#Lucio Caracciolo
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“ Il vigente ordine delle cose resta antieuropeo. Letteralmente: contro Europa. Non solo il soggetto Europa non esiste né appare alla vista, ma l’organizzazione dello spazio europeo è ispirata al principio di impedire che si formi. Perché è questo l’interesse degli Stati Uniti d’America: un continente stabile ma non troppo, da loro strategicamente dipendente. Al quale non intendono rinunciare, malgrado l’impallidire delle radici etniche e culturali europee nella società americana sempre meno riducibile al paradigma Wasp. Se gli americani si ritraessero, significherebbe abdicare alla dominanza su scala globale costruita in oltre un secolo di glorie. Implicherebbe la necessità di riscrivere la loro stessa storia. Per inventarne un’altra. È il dilemma che attanaglia oggi l’impero europeo dell’America, ma che è inscritto fin dalla nascita nella sua parabola.
All’Antieuropa l’europeismo, in special modo il suo mito, ha contribuito e contribuisce tuttora. Storia non scritta, anzi celata, financo denegata nella narrazione corrente. Ma praticata. Non toglie che l’Europa del dopo-1945 sia anzitutto prodotto dell’europeismo americano. In duplice senso. Geopolitico: incardinamento degli Stati Uniti d’America in Europa per impedire gli Stati Uniti d’Europa, loro doppio intollerabile in quanto contropotenza. Ideologico: sostegno all’europeismo europeo in quanto incapace di unire gli europei, invece utile per pacificarli, adagiarli nel declassamento inevitabile dopo aver collettivamente perso due guerre mondiali. Parcheggiandoli nella post-storia. L’impero europeo dell’America (Iea), senza il quale Washington non avrebbe potuto aspirare al primato mondiale, è costruito a partire dalla decisione di restare nella parte di continente conquistata con la Seconda guerra mondiale, per impedire che vi risorga una minaccia alla propria sicurezza. Impresa avviata dopo la vittoria su Hitler con la partizione della Germania e della penisola europea, bisecata dalla Cortina di ferro. Culminata a partire dallo scadere dello scorso secolo nell’allargamento della sfera imperiale americana all’Europa centro-orientale in conseguenza del crollo dell’impero sovietico e dell’allargamento della Bundesrepublik alla DDR (1990). Successo persistente, eppure minacciato dal convergere di tre fattori: la difficoltà per Washington di tenere insieme a sé e sotto di sé uno spazio tanto vasto ed eterogeneo in carenza di un credibile Nemico assoluto – tedesco, russo, cinese o una combinazione fra questi; il correlativo riemergere delle pulsioni antimperiali nella repubblica statunitense, nata e raccontata a se stessa e al mondo quale emancipazione di coloni dalla metropoli inglese; la conseguente crisi di legittimazione e di efficienza dell’architettura strategica americana in Europa, la Nato. La minaccia per l’impero americano in Europa non sta quindi nello sterile ideal-europeismo europeo ma nella sua crisi. Nell’antieuropeismo – almeno a-europeismo – serpeggiante oggi fra gli europei. Nel clima del ciascuno per sé nessuno per tutti, surriscaldato dalla sequenza di crisi economiche, migratorie, epidemiche e belliche scoppiate nell’ultimo decennio. “
Lucio Caracciolo, La pace è finita. Così ricomincia la storia in Europa, Feltrinelli (collana Varia), novembre 2022. [Libro elettronico]
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Lucio Caracciolo, fondatore e direttore della rivista italiana di geopolitica Limes: "Zelensky doveva trattare nel 2022. Ma gli dissero che poteva vincere".
dice il FattoQ. Tipico dei cretini pensare che sian tutti cretini boccaloni come loro.
In realtà al compagno Z. dissero: stai lì, tieni bòtta e intanto bèccati 'sta paccata di miliardi, che poi ti tiriamo fuori noi.
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Gentili ospiti di Lilli Gruber:
Nathalie Tocci, Massimo Giannini, Paolo Mieli, Lucio Caracciolo, Lina Palmerini, Monica Guerzoni, Mario Monti, Andrea Scanzi, Beppe Severgnini, Alessandro De Angelis, Rosi Braidotti, Massimo Cacciari, Tomaso Montanari, Luca Josi, Pino Corrias... - completate voi l'elenco, cito alla rinfusa, prescindendo dalle varie opinioni, e confidando nella comune larga alfabetizzazione - vorrei chiedervi come mai nessuna e nessuno di voi, salvo che m'inganni (perdo troppe puntate), abbia mai obiettato a un "argomento" stentoreamente e sprezzantemente enunciato dal mio beniamino Marco Travaglio più o meno un giorno sì e uno no. L' "argomento" dice che Zelenskyj si legò le mani rispetto a qualsiasi negoziato quando nel settembre del 2022 decretò il divieto a trattative con la Russia di Putin che non prevedessero il ripristino integrale dei confini ucraini. (Lunedì Travaglio, sulla cresta dell'onda trumpian-putiniana, si è spinto a rivelare che la delegazione ucraina non si incontra coi russi ma separatamente con gli americani perché resta sequestrata da quella fanatica smania di Zelenskyj di bruciare i vascelli alle spalle proprie e della sua gente). Non so definire Travaglio "ospite" della trasmissione, perché gli ospiti alla seconda o alla terza villania smettono di essere tali, e Travaglio la fa da padrone. Ma l'argomento sul quale imperversa indisturbato è peggio che una falsità, è una contraffazione. Letteralmente coincidente con la retorica del Cremlino.
Nell'ultima settimana di settembre del 2022, Putin indisse in fretta e furia, specialmente furia, un referendum nelle quattro regioni di Lugansk, Donetsk, Zaporizhia, e Kherson. Avvenendo in un regime di occupazione armata, di fughe e di deportazioni, il referendum non poteva essere riconosciuto legittimo da alcun istituto democratico. Ebbe anche un corollario farsesco, perché le quattro regioni erano solo parzialmente occupate dalle forze russe, e lo sono ancora oggi. L'oblast' di Kherson era stata occupata senza colpo ferire dalla prima avanzata russa, grazie al tradimento di sue autorità, ma era stata riguadagnata largamente, compreso il capoluogo, dalla controffensiva ucraina. Anche dell'oblast' di Zaporizhia era ed è restato in mano ucraina lo stesso omonimo capoluogo.
Col referendum, e il corrispondente cambiamento costituzionale, la Russia decretava l'annessione delle regioni - il 15 per cento, sulla carta, del territorio ucraino - alla madrepatria, così da rendere "esistenziale" e non negoziabile l'appartenenza russa di quelle terre (come della Crimea occupata nel 2014). "Pagliacciata sfrontata, precedente all'impegno di Zelensky a escludere un negoziato che non prevedesse l’integrità dei confini legali del paese, e ignorata dagli equidistanti sedicenti e dai pacifisti scandalizzati dall'intransigenza ucraina". "... Le quattro regioni votate dagli umoristici referendum 'parte del territorio della madrepatria russa per l’eternità', e perciò bombardate ogni giorno – con una predilezione per gli ospedali e i mercati a Kherson, per i condomini a più piani a Zaporizhia. Con quei 'referendum', annettendosi anche quello che non aveva, Putin aveva creato il suo fatto compiuto: non ci sarebbe stato negoziato senza riconoscerlo, perché il 'territorio russo' non è negoziabile, nemmeno quando non ce l’hai".
Dunque era Putin che bruciava i vascelli alle spalle proprie e della gente russa, e si vietava qualunque negoziato sulle regioni annesse. Dopo di allora, Putin e i suoi portavoce non hanno fatto che ribadirlo. Peskov ancora due giorni fa, all'AFP: "I territori che sono divenuti soggetti della Federazione Russa, che sono iscritti nella Costituzione del nostro paese, ne costituiscono una parte inseparabile. Questo è innegabile e non negoziabile". La cerimonia della firma dell'annessione si era tenuta nel Salone di san Giorgio del Cremlino il 30 settembre del 2022. Putin proclamò: "Voglio che le autorità di Kiev e i loro veri manovratori in occidente mi ascoltino, e si ricordino, tutti: le persone che vivono nel Lugansk e nel Donetsk, nel Kherson e nel Zaporozhye sono diventate nostri cittadini, per sempre. (Applauso). ... Siamo pronti al negoziato, ma la scelta del popolo di Donetsk, Lugansk, Zaporozhye e Kherson non sarà in discussione. La decisione è stata presa e la Russia non la tradirà. (Applauso). Non c'è altra via alla pace!" L'alternativa era messa nel modo più limpido: o la rassegnazione a quelle annessioni, o la bomba atomica.
Questo avveniva alla fine di settembre. Il martedì 4 ottobre 2022 Volodymyr Zelenskyj firmò un decreto che dichiarava "impossibile" la prospettiva di colloqui finchè Vladimir Putin fosse presidente, lasciando aperta la strada a colloqui con una Russia futura. Fu dunque in risposta a quei referendum truffaldini e all'annessione costituzionale "perpetua" che Zelenskyj emanò il decreto, e sette mesi dopo simulati negoziati nei quali la Russia non aveva fatto altro che esigere la capitolazione piena dell'Ucraina. L' "argomento" decisivo di Travaglio cancella serenamente l'antefatto, col quale era stato Putin a legarsi le mani quanto alle condizioni insuperabili per il negoziato, e fa di Zelenskyj l'autore, invece che colui che reagì al fatto compiuto della Russia.
La sequenza, importante come apparve fin da quando avvenne, e periodicamente rievocata, è di facilissima verifica. Io l'ho ricostruita periodicamente un certo numero di volte (qui sopra un po' citate), peraltro molto inferiore alle innumerate volte in cui Travaglio l'ha proclamata e falsificata a modo suo. Va da sé che non mi aspetto che ospiti di Gruber e lei stessa, nell'invaso nido di cuculo, mi leggano: a ciascuno il suo. Ma come mai non hanno, motu proprio, una ribellione alla falsità e all'impudenza di Travaglio? Come mai, qualunque opinione abbiano, non la fanno precedere dalla verità, così scoperta? Italiane, italiani, ospiti di Gruber, ancora uno sforzo.
Adriano Sofri
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LUCIO CARACCIOLO INTERVIENE AL CONVEGNO "INCONTRI STRATEGICI ITALIA E FR...
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Alessandro Gilioli
"A perdere è sicuramente Zelensky. L'Ucraina non recupererà i territori ed è uno Stato fallito: ha perso un terzo degli abitanti, molti dei quali non torneranno. La ricostruzione avrà dei costi economici stimati dalla Banca mondiale in 500 miliardi di dollari che ricadranno in buona parte sell'Europa. (...)
Questa guerra era evitabile dagli Usa, che a partire dagli anni 2000 hanno finanziato forze antirusse in Ucraina. Gli americani hanno scommesso sull'Ucraina nella Nato e sulla caduta di Putin. Hanno usato gli ucraini per dissanguare i russi.
Gli ucraini hanno sbagliato a rinunciare alla mediazione turca su pressione degli angloamericani".
L'analisi è di Lucio Caracciolo, questa mattina intervistato su La Stampa.
Sul fallimento dell'Ucraina e sul costo politico ed economico che avrà per la disgraziata Ue, si è già detto molto.
Sottolineo in questa analisi, piuttosto, l'ultima frase che ho riportato: quella sulle trattative di Istanbul, a fine marzo del 2022, che oggi si sono dimenticati tutti.
L'invasione russa era iniziata da poco più di un mese, le delegazioni ad altissimo livello russa e ucraina si incontravano nella città turca. Il 30 marzo (basta riprendere le agenzie) sembrava di essere a un passo dall'accordo: Ucraina nella Ue ma non nella Nato, riconoscimento da parte di Kiev che la Crimea e una parte da definire del Donbass passavano definitivamente ai russi.
Quale parte del Donbass? Sicuramente una più piccola di quella attualmente occupata da Mosca: in quei giorni i russi non avevano ancora occupato diverse città come Sievierdonetsk, Lysychansk, Bakhmut; perfino Mariupol stava ancora resistendo.
Tutto cambiò il giorno dopo, quando le forze ucraine entrarono a Bucha, città a nordest di Kiev, e trovarono i segni di una mattanza di civili operata dai russi nei giorni dell'occupazione
Il giorno dopo ancora ci fu il primo attacco ucraino nel territorio russo, a Belgorod.
Da allora, non ci fu più nessuna trattativa (se non per il grano e per lo scambio di prigionieri).
Nell'ottobre del 2022, Zelensky ha firmato una legge che impedisce qualsiasi negoziato.
Caracciolo fa capire, nemmeno velatamente, che il massacro di Bucha non fu l'unica causa che a fine marzo del 2022 bloccò la trattativa: che ci furono pressioni in questo senso da parte dell'Occidente, in particolare Usa e Uk.
Se l'ipotesi di Caracciolo è fondata, quelle pressioni per interrompere il negoziato sono costate agli ucraini centinaia di migliaia di vite umane e diverse città poi finite in mano all'invasore.
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Lucio Caracciolo - giornalista italiano e direttore di Limes - così ha commentato: “Da una parte - World Online News -
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Lucio Caracciolo - giornalista italiano e direttore di Limes - così ha commentato - Notizie Online Italia -
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Il Premio de Sanctis Letteratura 2025 che va ad Anna Foa, Sandro Veronesi, Paolo D'Angelo e Lucio Caracciolo




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Caro
@marcotravaglio
, qualche sera fa ho assistito alla tua ennesima performance di propaganda ad
@OttoemezzoTW
cui ha partecipato, in qualità di tuo complice, anche Lucio Caracciolo e continuo a trovare incredibile la naturalezza con la quale, senza vergogna, menti pubblicamente, in violazione delle regole etiche e deontologiche che dovrebbero guidare il tuo lavoro.
Quando sostieni che il mito - o meglio “balla” come l’ha definita
@paolomieli
- della responsabilità di
@BorisJohnson
nel naufragio dei colloqui tra Russia e Ucraina nel 2022 a Istanbul sarebbe avvalorata dalle parole del capo negoziatore della delegazione di Kyiv David Arakhamia, mi domando se tu quell’intervista l’abbia mai veramente ascoltata o ti sia invece limitato a fare il copia e incolla delle manipolazioni che ne hanno fatto i principali organi di disinformazione pro Mosca.
Io l’ho fatto. L’intervista è stata rilasciata alla giornalista e autrice ucraina Natalia Moseichuk, ed è andata in onda il 24 novembre 2023 sul canale 1+1. A circa un terzo del lungo confronto si parla proprio dei colloqui a Istanbul, in merito ai quali il funzionario dichiara esattamente il contrario di quello che tu sostieni.
In particolare Arakhamia conferma che il punto centrale delle richieste di Mosca fosse la non adesione alla NATO, ma non dice affatto che era stato raggiunto un accordo. In vari interventi tv ed editoriali tu parli di 18 bozze che le delegazioni si sarebbero scambiati e di una finale persino firmata. Queste affermazioni erano state fatte da Putin in persona davanti ad una rappresentanza di alcuni leader africani ai quali aveva persino detto che quel documento si chiamasse “Accordo sulla neutralità permanente dell'Ucraina e sulle garanzie di sicurezza”.
Se tu avessi veramente ascoltato l’intervista di Arakhamia, sapresti che quel documento semplicemente non esiste, tanto che l’intervistato fa notare alla giornalista che, se fosse stato reale, Putin non avrebbe esitato a mostrarlo, cosa che invece non ha mai fatto. La ragione è semplice e ovvia per chiunque sappia come funziona una democrazia: la delegazione non aveva potere di firmare nulla, tanto più un accordo in violazione della costituzione Ucraina (che prevede l’obiettivo dell’adesione alla NATO dal 2019). Un eventuale accordo lo avrebbe semmai potuto firmare il Presidente, per poi sottoporlo al vaglio della Rada, che a differenza di quanto avviene con la Duma in Russia, a Kyiv non è un organismo di mera ratifica.
L’intervistatrice peraltro incalza Arakhamia, chiedendo il perché non avessero accettato quelle condizioni. E lui spiega ciò che tutti tranne te e Caracciolo sanno bene, e cioè che dopo 8 anni di annessioni, scontri e provocazioni l’Ucraina pretendeva garanzie per la propria sicurezza che Mosca non era disposta a dare.
Segue poi una domanda diretta sul ruolo di Johnson e sulle sue presunte ingerenze, alla quale il consigliere risponde chiaramente che si tratta di menzogne dette da chi vuole interferire politicamente e che quella di non firmare fosse appunto, invece, una scelta della parte Ucraina, a causa delle condizioni poste dalla Russia, oltre che per i vincoli giuridici e costituzionali. Johnson visitò effettivamente Kyiv, ma, come spiega Arakhamia, quel viaggio era avvenuto dopo il rientro della delegazione da Istanbul. Lo stesso intervistato precisa anche che l’Ucraina non aveva ricevuto alcuna pressione dai partner occidentali, i quali avevano accesso alle bozze di accordo, ma che non erano nemmeno al corrente di tutti i dettagli dei colloqui.
Di fatto quindi quella dell’intervento di Johnson resta una balla colossale, come sostenuto anche da Foreign Affairs e New York Times, mentre le tue presunte prove sono menzogne di disinformazione, incredibilmente identiche a quelle diffuse dal Cremlino e che tu ripeti da bravo e obbediente propagandista, anziché verificarle come invece dovrebbe fare un giornalista.
Dimostrami che sono io che mento, se ci riesci. Qui o di persona. Io ci sto.
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Ni con Washington ni con Moscú. La quimera de una «tercera vía»
Yena Prinskin
ste artículo es una respuesta a los argumentos dados en una conferencia de la italiana Casa Pound titulada «Ni con Washington ni con Moscú», y a cuya confusión e impostura ideológica me apresto a responder.
Parte de la derecha radical ha abrazado las razones de Kiev, apoyando la idea de un ataque de Rusia a Europa, y de que el ejército ruso está llevando a cabo una operación militar en interés de EE. UU. Se trata en esencia de la idea de un Yalta II, que permitiría una vez más aplastar a Europa a favor de sus enemigos históricos, EE. UU. y Rusia precisamente.
Evitemos aquí reconstruir los acontecimientos que todo el mundo conoce y que condujeron, tras el Euromaidán, a un gobierno títere de los occidentales y a las armas suministradas a los grupos para-nazis por las fuerzas de la OTAN, y vayamos directamente a los temas tratados por los ponentes.
En «Ni Washington ni Moscú» destaca el eslogan de la derecha radical en boga hasta los años ochenta.
Hoy en día, la idea de ver a EE. UU. y Rusia en pie de igualdad está sencillamente fuera de la historia, ya que los llamados prorrusos (y concretamente los derechistas) no esperan a que estos últimos les «liberen», ni a que sustituyan las bases de la OTAN por las suyas propias. Actualmente somos una colonia de los estadounidenses, como no escatiman en recordarnos incluso los analistas geopolíticos de la corriente dominante Lucio Caracciolo y Dario Fabbri. Así que la objeción binaria: «Queréis ser ocupados por los tanques del Ejército Rojo», podría aplicarse cuando el mundo estaba todavía dividido en bloques, no ahora. No se trata de someter Europa a nadie, ni a los estadounidenses, ni a los chinos, ni a los rusos, y mucho menos de adherirse al sistema de valores de estos últimos.
Otra idea falsamente en boga entre algunos flecos de tales «camaradas» es la impostura dialéctica de que: «Rusia, al invadir Ucrania, ha resucitado a la OTAN», como si ésta no hubiera estado acercándose constantemente a su casi exterior abarcando nada menos que 14 Repúblicas del antiguo Pacto de Varsovia. Además, Finlandia y Suecia siempre han formado parte del campo militar occidental, y su entrada oficial en la OTAN fue una recaída de un equilibrio que se había roto el 22 de febrero de 2022, con el ataque ruso en respuesta a la decisión del Joker de Kiev de violar el estado de neutralidad exigido por la Federación Rusa por razones de seguridad nacional. Varias fuentes, incluida la del profesor Orsini, también mencionan el plan del ejército ucraniano de atacar Crimea. Por tanto, el ataque ruso habría sido inevitable.
Contrariamente a lo que se dijo en la reunión del PC, Biden y Johnson, y concretamente este último, hicieron todo lo posible para empujar a Ucrania a continuar el conflicto, cuando el 22 de marzo de 2022 Zelensky estaba dispuesto a un acuerdo de paz. ¡Demasiado para una propuesta de rendición y un gobierno en el exilio en Londres!
Incluso ahora, los que hablan de sacrificar sangre ucraniana lo hacen con la conciencia manchada de la misma sangre.
En respuesta a la amenaza «euroasiática», se propone un renacimiento industrial, tecnológico y militar. Sobre la humareda de un ejército europeo, tendríamos que dedicarle un artículo aparte, pero podemos recordar las palabras de Dario Fabbri: «¿Cuántos lituanos morirían por Italia, y viceversa?». Una pregunta que lleva implícita su respuesta. Además, los bienintencionados oradores olvidan que uno de los objetivos de esta guerra era hundir y desindustrializar Europa, y que Alemania experimentó ante todo una recesión económica e industrial debido a las sanciones y a la interrupción del suministro de gas. ¿Es necesario recordar a los autodenominados patriotas europeos que volaron el gasoducto Nord Stream? Si el principal actor del continente está de rodillas, se lo debe a los estadounidenses y a sus socios polacos que actúan como sus burros.
Todas las buenas intenciones con una Europa con disuasión nuclear y ejército propio chocan con la realidad de países individuales movidos por sus propios intereses. Para demostrarlo, basta con observar la divergencia entre la Europa Báltica y los países mediterráneos. Mientras se aumenta el presupuesto militar para propiciar una autonomía político-estratégica frente al soberano estadounidense, no se puede evitar recordar que éste aprovechará la rusofobia de los países del Este para sabotear cualquier intención de unidad de propósito en Europa y, con ella, de autonomía. Mientras escribimos, Polonia y los países bálticos reclaman fondos a la UE para crear instalaciones de defensa, además de armamento adicional. Aumentar los presupuestos militares de cada país podría tener incluso un resultado opuesto al deseado.
¿Una Europa antiliberal frente a EE.UU. y Rusia?
El modelo actual de la UE es una emanación directa del modelo de valores angloamericano. Estamos inmersos en el liberalismo económico y societal, y hablar de una vuelta a modelos de socialización de la empresa, de participación de los trabajadores, huele a naftalina y no va más allá de la nostalgia socialfascista habitual. En los discursos pronunciados en la reunión de CP, siempre surgen las palabras de moda habituales, «mito», «destino», etc., pero sin construcción ni posibilidad de realización concreta. Más allá de esto, no parece que Europa sea portadora de un modelo propio de civilización alternativo al americano o al asiático. Estamos al menos tan inmersos en el globalismo capitalista como los estadounidenses, con todas sus ramificaciones y la escoria ideológica formada por la ideología verde, woke y LGTBIQ+. Rusia y China también son sistemas de economías de mercado, con la enorme diferencia de que el Estado y sus aparatos filtran y actúan como freno a todas las derivas individualistas que están disolviendo el Occidente liberal. Por supuesto, no faltan distorsiones y contradicciones y nadie defiende aquí modelos de valores de importación «asiática».
La defensa de esta UE en la que en algún momento todos resultan ser occidentales, cuando esta UE es el feudo de la burocracia y las finanzas angloamericanas, representa su forma degenerada, y no justifica las acciones de Macron y Draghi como figuras de transición hacia un modelo más auténticamente soberano. Los actuales dirigentes europeos han abdicado de un papel de mediación entre los dos contendientes y se han plegado a todas las directivas y órdenes procedentes de la Casa Blanca y del Pentágono. Si Europa se encuentra en este estado de enanismo geopolítico, es por culpa de estos ineptos.
Mientras escribo, me remito a un artículo de Adriano Scianca aparecido en Primato Nazionale en el que recordaba que incluso intelectuales de la Nouvelle Droite como Jean Thiart y Guillaume Faye veían la UE como un organismo imperfecto, un proyecto in itinere y todavía válido hoy como sujeto de transición hacia una «Europa Potencia».
Sin Rusia no existe «Europa Potencia»
Cabe mencionar que los intelectuales mencionados hablaban abiertamente de un continente euroasiático. Este detalle parece habérseles escapado a Adriano Scianca y a Adinolfi, hijo y padre... El propio Guillaume Faye habló más explícitamente de una «Euro-Rusia», y se refirió a esta última como una fuerza nacional que liberaría a Europa de la colonización islámica, el caos y el nihilismo individualista de las sociedades liberal-occidentalizadas. Excluir a Rusia de este proceso de integración es hacerle el juego a los estadounidenses. De hecho, ¿cómo se puede responsabilizar a los rusos de un ataque a Europa «encargado» por EE. U.U, si, como también recordó Lucio Caracciolo, George Friedman, del think tank de Stratford, declaró: «Hemos librado cuatro guerras para evitar que Europa y Rusia se acercaran», siguiendo el lema habitual: «Alemanes abajo, rusos fuera».
Por tanto, no se trata de renacer europeos para no morir occidentales o asiáticos. Actualmente no existe una «tercera vía», y quien cava «trincheras europeas» en Ucrania lo hace como un idiota útil que, una vez más, no ha entendido nada del juego que se está jugando. Para los que se han quedado en el 45, y para los que sólo necesitan ver dos runas (pero las de los tanques rusos obviamente no cuentan) para revivir esquemas ideológicos que no se sostienen ante el presente. Y todo esto se hace exponiendo a Europa a la destrucción económica y militar, mientras sus manipuladores proucranianos agitan el coco «rojo» con la bendición de Von Der Leyen y los Borrell, que avalan el ataque con misiles contra territorio ruso. Y una vez más, se hace en nombre de los angloamericanos que quieren una Europa débil en permanente estado de subordinación. A los que cavan «trincheras» en nombre de Washington, les respondemos que no hay renacimiento europeo sin Rusia. Esto siempre lo supieron los De Gaulle, los Thiart, los Faye e incluso los Silvio Berlusconi, que soñaban con una Europa desde el Atlántico hasta los Urales. Algunos autodenominados patriotas europeos lo han olvidado o fingen no haberlo sabido nunca, y pensar mal, decía alguien, es a menudo tener razón. Que entienda quien quiera entender.
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" Nella seconda metà degli anni ottanta, la maggioranza dei tedeschi occidentali è certo favorevole all’unificazione, ma la considera un miraggio. Non pertinente al Ventesimo secolo. Di tale incoscienza è emblema la battuta di Kohl, la mattina del 9 novembre 1989, quando insieme al ministro degli Esteri Genscher è ricevuto a Varsavia da Lech Wałesa. Il quale spiazza gli ospiti chiedendo loro per quando prevedessero la caduta del Muro. Risposta di Kohl, sorpreso: “Prima cresceranno i cactus sulle nostre tombe”. Poche ore dopo il cancelliere interrompe la visita di Stato in Polonia per volare a Berlino, dove folle in festa celebrano l’apertura della frontiera. Consciamente o meno, quei leader tedeschi che poco dopo sfrutteranno l’irripetibile opportunità di inglobare i cinque Länder tedesco-orientali – storicamente centrali in quanto Mitteldeutschland, ma il vocabolario ereditato dalla sconfitta del nazismo oscura questo termine – restano convinti che la pena geopolitica da scontare per i crimini hitleriani e per il passato imperialista sarà ancora lunga. "
Lucio Caracciolo, La pace è finita. Così ricomincia la storia in Europa, Feltrinelli (collana Varia), novembre 2022. [Libro elettronico]
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Alla domanda retorica della Gruber: “Siamo davanti alla tanto annunciata escalation di Israele contro l’Iran?”, che presuppone risposta terronizzante per casalingue e medioman, stile uhh è sempre tuttacolpa dei guerrafondai ebbrei che ci voglian rovinare la altrimenti pacifica convivenza, Lucio Caracciolo direttore di Limes risponde da esperto e signore, sprezzante e chiarificatrice: “Si è chiusa la fase cominciata a Damasco il 1 aprile con l��attacco israeliano al consolato iraniano dove sono stati uccisi un generale e altri ufficiali. Consolato si fa per dire, perché non credo fossero lì per il rinnovo del passaporto. Poi c’è stata la replica iraniana obbligata, talmente obbligata che si sono tutti messi d’accordo perché non succedesse nulla di sabato notte. Questa notte c’è stata una risposta di cui sappiamo molto poco ma di cui vediamo le conseguenze, cioè più o meno pari a quello che avevano fatto gli iraniani con qualche tecnologia in più, per dire che questo round è chiuso”.
Oibò, come la Russia che non attacca sul serio: niente Terza Guerra Mondiale per adesso, niente riconferma di Biden come fosse Roosevelt, toccherà farle davvero 'ste elezioni americane.
elab di quotes via https://www.iltempo.it/personaggi/2024/04/19/news/otto-e-mezzo-lucio-caracciolo-israele-iran-duello-fasullo-attacco-rafah-massacro-39096571/
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Giuseppe De Ruvo (a cura di), Storia e filosofia della geopolitica, prefazione di Lucio Caracciolo, Carocci editore, 2024
scheda dell’editore: Storia e filosofia della geopolitica Negli ultimi anni, la geopolitica è tornata al centro del dibattito pubblico. Ma che cos’è? Quando è nata? Come si è sviluppata? Attraverso i testi di autori come Mahan, Ratzel, Haushofer, Kennan e Kissinger, questa antologia guida il lettore in un percorso storico che dalla geografia politica arriva alla geopolitica del cyberspazio e…
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Queste elezioni
Ciò che queste elezioni europee ci dicono è molto diverso da quello che si legge nei giornali o si ascolta nei talk-show.
Un'intera configurazione del discorso pubblico europeo è crollata.
L'asse franco-tedesco, ridotto a sub-fornitore dell'ideologia Nato, cade a pezzi; i partiti di estrema destra vincono ma senza alcuna reale rottura sui temi della guerra e dell'austerità; cresce l'astensione; i partiti che invocano la "sovranità europea" annaspano nelle loro contraddizioni; i movimenti in Italia che hanno deviato negli ultimi anni dalla loro agenda critica vengono severamente puniti dagli elettori.
Cosa fare allora in questa impasse?
Rifugiarsi nel privato, nella sfiducia, nella rassegnazione? Oppure, aggrapparsi a queste nuove leader che vogliono farsi chiamare per nome, Ursula, Elly e Giorgia, perché sono del popolo, sebbene ci stiano portando a un conflitto armato con la più grande potenza nucleare del mondo?
No, la nostra risposta è: no!
Né l'una né l'altra: né la rassegnazione né l'omologazione, né la guerra né la resa indifferente.
Noi siamo per una battaglia non-violenta della parola e del pensiero. Noi siamo per ridare un fondamento spirituale e politico a questa Europa, partendo dall'Italia. Noi siamo per aggregare i recalcitranti, per tornare a fare un discorso di verità, per demistificare l'ideologia dominante, per annunciare che la nascita di una nuova politica è possibile, anzi sta già avvenendo.
E noi dobbiamo solo riacquisire una centratura interiore e collettiva e una forza non-violenta per sbarazzarci di questi operatori di iniquità e dominio.
Noi ci stiamo provando e ci proveremo ancora di più. L'11 luglio faremo un grande evento alla Camera che si chiama CHI SIAMO NOI? Il destino dell'Italia nei nuovi scenari globali - 11 luglio - Camera dei Deputati con Lucio Caracciolo, Nello Preterossi e Fiammetta Salmoni.
Vogliamo fare nel Parlamento italiano un'operazione di verità e di razionalità, portare nelle Istituzioni una formazione politica vera, rigorosa, sulla guerra, sul vincolo esterno, sull’Ue, sul ruolo dell’Italia nel mondo, su una geopolitica della pace, sulla fine di questo sistema violento della sopraffazione. L'evento dell'11 luglio sarà perciò una grande festa di democrazia, e un piccolo ma vero momento rivoluzionario.
Questo è il link del form a cui accreditarsi: https://docs.google.com/.../1d.../viewform...
Aiutateci a diffonderlo il più possibile e partecipate numerosi!
Gabriele Guzzi
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Le cryptovalute nell XI festival di Limes
Le cryptovalute nell XI festival di Limes Il 10-11-12 di questo mese si è tenuto a Genova l’XI Festival di Limes, la rivista di geopolitica diretta da Lucio Caracciolo. Limes rappresenta l’unico think tank nazionale che abbia scopi anche di natura divulgativa al grande pubblico. L’evento è’ stato, come sempre, molto interessante, affrontando temi importanti, con un approccio neutro, oggettivo,…

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