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Inquietanti esperimenti scientifici: un racconto di scienza e orrore
Gli inquietanti esperimenti scientifici hanno avuto un ruolo fondamentale nel progresso della conoscenza umana, permettendo scoperte che hanno cambiato per sempre il nostro modo di vivere. La ricerca, in molte delle sue forme, è stata il motore che ha spinto l’umanità verso l’innovazione. Tuttavia, dietro a molti dei traguardi raggiunti, si nascondono storie che sfidano le convenzioni morali e…
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(via Ospedale degli Orrori: Il Coma di Cook (Patrizia Riello Pera, Padova, Italy).)
Ospedale degli Orrori: Il Coma di Cook. Un'indagine mozzafiato tra complotti medici, etica e il successo del film "Coma profondo".
Article translated into English. Article traduit en anglais. Artículo traducido al español. Artigo traduzido para o português. Artikel ins Deutsche übersetzt. Articol tradus în română.
Un'ombra inquietante si allunga sui corridoi immacolati di un ospedale, trasformando il tempio della guarigione in un palcoscenico di orrore silente. Con "Coma" (1977), Robin Cook non si è limitato a scrivere un thriller medico; ha partorito un'icona del genere, un'opera che ha ridefinito le paure latenti nella fiducia che riponiamo nella scienza e nella medicina. La maestria di Cook risiede nella sua capacità di intessere una trama avvincente attorno a dettagli scientifici precisi, un retaggio della sua stessa professione di medico. Egli non si limita a spaventare; educa e, al contempo, mette in guardia. La dottoressa Susan Wheeler, tirocinante brillante e determinata, si ritrova catapultata in un incubo quando una serie inspiegabile di pazienti giovani e sani finisce in coma vegetativo dopo interventi di routine. L'indagine, inizialmente scettica e poi osteggiata, la conduce in un vortice di pericoli che sfidano ogni logica, rivelando un complotto agghiacciante che sfrutta la vulnerabilità umana per scopi indicibili. La tensione narrativa è palpabile, ogni pagina un passo in più verso una scoperta sconvolgente, che costringe il lettore a interrogarsi sulla moralità del progresso e sui limiti etici della ricerca. Cook maneggia la suspense con chirurgia precisa, tenendo il lettore col fiato sospeso fino all'ultima riga.
Il successo cinematografico: "Coma profondo" (1978)
Il genio di "Coma" non poteva rimanere confinato tra le pagine, e il suo passaggio al grande schermo con "Coma profondo" (1978), diretto nientemeno che da Michael Crichton (un altro maestro del thriller scientifico), è stato un trionfo. Crichton, con la sua sensibilità per la narrazione visiva e la sua comprensione dei temi scientifici, ha saputo catturare l'essenza claustrofobica e terrificante del romanzo. Il film amplifica l'angoscia di Susan (interpretata con grande efficacia da Geneviève Bujold) mentre si muove tra gli ambienti sterili e inquietanti della clinica Jefferson Institute, un luogo che avrebbe dovuto rappresentare la speranza e che invece diviene la fonte di un'orrore sistematico. La regia di Crichton è asciutta, quasi clinica, e proprio per questo efficace nel rendere tangibile il senso di isolamento e minaccia. Le scene iconiche, come quella del "Giardino delle Memorie" dove i pazienti in coma sono curati e "venduti", rimangono impresse nella memoria, sublimando la distopia medica immaginata da Cook in una realtà visiva da brivido. "Coma profondo" è un'opera che, pur rimanendo fedele allo spirito del libro, ne esalta le componenti visive e drammatiche, cementando la posizione di Cook come pioniere di un genere che continua a esplorare le fragili frontiere tra scienza e coscienza.
Horror Hospital: Cook's Coma (Patrizia Riello Pera, Padua, Italy).
HTTPS://PATRIZIARIELLOPERALIBRI.IT
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“Da Clichy all'Odéon in taxi: un'ora! Impossibile circolare. Quei dannati si incalzavano a vicenda. La macchina è stata inventata per poter andare più in fretta, ed ecco che in città è diventata un fattore di immobilità. Prima o poi tutto ciò che l'uomo inventa, qualsiasi congegno, finisce col negare la sua funzione primitiva. Potremmo chiamare il fenomeno tradimento degli oggetti. L'uomo non ha davvero fortuna: tutto ciò che scopre gi serve solo per breve tempo, poi gli si ritorce contro. Oregi pomeriggio, attraversando Parigi, mi dicevo che il profeta più tetro non avrebbe potuto immaginare uno spettacolo tanto atroce come quello di cui ero testimone, e che è asso lutamente quotidiano. Per quanto cerchi di figurarmi il futuro, non ci riesco, non ho abbastanza orrore nella mente. Ogni «progresso» implica un coefficiente negativo; non c'è niente da fare.”
(Emil Cioran, “Quaderni 1957-1972”)
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64. (Biscotti)
Dopo aver preparato dei biscotti, sono uscito per strada. I biscotti li ho bruciati, ma non lo dirò a nessuno. Li preparerò di nuovo, maledetti. È che al mondo non c’è la ricetta perfetta, non c’è. Prima c’erano le nonne, poi il progresso ha portato i libri, poi la tecnologia ha portato la tv computer internet. Ma le ricette non hanno mai portato e mai porteranno ad un risultato perfetto, nei secoli dei secoli amen, e io lo so il perché, perché sono io che le preparo. E per me non c’è neanche la ricetta.
L’odore di bruciato ce l’ho ancora nelle narici. Prima di entrare nel traffico la cui merda mi disinfetterà l’olfatto, passo nel parco, magari il verde, chissà. Il verde oggi è esploso, dopo tutta quella pioggia e dopo questo sole così caldo ed amichevole ogni stelo sembra non volere fare altro che spogliarsi e mostrarsi splendente, come fosse una statua greca in un campo di felici nudisti. I biscotti sono morti, ma l’erba no, o perlomeno non ancora. Poi interverrà il comune a tranciare il tutto, a fare di ogni giardino pubblico un prato equanime ed uniforme come un campo di calcio. La diversità da fastidio, certo, come il bruciato dei biscotti. Cazzo. Vuoi vedere che sono come il comune? Che orrore.
Le macchine si affiancano, si sorpassano, si incazzano. Si vede, si vede che le macchine hanno uno scopo, devono andare da qualche parte, specialmente con fretta, sono fatte per questo. Ad esempio, non sono trasparenti, sono fatte per vedere con agevolezza il traffico, ma non il cielo. Tranne qualcuna, ma non sono nate per quello. Perché nessuno ci pensa? Perché nessuno le vuole? Forse costerebbero troppo, dobbiamo essere pratici, pratici come se fossimo morti, come se le cose più belle a una certa debbano farsi da parte e lasciar passare le cose più importanti. Per la bellezza c’è tempo, ma se rimane tempo. Non saremmo qui, se gli uomini primitivi avessero pensato alla bellezza. Invece siamo qui perché hanno pensato a far cadere un mammut nella buca, a fracassarlo con le pietre e finalmente a mangiarlo e a sfamare la stirpe. Boh, chissà, a me la storia dei libri mi ha sempre fatto pensare ad un romanzo, ma in fondo chi se ne frega. Sono arrivato davanti alla libreria che mi piace.
Entro in libreria, non devo comprare nulla. Ma passeggio come se fossi al supermercato. Invece dei pelati i libri di fotografia, invece del bagnoschiuma romanzi rosa. Qualcuno li avrà scritti, forse li avrà letti e li avrà trovati come dei biscotti bruciati, ma c’era la possibilità di venderli e allora. Basta. Ho il disgusto. Ieri il prete che dice che ha avuto una intuizione dallo Spirito Santo. In dieci minuti di omelia ha detto più cazzate di quante ne avrei potute immaginare io. E quello che dovrebbe essere mio amico mi ha detto con una certa convinzione che da quando ha avuto la prima erezione è sempre stato in compagnia di una donna. Credo che siano bruciati dentro, non si spiega, o sono io bruciato e dovrei buttarmi nella spazzatura così eliminiamo il problema di questi miei pomeriggi in giro per la città.
Torno a casa, va. Nella pattumiera non ci sto, forse domani l’umore sarà più alto, forse ci sarà il sole anche qui dentro, nella testa. Il rientro a casa. A volte sembra di ritornare in una tomba, a volte in un tiepido rifugio in inverno, mentre fuori la tempesta batte e sconquassa.
Casa. Cucina. Toh. Un biscotto è scampato alla mia furia, si è nascosto dietro la friggitrice, è bruciato a metà, l’altra metà è marrone scuro, cioè quel colore e quel grado di cottura che mi fa cagare. Ma sì, non ti butto. Ma sì. Anzi, sai che faccio? Sai quanto sono stronzo? Io ti mangerò, non mi piaci e mai mi piacerai, ma ti terrò in bocca come una medicina, sentirò l’amaro, ti impasterò bene con la saliva, ti butterò giù un decigrammo alla volta, e non lascerò che mi sfugga neanche una briciola. E così non lo so che farò, che cosa avrò concluso, non lo so, attualmente io so solo che faccio fatica a reggere. Ma reggerò e vaffanculo.
Non c'è la ricetta per me.
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2023 ...guerre ,
..repressioni di massa, mazzette pizzini ..vaccinazioni obbligatori, clima ..scarafaggi e crisi alimentare.
Violenze di ogni genere e minaccia nucleare..
Così si governa il mondo❓
Siamo nel 2023 ...e ancora NON CI ABBIAMO CAPITO UN CAZZO!!

Se guardiamo ciò che succede nella nostra società da alcuni decenni, ci accorgiamo che stiamo subendo una lenta deriva alla quale ci abituiamo.
Un sacco di cose, che ci avrebbero fatto orrore 20, 30 o 40 anni fa, a poco a poco sono diventate banali, edulcorate e oggi ci disturbano solo leggermente o lasciano decisamente indifferenti la gran parte delle persone.
In nome del progresso e della scienza, i peggiori attentati alle libertà individuali, alla dignità della persona, all’integrità della natura, alla bellezza ed alla felicità di vivere, si effettuano lentamente ed inesorabilmente con la complicità costante delle vittime, ignoranti o sprovvedute.
Proprio come la “rana bollita”, cotta a puntino, mentre sguazzava tranquilla nella sua acqua sempre più tiepida.
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14 marzo 1879
L’uomo nella foto, noto a moltissimi di voi, nasceva il 14 marzo del 1879 a Ulma in Germania.
Il periodo che lui visse non fu certo tra i più sereni della storia dell’umanità recente, le due guerre mondiali.
Scrisse e disse cose intelligenti, scientifiche e futuristiche. Alcune sue frasi, o aforismi, si adattano benissimo al tempo che stiamo vivendo, segno che la storia dell’umanità ricca di odio e crudeltà è ancora in atto.
Ecco cosa disse: “ Il mio pacifismo è un sentimento istintivo, un sentimento che mi abita perché l’omicidio è ripugnante. Non nasce da una teoria intellettualistica, ma da un profondo orrore per ogni forma di odio e di crudeltà.
La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire.
Non ho idea di quali armi serviranno per combattere la terza Guerra Mondiale, ma la quarta sarà combattuta coi bastoni e con le pietre.
L'uomo ha scoperto la bomba atomica, però nessun topo al mondo costruirebbe una trappola per topi.
Non c’è a questo mondo grande scoperta o progresso che tenga, fintanto che ci sarà anche un solo bambino triste.
Le moderne democrazie, che mascherano regimi tirannici, utilizzano i mezzi di comunicazione come strumenti di disinformazione e di stravolgimento delle coscienze degli uomini, per alimentare la paura di massa in funzione delle guerre preventive.
Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana, ma riguardo l'universo ho ancora dei dubbi"
Parole dette da un uomo che nel 1905 pubblica i principi della sua teoria della relatività che sconvolge le concezioni della fisica classica. Nel 1921 ricevette il Premio Nobel per la fisica.
Si chiamava Albert Einstein.
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Naturalmente si deve accettare come presupposto l'esistenza di dispute tra psicologi cognitivi, filosofi della mente e neuroscienziati su cosa sia la coscienza. Il fatto che la suddetta domanda venga posta almeno dai tempi dell'antica Grecia e dai primi buddhisti indica che la specie umana presuppone, da un certo punto in poi, la propria coscienza, e che la coscienza ha un certo effetto sul nostro modo di vivere. Per Zapffe, l’effetto è «una violazione nell’unità della vita, un paradosso biologico, un abominio, un’assurdità, un’esagerazione di natura disastrosa. È la vita che oltrepassa il suo scopo, e lo fa a pezzi. Una specie è stata armata troppo pesantemente, da uno spirito onnipotente esterno a essa, ma ugualmente minaccioso per il suo benessere. La sua arma è come un gladio senza l’impugnatura o la lama, una spada a doppio taglio che fende qualsiasi cosa; chi la brandisce però deve afferrare la spada e volgere una lama contro di sé.» [Wessel Zapffe, L'ultimo messia] _______________ «Perché» si chiede Zapffe «l’umanità non si è estinta già da tempo nel corso delle grandi epidemie di follia? Perché soltanto un numero discretamente piccolo di persone muore non riuscendo a sostenere lo sforzo del vivere? La coscienza dà loro un carico più difficile da portare?» Questa la risposta di Zapffe: «La maggior parte delle persone impara a salvare se stessa limitando artificiosamente la capacità della coscienza». _______________ Sappiamo di essere vivi e sappiamo che moriremo. Sappiamo anche che soffriremo durante la vita, prima della sofferenza – lenta o veloce – che ci condurrà alla morte. Questa è la conoscenza di cui «gioiamo» in quanto organismi più intelligenti a nascere dal ventre della natura. Stando così le cose, ci sentiamo imbrogliati se per noi non c’è altro che sopravvivere, riprodursi e morire. Vogliamo che ci sia qualcosa oltre a questo, o almeno pensare che ci sia. È questa la tragedia: la coscienza ci costringe alla posizione paradossale di doverci sforzare a vivere inconsapevolmente ciò che siamo, pezzi di carne destinata a corrodersi su ossa che vanno disgregandosi. ________________ Come accennato sopra, Zapffe arriva a due centrali conclusioni riguardo al «problema biologico» dell'umanità. La prima è che la coscienza era andata troppo oltre per essere un attributo tollerabile dalla nostra specie, e minimizzando questo problema siamo costretti a minimizzare la nostra stessa coscienza. Tra i tanti modi in cui questo può essere fatto, Zapffe sceglie di dedicarsi a quattro principali strategie: «1. ISOLAMENTO. Per non vivere precipitando nella trepidazione, isoliamo i fatti terribili dell’essere vivi, relegandoli in un remoto comparto della nostra mente. [...] 2. ANCORAGGIO. Per stabilizzare le nostre vite nelle acque tempestose del caos, cospiriamo per ancorarle in verità metafisiche e istituzionalizzate – Dio, Moralità, Legge naturale, Patria, Famiglia – che ci inebriano facendoci sentire solenni, autentici e al sicuro nei nostri letti. 3. DISTRAZIONE. [...] 4. SUBLIMAZIONE. […] In così tante parole, questi artisti e pensatori confezionano prodotti che offrono una fuga dalla nostra sofferenza, attraverso una sua simulazione artefatta – una tragedia o una distrazione filosofica, per esempio.» _______________ «Nessuno vuole ascoltare quelle ansie che teniamo chiuse dentro di noi. Soffocate l’urgenza di andare in giro a raccontare a tutti le vostre pene e i vostri brutti sogni. Seppellite i vostri morti ma non lasciate tracce. E assicuratevi di continuare a tirare avanti oppure andremo avanti senza di voi» [Zapffe, UM]. Nella sua dissertazione dottorale del 1910, pubblicata postuma con il titolo La persuasione e la rettorica (1913), il ventitreenne Carlo Michelstaedter verificò le tattiche con cui falsifichiamo l’esistenza umana in modo da barattare quello che siamo, o potremmo essere, con una speciosa visione di noi stessi. _______________ Sono i limiti dell’individuo in quanto essere, non l’atto di superarli, a creare l’identità della persona e a preservare in essa l’illusione di essere speciale, non uno scherzo del destino, prodotto di cieche mutazioni. […] La lezione: «Amiamo i nostri limiti, perché senza di essi a nessuno sarebbe permesso essere qualcuno» [Zapffe, UM]. _______________ La seconda delle due conclusioni centrali di Zapffe – che la nostra specie dovrebbe smettere di riprodursi – ci fa venire subito in mente un insieme di personaggi della storia teologica noti come gnostici. _______________ …Philipp Mainländer […] previde un'esistenza non coitale come il più sicuro patto di redenzione per il peccato di essere congregati in questo mondo. Tuttavia la nostra estinzione non sarebbe la conseguenza di un’innaturale castità, ma un fenomeno naturale che si verificherà quando l’uomo si sarà abbastanza evoluto da comprendere che la nostra esistenza è così vana, così senza speranza e insoddisfacente, che non saremo più soggetti a impulsi generatori. Paradossalmente, tale evoluzione verso un disgusto per la vita, verrebbe agevolata dal diffondersi della felicità tra gli uomini. Questa felicità si raggiungerebbe più velocemente seguendo gli insegnamenti evangelici di Mainländer al fine di ottenere la giustizia e la carità universali. Solo realizzando ogni possibile bene ottenibile in vita – così ragionava Mainländer – potremo comprendere quanto poco siano preferibili alla non-esistenza. _______________ Mainländer era certo che la Volontà di morire, che secondo lui sarebbe sgorgata nell’umanità, fosse stata innestata nel nostro spirito da un dio che ha pianificato la propria morte dal principio. L’esistenza era un orrore per lo stesso Dio. Sfortunatamente, Dio era immune agli effetti del tempo. L’unico modo che aveva per liberarsi di Se stesso era attraverso una forma di suicidio divino. Il piano di Dio per suicidarsi non poteva però funzionare fintanto che Egli fosse esistito come entità unica al di fuori dello spazio‑tempo e della materia. Nel tentativo di annullare la Propria unità in modo da potersi dissolvere nel nulla, Si frantumò – come una sorta di Big Bang – nei pezzi dell’universo soggetti al tempo, ovvero tutti gli oggetti e gli organismi che si sono accumulati in giro lungo miliardi di anni. Nella filosofia di Mainländer, «Dio sapeva di poter passare da uno stato di superrealtà al non‑essere soltanto attraverso lo sviluppo di un mondo reale e multiforme». Attraverso questo stratagemma Egli riuscì a escludere Se stesso dall’esistenza. «Dio è morto» scrive Mainländer «e la Sua morte è stata la vita del mondo.» […] Sotto questa luce, il progresso umano non è altro che il sintomo beffardo del fatto che la nostra caduta verso l’estinzione procede di buon passo, poiché più le cose cambiano in meglio, più progrediscono verso una fine certa. _______________ Il bisogno di queste idee nasce dal fatto che l’esistenza è una condizione priva di qualsiasi qualità redentrice. Se così non fosse, nessuno sentirebbe la necessità di idee come la nonesistenza ecumenica, un aldilà felice o il cammino verso la perfezione in questa vita. _______________ Ogni altra creatura del mondo è insensibile al significato. Ma quelli come noi, sul più alto gradino dell’evoluzione, sono saturi di questa brama innaturale, che ogni esauriente enciclopedia filosofica riporta alla voce VITA, SIGNIFICATO DELLA. _______________ Forse potremmo avere una giusta prospettiva sulla nostra scadenza terrena se smettessimo di pensarci come delle entità che mettono in scena una «vita». Questa parola è carica di sfumature di significato a cui non ha alcun diritto. Invece, dovremmo sostituire «esistenza» a «vita» e lasciar perdere quanto bene o male la mettiamo in scena. Nessuno di noi «ha una vita» nel modo narrativo‑biografico in cui intendiamo queste parole. Quello che abbiamo sono un certo numero di anni di esistenza. Non ci verrebbe mai da affermare che un uomo o una donna sono «nel fiore della loro esistenza». Parlare di «esistenza» invece che di «vita» spoglia quest’ultima parola del suo fascino. _______________ In parole povere, non possiamo vivere se non autoingannandoci, mentendo a noi stessi su noi stessi, e anche sull’invincibilità della nostra condizione in questo mondo. […] Isolamento, ancoraggio, distrazione e sublimazione sono tra i sotterfugi che usiamo per impedirci di lasciar dissolvere tutte le illusioni che ci tengono in piedi e in funzione. Senza questo imbroglio cognitivo saremmo messi a nudo per quello che siamo. _______________ A opporsi agli standard assolutisti del pessimismo, per come li abbiamo qui delineati, troviamo i pessimisti «eroici», o piuttosto gli eroici «pessimisti». […] Lo scrittore spagnolo Miguel de Unamuno, nel suo Del sentimento tragico della vita negli uomini e nei popoli (1913), parla della coscienza come di una malattia generata dal conflitto tra razionale e irrazionale. Il razionale viene identificato con le conclusioni a cui giunge la coscienza, principalmente con il fatto che moriremo tutti. L’irrazionale rappresenta tutto ciò che vi è di irrazionale nell’umanità, compreso il desiderio d’immortalità in uno stato fisico o non fisico. La coesistenza del razionale e dell’irrazionale trasforma l’esperienza umana in un groviglio di contraddizioni davanti alle quali possiamo chinare il capo rassegnati, o sfidarle eroicamente, e futilmente. La preferenza di Unamuno andava alla scelta eroica, posta l’implicita condizione che un individuo possedesse il fegato, fisico e psicologico, per affrontare la lotta. _______________ L’unica differenza è nel fatto che Unamuno, Dienstag e Brashear acconsentono volontariamente a una finzione che la gente comune non riconosce, almeno come regola generale, dato che talvolta anche i comuni mortali sono costretti ad ammettere l’esistenza di questa finzione: è solo che non ci si soffermano abbastanza da farne un punto d’orgoglio filosofico per poi complimentarsi con se stessi. Sodale filosofico di Unamuno, Dienstag e Brashear è il filosofo francese Albert Camus. Nel saggio Il mito di Sisifo (1942), Camus vede nello scopo irraggiungibile del personaggio del titolo una scusa per continuare a vivere anziché smettere. Nel suo commento all’orrenda parabola, insiste: «Dobbiamo immaginare Sisifo felice» mentre spinge il suo masso sulla sommità della montagna da cui rotolerà poi giù, infinitamente, per sua disperazione. _______________ L’obiezione che il pessimista debba uccidersi per essere all’altezza dei suoi ideali è spia, crediamo, di un tale crasso intelletto da non meritare risposta. Risposta che non è tutto questo affanno dare, peraltro. Semplicemente perché qualcuno ha raggiunto la conclusione che la quantità di sofferenza nel mondo è tale che sarebbe meglio non essere mai nati, questo non significa che per forza di logica o per sincerità costui debba uccidersi. Significa solo che ha raggiunto la conclusione che la quantità di sofferenza nel mondo è tale che sarebbe meglio non essere mai nati. […] La morte volontaria può apparire come una linea d’azione totalmente negativa, ma non è così semplice. Ogni negazione è adulterata o furtivamente innescata da uno spirito affermativo. _______________ «Per questa palese sproporzione tra la fatica e la sua ricompensa, la Volontà di vivere ci appare, da questo punto di vista, come una follia, se la consideriamo oggettivamente, oppure, intendendola soggettivamente, come un’illusione, che cattura ogni essere vivente e lo porta a esaurire le sue forze, per conseguire un risultato che non ha alcun valore. Se però esaminiamo le cose con più attenzione, troveremo anche qui che essa è piuttosto un impeto cieco, un impulso completamente infondato e immotivato.» [Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione] _______________ Per gli ottimisti la vita umana non necessita di spiegazioni, non importa quanti dolori si accumulino, perché possono sempre dirsi che le cose andranno meglio. Per i pessimisti non c’è abbastanza felicità – sempre che una cosa simile alla felicità possa essere raggiunta dagli uomini se non attraverso un errato luogo comune – che possa compensarci dei dolori della vita. _______________ In Better Never to Have Been: The Harm of Coming into Existence (2006), Benatar sostiene in modo convincente che, siccome una certa misura di sofferenza è inevitabile per tutti coloro che nascono, mentre l’assenza di felicità non danneggia quelli che potrebbero essere nati ma non lo sono, il piatto della bilancia pende a favore del non mettere al mondo figli. Quindi, chi si riproduce viola ogni sistema morale ed etico concepibile perché è colpevole di infliggere una sofferenza. Per Benatar la quantità di questa sofferenza, che si verifica sempre, non ha importanza. Una volta che la sofferenza è diventata inevitabile con la procreazione di un bel fagottino, è già stato oltrepassato il confine tra un comportamento morale ed etico e un comportamento immorale e non etico. Questa violazione della morale e dell’etica esiste in ogni caso di procreazione, secondo Benatar. _______________ «Le orrende visioni del folle sono tratte dalla materia dei fatti quotidiani.» [William James, Le varie forme dell'esperienza religiosa] _______________ Nella sua conferenza La vita è degna di essere vissuta, James sosteneva che gli esseri umani, a differenza dei cani, possono immaginare un ordine di esistenza superiore al loro, che possa legittimare le peggiori avversità della vita. _______________ Una volta che i meccanismi repressivi sono stati riconosciuti, devono essere cancellati dalla memoria – o nuovi meccanismi devono sostituire i vecchi – affinché si possa continuare a essere protetti dai bozzoli delle nostre vite. […] Anche se talvolta ammettiamo i mezzucci ingannevoli con cui continuiamo a fare quello che facciamo, si tratta solo di un livello ancora superiore di autoinganno e paradosso, e non della dimostrazione del fatto che risiediamo sulla cima di una metarealtà dove siamo davvero reali. […] Troppi di noi devono intorpidire la propria coscienza in modo da essere molto meno coscienti di quanto potrebbero, questa è la tragedia della razza umana, se qualcuno se lo fosse dimenticato. Quelli che non riescono a farlo ne pagheranno le conseguenze. _______________ Infine, molti di coloro che studiano l'autoinganno credono che noi non siamo in grado di autoingannarci, perché non possiamo consapevolmente sapere qualcosa e non saperla allo stesso tempo, poiché questo genererebbe in noi un paradosso. Ma altri studiosi. Hanno cercato di venire a capo di questo supposto paradosso. Un esempio di tale ragionamento è quello di Kent Bach (An Analysis of Self‑Deception, in Philosophy and Phenomenal Research, 1981), che illustra tre metodi per evitare quei pensieri indesiderati che sarebbero comunque accessibili alla coscienza di un individuo: razionalizzazione, evasione e interferenza. Questi sono identici alle strategie di isolamento, ancoraggio e distrazione evidenziate nella vita umana da Zapffe. Ognuno di questi metodi può mantenere il soggetto in uno stato di autoinganno. _______________ [David Livingstone] Smith è infatti uno psicoanalista e questo è chiaro dalla sua affermazione secondo cui la «costante possibilità dell’inganno è una dimensione cruciale di qualsiasi relazione umana, anche nella più centrale di tutti: la relazione con noi stessi». Per mettere in pratica tale inganno l’individuo deve reprimere la coscienza dell’inganno, cosa che non esclude un autoinganno a proposito della coscienza stessa e di cosa ciò svela sulla vita umana. _______________ «Non è l’anima a essere malata, sono le sue difese che cedono o che vengono rigettate essendo – correttamente – percepite come un tradimento del potenziale più elevato dell’ego.» [Zapffe, UM] _______________ In quanto specie ossessionata dalla sopravvivenza, il nostro successo è calcolato in base a quanto abbiamo allungato l’esistenza media, e la riduzione della sofferenza è solo un effetto collaterale di tale scopo. Restare in vita in ogni circostanza è una malattia che ci consuma. ________________ Per certe persone un sistema che comprende un aldilà di beatitudine eterna non è inutile. Potrebbero affermare che questo sistema è necessariamente utile perché gli dà la speranza di cui hanno bisogno per attraversare questa vita. Ma un aldilà di beatitudine eterna non è, e non può essere, necessariamente utile perché qualcuno ha bisogno che sia così. Fa solo parte di un parametro relativo, nulla di più. _______________ Nessun filosofo è mai riuscito a dare una risposta soddisfacente alla domanda: «Perché deve esistere qualcosa piuttosto che il nulla?». A prima vista sembrerebbe una domanda legittima, ma in fondo qualcuno di noi trova inspiegabile, addirittura illogico, che si arrivi a porla. Il quesito è un chiaro sintomo del nostro disagio nei riguardi del Qualcosa. Al contrario, nel Nulla non c’è niente di preoccupante, perché non siamo in grado di prenderlo in esame. […] Il perturbante genera una sensazione di erroneità. Traspira una violazione che allarma l’autorità interiore riguardo a come una certa cosa dovrebbe accadere, esistere o comportarsi. _______________ Un giorno le scarpe sul fondo dell’armadio attraggono la tua attenzione come mai prima. In qualche maniera si sono separate dal tuo mondo, sono apparizioni a cui non sai dare un posto, brandelli di materia senza qualità e significato stabili. Ti senti confuso mentre stai lì a fissarle. Che cosa sono? Qual è la loro natura? Perché deve esistere qualcosa piuttosto che il nulla? Ma prima che la coscienza possa fare altre domande viene azzerata in modo che le calzature tornino a essere, nella loro esistenza, familiari e non più straordinarie. […] La genialità dell’esempio di Jentsch [Ernest Jenstsch, Sulla psicologia del perturbante] sta nel fatto che egli spiega il perturbante non come qualità oggettiva di un qualcosa situato nel mondo esterno, ma come esperienza soggettiva di chi percepisce il mondo esterno. Così va nella vita reale: il perturbante è un effetto della mente, e basta. Eppure, in questo caso, almeno per l’osservatore medio, il perturbante ha un’origine efficace nello stimolo oggettivo, in qualcosa che sembra sprigionare un potere proprio. _______________ Trasformando traversie naturali in soprannaturali troviamo la forza di affermarne e simultaneamente negarne l’orrore, di assaporarle e al contempo patirle. […] Tramite l’orrore soprannaturale possiamo tirare, senza collassare, i fili del nostro stesso destino di marionette naturali, le cui labbra sono dipinte con il nostro stesso sangue. _______________ Coloro che con più veemenza si oppongono alla declinazione pessimista del determinismo sono i seguaci dell’indeterminismo libertario. Sostengono che noi disponiamo del libero arbitrio assoluto e possiamo divenire individui capaci di scegliere di voler fare una certa scelta e non un’altra. Dichiarano che siamo ciò che Michelstaedter negava potessimo diventare: individui incontestabilmente padroni di se stessi, e non il prodotto di un’indeterminabile serie di eventi e condizioni che risultano nella possibilità, per noi, di fare una sola scelta piuttosto che un certo numero di scelte, perché fattori al di là del nostro controllo hanno già badato a chi siamo come individui e a quali scelte, infine, faremo. Nella storia delle elucubrazioni filosofiche le tesi a favore del determinismo sono tradizionalmente le più contestate. Per quale ragione, a parte il fatto che esso trasforma l'immagine umana in immagine di marionetta? Il motivo è che le tesi a favore del determinismo vanno oltre la sacrosanta fede nella responsabilità morale. […] Nella vita di tutti i giorni il determinista duro e puro non è mai esistito, perché nessuno può affrancarsi dalla sensazione di disporre del libero arbitrio. Il massimo che possiamo fare è dedurre che subiamo determinazioni basandoci sull’osservazione della normale legge di causalità tra le cose del mondo e applicandola a noi stessi. Ma non possiamo percepire noi stessi in quanto determinati (un filosofo ha detto, e forse altri hanno pensato, tra sé: «Si può davvero credere al determinismo senza diventare pazzi?»). Il determinismo nel pensiero e nelle azioni non si può distinguere con l’esperienza, ma può essere soltanto dedotto sul piano astratto. Sarebbe impossibile per chiunque dire: «Io non sono altro che una marionetta umana». L’unica eccezione sarebbe un individuo che, vittima di una malattia psicologica, creda di essere controllato da una forza estranea. Se questo individuo dicesse: «Io non sono altro che una marionetta umana», egli verrebbe spedito seduta stante al più vicino ospedale psichiatrico, presumibilmente colto dall’orrore di aver percepito di essere una marionetta umana controllata da una forza estranea che opera al suo esterno o al suo interno o in entrambi. […] Odiare le nostre illusioni o tenercele strette non fa che legarci più saldamente a esse. Chi tiene al proprio mondo non può contrastarle senza vederlo poi crollare. _______________ In mancanza della sensazione di essere o possedere un io, sarebbe inutile discutere se siamo o non siamo liberi, determinati o una via di mezzo. Perché abbiamo un senso dell’io è stato spiegato in vari modi (per una delle spiegazioni possibili si veda il prossimo paragrafo). Possederlo è ciò che mette sul tavolo il dibattito «libero arbitrio contro determinismo». Anzi, è ciò che mette tutto sul tavolo, perlomeno sul tavolo dell’esistenza umana, perché nient’altro che esista ha la sensazione di essere un io che può fare o non fare qualsiasi cosa a piacimento. _______________ Non ci limitiamo a vivere le esperienze: le possediamo. Questo significa essere una persona. […] Ma la logica non può esorcizzare l’«Io», l’ego che ti guarda dallo specchio, così come la logica non può rimuovere l’illusione del libero arbitrio. _______________ Forse l’unico motivo di interesse nei confronti dell’io è questo: qualunque cosa ci faccia pensare di essere ciò che pensiamo di essere dipende dal fatto che possediamo una coscienza, la quale ci dà la sensazione di essere qualcuno, nello specifico un qualcuno umano, qualunque cosa esso sia, perché una definizione di «umano» condivisa e universale non l’abbiamo. Ma conveniamo che, anche se solo in pratica, siamo tutti io reali perché siamo coscienti di noi stessi. E una volta varcate tutte le soglie che qualificano in qualche modo il nostro io – siano essi il nome, la nazionalità, il genere o il numero di scarpe – eccoci sulla soglia della coscienza, genitrice di tutti gli orrori. E la nostra esistenza è tutta qui. _______________ Nel saggio The Shadow of a Puppet Dance: Metzinger, Ligotti and the Illusion of Selfhood (in Collapse, vol. IV, maggio 2008), James Trafford riassume così il paradosso di Metzinger: «L’oggetto “uomo” consiste di densissimi strati di simulazione, profilattico necessario alla quale, se si vuole tenere a bada il terrore concomitante con la distruzione delle nostre intuizioni a proposito di noi stessi e della nostra condizione nel mondo, è il realismo ingenuo: “La soggettività conscia è il caso in cui il singolo organismo ha imparato a soggiogare se stesso”». La frase che chiude Being No One di Metzinger si può considerare un’estensione del paradosso di Zapffe, per effetto del quale reprimiamo dalla coscienza tutto ciò che nella vita è sconvolgente e orribile. Per Metzinger questa repressione prende la forma del già citato realismo ingenuo, che maschera quella che in assoluto è la più sconvolgente e orribile rivelazione per un essere umano: che non siamo ciò che pensiamo di essere. A mitigare la vertigine di fronte a una così deplorevole illuminazione, Metzinger conferma che è «praticamente impossibile» per noi giungere alla consapevolezza della nostra irrealtà, per via delle manette della percezione umana che abbiamo dentro e che tengono la mente imprigionata nel sogno. _______________ «Un modo – tra un’infinità di modi – di guardare all’evoluzione biologica sul nostro pianeta è considerarla il processo che ha creato un oceano in continua espansione di sofferenza e confusione dove prima non c’era. Poiché a crescere senza sosta non è soltanto il numero dei soggetti consci individuali ma anche la dimensionalità dei loro spazi‑stati fenomenici, questo oceano aumenta anche in profondità. A mio giudizio è una robusta tesi contro la creazione dell’intelligenza artificiale: non dovremmo aumentare questo terribile caos senza prima aver capito a fondo che cosa sta davvero succedendo qui.» [Metzinger, BNO] _______________ Appare improbabile che uno possa mai vedere se stesso com’è nei termini di Metzinger. Vedrebbe l’orrore, allora, e saprebbe di saperlo: gli sarebbe impossibile credere che non è nient’altro che una marionetta umana. E adesso? Risposta: adesso diventi pazzo. […] Adesso sappiamo di essere paradossi perturbanti. Sappiamo che la natura ha sconfinato nel soprannaturale fabbricando una creatura che non può e non dovrebbe esistere secondo le leggi naturali, e invece esiste. Lo sprezzo di Metzinger per il volgare materialismo sembra basarsi sulla convinzione ottimista che la futura tecnologia della coscienza ci porterà in luoghi dove la «forma biologica della coscienza, nel grado di evoluzione a cui è giunta sul nostro pianeta» non ci ha condotti. […] Metzinger deve avere fede nel fatto che quando il resto dell’umanità avrà capito come funziona, giocheremo – in tutta sincerità e senza fingere – in un mondo nel quale, di giorno in giorno, in ogni modo, le cose andranno sempre meglio. Ma ci vorrà del tempo, e parecchio. _______________ Il significato che la nostra vita sembra avere è opera di un sistema emotivo di costituzione relativamente robusta. Mentre la coscienza ci dà l’impressione di essere persone, la nostra psicofisiologia è responsabile del renderci personalità convinte che al gioco dell’esistenza valga la pena di partecipare. Possiamo avere ricordi unici e distinti da quelli di chiunque altro, ma senza le emozioni giuste a rivitalizzarli essi hanno lo stesso valore dei file digitali nella memoria di un computer, frammenti sconnessi di dati che non si uniscono mai in un individuo confezionato su misura per il quale le cose sembrano avere un senso. Puoi concettualizzare che la tua vita abbia un significato, ma se quel significato non lo percepisci allora la concettualizzazione non ha senso e tu non sei nessuno. […] Una brutta depressione invece fa evaporare le emozioni e ti riduce a guscio di persona abbandonata in un panorama brullo. Le emozioni sono il sostrato dell’illusione di essere un qualcuno tra altri qualcuno, oltre che della sostanza che vediamo nel mondo, o crediamo di vedere. _______________ Senza emozioni cariche di significato a tenere il cervello sulla strada maestra, perderesti l’equilibrio e cadresti in un abisso di lucidità. E per un essere cosciente la lucidità è un cocktail senza ingredienti, un intruglio cristallino che lascia i postumi di una sbronza di realtà. Nella perfetta coscienza non c’è che il perfetto nulla, conclusione perfettamente dolorosa per chi cerca di dare un senso alla sua vita. _______________ Questa è la grande lezione che impara il depresso: niente al mondo è intrinsecamente irresistibile. Qualunque cosa ci sia davvero «là» non ha il potere di proiettarsi come esperienza affettiva. È tutta una faccenda vacua dal prestigio unicamente chimico. Niente è buono o cattivo, desiderabile o indesiderabile o chissà cos’altro, tranne ciò che è reso tale dai laboratori interiori che producono le emozioni di cui ci nutriamo. E nutrirsi di emozioni è vivere in maniera arbitraria, inaccurata: attribuire un significato a ciò che non ne è provvisto. E però, che altro modo c’è di vivere? Senza lo sferragliante e inarrestabile macchinario delle emozioni tutto andrebbe in stallo. Non ci sarebbe nulla da fare, nessun luogo dove andare, niente da essere, nessuno da conoscere. Le alternative sono chiare: vivere nel falso, da pedine degli affetti, o vivere nei fatti come depressi o individui a cui è noto ciò che è noto al depresso. _______________ Il motivo: a intimidirci è la depressione, non la follia; a impaurirci è la demoralizzazione, non la follia; a mettere in pericolo la nostra cultura della speranza è la disillusione della mente, non la sua alienazione. _______________ Nonostante sia Schopenhauer che Nietzsche parlino a un pubblico di soli atei, sul piano delle pubbliche relazioni l’errore del primo è il non concedere all’umano alcun prestigio speciale nel mondo delle cose organiche o inorganiche, o di non agganciare alcun significato alla nostra esistenza. Al contrario di Schopenhauer, Nietzsche non soltanto prende le letture religiose della vita tanto sul serio da poterle criticarle in lungo e in largo, ma ha la caparbietà di rimpiazzarle con valori che tendono a un fine e a un senso ultimo, che persino i non credenti bramano come cani: un progetto in cui l’individuo possa perdere (o trovare) se stesso. La chiave della popolarità di Nietzsche tra gli amoralisti atei è il misticismo materialista, un trucchetto mentale che tramuta l’insensatezza del mondo in qualcosa di significativo, e rimodella sotto i nostri occhi la sorte a guisa di libertà. ________________ «In certi casi una persona può sviluppare un’ossessione per la gioia distruttiva, rimuovere del tutto l’apparato artificiale della propria vita e cominciare a farne piazza pulita con orrore ed entusiasmo. L’orrore deriva dallo smarrimento di tutti i valori che gli davano riparo; l’entusiasmo dalla sua ormai spietata identificazione e armonia con il segreto più profondo della nostra natura – l’instabilità biologica, la costante predisposizione a una fine tragica». [Zapffe, UM] In quanto negazione della vita, il pessimismo ha perso un grande portabandiera quando Nietzsche ha cominciato a gioire di ciò che dovrebbe far rabbrividire, una posizione psichica che di per sé è la più paradossale di tutte. __________ Come chi crede nel libero arbitrio libertario, i transumanisti credono che noi possiamo fare noi stessi. Ma è impossibile. Noi siamo stati fatti, lo testimonia l’evoluzione. Non ci siamo tirati fuori da soli dalla poltiglia primordiale. E tutto ciò che abbiamo fatto da che siamo una specie è una conseguenza dell’essere stati fatti. Non importa cosa facciamo: sarà ciò per cui siamo stati fatti e nient’altro. […] Ma non è che l’essere postumani sia un’idea del tardo XX secolo. Nella sua ricerca del «bene» o, come minimo, del meglio, essa ricapitola le nostre più antiche fantasie. […] Per definizione, i transumanisti sono insoddisfatti da ciò che siamo in quanto specie. Naturalmente credono che essere vivi vada bene – anzi, lo credono a tal punto che non sopportano l’idea di non essere vivi e hanno architettato strategie per restare vivi per sempre. Il loro problema è che vorrebbero rendere l’essere vivi qualcosa vada enormemente meglio di ora. E il potere del pensiero positivo non basta a portarli dove vogliono andare. Sono oltre tutto questo, o vorrebbero esserlo. Sono anche oltre la fede in Dio o in un aldilà di eterna beatitudine. […] I transumanisti hanno rimpiazzato l’alternativa alla disperazione del credente con la propria. Partono dal presupposto che trarremo un beneficio enorme dall’autotrasformazione in postumani, ma l’approdo del loro programma rimane sconosciuto. Esso potrebbe inaugurare un nuovo e dinamico capitolo nella storia della nostra razza, così come annunciare la nostra fine. Comunque sia, il balzo che profetizzano sarà anticipato da congegni di ogni genere e in qualche modo coinvolgerà l’intelligenza artificiale, la nanotecnologia, l’ingegneria genetica e altre declinazioni dell’alta tecnologia. Saranno, questi, gli strumenti della Nuova Genesi, il Logos del domani. […] Il transumanesimo incapsula un errore diffuso e longevo tra i portabandiera della scienza: in un mondo che va verso l’ignoto, non ci è dato neanche di iniziare i lavori della nostra Torre di Babele; mettiamoci pure tutto l’impeto e la fretta che possiamo, ma non cambierà niente. Andare verso l’ignoto non è una malattia curabile; se il problema fosse l’andarci alla velocità più alta possibile, forse potremmo risolverlo, anche se probabilmente no. E che differenza farebbe rallentare la progressione verso l’ignoto? […] Ma una possibilità che i transumanisti non hanno preso in considerazione è che l’essere ideale posto al termine dell’evoluzione possa dedurre che il migliore dei mondi possibili è inutile, o persino maligno, e che la miglior strada da imboccare sia l’autoestinzione del nostro futuro io. […] Questo mondo è pieno di gente che non smette di rivolgersi alla scienza chiedendole che la salvi da qualcosa. Altrettanta gente, forse anche di più, preferisce chiedere la salvezza ai vecchi e rispettabili sistemi di credenze, con le loro derivazioni settarie. [...] Crede in qualsiasi cosa comprovi la sua importanza come persone, tribù, comunità, e in particolar modo come specie che resisterà in questo mondo e forse in un aldilà che sarà pure incerto nella sua realtà e poco chiaro nella sua struttura, ma che sazia nella gente la brama di valori non di questa Terra: il deprimente, insignificante posto che la sua coscienza è costretta ogni giorno a schivare. _______________ La prima Nobile Verità [del buddismo] è l’equiparazione tra la vita del comune mortale e il dukkha (che significa pressappoco «sofferenza» ma a conti fatti indica qualunque condizione di pena vi possa venire in mente). La seconda è che a questo mondo bramare qualunque cosa – la salute fisica o mentale, la longevità, la felicità, persino l’eliminazione della brama stessa – è l’origine di ogni sofferenza. Queste due Nobili Verità stanno in cima a una religione che, quanto a disposizioni da seguire per la salvezza, non ha paragoni. Tali disposizioni cominciano con la terza Nobile Verità: che esiste un modo per cessare di soffrire; e continuano con la quarta Nobile Verità: che per liberarsi dai ceppi della sofferenza occorre seguire il Nobile Ottuplice Sentiero, una lista di cose da fare e cose da non fare molto simile al Decalogo dell’Antico Testamento, ma non altrettanto accomodante né espressa in parole altrettanto semplici. […] Eppure buddhismo e pessimismo non si possono districare l’uno dall’altro. Si somigliano troppo per non notarne le affinità. I buddhisti sostengono di non essere pessimisti ma realisti. Lo stesso dicono i pessimisti. _______________ Tutte le religioni devono avere eccezioni, altrimenti imploderebbero sotto il peso delle loro stesse dottrine. _______________ Ma qui sta il vero inghippo: se vuoi diventare illuminato non lo diventerai mai, perché nel buddhismo volere una cosa è esattamente ciò che ti impedisce di ottenere la cosa che vuoi. Detta meno tortuosamente, se vuoi porre fine alla tua sofferenza, non lo porrai mai. È il «paradosso del volere» o «paradosso del desiderio» e i buddhisti sono già pronti a fornire spiegazioni razionali e irrazionali del perché questo paradosso non è un paradosso. […] Non c’è niente di più futile che cercare consciamente, in qualcosa, la salvezza. Ma la coscienza fa sembrare che non sia così. La coscienza fa sembrare che 1) c’è qualcosa da fare; 2) c’è un posto dove andare; 3) c’è qualcosa che si può essere; 4) c’è qualcosa da sapere. […] Il «paradosso del volere» buddhista si può assimilare a un correlativo del paradosso di Zapffe (il paradosso degli esseri consci che cercano di rinunciare alla coscienza delle possibilità palesemente tristi della loro vita). La differenza tra il paradosso del buddhismo e il paradosso di Zapffe è che quest’ultimo non è disponibile a farsi risolvere, spiegare o negare, né razionalmente né irrazionalmente. ________________ Al mercato della salvezza, almeno a prima vista, l’illuminazione sembra l’offerta più conveniente di sempre. Piuttosto che dibatterti in un mondo che non vale il vuoto su cui è scritto, puoi impegnarti a ottenere una visione finale di cosa è e cosa non è. In termini generali, l’illuminazione è la correzione della coscienza e la costituzione di uno stato d’essere in cui l’illusione torbida viene spazzata via e soltanto un diamante di comprensione risplende. È il deserto supremo… se soltanto lo si potesse avere, se avesse una realtà al di fuori dello scalpiccio di locuzioni critiche che vi fanno riferimento. _______________ Come aveva scritto Zapffe molto prima che U.G. [Krishnamurti] cominciasse a fustigare ogni credenza del mondo, qualsiasi attività mentale andata oltre i programmi basilari del nostro animalismo non ha portato che alla sofferenza. («Nell’animale, la sofferenza è confinata in se stessa; nell’uomo apre squarci sulla paura del mondo e sulla disperazione per la vita».) _______________ Ma allora perché continuare a vivere? Naturalmente nessuno lo domandò in maniera così diretta a U.G. Ma la sua risposta giunse: non c’è alcun «tu» che vive, soltanto un corpo la cui unica occupazione è essere vivo e obbedire alla biologia. Ogni volta che qualcuno gli chiedeva come si diventava come lui, U.G. rispondeva che per loro era impossibile anche soltanto desiderare di diventare come lui, perché a spingerli verso l’obiettivo era l’interesse personale, e fintanto che avessero creduto in un io interessato a cancellare se stesso, quell’io si sarebbe mantenuto vivo e non avrebbe voluto la morte dell’ego. _______________ Come cerca di spiegare Segal parlando di sé: «L’esperienza del vivere senza un’identità personale, senza esperire un qualcuno, un “Io” o un “me”, è straordinariamente difficile da descrivere, ma assolutamente originale. È davvero un’altra cosa rispetto a una giornata storta, all’avere l’influenza o al sentirsi turbati, arrabbiati o in estasi. Quando l’io personale sparisce, dentro non c’è più nessuno che si possa localizzare e identificare con te. Il corpo è un semplice contorno, privo di tutto ciò di cui fino a poco prima si era sentito così pieno. La mente, il corpo e le emozioni non si riferivano più a nessuno: non c’era nessuno che pensava, nessuno che provasse sensazioni, nessuno che percepiva. La mente, il corpo e le emozioni continuavano a funzionare indenni, però; all’apparenza non avevano bisogno di un “Io” per continuare come sempre.» [Suzanne Segal, Collision with the Infinite: A life beyond the personal self (1996)] _______________ Gli ego‑morti tornerebbero al punto di partenza della specie: sopravvivere, riprodursi, morire. La consuetudine della natura si ristabilirebbe in tutta la sua insensatezza marionettesca. Ma sebbene si possa considerare il modello perfetto di esistenza umana, di liberazione da noi stessi, l’ego‑morte resta un compromesso con l’essere, una concessione all’errore madornale della creazione. _______________ «Lo scopo della vita umana è stato rivelato. La vastità ha creato questi circuiti umani per avere un’esperienza di se stessa fuori da se stessa che in loro assenza non avrebbe potuto avere» [Segal, CWTI]. Vivendo nella vastità come lei, nulla era inutile per Segal, perché tutto serviva allo scopo della vastità. Ed era una bella sensazione, superata la paura iniziale di essere uno strumento della vastità anziché una persona. _______________ «Trovai che per gli uomini della mia cerchia vi sono quattro vie d’uscita dalla terribile situazione in cui tutti ci troviamo. La prima via è quella dell’ignoranza. Essa consiste in ciò, nel non sapere, nel non comprendere che la vita è male e nonsenso. [,…] La seconda via è quella dell’epicureismo. Essa consiste in ciò: pur conoscendo la situazione disperata della vita, nel profittare per il momento dei beni che ci sono, nel non guardare né il drago né i topi, ma nel leccare il miele nel miglior modo possibile, specialmente se sul cespuglio ce n’è molto. […] La terza via è quella della forza e dell’energia. Essa consiste in ciò, nel distruggere la vita, dopo aver compreso che la vita è un male e un nonsenso. […] La quarta via è quella della debolezza. Essa consiste in ciò, nel continuare a trascinare la vita, pur comprendendone il male e l’insensatezza, e sapendo in anticipo che non ne può risultare nulla. » [Lev Tolstoj, La confessione (1882)] _______________ Il piano qui è cambiare la cornice nella speranza di creare l’illusione che la propria vita abbia un qualche valore. È un piano ateo, non dichiaratamente ma lo è. I teisti non hanno bisogno di cornici per affibbiare alla loro vita un significato, perché credono di poter identificare una cornice assoluta nel Potere Superiore anche se, in fondo, non ci credono. […] La fede in un assoluto o, in alternativa, la fede in una cornice di significato non teistica rischia di zoppicare senza preavviso. Crollata la cornice, ci tocca affidarci alle nostre risorse e cercarne un’altra. Nessuna di queste cornici garantisce protezione costante al nostro benessere mentale né assistenza mentre cerchiamo di dare un senso alla vita. Passare di cornice in cornice può darci un po’ di sollievo e di senso, almeno per qualche tempo, ma rimane sempre quell’ultima cornice, da cui non ci libereremo mai perché è un luogo di prigionia che attende di riempirsi di dolore e infine, in qualche forma, di morte. _______________ Nella sua opera più nota, Il rifiuto della morte (1973) Ernest Becker scrive: «A mio parere, chi ipotizza che conoscendo in pieno la propria condizione l’uomo impazzirebbe ha ragione, letteralmente ragione». Zapffe concludeva che riusciamo a non perdere la testa «limitando artificialmente il contenuto della coscienza». Becker trae la sua identica conclusione così: «[L’uomo] si va letteralmente a cacciare in uno stato di cieca indifferenza grazie a giochi sociali, trucchi psicologici, preoccupazioni personali così lontane dalla realtà della sua situazione che sono forme di pazzia, ma pur sempre pazzia». _______________ Nelle sue ricerche e studi clinici, la TMT [Terror Management Theory] indica la radice del comportamento umano nella tanatofobia, la paura di morire che determina l’intero panorama della vita. Per placare l’ansia di morte abbiamo quindi inventato un mondo che, con l’inganno, ci convince di poter continuare a esistere – anche solo simbolicamente – anche dopo la distruzione del corpo. […] All’immortalità personale siamo disposti a preferire la sopravvivenza di persone e istituzioni che consideriamo nostre estensioni: le nostre famiglie, i nostri eroi, le nostre religioni, le nostre nazioni. […] Neanche a dirlo, però, i nostri teorici della gestione del terrore indicano una scappatoia ottimista quando dicono che «le migliori visioni del mondo sono quelle che apprezzano la tolleranza del diverso, quelle flessibili e aperte alle modifiche, che aprono percorsi verso l’autostima in cui la prospettiva di nuocere al prossimo è ridotta al minimo». (Handbook of Experimental Existential Psychology, a cura di Jeff Greenberg et al.) _______________ Come specie condividiamo la preferenza per la differenza piuttosto che per l’unità. (Vive la différence! Vive la guerre!) Nessuno ci ha progettati per essere così: è soltanto il modo in cui siamo approdati, tentoni, all’incubo dell’essere. La vita fa preda della vita, come dicono Schopenhauer e la storia naturale. Il corpo di un organismo è il pasto di un altro. _______________ Uno dei grandi svantaggi della coscienza – della coscienza in quanto genitrice di tutti gli orrori – è senza dubbio che essa esacerba le sofferenze necessarie e ne crea di superflue, come la paura della morte. Sprovvisti di quel che serve a togliersi la vita (domandatelo a Gloria Beatty), coloro che soffrono pene intollerabili imparano a nascondere i propri patimenti, necessari e superflui, perché il mondo non batte il ritmo del dolore ma della felicità, poco importa se sincera o indossata come una maschera a coprire il più cupo abbattimento. ______________ «Verrà il giorno» ci diciamo «in cui disferemo questo mondo dove siamo sballottati tra lunghi tormenti e brevi gioie, e vivremo nel piacere tutti i giorni.» La fede nella possibilità di piaceri durevoli, elevati, è una ciancia ingannevole ma adattiva. Sembra che la natura non ci abbia fatti per stare troppo bene troppo a lungo, cosa che non gioverebbe alla sopravvivenza della specie, ma soltanto per stare bene quel tanto che basta a non farci lamentare che non stiamo bene tutto il tempo. […] Forse il messaggio ti sarà chiaro, allora: se non stai abbastanza bene abbastanza a lungo, meglio che tu finga di stare bene e che addirittura pensi come se stessi bene. […] Hai due scelte: comincia a pensare come Dio e la società vogliono che pensi, o sii abbandonato da tutti. _______________ Nell’Ultimo messia Zapffe ipotizza che con il passare delle generazioni diverranno più licenziose le maniere in cui l’umanità nasconde a se stessa la disillusione: più stupido e fittizio il suo isolamento dalle realtà dell’esistenza; più rimbecillenti e rozze le distrazioni da ciò che sbalordisce e terrorizza; più maldestro e scriteriato l’ancoraggio all’irrealtà; più grette, autoironiche e distanti dalla vita le sue sublimazioni nell’arte. Questi sviluppi non renderanno il nostro essere più paradossale di così, ma potrebbero rendere le manifestazioni della nostra natura paradossale meno efficaci e più aberranti. _______________ Che porre fine a tutta la sofferenza umana e animale piuttosto che farla continuare sarebbe una tragedia ancora più grande è un’opinione spacciata per fatto. Ammesso che «con questa fine qualcosa andrebbe perso» rimane da stabilire se quel «qualcosa» sarebbe meglio perderlo o conservarlo. _______________ Nel saggio Happiness Is for the Pigs: Philosophy versus Psychotherapy (in Journal of Existentialism, 1967), Herman Tønnessen cita la domanda in un’altra forma: «Che senso ha?». Poi spiega il contesto e il significato della domanda: «[…] Pertanto, più umana di qualsiasi altra brama umana è la ricerca di una visione totale della funzione – o disfunzione – dell’Uomo nell’Universo, il posto e l’importanza che egli potrebbe avere nel disegno cosmico più ampio possibile. In altre parole è il tentativo di rispondere o perlomeno di articolare qualsiasi domanda sia implicita nel gemito morente della disperazione ontologica: che senso ha? Ciò rischia di rivelarsi biologicamente dannoso o addirittura fatale per l’Uomo. L’onestà intellettuale e le grandi pretese spirituali di ordine e significato rischiano di condurre l’Uomo alla più profonda antipatia per la vita e rendere necessario, come sceglie di definirlo un esistenzialista: «un no a questo scatenato, banale, grottesco e disgustoso carnevale nel cimitero del mondo». La frase che chiude questo estratto da Tønnessen viene da Sul tragico di Zapffe. _______________ «A rendere tragica la razza umana non è il suo essere vittima della natura, ma l’esserne conscia. Far parte del regno animale alle condizioni poste da questa Terra va benissimo, ma appena scopri la tua schiavitù, il dolore, la rabbia, la fatica comincia la tragedia. Non possiamo tornare alla natura perché non possiamo cambiare il nostro posto in essa. Il nostro rifugio è nella stupidità… non c’è moralità, né sapere né speranza; c’è soltanto la coscienza di noi stessi a mandarci avanti in un mondo che… è sempre e soltanto apparenza vana e fluttuante.» [Joseph Conrad, lettera a R.B. Cunninghame Graham (1898)] _______________ Nessun’altra forma di vita sa di essere viva, né sa di dover morire. È una maledizione tutta nostra. Senza questo malocchio non ci saremmo mai allontanati così tanto dalla natura: a tal punto e tanto a lungo che diventa un sollievo ammettere ciò che abbiamo provato con tutti noi stessi a ammettere, cioè che da quel momento siamo stati stranieri nel mondo naturale.
Thomas Ligotti, La cospirazione contro la razza umana
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Cina, la battaglia per fermare la strage di cani al solstizio di Yulin
22/06/2021
Gli animalisti intercettano camion diretti al macello per il Festival inventato nel 2010. La risposta del governo di Pechino: «Una preferenza alimentare degli individui»
Con il solstizio d’estate è tornato il Festival di Yulin. È assurdo usare un’espressione festosa per una strage: quella dei cani che vengono catturati, chiusi in gabbia e squartati per finire in pentola nella città cinese. Dopo anni di critiche sembrava che la sagra che a noi fa orrore dovesse essere proibita. Ma non è così. Nell’aprile del 2020 il ministero dell’Agricoltura di Pechino aveva annunciato un «riordino delle risorse alimentari». Il testo elencava il bestiame, dai maiali al pollame, che può essere allevato per finire nella catena alimentare; i cani (e i gatti) non erano inclusi. In realtà non erano mai stati inseriti nel «catalogo ministeriale degli animali da carne».
188 milioni di animali domesticiMa per la prima volta le autorità della Repubblica popolare cinese si erano interessate ai cani, osservando che «con il progresso della civiltà e le preoccupazioni della gente per la protezione della natura, i cani non sono più considerati soltanto animali domestici, ma compagni dell’uomo, come nel resto del mondo». Compagni dell’uomo (le statistiche dicono che nelle case dei cinesi ci sono circa 188 milioni di cani e gatti e che i padroni spendono 26 miliardi di euro all’anno per loro). Esclusi dall’allevamento a fini alimentari. Ma ancora soggetti a razzie per rifornire il mercato di Yulin e quelli di altre città.
Disidratati e terrorizzatiIeri gli attivisti di Humane Society International hanno fermato sull’autostrada che porta a Yulin, nella regione meridionale del Guangxi, un camion carico di cani. Ce n’erano 68, in condizioni sanitarie pietose, pigiati in gabbie, sfiniti dal viaggio, disidratati e terrorizzati. «Il loro comportamento ci ha fatto capire che si tratta di animali abituati al contatto con l’uomo, ci hanno messo la zampa tra le mani, dovevano essere stati rubati in giro per la Cina dai fornitori del Festival», ha riferito Liang Jia, di Humane Society International.
La risposta del governoPerché non è stato dato l’ordine di porre fine al Festival? La domanda è stata fatta a Pechino alla signora Hua Chunying, una dei portavoce del ministero degli Esteri cinese. Risposta: «Anzitutto non è una questione diplomatica. Comunque, il governo centrale ha appreso dalle autorità di Yulin che la gente del posto ha l’abitudine di mangiare i frutti del litchi e la carne di cane nei giorni del solstizio d’estate. Una preferenza alimentare degli individui. Non c’è alcuna celebrazione ufficiale, il governo locale non ha mai sostenuto né organizzato un cosiddetto Festival della carne di cane».
La strage del solstizio d’estate non è una antica tradizione cinese. I commercianti di Yulin hanno inventato la «festa» nel 2010, per richiamare turisti. Il consumo di carne di cane è ancora considerato «salutare» in gran parte dell’Asia: 30 milioni di animali vengono uccisi e mangiati ogni anno, dalla Corea alla Cambogia; i due terzi in Cina.
Fonte: corriere della sera
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INTERLUDIO “Fig., letter. Intermezzo, breve serie di fatti che costituisce una parentesi, un’interruzione, un diversivo nel normale andamento delle cose” (Treccani) Un progetto di Cesura Con fotografie di Arianna Arcara, Francesco Bellina, Stefania Bosso, Teresa Dalle Carbonare, Maria Elisa Ferraris, Chiara Fossati, Giacomo Liverani, Alex Majoli, Claudio Majorana, Gabriele Micalizzi, Valentina Neri, Andy Rocchelli, Alessandro Sala, Giorgio Salimeni, Luca Santese, Marco P. Valli, Marco Zanella e Alex Zoboli
Per la sua undicesima edizione il SI FEST OFF cambia eccezionalmente formula e, per riflettere sull’emergenza sanitaria che ha colpito il nostro Paese, presenta un importante progetto firmato dal collettivo Cesura. Da sempre attenta ai temi della contemporaneità, la sezione OFF del SI FEST si è interrogata sulle rappresentazioni fotografiche di questi mesi di pandemia: un mare magnum di immagini, spesso fin troppo dirette e didascaliche. Come si può descrivere l’invisibile attraverso la fotografia? In risposta a questa domanda, il SI FEST OFF dedica questa edizione a un racconto visivo, corale e autoriale che ha cercato di narrare da un punto di vista fortemente evocativo l’impatto della pandemia sulla nostra società. Tomas Maggioli, Associazione Cultura e Immagine SI FEST OFF a cura di CESURA.
Abbiamo fondato CESURA nel 2008 in un piccolo villaggio tra i colli piacentini. Cesura è un gruppo di fotografi uniti dall’intento di creare una forza indipendente e autonoma nel panorama della fotografia internazionale. Lavoriamo fianco a fianco e condividendo competenze produciamo progetti fotografici autoriali. Il nostro studio ha al suo interno un laboratorio di stampa e una casa editrice che forniscono ai nostri fotografi strumenti e risorse per rafforzare la loro crescita artistica. CESURA PUBLISH è la nostra casa editrice indipendente. Fondata nel 2010 come branca del collettivo omonimo, CESURA PUBLISH ha iniziato a vendere le prime pubblicazioni per promuovere le attività dei fotografi membri. A dieci anni dalla fondazione, CESURA PUBLISH mantiene i suoi valori d’origine pubblicando una selezione di fotolibri di qualità, come risultato del variegato insieme di progetti portati avanti dai fotografi membri. IL PROGETTO con SI FEST OFF C’è stato un intermezzo nella nostra vita. Una pausa del reale per entrare in un reale più profondo, come un sospiro tra un atto e l’altro nel corso della storia. Quello che è accaduto ha forzato un processo inevitabile e necessario: la sospensione della realtà per come la conoscevamo ci ha costretto a riassestare la nostra percezione del tempo, libera dalla costante sete di progresso, produttività, funzionalità e velocità. Disarmati di tutto, ci siamo ritrovati umani primordiali in una realtà distorta. Abbiamo sperimentato nuovamente la percezione di un tempo umano, biologico, autentico. Abbiamo affrontato il vuoto, l’attesa. Sfiorato il nulla, con orrore. Sperimentato la nuova quotidianità: la paura della morte e la consapevolezza della nostra precarietà. Per la prima volta ognuno di noi si è trovato al centro della storia. Il tentativo di Cesura è quello di riempire il frame nero tra la realtà prima e dopo la pandemia. Stimolare una riflessione che, dal centro della storia, parta dalle immagini che l’hanno raccontata in diretta, si stacchi dalla didascalia, filtri il rumore di fondo e riassuma il significato di quell’interludio senza suono che l’uomo ha recentemente vissuto, per restituire una nuova sensibilità condivisa. di questo periodo eccezionale – più delle immagini, più delle parole – resteranno forse le sensazioni, perfettamente umane, di estrema fragiliità, solitudine e fallibilità collettive. ORARI DI APERTURA 18 settembre ore 18/24 19 settembre ore 9/24 20 settembre ore 9/21 26 settembre ore 10/19 27 settembre ore 10/19 3 ottobre ore 10/19 4 ottobre ore 10/19 INGRESSO GRATUITO SENZA PRENOTAZIONE
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la rana bollita
“Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.”
Tratto dal libro “Media e Potere” di Noam Chomsky
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“Se guardiamo ciò che succede nella nostra società da alcuni decenni, ci accorgiamo che stiamo subendo una lenta deriva alla quale ci abituiamo. Un sacco di cose, che ci avrebbero fatto orrore 20, 30 o 40 anni fa, a poco a poco sono diventate banali, edulcorate e – oggi – ci disturbano solo leggermente o lasciano decisamente indifferenti la gran parte delle persone. In nome del progresso e della scienza, i peggiori attentati alle libertà individuali, alla dignità della persona, all’integrità della natura, alla bellezza ed alla felicità di vivere, si effettuano lentamente ed inesorabilmente con la complicità costante delle vittime, ignoranti o sprovvedute.” N. Chomsky
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Il 6 dicembre 1961, a soli 36 anni, moriva Frantz Fanon, per una leucemia allora incurabile. Poco prima era stato pubblicato il suo libro fondamentale, esplosivo, letterariamente e contenutisticamente un capolavoro. I dannati della terra è il prodotto della grande stagione della liberazione e dell’emancipazione, del moto storico della decolonizzazione, e al contempo rappresentò un punto di svolta, carico di una enorme spinta propulsiva.
Il colonialismo e la decolonizzazione fenomeni giganteschi della storia globale. Oggi, nel pervicace eurocentrismo e occidentalocentrismo, nel solco della visione onnipresente della “superiorità bianca”, rimossi, cancellati. Parte di quel generale processo di rincretinimento globale a opera della necessaria “destoricizzazione”, della cancellazione della dimensione storica, della coscienza storica. Nella cultura e nella subcultura diffuse. A vantaggio dei dominanti.
Un libro, un autore, una persona (psichiatra-filosofo-rivoluzionario-negro-martinicano-algerino) che ci costrinsero e ci costringono a prendere posizione, a non essere indifferenti. Ci costrinsero e ci costringono a cambiare prospettiva. Non più “noi” e poi “loro”. Non più la storia e il pianeta visti dall’Europa, dagli Usa, dall’Occidente, dai dominanti globali. Bensì, la storia e il pianeta visti, come diceva e dice la Teologia della Liberazione, dal “rovescio della storia”, dagli oppressi, dai colonizzati, dai subalterni, dalle vittime del colonialismo, dell’imperialismo, del sistema capitalistico su scala mondiale.
Si trattava e si tratta di un salutare, radicale riorientamento, di una necessaria “rivoluzione copernicana”. Da “noi e poi loro” a “loro e poi noi”. Si trattava allora, e si tratta oggi, di accettare di buon grado che il proscenio della storia vedesse protagonisti altri continenti, altri popoli, altre culture, altri esseri umani. Frantz Fanon e I dannati della terra hanno espresso al massimo grado questo riorientamento. Hanno dato voce a questi protagonisti.
Hanno anche espresso impietosamente tutte le contraddizioni che quel moto storico conteneva. Soprattutto nell’altra metà del compito storico della decolonizzazione. Vale a dire la costruzione della nuova storia, della costruzione del nuovo stato-nazione, della coscienza nazionale, del nuovo assetto, democratico, popolare, partecipativo. Che tendenzialmente operasse una cancellazione delle sperequazioni e delle ingiustizie sociali, che prefigurasse un nuovo assetto sociale e politico. Che evitasse quello che, con la sua solita efficacia, Marx chiamava “il ripresentarsi della vecchia merda”, in una società sedicente socialista, ma in realtà riproponente vecchie e nuove classi, vecchi e nuovi privilegi, vecchie e nuove gerarchie.
Fanon partiva dalla rivoluzione algerina, dall’esperienza dei primi stati postcoloniali, soprattutto in Africa, e già intravedeva la degenerazione, “il ripresentarsi della vecchia merda”. A causa di un processo endogeno, all’interno dei nuovi stato-nazione, e di un processo esogeno, a opera del neocolonialismo e dell’imperialismo, sempre attivi, letali, micidiali. Ricordiamo, tra le innumerevoli porcate, endogene ed esogene, soprattutto esogene (Belgio, Union Miniere, Cia ecc.), Fanon ancora in vita, l’assassinio di Patrice Lumumba, legittimo capo di stato del Congo postcoloniale.
II.
Nel libro la conclusione di Fanon è netta. È un accorato appello ai compagni, ai fratelli, ai dannati, affinché si ricerchino vie nuove, un pensiero nuovo, e si crei “un uomo nuovo”. Liberazione, indipendenza, ma anche una “rivoluzione del Soggetto”. Si parlò di appello apocalittico, palingenetico, estremo. Di lirismo, di profetismo, di romanticismo rivoluzionario. Ma quale forza proveniva da quelle parole, da quella prosa. Lasciare l’Europa al suo destino, “nella folle corsa” di un preteso progresso, di un consumismo sfrenato, di un autocompiacimento, di un narcisismo letali, rovinosi. E lasciare quell’Europa concentrata e distillata, il vero e proprio mostro rappresentato dagli Stati Uniti d’America.
Molti libri hanno un valore in sé. E I dannati della terra ne ha alla grande. Ma poi molti diventano libri fuori di sé, libri “per noi”, assumono significati a misura della ricezione che hanno, in contesti storici, spaziali, antropologici diversi. Così per le generazioni successive, quest’opera, nei centri sviluppati e nelle periferie “sottosviluppate”, ha rappresentato qualcosa addirittura di sovrastorico. Soprattutto per le generazioni, come la mia, come la nostra, di giovani impegnati, tra la fine degli anni sessanta e gli anni settanta, nei movimenti dei cristiani di base, nei movimenti antisistemici, studenteschi e operai, nei movimenti di emancipazione in generale.
Uno dei libri del ‘68. Il manifesto del terzomondismo, dell’internazionalismo, della nuova cultura che quella grande stagione ha suscitato. Assieme naturalmente ad altri libri e a personaggi storici che qui è superfluo citare.
Fanon ha dato altri contributi enormi nella sua breve vita. L’alienazione, anche nella dimensione antropologica e filosofica della nozione, il disagio psichico, fino alla vera e propria malattia mentale, del colonizzato, la questione fondamentale della violenza, il ruolo decisivo della cultura, non come semplice sovrastruttura ecc.
Un “essere eccezionale” disse di lui Simone de Beauvoir, la quale con Jean Paul Sartre, autore della famosa prefazione al libro, lo incontrò in varie occasioni.
III.
Il contesto globale del pianeta è oggi completamente cambiato. E tuttavia i “dannati” esistono sempre, il neocolonialismo-imperialismo imperversa in Africa, Asia e America Latina. Il neocolonialismo-imperialismo imperversa nella stessa Europa, in Usa, in Occidente.
I migranti ci riportano in casa quel “loro” di cui si diceva sopra. Razzismo, xenofobia, fascismo, culture e subculture della sopraffazione, chiusure identitarie, le belle (per i dominanti) guerre tra poveri ecc. rappresentano il corredo nefasto di questo contesto.
IV.
A mo’ di conclusione. Apparentemente una digressione. Fanon si adoperò, quale rappresentante del movimento di liberazione nazionale algerino, per un’alleanza continentale africana. Una sorta di “panafricanismo”, senza chiusura identitaria tuttavia. Cancellare il “bianco”, ma cancellare anche al contempo il “negro”. Per un nuovo universalismo, per un vero internazionalismo delle nazioni, dei popoli, delle persone (la dimensione individuale mai cancellabile).
Noi italiani abbiamo una macchia, un orrore ancora in atto, a proposito di Africa e di colonialismo. Il maresciallo Rodolfo Graziani, militare-fascista-razzista, criminale di guerra riconosciuto da una commissione delle Nazioni Unite, viceré dell’Etiopia conquistata dall’Italia fascista e nella quale compì massacri e crimini di ogni genere (gas, lanciafiamme, impiccagioni ecc.) non fu mai condannato per questi crimini. L’Italia negò la sua estradizione all’Etiopia, finita la seconda guerra mondiale. Fu solo processato per “collaborazionismo” con i nazisti e scontò solo quattro mesi di carcere. Repubblichino e fucilatore di partigiani. Morì nel 1955, servito e riverito nella sua confortevole casa.
A lui è stato dedicato un sacrario ad Affile, suo luogo di nascita. Il sindaco e due assessori condannati per apologia del fascismo. Ma il sacrario è ancora lì. Monumento all’infamia e all’orrore e monumento della orribile espressione “italiani brava gente”.
Giorgio Riolo da La Bottega del Barbieri

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Cosa pensa delle calamità naturali? Al fatto che distruggono vite umane e alla gente si ritrova senza casa, senza un luogo in cui andare. Come bisogna comportarsi di fronte tale orrore?
Ho già risposto a una domanda simile.Purtroppo il discorso è troppo complesso per poter formulare un'ipotesi accettabile, Anon.Certamente vi è il problema della sovrappopolazione che ha degradato ambienti naturali senza considerare che i cicli della natura vanno rispettati, vi è l'abusivismo edilizio, un'industrializzazione niente affatto lungimirante e tutta un'altra serie di situazioni che, in nome del progresso, hanno peggiorato la vivibilità delle nostre città, campagne, mare e montagne.Quindi non darei colpa alla natura, ma al comportamento dell'uomo.Per quanto riguarda l'effetto serra, sicuramente abbiamo contribuito ad accelerarlo, ma non credo che ne siamo stati i promotori.Ho seguito con interesse quello che ha spiegato Carlo Rubbia in questo filmato. https://www.youtube.com/watch?v=4_T1QNRtToc&feature=share
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Il principio della rana bollita è un principio metaforico raccontato dal filosofo, e anarchico statunitense Noam Chomsky, per descrivere una pessima capacità dell’essere umano (zombie) moderno: ovvero la capacità di adattarsi a situazioni spiacevoli e deleterie senza reagire, se non quando ormai è troppo tardi. Viviamo, infatti, in una società nella quale il popolo è letteralmente schiacciato dall’economia, dalla politica, dai media, e accetta passivamente il degrado, le vessazioni, la scomparsa dei valori e dell’etica che derivano da questo continuo subire, in silenzio, senza mai reagire. Questo principio può essere, tuttavia, calato in realtà diverse tra loro e ad esempio può essere usato per descrivere il comportamento delle persone inerti, immobili, remissive, rinunciatarie, noncuranti, che si deresponsabilizzano di fronte alle scelte quotidiane di vita. Ma vediamo cosa racconta questo principio della rana bollita:
“Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.” Tratto dal libro “Media e Potere” di Noam Chomsky
In verità il fenomeno della rana bollita risale ad una ricerca condotta dal “John Hopkins University” nel lontano 1882. Durante un esperimento, alcuni ricercatori americani notarono che lanciando una rana in una pentola di acqua bollente, questa inevitabilmente saltava fuori per trarsi in salvo. Al contrario, mettendo la rana in una pentola di acqua fredda e riscaldando la pentola lentamente ma in modo costante, la rana finiva inevitabilmente bollita.
Questo principio viene applicato quotidianamente nella società moderna attraverso delle subdole tecniche di manipolazione di massa e delle coscienze: tecniche travestite da “benessere”, apparentemente a favore dell’umanità, come il vivere meglio, la salute, il prolungamento della vita, sempre più prodotti, più servizi, progresso, tecnologia, nuove morali, ma dove ci sta portando tutto questo? In verità il principio della rana bollita ci dimostra che quando un cambiamento si effettua in maniera sufficientemente lenta, da diventare pertanto invisibile, sfugge alla coscienza e non suscita, per la maggior parte dell’umanità, nessuna reazione, nessuna opposizione, nessuna rivolta. Questo accade perché il permanente ingozzamento di informazioni da parte dei media satura i cervelli che non riescono più a discernere, quindi a pensare con la loro testa, e diventano alienati di un sistema che li governa a proprio piacimento.
Ci persone che credono ancora che questa crisi economica, politica e sociale, sia momentanea e non strutturale, ci sono persone che sperano ancora che le soluzioni arrivino dall’alto, convinti che nel frattempo possono tranquillamente lasciarsi avvolgere dal comfort della vita quotidiana; un po’ come la rana apprezzava il momento in cui l’acqua si riscaldava pian piano. La verità è che queste persone sono già mezze bollite, sono i dormienti, i zombi di questa società. La loro fine sarà identica a quella della rana bollita. Bisogna saltare! E badate bene, non si tratta di fuggire, ma di affrontare la situazione ed esaminare le possibili soluzioni, prima che sia troppo tardi.
“Se guardiamo ciò che succede nella nostra società da alcuni decenni, ci accorgiamo che stiamo subendo una lenta deriva alla quale ci abituiamo. Un sacco di cose, che ci avrebbero fatto orrore 20, 30 o 40 anni fa, a poco a poco sono diventate banali, edulcorate e – oggi – ci disturbano solo leggermente o lasciano decisamente indifferenti la gran parte delle persone. In nome del progresso e della scienza, i peggiori attentati alle libertà individuali, alla dignità della persona, all’integrità della natura, alla bellezza ed alla felicità di vivere, si effettuano lentamente ed inesorabilmente con la complicità costante delle vittime, ignoranti o sprovvedute.” Noam Chomsky
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Title original : After We Collided Runtime : 0 min Status : Released Release Date : 02 September 2020 Tagline : Genres : Romance | Dramma | Production Companies : CalMaple Films Voltage Pictures Production Countries: United States of America |
After 2 Film completo in italiano - Paramount Pictures : Fondata dallungherese Adolf Zukor attraverso la riorganizzazione della Famous Players Film Company: Fu fondato nel 1919 da United Artists : Mary Pickford (1892–1979), Douglas Fairbanks (1883–1939), Charles Chaplin e DW Griffith (1875–1948) per commercializzare i loro film prodotti in modo indipendente After 2 film completo online ita Guarda After 2 streaming completo ita altadefinizione, After 2 2020 Streaming sub ita
Dal 20 ° secolo, il film può essere visto come uno dei mass media più importanti After 2 Film streaming Cineblog , sia sotto forma di cinema che di televisione Allo stesso tempo, è diventato uno degli elementi più importanti della cultura moderna In questo modo, i personaggi del film immaginario , i comportamenti tipici del film, i cliché e gli stereotipi , ma anche lesplorazione di nuovi spazi pittorici di percezione ed esperienza sono diventati parte integrante della cultura popolare nellera della distribuzione di massa dei film e hanno uninfluenza decisiva su di essi Sin dallinizio, il mezzo è stato filmato con la cultura delle massechi si è dato a lui, sia al cinema che individualmente in salotto, fin dallinizio Lindustria cinematografica : descritta dai critici come " industria culturale " : ha reagito presto a questa compatibilità di massa del film e ha saputo usarlo commercialmente con produzioni "leggere" come "beni di massa" Tuttavia, cera sempre spazio per esperimenti cinematografici e sviluppi artistici al di là del classico "cinema narrativo" nel cinema di Hollywood , anche se il film sperimentale era possibile solo al di fuori degli affari (culturali) stabiliti After 2 streaming ita / After We Collided / 2020 / film completo ITA / italiano / gratis / altadefinizione / Scaricare / Guarda / Vedere / sub ita / netflix / il genio dello / disney / cineblog / Film da vedere / cb01 / cineblog01 / youtube / film stasera / film azione / senza limiti / Film per tutti / tanti film / trailer / programmazione / roma / cinema / trama / uci cinema / milano / diretta
After 2 (After We Collided) Film completo italiano, Le singole immagini che formano il film sono chiamate ( After 2 streaming ita ) "fotogrammi" Durante la proiezione delle tradizionali pellicole di celluloide, un otturatore rotante muove la pellicola per posizionare ogni fotogramma nella posizione giusta per essere proiettato Durante il processo, fra un frammento e l altro vengono creati degli intervalli scuri, di cui però lo spettatore non nota la loro presenza per via del cosiddetto effetto della persistenza della visione: per un breve periodo di tempo l immagine permane a livello della retina La percezione del movimento è dovuta ad un effetto psicologico definito come "fenomeno Phi"
After 2 streaming ita cineblog, Il primo film proiettato pubblicamente "After 2 Film completo italiano " in Italia risale al 20 settembre 1905: fu La presa di Roma di Filoteo Alberini Lungo 250 metri, contro i 40-60 tradizionali, costò ben 500 lire Oggi si conservano solamente 75 metri di pellicola che corrispondono a quattro minuti di proiezione
File: Charlie Chaplin, il matrimonio L ascesa del cinema europeo fu interrotta dallo scoppio della prima guerra mondiale , mentre l industria cinematografica negli Stati Uniti fiorì con l ascesa di Hollywood , scaricare After 2 Film completo sub ita caratterizzata soprattutto dall opera innovativa di DW Griffith in The Birth of a Nation (1915) e Intolleranza (1916) Tuttavia, negli anni 1920, cineasti europei come Eisenstein , FW Murnau e Fritz Lang , per molti aspetti ispirati al progresso meteorologico in tempo di guerra del film attraverso Griffith, insieme ai contributi di Charles Chaplin , Buster Keaton e altri, raggiunsero rapidamente il cinema americano e continuarono a far avanzare ulteriormente il mezzo After 2 2020 Film streaming ita,
La critica cinematografica è l analisi e la valutazione dei film In generale, After 2 Film streaming Altadefinizione queste opere possono essere divise in due categorie: critica accademica da studiosi di cinema e critica cinematografica giornalistica che appare regolarmente su giornali e altri media I critici cinematografici che lavorano per giornali, riviste e media televisivi riesaminano principalmente le nuove uscite Normalmente vedono un dato film una sola volta e hanno solo un giorno o due per formulare le loro opinioni Nonostante ciò, i critici hanno un impatto importante sulla risposta del pubblico e sulla partecipazione ai film, in particolare quelli di determinati generi Messa in commercio di azione , orrore , e commedietende a non essere fortemente influenzato dal giudizio complessivo di un critico su un film Il riassunto della trama e la descrizione di un film e la valutazione del lavoro del regista e degli sceneggiatori che costituiscono la maggior parte delle recensioni dei film possono ancora avere un impatto importante sul fatto che le persone decidano di vedere un film Per film di prestigio come la maggior parte dei film drammatici e artistici , l influenza delle recensioni è importante Scarse recensioni dei principali critici di importanti quotidiani e riviste spesso ridurranno l interesse e la partecipazione del pubblico After 2 2020 streaming ita CB01,
After 2 2020 Film davedere I metodi digitali sono stati utilizzati anche per ripristinare i film After 2 Film streaming CB01 anche se il loro ciclo di obsolescenza continua li rende (a partire dal 2006) una cattiva scelta per la conservazione a lungo termine La conservazione del film in stock di film in decomposizione è motivo di preoccupazione sia per gli storici del cinema che per gli archivisti e per le aziende interessate a conservare i loro prodotti esistenti al fine di renderli disponibili per le generazioni future (e quindi aumentare le entrate) La conservazione è generalmente una preoccupazione maggiore per i nitrati e i film a colori a striscia singola, a causa dei loro alti tassi di decadimento i film in bianco e nero su basi di sicurezza e i film a colori conservati sulle stampe imbibizione Technicolor tendono a tenere il passo molto meglio, presupponendo una corretta manipolazione e conservazione
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E malgrado ciò che ogni giornata mi urla nelle orecchie, malgrado ciò che io stesso e innumerevoli miei compagni di destino abbiamo subìto in termini di umiliazioni e sventure, non riesco a rinnegare del tutto la fede della mia giovinezza- che un giorno, nonostante tutto, il genere umano riprenderà la sua corsa verso il progresso. Perfino dal baratro di orrore in cui siamo precipitati, nel quale brancoliamo tentoni, semiciechi, con l'animo sconvolto e straziato, perfino da quaggiù continuo ad alzare lo sguardo verso le costellazioni della mia infanzia, e mi consolo con la fede innata che questa ricaduta, un giorno, sembrerà soltanto un intervallo nel ritmo eterno dell'eterno progredire.
Stefan Zweig, Il mondo di ieri (1942).
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#stupitoperleranechenonvedonoilfuoco Il Principio della rana Bollita Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce -semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone. Questa esperienza mostra che, quando un cambiamento si effettua in maniera sufficientemente lenta, sfugge alla coscienza e non suscita, per la maggior parte del tempo, nessuna reazione, nessuna opposizione, nessuna rivolta. Se guardiamo ciò che succede nella nostra società da alcuni decenni, ci accorgiamo che stiamo subendo una lenta deriva alla quale ci abituiamo. Un sacco di cose, che ci avrebbero fatto orrore 20, 30 o 40 anni fa, a poco a poco sono diventate banali, edulcorate e, oggi, ci disturbano solo leggermente o lasciano decisamente indifferenti la gran parte delle persone. In nome del progresso e della scienza, i peggiori attentati alle libertà individuali, alla dignità della persona, all’integrità della natura, alla bellezza ed alla felicità di vivere, si effettuano lentamente ed inesorabilmente con la complicità costante delle vittime, ignoranti o sprovvedute. I foschi presagi annunciati per il futuro, anziché suscitare delle reazioni e delle misure preventive, non fanno altro che preparare psicologicamente il popolo ad accettare le condizioni di vita decadenti, perfino drammatiche. Il permanente ingozzamento di informazioni da parte dei media satura i cervelli che non riescono più a discernere, a pensare con la loro testa. Allora se non siete come la rana, già mezzi bolliti, date il colpo di zampa salutare, prima che sia troppo tardi! Noam Chomsky
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