliere. In questo modo avrai la tua risposta. >> I due incrociarono gli sguardi. Il prete era l’immagine della beatitudine. William lo maledisse, alzandosi in piedi e recuperando l’elmo. 
<< Non preoccuparti del Destino della tua anima, Cavaliere. Se commetterai il misfatto sarai dannato per l’eternità, e se rinnegherai il tuo dovere sarai dannato ugualmente. Questo è il volere di Dio. Ed ora va’>> William camminò risoluto verso l’uscita della cappella, mentre i monaci intonavano le ultime note del canto. 
<< Ce ne hai messo di tempo, Will. Hai pregato abbastanza? >> Lo canzonò uno dei sue tre compagni. 
<< Sì, Edward. E penso che non pregherò mai più in vita mia. >> I quattro cavalieri indossarono i propri elmi, montarono sui propri cavalli e galopparono alla volta di Canterbury. 
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Il Canto
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Ian stava annodando la cima alla base dell’albero maestro. La sciarpa ed il collo del cappotto non riuscivano affatto ad allontanare la gelida brezza dell’Isola, e le sue dita stavano diventando viola e piene di escoriazioni a furia di maneggiare quelle corde, ma il lavoro del mozzo era quello, e gli ordini del Capitano non potevano essere contraddetti. Il porto era deserto, silenzioso come una tomba, e per ovvi motivi. Il ragazzo era l’unica anima rimasta ancora in città. Il giovane sospirò pesantemente, iniziando solo allora a capire quanto sarebbe stata dura la sua futura occupazione. Si asciugò il sudore della fronte ed abbassò la sciarpa, prendendo una grossa boccata d’aria carica di salsedine. Fu in quel momento che udì i passi lenti, irregolari e rumorosi del Capitano: aveva appena messo il piede sano sul legno dell’imbarcazione, mentre trascinava vistosamente la protesi di osso di Oceanodonte che aveva al posto della gamba sinistra. Ian doveva ancora farci l’abitudine nel vedere quella sorta di artiglio animalesco, ma aveva già imparato a non mostrare alcun tipo di imbarazzo. Le frustate che aveva ricevuto l’Estate precedente lo avevano aiutato molto in questo. Il Capitano gli si avvicinò, appoggiandosi al parapetto e fissando l’entroterra dell’Isola. Si accese un sigaro in un batter d’occhio, volgendo poi lo sguardo al ragazzo. 
<< Le cime? >> 
<< Tutto apposto. Le ho saldate personalmente. >>
<< Le vele, hai visto se ci sono degli strappi? In cambusa hai ricontrollato l’inventario? Le fiocine e gli arpioni ci sono tutti? >> Il ragazzo annuì ad ognuna delle domande. << Bene. Avremo bisogno della migliore attrezzatura possibile per portare a casa qualche carcassa di Oceanodonti. Sai, il difficile non è arpionarli, insomma, sono grossi almeno cinquanta piedi, solo un cieco riuscirebbe a mancarli...il difficile è non farli immergere in profondità. Hanno sufficiente forza per far colare appicco intere Fregate, figuriamoci una Galea semplice come questa. Ti posso assicurare che non è un bello spettacolo. >>
<< Lo so, Capitano. L’ho letto sui libri di mio padre. >> Il Capitano scosse la testa e diede uno scoppola dietro alla nuca del ragazzo. 
<< Tu non sai un cazzo, Derart. Quest’estate abbiamo solo pescato merluzzi e piccoli cetacei, e non hai mai affrontato l’Oceano d’Inverno. Pensi che quegli straccetti che hai addosso basteranno a proteggerti dal freddo? E pensi che il freddo sia il problema maggiore? >> Ian si massaggiò la testa, cercando di trattenere qualche lacrima di dolore. Si alzò di scatto e si sporse a poppa, osservando l’enorme colonna di fiaccole e canti che penetravano nell’entroterra, fino a giungere sul promontorio del Santuario. Il Capitano lesse immediatamente i pensieri del giovane. << Sai...in tutti questi anni, posso dire di aver visitato quasi ogni angolo di questo mondo. Da piccolo ho esplorato ogni isola dell’Eisjord. Ho commerciato in ogni porto di ogni isola del Grande Arcipelago Centrale, viaggiando poi anche nelle Terre dei Fiori ad Oriente. La guerra mi ha portato nei campi di battaglia più inospitali e desertici del mondo, e fidati ragazzo, in alcune notti invernali ho visto cose sotto al pelo dell’acqua che ti auguro di non dover vedere mai in questa vita e nella prossima. Ma tra tutte le meraviglie che ho visto, niente batte il Canto di una Vergine dell’Oceano. Un vero e proprio miracolo...>> Ian iniziò ad aprire e chiudere forsennatamente il proprio coltello a scatto, rigirandoselo tra le dita come ogni volta che si sentiva nervoso. 
<< Era tua amica, vero? La Vergine. La figlia di Harold. >> Silenzio. Ian smise di giocare col proprio coltello. << Mi dispiace, ragazzo. Sebbene per noi sia un rito meraviglioso e propiziatorio...è sempre un colpo al cuore rendersi conto a quale Destino vanno incontro quelle fanciulle. >> 
<< Ho il permesso di congedarmi, Capitano? >> Disse velocemente Ian, con una serietà e grinta disarmante. Il Capitano sorrise sotto i baffi. 
<< Permesso accordato. La partenza è fra un’ora, non fare tardi. >>
Ian impiegò poco tempo ad attraversare la città e seguire il sentiero battuto per il Santuario. L’intera popolazione si era già radunata intorno al cerchio dei Menhir, in attesa dell’inizio della cerimonia. Il giovane riconobbe alcuni dei suoi compagni marinai festeggiare, brindare ed alzare le proprie fiaccole al cielo. Ian riuscì ad intrufolarsi in prima fila grazie alla sua stazza minuta, ma soprattutto per via della sua voglia di rivedere Han. Il vento gelido dell’Eisjord smise di colpo di soffiare. Un flebile raggio di luce illuminò la pietra dai contorni morbidi e levigati al centro del Santuario. Subito dopo Ian notò un drappo pallido sollevarsi da terra. Han camminava sicura verso la pietra, con un sorriso in volto ed il vestito completamente candido che le arrivava fino ai piedi nudi. Era ricoperta da anelli e collane runiche, mentre sui capelli dorati portava dei fermargli d’ambra scintillante. Ian quasi non la riconobbe. Rivisse in un solo istante tutti i momenti della sua infanzia spensierata trascorsi con Han, prima di vederla salire sulla pietra. La giovane respirò a pieni polmoni per tre volte, prima di sciogliere la propria voce. Il Canto venne fuori naturalmente. La melodia si alzò in aria, avvolgendo la folla come un vento caldo, sorreggendola e curando i loro mali, scacciando i brutti pensieri, spegnendo ogni fiaccola per poi risollevarsi ancora, verso il cielo. Viaggiò per tutta l’Isola, penetrando attraverso il terreno e arricchendo la terra, il bestiame, gli alberi già rigogliosi. Si tuffò dai promontori e dalle scogliere rocciose giù verso le acque tempestose, calmandole immediatamente. Banchi di pesci e cetacei e crostacei uscirono di colpo dall’acqua, ammassandosi sulla spiaggia del porto in attesa di essere raccolti dagli abitanti. Il Canto alla fine ritornò nel cerchio di Menhir, ritornò nella bocca di Han, ed il giubilo della folla lo accolse con gran vigore. Ian si asciugò le lacrime, assistendo per la prima volta in vita sua a quel miracolo degli Dei. Han strinse le mani di fronte al petto, chinando la testa in segno di rispetto a tutta la folla. Incrociò, quasi per sbaglio, lo sguardo di Ian. Il ragazzo non riconobbe affatto la sua amica d’infanzia. Quello sguardo era sereno, limpido ma completamente vuoto, privato di ogni emozione, di ogni scintilla d’umanità. Quella ragazza non era Han. Era una Vergine dell’Oceano. Una morsa gelida ed invisibile si sollevò dal promontorio e corse verso il cerchio di Menhir. Afferrò delicatamente Han, che chiuse gli occhi e sospirò per l’ultima volta, prima di venir trascinata giù dalla scogliera rocciosa, verso gli Abissi dell’Oceano.  
I marinai tornarono sopra alla barca in una fila ordinata, con giganteschi sorrisi sulle labbra e qualche barile carico di pesce salato in spalla. Ian salì per ultimo, mollando gli ormeggi dal pontile e ritirando la passerella. Una mano gli si appoggiò sulla spalla. Scorse con la coda dell’occhio il viso ingrigito del Capitano. 
<< Sei con me, ora? >> Ian annuì, deciso. << Bene, ragazzo. Sarà un lungo Inverno, questo, e l’ultima cosa che voglio è un mozzo in pena per una figa perduta che non fa il proprio lavoro. >> 
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Il Nuovo Mondo
La sensazione che Cristoforo Colombo provò quando sbarcò sulle coste dell’isola di San Salvador, quale mai potrebbe esser stata? Per dirla tutta, lui neanche sapeva di aver scoperto un nuovo continente: pensava di esser giunto nella costa più orientale delle Indie, di aver scoperto una nuova rotta per favorire i commerci tra Europa ed Asia passando dall’Oceano Atlantico, invece era appena sbarcato su un arcipelago dell’America. Per tutta la vita visse con la convinzione che quelle fossero le Indie, mentre già Amerigo Vespucci, anni dopo, esplorando ancor di più le coste sudamericane, diede il proprio nome a quelle terre, infangando così il nome del marinaio e gettandolo quasi nel dimenticatoio dei suoi contemporanei. Il povero Colombo morì pazzo, carico di sconforto e depressione, incapace e riluttante all’idea di accettare uno sbaglio nei suoi calcoli di navigazione, di accettare che aveva “trovato” il Nuovo Mondo anziché le Indie, il suo obiettivo primario. Ma tornando a noi, quali emozioni può aver provato il marinaio genovese mentre affondava il piede in quelle spiagge sabbiose? Sicuramente si sentiva realizzato, ottimista e soddisfatto della traversata, lunga e tortuosa. Si sentiva però un po’ stupito dalla natura selvaggia ed incontaminata del posto, tanto simile a quella dei nativi isolani, le cui capanne non erano d’oro come descritte nei testi degli esploratori antichi e medievali, ma di fango e foglie. Non sappiamo con la precisione quali furono le esatte impressioni di uno sbarco ormai entrato nella Leggenda. Eppure posso dire, con una naturale sicurezza in quanto essere umano, che di fronte ad una terra inesplorata, a nativi tutt’altro che simili agli Europei dell’epoca, ad un posto che annullava ogni sua previsione, Cristoforo Colombo non poté che provare una sola emozione, magari in una dose leggera, che però chiunque di noi proverebbe in una situazione simile: Paura. 
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(Primer homenaje a Cristóbal Colón, José Garnelo y Alda, 1892)
Di fronte all’Ignoto, l’Uomo non può far altro che provare Paura. Questa può paralizzarci, bloccarci dal compiere qualsiasi tipo d’azione, oppure può farci scattare all’attacco, inebriare ogni nostro senso e muscolo, in alcuni casi ancora può solamente renderci più attenti al mondo che ci apprestiamo a conoscere. Così siamo fatti, e probabilmente così rimarremo per l’Eternità, dal momento che non avremo mai la possibilità di cancellare l’Ignoto dalla nostra realtà. Certo, non siamo più nel XV Secolo, il nostro mondo non è più avvolto da una nebbia di guerra oscura che avvolge delle terre sconosciute, e soprattutto non tutti noi siamo degli esploratori, ma questo non significa che l’Ignoto non possa entrar a far parte delle nostre vite. Possiamo, e molto spesso dobbiamo, scoprire dei Nuovi Mondi con le nostre singole forze. E questi Nuovi Mondi ci spaventano, esattamente come quelle coste sabbiose ed incontaminate spaventarono un poco il famoso navigatore.
Al giorno d’oggi, potete pensare, cosa può essere un Nuovo Mondo per delle persone comuni? Beh, è una risposta piuttosto semplice: un Nuovo Mondo è quando dovete introdurvi in un ambiente che non conoscete, fare delle cose per la prima volta, relazionarvi ad altre persone che non avete mai visto...certo, queste cose non avranno lo stesso peso o importanza di scoprire l’America dopo una traversata di tre mesi nell’Oceano, ma per noi non sono ugualmente pericolose? Non ci provocano dentro di noi quella stessa, sottile scintilla di Paura che a volte ci spinge a fermarci mentre altre volte ci sprona a continuare? L’importanza e le dimensioni del Nuovo Mondo sono relative ad ognuno di noi, ma le sensazioni che proviamo sono le stesse per tutti.
Un esempio un po’ più pratico, direttamente preso dalla mia futura esperienza personale, è quello dell’inizio dell’Università: a breve inizierò un percorso scolastico in una nuova città che mi terrà occupato per ben tre anni, insegnandomi nozioni e lezioni che desidero apprendere per poter crescere a livello personale e culturale, in un ambiente totalmente sconosciuto per me, circondato da persone che dovrò imparare a frequentare o evitare, a seconda dei casi. Nonostante io stesso abbia deciso questo percorso, nonostante sappia che è questa la strada che voglio intraprendere per realizzare il mio sogno, non posso fare a meno di immaginarmi come un esploratore in attesa di sbarcare su una Terra Incognita, elettrizzato alla sola idea di poter scoprire meraviglie e bellezze a destra e a manca, ma allo stesso tempo carico di tensione negativa per ogni pericolo che potrei incontrare. Sono immerso nella Paura fin sopra i capelli, ma devo riuscire a mantenere uno sguardo temerario e focalizzarmi sul mio obiettivo, su quello che voglio fare, senza scoraggiarmi alla prima difficoltà. La Paura deve essere presente in ognuno di noi quando ci apprestiamo ad esplorare il nostro Nuovo Mondo, sennò come potremmo mai riuscire a reagire ai pericoli o agli imprevisti che incasineranno sicuramente il nostro piano ? Se posso, vorrei darvi un consiglio: accettate la Paura che s’insinua sotto le vostre ossa mentre vi accingete ad iniziare un nuovo capitolo della vostra vita. Il mio Nuovo Mondo mi attende, e la Paura mi guiderà al suo interno. Non sto più nella pelle. 
P.S: un consiglio musicale per la lettura di questo mio piccolo pensiero, o se semplicemente al momento non sapete cosa diamine ascoltare, è il Secondo Movimento della “Symphony From the New World”, di Antonín Dvořák, che compose in onore del suo primo concerto dopo che si trasferì in America, nel 1893. Penso sia adatta al tema di cui vi ho voluto parlare. 
https://www.youtube.com/watch?v=hOX15agZ3-0
-Riccardo
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What if Reality is nothing but some disease?
Chuck Palahniuk, Rant  
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