wolfman75
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Wolfman
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"L'oro si prova con il fuoco, gli uomini coraggiosi con le avversità."
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wolfman75 · 1 year ago
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Il termine enjo kōsai (traducibile come "appuntamento sovvenzionato" o "incontrarsi per un aiuto") indica un fenomeno sociale del Giappone contemporaneo, riguardante le studentesse tra i 12 e i 17 anni, ma anche le casalinghe, che in cambio di denaro o di regali sono disposte a frequentare di nascosto uomini adulti.
In pratica le ragazze/donne che praticano l'enjo kōsai sono da considerarsi delle escort a tutti gli effetti.
Il fenomeno apparve agli inizi degli anni novanta, quando i mass media nipponici iniziarono a interessarsi della giovane età delle ragazze e a domandarsi il perché di questo fatto.
Queste ragazze infatti provengono perlopiù da famiglie perbene e dispongono di una buona educazione, a differenza delle sukeban, le ragazze teppiste degli anni settanta.
Si può parlare, dunque, di prostituzione? A volte, purtroppo sì.
Infatti alcune ragazze si limitano ad accompagnare gli uomini ai locali di karaoke o al ristorante, altre si spingono oltre, arrivando ad avere rapporti sessuali.
Gli incontri avvengono tramite il computer, il telefono cellulare o i telekura. Gli uomini che frequentano le ragazze sono soprattutto professori, avvocati e i cosiddetti salaryman, ovvero uomini d'affari.
Talvolta il giro dell'enjo kōsai viene gestito da vere e proprie organizzazioni, le stesse che mettono in contatto i clienti con le ragazze fornendo loro numeri di cellulare, fotografie e quant'altro.
Non è un caso trovare attaccati alle cabine telefoniche dei quartieri 'a luci rosse' i biglietti da visita che ritraggono, spesso anche solo con un disegno in stile manga, le giovani prostitute, descrivendone il servizio offerto.
Biglietti che possono essere staccati da chiunque, per essere immediatamente rimpiazzati da personale apposito.
Gente che agisce per lo più nella clandestinità, ma al contempo sotto gli occhi di tutti.
Le ragazze spendono i soldi ricevuti principalmente in vestiti o borse firmate. Ma a parte questo, che cosa spinga un'adolescente a vendere il proprio tempo ed eventualmente il proprio corpo, è un mistero ancora da chiarire.
Abbiamo infatti appurato che queste ragazze non provengono da famiglie con problemi finanziari e non hanno problemi d'integrazione sociale, tutt'altro, ma il fenomeno è comunque in preoccupante espansione.
La polizia giapponese ha affermato che nel 1995 più di 5.000 ragazze tra i 14 e i 19 anni sono state fermate per problemi riguardanti la prostituzione, mentre nel 1996 nella sola città di Tokyo sono state fermate più di 1.000 studentesse.
Una ricerca del governo metropolitano di Tokyo ha appurato che il 3,5% delle studentesse delle scuole medie e il 4,4% delle studentesse delle scuole superiori ha praticato almeno una volta l'enjo kōsai.
Le cause di questo fenomeno potrebbero essere da ricercare anche in famiglia e nelle scuole.
Parlando di società giapponese, infatti, ci riferiamo a un ambito in cui una famiglia può difficilmente permettersi più di un figlio. Un tempo, il cosidetto 'nucleo familiare allargato' garantiva la sicurezza della solidarietà tra parenti, consigli e la trasmissione di valori che si stanno perdendo.
Come le famiglie europee, quelle giapponesi hanno sempre meno tempo da dedicare ai figli, prese come sono dal lavoro e dall'obiettivo del raggiungimento di una elevata posizione sociale. Nello stesso modo, e forse di conseguenza, anche il sistema educativo appare in crisi: le scuole giapponesi pretendono sempre di più, e qualsiasi errore viene mal tollerato: l'obiettivo è quello di ottenere sempre ottimi risultati, di frequentare le scuole migliori, superare gli esami per le università più prestigiose, trovare un lavoro che sia stabile, redditizio... e diventare ricchi.
Tutto questo sottopone gli studenti a un grado di stress che li porta e sfogare sui più deboli l'aggressività accumulata. Una tensione che sfocia in maltrattamenti verbali e, nei peggiori dei casi, fisici, e a isolare chi viene distinto come 'diverso': perchè non si comporta in un determinato modo o non possiede determinati beni che ne attesterebbero l'appartenenza a un gruppo piuttosto che alla massa anonima e standardizzata.
Da qui, probabilmente, il bisogno di chiudersi in casa, di non frequentare più la scuola, per rendersi invisibili; oppure, al contrario, la necessità di procurarsi, indipendentemente da come, quello che hanno gli altri. Per essere come loro.
L'enjo kōsai, dunque, forse è solo uno dei tanto modi in cui si manifesta una sofferenza che spesso dà risultati se possibile ancora più tragici: pestaggi a scopo di rapina o per divertimento, effettuati da bande di bambini, ai danni di anziani o barboni; delitti, suicidi. Esperienze che segnano non solo chi subisce violenza, ma anche chi le commette: guai con la legge che si ripercuotono su tutta una vita; problemi di coscienza per via di leggerezze che si sarebbero potute evitare. Le stesse giovani che si lasciano coinvolgere nel giro dell'enjo kosai non ne sono immuni, perchè quando si pentono d'essersi buttate via per motivi futili, per poter soddisfare un capriccio, calpestando la propria dignità per privilegiare il materialismo o entrare a far parte di un gruppo incapace di apprezzarle per ciò che sono... è già troppo tardi.
All'enjo kōsai ricorrono spesso le kogal, per ottenere i soldi necessari per i loro divertimenti.
Fonti: GiapponeOnline, Wikipedia, Gals Style
Personalmente penso che questo sia il risultato del voler "apparire" piuttosto che "essere", e che sia un fenomeno a cui la società ti COSTRINGE con forza, soprattutto se sei così giovane, cercando di farti credere che se non hai determinate cose, oggetti, stile, giri di amicizie, non appartieni alla società stessa.
Questo fenomeno di "coercizione" è presente anche in Italia, non solo in paesi così lontani come il Giappone.
Autrice del forum: @adaralbion
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wolfman75 · 1 year ago
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Soprannomi Il Macellaio di Berlino
Nascita Neuruppin, 13 dicembre 1863
Morte Berlino, 5 luglio 1922
Vittime accertate 26+
Vittime sospettate 50+
Periodo omicidi 1899 circa; 1913 - 21 agosto 1921
Luoghi colpiti Quartiere di Friedrichshain
Metodi uccisione Assalto con un'ascia, decapitazione, macellazione
Altri crimini Stupro, molestie, occultamento di cadavere
Arresto 21 agosto 1921
Provvedimenti Condanna a morte; si impiccò in cella
Periodo detenzione 21 agosto 1921 - 5 luglio 1922
Carl Großmann (Neuruppin, 13 dicembre 1863 – Berlino, 5 luglio 1922) è stato un assassino seriale tedesco, forse il più attivo insieme a Karl Denke.
Avrebbe totalizzato 50 vittime (di cui almeno 26 realmente accertate), cosa che gli ha valso il soprannome di “Macellaio di Berlino”.
Carl Friedrich Wilhelm Großmann nacque a Neuruppin, una zona vicina a Berlino, il 13 dicembre del 1863; della sua infanzia non si sa molto. Presumibilmente nacque in una famiglia poco abbiente, considerando che suo padre era un umile straccivendolo.
Già da piccolo per motivi sconosciuti sviluppò una spiccata tendenza al sadismo e alla perversione sessuale che lo portarono più volte a molestare e violentare i coetanei.
Tra il 1879 e il 1895 visse come mendicante a Berlino e nel 1899 fu arrestato per crimini sessuali.
La sua prima vittima fu una bambina di 4 anni.
Dopo essere uscito dal carcere nel 1913 si trasferì in un piccolo appartamento nel povero e malfamato quartiere di Friedrichshain a Berlino, dove visse quasi tutta la sua vita.
Spinto dal sadismo e dal guadagno (rivendeva la carne delle vittime nei mercati), commise tutti gli altri omicidii durante il difficile clima della prima guerra mondiale.
Il suo modus operandi era il seguente: dopo alcune bevute abbordava nei locali di infimo rango o alla stazione o in una piazza chiamata “Andreasplatz” delle prostitute; poi le portava nel suo appartamento e, dopo averci fatto sesso, le uccideva a colpi di ascia, le decapitava e infine le macellava.
I pezzi che gli sarebbero serviti più avanti li selezionava e conservava; il resto, composto in prevalenza da ossa, lo buttava in un canale.
I “pezzi utili” venivano infine cucinati e usati per riempire dei panini che il giorno successivo avrebbe venduto vicino alla stazione.
I clienti li comperavano e li mangiavano: così facendo occultavano le prove. Essendo inconsapevoli apprezzavano il sapore della carne e spesso chiedevano a Großmann dove l'avesse comprata, ma lui evitò di iniziare a fare discorsi pericolosi.
Solo alcune volte mentì, dicendo che la carne proveniva da alcuni fornitori. L'attività era florida e la vendita di hot-dog alla carne umana gli assicurava da vivere.
Esaurita la carne e volenteroso di fare violenza, Großmann ricominciava.
Non tutta la carne che accumulava la dava ai clienti, ma ogni tanto la vendeva al mercato nero.
Inizialmente le sue vittime erano prostitute, poi passò ad adolescenti e ai bambini; infine arrivò ai cani e ai gatti.
Le prostitute, a differenza dei bambini, attiravano meno l'attenzione dell'opinione pubblica e della polizia, specialmente durante il periodo storico della Grande Guerra.
Gli omicidii iniziarono nel 1913 circa e finirono nell'agosto del 1921.
Durante tutto questo periodo i vicini di Großmann, sebbene fossero spaventati da una presenza così tetra, introversa e misteriosa come la sua non sospettarono molto di lui.
Essi furono allertati solo quando videro che molte delle prostitute che entravano nel suo appartamento non ne uscivano mai.
Inoltre di notte sentivano spesso dei forti rumori provenire dalla sua abitazione; ma non vollero mai chiamare la polizia, in quanto non volevano intromettersi nella vita di una persona che reputavano strana e pericolosa.
Nel 1918 Großmann rapì un bambino che si trovava solo e lo violentò; lo lasciò andare, minacciandolo di morte nel caso in cui avesse riferito il fatto a qualcuno.
Lo stesso giorno il bambino tornò dai genitori e raccontò loro il fatto, che arrivò alle orecchie dei poliziotti.
Dal suo racconto raccolsero anche un identikit dell'aggressore.
Il modus operandi di quest’ultimo fu così collegato ad una serie di corpi ritrovati in un canale nello stesso periodo.
Altri ritrovamenti risalgono a due anni dopo, quando un gruppo di ragazzi trovò altri due corpi decapitati e sventrati sotto un ponte e un vagabondo reperì altri tre corpi, tutti appartenenti a prostitute.
Le vittime in totale erano svariate decine, attorno alla trentina.
La polizia cominciò a fare interrogatori e ricerche, ma senza successo.
Il 21 agosto 1921 i vicini udirono dall'appartamento di Großmann alcune grida e forti rumori, che dopo pochi attimi cessarono. Spaventati, decisero finalmente di chiamare le autorità.
La notte stessa gli agenti entrarono in casa sua: trovarono su un letto il cadavere di una prostituta morta da poco e diverse chiazze di sangue per la casa, che indicavano la presenza di altre 3 persone, che non trovarono in quanto già cucinate e vendute.
La polizia, che aveva abbastanza prove, lo arrestò con l'accusa di omicidio di primo grado e lo portò in centrale. Non confessò nulla agli agenti, ma fu ugualmente collegato alle ultime sparizioni e ai numerosi ritrovamenti.
La soglia delle vittime sospettate si alzò a 50.
Großmann fu processato.
Il suo atteggiamento, definito “irritante”, non fece altro che rendere più lungo il processo e stizzire il pubblico.
Venne trovato colpevole di 26 omicidi dei 50 di cui era fortemente sospettato e condannato a morte.
Lui accolse il verdetto iniziando a ridere.
Non poté mai essere giustiziato, in quanto si impiccò in cella il 5 luglio 1922, prima della data dell'esecuzione.
Aveva 58 anni.
Il suo suicidio, insieme all'assenza di una sua confessione, lasciò in sospeso alcuni punti oscuri della sua vicenda, ad esempio il numero totale degli omicidii.
I suoi crimini sono simili a quelli di un suo contemporaneo, Karl Denke, anch'esso cannibale: invitava i vagabondi in casa sua per poi ucciderli con un'ascia e dissezionarne i corpi; la carne veniva venduta al mercato locale. Arrestato, fece una breve confessione e si impiccò in cella nel 1924. Sia Carl Großmann che Karl Denke abitavano nella Slesia. Entrambi divennero parte della cultura popolare.
•La stessa cosa si può dire per Fritz Haarmann, un omosessuale che attirava i giovani ragazzi nel suo appartamento per poi ucciderli mordendoli alla gola. La loro carne veniva venduta al mercato nero. Haarmann però prediligeva i ragazzi alle prostitute; inoltre non si impiccò in cella ma fu condannato alla pena capitale nel 1925.
•Großmann fu sospettato dell'omicidio di una nobildonna russa dell'epoca, chiamata Anastasia. Essa, dopo essere fuggita da un plotone d'esecuzione, avrebbe assunto l'identità di una contadina polacca e si sarebbe fatta chiamare Franziska Schanzkowski. Questo fu anche il nome di una della vittime uccise da Großmann nel 1920. Ma questa ipotesi è molto debole e poco fondata, forse frutto della cultura popolare creatasi attorno al killer e della stampa dell'epoca.
Fonte: https://darkgothiclolita.forumcommunity.net/?t=56405520
Autrice dell'articolo: @Valene
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wolfman75 · 1 year ago
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Nome completo: Friederich Heinrich Karl Haarmann
Soprannome: Il vampiro di Hannover, il macellaio di Hannover
Nato il: 25 Ottobre 1879
Morto il: 15 Aprile 1925
Vittime accertate: 27
Vittime sospette: oltre 50
Modus operandi: adescava con vari pretesti ragazzini che uccideva durante rapporti omosessuali, spesso azzannandoli alla gola. Si disfaceva dei cadaveri spacciando la carne per suina. Probabili episodi di cannibalismo.
Fritz Haarmann è, insieme a Peter Kurten e Karl Grossman, uno dei serial killer tedeschi più famosi di tutti i tempi. Anche lui, come i suoi due "compari" di malefatte, ha agito prevalentemente agli inizi del XX secolo e ha mostrato una spiccata predilizione per le pratiche legate al cannibalismo e all'emofagia.
Fritz Haarmann nasce ad Hannover nel 1879. È il sesto figlio di una famiglia molto particolare: il padre è un ferroviere scontroso e dal carattere chiuso, tanto da essere soprannominato dai compagni "Olle l’imbronciato", e la madre è di sette anni più vecchia di lui ed è autoritaria e invalida: passerà gli ultimi 12 anni della sua vita senza potersi alzare dal letto.
Sin da piccolo, Haarmann si lega molto di più a lei che al padre, che non ha rapporti con nessuno, neanche in famiglia, e passa gran parte del suo tempo a bere nelle osterie. Vivendo in simbiosi con la madre, il bambino cresce manifestando una tendenza all’omosessualità: gioca con le bambole e si comporta in maniera ambigua, travestendosi spesso da donna.
A 16 anni, il padre, infastidito dai suoi modi effeminati, lo spedisce in una scuola militare dove però Haarmann rimane ben poco, a causa di marcati sintomi di epilessia.
Congedato e ritornato ad Hannover, non passa molto tempo prima che Haarmann venga accusato di aver molestato un ragazzino più piccolo di lui: viene chiuso in un istituto psichiatrico dove è giudicato frenastenico, alienato e socialmente pericoloso.
Ne scappa dopo soli 6 mesi di permanenza.
Di nuovo ad Hannover, Haarmann passa il resto dell’adolescenza in contrasto con il padre: quest’ultimo lo ritiene pazzo e vuole rinchiuderlo in un manicomio. Fritz lo accusa di un omicidio di un macchinista mai avvenuto per allontanarlo da casa e ben presto entra a far parte di giri malavitosi compiendo furti e rapine.
Il periodo difficile sembra finire quando instaura una relazione con una ragazza, Erna Loewert, ma l’illusione dura poco: quando viene a sapere che la ragazza è rimasta incinta la abbandona per arruolarsi nell’esercito, nel 1900.
Anche qui Haarmann ha continui problemi. Dopo un primo periodo in cui viene addirittura segnalato come uno dei migliori fucilieri della compagnia, dopo una caduta in un'esercitazione presenta gli stessi problemi che aveva avuto durante il periodo di permanenza nella scuola militare. Soffre di vertigini, spesso ha frequenti crisi e i medici militari lo giudicano affetto da schizofrenia giovanile. Nel 1903 viene congedato onorevolmente per le sue doti di tiratore e per il suo comportamento e lui ricomincia la solita vita dissoluta divertendosi a molestare frequentemente ragazzini.
Si presenta come un ragazzo instabile, pieno di complessi, e nonostante fosse nato in una famiglia benestante, non riesce mai a sfruttare tutte le occasioni di lavoro che il padre trova per lui. Fallisce come apprendista fabbro e torna in strada. Viene rimandato più e più volte a scuola, senza successo. Viene allontanato da diversi datori di lavoro per quella sua aria indifferente e distratta.
Nel 1914 il tribunale di Hannover lo condanna a 5 anni di carcere per un furto in un deposito. In prigione Haarmann si comporta da detenuto modello e riesce a ottenere la libertà condizionata nel 1917, ma una volta fuori dal carcere si unisce a una banda di trafficanti, mentre contemporaneamente collabora come informatore per la Polizia.
D’ora in poi si spaccerà spesso per "l'agente Haarmann".
Siamo nel 1918. Friedel Rothe scappa di casa dopo aver litigato aspramente con i suoi genitori. Il ragazzo, insieme a due amici, Helmut e Hans, incomincia a vivere alla giornata. Mentre tutti e tre stanno bevendo una bibita in un bar, Fritz Haarmann si avvicina loro spacciandosi per un agente giudiziario, ma il suo fine è ben chiaro: per diverse volte i ragazzi, in cambio di qualcosa da mangiare, lo seguono nel bosco per soddisfare le sue esigenze omosessuali.
Una sera, però, Friedel segue Haarmann fino al suo appartamento, al numero 27 della Cellestrasse. Quest’ultimo vuole subito avere un rapporto con il ragazzo, ma nel corso dell’atto si dimostra violento e irruente, fino a sconfinare nell’orrore in preda alla sua passione e ad azzannare la gola di Friedel. Haarmann serra sempre di più la mascella imprigionando il respiro del ragazzo che man mano si fa più lieve. Prova piacere e inquietudine quando ingoia il sangue della sua vittima, e quando Friedel esala l’ultimo respiro si sente confuso ma allo stesso tempo soddisfatto.
Haarmann non sa perché lo abbia fatto, né sa dire se si senta in colpa o se si senta eccitato dal suo gesto: è ancora troppo sconvolto.
Ma gli è piaciuto.
Sistema il cadavere sul pavimento e con i suo attrezzi da macellaio lo sventra e mette le sue viscere in un secchio. Taglia gli arti, il membro e la testa al cadavere e asciuga il sangue a terra con dei vecchi stracci. Svuota il secchio nella Leine, il fiume di Hannover , conserva la testa e vende e regala ai vicini di casa il resto del corpo spacciandolo per carne suina.
La scomparsa di Friedel mobilita la Polizia che ben presto arriva a far visita all’appartamento di Haarmann, che viene scoperto mentre sta molestando un ragazzino di 14 anni. Sia lui che il giovane vengono arrestati per atti di offesa al pudore e all’onore sessuale, ma è fortunato: sotto la stufa, incartata con dei giornali, giace ancora la testa mozzata di Friedel e i poliziotti non se ne accorgono.
Dopo un breve periodo in carcere, una volta uscito Fritz Haarmann deve cercarsi una nuova sistemazione: ne cambia parecchie, perché i padroni di casa lo cacciano sempre dopo poco, infastiditi dai frequenti incontri che lui organizza a casa con numerosi ragazzini minorenni. Finalmente, dopo una lunga ricerca, egli si sistema al numero 47 della Nikolstrasse.
Nel 1919 Haarmann ha quarant'anni e conosce Hans Grans, un ragazzo di bell’aspetto, alto, snello e con i capelli biondi. Lo avvicina per una prestazione sessuale: Hans è scappato di casa e sono giorni che non ha un riparo e da mangiare, e così accetta. Haarmann lo accoglie nel suo appartamento e se ne innamora. I due iniziano a frequentarsi spesso, fino a diventare quasi una coppia stabile ma, per evitare gli sguardi dei vicini e le voci che girano sul loro conto, sono costretti a cambiare più volte sistemazione per trovare maggiore tranquillità per il loro amore incompreso.
La ricerca di un tetto sotto cui stare, dopo varie sistemazioni precarie, finisce nel 1921, quando si stabiliscono nel numero 8 della Neue Strasse, un quartiere buio e mal frequentato dove ben presto diventano il punto di ritrovo e di appoggio di tre prostitute: Elli, Anni e Dorchen, delle quali diventano buoni amici.
C’è un gran giro di persone che veleggia attorno a quel palazzo, si intrecciano vari tipi di commercio, quasi misteriosamente. Fritz Haarmann è sempre pieno di vestiti e di carne ed è sempre pronto a regalare la sua merce ai vicini o a venderla alla stazione. Macellaio? Commerciante? Protettore? Chi è Fritz Haarmann?
I vicini non sanno dargli una connotazione precisa, ma lui si comporta bene, è sorridente e si chiude un occhio per i suoi comportamenti e per le sue attività misteriose. Inoltre i tempi sono tremendi, la vita è sempre più insostenibile, l’inflazione in Germania lascia poco spazio a questi pensieri e i regali del caro signor Haarmann sono come manna dal cielo...
Fritz Haarmann: la bacinella sospetta
Hannover, 1923. Fritz Franke arriva in città con Paul, un amico, con l’intenzione di ripartire subito per Berlino. I due ragazzi arrivano alla stazione e chiedono informazioni a un agente di polizia: l’agente Haarmann!
Questi lascia andare Paul a un ostello e porta a casa con sé Fritz. Hans Grans, a cui ha detto di voler restare solo quella notte, conosce i piani di Haarmann e sa cosa sta per succedere al giovane berlinese: cerca di parlarne con Dorchen, ma lei non capisce di cosa lui stia parlando e la discussione finisce lì.
Il giorno seguente, la stanza sulla Neue Strasse è chiusa a chiave e ha le finestre sbarrate. All’interno si sentono rumori di seghe e mannaie: Haarmann sta lavorando sul corpo di Fritz. Lo stende per terra e lo squarta, mette le viscere nel secchio, taglia la testa e gli arti, e dopo aver sminuzzato i resti li conserva in una busta. Pulisce tutto e chiama Hans: ha nuovi vestiti da vendere alla stazione.
E nuova carne.
Hans, che non riesce più a sopportare la situazione, prova a parlare nuovamente con Dorchen, ha una gran voglia di raccontare tutto: le dice che il ragazzo di Berlino ha fatto una brutta fine. La prostituta non ci crede: conosce anche lei Haarmann, sa che è un tipo strambo ma non se lo immagina a uccidere ragazzi.
Ma c’è un particolare che la insospettisce: una bacinella piena di carne sotto il lavabo della stanza.
Quando non c’è nessuno in casa, insieme a Elli ne prende un pezzo e lo porta a far esaminare alla centrale di polizia di Hannover. Gli agenti però non danno credito a due prostitute e le allontanano bruscamente.
Sospettare di Haarmann? Il loro informatore? Impossibile...
20 marzo 1923. L’agente Haarmann offre riparo ad un giovane apprendista, Wilhelm Schultze, 16 anni. Wilhelm non torna più a casa.
23 maggio 1923. Il quindicenne Ronald Huch incontra l’agente Haarmann e si fida di lui. La sua carne viene regalata ai vicini di casa.
30 maggio 1923. È il turno del tredicenne Ernst Ehremberg. Ernst è scappato di casa per sfuggire alle punizioni del padre e segue l’agente Haarmann che si offre di proteggerlo. Si perdono le sue tracce.
Il viavai di ragazzini intorno al numero 8 della Neue Strass inizia a essere sospetto: tutti quei sacchi di carne non si sa da dove arrivino. Fritz Haarmann capisce che forse è meglio cambiare aria. La padrona di un ristorante sulla Rothe Reine numero 2 ha una stanza libera nel palazzo, è un affare e lui non se lo lascia scappare.
24 agosto 1923. Heinrich Struss, 18 anni esce di casa nel pomeriggio, incontra l’agente Haarmann e non fa più ritorno a casa.
24 settembre 1923. Tocca a Paul Bronischewski, un ragazzo di Graz che fa tappa ad Hannover e lì rimane.
29 settembre 1923. Richard Graf , 17 anni, sta cercando un lavoro per scappare dalla vita infame che è costretto a fare. L’agente Haarmann ce l’ha un posto per lui. Nella Bacinella.
12 ottobre 1923. Wilhelm Erdner, 16 anni, segue di buon grado l’agente Haarmann. La sua ultima tappa è la Rothe Reine numero 2.
24 ottobre 1923. Christoph Wolf, 15 anni, è per strada a fare delle commissioni con il fratello maggiore, si allontana per andare in bagno e non ritorna più.
Anche i nuovi vicini di Haarmann si accorgono che c’è qualcosa che non va. I secchi pieni di viscere, le buste nere che lui trascina fuori dalla stanza, i ragazzini che porta sempre con sé e tutta quella carne che regala sempre come si spiegano?
Nessuno lo sa. Nessuno osa pensare.
Fritz è un brav'uomo, generoso e, a parte il baccano che fa con le seghe e le accette a notte fonda, non dà nessun tipo di problema. Ma il sospetto rimane...
10 novembre 1923. Adolf Hannappel, 17 anni, viene dalla campagna per lavorare in fabbrica. Nessuno lo vedrà mai arrivare in città. A parte l’agente Haarmann.
6 dicembre 1923. Adolf Hennies ha 19 anni e ha voglia di cambiare vita, vuole realizzare i suoi sogni, diventare importante, ma incontra Haarmann e scompare per sempre.
5 gennaio 1924. Ernst Spiecker, 17 anni, gironzola per strada per svolgere alcune commissioni in tribunale. Alla stazione incontra un simpatico agente dal viso sorridente. La sua carne verrà regalata al ristorante sotto casa.
15 gennaio 1924. Heinrich Koch ha 19 anni e frequenta il giro degli omosessuali ad Hannover: incontra un uomo che gli promette una somma sostanziosa per un rapporto sessuale e accetta. Haarmann getterà i suoi resti nella Leine.
2 febbraio 1924. Willi Seger, 19 anni, è un teppistello che si prostituisce per guadagnare qualche soldo. Il suo ultimo cliente è Haarmann.
8 febbraio 1924. Hermann Speichert incontra a 16 anni il suo carnefice. E finisce nella Leine in un sacco di plastica nero.
Haarmann ormai è conosciutissimo nel quartiere, ha sempre qualcosa da regalare ai vicini, scarpe, cappotti, camicie, ha un guardaroba vastissimo ed è sempre cordiale con tutti. Certo, si sa che non è un tipo "normale", che è omosessuale, ma invece di gridare allo scandalo i vicini lo sopportano, tanto è innocuo...
6 aprile 1924. Alfred Hogrefe, 17 anni, è povero ma di bell’aspetto. Quando l’agente Haarmann gli offre del denaro per stare un po' con lui accetta. Una, due, tre volte. Poi non torna più a casa. 21 aprile 1924. Hermann Bock ha 22 anni: bazzica spesso la stazione e conosce Haarmann perché a volte lavora per lui. Un giorno lo segue a casa sua e nessuno più ha notizie di lui.
26 aprile 1924. Haarmann si infatua di un giovane omosessuale, Robert Witzel: lo porta a casa e durante il rapporto sessuale gli azzanna la gola soffocandolo. Deprezza il cadavere e lo getta nella Leine.
9 maggio 1924. Heinz Martin scappa dalla sua cittadina di periferia e arriva ad Hannover, dove conosce alla stazione l’agente Haarmann, che lo porterà con sé a casa per ucciderlo e depezzare il suo cadavere e venderlo al mercato.
24 maggio 1924. Scompare Fritz Witting. Esce di casa per cercare un lavoro e non vi fa più ritorno.
26 maggio 1924. Haarmann non riesce a placarsi e adesca un bambino di 11 anni, Friederich Abeling, promettendogli dei regali. Friederich però non ottiene nessun giocattolo: i resti del suo cadavere vengono gettati in uno stagno.
5 Giugno 1924. L’apprendista fabbro Frederich Koch di 16 anni non torna più da scuola. L’agente Haarmann l’ha portato con sé.
14 giugno 1924. L’ultima vittima di Haarmann è Erich De Vries, 17 anni. Erich è rimasto chiuso fuori di casa e chiede aiuto all’agente Haarmann, che lo porta con sè nella stanza sulla Rothe Reine numero 2. Sparisce nel nulla come tutti gli altri.
Il 17 maggio 1924 un gruppo di bambini che gioca vicino al castello di Hannover trova un teschio umano.
Il 29 dello stesso mese il fiume Leine porta alla riva altri pezzi di cadaveri.
Scatta il panico in città, ma le autorità investigative placano la folla spiegando che probabilmente i resti provengono dall’istituto anatomico di Gottinga. La spiegazione è plausibile e i cittadini si tranquillizzano.
Pochi giorni dopo, però, sempre nei pressi del fiume Leine emergono altre teste.
Ben presto si collegano i corpi emersi al grande numero di ragazzi scomparsi. La polizia decide di prosciugare il fiume e il risultato è sconvolgente: sul suo letto vengono ritrovate circa 500 ossa appartenenti ad almeno 12 corpi diversi.
È caccia al mostro.
Haarmann non è sospettato, ma il 23 giugno 1924 si presenta alla polizia per consegnare un giovane di 15 anni, Karl Fromme: non ha voglia di ucciderlo, vuole solo fargli passare qualche brutta ora. Quando arriva alla stazione di polizia però Fritz Haarmann viene accusato dal ragazzino di averlo molestato sessualmente e di colpo diventa il sospettato numero uno per la catena di delitti.
Durante gli interrogatori, egli si contraddice spesso, ma riesce a cavarsela senza troppa difficoltà spiegando che il gran numero di vestiti che possiede è dovuto al fatto che è un commerciante e contrabbanda ingenti capi d’abbigliamento.
È troppo effeminato per essere un assassino, pensano gli agenti, e infatti Haarmann appare più come una donna che come un uomo: sbatte le ciglia, cammina in modo strano.
Ma i genitori di Robert Witzel, scomparso il 26 aprile, si accorgono che Haarmann ha addosso il cappotto del figlio.
Dopo una perquisizione, gli agenti scoprono che nella tasca del soprabito ci sono ancora i documenti del giovane Robert.
Haarmann viene allora incarcerato.
Il processo incomincia il 4 dicembre 1924 e dura 14 giorni.
Haarmann è accusato di 23 omicidi e a difenderlo c’è solo un avvocato assegnatogli d’ufficio, dopo che tutti gli altri disponibili avevano rifiutati l’incarico. Il procedimento giudiziario viene pubblicizzato il meno possibile, perché con esso viene messa in dubbio la serietà e la professionalità della polizia tedesca che nei confronti degli omicidi si era comportata sempre con inerzia, quasi dando il via libera ad Haarmann.
L’imputato riconosce subito i suoi omicidi, ma a volte collabora aggiungendo altri particolari e altre invece cerca di scaricare le colpe sul suo compagno Hans.
Altre volte ancora, poi, da innamorato cerca di difenderlo da ogni tipo di condanna. Il suo comportamento è sempre freddo e distaccato: un minimo segno di cedimento lo accusa solo quando la madre di una vittima riconosce gli abiti insanguinati del figlio e colta da crisi sviene sotto gli occhi del giudice.
Durante il processo ha un ruolo non indifferente il filosofo e psichiatra Theodor Lessing. Questi sostiene che il comportamento delle forze dell’ordine nei confronti del caso Haarmann è stato deplorevole e accusa con foga sia il sistema di polizia tedesco, corrotto e inutile, che la teoria di quegli psichiatri che ritenevano Haarmann una persona normale, sebbene crudele. Secondo Lessing, invece, Haarmann aveva delle turbe sessuali che lo portavano a desiderare la morte dei suoi compagni.
Lo stesso Haarmann durante il processo ammette che per lui era più facile uccidere quando amava una persona e la sofferenza e la morte delle persone amate o desiderate gli procuravano un piacere fisico che gli impediva di placare la sua follia omicida.
Il processo si conclude il 19 dicembre 1924. Haarmann viene giudicato colpevole di 24 omicidi e condannato a morte. Anche Hans viene condannato a morte, per istigazione all’omicidio di due vittime. Haarmann accetta la sentenza senza battere ciglio, mentre il suo amante ricorre in appello e riesce a farsi commutare la pena in soli 12 anni di carcere.
Il 15 aprile 1925, Fritz Haarmann viene ghigliottinato nella prigione di Hannover. La sua testa è ancora conservata nell’università di Gottingen e il suo corpo seppellito nel cimitero di Hannover.
Prima di morire aveva chiesto: "Seppellitemi al centro del mercato e scrivete sulla lapide: Qui giace Haarmann, l’omicida di massa."
Non è stato per fortuna accontentato.
Ma Haarmann è stato comunque pubblicamente ricordato dal regista Fritz Lang nel suo film thriller del 1931 M, il mostro di Dusseldorf. La pellicola, considerata uno dei capolavori dell'espressionismo tedesco, vede il personaggio principale del film, un malato serial killer interpretato da Peter Lorre, ispirato proprio a lui e a Karl Grossman.
Fonte: http://www.latelanera.com/serialkiller/serialkillerdossier.asp?id=FritzHaarmann&pg=4
Autore dell'articolo: @francescopetrullo
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wolfman75 · 1 year ago
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Nei campi di concentramento nazisti, venne effettuata sperimentazione umana usando come cavie i deportati. Tali esperimenti sono stati ritenuti crudeli, al pari di quelli operati nello stesso periodo dall'Unità 731 dell'esercito giapponese, e per questo medici e amministratori coinvolti furono condannati per crimini contro l'umanità in alcuni Processi secondari di Norimberga. I fini dichiarati erano in molti casi quello di verificare la resistenza umana in condizioni estreme o di sperimentare degli antinfiammatori, ma in alcuni casi i fini non sono riconducibili ad altro che alla perversione del personale medico. Di seguito alcuni esempi tra gli esperimenti condotti con maggiore frequenza.
L'obiettivo dichiarato era quello di studiare le possibilità di salvare un soggetto in caduta da grande altezza. Le domande a cui i medici volevano rispondere erano dunque: può un soggetto lanciatosi con paracadute dall'aereo in fase di volo, o comunque da un'altezza superiore ai 10 km, salvarsi? Quanto resiste un soggetto senza la pressione atmosferica cui è naturalmente abituato? Quali sono le reazioni fisiche di un soggetto a cui si è tolta la pressione atmosferica e in definitiva l'ossigeno? Quali sono le conseguenze nel caso in cui si salvi?
Il dottor Sigmund Rascher, capitano medico della Luftwaffe, ebbe un ruolo di primo piano in questo progetto di sperimentazione, anche per la qualifica che ricopriva, si trovava ad essere in diretto contatto con Heinrich Himmler, dal quale si fece rilasciare l'autorizzazione a procedere. Tali esperimenti vennero condotti su prigionieri del lager di Dachau. I deportati venivano chiusi dentro una stanza in cui veniva abbassata gradualmente la pressione atmosferica, fino ad arrivare alla completa mancanza di ossigeno e alla loro morte. Si ricostruiva in questo modo la caduta di un paracadutista da 12–13 km di altezza. I risultati dovevano verificare o smentire le varie teorie di salvataggio di un soggetto in caduta libera con paracadute (evidentemente l'interesse dell'esperimento era rivolto a quei militari di aviazione che potevano trovarsi in situazioni tali da rendere necessario doversi buttare dall'aereo in fase di volo).
Il dottor Sigmund Rascher seguì anche gli esperimenti sull'ipotermia di cavie umane. L'obiettivo e la condizione da ricostruire erano direttamente legati e conseguenti all'esperimento precedente, ossia: a che condizioni un soggetto gettatosi da un aereo in volo e precipitato in acqua fredda si può salvare? Quanto impiega un soggetto in acqua fredda a morire di congelamento? Ci sono possibilità che un corpo si rianimi dopo l'esposizione prolungata al freddo? Come? Con quali conseguenze? Si ricostruivano, così, le varie possibili conseguenze e le varie possibilità di salvezza. Il dottor Sigmund Rascher ebbe, anche in questo caso, un ruolo di primaria importanza. I deportati che erano stati sottoposti alla selezione e che erano stati scelti per questo progetto venivano immersi in vasche di acqua gelata (gli esperimenti prevedevano che l'acqua fosse ad una temperatura iniziale di 5,2 °C fino a scendere a 4 °C) per un periodo prolungato (fino ad un massimo di 95 minuti). Quando i deportati non morivano dentro la vasca (evento piuttosto raro), i medici indagavano se la rianimazione di esseri umani assiderati fosse più proficua mediante calore animale o mediante medicinali e/o procedimenti fisici. La temperatura corporea dei deportati immersi in acqua si aggirava fra i 21 °C ed i 29 °C, ma alcuni documenti dei medici riportano di deportati che non morivano ancora quando la temperatura scendeva fino a 4 °C. Le vittime venivano quindi poste in un letto e legate strettamente a una o due donne nomadi completamente nude, che facevano per ore (talvolta per giorni) da stufe umane per fare loro riprendere conoscenza. La percentuale di sopravvivenza era relativamente elevata, ma i prigionieri soffrivano poi di disturbi cardiocircolatori e di altre patologie.
Inoltre, in altri esperimenti i soggetti venivano spogliati e poi lasciati all'esterno a temperature estremamente basse per diverse ore, spesso fino al totale congelamento corporeo.
Dal febbraio 1942 all'aprile 1945, nel campo di concentramento di Dachau, furono condotti vari esperimenti atti a investigare le caratteristiche e il trattamento della malaria. Più di 1200 soggetti sani non volontari furono infettati con il morbo attraverso il morso di zanzara o iniezione di ghiandole mucose di zanzare femmine. Più di metà dei pazienti è deceduta in seguito agli esperimenti, e molti tra i sopravvissuti hanno contratto disabilità permanenti.
Tra il settembre 1939 e l'aprile 1945, nei campi di Sachsenhausen, Natzweiler e altri, furono condotti esperimenti per investigare gli effetti sul corpo dell'iprite, noto anche come gas mostarda, e studiare possibili trattamenti delle ferite da esso inflitte. I soggetti venivano deliberatamente sottoposti al gas, riportando così gravi ustioni chimiche, spesso mortali.
Nel campo di Ravensbrück, dal luglio 1942 al settembre 1943, furono condotti vari test per studiare gli effetti della sulfanilamide sulle ferite, al fine di farne uso sul campo di battaglia. Ai soggetti venivano anzitutto inflitte ferite, legando anche i vasi sanguigni ad entrambe le estremità della lesione, così da impedire la circolazione del sangue e simulare una condizione simile a quella d'un soldato ferito. Le ferite venivano poi infettate con vari tipi di batteri, come lo streptococco, la gangrena gassosa o il tetano. Infine, le lacerazione poteva essere aggravata da trucioli di legno o vetro smerigliato. Tali esperimenti portavano a condizioni di estremo dolore e intensa agonia, spesso culminanti nella morte.
Dal settembre del 1942 al dicembre del 1943, nel campo di Ravensbrück, furono condotti vari esperimenti per studiare la rigenerazione di ossa, muscoli e nervi, come anche il trapianto di arti. Durante i trattamenti, alle vittime furono rimossi ossa, muscoli e nervi senza alcun uso di anestesia, causando immenso dolore nonché danni fisici permanenti.
Nel campo di Dachau, nel breve periodo compreso tra luglio e settembre del 1944, gli scienziati nazisti condussero vari test per rendere potabile l'acqua marina. Ciò avveniva deprivando i pazienti di ogni sorta di alimento, costringendoli a ingerire esclusivamente acqua di mare in precedenza modificata chimicamente. Ancora una volta, l'esperimento portò a profondo dolore fisico tutti coloro che ne furono coinvolti.
Questo tipo di esperimento fu condotto su esseri umani in due località, nel lager di Buchenwald (nello specifico, nel block 46) e nel lager di Natzweiler-Struthof, dal dicembre del 1941 al febbraio 1945. Ciò che è noto sugli esperimenti di Buchenwald lo si deve al diario del centro ricerche del dott. Erwin Ding-Schuler, il quale lavorava nel campo, alle deposizioni di vari scienziati europei internati nel lager e costretti a prendere parte a tali esperimenti, e alle deposizioni del dott. Eugen Kogon, che riuscì a salvare il diario e che al processo di Norimberga fu interrogato come testimone. Il dott. Kogon era scrivano del reparto antipetecchiale e virologico nel lager, reparto che era diretto da Ding-Schuler e che dipendeva dall'Istituto d'Igiene di Berlino, a capo del quale c'era l'SS-Oberfuhrer Mrugowsky. Lo scopo era quello di arrivare alla formulazione ed alla produzione di un vaccino da distribuire alle truppe SS che in Oriente erano minacciate dal tifo petecchiale. La scelta del lager non è stata casuale. Infatti, all'interno di Buchenwald erano stati internati degli scienziati da cui ci si aspettava la massima collaborazione (alcuni degli internati cui ci si riferisce sono: Ludwig Fleck, Balachowsky, e van Lingen).
A Buchenwald, l'esperimento veniva condotto estraendo un campione di prigionieri: il 75% di questi sarebbero stati sottoposti all'inoculazione prima del vaccino (o altra sostanza chimica) che si desiderava sperimentare, poi, dopo 3 o 4 settimane, del germe del tifo; il restante 25% sarebbe stato infettato senza alcuna protezione previa, agendo così da metro di paragone. Tali esperimenti portarono alla morte diverse centinaia di internati.
Nell'arco di tempo che va dal dicembre 1943 all'ottobre del 1944, nel campo di Buchenwald, furono condotti diversi esperimenti atti a investigare gli effetti di diversi veleni sul corpo umano. Nel cibo dei soggetti veniva inserita a loro insaputa una tossina, i loro corpi - deceduti a causa del veleno stesso o per mano delle SS subito dopo averlo ingerito - venivano poi sottoposti ad attenta autopsia.
Sempre a Buchenwald, tra il novembre 1943 e il gennaio 1944, furono condotti diversi esperimenti per sviluppare una terapia adatta a guarire le ustioni da fosforo. Queste ustioni venivano procurate sui corpi dei malcapitati utilizzando i materiali delle bombe incendiarie, utilizzate in grande quantità nel contesto della guerra, soprattutto nei bombardamenti aerei.
L'epatite epidemica stava facendo molte vittime fra i soldati tedeschi sul fronte russo, quindi i nazisti decisero di studiarne le cause e trovarvi rimedio. Dopo una serie di studi di laboratorio condotti dal dottore militare Dohmen, il dott. Karl Brandt, uno dei più famigerati medici nazisti, chiese l'autorizzazione a Heinrich Himmler ad avviare l'inoculazione ad esseri umani di ceppi di virus coltivati, portando alla morte molti dei soggetti. Gli esperimenti furono condotti a Sachsenhausen e a Natzweiler dal giugno 1943 fino al gennaio 1945.
Esperimenti di sterilizzazione furono eseguiti ad Auschwitz, nel famigerato Block 10, e a Ravensbrück, dal marzo del 1941 al gennaio 1945, e furono diretti principalmente dai dottori Carl Clauberg e Horst Schumann. L'obiettivo dei test era quello di individuare un metodo di sterilizzazione tanto efficiente da poter garantire, nel minor tempo possibile e utilizzando minime risorse, la sterilizzazione di milioni di persone, verosimilmente nel quadro della soluzione finale. Qualche sopravvissuta a tali esperimenti sostiene che venissero effettuati anche esperimenti di inseminazione artificiale e che le donne prigioniere avevano il terrore che venisse impiantato un mostro nel proprio utero. Questo tipo di esperimenti non è stato provato. L'esperimento di sterilizzazione consisteva nell'iniettare una sostanza caustica nella cervice uterina per ostruire le tube di Falloppio. I soggetti scelti per l'esperimento erano donne sposate di età compresa fra i venti ed i quarant'anni, preferibilmente che avessero avuto già dei figli. L'iniezione veniva eseguita in tre fasi nel giro di qualche mese, anche se alcune superstiti ricordano di aver subito anche cinque iniezioni. Clauberg era un grande ricercatore ed un professionista di considerevole reputazione all'epoca; si consideri, ad esempio, che i preparati ormonali Progynon e Proluton da lui elaborati per curare la sterilità, sono usati ancora oggi, come pure è usato il "test di Clauberg" per misurare l'azione del progesterone.
A fianco alla ricerca di Claudberg, il dott. Schumann, medico e direttore del centro della morte nel programma di eutanasia a Grafeneck, portò avanti una serie di esperimenti per sviluppare un efficiente metodo di castrazione mediante raggi X. Già Viktor Brack, un funzionario della Cancelleria molto attivo nel Programma T4 (l'eliminazione dei disabili tedeschi), aveva escogitato un impianto di sterilizzazione sulla falsariga di una catena di montaggio, operante “in modo del tutto impercettibile” da dietro un banco.
Alla vittima ignara si doveva far credere di riempire dei moduli, operazione destinata a durare per due o tre minuti. Il funzionario seduto dietro il banco metteva in funzione l'apparecchiatura ruotando un interruttore che attivava simultaneamente due valvole termoioniche a raggi X (poiché l'irradiazione doveva operare da entrambi i lati). Con un'installazione a due valvole potevano essere sterilizzate circa 150-200 persone al giorno e quindi, con venti installazioni, sino a 3000-4000 al giorno. Questa era l'idea proposta da Brack, che andava perfettamente d'accordo con l'ideologia nazionalsocialista.
I soggetti sperimentali (maschi giovani abbastanza sani e femmine di età poco inferiore o poco superiore a vent'anni) venivano allineati in una sala d'attesa e introdotti uno per uno, spesso completamente all'oscuro di ciò che si stava preparando per loro. Nella versione successiva, più complessa, progettata dalla ditta Siemens, del macchinario, le ragazze venivano poste fra due lastre che comprimevano loro l'addome e il dorso; gli uomini poggiavano il pene e i testicoli su una lastra speciale. Schumann azionava poi la macchina che emetteva un forte ronzio, e la durata del trattamento arrivava fino a otto minuti. Molte donne uscirono dall'applicazione con ustioni notevoli, che potevano infettarsi; molte svilupparono sintomi di peritonite, fra cui febbre, forti dolori e vomito. Dopo l'esposizione ai raggi X, le ovaie delle donne venivano asportate chirurgicamente ed esaminate in laboratorio per accertare se i raggi X fossero stati o no efficaci nella distruzione dei tessuti. Gli uomini non subivano una sorte migliore. Oltre agli eritemi da scottatura attorno allo scroto, i posteriori racconti delle vittime parlano della raccolta del loro sperma, e del brutale massaggio della prostata per mezzo di pezzi di legno introdotti nel retto. Veniva poi effettuato un intervento chirurgico al fine di asportare un testicolo, o entrambi. Gli sviluppi postoperatori erano disastrosi e comprendevano emorragie, setticemie, assenza di tono muscolare conseguente alle ferite, cosicché molti morivano rapidamente, mentre altri venivano mandati a fare un lavoro che li avrebbe fatti morire in poco tempo. Al termine della lunga serie di sperimentazioni, Schumann, scrivendo a Himmler, concluse che metodo dei raggi x si dimostrava tanto infruttuoso quanto eccessivamente costoso, consigliando quindi la castrazione chirurgica come unico metodo efficace per la sterilizzazione.
Questo esperimento rifletté un interesse scientifico del dottor Eduard Wirths, il medico capo delle SS ad Auschwitz, che ordinò la messa in atto di diversi esperimenti ginecologici su varie donne ebree rinchiuse nel Blocco 10 di Auschwitz I.
Gli esperimenti erano condotti da Josef Mengele, ad Auschwitz II ovvero a Birkenau, e riflettevano il desiderio da parte del medico di dimostrare la superiorità della razza ariana sulle altre. Mengele riteneva che i segreti della razza risiedessero nei gemelli omozigoti, perciò i suoi studi si concentrarono prevalentemente su tali soggetti, trovando nel campo di Birkenau innumerevoli cavie (si stimano 3.000 gemelli in totale), nonché l'ambiente adatto per portare avanti le proprie ricerche senza alcun vincolo di natura morale, trattando i pazienti come veri e propri "topi da laboratorio".
I bambini venivano isolati dalle famiglie (solo nel caso dei neonati era talvolta concesso alle madri di accompagnarli) e chiusi in una baracca. Era loro concesso di giocare e svagarsi, senza alcuna imposizione di lavoro, tuttavia erano sottoposti quotidianamente ad una vasta gamma di esperimenti. Anzitutto, i loro corpi venivano esaminati con attenzione, comparati con quelli dei corrispettivi gemelli e meticolosamente catalogati. Poi venivano sottoposti a continui prelievi del sangue, iniezioni di farmaci o, nei casi peggiori, interventi chirurgici, spesso effettuati senza alcuna anestesia, che talvolta risultavano in amputazioni di intere parti del corpo. Quando un gemello moriva, anche l'altro veniva ucciso - spesso con un'iniezione di fenolo fatta direttamente al cuore dallo stesso Mengele - per fare un'autopsia comparativa. Al momento della liberazione di Birkenau, solo 200 dei "bambini di Mengele" erano sopravvissuti.
Degni di nota fu inoltre l'interesse che il medico presentò per l'iride umana, in particolare per i casi di eterocromia, ovvero persone aventi due occhi di colore differente. Lo scopo degli studi era quello di individuare un metodo efficace per modificare la pigmentazione dell'iride, mutando quelli scuri in azzurri, tratto che, secondo l'ideologia nazista, contraddistingueva gli appartenenti alla razza ariana. Di solito, l'esperimento si configurava come un'iniezione di metilene blu direttamente nell'iride del paziente. Gli esperimenti non ottennero mai alcun successo, ma ebbero per conseguenza immensa sofferenza e talvolta una cecità permanente per le cavie.
Gli esperimenti vennero condotti a partire dal luglio 1944 nel campo di concentramento di Buchenwald dal medico SS danese Carl Peter Vaernet e consistevano nell'impianto di una "ghiandola artificiale", nella quale erano contenute massicce dosi di testosterone, su deportati omosessuali, alla ricerca di una cura che avrebbe dovuto rendere eterosessuali i soggetti trattati. I test si rivelarono un completo fallimento, come dimostra il rapporto finale che lo stesso Vaernet consegnò a Himmler nel febbraio 1945, in cui non se ne fa alcuna menzione.
Fonte: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Esperimenti_nazisti_su_esseri_umani
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wolfman75 · 1 year ago
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«Un’apocalisse di corpi, ragazze denudate, mutilate». Abbiamo letto il rapporto Silent Cry / Grida dal silenzio. Crimini sessuali nella Guerra del 7 Ottobre a cura della Association of Rape Crisis Centers in Israel. Lo abbiamo letto con fatica e orrore: in esso sono riportate, crude e asciutte, le descrizioni esplicite rilasciate da decine di sopravvissuti, soccorritori, testimoni oculari degli stupri, delle torture, delle mutilazioni inferte alle vittime e degli omicidi compiuti da Hamas il 7 ottobre. Vittime, cioè madri e figlie, donne fatte a pezzi dallo stupro di massa dei terroristi.
A cinque mesi dal massacro di 1.200 persone e dal rapimento di altre 254 (cittadini israeliani e stranieri – donne, uomini, bambini, neonati e anziani portati nella Striscia di Gaza) oggi, vigilia dell’8 marzo e delle celebrazioni delle conquiste e dei diritti della donna, molte esponenti del mondo della cultura, della politica, delle istituzioni, del femminismo parteciperanno alla maratona oratoria organizzata dall’associazione Setteottobre a Roma per chiedere alle organizzazioni internazionali di riconoscere come femminicidio e stupro di guerra di massa le violenze commesse quel sabato nero su centinaia di israeliane.
Nessuno ha manifestato per loro. Nei giorni seguenti la mattanza, il grido delle femministe israeliane che pure da una vita combattono per i diritti delle donne di Gaza (Tempi ne aveva parlato qui e qui aveva raccontato la condizione delle donne sotto Hamas) è stato accolto da silenzio, minimizzazione quando non evasione e manipolazione dei fatti. Donne come Allison Kaplan Sommer, che ha lavorato dodici anni nella commissione delle Nazioni Unite contro ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, si sono sentite completamente tradite «dalle organizzazioni dei diritti delle donne con cui ho lavorato per anni che hanno fallito nel condannare – o perfino nel riconoscere – lo stupro, il rapimento e altre atrocità commesse da Hamas il 7 ottobre».
Il suo podcast era stato rilanciato da Haaretz, il giornale della sinistra israeliana più citato quando c’è da attaccare Israele ma non quando le sue donne chiedono aiuto: «Oltretutto, i crimini, diversamente dalle violenze sessuali dei precedenti conflitti, erano stati filmati dai terroristi di Hamas e trasmessi sui social, così che l’orrore era subito emerso». Solo allora Un Women aveva cancellato un post sul massacro in cui si condannava la violenza ma senza nominare Hamas. Condanna che dall’ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere non è mai arrivata. E nemmeno dalle “sorelle” femministe e transfemministe che in risposta al 7 ottobre erano scese in piazza contro la potenza di Israele «colonialista e razzista tesa a cancellare il popolo palestinese». Ospite del programma di dibattito politico Paroles d’Honneur in Francia Judith Butler ha definito il 7 ottobre «un atto di resistenza armata» contro Israele.
Oggi l’Onu ammette che ci sono prove degli stupri commessi da Hamas, che ci sono «motivi ragionevoli» per ritenere che i terroristi abbiano commesso «torture a sfondo sessuale» e riservato altri «trattamenti crudeli e inumani» alle donne durante l’attacco. Ci sono anche «fondati motivi per credere che tale violenza possa ancora essere in corso», ha detto Pramila Patten, rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu per la violenza sessuale in guerra inviata in Israele e Cisgiordania dal 29 gennaio al 14 febbraio. Il suo team, che non ha fatto sconti nemmeno al trattamento riservato dagli israeliani ai prigionieri palestinesi, ha raccolto le testimonianze degli ostaggi rilasciati e dai riscontri effettuati l’Onu si dice in possesso di «informazioni chiare e convincenti» che donne e bambini siano state sottoposte a stupri e torture e che gli abusi potrebbero proseguire sugli ostaggi ancora nelle mani di Hamas.
La delegazione ha confermato le violenze in tre luoghi: nell’area del festival musicale Supernova, lungo la strada statale 232 che collega Gaza ai kibbutz, e al kibbutz Re’im. Il rapporto è naturalmente parziale e ammette che nei kibbutz Kfar Aza e Be’eri il ritrovamento, tra troppi cadaveri carbonizzati, di tutte quelle donne «svestite, legate e uccise» farebbe pensare a violenze e torture nonostante i primi soccorritori si siano dedicati a salvare i superstiti e non a raccogliere prove. Il Centro di Patologia Forense di Shura, base militare vicina a Tel Aviv, lo ha ribadito più volte: identificare i corpi delle famiglie trucidate a Kfar Aza e Be’eri in molti casi ha richiesto settimane.
Il 21 febbraio l’associazione dei centri antistupro d’Israele consegnava però alle Nazioni Unite un plico di circa 40 pagine. Bisogna leggerlo per provare disgusto e pietà per quanti in questi mesi si sono dedicati a distinguo partigiani o bollato l’inchiesta del New York Times, durata due mesi e dedicata proprio agli stupri del 7 ottobre, «propaganda filoisraeliana��, «accozzaglia di testimonianze, non di prove», tentativo di «disumanizzare il nemico». Il rapporto dimostra chiaramente che non si è trattato di violenze casuali, isolate o sporadiche, ma di stupri frutto di una chiara strategia operativa. I modelli di “azione“ sono stati ripetuti, identici, in ciascuna delle zone di attacco: il festival Supernova, le case private nei kibbutz in prossimità di Gaza, e pure nelle basi dell’esercito israeliano. Le violenze si sono consumate anche durante il rapimento di 254 persone nella Striscia.
Molti degli stupri, subiti da donne ferite da armi da fuoco e coltelli, sono stati compiuti in gruppo, con la violenta partecipazione dei terroristi. Spesso lo stupro è stato perpetrato davanti a dei testimoni – mariti, familiari o amici – così da moltiplicare il dolore e l’umiliazione delle vittime e di chi voleva loro bene. Così al festival Supernova, dove i terroristi hanno dato la caccia a giovani ragazze e ragazzi in fuga, trascinandole per i capelli, uccidendo le vittime dopo o perfino durante lo stupro.
Numerose e diverse testimonianze danno conto delle stesse pratiche sadiche usate dai terroristi. Qui è d’obbligo l’avviso ai lettori più impressionabili di non proseguire nella lettura dell’articolo. Molti dei corpi delle vittime di crimini sessuali sono stati trovati infatti legati, i genitali brutalmente mutilati da coltelli e colpi d’arma da fuoco, in alcuni casi dall’inserimento di armi. I terroristi non si sono limitati a sparare; hanno tagliato e mutilato anche gli organi sessuali e altre parti del corpo delle vittime con coltelli, lame seghettate, taglierini.
Il rapporto «resta tuttora in una forma preliminare. Nei mesi e negli anni a venire, a seconda delle scelte dei sopravvissuti, potremmo essere in grado di fornire una storia più completa ed esplicita delle aggressioni sessuali del 7 ottobre», scrivono gli autori. Prove iniziali, raccolte secondo i princìpi etici dei centri antistupro e pertanto provenienti solo da fonti verificate, nonché scevre dalle informazioni e confidenze delle sopravvissute che ancora non hanno la forza di denunciare (o che riguardano le violenze ai danni di ostaggi che avranno il diritto di decidere se raccontare o meno la loro storia una volta liberati), ma che già avvalorano la tesi dello stupro sistemico. La violenza sessuale in guerra a breve e lungo termine non è materia da stoytelling: è codificata da parametri precisi, il trauma ha implicazioni fisiche e non solo psicologiche.
Ci sono le testimonianze dei sopravvissuti alla mattanza del festival e che hanno fornito gli stessi resoconti dai nascondigli: stupri collettivi, donne mutilate di arti superiori, o inferiori, mutilazioni degli organi genitali, gravi ferite della zona pelvica, ferite procurate durante gli stupri e culminate in omicidi.
Quelle dei medici legali che hanno analizzato i resti e dei soccorritori che hanno raggiunto le case dei kibbutz e dei villaggi nel Negev occidentale: donne spogliate nelle loro stanze o alla presenza dei parenti, segni di sperma, coltelli conficcati nei genitali. Quelle dei residenti che si sono assunti il compito di identificare i corpi dei vicini, corpi con organi intimi esposti e vestiti strappati. C’è chi ha filmato incredulo i ritrovamenti per avvalorare la propria testimonianza.
C’è l’inchiesta del New York Times sui 24 corpi abusati sessualmente a Be’eri e Kfar Aza, mani legate, biancheria abbassata, disseminati intorno alle case o appesi agli alberi, e ci sono i racconti spaventosi delle donne rilasciate da Hamas su quanto accade nei tunnel, dove i militanti di Hamas hanno trasformato donne e uomini in «burattini tirati da fili».
Dai nascondigli vicini alla strada 232 i sopravvissuti del Festival hanno assistito alle violenze di ragazze contemporaneamente stuprate da un uomo e mutilate da un altro, pugnalate durante le violenze, violentate anche dopo la morte. Segnalati più e più stupri di gruppo, commessi da otto, dieci, in un caso perfino dodici terroristi. I soccorritori parlano di bacini spezzati dalle ripetute violenze. Come di fratture delle ossa pelviche delle donne di tutte le età, dalle bambine alle anziane, violentate nei kibbutz davanti ai parenti, i cadaveri di madri e figlie accanto a quelli di chi inerme ha assistito alle violenze. I volontari raccontano di una coppia nuda, legato l’uno all’altra, lei stuprata, e di donne abusate con coltelli nelle parti intime.
Non sono stati risparmiati gli uomini, mutilati dei genitali, denudati e bruciati. «I colpi di arma da fuoco hanno preso di mira gli organi sessuali. Lo abbiamo constatato molte volte. I terroristi avevano un’ossessione per gli organi sessuali». Pallottole sparate al seno e ai genitali, insieme alla sistematica mutilazione di questi ultimi, ha spiegato Shari Mendes, che ha lavorato alla base Shura per identificare i cadaveri. Ci sono casi di amputazione dei seni con un taglierino, oggetti appuntiti inseriti nell’ano e seghette usate per le penetrazioni e altri scempi dovuti forse alla mancanza di tempo per uno “stupro completo”. «Il New York Times ha riferito di aver visto la foto del corpo di una donna con dozzine di chiodi conficcati nelle ginocchia e nel bacino».
Non erano venuti solo per catturare e uccidere. Hamas nega le violenze e le brutalizzazioni che pure i suoi accoliti hanno orgogliosamente filmato e diffuso. «Credevamo che la lezione del Kosovo, con lo stupro come arma di guerra tornato in auge anche nella civile Europa, fosse stata acquisita una volta per tutte, e che alle violenze contro le donne non dovessero mai più mancare il riconoscimento e la sanzione delle organizzazioni internazionali che si occupano di diritti umani in generale e delle donne in particolare», ha scritto Nicoletta Tiliacos sul Foglio. «Ma se sei israeliana per te non vale. Silenzio tombale».
Silenzio durante la manifestazione contro la violenza sulle donne del 25 novembre, silenzio durante quella del 24 febbraio a Milano, entrambe promosse da Non una di meno, che ha accusato Israele di genocidio “in continuità” con “femminicidi, lesbicidi e transicidi”. «Quelli commessi da Hamas, che come è noto reprime fino alla morte coloro che considera deviati sessuali? Macché. L’assurda accusa è rivolta contro Israele, paese in cui gli omosessuali palestinesi e iraniani hanno sempre trovato accoglienza e libertà».
Facendo seguito all’appello “Non si può restare in silenzio”, arrivato a diciassettemila firme che chiede di definire quelli del 7 ottobre come crimini contro l’umanità e di perseguirne i responsabili a livello internazionale, Setteottobre ha presentato formale richiesta di indagini all’ufficio del prosecutor della Corte penale internazionale dell’Aia. Oggi alle 18, a Piazza Santi Apostoli a Roma, si chiede un 8 marzo anche per le donne di Israele, un 8 marzo per le madri e figlie uccise quel sabato nero e per il rilascio di quelle ancora detenute insieme a uomini, bambini e anziani, nei tunnel di Hamas.
Fonte: https://www-tempi-it.cdn.ampproject.org/v/s/www.tempi.it/i-seni-amputati-col-taglierino-cosi-hamas-ha-stuprato-le-donne-israeliane/amp/?amp_gsa=1&amp_js_v=a9&usqp=mq331AQIUAKwASCAAgM%3D
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wolfman75 · 1 year ago
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Rati (nome di fantasia), aveva solo 14 anni quando le furono somministrate iniezioni di ormoni in modo che sembrasse più adulta. E’ stata costretta a prostituirsi con decine di uomini al giorno. I suoi clienti? Da conducenti di risciò a impiegati e manager. Quando la polizia ha fatto irruzione nel postribolo nel quale era rinchiusa ha arrestato gli sfruttatori mentre i clienti sono stati rilasciati con un semplice avvertimento. E il giorno dopo, tutto è ricominciato come prima. A Nagpur, popolosa città dello Stato centro-occidentale di Maharashtra, una coppia è accusata di aver comprato una neonata di appena 12 giorni. Secondo gli inquirenti, a vendere la piccola è stata la stessa madre attraverso un’intermediaria. Il prezzo? 50.000 rupie, poco più di 600 euro. Mohammad Kalam (25 anni), di Lucknow, nello Uttar Pradesh, componeva a caso numeri di telefono alla ricerca di possibili “prede”. Nell'ottobre scorso è riuscito a convincere una ragazza di 16 anni ad incontrarlo. Una volta in casa, la giovane è stata sequestrata dall'uomo con la complicità della moglie. Kalam è stato fermato dalla polizia mentre cercava di vendere la sedicenne lungo una strada che conduce a Delhi.
Ogni anno in India si verificano migliaia di rapimenti e casi di traffico di minori. Accade ovunque, nelle metropoli come nelle piccole città. Bambini sequestrati mentre si trovano a casa oppure nelle stazioni dei treni e degli autobus. Ridotti alla schiavitù di lavori umilianti, avviati alla prostituzione o costretti a mendicare per la rete di criminali. Dai dati diffusi dal National Crime Records Bureau indiano emerge che nel 2016 sono stati rapiti 54.328 minori. Di questi, più di 21mila hanno meno di 16 anni. Se sommati ai bambini scomparsi negli anni scorsi si arriva ad un numero ancora più impressionante: 85.100. La polizia è riuscita a ritrovarne quasi la metà, ma oltre 41mila bimbi indiani sono tuttora dispersi. Secondo l’agenzia governativa responsabile di raccogliere e analizzare i dati relativi ai crimini commessi in India, tra le cause dei rapimenti spiccano il lavoro forzato, la prostituzione minorile e altre forme di sfruttamento sessuale infantile. Tra i più colpiti dal fenomeno del traffico di bambini ci sono il Bengala Occidentale e il Maharashtra, uno degli Stati più popolosi che compongono la federazione indiana. L’anno scorso sono stati più di 15mila le vittime di questo odioso commercio, di cui quasi la metà minorenni.
“Dietro alla maggior parte dei rapimenti o dei casi di bimbi dispersi ci sono racket organizzati”, ha dichiarato Rishi Kant, attivista dell'Ong Shakti Vahini. “C’è un intermediario che chiede al rapitore di sequestrare un determinato numero di bambini. Una volta individuati – ha spiegato Kant – i piccoli vengono prelevati in diverse zone del Paese e poi consegnati ad un’altra persona che effettua il pagamento”. Un giro d’affari milionario che non si ferma di fronte a nulla. Il destino dei bimbi rapiti è terribile: quasi l’80% delle vittime delle tratta finisce stritolato negli ingranaggi della prostituzione o della pornografia infantile; per costringerli a vendere il proprio corpo i piccoli subiscono violenze brutali, compresi gli stupri. Come ha denunciato Shaina Nana Chudasama, portavoce del Partito del Popolo Indiano, nelle case chiuse gli uomini pagano 100 rupie (poco più di un euro) a cambio di relazioni sessuali con i minori. Per punire severamente anche i clienti, Chudasama ha lanciato una raccolta firme su change.org che ha già raggiunto oltre 100mila adesioni.
Gli abitanti dei villaggi rurali sono i soggetti maggiormente vulnerabili. I criminali sfruttano proprio la povertà e la mancanza di posti di lavoro come “esca” per attirare le loro vittime. Un altro dei metodi usati dai trafficanti sono le finte promesse di matrimonio. Molte ragazze, una volta accettata la proposta di lavoro, di solito come collaboratrice domestica, semplicemente svaniscono nel nulla, inghiottite in una spirale di sfruttamento e abusi. Gli effetti sui minori rapiti e costretti alla prostituzione sono tremendi: lesioni fisiche, un alto rischio di gravidanze indesiderate, tubercolosi, contagio di malattie sessualmente trasmissibili che spesso risultano fatali.
Le notizie dei rapimenti e delle violenze sessuali sui bambini trovano un grande risalto sulla stampa indiana e la popolazione è indignata per i casi che continuano a venire alla luce. L’ultimo episodio risale solo a pochi giorni quando una bimba di sei anni è stata rapita da casa sua, violentata, torturata e poi uccisa da un ignoto aggressore a Hisar, nello stato di Haryana. Il governo indiano, da parte sua, ha lanciato nel 2015 un sito web dove i cittadini possono segnalare la sparizione di un minore così come dare informazioni utili al suo ritrovamento. E da due anni è in discussione un progetto di legge che prevede pene fino a 14 anni di carcere per i trafficanti nonché la riabilitazione delle vittime. La legislazione attuale, infatti, non distingue tra chi è responsabile dello sfruttamento e il minore sorpreso prostituendosi, considerandoli entrambi come criminali. La creazione di un fondo contro il traffico, la registrazione obbligatoria delle agenzie di collocamento che reclutano i lavoratori domestici e la possibilità di dare una nuova identità ai minori abusati completano il pacchetto di misure.
In India, in soli 6 anni i reati contro i minori sono aumentati di quasi il 300%. Per Stuti Kacker, presidente della commissione nazionale per la protezione dei diritti dell'infanzia, è necessario affrontare questioni come la povertà, la disoccupazione e le disparità economiche e di genere, che sono le principali ragioni di ogni forma di traffico di esseri umani. “Abbiamo bisogno di proteggere i nostri bambini dalla violenza e dalla criminalità – ha aggiunto Kacker – individuare e colmare il divario economico che consente ai trafficanti di operare e formulare un piano d'azione multi settoriale per combattere il traffico di bambini”.
Mentre i politici indiani cercano di contrastare il fenomeno, ogni giorno a Mumbai 5 bambini sono rapiti e ogni ora di 10 minorenni indiani si perdono completamente le tracce. La metà di loro non verranno più ritrovati.
Autore: @fanpage
Fonte Articolo: https://www.fanpage.it/esteri/india-l-inferno-delle-bimbe-rapite-riempite-di-ormoni-e-stuprate-da-decine-di-uomini/
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In relazione sempre all'argomento: https://youtu.be/MFaDHgXPbUg?si=ya5rslA4j-uZk_a3
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wolfman75 · 1 year ago
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Paul Kenneth Bernardo (Toronto, 27 agosto 1964) e Karla Leanne Homolka (Port Credit, 4 maggio 1970) noti anche come "Barbie & Ken", sono una coppia di assassini seriali canadesi; uniti da una relazione coniugale, sono responsabili di tre omicidi e di numerosi stupri, avvenuti nel corso degli anni ottanta e primi anni novanta.
Paul Bernardo nacque a Toronto nel 1964, dopo il matrimonio combinato dei suoi genitori; aveva anche una sorella. Suo padre, Kenneth Bernardo, era un uomo violento che picchiava la moglie Marilyn, la tradiva con altre donne e commetteva molestie sessuali ed atti di persecuzione a danni di minorenni; arrivando persino a stuprare la figlia. In seguito ad una discussione, Marilyn tornò dai suoi e rincontrò il padre biologico di Paul. Nonostante tutto questo, Paul crebbe come un ragazzo brillante, iniziando a studiare Scienze economiche e contabilità. La madre, che non sopportava più il marito, cadde in depressione e diventò obesa.
Bernardo era in realtà un figlio illegittimo che la madre concepì quando era con il suo primo fidanzato; la madre svelò il fatto al figlio quando aveva 16 anni, nel 1980; da questo momento in poi, Paul nutrì un odio atroce verso di lei, arrivando a litigarci e ad insultarla in modo molto pesante; lei lo ricambiava. Bernardo divenne poi ossessionato dalla sessualità e iniziò a collezionare materiale pornografico; successivamente si mise a spiare le ragazze che si spogliavano e infine passò agli stupri; tra una violenza e l'altra, contrabbandava sigarette.
Gli stupri iniziarono dal 4 maggio 1987: era solito appostarsi nei pressi delle fermate del bus di sera; aspettava che si avvicinassero delle ragazze e, al momento propizio, le assaliva e le costringeva ad un rapporto orale o anale; in un'occasione, arrivò quasi a strangolare una vittima. Le ragazze avevano dai 15 ai 22 anni. Alla fine del percorso scolastico, si laureò alla University of Toronto a Scarborough nel 1987. Trovò un lavoro come contabile in una banca; il 17 ottobre dello stesso anno conobbe Karla Homolka in un ristorante a Scarborough.
Karla Leanne Homolka nacque il 4 maggio 1970, prima di tre figli di una famiglia normale (il padre era un rappresentante di oggetti di arredamento ed aveva un carattere molto amorevole e la madre era una donna autorevole e sicura); il cognome lo ereditò dalla madre di origine ceca. Crebbe in modo regolare e imparò ben presto a parlare, camminare e leggere; ereditò dal padre l'asma. Nel marzo 1971 nacque la sorella Lori e il 1º gennaio 1975 la sorella Tammy.
La sua famiglia si stabilì ufficialmente nel 1978 a St. Catharines. Da ragazza, Karla aveva un'intelligenza molto elevata, tant'è che da piccola sapeva fare molte più cose dei suoi coetanei; amava i libri e coltivava la passione per gli animali. Era una bella ragazza, bionda e attraente, ma crescendo diventò testarda e aggressiva, ed incominciò ad avere frequentemente rapporti sessuali.
Da adolescente divenne un'appassionata di lettura e il suo genere preferito era l'occulto; aveva anche altre passioni, tra cui la musica e il canto. Ogni tanto ebbe dei problemi a relazionarsi con i fidanzati: ci litigava e cadeva in depressione, sviluppando tendenze suicide. Comunque questi problemi a relazionarsi non erano assolutamente gravi. Iniziò a lavorare part-time in un negozio/clinica di animali vicino ad un centro commerciale.
Il 17 ottobre 1987, a 17 anni, conobbe Paul Bernardo in un ristorante a Scarborough. Quando Bernardo entrò a far parte della vita della famiglia di Karla, la sorella Tammy, di 12 anni, prese subito in simpatia il giovane. Era molto affezionata a lui, da quanto si può vedere dalle videocassette girate dai familiari di Karla.
Paul e Karla si innamorarono subito; in particolare, Karla era rimasta rapita dalla sua bellezza e dalla sua eleganza; divenne ossessionata da lui e ne parlò molto bene alla sua famiglia. Nei giorni a venire, Paul si intrattenne in alcuni giochi erotici sadici con Karla: lei avrebbe dovuto fingere di essere la vittima di uno stupratore; Paul l'avrebbe ammanettata e violentata, nonostante le sue preghiere.
Continuò anche a fare lo stupratore seriale; nel 1988 contava 13 violenze sessuali ai danni di ragazze. Karla sapeva dei suoi soprusi, ma taceva; preferì restargli accanto, non lo voleva lasciare o denunciare. Paul iniziò anche a stuprare Karla; la prima volta fu nel 1988; si pentì di averlo fatto e, in lacrime, le disse che gli dispiaceva e che non l'avrebbe più fatto. Dall'anno successivo ricominciò con più violenza.
Tra uno stupro e l'altro, le tolse la verginità prima del matrimonio; da quel momento lui si sentì in diritto di “esigere un risarcimento morale”; decise quindi di prendersi anche la verginità di Tammy Lyn Homolka (1º gennaio 1975 - 24 dicembre 1990), la sorella minore di Karla, stuprandola. Lui riferì l'idea alla promessa sposa, che non si ribellò alla proposta. La verginità di Tammy gli sarebbe dovuta essere data come “regalo di Natale”. Karla iniziò a progettare lo stupro e rubò dei sedativi dalla clinica per animali; per testarne l'efficacia, li provò sugli animali e ne vide gli effetti. Poi si esercitò ad usare una fotocamera, che sarebbe servita nell'operazione.
La sera del 23 dicembre 1990, circa sei mesi prima di sposarsi, Tammy fu invitata a cena a casa di Paul e Karla; l'alotano, un potente sedativo, era stato mescolato con il cibo e con il bere; lei, mangiandolo, lo assunse e si addormentò sul divano poco dopo. Mentre Karla le teneva uno straccio imbevuto di altro anestetico sul viso, Paul iniziò a praticarle del sesso anale e vaginale (il tutto mentre i familiari di Karla dormivano), il tutto corredato da alcune fotografie.
Improvvisamente (mentre Karla aveva un rapporto sessuale violento con Paul) Tammy si mise a vomitare, forse per overdose da medicinale, e incominciò a soffocarsi con il proprio vomito: la bile le aveva tappato la gola fino a non farla più respirare; probabilmente la testa era completamente sdraiata, e questa posizione non le avrebbe fatto espellere il vomito. Karla provò a girarle la testa, ma fu tutto inutile.
I due chiamarono subito il 911 e camuffarono la morte come un incidente. Tammy venne caricata su un'ambulanza e portata nel St. Catharine General Hospital, dove i medici provarono a rianimarla, ma fu dichiarata morta alcune ore dopo, verso le 2 della vigilia di Natale, soli 8 giorni prima di compiere 16 anni. I genitori di Karla, già sconvolti dalla morte della figlia, non sospettarono minimamente che potesse essere colpa dei due ragazzi, come anche non dubitarono gli inquirenti; il caso verrà in seguito archiviato come “un incidente a seguito di una sbronza”: forse i medici, che non si erano insospettiti, non fecero l'autopsia al cadavere. Sul viso erano presenti dei segni di ustione da medicinale. Le tracce di liquido seminale erano state lavate da Karla, quindi l'ipotesi di stupro era lontana.
Il 27 dicembre 1990 Tammy venne sepolta. Sia Paul che Karla scrissero due biglietti per la giovane defunta, nei quali essi appaiono assai desolati per la sua morte. Il 20 luglio 1993, alla riesumazione del corpo di Tammy, all'interno della bara venne trovato un biglietto contenente l'invito a nozze per il matrimonio di Karla e Paul.
Paul, a seguito dell'omicidio, incolperà Karla di avere fatto morire il suo “giocattolo sessuale”, esigendo quindi una sostituta. Dopo alcune ricerche gli trovò il “giocattolo” ideale, un'adolescente di nome Jane, la quale assomigliava vagamente a Tammy. Questo sarebbe stato il “regalo di nozze”. Karla fece amicizia con Jane e si conquistò la sua fiducia; un giorno la invitò a casa di Paul; lei la seguì e si mise a mangiare dolci e bere molto alcol misto ad halcion, un medicinale.
Una volta addormentata, chiamò Paul, che era ignaro della sorpresa. In mezzo all'euforia costrinse la fidanzata a copulare con Jane; successivamente toccò a lui: ebbe un altro rapporto vaginale ed anale; le tolse la verginità. Il tutto fu corredato da una registrazione. Finito lo stupro, la misero a letto. Lei si svegliò il giorno dopo: sentiva dei dolori, ma non si ricordava nulla del giorno prima; sapeva solo di essersi ubriacata e addormentata. Paul rimase contento dal fatto, e pensò di sposare Homolka, nonostante non fosse più vergine.
L'11 giugno 1991 un giovane ragazzo di soli 15 anni di nome Christopher Evans morì a causa di un incidente stradale, assieme ad altri tre adolescenti. La comunità, sconvolta da quanto accaduto, era quindi in lutto. Una giovane ragazza coetanea di Christopher, di nome Leslie Mahaffy (5 luglio 1976-16 giugno 1991), figlia di una maestra e di un oceanografo (il quale mestiere era aspirato anche da parte della giovane), il 14 giugno, la sera prima del funerale del ragazzo, si recò presso l'agenzia di pompe funebri per la veglia in compagnia di altri ragazzi.
Durante la cerimonia cercò di consolare i suoi amici e, dopo l'evento, assieme ad un gruppo di ragazzi, si recò nel bosco per bere. Alle 2.00 del mattino del 15 giugno si recò presso casa sua assieme a questi ultimi, con l'obiettivo di trascorrere ancora un po' di tempo insieme, ma accidentalmente si chiuse fuori di casa dalla porta sul retro; ciò risultò essere un problema per la giovane Leslie, in quanto i suoi genitori avevano chiuso la porta principale perché stanchi del comportamento ribelle della ragazza.
La giovane, infatti, nonostante fosse una ragazza gentile e avesse un buon rapporto con il fratellino Ryan e con i suoi genitori, pare conducesse una vita sregolata rubando talvolta nei negozi (venne colta in reato di taccheggio in un minimarket per 3 volte durante i mesi di marzo e aprile 1991) e marinando la scuola. Secondo alcuni, a volte si dava al “sesso facile”, andava molto a spasso con gli amici e tornava a casa tardi. Quella sera era uscita di casa promettendo che sarebbe tornata a casa entro le 23, ma i suoi genitori, vedendo che a quell'ora la giovane non era ancora tornata, decisero di farle imparare la lezione chiudendole la porta principale.
La ragazza, allora, disse ai suoi amici di non preoccuparsi e che avrebbe risolto la situazione abbastanza in fretta. Si recò presso un telefono pubblico e chiamò a casa di una sua amica allo scopo di non svegliare i suoi genitori e di dormire da lei, per poi andare insieme al funerale di Chris il giorno dopo. Rimase al telefono fino alle 2.30 senza però riuscire nel suo intento, decidendo allora di tornare presso la sua abitazione e di svegliare la madre, pur di non rimanere fuori al buio.
Fu proprio in quel momento che Bernardo, intento a rubare delle targhe di automobili per il contrabbando di sigarette, incontrò Leslie, invitandola a salire in macchina per prendere una sigaretta. Entrata nell'abitacolo, iniziò a minacciarla e le fece coprire bene gli occhi con una felpa, e la condusse a casa sua, dove lo attendeva Karla; la casa distava 53 km. Portata nell'appartamento, le bendò gli occhi e, tra sue le urla e le canzoni di Bob Marley e David Bowie, iniziò a sodomizzarla; lo stupro fu nuovamente filmato con una fotocamera. Secondo i due assassini, alla giovane venne dato un orsetto di peluche per sostenere le aggressioni.
Intanto, la mattina del 15 giugno, al funerale di Chris Evans, la madre, non trovando Leslie in chiesa chiamò la polizia. La ragazza non si presentò nemmeno a scuola il 17 giugno (il giorno dopo la sua morte), dove avrebbe dovuto sostenere un esame di matematica. Gli amici pensarono che non fosse pronta, nonostante avesse detto ai suoi amici l'opposto.
Durante la notte tra il 15 e il 16 giugno, dopo che venne tenuta come ostaggio per ben 24 ore, Leslie venne drogata da Paul con alte dosi di Halcion (la stessa droga che venne usata da Bernardo per sodomizzare Tammy) e successivamente strangolata con un cavo elettrico. Tuttavia riuscì nel suo intento solo ad un secondo tentativo, dopo che durante la prima la giovane perse solamente i sensi. Il cadavere venne quindi nascosto in cantina.
Secondo altre dichiarazioni, Bernardo disse che, mentre egli si trovava fuori dalla stanza, intento a preparare l'auto dove avrebbe liberato Leslie, la giovane morì per le eccessive dosi di droga. Disse inoltre che prima era viva, e se ne accorse quando la prese in braccio per caricarla in macchina. Fu allora che sia lui che Homolka entrarono nel panico e tentarono di farle la respirazione artificiale, senza però successo.
La mattina dopo la coppia invitò a cena i genitori di Homolka e la sorella Lori, e per poco non venne scoperto il cadavere di Leslie. La madre di Karla, infatti, aveva intenzione di scendere giù in cantina per prendere delle patate. Paul si offrì per non scomodare la suocera, e la scoperta venne evitata. Dopo che la famiglia di Karla se ne andò, la coppia recuperò il cadavere e Paul smembrò il corpo con una sega circolare in una tenda di plastica; i vari pezzi vennero mescolati con del cemento e "smaltiti" nel lago Gibson.
Nei giorni successivi all'omicidio, i genitori di Leslie continuarono a pensare che la figlia fosse scappata, tant'è che il 18 giugno sua madre Debbie autorizzò l'arresto di sua figlia in caso di allontanamento volontario. Quando, due settimane dopo la scomparsa della giovane, al compleanno della madre, la figlia non si fece sentire, i genitori erano convinti che Leslie non avesse (o non potesse avere) l'intenzione di chiamarli, senza preoccuparsi di dar loro informazioni. Pochi mesi prima era scappata di casa per due settimane e venne ritrovata in una stanza d'albergo in compagnia di un ragazzo più grande di lei, entrambi sotto effetto di stupefacenti.
Gli amici della ragazza, i quali parteciparono alla veglia, diedero molte informazioni utili agli inquirenti. Gran Vanderveek, il fidanzato di Leslie, litigò con la giovane alle 4 del pomeriggio del 14 giugno per non essere passato a trovarla a casa: vide successivamente la ragazza intenta a consumare un hamburger poco dopo nel centro commerciale della zona. Martian McSweeny, un suo amico, passò con lei la sera della veglia funebre; assieme si recarono con il gruppo di ragazzi presso il bosco per bere. Martian inoltre non vide Leslie preoccupata alle 2 quando si accorse di aver saltato il coprifuoco che le fu imposto dai suoi genitori. L'ultima testimone fu Amanda, l'amica cui Leslie telefonò presso la cabina pubblica alle 2.30 per andare a dormire, senza però avere successo. Quando Martian non la vide al funerale, tuttavia non si allarmò, in quanto convinta che Leslie si fosse cacciata in qualche guaio con i genitori.
Il 29 giugno, una coppia in canoa scoprì nel lago i pezzi di cemento, i quali erano stati preparati male e, se aperti, mostravano delle parti del corpo. In alcune ore la polizia recuperò una spalla, un piede e un torso; il cadavere fu ricomposto; attraverso l'apparecchio dentale riuscirono ad identificarlo come quello di Leslie.
Lo stesso giorno Paul e Karla si sposarono, con un matrimonio sontuoso e con 150 ospiti. I genitori di Karla non poterono versare una grande somma di denaro per il matrimonio di loro figlia in quanto vennero già spesi per il funerale di Tammy pochi mesi prima. Il padre di Karla brindò durante il taglio della torta in memoria della figlia, ma Karla cambiò velocemente argomento per brindare agli sposi. Karla aveva 21 anni e Paul quasi 27.
Un giorno Karla, dopo aver invitato ancora Jane, della quale aveva ormai conquistato la fiducia, provò ad ucciderla pur di compiacere Paul, ma lui la fermò e la minacciò di divorziare. Lo sposo, rimasto senza vittime da stuprare, ripiegò su una ragazza americana consenziente. Dopo che ripartì dal Canada per andare negli Stati Uniti, rimase nuovamente a mani vuote. Vedendo che la tensione si stava accumulando, Karla decise di procurare un altro “giocattolo” per Paul: ci teneva che non divorziasse, gli rivolgeva una grande attenzione.
Circa 10 mesi dopo l'omicidio di Leslie, il 16 aprile 1992, la coppia individuò la terza vittima nel parcheggio della chiesa di St. Catharine: era una ragazza canadese quasi 16enne di nome Kristen French (10 maggio 1976-19 aprile 1992). Dopo la tragica morte di Leslie, Kristen diceva a tutte le sue amiche di non fidarsi degli sconosciuti e di prestare attenzione a chiunque.
Quel giorno Kristen stava passeggiando da sola per strada, quando Karla, alla guida della sua macchina, uscì dall'abitacolo con una mappa in mano e si avvicinò alla ragazza, dicendole di essersi persa. Mentre le chiedeva delle informazioni stradali, le puntò addosso un coltello e la costrinse a salire in macchina. In quel momento Paul scese dalla macchina e salì dietro, riuscendo così a tenere sotto controllo Kristen, minacciandola che le avrebbe tagliato la gola. La ragazza venne bendata ed ammanettata e portata nella loro casa, dove vennero staccati i telefoni e chiuse porte e finestre. Alcuni testimoni assistettero alla scena, ma non capirono bene cosa stesse succedendo (altri dissero di aver visto la ragazza a bordo di una macchina Camaro, totalmente differente rispetto a quella di Karla).
Dopo l'arrivo in casa, Paul la violentò. Dalle registrazioni pervenute si vede che arrivò al punto da orinarle in faccia e schiaffeggiarla con il pene, inserendogli una bottiglia di vino nell'ano, almeno per 40 volte. Kristen, pensando che sarebbe sopravvissuta, si piegò al loro volere. Dopo lo stupro, Paul uscì di casa per 30 minuti e Kristen scongiurò Karla di risparmiare la vita. Ma lei decise di non aiutarla, in quanto i coniugi avevano agito a viso scoperto e la ragazza sarebbe stata un testimone abbastanza scomodo, avendo visto sia la casa che il cane della coppia. Dopo che Paul tornò a casa, accese la televisione, nella quale apparve l'edizione straordinaria del telegiornale dove venne lanciato un appello del padre della ragazza, il quale scongiurava i rapitori di risparmiare sua figlia e di riportarla a casa sana e salva.
Paul cambiò canale e continuò a stuprare la ragazza, torturandola per circa altri tre giorni. Il 19 aprile, Karla si ricordò dell'invito dei genitori al pranzo di Pasqua e decise di andare con suo marito, non prima però che Paul girasse un altro video con la ragazza. Dopo l'ennesima violenza sessuale, la ragazza venne legata con un cavo elettrico che le strinse anche il collo, morendo così soffocata. Pare che venne presa anche a martellate mentre provava a fuggire. Non si è mai riusciti a capire chi dei due l'avesse realmente uccisa (vennero infatti poi raccontate due versioni assai contrastanti: Paul sostenne infatti che mentre era fuori casa, Kristen provò a fuggire e Karla la colpì ed in seguito la strangolò, mentre la moglie raccontò che fu lui ad uccidere la ragazza, strangolandola la mattina di Pasqua).
Il cadavere fu spogliato, pulito dello sperma di Paul, rasato per non lasciare tracce del tappeto, e buttato ancora integro in una fossa a Burlington, situata a 45 minuti da St. Catherines. Venne ritrovato dalla polizia alcuni giorni dopo, il 30 aprile; era stato lavato e i capelli le erano stati tagliati per impedirne l'identificazione. Venne ritrovato molto vicino al cimitero dove venne sepolta Leslie, 9 mesi prima. Le autorità non collegarono gli omicidi tra loro e pensarono che fossero opera di assassini differenti e non di un assassino seriale perché Kristen non venne fatta a pezzi. I testimoni dissero alla polizia di averla avvistata l'ultima volta al parcheggio della chiesa, dove una donna la costrinse a salire su una macchina; quando gli chiesero il modello, loro si ricordavano "una Camaro" e non una Oro Nissan 240SX. In ogni caso, venne presa la targa.
Dal 1987, mentre Paul si dedicava agli stupri di Scarborough, il detective Steve Irwin e la polizia aprirono le indagini. Nel Natale dello stesso anno, una ragazza stuprata fornì l'identikit dell'aggressore, unico per tutti gli stupri: era quello di Paul Bernardo. L'identikit non venne diffuso. Successivamente trovarono anche il modello della sua auto: era sempre quella di Paul.
Nel maggio 1990 venne diffuso l'identikit con la stampa: chiunque avesse trovato lo “stupratore di Scarborough”, avrebbe ricevuto 150.000$ di ricompensa; all'incirca nel novembre dello stesso anno molti amici riferirono alla polizia che l'uomo descritto nell'identikit aveva una forte somiglianza con Paul. La manovra rese le indagini più lunghe e difficoltose perché arrivarono molte segnalazioni. Tra di esse si contava quella del direttore della banca per cui lavorava Paul, la quale però si perse in mezzo all'intricata matassa.
In laboratorio arrivò anche lo sperma dello stupratore; 230 sospetti vennero chiamati per gli esami: tra di essi c'era Paul. Lo sperma coincideva con quello di 5 persone, tra cui lui. Intanto, forse vedendo che le indagini si erano intensificate, lui aveva smesso di stuprare; vista la pausa, gli agenti rinviarono il caso all'aprile 1992.
Sfuggì alla polizia molte volte, nonostante avesse tutte le prove contro. Si spostò a vivere a San Catharines, dove commise i delitti. Aveva cambiato nome, da “Paul Kenneth Bernardo” a “Paul Teale”; il cognome lo trovò guardando un film. L'FBI intervenne dopo il terzo omicidio: dopo un po' di tempo, identificò Bernardo come il proprietario dell'auto dell'assassino. La polizia lo convocò per l'interrogatorio, che arrivò a un nulla di fatto. Nel 1992 venne riaperta la pratica dell'analisi dello sperma; le analisi tardarono molto e, invece di concludersi subito, finirono nel febbraio 1993: ricomparve per l'ennesima volta Paul. Il detective Irwin non lo volle arrestare, ma lo mise sotto sorveglianza.
Nel 1992 Bernardo aveva rincominciato a picchiare la moglie. I genitori di Karla lo costrinsero a divorziare il 5 gennaio 1993 dopo che videro che era stata pestata con una torcia e aveva riportato varie lesioni alle costole; lei fino all'ultimo aveva taciuto: erano stati i colleghi di lavoro che avevano avvertito i genitori dopo che l'avevano vista in un pessimo stato. Karla si trasferì in un altro luogo.
Gli agenti di polizia arrivarono a lei e la convocarono per alcuni interrogatori, durante i quali non parlò mai. Si confidò però con un suo zio, che chiamò la polizia, con la quale finalmente la ragazza cominciò a collaborare in cambio di uno sconto di pena. Il 17 febbraio 1993, dopo alcuni giorni di sorveglianza, Paul fu finalmente arrestato. Il 19 febbraio, durante la perquisizione di casa sua, gli agenti trovarono un diario e sei filmati che documentavano le violenze sessuali ai danni delle ragazze assassinate; solo allora Jane scoprì di essere stata violentata nel sonno.
Nel 1995 i due vennero processati: Homolka fu condannata a scontare 12 anni di carcere per complicità e altri reati minori; il 1º settembre Bernardo fu condannato all'ergastolo per tre omicidi e quindici stupri (secondo la moglie, sarebbero in realtà più di 30); è stato incarcerato in una piccola cella d'isolamento nel Penitenziario di Kingston. La sua casa fu demolita ed il terreno venduto. Karla avrebbe potuto essere liberata sulla parola tre anni dopo, nel 1996, ma il tribunale stabilì che, nonostante avesse avuto una buona condotta, poteva ancora essere pericolosa.
Homolka fu rilasciata il 4 luglio 2005. Qualche mese dopo le furono tolte 14 restrizioni sulla libertà. L'anno successivo non le permisero di cambiare nome in Emily Tremblay. Nello stesso anno negli USA uscì un film biografico sulla coppia che scatenò molte polemiche. Successivamente la donna si è risposata con un altro uomo nel 2007 ed ha avuto dei figli. Bernardo invece si trova tuttora in carcere.
Fonte: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Paul_Bernardo_e_Karla_Homolka
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wolfman75 · 1 year ago
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Il caso Fritzl si riferisce al sequestro di Elisabeth Fritzl, una donna austriaca che ha vissuto imprigionata per 24 anni — dall'età di 18 anni a quella di 42 — in un bunker sotterraneo costruito dal padre, l'ingegnere Josef Fritzl, nella cantina di casa nella cittadina austriaca di Amstetten. Durante tutto il periodo della prigionia, dal 1984 al 2008, si sono susseguiti vari abusi sessuali da parte dell'uomo nei confronti della figlia e da questi stupri sono nati sette figli.
Nato ad Amstetten il 9 aprile 1935, figlio unico di Maria e Josef Sr., Fritzl viene cresciuto dalla sola madre. Suo padre, che nel frattempo ha abbandonato la famiglia quando il figlio aveva quattro anni, in seguito combatterà come soldato della Wehrmacht durante la seconda guerra mondiale, rimanendo ucciso in azione nel 1944. Durante l'infanzia subisce continuamente maltrattamenti e umiliazioni da parte della madre. L'unica manifestazione d'affetto da parte di lei è il recarsi in chiesa assieme la domenica. Questi eventi gli causano dei disturbi della personalità e — come emergerà in seguito durante il processo a suo carico — anche l'incapacità di comprendere appieno la gravità e le conseguenze dei suoi crimini.
Dopo aver completato i suoi studi in ingegneria elettrica, Fritzl ottiene un lavoro a Linz e nel 1956, all'età di 21 anni, sposa la diciassettenne Rosemarie, che lo renderà padre di due figli e cinque figlie. Amici e parenti della coppia dichiararono che il rapporto tra i due era pessimo, con frequenti aggressioni fisiche e verbali di Fritzl nei confronti della moglie e dei figli, sei dei quali (eccetto Elisabeth) non appena maggiorenni romperanno ogni rapporto con il genitore.
La sua prima condanna risale al 1967 quando viene arrestato e sconta diciotto mesi di carcere per stupro nei confronti di una donna di 24 anni residente nella città di Linz. In questo caso Fritzl irrompe nella casa della donna e, approfittando dell'assenza del marito assente per lavoro, la sottopone a violenza sessuale, minacciandola con un coltello alla gola. Dopo il suo rilascio Fritzl trova lavoro in una ditta di materiale da costruzione per poi diventare venditore di attrezzature tecniche, impiego che lo porta a viaggiare in tutta l'Austria. Nel 1995, compiuti i 60 anni d'età, si ritira dal servizio.
Il 24 agosto 1984 i coniugi Rosemarie e Josef Fritzl denunciano la fuga della figlia diciottenne Elisabeth che, al seguito di una setta religiosa, si sarebbe allontanata da Amstetten, cittadina della Bassa Austria. Si sarebbe trattato quindi di un allontanamento volontario — il secondo della ragazza — che già due anni prima ha tentato la fuga da casa prima di essere riconsegnata alla famiglia dalla polizia.
«Nel 1982 avevo sedici anni ed ero fuggita da casa. Lui mi stuprava da molto tempo. Dall'autogrill di Strengberg mi ero nascosta a Vienna. Dopo due settimane la polizia mi trovò. Supplicai gli agenti di non riconsegnarmi a mio padre. Dissi loro che se fossi tornata da lui per me sarebbe stata la fine. Ma non ci fu nulla da fare.»
(Elisabeth Fritzl)
Quel giorno del 1984 però, come si scoprirà in seguito, Elisabeth non si è allontanata di nuovo da casa ma, contro la sua volontà, è stata rinchiusa nella cantina di casa dal padre Josef. La ragazza racconterà poi di aver cercato di fuggire di casa poco prima del rapimento e di aver chiesto aiuto ai poliziotti raccontando loro dei primi abusi subiti dal genitore. Non essendo però creduta, le sue affermazioni cadono nel vuoto e viene quindi riaffidata alla famiglia. A seguito di quest'ultimo episodio, il padre decide definitivamente di segregarla tenendola nascosta per 24 anni.
Nei primi sei mesi della sua prigionia, Elisabeth rimane sempre legata a un letto, drogata e costretta a scrivere una lettera — che il padre consegnerà poi alla polizia — in cui racconta ai genitori di esser scappata all'estero, chiedendo loro di non cercarla. Elisabeth descrive così i primi mesi in catene nel bunker:
«Luci spente, stupro, luci accese, muffa, umidità e lui che va via.
Nel corso dei successivi 24 anni, Fritzl visita la cantina mediamente ogni tre giorni per portare cibo e altri rifornimenti alla figlia e soprattutto per abusare sessualmente di lei. A causa di queste violenze, Elisabeth darà alla luce sette figli, senza alcuna assistenza.
Uno di questi (Michael) morirà tre giorni dopo la nascita, mentre altri tre neonati — Lisa a nove mesi nel 1993, Monika a dieci mesi nel 1994, e Alexander a 15 mesi nel 1997 — verranno poi tolti dalla cantina e portati dal padre/nonno a vivere con lui e sua moglie, spacciati per figli adottivi con la scusa di averli trovati sulla porta di casa insieme a dei falsi biglietti scritti della figlia, che ne chiedeva la presa in carico da parte dei propri genitori. Il tutto avviene con la piena consapevolezza delle autorità locali e dei servizi sociali che per lungo tempo, fino alla scoperta della verità, crederanno alla tesi di Fritzl. I restanti tre figli (Kerstin, Stefan e Felix) rimarranno invece sin dalla nascita sempre nel bunker insieme a Elisabeth, senza mai avere la possibilità di vedere l'esterno e la luce del sole.
Fritzl si reca in cantina sin dal mattino, apparentemente per progettare piani per macchine da vendere alle imprese, spesso rimanendovi per tutta la notte e impedendo alla moglie anche solo di portargli il caffè. Un inquilino, affittuario di una camera al piano terra della casa, il quale ha vissuto per 12 anni nello stesso stabile dei Fritzl, rivelerà in seguito di aver sentito rumori provenire dal piano interrato e di averne poi chiesto ragione a Fritzl stesso che, minimizzando il fatto, avrebbe attribuito il tutto al sistema di riscaldamento a gas. Il bunker, sprovvisto di riscaldamento e di isolamento termico, risultava freddo in inverno e soffocante in estate.
Un giorno Kerstin, la maggiore dei tre figli di Elisabeth rimasti con lei nel bunker, si ammala gravemente: Fritzl deve cedere alle richieste di portare la ragazza (allora diciannovenne) in un ospedale, innescando una serie di fatti che condurranno alla scoperta della macabra storia.
Nel 1996 Michael, uno dei figli nati dal rapporto incestuoso, muore solo tre giorni dopo la nascita a causa di problemi respiratori, essendo privato di qualsiasi assistenza medica. Elisabeth afferma che Fritzl è presente quando il volto del bambino inizia a diventare viola per problemi di respirazione e che lo stesso si sarebbe rifiutato di portarlo dal medico, replicando con un secco "succederà quel che deve succedere".
In seguito Fritzl farà scomparire il corpo del neonato, bruciandolo nella caldaia di casa e gettando le ceneri in giardino, all'interno della sua proprietà. Al processo, in un primo momento, Fritzl cercherà di difendersi da quell'accusa di omicidio, che sarebbe potuta costargli l'ergastolo, affermando che il bambino non è deceduto in sua presenza. Solo dopo ammetterà tutto, confessando le proprie responsabilità nell'omicidio.
Il 19 aprile 2008 la primogenita dell'incesto Kerstin, allora diciannovenne, viene trasportata in gravi condizioni dal padre/nonno Josef nel vicino ospedale, afflitta da sintomi causati da una malattia di cui non verrà rivelata la natura. I medici del pronto soccorso pare che trovino un biglietto con la descrizione della vita della ragazza e, insospettiti, decidono di fare un appello assieme alla polizia affinché la madre si metta in contatto con loro, raggiungendo la figlia in ospedale. Kerstin, che si trova in condizioni molto gravi, trascorre diversi giorni in coma farmacologico.
Fritzl decide di liberare Elisabeth e portarla in ospedale, minacciando di uccidere con il gas i bambini nel bunker, se non collaborerà.
Elisabeth a questo punto parla con i sanitari, che avvisano le forze dell'ordine. Queste obbligano Fritzl ad aprire il bunker e liberare gli altri due figli ancora rinchiusi. Dal verbale della polizia:
«Si convince a farci entrare, solo quando lo informiamo che stiamo per sfondare muri e pavimento.»
La polizia locale decide quindi di riaprire il fascicolo sulla fuga di Elisabeth, mentre le vittime vengono condotte in una clinica psichiatrica, dove trascorreranno diversi mesi venendo ospitate anche durante il processo.
Il 27 aprile, nel corso dell'interrogatorio a cui è sottoposta, rassicurata riguardo a una sua futura protezione nei confronti del padre, la donna rivela la storia dei suoi 24 anni in prigionia, accusando il genitore di tutte le nefandezze subite in quel periodo di tempo. A seguito della confessione di Elisabeth, poco dopo la mezzanotte di quello stesso giorno, gli agenti di polizia arrestano Fritzl accusandolo di gravi crimini contro i membri facenti parte della sua famiglia: sequestro di persona, stupro, omicidio colposo per negligenza e incesto.
Subito dopo l'arresto l'uomo si chiude in un mutismo totale. Solo il giorno successivo, il 28 aprile, Fritzl confessa ammettendo le proprie responsabilità in relazione ai principali capi d'accusa a suo carico e rivelando l'esistenza di uno scantinato suddiviso in diverse camere tutte prive di finestre, col soffitto alto 170 cm e accessibile attraverso una porta blindata nascosta in una parete del suo laboratorio, che può essere aperta solo con un meccanismo elettrico del quale lui soltanto conosce il codice d'azionamento. Altre sette porte vanno superate per giungere al bunker, l'ultima delle quali è di nuovo elettrica e alta solo 83 cm.[7]
Non del tutto chiaro all'interno della vicenda risulta il ruolo di Rosemarie, madre di Elisabeth e moglie di Fritzl: il suo silenzio nei 24 anni del sequestro resta uno dei punti oscuri del caso. La donna ha sempre dichiarato di non essersi mai resa conto fino a una settimana prima dell'arresto dell'esistenza di un bunker, né tanto meno della presenza al suo interno di sua figlia e dei suoi nipoti. In seguito, Rosemarie dichiarerà di aver sempre creduto alla versione del marito quando sosteneva che Elisabeth fosse fuggita di casa per aggregarsi a una setta religiosa.
Fritzl affermerà di non vedere Elisabeth come una figlia, ma come una compagna. Confesserà di averla legata a un palo per 9 mesi e di averla ammanettata più volte durante le molestie, obbligandola a guardare film pornografici, costringendola poi a ripeterne le scene. In una testimonianza videoregistrata della durata di alcune ore, trasmessa durante il processo, Elisabeth dichiarerà di aver subito violenze sessuali da parte del genitore sin dall'età di dodici anni, smentendo così la difesa del padre che ha precedentemente dichiarato come le molestie nei suoi confronti siano iniziate per la prima volta nel 1985, con sua figlia diciannovenne. Amici ed ex compagni di scuola della ragazza dichiareranno che Elisabeth aveva più volte confidato loro che il padre la picchiava, mostrando anche i lividi delle percosse subite, senza però mai accennare a violenze sessuali.
Durante il suo interrogatorio, Fritzl ha dichiarato di provare affetto nei confronti dei figli nati dall'incesto: poco dopo la nascita di Kerstin, avrebbe portato in regalo un libro di puericultura a Elisabeth e cercato di rendere la vita dei figli il più felice possibile, tenendo conto delle condizioni imposte dalla cantina, rifornendo il congelatore di cibo sufficiente e curando il sistema di aerazione. Queste affermazioni verranno però sconfessate al processo dalla figlia che ricorderà come, in occasione di un viaggio all'estero del padre durato venti giorni, lei e i suoi bambini fossero sul punto di morire d'inedia.
Secondo gli psichiatri, Fritzl avrebbe dimostrato verso i famigliari "un amore infinito e un odio spietato"
Il 13 novembre 2008 Fritzl, 73 anni, viene incriminato per riduzione in schiavitù, sequestro di persona, stupro, coercizione, incesto e per l'omicidio colposo del neonato Michael. La perizia psichiatrica attesterà la capacità di intendere dell'uomo, pur riscontrando gravi disturbi di personalità.
Il 16 marzo 2009 si apre, a Sankt Pölten, il processo a suo carico presieduto dal giudice Andrea Humer. Fritzl si dichiara colpevole di tutte le accuse ascritte, con l'eccezione dell'omicidio e dell'aggressione con minaccia di uccidere con il gas i suoi prigionieri, se gli avessero disobbedito.
Il 19 marzo 2009 Fritzl viene condannato al carcere a vita, senza possibilità di libertà condizionale per i seguenti 15 anni. L'uomo ha accettato la sentenza senza ricorrere in appello e sta attualmente scontando la sua pena a Stift Garsten, un ex-monastero dell'Alta Austria trasformato in prigione, in una sezione speciale del carcere per malati psichiatrici.
Kerstin: nata nel 1989 e vissuta sempre nel bunker.
Stefan: nato nel 1990 e vissuto sempre nel bunker.
Lisa: nata nel 1992 nel bunker e poi adottata e cresciuta nella casa del padre/nonno.
Monika: nata nel 1994 nel bunker e poi adottata e cresciuta nella casa del padre/nonno.
Alexander: nato nel 1996 nel bunker e poi adottato e cresciuto nella casa del padre/nonno.
Michael: nato e morto nel 1996 nel bunker.
Felix: nato nel 2002 e vissuto sempre nel bunker.
I figli nati e vissuti nel bunker non erano mai stati visitati da un medico, né da un dentista, tanto che Kerstin aveva perso quasi tutti i denti. La ragazza, quando è stata ricoverata in ospedale, soffriva di un deficit funzionale multiorgano. Tutti e tre, inoltre, avevano sviluppato problemi al sistema immunitario, soffrivano di anemia e di mancanza di vitamina D. I tre fratelli non avevano mai visto la luce del sole e questo aveva provocato loro qualche problema alla vista; inoltre, Stefan aveva sviluppato una postura curva a causa dei soffitti alti 170 cm. Negli anni di prigionia, la madre ha insegnato ai figli a scrivere qualche parola, ma nel bunker non c'erano libri, solo un televisore e una radio.
Appena dopo la liberazione di Elisabeth e dei suoi figli, i quotidiani hanno riportato un'indiscrezione secondo cui Fritzl avrebbe abusato anche della figlia/nipote primogenita Kerstin sin dai 12 anni. La notizia non è stata né smentita né confermata.
Fonte: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Caso_Fritzl
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wolfman75 · 1 year ago
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Richard Ramirez, all'anagrafe Ricardo Leyva Muñoz Ramírez (El Paso, 29 febbraio 1960 – Greenbae, 7 giugno 2013), è stato un serial killer statunitense.
Soprannominato dai media "Night Stalker", il cacciatore della notte, uccise almeno 16 persone dal 10 aprile 1984 al 24 agosto 1985.
Il 31 agosto 1985 è stato catturato ed affidato nelle mani della giustizia. È stato condannato nel 1989 alla camera a gas per 41 crimini, tra cui 16 omicidi. La sua esecuzione doveva avvenire tramite gas letale nell'estate 2006, ma la Corte suprema nel 2007 ha accolto l'ultimo appello di Ramirez, facendo slittare l'esecuzione in data da designarsi, esecuzione mai avvenuta vista la prematura morte dell'assassino. Anche Ramirez ha trascorso gli anni in prigione, come John Wayne Gacy, dipingendo quadri.
Julian e Mercedes Ramirez ebbero cinque figli, e il quinto nato fu Richard Ramirez. La madre era cattolica, e suo padre un ex poliziotto in seguito passato a lavorare come operaio sull'autostrada di Santa Fe. Il padre di Richard credeva fermamente nelle punizioni corporali come metodo educativo. Era molto legato alla sorella Ruth Ramirez.
Ramirez potrebbe essere stato influenzato verso l'assassinio da suo cugino, Mike, un veterano della Guerra del Vietnam che spesso si vantava con lui di aver ucciso e torturato decine di nemici, mostrandogli anche delle foto Polaroid delle vittime. Queste includevano immagini di svariate teste decapitate di donne vietnamite, con le quali in altre foto Mike praticava del sesso orale. Ramirez era presente la notte in cui Mike sparò alla moglie, uccidendola. Richard aveva 13 anni all'epoca.
Il 10 aprile 1984 qualcosa fece scattare nella mente di Ramirez voglia di uccidere e di intraprendere una lunga mattanza che lo vede come protagonista fino al 31 agosto 1985, giorno della sua cattura. Nell'hotel dove lavorava vide una bambina con il fratello più piccolo che piangeva perché aveva perso una banconota. Ramirez attirò la bambina nel seminterrato facendole credere di aver visto la banconota, la violentò, la uccise e appese i suoi vestiti su un tubo di aerazione. Il caso non fu preso in considerazione ma, dopo l'arresto di Ramirez, nel 2009 gli investigatori attribuirono l'assalto come responsabilità di Ramirez, portando il numero delle vittime a 16.
Il 28 giugno 1984 Ramirez decise di intraprendere la furia omicida nuovamente e di spostarsi a Glassell Park, una zona a nord di Los Angeles. Forzò una porta e fece così spaventare Jennie Wincow, una anziana donna. La assalì, la torturò, la uccise e scappò di fretta. A causa della poca risonanza mediatica questo caso fu poco preso in considerazione e, ancora oggi, sono in corso accertamenti dalla parte della polizia per cercare di attribuire questo delitto atroce a Ramirez.
Il 20 febbraio 1985 Ramirez attaccò due donne in età avanzata nella loro casa a Telegraph Hill nella contea di Los Angeles, pugnalandole a morte.
Il 17 marzo 1985, Ramirez attaccò la ventiduenne Maria Hernandez fuori dalla sua abitazione, sparandole prima di entrare nella casa della ragazza. Dentro trovò Dayle Okazaki, 34 anni, che Ramirez uccise immediatamente. La Hernandez invece sopravvisse. Il proiettile sparatole da Ramirez era rimbalzato sopra le chiavi di casa che la ragazza aveva istintivamente portato al petto per proteggersi dal colpo.
Dopo circa un'ora dall'omicidio della Okazaki, Ramirez colpì nuovamente all'interno del Monterey Park. Sulla scena del delitto fu ritrovato un cappellino da baseball con il logo degli AC/DC.
Assalì la trentenne Tsai-Lian Yu, trascinandola fuori dalla sua auto e sparandole due colpi di arma da fuoco prima di fuggire. La ragazza venne ritrovata ancora in vita da un poliziotto, ma spirò poco prima dell'arrivo dell'ambulanza. I due omicidi ebbero una grossa risonanza nei media locali, scatenando il panico tra i residenti delle zone colpite.
Il 27 marzo Ramirez sparò a Vincent Zazzara, 64 anni, e a sua moglie Maxine, 44. Il corpo della signora Zazzara fu violentato e mutilato con diverse coltellate e le venne incisa la lettera T sul seno sinistro, mentre le furono cavati anche gli occhi. I cadaveri di Vincent e Maxine furono scoperti nella loro abitazione di Whittier dal figlio della coppia, Peter. L'autopsia determinò che le varie mutilazioni erano avvenute post-morte. Ramirez lasciò delle impronte di scarpe da ginnastica marca Avia sul luogo del delitto, che la polizia fotografò ed archiviò. All'epoca questi erano gli unici indizi in possesso della polizia. I proiettili trovati sulla scena del crimine furono confrontati con quelli rinvenuti durante i precedenti omicidi, e gli agenti capirono di trovarsi di fronte ad un assassino seriale. Gli omicidi erano infatti opera della stessa persona.
Due mesi dopo l'uccisione degli Zazzara, Ramirez attaccò una coppia di cinesi: Harold Wu, 66 anni, e sua moglie, Jean Wu, 63. L'uomo venne ucciso con un colpo di pistola alla testa, mentre la donna venne picchiata, legata, e ripetutamente violentata. Per ragioni sconosciute, Ramirez decise di lasciarla in vita. Gli impulsi omicidi di Ramirez si facevano di giorno in giorno più violenti. Lasciava dietro di sé sempre più indizi, e fu in questo periodo che venne soprannominato "The Night Stalker" dai mass media. Le vittime sopravvissute descrivevano il killer come un uomo alto di etnia ispanica con lunghi e ricci capelli neri, il viso scarno e allungato e la dentatura in pessime condizioni.
Il 29 maggio 1985 Ramirez assaltò Malvial Keller, 83 anni, e la sorella disabile di lei, Blanche Wolfe, 80 anni, picchiandole entrambe con un martello. Ramirez cercò anche di violentare la Keller, senza però riuscirvi. Utilizzando un rossetto disegnò un pentacolo sulla parete della stanza da letto e su una coscia dell'anziana donna. Blanche sopravvisse all'attacco. Il giorno seguente, Carol Kyle, 41 anni, fu legata, picchiata e sodomizzata da Ramirez, mentre il figlioletto undicenne della donna era stato rinchiuso nell'armadio dal killer.
Durante giugno e luglio, altre tre donne furono uccise. Due ebbero la gola tagliata, una picchiata a morte, tutte e tre furono assalite nelle loro case. Il 26 giugno Ramirez rapì di notte prelevandola dalla sua stanza la piccola Anastasia Hronas, una bambina di 6 anni; dopo averla ripetutamente violentata la lasciò libera abbandonandola nei pressi di un benzinaio.
Il 5 luglio Whitney Bennett, 16 anni, e Linda Fortuna, 63, furono attaccate da Ramirez, ma riuscirono entrambe a sopravvivere. Il 20 luglio Ramirez colpì addirittura due volte nello stesso giorno. A Sun Valley sparò, uccidendolo, a un uomo di 32 anni, Chitat Assawahem, mentre la moglie Sakima, 29 anni, fu picchiata e costretta ad un rapporto orale. Ramirez sodomizzò anche il figlioletto di 8 anni della coppia davanti agli occhi della madre. Più tardi lo stesso giorno assalì una coppia a Glendale, Maxson Kneiding, 66 anni, e sua moglie Lela, anche lei 66 anni; entrambi furono uccisi e i cadaveri mutilati.
Il 6 agosto Ramirez sparò sia a Christopher Petersen, 38, sia alla moglie di lui, Virginia, 27. Miracolosamente, sopravvissero entrambi. L'8 agosto seguente, Ramirez colpì a Diamond Bar, uccidendo Ahmed Zia, 35 anni, e poi violentò la moglie dell'uomo, Suu Kyi, 28 anni.
Successivamente Ramirez lasciò la zona di Los Angeles, e il 17 agosto, uccise un uomo di 66 anni a San Francisco, picchiando e sparando anche alla moglie dell'uomo. La donna riuscì a sopravvivere e fu in grado di identificare il suo assalitore dagli identikit preparati dalla polizia. Sulla scena del crimine, Ramirez utilizzò un rossetto per disegnare un pentacolo e scrivere le parole "Jack the Knife" sul muro della stanza da letto, poi, dopo aver rubato del cibo dal frigorifero, vomitò sul pavimento in cucina e si masturbò sul tappeto del salotto.
La svolta decisiva nel caso ebbe luogo il 24 agosto 1985, Ramirez viaggiò per cinquanta miglia dal sud di Los Angeles a Mission Viejo, ed irruppe nell'appartamento di Bill Carns, 29 anni, e della fidanzata, Inez Erickson, 27. Ramirez sparò in testa a Carns e violentò Erickson. La costrinse ad inneggiare a Satana e poco dopo, la forzò ad un rapporto orale. Poi la legò e se ne andò. Erickson riuscì a strisciare fino alla finestra e a scorgere l'auto di Ramirez, una Toyota station wagon di colore arancio. Fu inoltre in grado di dare una descrizione dettagliata del criminale alla polizia. Un adolescente identificò l'auto della quale aveva sentito parlare al notiziario, e si segnò la targa del veicolo. L'auto rubata venne rinvenuta il 28 agosto, e la polizia riuscì ad ottenere le impronte digitali dell'assassino prelevandole dal finestrino di una portiera dell'auto. Le impronte si rivelarono quelle del già schedato Richard Muñoz Ramirez, descritto come un venticinquenne ispanico con una lunga serie di precedenti per stupro e spaccio di droga.
Due giorni dopo, la sua foto segnaletica venne trasmessa in televisione e stampata sui principali quotidiani della California. Ramirez fu riconosciuto, circondato e quasi linciato da una folla di passanti a East Los Angeles mentre stava cercando di rubare un'auto. Gli agenti accorsi sul posto dovettero disperdere la folla per impedire che i cittadini inferociti uccidessero Ramirez.
L'udienza preliminare per il caso iniziò il 22 luglio 1988, e si concluse il 20 settembre 1989 con Ramirez ritenuto colpevole di 13 omicidi, 5 tentati omicidi, 11 violenze sessuali, e 14 furti con scasso.
Durante la fase penale del processo, il 7 novembre 1989, Ramirez fu condannato a 19 pene di morte. Il processo di Richard Ramirez fu uno dei più lunghi e complessi procedimenti giudiziari della storia americana. Più di 100 testimoni furono chiamati a deporre durante i dibattimenti, e mentre alcuni faticavano a ricordare precisamente avvenimenti accaduti quattro anni prima, altri si dissero sicuri che l'assassino fosse proprio Richard Ramirez, il quale si presentò in aula con un pentacolo tatuato sul palmo di una mano esclamando "Ave Satana!".
Il 3 agosto 1988 il Los Angeles Times riportò la notizia che alcune guardie carcerarie avevano raccontato di aver sentito Ramirez che diceva di voler sparare al procuratore distrettuale in aula, con una pistola che intendeva contrabbandare in tribunale di nascosto.
Di conseguenza, venne installato un metal detector all'entrata dell'aula e furono disposti severi controlli. Il 14 agosto il processo fu interrotto perché uno dei giurati, tale Phyllis Singletary, non si presentò in aula. Più tardi quello stesso giorno la donna venne rinvenuta cadavere nel suo appartamento, uccisa da un colpo di arma da fuoco. La giuria rimase terrorizzata dall'evento; nessuno sapeva se Ramirez aveva avuto indirettamente qualcosa a che fare con l'omicidio, orchestrando il tutto dalla sua cella. In realtà Ramirez non era responsabile della morte della Singletary: la donna era stata uccisa dal suo fidanzato, che in seguito si suicidò.
All'epoca del processo, Ramirez aveva numerose fan che gli scrivevano appassionate lettere d'amore in carcere. A partire dal 1985, la giornalista freelance Doreen Lioy gli scrisse circa 75 lettere durante la sua incarcerazione. Nel 1988 Ramirez le propose di sposarlo, e il 3 ottobre 1996 la coppia si sposò nel carcere di San Quintino. La Lioy ha ripetutamente affermato che si sarebbe suicidata il giorno in cui Ramirez fosse stato giustiziato.
Richard Ramirez è morto per insufficienza epatica nel giugno 2013 all'età di 53 anni, mentre era detenuto nel Carcere di San Quintino.
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wolfman75 · 1 year ago
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Gilles de Montmorency-Laval, conosciuto principalmente con l'appellativo di Gilles de Rais[1] (Champtocé-sur-Loire, 1404[2] – Nantes, 26 ottobre 1440), è stato un generale, criminale e nobile francese che fu barone di Rais, signore di varie località in Bretagna, Angiò e Poitou, capitano dell'esercito francese e compagno d'armi di Giovanna d'Arco. È conosciuto per l'accusa di essere stato coinvolto in pratiche alchemiche e occulte, in cui avrebbe torturato, stuprato e ucciso almeno 140 bambini e adolescenti.
Dal 1427 al 1435 servì come comandante nell'esercito reale francese e combatté contro gli inglesi durante la guerra dei cent'anni; fu nominato maresciallo di Francia nel 1429. Accusato di praticare l'occulto, dopo il 1432 venne implicato in una serie di omicidi di bambini. Nel 1440 una violenta controversia con un religioso aprì un'indagine ecclesiastica che lo portò a essere accusato dei reati sopra citati. Durante il processo i genitori dei bambini scomparsi e i servi di Gilles testimoniarono contro di lui, facendolo condannare a morte per una vasta serie di reati. Venne impiccato a Nantes il 26 ottobre 1440.
Si pensa che Gilles de Rais abbia ispirato lo scrittore francese Charles Perrault per la fiaba del 1697 Barbablù (Barbe bleue). La storia narra infatti di un crudele signorotto che uccide brutalmente le proprie mogli e ne nasconde i cadaveri in una stanza segreta del proprio castello.
Di nobile casato (i Montmorency-Laval erano due fra le più potenti famiglie di Francia, imparentate con il connestabile Bertrand du Guesclin), a soli undici anni rimase orfano di entrambi i genitori (la madre morì di malattia ed il padre ucciso da un cinghiale durante una battuta di caccia), e fu allevato dal nonno materno, Jean de Craòn.
Jean de Craòn lo fidanzò a tredici anni con Jeanne Peynel, una ricca ereditiera, poi con Beatrice de Rohan, nipote del duca Giovanni IV di Bretagna. La morte prematura di entrambe le giovani impedì il matrimonio. Sposò infine un'altra ereditiera, Catherine de Thouars (1409-1462), il 30 novembre 1420.
Nel 1427, agli ordini di Arturo III di Bretagna, entrò al servizio di Carlo VII di Francia combattendo alla testa di un proprio contingente in svariati episodi della guerra dei cent'anni e finanziando il futuro re nelle sue campagne militari. Grazie alla parentela con Georges de La Trémoille, gran ciambellano di Francia, entrò nelle grazie del sovrano combattendo poi contro gli inglesi al fianco di Giovanna d'Arco, ad Orléans, a Jargeau, a Meung-sur-Loire e a Beaugency.
Divenuto pari di Francia, consigliere e ciambellano di re Carlo VII, presenziò alla consacrazione di quest'ultimo, avvenuta a Reims il 17 luglio 1429, dopo essere stato elevato al titolo di maresciallo di Francia il precedente 21 aprile. Continuò a combattere prima sulla Loira quindi in Normandia, alla testa di un piccolo esercito personale da lui stesso mantenuto.
Morto il nonno, nel 1432 ereditò un'immensa fortuna, consistente soprattutto in proprietà terriere in Bretagna, nel Maine e nell'Angiò, cui si aggiungevano le ricchezze dei de Rais e quelle della moglie, ritrovandosi così ad essere uno degli uomini più ricchi del suo tempo.
Grazie a questa fortuna finanziò Carlo VII nelle sue campagne, con denaro che non gli venne mai restituito.
Ritiratosi dal servizio militare (l'ultima azione cui prese parte ebbe luogo nell'estate 1432 a Lagny-sur-Marne, assediata dalle truppe di Giovanni Plantageneto, I duca di Bedford), iniziò a condurre una vita dispendiosa e raffinata, circondandosi di manoscritti preziosi e finanziando sfarzosi spettacoli teatrali.
Si sa che nel corso di una visita ad Orléans il suo seguito di 200 persone occupò tutte le locande della città, e in pochi mesi la spesa arrivò a 80 000 corone d'oro. Non mancò di interessarsi di religione, costruendo una sfarzosa cappella privata e finanziando opere caritatevoli.
Dissipò così in breve tempo il patrimonio di famiglia, fino ad essere costretto a ricorrere a prestiti e a svendere i propri possedimenti per somme irrisorie.
In seguito agli sperperi, fra il 1434 e il 1436 la moglie lo abbandonò, il fratello prese possesso dell'avito castello di Champtocé e Carlo VII giunse su richiesta dei familiari a emanare nei suoi confronti un atto di interdizione, dichiarando nulle ulteriori vendite. Giovanni V di Bretagna non rese nota tuttavia l'interdizione nei propri domini e con il vescovo di Nantes Jean de Malestroit, ansiosi entrambi di opporsi alla politica del sovrano e soprattutto interessati all'acquisto dei terreni, nominò de Rais luogotenente generale di Bretagna.
Fu probabilmente in quel periodo che, per cercare di ritrovare la perduta fortuna, Gilles de Rais cominciò a interessarsi alla creazione della pietra filosofale, motivo per cui affidò al suo cappellano Eustache Blanchet il compito di procacciargli alchimisti. Fu proprio Blanchet a recarsi a Firenze e a incontrare, nel 1439, Francesco Prelati, un giovane monaco spretato toscano dedito all'occultismo, che assoldò e portò con sé nel castello di Tiffauges.
Prelati, impegnato nel tentativo di ottenere la pietra filosofale, disse a de Rais di avere al proprio servizio un demone personale, di nome "Barron". Davanti all'inquisizione Prelati dichiarò che, non essendo in grado di soddisfare i desideri del suo mecenate, ogni giorno più bisognoso di denaro, richiese a nome del demone il sacrificio di un bambino.
Il 15 maggio 1440 de Rais riprese armi alla mano il castello di Saint-Étienne de Mermorte, che egli stesso aveva venduto al tesoriere di Bretagna Guillaume Le Ferron (prestanome del duca). Ciò facendo non solo violò un contratto, ma infranse anche le leggi della Chiesa entrando in armi in un luogo sacro e prendendo in ostaggio il canonico Jean Le Ferron (fratello del proprietario), che stava celebrando la messa. Il fatto indusse il vescovo di Nantes, competente sul territorio, ad aprire un'indagine.
Dopo la liberazione di Le Ferron, nel settembre dello stesso anno de Rais fu arrestato insieme a servitori e amici, e il 28 settembre cominciò il processo inquisitoriale di fronte al vescovo e al viceinquisitore di Nantes, Jean Blouyn. Quel giorno deposero otto testimoni a suo carico, seguiti poi da altri due, tutti lamentando la scomparsa di bambini e attribuendone il rapimento a una serva di Gilles de Rais, Perrine Martin soprannominata "la Meffraye", all'epoca in prigione a Nantes.
Il 13 ottobre il processo riprese; nel frattempo furono stilati 49 capi d'imputazione: de Rais fu accusato di avere, con l'aiuto di complici, rapito numerosi bambini, averli uccisi nei modi più perversi, smembrati, bruciati, averli offerti in sacrificio ai demoni, di aver condotto con Prelati pratiche stregonesche, ecc.
Il vescovo e l'inquisitore lo minacciarono di scomunica, e gli diedero 48 ore di tempo per preparare una difesa.
Il 15 ottobre Gilles de Rais ricomparve davanti al tribunale, mentre il 16 e il 17 furono raccolte le deposizioni dei presunti complici.
Gilles de Rais inizialmente si scagliò con violenza contro i giudici, accusandoli apertamente di volerlo processare per sottrargli le sue ricchezze (de Rais si era già distinto in precedenza per l'atteggiamento polemico o apertamente violento nei confronti del clero); quindi, sotto tortura, confessò nei giorni successivi una quantità enorme di crimini di incredibile efferatezza.
Il 25 ottobre fu emessa la sentenza: in nome del vescovo e dell'inquisitore, Gilles de Rais fu dichiarato colpevole di apostasia e invocazione demoniaca; a nome del solo vescovo fu dichiarato colpevole di sodomia, sacrilegio e violazione dell'immunità della Chiesa e quindi condannato a morte per impiccagione e al rogo post mortem.
Il 26 ottobre de Rais, insieme ai due servitori e complici, Henriet Griart e "Poitou", fu quindi impiccato, ma poiché restava il membro di una famiglia potente, aveva chiesto e ottenuto che il suo corpo, dopo la morte per impiccagione, non venisse arso, bensì tumulato nella cappella dei Carmelitani di Nantes, luogo di sepoltura dei duchi di Bretagna.
La vicenda giudiziaria non si estinse con l'esecuzione: in due lettere scritte da Carlo VII nel 1442 è riportato che Gilles de Rais aveva inoltrato appello al re e al Parlamento di Parigi, senza che ciò fosse stato considerato dai giudici, ragion per cui, su istanza dei familiari, Pierre de l'Hôpital, presidente del tribunale di Bretagna, e gli altri giudici, erano chiamati a comparire davanti al Parlamento, e il sovrano chiamava il Parlamento e i balivi di Maine, Angiò e Turenna all'apertura di un'inchiesta sulle circostanze della condanna. Le due lettere, tuttavia, non furono mai spedite per motivi ignoti, anche se è significativo il solo fatto - per quel che concerne le accuse a Gilles de Rais - che Carlo VII le abbia scritte.
Dal matrimonio con Catherine de Thouars nacque una figlia, Marie (1433 o 1434-1457) sposata con l'ammiraglio Prigent de Coëtivy, e in seconde nozze con il cugino maresciallo André de Lohéac.
La sua vedova, un anno dopo la morte di Gilles, contrasse nuovo matrimonio con Jean de Vendôme. La famiglia si estinse nel 1502.
Fonte: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Gilles_de_Rais
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wolfman75 · 1 year ago
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Pedro Alonso López, soprannominato il Mostro delle Ande (Santa Isabel, 8 ottobre 1948), è un serial killer colombiano. È uno dei serial killer più sanguinari della Colombia assieme a Luis Alfredo Garavito e Daniel Barbosa.
Pedro Alonso Lopez nacque a Tolima, in Colombia, l'8 ottobre 1948. Era il settimo dei tredici figli di Benilda Lopez de Castañeda, una prostituta. L'infanzia gli fu infelice a causa delle pessime condizioni di vita, della povertà estrema e per il comportamento violento, iracondo e autoritario della madre. Inoltre proprio in quegli anni cadeva il periodo della Violencia, che consisteva in una insurrezione sociale scoppiata poco tempo prima a causa del delitto a sfondo politico di Jorge Eliécer Gaitán Ayala, leader del Movimento Populista, avvenuto il 9 aprile 1948. Nell'arco di 10 anni la Violencia farà più di 200.000 vittime; il tasso di omicidi era altissimo e la gente non poteva passeggiare sicura per strada.
A 8 anni venne cacciato di casa: era stato scoperto dalla madre mentre molestava la sorella minore. Riuscì a trovare la via per tornare a casa ma, il giorno successivo, con un autobus lo abbandonò a più di 200 miglia di distanza da casa.
Lopez da quel momento visse vagabondando per strada, tirando avanti con piccole elemosine e furtarelli in mezzo al pericoloso clima da guerra civile. Un giorno Pedro venne avvicinato da un vecchio che, con la scusa di aiutarlo, lo rapì e lo sodomizzò per ore. Superata l'esperienza, un anno dopo si spostò a Bogotà (la capitale della Colombia), dove venne trovato e adottato da una coppia di americani benestanti. Venne così mandato a scuola, ma all'età di 12 anni subì un abuso sessuale da un insegnante. Pedro così scappò dalla famiglia americana con un po' di soldi con sé e tornò per strada. Un po' di tempo dopo iniziò la sua carriera criminale, che lo porterà ad essere un abilissimo ladro di automobili. Nel 1958 il periodo della Violencia finì e il clima stava tornando alla normalità.
Nel 1969, all'età di 21 anni, venne arrestato dalla polizia e condannato a sette anni di reclusione per furto d'auto. Due giorni dopo il suo arresto fu violentato da quattro detenuti. Da lì a poco si vendicò tagliando la gola a tre di essi con un coltello rudimentale. Così gli vennero aggiunti altri due anni di carcere. Nel 1978 uscì dal carcere. Lopez era impazzito a causa dell'infanzia bruciata, della figura di sua madre, degli stupri ricevuti, degli omicidi e del carcere. Aveva sviluppato inoltre una forma di misoginia: infatti odiava le donne, che gli ricordavano la figura della madre. Non si sposò mai e divenne dipendente da riviste di pornografia esplicita. Dalla Colombia si spostò in Perù, dove tornò ad uccidere.
Come indicato sopra, Pedro Lopez uccideva per misoginia; le vittime erano tutte donne, ragazzine o bambine. Solitamente le attirava a sé cercandole in giro e pedinandole, per poi conoscerle meglio, diventandone il fidanzato e regalando loro qualcosa, ad esempio uno specchietto o piccoli oggetti. Poi le attirava con una scusa banale in un luogo isolato senza che sospettassero di nulla e lì le assaliva stuprandole selvaggiamente per ore. Infine nel giro di cinque o quindici minuti le strangolava a mani nude mentre le guardava negli occhi, cosa che lo eccitava molto. Tutti gli omicidi avvenivano di giorno o all'alba, ma non di notte: secondo lui il buio gli impediva di vedere bene il momento dell'omicidio. Spesso controllava se le vittime fossero realmente morte o aspettando che riprendessero i sensi o mettendo loro davanti al viso uno specchietto: se si condensava, voleva dire che respiravano ancora e che dovevano essere nuovamente soffocate.
Dopo averle uccise passava delle ore in compagnia del cadavere. A volte li accumulava e li faceva sedere su una tavola imbandita, gli offriva del tè e ci chiacchierava amichevolmente. Quando si stancava li seppelliva in fosse scavate già pronte, spesso in gruppi di 3 o 4 morti perché, secondo lui, amavano la compagnia. Infine tornava ancora ad uccidere con il ritmo di circa tre o più uccisioni a settimana.
In Perù uccise almeno 100 donne appartenenti alle varie tribù Indios. Poi venne scoperto dalla tribù indigena degli Ayacuchos mentre cercava di violentare una bambina di 9 anni. Gli indigeni lo catturarono e lo seppellirono nel terreno, lasciandogli scoperta la testa. Se non fosse intervenuta una missionaria americana che spiegò agli Ayacuchos che la sua morte era irreligiosa, lo avrebbero cosparso di un liquido che attirava gli insetti e l'avrebbero fatto sbranare vivo.
Gli Ayaucuchos consegnarono Lopez alla polizia, che reputò di poco conto l'affare con la tribù indigena e lo deportò in breve tempo in Ecuador. Così fu libero di girare indisturbato tra la Colombia e l'Ecuador, uccidendo in qualche anno 100 donne in Colombia e almeno 110 nell'Ecuador. Solo in quel momento la polizia si allarmò a causa delle decine di morti e sparizioni di giovani donne proprio dove passava Lopez; ciò nonostante si attribuirono le sparizioni al mercato nero della prostituzione e Lopez non venne mai arrestato, sia a causa della conclusione dell'indagine sbagliata sia per il suo affinato modus operandi. Come nel caso di Luis Alfredo Garavito, un colombiano che uccise almeno 140 bambini, rimase imprendibile per molto tempo. Ma anche lui si fece arrestare nell'Ecuador per un banale errore. Era l'aprile del 1980.
Pedro Alonso Lopez si fece bloccare e arrestare dopo un fallito tentativo di rapimento e stupro ai danni di una bambina di 10 anni di nome Maria: la madre, Carlina Ramon Poveda, aveva notato il killer mentre si allontanava con la figlia nella zona del mercato. Le sue urla attirarono i presenti, che lo fermarono. In carcere si rifiutò di rispondere alle domande degli investigatori. Era già sospettato di 4 omicidi. Le vittime, i cui cadaveri vennero trovati in una fossa a seguito di uno straripamento ad Ambato, erano state strangolate così forte che gli occhi erano schizzati fuori dalle orbite; il ritrovamento era avvenuto l'anno prima.
Solo dopo un po', con l'aiuto di un padre missionario, venne fatto confessare: raccontò alla polizia gli oltre 100 omicidi del Perù, i 100 della Colombia e gli oltre 110 dell'Ecuador, la sua infanzia e il suo modus operandi. La polizia era un po' scettica di fronte ad un numero così alto di omicidi: vista la diffidenza nei suoi confronti, accompagnò gli agenti in alcuni dei luoghi dove aveva seppellito alcune delle sue vittime: nel solo Ecuador se ne trovarono in poco tempo 53 che, aggiunti agli altri 4 di cui era sospettato e ai 3 commessi in carcere, erano almeno 60. Gli altri 40 circa non vennero trovati, nonostante Lopez avesse accompagnato i poliziotti nei loro luoghi di sepoltura; è normale che succeda ciò: il territorio è sempre soggetto a frane e forti alluvioni, che disperdono i corpi.
Gli oltre 200 omicidi consumati in Perù e in Colombia non vennero mai trattati poiché Lopez non venne estradato dall'Ecuador.
Nel 1980 si svolse il processo: Pedro Alonso Lopez venne sentenziato colpevole di almeno 110 omicidi e, nonostante il suo fanatismo mentale, venne giudicato capace di intendere e di volere. Lopez era quindi sano di mente. La pena prevista era il carcere a vita: nell'Ecuador non esiste la pena di morte. Mentre si trovava in carcere ad Ambato, concesse alcune interviste, che hanno contribuito a farlo conoscere e a ispirare documentari sulla sua controversa figura; la più famosa è quella concessa al giornalista Ron Laytner nel gennaio 1999. In queste interviste afferma continuamente di essere “L'Indimenticabile Uomo del Secolo”, con i suoi oltre 310 omicidi, e che sarebbe stato rilasciato presto per la sua buona condotta; le altre sono state pubblicate sul Chicago Tribune (13 luglio 1980), sul Toronto Sun e sul Sacramento Bee (21 luglio 1980), in altri giornali nordamericani e su altre pubblicazioni.
Il 31 agosto 1994 venne rilasciato dal carcere, ma la polizia lo riarrestò come immigrato clandestino; le autorità lo portarono in un centro psichiatrico a Bogotà, in Colombia dove gli fu fatta una perizia psichiatrica, che stabilì che era sano di mente. Nel 1998 è stato nuovamente liberato su cauzione e deportato al confine colombiano.
Una settimana dopo la polizia lo ha trovato nuovamente in Ecuador: lo ha allontanato per la seconda volta.
Nel 2002 le autorità gli hanno attribuito un nuovo omicidio, ma Lopez nel frattempo aveva fatto perdere le sue tracce; non si sa se sia vivo o morto.
Fonte: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Pedro_Alonso_L%C3%B3pez
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wolfman75 · 1 year ago
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questo articolo avrete il dubbio, come me, su cosa effettivamente arrivi sulle nostre tavole. Non sono certamente un fobico, ma qualche volta mi è capitato di pensare a quale carne effettivamente ci venda il macellaio all’angolo, se ci dia maiale o carne di cane, o ancora peggio, carne umana. Ormai non dovremmo stupirci di nulla: proprio recentemente sui giornali è apparsa la notizia di carne infettata dal virus HIV; prima di questo si è parlato di carne di ratto servita in alcuni ristoranti cinesi; ancora prima di carne di serpente al posto di quella di coniglio …
Ricordate quella volta in cui la carne aveva un sapore strano? Siete davvero sicuri di non aver mangiato carne di qualche animale insolito spacciata per vitello o maiale? E non vi è mai passato per la testa che almeno una volta nella vita potreste aver comprato un panino con all’interno carne umana? Questo articolo vi dimostrerà che può succedere!
Comincio con le stesse parole del killer, Joe Metheny, intervistato in prigione poco tempo dopo la sentenza.
«Ti dirò di me, di quello che sono adesso, cioè da quando sono bloccato in prigione. Ho 48 anni, peso circa 205 kg, ma questo non è solo grasso. Sono qui in questa cella da quasi otto anni, ma quando qualcuno è condannato a diverse pene di vita senza possibilità di liberazione anticipata il tempo non è più importante.
Merito di essere qui perché mi ha processato gente giusta che ha fatto giustizia. Ha! Ha! Sono stato condannato solo per due omicidi e un rapimento; lei però mi è sfuggita …
Per il primo omicidio sono stato condannato a vita senza la possibilità di richiedere un rilascio anticipato; per il secondo mi hanno dato la pena di morte e per tre anni ho atteso nel braccio della morte in Maryland. Alla fine hanno cambiato la mia condanna e mi hanno dato un’altra condanna a vita senza alcuna liberazione.
Ho ucciso sette persone, tre uomini e quattro donne. Due uomini li ho fatti a pezzi con la mia ascia sotto un ponte nel sud di Baltimora; sotto lo stesso ponte ho ucciso altre due donne e un uomo che stava pescando: lui era nel posto sbagliato nel momento sbagliato. La polizia ha controllato quel posto circa tre anni dopo, quindi non hanno trovato nulla per condannarmi per quegli omicidi.
La mia frenesia assassina era motivata da un desiderio di vendetta, ma il gusto del sangue mi ha anche dato la meravigliosa sensazione di potere ogni volta che privavo qualcuno della sua vita.
Tutto è iniziato nel luglio 1994. Al tempo lavoravo come camionista. Una notte sono tornato a casa e quando ho aperto la porta e acceso la luce ho notato che non c’era più niente: la mia donna ha preso tutto, incluso mio figlio, e mi ha lasciato.
Avrei anche accettato la sua fuga, ma lei mi ha preso il mio figlio di 6 anni. L’avrei pagata per scomparire dalla mia vita: tutto quello che doveva fare era portare mio figlio a mia madre e poi tutto sarebbe andato bene.
Sei mesi più tardi ho saputo che viveva in un’altra parte della città con qualche idiota che la stava imbottendo di droghe. Sono stati beccati per il possesso e l’uso di quelle schifezze e mio figlio è stato portato via perché lo trascuravano e lo hanno picchiato. Così ho raccolto tutto il mio odio per i due che hanno fatto male a mio figlio e sono andato a cercarli. Ho saputo da qualcuno che erano sotto quel ponte e stavano dormendo con i senzatetto che erano lì.
Non erano lì, ma ho trovato due nani che avevano visto insieme a loro. Li ho fatti a pezzi e credo che nemmeno se ne siano accorti.
Quella stessa sera ho attirato sotto il ponte la prima cagna. Ho cercato di farmi dire dove fosse mia moglie, ma lei ha detto che non sapeva niente, quindi l’ho picchiata, l’ho violentata e l’ho uccisa. Ho gettato il suo corpo nei cespugli e sono andato a cercare un’altra cagna. Ho fatto la stessa cosa di quella precedente, ma quando l’ho gettata in mezzo ai cespugli ho notato un nero che mi stava guardando. Così ho preso un tubo metallico che era nella spazzatura e gli ho spaccato il cranio. Alla fine ho gettato tutti nel fiume …
Era una notte davvero difficile per me: cinque omicidi in circa sette ore. Due settimane e mezza dopo sono stato arrestato e accusato di aver ucciso i due nani con l’ascia. Ho trascorso quasi 18 mesi di carcere a Baltimora, in attesa del processo. Il processo è durato una settimana ed è stato chiuso per mancanza di prove.
Ho attirato ancora due puttane nel mio rimorchio, ma nemmeno loro sapevano dirmi nulla di mia moglie. Le ho uccise e ho fatto a pezzi i loro corpi; ho tagliato la carne e l’ho messa nei contenitori e poi nel congelatore.
Nei fine settimana aprivo un piccolo bar su ruote e vendevo sandwich di maiale e carne di manzo: mi dicevano tutti che erano buonissimi anche se non sapevano che in mezzo a quei panini c’erano i pezzi di quelle puttane. La carne umana ha un sapore simile alla carne di maiale e se mescolate questi due tipi di carne nessuno sente la differenza.
Tutto è andato bene finché non ho finito la carne speciale. Così ho invitato un’altra puttana sul mio rimorchio. Ho cominciato a strapparle i vestiti e lei iniziò ad urlare, ma oltre a me non c’era nessuno che la sentisse. E io me la ridevo.
Mi sono voltato per un secondo e quello è stato il mio errore, perché quella troia è riuscita ad uscire dalla porta prima che potessi agguantarla. Quella cagna si arrampicò sui pallet del giardino come una scimmia e saltò oltre il recinto, dove un ragazzo si fermò e la portò alla stazione di servizio, dove hanno chiamato la polizia. Sapevo che i poliziotti erano in zona, ma me la presi con calma: ho preso i suoi vestiti, ho preso le chiavi e sono uscito. Non ho fatto in tempo a tornare a casa che è arrivata un’auto e uno sbirro ha tirato fuori una pistola dicendomi di sdraiarmi per terra. È così che finisce la storia.
Mi hanno arrestato. L’unica cosa che mi rammarica è che non ho ucciso i due figli di puttana che volevo uccidere. Questa è la mia storia, terribile ma vera. Quindi, la prossima volta che scendete in strada e notate un barbecue su ruote che non avete mai visto prima, ricordate questa storia prima di mangiare il vostro panino. Non potete sapere cosa state mangiando davvero. Ha! Ha!»
Questo lungo monologo riassume effettivamente i crimini di Joseph Roy Metheny. Durante l’ultimo processo, quello per l’assassinio di Cathy Ann Magaziner, Metheny confessò di averla uccisa nel 1994 e fornì tutti i dettagli per ritrovare ciò che restava del suo corpo, ovvero le parti non utilizzate per i suoi “speciali” sandwich di carne e seppelliti in un bosco poco distante dal suo luogo di lavoro. Metheny stesso supplicò il giudice di dargli la pena di morte, ma i suoi avvocati riuscirono a convincere in appello la giuria che il suo era stato un omicidio senza scopo di furto (un’aggravante che consente di deliberare la pena di morte) e la sua pena si tradusse in una seconda condanna all’ergastolo.
Metheny stava già scontando una condanna all’ergastolo per l’omicidio di Kimberly Spicer nel 1996 e 50 anni di carcere per tentato stupro e sequestro di Rita Kemper, la ragazza che scappò dal suo rimorchio e riuscì ad andare alla polizia.
Vi risparmio in questo caso tutta l’infanzia di Joe Metheny, anche perché, stando alle dichiarazioni della madre Jean, non ha mai avuto traumi tali da sviluppare il mostro che è diventato da adulto. Veniva descritto come intelligente e non si tirava indietro dai lavori pensanti. La morte del padre quando era piccolo non lo segnò particolarmente e una volta terminato il servizio militare si diede subito da fare per guadagnarsi da vivere.
I colleghi di Metheny lo descrissero come una persona comune, ovviamente molto più imponente degli altri, ma anche in caso di litigi nessuno avrebbe mai pensato che avesse potuto uccidere qualcuno.
Il caso di Metheny ha però un punto oscuro: la moglie non ha mai rilasciato dichiarazioni in merito e oggi non si sa dove viva. Nelle dichiarazioni dell’assassino è evidente che anche dopo anni di prigione mostrava un risentimento verso la sua compagna colpevole di essere scappata di casa, ma ci sarebbe da capire se gli omicidi, il cannibalismo e la vendita di carne umana siano scaturiti dalla rabbia o da una perversione di Metheny al di là della ragione.
Termino l’articolo facendo un po’ di ordine sugli eventi, perché del monologo di Metheny si capisce poco il lasso temporale.
Metheny ha dichiarato di aver iniziato ad uccidere nel 1994, dopo la fuga della moglie. Gli omicidi di quella notte non sono mai stati provati perché si indagò quasi quattro anni dopo su di loro, ma in quell’anno fu trovato il corpo mutilato della 28enne Toni Lynn Ingrassia lungo la Interstate 95, a breve distanza dalla società di trasporti per cui lavorava Metheny. L’uomo fu sospettato anche di quell’omicidio, ma non trovarono prove sufficienti ad accusarlo (sebbene in carcere rivendicò anche quell’omicidio).
Nel 1995, Metheny attirò le prostitute Cathy Ann Magaziner, 45 anni e Kimberly Spicer, 26 anni nel suo rimorchio dove le violentò, le strangolò e le fece a pezzi per mangiarne alcune parti e rivenderne altre sotto forma di panini di carne.
Il 19 dicembre 1996 Joe Metheny, ormai 41enne, fu arrestato per il sequestro, il tentativo di stupro e il tentato omicidio della 37enne Rita Kemper. Le indagini sul luogo dei fatti portarono al ritrovamento dei resti del corpo decomposto di Kimberly Spicer, che furono trovati sotto un rimorchio nei pressi dell’azienda.
Fu condannato a morte il 13 novembre 1998, ma la sua pena fu commutata in appello al carcere a vita il 24 luglio 2000.
Joe Roy Metheny nella sua prigionia ha confessato di aver ucciso 10 persone nella zona di Baltimora e di averlo fatto anche per mangiare carne umana e servirla nel suo barbecue su ruote ai suoi clienti del weekend.
Metheny è morto proprio di recente , il 5 agosto 2015 all’età di 62 anni: è stato trovato accasciato a terra da una guardia carceraria nel Maryland, dove stava servendo due condanne a vita. La morte sarebbe avvenuta per infarto.
Fonte: https://www.ilparanormale.com/serial-killer-e-delitti/joe-metheny/
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wolfman75 · 1 year ago
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Joachim Georg Kroll (Zabrze, 17 aprile 1933 – Rheinbach, 1º luglio 1991) è stato un serial killer tedesco. Fu soprannominato "Il cacciatore della Ruhr" e "Il cannibale della Ruhr", dalla regione in cui colpì. Commise almeno 14 omicidi tra uomini, donne e bambini, usando armi bianche, o strangolando le vittime. Cannibale pedofilo e necrofilo, fu condannato all'ergastolo per otto omicidi.
Nato a Hindenburg (l'odierna Zabrze), provincia dell'Alta Slesia, figlio di un minatore, Kroll era il sesto di nove figli. Al termine della seconda guerra mondiale, durante la quale suo padre fu fatto prigioniero di guerra, la famiglia di Kroll si trasferì nel Land della Renania Settentrionale-Vestfalia. La sua infanzia è stata costellata da numerosi problemi di inadeguatezza: faceva spesso la pipì a letto anche in tarda età ed era un pessimo studente.
Cominciò ad uccidere nel 1955, dopo la morte della madre. La prima vittima fu la diciannovenne Irmgard Strehl, violentata e uccisa in un fienile nei pressi del villaggio di Walstede. La successiva fu la dodicenne Erika Schuletter, stuprata e strangolata a Kirchhellen nel 1956. Tre anni dopo, il 17 giugno 1959, uccise Klara Tesmer nei boschi vicino a Rheinhausen. Alla sedicenne Manuela Knodt, violentata e uccisa nei pressi di Bredeney a sud di Essen, furono asportate parti di carne dalle natiche e dalle cosce. Circa nel 1960, Kroll si trasferì a Duisburg dove trovò lavoro come inserviente ai bagni della Mannesmann. Successivamente trovò impiego presso le industrie Thyssen e andò ad abitare al n. 24 di Friesenstrasse, Laar, un distretto di Duisburg. Fu in questo periodo che riprese a uccidere. Riempì il suo appartamento di riviste pornografiche e bambole gonfiabili, spesso strangolandole con una mano mentre si masturbava.
Poco attraente, quasi completamente calvo, troppo nervoso e timido per avere rapporti consensuali con donne di qualsiasi genere, finì per darsi allo stupro e all'omicidio.
8 febbraio 1955; Irmgard Strehl, 19 anni, violentata e pugnalata a morte. Il suo cadavere smembrato venne ritrovato in un fienile a Lüdinghausen.
1956; Erika Schuletter, 12 anni, violentata e strangolata a Kirchhellen.
17 giugno 1959; Klara Frieda Tesmer, 24 anni, stuprata e uccisa nei boschi vicino Rheinhausen. Un meccanico del luogo, Heinrich Ott, fu arrestato e incolpato del crimine. Si suicidò impiccandosi in cella.
26 luglio 1959; Manuela Knodt, 16 anni, violentata e strangolata nel parco cittadino di Essen. Strisce di carne furono prelevate dalle sue natiche e cosce.
23 aprile 1962; Petra Giese, 13 anni, violentata e strangolata a Dinslaken-Bruckhausen. Per questo crimine fu arrestato Vinzenz Kuehn.
4 giugno 1962; Monika Tafel, 12 anni, uccisa a Walsum. Strisce di carne furono prelevate dalle sue natiche. Walter Quicker fu arrestato per il delitto. Fu in seguito scarcerato, ma si suicidò per la vergogna in ottobre.
3 settembre 1962; Barbara Bruder, 12 anni, rapita a Burscheid. Il suo corpo non fu mai ritrovato.
22 agosto 1965; Hermann Schmitz, 25 anni, e la fidanzata Marion Veen furono aggrediti mentre si erano appartati in auto a Duisburg-Großenbaum. Hermann (unica vittima maschile di Kroll) fu pugnalato a morte, la ragazza riuscì a fuggire.
13 settembre 1966; Ursula Rohling, 20 anni, strangolata nel parco di Foersterbusch vicino Marl. Il suo fidanzato, Adolf Schickel, si suicidò dopo essere stato incolpato dell'omicidio.
22 dicembre 1966; Ilona Harke, 5 anni, violentata ed affogata in un fosso a Wuppertal.
12 luglio 1969; Maria Hettgen, 61 anni, violentata e strangolata a casa sua a Hückeswagen.
21 maggio 1970; Jutta Rahn, 13 anni, strangolata mentre tornava a casa da una stazione ferroviaria. Per questo crimine fu arrestato Peter Schay ma fu poi rilasciato.
8 maggio 1976; Karin Toepfer, 10 anni, stuprata e strangolata mentre si recava a scuola a Voerde.
3 luglio 1976; Marion Ketter, 4 anni. Parti del suo corpo erano state cucinate da Kroll quando la polizia lo arrestò a casa sua.
Kroll decideva molto attentamente i luoghi dove avrebbe colpito, uccidendo nello stesso posto solo in poche occasioni e a distanza di anni. Questo fatto, unito alla coincidenza della presenza di numerosi assassini operanti nella medesima zona all'epoca, gli facilitò l'impunità. Kroll sorprendeva le proprie vittime e le strangolava subito. Dopo spogliava i cadaveri e indugiava in atti di necrofilia, spesso masturbandosi sui corpi delle vittime. Infine, mutilava i corpi tagliando via pezzi di carne che avrebbe mangiato a casa in seguito.
Nel 1967 Kroll si stabilì per breve tempo a Grafenhausen, dove divenne amico di molti bambini della zona che cominciarono a chiamarlo "zio".
Un pomeriggio attirò una bambina di dieci anni in un campo con la promessa di mostrarle un coniglietto, ma invece le fece vedere delle immagini pornografiche sperando che si eccitasse sessualmente. La ragazzina invece fuggì spaventata. Kroll se ne andò in tutta fretta da Grafenhausen il giorno stesso, prima che la polizia potesse fare indagini in merito, ma questa volta rischiò parecchio e si fermò per circa due anni tornando a colpire solo nel luglio 1969. Il 3 luglio 1976, Kroll venne arrestato per il rapimento e omicidio di una bambina di quattro anni di nome Marion Ketter. Mentre la polizia stava indagando casa per casa chiedendo informazioni, un vicino di casa di Kroll approcciò un agente dicendogli che Joachim si era lamentato del fatto che le tubazioni di un bagno ai piani superiori della loro abitazione erano otturate da della "interiora", e quando la polizia mandò un idraulico a controllare, egli trovò nelle tubature dei polmoni di bambino e altri organi. La polizia si presentò quindi a casa di Kroll, e durante la perquisizione rinvenne parecchi sacchetti di plastica contenenti pezzi di carne umana nel frigorifero, e sul fornello, dentro una pentola che bolliva, una mano di bambina condita con carote e patate.
Kroll venne immediatamente arrestato.
Joachim Kroll confessò l'omicidio di Marion Ketter e di altre 13 vittime, fornendo dettagliati resoconti della sua attività di killer nei precedenti vent'anni.
Kroll ammise anche di praticare il cannibalismo di tanto in tanto, per risparmiare sul conto del droghiere. In carcere, sperò di ottenere l'infermità mentale ma fu invece incriminato per otto omicidi di primo grado, più un ulteriore tentato omicidio. Nell'aprile 1982, dopo un processo durato 151 giorni, fu condannato all'ergastolo. Analisi successive al suo arresto gli assegnarono un quoziente intellettivo di 76: si tratterebbe di uno dei serial killer meno intelligenti della storia.
Nel 1991 morì in carcere a causa di un infarto a Rheinbach.
Fonte: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Joachim_Kroll
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wolfman75 · 1 year ago
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John Wayne Gacy (Chicago, 17 marzo 1942 – Crest Hill, 10 maggio 1994) è stato un serial killer statunitense.
Soprannominato il "Killer Clown", ha rapito, torturato, sodomizzato e ucciso 33 vittime, tutte adolescenti e di sesso maschile, 29 delle quali seppellite sotto la sua abitazione o ammassate in cantina (una nelle fondamenta del barbecue in giardino), dal 1972 fino alla sua cattura avvenuta nel 1978, in seguito alle indagini sulla scomparsa di Robert Piest, la sua ultima vittima.
Il nome con cui è diventato noto deriva dal fatto di aver intrattenuto i bambini durante alcune feste con costume e trucco da clown facendosi chiamare Pogo il Clown. Pochi sospettavano che fosse segretamente bisessuale, perché era sposato; inoltre era un tipo socievole e pareva quindi insospettabile agli occhi dei concittadini. Alla conclusione del processo venne condannato a morte e giustiziato, dopo 14 anni di detenzione nel "braccio della morte", tramite iniezione letale nel 1994.[1]
Le perizie psichiatriche effettuate su di lui dimostrarono (come per molti serial killer "organizzati") una notevole intelligenza;[2] all'esame dei periti risultarono vari disturbi della personalità (disturbo istrionico di personalità, disturbo narcisistico, disturbo antisociale) correlati con il sadismo. Alla sua morte lasciò un discreto numero di disegni raffiguranti pagliacci ora parte di collezioni private. La vicenda e gli omicidi di Gacy contribuirono ad alimentare la paura del "pagliaccio malefico" nell'immaginario popolare. Dalla sua storia è stato tratto il film biografico Gacy, prodotto nel 2003.
John Wayne Gacy nacque a Chicago martedì 17 marzo 1942, secondogenito dei tre figli di John Stanley Gacy (1900-1969) e Marion Elaine Robinson (1908-1989).[3][4][5] La sua vita fu sconvolta da traumatici e significativi eventi accaduti nel corso della sua infanzia: da piccolo, John era un bambino sovrappeso che subiva continue molestie fisiche e psicologiche da parte del padre alcolizzato, di cui ricercava morbosamente l'approvazione, senza riceverla se non raramente.
Uno dei suoi primi ricordi era quello di quando, all'età di 4 anni, il padre lo picchiò a lungo con una cinghia di cuoio perché aveva smontato involontariamente un macchinario che il padre stava assemblando.
Veniva inoltre regolarmente ridicolizzato dal padre e confrontato con le sorelle, ritenute molto superiori, dato che egli era considerato "stupido, grasso ed effeminato".
Nel 1949, il padre di John lo frustò con una coramella dopo averlo sorpreso a scambiarsi effusioni in pubblico con un altro ragazzo e una giovane prostituta. All'età di nove anni, Gacy fu molestato sessualmente da un amico di famiglia:
John non raccontò mai ai genitori quanto era successo, per non incappare nell'ira del padre.
A 11 anni, John sbatté violentemente la testa cadendo dall'altalena sulla quale stava giocando: l'incidente gli causò un forte ematoma cranico che non venne diagnosticato fino a quando il ragazzo non compì 16 anni di età. Nel tempo intercorso tra il trauma e la diagnosi, Gacy soffrì spesso di forti mal di testa e di perdita temporanea della memoria. Il ristagno di sangue venne rimosso chirurgicamente. A 17 anni gli venne diagnosticata anche un'insufficienza cardiaca che Gacy si sarebbe portato dietro tutta la vita. A 18 anni, Gacy incominciò a interessarsi alla politica, lavorando come assistente del candidato del Partito Democratico del suo quartiere.
Lo stesso anno John divenne membro del Partito Democratico e si candidò alle elezioni comunali. Nel marzo 1964, dopo essersi laureato in economia e commercio e aver incominciato a lavorare come direttore di un negozio di scarpe a Springfield, Gacy cominciò a frequentare la giovane Marlynn Myers. Dopo nove mesi di fidanzamento, la coppia si sposò a settembre. Il padre di Marlynn era un ricco imprenditore proprietario di diversi ristoranti. Sempre nel 1964, Gacy ebbe la sua prima esperienza omosessuale: secondo quanto dichiarato da lui stesso, egli diede sfogo ai suoi impulsi quando, invitato a casa di un collega di lavoro, ubriaco insieme con lui sul divano, ebbe un rapporto orale consensuale con il ragazzo.
Nel 1966, il suocero di Gacy gli offrì l'opportunità di dirigere tre ristoranti fast food della catena Kentucky Fried Chicken del quale era proprietario a Waterloo, nello stato dell'Iowa.
L'offerta era molto vantaggiosa: 15.000 dollari all'anno più una percentuale sui profitti. Gacy accettò senza indugi e, dopo aver frequentato un corso manageriale formativo, si trasferì con la moglie a Waterloo. Qui, lavorando incessantemente, si rivelò un ottimo dirigente e, collaborando a diversi progetti di beneficenza, diventò ben presto una figura di spicco della comunità cittadina.
Gacy e la moglie ebbero due bambini durante la permanenza a Waterloo: Michael (nato nel marzo 1967) e Christine (venuta al mondo nell'ottobre 1968). Contemporaneamente Gacy cominciò a manifestare il suo orientamento sessuale fino ad allora represso: in particolare, socializzava solo con i dipendenti di sesso maschile facendo loro frequenti avance
di carattere sessuale, ma giustificandole come scherzi se gli interessati le rifiutavano con sdegno. Gacy divenne anche un avido consumatore di materiale pornografico omosessuale.
Nell'agosto 1967, Gacy commise la sua prima aggressione a scopo sessuale ai danni di un adolescente, il quindicenne Donald Voorhees Jr., figlio di un suo conoscente. Gacy attirò il ragazzo in casa sua con la promessa di fargli vedere dei film pornografici, poi fece ubriacare Voorhees e lo convinse a praticargli una fellatio. Svariati altri ragazzini furono molestati sessualmente da Gacy nei mesi seguenti, incluso un giovane che Gacy incoraggiò a far sesso con sua moglie, prima di costringerlo a un rapporto orale con lui stesso.
Nel marzo 1968, Donald Voorhees raccontò l'accaduto a suo padre, che informò immediatamente la polizia: Gacy venne arrestato e incriminato per molestie sessuali e sodomia in relazione a Voorhees e al tentato stupro di un sedicenne di nome Edward Lynch.
Gacy negò fermamente ogni accusa e richiese di essere sottoposto al test della macchina della verità: la sua richiesta venne accolta, ma il risultato del test indicò che Gacy stava mentendo.
Nonostante le pesanti imputazioni a suo carico, Gacy continuò a negare ogni addebito insistendo di essere un perseguitato politico per la sua militanza nel Partito Democratico.
Il 10 maggio 1968 venne comunque incarcerato con l'accusa di sodomia e il 30 agosto, mentre era stato rilasciato in attesa dell'udienza processuale, convinse dietro pagamento di 300 dollari uno dei suoi impiegati, il diciottenne Russell Schroeder, ad assalire violentemente Donald Voorhees Jr. per scoraggiare la testimonianza del ragazzo nell'imminente processo. All'inizio di settembre, Schroeder attirò Voorhees in una zona isolata del parco cittadino e lo pestò selvaggiamente urlandogli di non testimoniare contro Gacy al processo.
Voorhees informò la polizia dell'aggressione subita, identificando Schroeder come esecutore del pestaggio e facendolo arrestare il giorno dopo: anche se inizialmente egli negò qualsiasi accusa, Schroeder confessò in seguito di avere assalito Voorhees, indicando Gacy come mandante. Gacy fu quindi arrestato con l'aggravante di aver cercato di intimidire un testimone.
Il 3 settembre, Gacy venne sottoposto a una visita psichiatrica all'Università statale dell'Iowa:
due medici lo esaminarono nel corso di un periodo di osservazione durato 17 giorni, arrivando alla conclusione che l'imputato possedeva una "personalità asociale" ma che, essendo sano di mente, avrebbe potuto affrontare il processo.
Durante il processo, tenutosi il 7 novembre 1968, Gacy si dichiarò colpevole dell'accusa di sodomia nei confronti di Donald Voorhees, ma negò qualsiasi altra accusa circa Lynch, dichiarando di non essere assolutamente omosessuale bensì bisessuale. Gacy venne giudicato colpevole del reato di sodomia ai danni di un minorenne il 3 dicembre 1968 e condannato a 10 anni di carcere da scontarsi nel penitenziario di Anamosa.
Il giorno stesso della condanna, la moglie di Gacy chiese il divorzio; naturalmente, John perse anche il posto come direttore dei ristoranti KFC del suocero.
In prigione Gacy si rivelò un detenuto modello. Dopo 18 mesi di carcere, il 18 giugno 1970, venne liberato sulla parola con dodici mesi di libertà condizionata.
Dopo il rilascio, Gacy espresse la volontà di trasferirsi a Chicago per tornare a vivere con la madre (nel frattempo il padre era deceduto). Arrivò a Chicago il 19 giugno seguente e ottenne un lavoro come aiuto cuoco in un ristorante. Il 12 febbraio 1971 Gacy venne nuovamente accusato di aver molestato sessualmente un ragazzino: il giovane dichiarava di essere stato attirato da Gacy nella sua auto e che l'uomo aveva tentato di violentarlo.
L'accusa venne in seguito ritirata poiché il testimone non si presentò in aula. La commissione sulla libertà vigilata dello stato dell'Iowa non venne informata di questo episodio, pertanto Gacy fu rimesso completamente in libertà nell'ottobre 1971.
Con l'aiuto finanziario di sua madre, Gacy comprò una casa al numero 8213 di West Summerdale Avenue a Norwood Park nell'agosto 1971. Poco tempo dopo Gacy e la madre si trasferirono nell'abitazione e Gacy incominciò a frequentare una donna di nome Carole Hoff, una signora divorziata con due figlie piccole: i due si sposarono il 1º luglio 1972.
Il 22 giugno 1972, Gacy venne ancora fermato dalla polizia con l'accusa di aver molestato un altro giovane fingendosi un agente di polizia, mostrando un distintivo falso, facendo entrare il giovane nella sua automobile e costringendolo a praticargli una fellatio in auto. Tutte le accuse furono però ritirate quando Gacy pagò lautamente il silenzio della famiglia del ragazzo.
Nel 1972, Gacy lasciò il lavoro come cuoco e aprì la propria impresa edile, la PDM Contractors (PDM era l'acronimo delle parole "Painting, Decorating and Maintenance"). Inizialmente l'azienda si occupava di piccoli lavori di manovalanza e riparazione, ma, con il progredire degli affari, il business della società si ampliò fino a includere progetti e opere di costruzione vere e proprie.
Nel 1973, Gacy e un suo dipendente della PDM Contractors andarono in Florida per vedere una proprietà che Gacy aveva acquisito. La prima notte dopo il loro arrivo in Florida, Gacy violentò il ragazzo nella loro stanza di hotel: come risultato, il giovane si rifiutò di continuare a stare nella stessa camera con Gacy e andò a dormire in spiaggia. Nel 1975, John aveva ormai apertamente confessato alla moglie la sua bisessualità. Il giorno della festa della mamma, dopo aver fatto l'amore con la moglie, egli informò la donna che non avrebbero mai più fatto sesso insieme: la coppia divorziò in maniera consensuale nel marzo 1976.
Contemporaneamente Gacy divenne molto attivo nel settore sociale della comunità, offrendosi di intrattenere i bambini durante le feste vestito da clown o facendo pulire gratuitamente gli uffici comunali dalla sua impresa. Da onorato e rispettato membro democratico della comunità di Chicago, il 6 maggio 1978 Gacy incontrò e si fece fotografare con l'allora First Lady, Rosalynn Carter,che firmò anche la foto con una dedica: "To John Gacy. Best wishes. Rosalynn Carter" ("A John Gacy. I migliori auguri. Rosalynn Carter").
Gacy divenne membro di un "Jolly Joker Clown Club" i cui membri volontari, tutti mascherati da pagliacci, si esibivano regolarmente senza scopo di lucro in varie manifestazioni di beneficenza e negli ospedali dove davano spettacoli per i bambini malati.
A fine 1975, Gacy creò il suo personaggio di "Pogo the Clown":
si disegnava da solo i costumi e ideò il suo trucco personale.
Gacy si esibì come Pogo nel corso di diverse feste e manifestazioni, ma non esistono prove concrete che abbia intrattenuto anche i bambini malati all'ospedale.
Il 2 gennaio 1972, Gacy prelevò il quindicenne Timothy Jack McCoy dalla fermata dell'autobus di Greyhound a Chicago. L'uomo portò McCoy, che stava viaggiando dal Michigan con destinazione Omaha, a fare un giro turistico di Chicago, per poi portarlo a casa sua con la promessa che lì avrebbe potuto passare la notte e che sarebbe stato riaccompagnato in tempo per prendere il primo autobus il giorno dopo. Successivamente Gacy disse di essersi svegliato la mattina seguente e di avere trovato McCoy in piedi sulla soglia della sua camera da letto con un coltello in mano.
Egli si alzò in maniera brusca dal letto e McCoy si spaventò subito, muovendo scompostamente in aria il coltello e ferendo inavvertitamente Gacy all'avambraccio (Gacy mostrò la cicatrice per supportare la sua tesi). John disarmò il ragazzo, gli sbatté la testa contro il muro della stanza, lo spinse contro l'armadio e gli si mise davanti. McCoy allora gli diede un calcio nello stomaco e Gacy lo afferrò, lottando con lui sul pavimento, e finì con l'accoltellarlo ripetutamente al petto, sedendosi a cavalcioni su di lui. Gacy testimoniò che, in seguito, aveva trovato in cucina una confezione di uova aperta e una fetta di bacon sul tavolo, e aveva capito che il ragazzo voleva preparare la colazione per entrambi; purtroppo aveva fatto l'errore di portare il coltello che stava usando quando si era recato a chiamare Gacy nella sua stanza. Gacy seppellì McCoy in cantina e poi coprì le tracce con del calcestruzzo.
Nel corso di un'intervista dopo l'arresto, Gacy asserì che, immediatamente dopo aver ucciso McCoy, si era sentito "totalmente prosciugato", rendendosi conto di aver avuto un orgasmo completo nell'atto di uccidere il giovane. In un'intervista successiva del 1980, egli aggiunse: «Fu allora che mi resi conto che la morte era l'emozione più grande».
Il secondo omicidio di Gacy avvenne nel gennaio 1974: la vittima fu un adolescente non identificato dai capelli castani, di età tra i 15 e i 17 anni, che Gacy strangolò prima di rinchiuderne il corpo nell'armadio di casa sua. Il cadavere dello sconosciuto fu poi sepolto nel cortile di casa vicino alla zona barbecue.
Nel 1975 gli affari di Gacy andavano a gonfie vele; per sua stessa ammissione, cominciò a lavorare 12-16 ore al giorno per riuscire a far fronte a tutte le commissioni che la sua impresa di costruzioni riceveva. La maggior parte dei suoi operai era costituita da giovani studenti delle superiori alquanto squattrinati. Uno di questi era il quindicenne Tony Antonucci, assunto da Gacy nel maggio del 1975. A luglio, Gacy si recò a casa del giovane, in malattia per un infortunio al piede occorsogli sul lavoro il giorno precedente, mentre questi era solo. Gacy fece ubriacare il giovane, lottò per scherzo con lui sul pavimento e gli legò le mani dietro la schiena con un paio di manette. La manetta sul polso destro di Antonucci era però allentata: il ragazzo riuscì a liberarsi appena Gacy lasciò la stanza. Quando John ritornò, il giovane lo colpì violentemente e lo mise al tappeto, riuscendo ad ammanettarlo a sua volta.
Gacy urlò insulti e imprecazioni, poi si calmò e promise di andarsene e lasciare in pace Antonucci se lui lo avesse liberato. Il giovane acconsentì e Gacy lasciò la casa. Una settimana dopo il fallito assalto ad Antonucci, il 29 luglio 1975, un altro degli operai di Gacy, il diciassettenne John Butkovitch, scomparve. Il giorno prima della sparizione, Butkovitch aveva chiesto a Gacy il pagamento di due settimane di paga arretrata. Gacy ammise di aver invitato Butkovitch a casa sua mentre la moglie e i figli erano in visita da sua sorella in Arkansas, apparentemente per risolvere la questione degli arretrati dello stipendio. John uccise il giovane, lo violentò e poi seppellì il cadavere in garage.
La seconda moglie di Gacy divorziò da lui otto mesi dopo e Gacy cominciò a uccidere più di frequente avendo adesso la casa tutta per sé. Tra l'aprile e l'agosto 1976 il killer uccise almeno otto giovani, due dei quali ancora non identificati. Sette di questi ragazzi furono seppelliti nella cantina di Gacy, quattro dei quali in una fossa comune sotto il locale lavanderia.Il 26 luglio 1976 Gacy spostò la sua attenzione sul suo impiegato di nome David Cram, 18 anni. Il 21 agosto Cram andò a casa sua. Il giorno dopo, Gacy ammanettò il ragazzo mentre era stordito dall'alcool.
Imprigionato Cram, informò il giovane che aveva intenzione di violentarlo. Cram, che aveva passato un anno nell'esercito e aveva appreso l'autodifesa, diede un calcio in faccia al suo aguzzino e si liberò dalle manette. Un mese dopo, Gacy tornò a infastidire Cram con le sue avance ma senza successo: Cram si licenziò dal lavoro e lasciò la PDM Contractors. Si pensa che altri due giovani non identificati siano stati uccisi tra agosto e ottobre 1976: uno di questi venne sepolto in una fossa direttamente sul cadavere di William Carroll, ucciso il 13 giugno precedente.
Il 24 ottobre 1976, Gacy adescò e uccise due teenager di nome Kenneth Parker e Michael Marino: i due amici furono visti per l'ultima volta all'esterno di un ristorante in Clark Street. Entrambi furono violentati, strangolati e sepolti nella stessa fossa. Due giorni dopo, William Bundy, operaio diciannovenne della PDM Contractors, scomparve nel nulla, dopo aver detto alla famiglia che stava per andare a una festa. Anche Bundy venne sepolto nelle fondamenta della casa, direttamente dietro la camera da letto di Gacy.
Nel dicembre 1976, un altro impiegato della PDM, Gregory Godzik, scomparve, dopo che aveva lavorato per la PDM per sole tre settimane. I genitori e la sorella maggiore del ragazzo, in cerca di notizie, contattarono Gacy, il quale riferì che Greg gli aveva confidato di voler scappare di casa. Gacy disse anche di aver ricevuto un messaggio sulla segreteria telefonica da parte del ragazzo poco tempo dopo la scomparsa. Quando però la famiglia gli chiese di ascoltare questo messaggio, Gacy affermò di averlo ormai cancellato.
Il 20 gennaio 1977 John Szyc, diciannovenne amico di Butkovich, Godzik, e Gacy, scomparve: Szyc fu attirato da Gacy in casa sua con il pretesto di voler comprare la sua Plymouth Satellite. Venne sepolto accanto al corpo di Godzik. Gacy rivendette l'auto di Szyc a un altro dei suoi lavoranti, tale Michael Rossi. Tra il dicembre 1976 e il marzo 1977, Gacy uccise un uomo non identificato di circa 25 anni. Il suo cadavere venne sepolto accanto a quello del ventenne Jon Prestidge, un ragazzo del Michigan in visita a degli amici di Chicago, che Gacy aveva ucciso il 15 marzo. Dopo l'omicidio di Prestidge, si pensa che Gacy abbia ucciso ancora un altro giovane sconosciuto rinvenuto cadavere nel suo cortile, ma non si conosce la dinamica esatta dell'accaduto.
Nel maggio 1977, Gacy uccise Matthew Bowman, 19 anni. Venne sepolto in cortile con la corda utilizzata per strangolarlo ancora al collo. Nell'agosto 1977 emerse un indizio circa la sparizione di John Szyc, quando l'operaio al quale Gacy aveva venduto l'auto del giovane venne arrestato per furto di benzina da una pompa di rifornimento: il poliziotto notò la targa del veicolo e risalì fino a Gacy. Interrogato, Gacy disse agli agenti che Szyc gli aveva venduto la macchina a febbraio perché aveva bisogno di denaro per lasciare la città. La polizia non ritenne di indagare ulteriormente.
Tra settembre e dicembre 1977, Gacy assassinò altri sei giovani uomini di età compresa tra i 16 e i 21 anni, inclusi due marines e il figlio di un sergente della polizia di Chicago. Il 30 dicembre 1977, Gacy adescò uno studente diciannovenne di nome Robert Donnelly, incontrato presso una fermata d'autobus a Chicago. Portò Donnelly a casa con lui, lo violentò e lo torturò ripetutamente infliggendogli svariate sevizie; dopo svariate ore di supplizio, Gacy portò Donnelly sul posto di lavoro, gli slegò le mani, e incredibilmente lo lasciò libero di andarsene. Donnelly raccontò degli abusi subiti, e Gacy venne interrogato dalla polizia circa l'accaduto il 6 gennaio 1978: egli ammise di aver fatto sesso sadomaso con Donnelly, ma insistette sul fatto che il giovane era consenziente. La polizia gli credette e non fu sporta denuncia di reato.
Il mese seguente, Gacy uccise William Kindred, 19 anni, che scomparve il 16 febbraio 1978 dopo aver detto alla propria fidanzata che andava a passare la serata in un bar. Kindred fu l'ultima vittima di Gacy a essere sepolta nella sua proprietà, dato che le successive saranno da lui gettate nel fiume Des Plaines. Nel marzo 1978, Gacy diede un passaggio sulla sua auto al ventiseienne Jeffrey Rignall. Appena entrato nell'auto, il ragazzo venne addormentato con del cloroformio e portato a Summerdale, dove fu sodomizzato e torturato con vari strumenti; anche Rignall fu poi rilasciato da Gacy. Nuovamente la polizia venne informata dell'accaduto, ma decise di non investigare su Gacy.
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Le vittime:
Timothy McCoy 16 3 gennaio 1972
ignoto tra i 14 ed i 18 1974
John Butkovitch 18 31 luglio 1975
Darrell Sampson 18 6 aprile 1976
Randall Reffett 15 14 maggio 1976
Sam Stapleton 14 14 maggio 1976
Michael Bonnin 17 3 giugno 1976
William Carroll 16 13 giugno 1976
ignoto tra i 23 ed i 30 estate 1976
James Haakenson 16 5 agosto 1976
Rick Johnston 17 6 agosto 1976
ignoto tra i 18 ed i 22 estate/autunno 1976
ignoto tra i 15 ed i 24 estate/autunno 1976
Kenneth Parker e Michael Marino 16 e 14 24 ottobre 1976
William Bundy 19 26 ottobre 1976
Francis Wayne Alexander 21 1 dicembre 1976
Gregory Godzik 17 12 dicembre 1976
John Szyc 19 20 gennaio 1977
Jon Prestidge 20 15 marzo 1977
ignoto tra i 17 ed i 21 primavera/estate 1977
Matthew Bowman 19 5 luglio 1977
Robert Gilroy 18 15 settembre 1977
John Mowery 19 25 settembre 1977
Russell Nelson 21 17 ottobre 1977
Robert Winch 16 10 novembre 1977
Tommy Boling 20 18 novembre 1977
David Talsma 19 9 dicembre 1977
William Kindred 19 16 febbraio 1978
Timothy O'Rourke 20 giugno 1978
Frank Landingin 19 4 novembre 1978
James Mazzara 20 24 novembre 1978
Robert Piest 15 11 dicembre 1978
L'11 dicembre 1978 il quindicenne Robert Piest scomparve dal luogo di lavoro, una farmacia di Chicago. Prima di sparire, però, Piest aveva raccontato a parenti e amici di aver conosciuto il gioviale titolare della PDM, l'impresa che aveva da poco ristrutturato il negozio, e che l'uomo gli aveva offerto un posto di lavoro nella sua ditta; infine aveva precisato che avrebbe dovuto incontrarlo a casa sua la sera della scomparsa.[58] La polizia si recò quindi a casa di Gacy per interrogarlo e riconobbe immediatamente il tanfo nauseabondo dei corpi in putrefazione, che Gacy giustificava con la scusa di avere problemi al sistema fognario. Lo scenario dei corpi all'interno della cantina fu particolarmente scioccante. Alla notizia del suo arresto, la comunità cittadina fu sbigottita e incredula: Gacy era infatti conosciuto da tutti come un uomo generoso, grande lavoratore e amichevole, nonché un devoto padre di famiglia.
In prigione Gacy tentò di invocare l'infermità mentale, incolpando dei delitti il suo alter ego malvagio, tale "Jack", ma senza riuscire a convincere gli psichiatri del carcere, che lo giudicarono in grado di intendere e volere. In seguito Gacy confessò alla polizia di aver gettato in totale altri cinque cadaveri di sue vittime giù dal ponte della I-55 sul fiume Des Plaines nel 1978, prima di essere arrestato definitivamente. Dopo un processo iniziatosi nel febbraio 1980, il 13 marzo dello stesso anno John Wayne Gacy venne riconosciuto colpevole di omicidio plurimo e condannato a morte.
Dopo la sentenza di colpevolezza, lo Stato dell'Illinois trasferì Gacy nel Menard Correctional Center di Chester, dove il prigioniero rimase per 14 anni nel braccio della morte. In prigione, Gacy incominciò a dipingere: i soggetti delle sue opere erano svariati, anche se principalmente ritraevano pagliacci, alcuni dei quali erano suoi autoritratti nelle vesti di "Pogo". Molti dei suoi dipinti furono venduti nel corso di varie aste, con prezzi oscillanti tra i 200 e i 20.000 dollari.
Mentre era detenuto in attesa dell'esecuzione, Gacy fece numerosi appelli per commutare la sentenza in carcere a vita, ma furono tutti respinti. Il prigioniero continuò ad affermare insistentemente di essere "a conoscenza" di soli cinque omicidi: quelli di McCoy, Butkovitch, Godzik, Szyc e Piest,
e che gli altri 28 assassinii attribuiti a lui erano in realtà stati commessi da suoi impiegati che erano in possesso delle chiavi della sua abitazione mentre egli era fuori città in viaggio per affari.
Nell'estate del 1984, la Corte Suprema dell'Illinois stabilì che il condannato sarebbe stato messo a morte per mezzo di una iniezione letale il 14 novembre seguente; Gacy ricorse in appello contro la decisione, riuscendo a far spostare la data dell'esecuzione. Dopo un ultimo appello respinto nell'ottobre 1993, la Corte Suprema fissò la data dell'esecuzione definitiva per il 10 maggio 1994.
Secondo rapporti medici, John Wayne Gacy era uno psicopatico che non mostrava alcun rimorso per i crimini commessi.
John Wayne Gacy fu giustiziato il 10 maggio 1994 per mezzo di un'iniezione letale endovenosa, pochi minuti dopo la mezzanotte. La sentenza venne eseguita nella Stateville Prison di Joliet, Illinois. Dopo i funerali, il suo corpo venne cremato.
L'ultima dichiarazione al suo avvocato prima dell'esecuzione fu: «Prendervi la mia vita non compenserà la perdita di quelle altre»; inoltre, accusò lo Stato di assassinarlo. Le ultime parole del condannato prima della morte furono semplicemente: «Baciatemi il culo!» (Kiss my ass!).
Fonte: https://it.m.wikipedia.org/wiki/John_Wayne_Gacy
Video su John Wayne Gacy alias Pogo Il Clown: https://youtu.be/NGnCtty6flw?si=rauiynpFC9SxzIoc
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wolfman75 · 1 year ago
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Albert Fish, nato Hamilton Howard Fish (Washington, 19 maggio 1870 – Ossining, 16 gennaio 1936), è stato un serial killer statunitense.
Considerato uno dei più pericolosi e famigerati serial killer di tutti i tempi,
e noto con il soprannome de l'Uomo grigio, il Lupo mannaro di Wysteria, il Vampiro di Brooklyn e il Maniaco della Luna, Fish si vantò di aver molestato più di 400 bambini e di averne uccisi più di 100, quasi tutti afroamericani, poiché agli inizi del XX secolo la loro scomparsa scandalizzava molto meno l'opinione pubblica.
In realtà fu giudicato colpevole di almeno cinque omicidi, di cui ne confessò solo tre che la polizia fu capace di collegare ad un altro ben noto, nonostante fosse fortemente sospettato di molti altri. Messo a giudizio per l'omicidio di Grace Budd, fu dichiarato colpevole e condannato a morte per sedia elettrica.
Fish è famoso per l'efferatezza dei suoi crimini (torturava, uccideva e mangiava bambini) e per i suoi innumerevoli disturbi sessuali, di cui molti sconosciuti fino a quel momento (ad esempio l'abitudine di infilarsi gli aghi nel corpo); è anche stato inserito dagli studiosi nella lista dei 20 serial killer più pericolosi di sempre.
Albert Fish nacque a Washington D.C. il 19 maggio 1870, figlio unico di Randall Fish (1795-1875), originario di Kennebec, Maine, e di sua moglie Ellen Howell (1838-1903), irlandese. Disse di essere stato chiamato molto tempo dopo la sua nascita Hamilton Fish. Suo padre, Randall Fish, era 43 anni più vecchio della madre. Fish era il più giovane dei figli e aveva tre fratelli viventi: Walter, Annie, ed Edwin.
Molti membri della sua famiglia soffrivano di disturbi mentali, e uno soffriva di mania religiosa. Suo padre era capitano di battelli fluviali, ma nel 1870 svolse la professione di fabbricante di fertilizzanti. Randall Fish morì per un attacco di cuore alla Sixth Street Station della Ferrovia della Pennsylvania nel 1875 a Washington. Sua madre, incapace di prendersi cura di Hamilton (Albert), lo mise in un orfanotrofio, dove fu frequentemente frustato e bastonato, scoprendo infine che provava piacere nel dolore fisico. Le bastonate gli avrebbero spesso procurato erezioni, cosa per la quale gli altri orfani lo canzonavano. Decise di voler essere chiamato "Albert" per sfuggire al soprannome 'Ham and Eggs' (prosciutto e uova) che gli fu affibbiato in orfanotrofio.
Nel 1879, sua madre ottenne un impiego pubblico e fu in grado di prendersi nuovamente cura di lui. Nel 1882, all'età di dodici anni, iniziò una relazione omosessuale con un garzone telegrafista. In gioventù Fish iniziò a praticare la coprofagia (ingestione di feci e urine) e a frequentare bagni pubblici, dove poteva guardare i ragazzi svestiti, trascorrendovi interi giorni nel fine settimana.
Nel 1890, Albert arrivò a New York e diventò un gigolò ("prostituta maschio" come disse lui stesso). Disse anche di aver iniziato a violentare ragazzi, crimine che continuò a commettere anche dopo il matrimonio combinatogli dalla madre nel 1898 con una donna di nove anni più giovane di lui. Ebbero sei bambini: Albert, Anna, Gertrude, Eugene, John, ed Henry Fish. Fu arrestato per appropriazione indebita e fu condannato alla detenzione, pena che scontò a Sing Sing nel 1903. Mentre era in prigione ebbe frequenti rapporti sessuali con altri detenuti. Nel gennaio del 1917 sua moglie lo lasciò per John Straube, un tuttofare pensionante dalla famiglia Fish. Fish cominciò a sentire delle voci: per esempio, una volta si ravvolse in un tappeto, spiegando che stava seguendo le istruzioni di san Giovanni.
Fish affermò di aver vagabondato da un capo all'altro degli Stati Uniti durante il 1898, lavorando come imbianchino. È in questo periodo che, a quanto disse, molestò più di 100 bambini, la maggior parte sotto i sei anni. Più tardi raccontò un episodio singolare: un suo amante lo portò ad un museo di statue di cera, dove Fish rimase totalmente affascinato dal plastico raffigurante la sezione longitudinale di un pene. Arrivò a sviluppare un morboso interesse per la castrazione, tanto che durante una relazione con un uomo mentalmente ritardato, tentò di castrarlo dopo averlo legato, ma l'uomo fuggì. Fish allora intensificò le sue visite ai bordelli, dove poteva ottenere di essere frustato e bastonato.
Fish commise la sua prima aggressione letale nel 1910 a Wilmington, Delaware: vittima dell’omicidio fu Thomas Bedden, un ragazzo di 24 anni; a questa seguì, intorno al 1919, l'accoltellamento di un ragazzo disabile a Georgetown.
L' 11 luglio 1924 Fish trovò Beatrice Kiell, una bambina di quattro anni, che giocava da sola nella fattoria dei suoi genitori a Staten Island. Le offrì delle monete per andare ad aiutarlo a cercare piante di rabarbaro nei campi vicini. La bambina stava per lasciare la fattoria quando sua madre scacciò via Fish, che se ne andò. Questi ritornò più tardi al granaio, dove provò a passare la notte prima di essere scoperto e scacciato nuovamente da Hans Kiell.
Il 27 maggio 1928, Edward Budd mise un'inserzione nell'edizione domenicale del New York World che diceva: "Giovane uomo, 18, desidera impiego nel paese. Edward Budd, 406 West 15th Street". Il 28 maggio Fish, allora cinquantottenne, visitò la famiglia Budd a Manhattan, New York. Si presentò come Frank Howard, un industriale di Farmingdale, dicendo di voler assumere Edward (in realtà aveva intenzione di portarlo in un luogo isolato e ucciderlo castrandolo e lasciandolo dissanguare).
Quando arrivò, Fish incontrò la giovane sorella di Edward, Grace, di dieci anni, e cambiò obiettivo. Alla seconda visita acconsentì ad assumere Budd e poi convinse i genitori, Delia Flanagan e Albert Budd I, a farsi accompagnare da Grace ad una festa di compleanno a casa della sorella. Nessuno dei due fece più ritorno.
La polizia arrestò Charles Edward Pope il 5 settembre del 1930 come sospetto di rapimento. Era un sessantaseienne sovrintendente di un palazzo, e fu accusato dalla moglie, una mitomane. Passò 108 giorni in prigione tra il suo arresto ed il processo avvenuto il 22 dicembre 1930.
Sette anni più tardi, nel novembre del 1934, una busta contenente una lettera anonima fu spedita ai genitori della ragazza e indusse la polizia a sospettare di Albert Fish. La lettera è di seguito riportata (nell'originale sono presenti gli errori di ortografia e grammatica di Fish):
«Cara Signora Budd. Nel 1894 un mio amico, John Davis, s'imbarcò come marinaio sulla Steamer Tacoma. La nave salpò da San Francisco per Hong Kong, Cina. Arrivati lui ed altri due sbarcarono e andarono a bere. Quando ritornarono la nave era partita. A quell'epoca c'era la carestia in Cina. La carne, di ogni tipo, andava da 1 a 3 dollari a libbra. Talmente era grande la sofferenza tra le persone molto povere che tutti i bambini sotto i dodici anni venivano venduti come cibo allo scopo di evitare di far morire di fame gli altri. Un ragazzo o una ragazza sotto i quattordici anni non era al sicuro per strada. Potevate andare in qualsiasi negozio e chiedere una bistecca, delle braciole o della carne stufata. Parti del corpo nudo di un ragazzo o di una ragazza sarebbero state tirate fuori e il pezzo che volevate sarebbe stato tagliato. Il posteriore di un ragazzo o di una ragazza, che è la parte più dolce del corpo, era venduta come costoletta di agnello e data via al prezzo più alto. John rimase lì così a lungo che prese ad apprezzare il gusto della carne umana. Al suo ritorno a N.Y. rapì due bambini, uno di 7 e l'altro di 11 anni. Li portò a casa sua, li spogliò e li legò nudi in un ripostiglio. Poi bruciò ogni cosa avessero addosso. Molte volte, giorno e notte, li sculacciava e li torturava per rendere la loro carne buona e tenera. Per primo uccise il ragazzo di undici anni, perché aveva il culo più grasso e ovviamente più carne su di esso. Ogni parte del suo corpo fu cucinata e mangiata eccetto la testa, le ossa e le budella. Fu arrostito nel forno (tutto il suo culo), bollito, grigliato, fritto e stufato. Il ragazzino più piccolo fu il prossimo, andò allo stesso modo. All'epoca, vivevo al 409 E 100 St., lato destro. Lui mi disse così spesso quanto era buona la carne umana che decisi di provarla. La domenica del 3 giugno 1928 vi chiamai al 406 W 15 St. Vi portai del formaggio fresco e delle fragole. Pranzammo. Grace si sedette sul mio grembo e mi baciò. Decisi che l'avrei mangiata. Con la scusa di portarla ad una festa. Diceste che sarebbe potuta venire. La portai in una casa vuota a Westchester che avevo già scelto. Quando arrivammo lì, le dissi di rimanere fuori. Si mise a raccogliere fiori di campo. Andai al piano di sopra e mi strappai tutti i vestiti di dosso. Sapevo che se non l'avessi fatto si sarebbero macchiati del suo sangue. Quando tutto fu pronto andai alla finestra e la chiamai. Allora mi nascosi in un ripostiglio fino a che non fu nella stanza. Quando mi vide tutto nudo cominciò a piangere e provò a correre giù per le scale. L'afferrai e lei disse che l'avrebbe detto alla sua mamma. Per prima cosa la spogliai. Lei scalciava, mordeva e graffiava. La soffocai fino ad ucciderla, poi la tagliai in piccoli pezzi così avrei potuto portare la mia carne a casa. La cucinai e la mangiai. Come era dolce e tenero il suo piccolo culo, arrostito nel forno. Mi ci vollero nove giorni per mangiarne l'intero corpo. Non l'ho scopata anche se avrei potuto se lo avessi voluto. Morì vergine.
Mrs. Budd era analfabeta e non poteva leggere la lettera. In verità, Fish più tardi ammise alla sua procura di aver violentato Grace, ma essendo incline a dire bugie questa sua dichiarazione potrebbe essere falsa.
Un anno prima dell’omicidio di Grace Budd, l'11 febbraio 1927, un bambino chiamato Billy Gaffney stava giocando sulla veranda dell'appartamento della sua famiglia a Brooklyn, New York, con il suo amico, Billy Beaton. Entrambi i ragazzi sparirono, ma l'amico fu ritrovato sul tetto dell'appartamento. Quando gli chiesero cosa fosse successo a Billy, Beaton disse "Boogeyman l'ha portato via". Inizialmente Peter Kudzinowski fu sospettato dell'omicidio di Billy Gaffney.
Joseph Meehan, un autista di una linea tranviaria di Brooklyn, vide una foto di Fish nel giornale e lo identificò come un anziano signore che aveva visto l'11 febbraio 1927, mentre stava provando a calmare un ragazzino seduto accanto a lui sul tram. Il ragazzo non indossava una giacca e stava piangendo per sua madre e fu trascinato dall'uomo su e giù dal tram. La polizia identificò Billy Gaffney con la descrizione del bambino visto da Meehan. Il corpo di Billy non fu mai recuperato dalla fossa nel fiume nel quale Fish disse di aver gettato parti del suo corpo. I genitori di Billy erano Elizabeth ed Edward Gaffney. Elizabeth visitò Fish a Sing Sing per provare ad ottenere (e li ebbe) più dettagli sulla morte del figlio. Fish confessò l'assassinio:
«Lo accompagnai alle fosse di Riker Avenue. C'è una casa solitaria, non lontano da dove l'ho portato. Portai il bambino lì ("I took the G boy there"). Lo spogliai e gli legai mani e piedi e lo imbavagliai con un pezzo di straccio sporco che avevo raccolto dalla fossa. Poi bruciai i suoi vestiti. Gettai le sue scarpe nella fossa. Poi tornai indietro e presi il tram della 59 Street alle 02:00 e da lì camminai fino a casa. Il giorno dopo verso le due del pomeriggio, presi gli strumenti, un gatto a nove code. Fatto in casa. Manico corto. Tagliai una delle mie cinture a metà, incisi queste metà in sei strisce lunghe circa otto pollici. Frustai il suo posteriore nudo fino a che il sangue non scorse sulle sue gambe. Tagliai le sue orecchie, il naso, incisi la sua bocca da orecchio a orecchio. Gli cavai gli occhi. Allora morì. Ficcai il coltello nel suo ventre e tenni la mia bocca vicino al suo corpo e bevvi il suo sangue. Scelsi quattro vecchi sacchi di patate e riunii una pila di pietre. Poi lo feci a pezzi. Avevo una valigetta con me. Misi il suo naso, le sue orecchie e alcune fette del suo ventre nella valigetta. Poi lo tagliai a metà nel mezzo del suo corpo. Appena sotto l'ombelico. Poi le sue gambe, circa due pollici sotto il suo sedere. Misi questo nella mia valigetta con un sacco di carta.
Tagliai la testa, i piedi, le braccia, le mani e le gambe sotto le ginocchia. Misi questo nei sacchi appesantiti con le pietre, legai le estremità e li gettai negli stagni di acqua melmosa che voi vedrete lungo tutta la strada che porta a North Beach. L'acqua è profonda da 3 a 4 piedi. Affondarono tutti in una volta. Tornai a casa con la mia carne. Mangiai la parte del suo corpo che mi piaceva di più. Il suo pisellino e le palline ("His monkey and pee wees") e un bel piccolo posteriore grasso da arrostire nel forno e mangiare. Feci uno stufato con le sue orecchie, il naso, pezzi della faccia e della pancia. Misi cipolle, carote, rape, sedano, sale e pepe. Era buono.
Poi aprii la carne delle chiappe, tagliai il suo pisellino e i testicoli e per prima cosa li lavai. Misi strisce di bacon su ogni chiappa del suo sedere e le misi nel forno. Poi presi quattro cipolle e quando la carne si fu arrostita per circa un quarto d'ora, versai circa una pinta di acqua su di essa per il sugo e misi le cipolle. Ad intervalli frequenti ungevo il suo sedere con un cucchiaio di legno. Così la carne sarebbe stata bella e succosa. In circa due ore, era bella e scura, cucinata da parte a parte. Non ho mai mangiato un arrosto di tacchino buono la metà di quel suo dolce grasso piccolo didietro ("I never ate any roast turkey that tasted half as good as his sweet fat little behind did"). Mangiai ogni bocconcino della carne in circa quattro giorni. Il suo pisellino era dolce come una nocciola, ma le sue palline non sono riuscito a masticarle. Le buttai nel gabinetto»
Il processo di Albert Fish per l'omicidio premeditato di Grace Budd iniziò il lunedì 11 marzo 1935, a White Plains (New York) con il giudice Frederick P. Close e l'assistente capo procuratore distrettuale Elbert F. Gallagher come pubblico ministero. James Dempsey fu l'avvocato a cui la procura affidò la difesa di Fish. Il processo durò dieci giorni. Fish addusse a pretesto l'insanità e finse di aver ascoltato voci da Dio che gli dicevano di uccidere bambini. Affermava inoltre che la violenza perpetrata a se stesso e agli altri gli purificasse l'anima e che Dio, se fosse stato contrario ai suoi omicidi, avrebbe già mandato un angelo a fermarmi la mano, come fece con il profeta Abramo.
Diversi psichiatri affermarono il feticismo sessuale di Fish, includendo coprofilia, urofilia, pedofilia e masochismo, ma ci furono disaccordi sul fatto che quelle attività significassero oppure no che l'uomo era infermo di mente. Il capo testimone della difesa fu Fredric Wertham, uno psichiatra specializzato nello sviluppo dei bambini che condusse esami psichiatrici per le corti criminali di New York; Fish gli raccontò con freddezza tutti i suoi crimini e le sue perversioni sessuali; in seguito Wertham dichiarò che Fish era malato di mente. Un altro testimone della difesa era Mary Nicholas, la figliastra diciassettenne di Fish. La ragazza descrisse come Fish insegnò a lei e ai suoi fratelli e sorelle un "gioco" implicando masochismo e molestie a minori.
"Andò nella sua camera con un piccolo paio di calzoncini, calzoncini marroni. Li indossò e venne fuori davanti alla stanza, mettendosi sulle ginocchia e sulle mani, a gattoni, e aveva un pennello con il quale mescolava la pittura; dava quel bastoncino ad ognuno di noi, e poi dovevamo sederci sulla sua schiena, uno alla volta, e alzare su molte dita. Lui doveva indovinare quante dita avevamo alzato, cosa che non ha mai fatto, perché altrimenti noi non avremmo dovuto colpirlo. A volte, diceva anche più dita di quelle che noi avevamo veramente. Quando sbagliava, avremmo dovuto colpirlo tante volte quante dita avevamo alzato".
La giuria lo giudicò sano di mente e colpevole ed il giudice espresse la condanna a morte.
Dopo la sentenza, Fish confessò l'assassinio di Francis X. McDonnell, 8 anni, ucciso a Staten Island. Francis stava giocando sul portico della sua casa vicino a Richmond, Staten Island, il 15 luglio 1924. La madre di Francis vide un "anziano signore" camminare stringendo e rilassando i suoi pugni. Camminava senza dire niente. Più tardi, l'anziano signore fu visto ancora, ma questa volta stava guardando Francis e i suoi amici giocare. Il corpo di Francis fu trovato nei boschi nei pressi dove un vicino vide Francis e un "anziano signore" andare quel pomeriggio presto. Francis fu assalito e strangolato con le sue bretelle.
Fish negò implicazioni con altri omicidi. Fu comunque sospettato per altri tre assassinii. Il detective William King credeva che Fish potesse essere stato il "Vampiro di Brooklyn", uno stupratore e assassino che prediligeva tormentare i bambini. Erano:
1926 - Emma Richardson (5) uccisa il 3 ottobre 1926
1927 - Yetta Abramowitz (12) nel Bronx. Fu strangolata sul tetto di un edificio a cinque piani al 1013 Simpson Street. Morì in ospedale subito dopo che fu trovata. L'assassino fuggì, ma 20 detective e molti poliziotti in borghese si misero alla caccia di un "Giovane uomo alto" che fu visto più volte tentare di attirare la ragazzina dal vicinato negli scuri corridoi e vicoli il 14 maggio 1927. Yetta aveva una sorella, Becky Abramowitz.
1931 - Robin Jane Liu (6) ucciso il 2 maggio 1931
1932 - Mary Ellen O'Connor (16) a Far Rockaway nel Queens il 15 febbraio 1932. Il suo corpo mutilato fu trovato nei boschi vicino ad una casa pitturata da Fish.
1932 - Benjamin Collings (17) ucciso il 15 dicembre 1932
1933 - Diego Maracuya e Veronika Lazul (15) sgozzati vivi nell'abitazione della ragazza a New York. Furono ritrovati dalla loro vicina di casa il giorno seguente.
Fish inserì decine di aghi e spilli di diverse dimensioni in tutto il corpo, specialmente nell'inguine e nel perineo. 29 di questi erano incastrati permanentemente, come dimostra la radiografia. Lui disse che aveva provato ad infilarsi un ago nel suo scroto ma era troppo doloroso. Accettò di essere esaminato da Fredric Wertham per la sua convenienza a supportare la tesi di instabilità mentale. Fish ebbe moltissime parafilie. Per esempio, voleva inserire un lungo gambo di rosa nel suo pene e guardarsi allo specchio, poi voleva rimuovere la rosa e mangiarne i petali (era cioè affetto da dendrofilia). Le altre parafilie includevano sadismo, masochismo, flagellazione, esibizionismo, voyeurismo, piquerismo, pedofilia, coprofagia, feticismo, urofilia, cannibalismo, Travestitismo, castrazione e vampirismo. Era anche particolarmente ossessionato dalla religione e più volte gli capitavano attacchi di delirio e visioni a sfondo mistico, suggerendo che potesse essere affetto da Schizofrenia.
I dottori che lo esaminarono per il processo scoprirono che Fish aveva molti aghi nel suo corpo, la maggior parte intorno ai suoi genitali. Avrebbe inserito nel proprio retto dei batuffoli di cotone imbevuti di alcool e dato loro fuoco. Wertham raccontò molte storie, alcune furono confermate dalla sua famiglia e dall'evidenza fisica (ad esempio sul corpo erano rimasti i segni delle frustate e dei tagli che si autoinfliggeva); le altre non si opponevano a nessuna testimonianza legale. Wertham trovò che Fish si mostrava estremamente crudele e violento verso animali di giovane età. Fish disse che lui e un suo amico impregnarono la coda di un cavallo nel cherosene e la diedero alle fiamme per vedere i risultati. Una volta cadde da un ciliegio e non si riprese mai completamente dalla ferita. Quando era all'orfanotrofio bagnò il suo letto, e per questo fu deriso dai suoi compagni. La sua inclinazione per il cannibalismo, pretese Fish, venne da quando suo fratello maggiore Walter ritornò dalla US Navy e gli raccontò storie di cannibalismo e sado-masochismo ai quali Walter assistette.
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wolfman75 · 1 year ago
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Ed Gein, vero nome Edward Theodore Gein (La Crosse, 27 agosto 1906 – Madison, 26 luglio 1984), è stato un serial killer statunitense.
Subito dopo la morte del fratello nel maggio 1944, verificatasi in circostanze misteriose, sei persone scomparvero dalle città di La Crosse e Plainfield tra il 1947 e il 1957. Gein è stato associato solo a due di essi, anche se è sospettato di ulteriori delitti. Commise atti di squartamento e necrofilia sulle vittime; era anche solito violare delle bare e costruirsi vari pezzi di arredo con le parti dei corpi. Le particolarità della sua vita e dei suoi crimini hanno ispirato film come Psyco, Deranged - Il folle, Non aprite quella porta, Il silenzio degli innocenti, Ed Gein - Il macellaio di Plainfield, Ed Gein: The Butcher of Plainfield e il personaggio di "Bloody Face" in American Horror Story: Asylum.
Edward T. Gein nacque il 27 agosto 1906 a La Crosse, nello Stato del Wisconsin, figlio di Augusta T. Lehrke (1878-1945) e di George P. Gein (1873-1940),[1] nonché fratello minore di Henry G. Gein (1902-1944). Suo padre era noto per essere un violento alcolizzato e, dopo essere diventato il titolare di una piccola drogheria per alcuni anni, si ritrovò disoccupato, salvo svolgere vari lavori come carpentiere, conciatore e commesso assicurativo, costringendo la famiglia a trasferirsi in una fattoria di 155 acri nella città di Plainfield, situata nella contea di Waushara. Augusta Gein, luterana e fanatica religiosa, era solita crescere i figli in uno stato di quasi totale isolamento, favorito anche dal luogo di residenza: la loro vita consisteva in scuola e lavoro nella fattoria, dove trasmise a Ed ed Henry il concetto dell'innata immoralità del mondo, l'odio verso l'alcolismo e che tutte le donne (esclusa lei) fossero prostitute e strumenti del diavolo; peraltro, il sesso era accettabile soltanto al fine di procreare. Ogni pomeriggio leggeva ai figli la Bibbia, in particolare passi dell'Antico Testamento nei quali si parla di morte, omicidio e punizione divina.
All'età di dieci anni Gein provò un orgasmo vedendo i suoi genitori macellare un maiale in un vicino casotto, mentre una volta raggiunta la pubertà, Augusta diventò sempre più invadente e possessiva: una volta, sorprendendolo mentre si masturbava nella vasca da bagno, gli afferrò i genitali definendoli «la maledizione dell'uomo» e lo immerse nell'acqua bollente per punirlo.
All'età di 21 anni la madre fece promettere a lui e ad Henry che sarebbero sempre rimasti entrambi vergini (promessa infranta dal fratello, che perciò venne spesso correlata alla sua misteriosa morte).
Con una corporatura esile e un atteggiamento piuttosto timido ed effeminato, Gein divenne bersaglio dei compagni più prepotenti, ed era anche noto per il continuo sogghigno che mostrava durante le conversazioni serie;
i compagni e gli insegnanti notarono anche la sua abitudine di ridere senza motivo, quasi come se volesse prenderli in giro. Nonostante la scarsa attitudine alla vita sociale, andava abbastanza bene a scuola, in particolare nella lettura.
Il 1º aprile 1940, George P. Gein morì all'età di 66 anni per insufficienza cardiaca, motivo per cui Ed e il fratello iniziarono a fare piccoli lavoretti in città per aiutare a coprire le spese di soggiorno. Da questo periodo in poi, il fratello Henry incominciò a rifiutare il punto di vista della madre Augusta e tentò di convincere anche Edward. Il 16 maggio 1944 i fratelli si trovarono in mezzo a un incendio nella fattoria: Edward raccontò alla polizia di aver perso di vista il fratello, ma fu poi in grado di indicare con precisione dove si trovava il corpo; sebbene fosse evidente che Henry aveva subito un trauma alla testa (fatto che avrebbe fatto sospettare e arrestare Ed) il perito locale giunse alla conclusione che fosse morto di asfissia nel tentativo di spegnere l'incendio.
Gein visse da solo con l'amata madre, ma meno di due anni dopo, il 29 dicembre 1945, Augusta morì dopo essere stata colpita da un ictus, lasciando l'afflitto figlio solo nell'isolata fattoria; la donna aveva già subito un primo attacco, in seguito al quale rimase paralizzata per alcuni mesi, quando subì un secondo colpo apoplettico che la portò alla morte. Edward pianse istericamente al suo funerale.
La morte di Augusta fece scomparire dalla sua vita quello che molti psicologi criminali definiscono come "l'unico filo che ancora ne preservava la sanità mentale".
Il 16 novembre 1957 Bernice Worden, proprietaria di una ferramenta nonché madre del vice-sceriffo di Plainfield, sparì nel nulla. Un residente locale segnalò che il camion del negozio era stato spostato dal retro dell'edificio attorno alle 9.30 e che l'esercizio era rimasto chiuso per l'intera giornata: alcuni credevano fosse a causa della stagione di caccia dei cervi. Il figlio della donna, il vicesceriffo Frank Worden, entrò nel negozio verso le 17 e trovò il registratore di cassa aperto e macchie di sangue sul pavimento; dichiarò agli investigatori che Ed Gein era stato nel negozio la sera precedente la scomparsa della madre e che era ritornato la mattina successiva per un gallone di antigelo: il relativo scontrino fu l'ultimo scritto da Bernice nel giorno della sua scomparsa. Durante la sera dello stesso giorno, Gein fu arrestato in una drogheria di West Plainfield e la sua casa fu perquisita. Un vicesceriffo della contea di Waushara scoprì il corpo decapitato di Bernice Worden in un capanno nella proprietà di Gein, appesa per le caviglie, aperta in due a partire dalla vagina e con delle corde legate ai polsi. La donna era stata "squartata come un cervo". Era stata uccisa dal colpo di una carabina calibro 22. La testa fu invece rinvenuta in un'altra stanza della casa, con due chiodi conficcati ai lati: Ed aveva intenzione di appenderla al muro come un trofeo.
Cercando nella casa le autorità trovarono:
venti nasi;
frammenti e ossa integre (umane);
un cestino fatto di pelle umana;
teschi sulla testata del letto di Ed;
un corsetto fatto a partire da un torace femminile scuoiato dalle spalle alla vita;
gambali creati con pelle umana;
la maschera creata con il viso di Mary Hogan in un sacchetto di carta;
il teschio di Mary Hogan in una scatola;
la testa di Bernice Worden in un sacco di iuta;
nove vulve in una scatola di scarpe;
il vestito di una giovane donna e le vulve di due donne, che avrebbero avuto circa quindici anni;
una cintura fatta di capezzoli umani;
unghie femminili;
dieci teste di donne come decorazioni nella camera da letto;
pelle umana usata come tappezzeria per lampade e sedie;
calotte craniche trasformate in ciotole;
un cuore umano (si discute su dove sia stato trovato; gli addetti al rapporto affermano tutti che fosse in una casseruola nella stufa, mentre dei fotografi della scena del crimine affermarono che fosse in una scatola di carta);
due labbra umane che decoravano una finestra;
un tamburo fatto di pelle umana;
femori usati come gambe per un tavolo;
nove maschere fatte di pelle umana;
una colonna vertebrale adibita a lampada;
vestiti fatti di pelle umana.
Questi reperti furono fotografati in laboratorio e poi distrutti.
Gein confessò di avere dissotterrato una donna di mezza età recentemente sepolta che somigliava molto a sua madre, di averne portato il cadavere a casa e di averne lavorato la pelle per farne manufatti. Fece quaranta visite notturne al cimitero, dichiarando di essere, durante ogni visita, in uno stato confusionale e violò circa diciotto tombe. Disse di essere tornato in sé durante trenta visite, all'incirca, e di aver dunque lasciato le tombe in perfetto ordine prima di ritornare a casa a mani vuote.
Gein ammise di aver rubato da nove tombe di cimiteri locali e condusse gli investigatori presso queste ultime. Allan Wilimovsky, della scientifica, partecipò all'apertura di tre tombe identificate da Gein: i feretri erano in casse di legno, le assi erano poste di traverso e la sommità era almeno a 60 centimetri dalla superficie. Gein aveva profanato le tombe subito dopo i funerali, quando non erano ancora state perfettamente interrate. Alcune tombe furono esumate perché le autorità erano incredule circa la possibilità che Gein avesse dissotterrato da solo una tomba in una sola notte; furono trovate, come egli descrisse, due tombe vuote (una aveva una spranga sul fondo), una bara fu trovata vuota, l'altra non era stata aperta da Gein poiché aveva perso il suo piede di porco e la maggior parte del corpo della terza bara era invece stato preso.
Una giovane di sedici anni, i cui genitori erano amici di Gein, segnalò che questi conservava teste rinsecchite nella sua casa: queste erano state descritte da Gein come reliquie dalle Filippine, inviategli da un cugino che aveva partecipato alla seconda guerra mondiale. In seguito alle indagini della polizia, fu scoperto che le "reliquie" altro non erano che pelle umana utilizzata per creare maschere.
Gein fu considerato sospettato anche in molti altri casi irrisolti nel Wisconsin, quali la scomparsa di una babysitter di La Crosse, Evelyn Hartley, nel 1953.
Durante l'interrogatorio confessò inoltre di aver ucciso Mary Hogan, dipendente di una taverna scomparsa dal 1954, e lasciò anche intendere di aver commesso altri delitti in gioventù, tra cui l'omicidio di una ragazzina scomparsa diversi decenni prima da Plainfield.
La letteratura considera l'usare pelle di donna come un "rituale folle di travestitismo".
Si pensa che Gein sperimentasse anche una forma di necrofilia, ricavando piacere sessuale dai cadaveri mutilati, ma Gein negò sempre di aver avuto rapporti coi cadaveri riesumati, perché avevano un cattivo odore. Confessò che dopo la morte della madre aveva avuto il desiderio di cambiare sesso: secondo molti egli aveva creato il suo "abito da donna" per poter assumere le sembianze della madre.
L'unica stanza pulita e tenuta in ordine della casa era proprio la camera da letto della madre, come prova della morbosa ossessione che il figlio aveva nei confronti della donna (e del forte ascendente che ella aveva su di lui).
Gein fu giudicato mentalmente instabile e incapace di sostenere il processo e fu condotto all'ospedale statale centrale (ora Dodge Correctional Institution) a Waupun, nel Wisconsin. Durante il processo la sua dichiarazione: «Non ho mai ucciso un cervo» preoccupò molto i suoi vicini di casa, ai quali Edward aveva spesso offerto carne di cervo, da lui cacciato e cucinato: molto probabilmente era carne umana.
In seguito l'ospedale fu trasformato in prigione e Gein fu trasferito all'ospedale statale Mendota a Madison. Nel 1968 i medici di Gein stabilirono che era abbastanza sano da sostenere il processo, tuttavia fu discolpato per infermità mentale. Scampata la sedia elettrica, Ed Gein passò gli ultimi sedici anni in un manicomio criminale.
Fonte: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Ed_Gein
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