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Arya (echi di guerra)
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alicephoenix · 1 month ago
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One-shot 4
Arrivammo nelle sue stanze: una casa di legno costruita sopra uno degli alberi secolari, altissimi. Per raggiungerla, due delle loro guardie mi avevano afferrato e portato in volo fin lassù. Mi buttarono a terra senza troppi complimenti, e, poiché ero legato, caddi con la faccia sul pavimento, strisciando per diversi centimetri. Il risultato fu un bel graffio, lungo e dolorante, che bruciava come fuoco.
Alzai lo sguardo. Lei, altissima e imponente, mi fissava con occhi freddi e indecifrabili. Non riuscivo a immaginare cosa stesse pensando. Si accovacciò davanti a me e, con voce pungente, iniziò a parlare:
«Allora, dimmi... cosa ci fa il figlio dell’Imperatore in territorio nemico? Devi essere davvero uno stupido.»
Deglutii, cercando di trovare le parole. «I-io...»
Ma non feci in tempo a dire altro. In un attimo mi ritrovai schiacciato al suolo, un peso opprimente sul petto. La sua zampa era poggiata su di me, gli artigli mi graffiavano la pelle, abbastanza da farmi male, ma non abbastanza da ferirmi seriamente. Faticavo a respirare.
«Tu sei pazzo,» ringhiò. «Pensi davvero che il mio popolo sia così stupido da non notare la presenza del figlio dell’Imperatore sul nostro territorio?»
Provai a dire qualcosa, ma lei premette con più forza. Il respiro si fece ancora più difficile. Ogni movimento era dolore.
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alicephoenix · 1 month ago
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One shot 3
Mi teneva per mano mentre uscivamo dalla villa di Corinna. Era sera, il cielo limpido, e i lampioni metallici ci guidavano verso un luogo sicuro. Ancora nessuno si era accorto della mia assenza. Sembrava un sogno, uno di quelli in cui hai la sensazione di controllare ogni gesto.
Guardai la sua mano: grande, un po’ rozza. La mia, in confronto, pareva piccola e innocente, spaesata di fronte a quel mondo nuovo che mi si stava spalancando davanti. Non ero abituata a correre, eppure ci riuscivo. Le mie zampe sembravano fatte apposta per muoversi veloci.
Con il cuore che batteva all’impazzata, svoltammo in un vicolo scuro. Un nodo alla gola mi fece deglutire male. Ero stata stupida. Mi ero davvero illusa che potesse salvarmi? Che ironia, la vita: dalla padella alla brace.
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alicephoenix · 1 month ago
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One-shot 2
Robin aveva sempre nutrito un debole per i Sehva. Quelle creature alate lo affascinavano sin da ragazzo: erano snelle, e padroneggiavano il volo con una grazia quasi divina. Ma nulla lo aveva preparato all’incontro con la loro regina.
Quando la vide per la prima volta, fu come essere colpito da un fulmine. Era maestosa, sì. Il suo portamento fiero, lo sguardo tagliente e sicuro… e quel corpo, ricoperto di piume arancio e ocra, sembrava modellato per incantare. Le sue piume si aprivano dolcemente sul petto, lasciando intravedere le curve morbide dei seni, accarezzati dalla luce con una delicatezza quasi provocatoria.
Robin sentì il cuore accelerare. I loro sguardi si incrociarono: gli occhi della regina, di un arancio profondo e penetrante, lo scrutavano come se leggessero ogni suo desiderio. Lui rimase immobile, come ipnotizzato, mentre un brivido gli attraversava il corpo.
Poi, la sua voce risuonò limpida nella sala:
«Portatelo nelle mie stanze.»
Quelle parole gli esplosero nel petto come una promessa. E lui capì che nulla sarebbe più stato come prima.
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alicephoenix · 1 month ago
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One-shot
Makena era tristemente annoiata mentre osservava la finta e sfarzosa festa di Carnevale che si svolgeva proprio sotto il suo naso. Rinchiusa in un’enorme gabbia dorata, si crogiolava nel suo bicchiere di vino, l’unica ricompensa ottenuta dopo tutto ciò che aveva passato.
Nel suo elegante abito blu, troppo ampio per un corpo esile come il suo, si chiedeva quando tutta quella noia sarebbe finalmente finita.
All’improvviso, un tonfo la fece sobbalzare. Notò che tutti i nobili si erano voltati, dandole le spalle. Non riusciva a vedere cosa fosse accaduto. Si alzò leggermente sulle punte, ma nulla: la visuale le era ancora preclusa.
Fu allora che qualcosa attirò la sua attenzione. Dalle vie laterali riservate alla servitù, tre loschi individui si stavano rapidamente dileguando.
Makena accennò un sorrisetto: una piccola rivincita per tutto il male subito. Ma con sua grande sorpresa, uno di loro si voltò. Indossava un cappuccio, e uno straccio gli copriva metà del volto. Due occhi neri, profondi e senza fondo, la fissarono.
Makena deglutì, spaventata, e fece un passo indietro. L’uomo si avvicinò, poggiò una mano sulla gabbia, e si udì un rumore metallico: chiavistelli che scattavano. La porta si aprì.
Makena era scioccata. Cosa significava? Cosa voleva fare quell’uomo? Troppe domande le affollavano la mente.
Il ragazzo fece un passo indietro, pronto ad andarsene, ma lei, d’impulso, lo fermò. I loro occhi si incontrarono, spalancati dallo stupore, sia il suo che quello di lui.
Una sola frase uscì dalle labbra di Makena:
«Ti prego, portami con te.»
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alicephoenix · 2 months ago
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The Queen of Sehva
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alicephoenix · 2 months ago
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New design of Makena
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alicephoenix · 6 months ago
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Possibile che questa carcassa chiamata corpo, mi faccia soffrire così tanto?
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alicephoenix · 6 months ago
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Sono un disastro e nessuno può aggiustarmi.
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alicephoenix · 6 months ago
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Mappa del mondo Arya echi di guerra, lo trovate su wattpad
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alicephoenix · 6 months ago
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Capitolo 1 di Arya echi di guerra
Con il sole che sorgeva all’orizzonte, la città di Liberia si preparava ad una nuova giornata. 
Anche quella mattina, il sole splendeva forte e le gocce di rugiada si asciugavano in fretta da sopra le panchine, mentre la brezza proveniente dal mare allietava seppur di poco la calura che cominciava a pervadere le strade. 
In quella mattina così calda e dal cielo terso, i dirigibili militari erano già pronti a librarsi in aria, per nulla impensieriti da un vento così leggero, per trasportare le loro merci e i nuovi soldati che avrebbero presto preso servizio nell’avamposto militare della città. Le loro gondole d’acciaio splendevano alla luce del sole come degli astri nascenti, ancora troppo pigri per far posto al giorno, e si libravano in aria con una leggerezza quasi impensabile per delle macchine così mastodontiche. Insieme a loro, anche le palazzine della città, ornate da nervature e tubi di rame, risplendevano sotto la luce dell’alba, mentre le strade iniziavano ad essere percorse dalle carrozze trainate a vapore e le fabbriche a emettere i familiari fumi grigi che alimentavano d’energia la metropoli.
Dalla piccola finestra della sua stanza, che non permetteva di vedere altro se non il solito monotono paesaggio di macchine e palazzi, Makena osservava la città con una punta di insofferenza e malcelato disprezzo. Relegata in quelle quattro mura che ormai le erano così familiari, invidiava quei paesani che potevano girare liberamente per le strade e andare ovunque volessero,  mentre lei era costretta a vivere la maggior della sua vita in quella piccola stanza e per giunta in catene. 
Quella camera, seppur minuscola, era tuttavia abbastanza accogliente per vivere dignitosamente. Makena aveva a disposizione un letto comodo e pulito in un angolo, mentre una toeletta con un enorme specchio e una spazzola dalle setole lucide campeggiavano dall’altro lato della stanza. Sulla parete adiacente, un piccolo armadio di quercia faceva da scrigno a tutto ciò che possedeva, dai vestiti di tutti i giorni ai monili donati dalla matrona alla sua piccola bestiola. Era comunque molto più che altri schiavi sehva come lei potevano dire di avere.
Mentre Makena contemplava ancora le strade della città e del porto che man mano si andavano affollando, si accorse che era quasi arrivata l’ora di scendere dalla matrona e iniziare a prendere servizio. Riscossa dai suoi pensieri, Makena si allontanò dalla finestrella a sbarre sopra il suo letto e si diresse verso la toeletta, dove si lavò il viso con l’acqua contenuta in un bacile, si spazzolò le penne arruffate e osservò il suo riflesso mentre indossava uno di quei ridicoli abiti pomposi che la sua padrona la costringeva da sempre a portare. “Odio questi vestiti” disse tra sé e sé con quelle maniche a sbuffo e la gonna ampia e lunga il suo corpo sembrava sempre diventare di due taglie più grande e sebbene il fisico di Makena fosse piuttosto esile, l’effetto non era per nulla smorzato. L’unico pregio di quel vestito era quello di nascondere alla vista degli altri la parte di sé che più la faceva sentire diversa e di proteggerla dagli sguardi sprezzanti della servitù e della sua signora. In fondo, nessuno voleva vedere un corpo che tanto assomigliava a quello umano con delle gambe da uccello rinsecchite e gli artigli sporgenti.
Nella piccola stanza sembrava impossibile prepararsi. Il lungo vestito non esitava a sollevarsi a ogni suo movimento e il viso stanco, nonostante l’avesse lavato con acqua gelida, non si decideva a sembrare più fresco. “OH ANDIAMO,  ANDIAMO CHE NERVI!” disse con tono innervosito
Makena si guardò per un attimo allo specchio ed esaminò il suo aspetto. I suoi capelli azzurri ricordavano al tatto la morbidezza delle piume d’uccello e, in contrasto con la sua carnagione scura, facevano risaltare ancora di più il colore brillante del piumaggio che aveva sul petto e che il vestito lasciava un po’ intravedere. I suoi occhi stanchi, incorniciati da folte ciglia scure, sembravano risucchiare qualsiasi cosa su cui poggiava lo sguardo e la pelle di tonalità caramello rifletteva una salute radiosa. Il naso ben proporzionato, con una linea delicata, donava un’armonia sovrumana al suo viso, mentre le guance leggermente arrotondate le conferivano un aspetto, nonostante tutto, gioviale e le labbra, piene e di colore rosato, la facevano sembrare una bellezza esotica rispetto agli umani che la circondavano.
Sebbene fosse così diversa da loro, gli umani non avevano mai potuto negare la sua bellezza eccentrica ed era stato probabilmente per questo che le era stata risparmiata la vita. 
Dopo che ebbe finito di osservarsi, Makena si affrettò ad uscire, perché la matrona non era molto tollerante con i ritardi e soprattutto non in quei giorni così indaffarati. 
Aperta la porta della sua stanza, la giovane sehva scese la lunga rampa di scale di marmo della villa e si diresse verso la serra, il luogo preferito della sua padrona in quelle giornate così afose. Dato che la sua stanza si trovava al terzo piano della villa, in un’ala diametralmente opposta alla struttura, Makena dovette accelerare il passo per raggiungere la matrona in tempo per il loro incontro mattutino e nel mentre stare ben attenta a non incespicare nelle catene che portava alle caviglie. 
“forza, forza”, pensò, il rumore delle catene risuonava nel corridoio attirando l’attenzione della servitù umana. quasi accecata dai riflessi delle decorazioni in oro e metalli preziosi che ricoprivano ogni superficie della casa e che a quell’ora erano inondati dalla luce solare. Makena attraversò i lunghi corridoi della magione focalizzando la sua attenzione sui pavimenti in legno lucido e le pareti ricoperte da vistose carte da parati floreali. Conosceva ormai a memoria ogni suppellettile dorato, ogni dipinto antico e ogni arazzo per tutte le volte che vi aveva posato lo sguardo nei suoi pellegrinaggi per quegli androni, uno dei pochi ‘vantaggi’ che aveva acquisito all’interno della villa dato che l’animaletto della matrona non aveva l’obbligo di percorrere i ristretti corridoi nascosti della servitù. 
Pensò nuovamente a come veniva trattata all’interno della villa. Era fortunata rispetto ad altri sehva , e questo lo sapeva. Non doveva svolgere lavori di fatica, ma essere un animaletto domestico non era comunque molto meglio…
Era stata presa fin da piccolissima dalla foresta in cui viveva. Ricordava ancora quando all’età di quattro anni era stata legata e addormentata, per poi risvegliarsi senza più le sue piccole e bellissime ali.
Aveva pianto nella sua stanzetta per tre giorni senza nessuno che potesse consolarla. Si era riguardata più volte allo specchio i moncherini arrossati là dove prima si trovavano le sue ali; la sensazione di leggerezza sulla schiena che non la faceva camminare bene. 
Le ci era voluto un po’ per ritrovare l’equilibrio e riuscire a stare dritta sulle zampe e intanto le sue ali erano state prese, impagliate e incorniciate nella stanza delle collezioni di matrona Corinna, la sua nuova padrona.
Da quel momento, quella donna aveva completamente monopolizzato la sua vita. Solitamente passava le sue giornate a seguire Corinna nelle sue faccende, allietandola di tanto in tanto con il suo canto, svolgendo compiti non diversi da quelli di un qualsiasi uccellino in gabbia. Osservandola con il tempo aveva cercato di imparare il più possibile della cultura umana, e così aveva appreso a leggere e scrivere, anche se non a livelli elevati, e a fare semplici conti matematici. Tuttavia stava ben attenta a tenere nascoste queste sue capacità, perché a nessuno piace uno schiavo troppo erudito.
Ovviamente anche stare semplicemente vicino alla sua padrona comportava delle regole. Tra queste: il doverla seguire sempre a un metro di distanza, il non parlare senza essere interpellata e, la più importante, coprire sempre le sue zampe. La matrona non sopportava la vista di quegli ‘spiedini rinsecchiti’ come li chiamava lei, e quindi non importava quale stagione fosse o quanto caldo potesse fare, lei doveva coprire le sue povere zampe con vestiti lunghi e scomodi.
Seguiva queste regole fin da quando era bambina, non le aveva mai infrante e per questo veniva considerata un “buon animaletto”. La sua ricompensa era stata la promessa di non essere picchiata o spennata più di quanto già non dovesse subire, ma capitava che di tanto in tanto la sua signora venisse meno alla parola data. Aveva già visto altri piccoli sehva subire quella stessa fine, mentre lei non aveva potuto far nulla per loro. L'avevano costretta a guardare, perché imparasse la lezione, non si ribellasse. Doveva subire senza lamentarsi, era quello il suo compito.
Dopo aver percorso altre due rampe di scale e aver oltrepassato l’ingresso della casa, Makena camminò nell’ala ovest della dimora fino a raggiungere l’enorme varco che faceva da ingresso alla serra della sua padrona. In quello spazio ogni parete era un'enorme vetrata ed ogni lastra era intervallata da barre metalliche che si incurvavano per assumere le forme di viticci e fiori rampicanti. Sebbene l’aspetto di quell’ambiente si differenziasse così tanto da quello più soffocante e chiuso della casa, con i suoi muri trasparenti e la sua illusione di libertà, Makena trovò comico come quella stanza le sembrasse più di ogni altra una vera e propria gabbia. 
Lì, circondata da alberi giganti e piante rare che come lei erano state rinchiuse in quelle mura, si trovava la sua carceriera, Corinna Julis, la matrona di quella casa e la sua padrona.  
Distesa su una chaise longue color carta da zucchero che sembrava sopportare di poco il peso della donna, Corinna pareva ancora intontita dal sonno e continuava a sventolarsi con un grosso ventaglio di piume rosa di fenicottero, mentre la sua mente sembrava vagare per scenari lontani. Avvolta in un abito dorato eccessivamente aderente in cui i suoi seni erano fortemente compressi, matrona Corinna aveva riportato la sua attenzione su una pila di documenti accatastati su un tavolino da caffè di bambù. Gli occhiali che portava, dalla montatura troppo piccola per il suo viso pingue, brillavano alla luce della finestra rendendola quasi un predatore che attendeva la sua preda. 
Dopo che Makena ebbe varcato l’ingresso della serra, Corinna fece il suo consueto sorriso placido ed esclamò: ”Finalmente sei qui bestiolina, è tutta la mattina che ti aspetto!". 
Era da poco passata l’alba e Makena si era affrettata al massimo, ma la sua padrona era sempre stata molto intransigente sulla puntualità. 
Makena incrociò braccia sul petto e salutò la sua carceriera con un profondo inchino che dichiarava sottomissione. Per un attimo Corinna osservò compiaciuta il gesto remissivo della sua schiava e, soddisfatta, tornò a concentrarsi sui suoi incartamenti. 
Era un periodo sempre molto indaffarato quello che precedeva la primavera. Nobili e matrone di ogni ordine e grado si preparavano a dare inizio alla stagione mondana e la sua padrona non faceva di certo eccezione. Sul tavolino da caffè, infatti, erano sparpagliate liste di invitati da revisionare, disegni di abiti e potenziali menù adatti ai palati più esigenti. A complicare le cose, quell’anno sarebbe stata proprio la casata Julis ad ospitare l’evento più importante e atteso della stagione: il Carnevale. 
“Sai Makena, in quanto mio animaletto devi dare tutto di te per me, è questo il prezzo che devi sopportare per farti vivere una vita dignitosa in questa società, quest’anno ospiterò io il carnevale e tua sarai la mia principale attrazione.” Disse Corinna con aria distratta.
Makena impallidì, sapeva che questa ricorrenza era inizialmente nata solo per mettere in mostra i propri sehva davanti alle famiglie più altolocate, ma negli anni era diventata una moda sempre più distruttiva. Quando il sehva raggiunge la maturità e il suo piumaggio è pienamente sviluppato, questo gli viene in parte strappato via. Gli umani disprezzano apertamente il lato animale dei loro schiavi, ma sono anche tremendamente affascinanti dalla loro bellezza esotica, ed è per questo che una volta rimosse le piume quest’ultime vengono impiegate per impreziosire vestiti e accessori che i nobili indosseranno durante quella stessa festa.
Dato che la realizzazione di abiti piumati richiede tempo, ai sehva vengono sottratte le piume molto prima della data effettiva del Carnevale e Makena non faceva eccezione.
Sapeva cosa l’aspettava quel giorno e dentro di sé e improvvisamente ribollì di rabbia. 
Quando Corinna alzò gli occhi dalle sue carte, notò per un attimo il cipiglio della sua sehva e intuiti i suoi pensieri, con uno sguardo penetrante mormorò:"Dai bestiolina, non farne una tragedia. Lo sai bene che il Carnevale di quest’anno dev’essere oltremodo perfetto. In quanto organizzatrice, non posso certo presentarmi al mio stesso evento con degli straccetti qualsiasi. Le tue piume sono l’invidia di tutti nell’alta società e non possiamo permetterci un risultato mediocre con quest’abito. Vedrai, un battito di ciglia e sarà tutto finito. Sopporterai per me?”. Corinna le parlava come una madre che chiede al figlio di non fare i capricci e anche se tutto ciò la disgustava, Makena era incapace di ribellarsi, avendo già subito tanto in passato. osservò per un attimo la catena alla sua caviglia sinistra, dorata come l'abito vistoso di Corinna. Le procurava dolore e avrebbe desiderato rimuoverla, ma si trattenne, si sottomise. Finse docilità, mentre dentro di sé non bramava nient'altro che vendetta.
“Si, mia signora”. Inchinò di nuovo la testa e riportò le braccia al petto.
“brava la mia ragazza”, e dopo averle scoccato un’ultimo sguardo, la matrona tornò a visionare scrupolosamente i suoi preziosi documenti.
Senza bisogno di ordini, Makena prese posizione accanto alla donna, sempre e rigorosamente a un metro di distanza, e si sedette sul pavimento facendo attenzione a non scoprire le gambe.
Passarono così l’intera mattinata e gran parte del pomeriggio, con la matrona intenta ad organizzare il Carnevale imminente e la sua devota sehva che la seguiva diligentemente ad ogni suo spostamento. ma nonostante ciò, per tutto il tempo Makena non aveva fatto altro che contare i minuti e i secondi che la separavano dall’orrenda tortura che le si prospettava quella notte.
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alicephoenix · 7 months ago
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"Mani fredde, tazze calde, pensieri che bruciano."
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alicephoenix · 7 months ago
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⚙️🌿 "Arya echi di guerra" 🌿⚙️
Un mondo diviso. Due specie in guerra. Un destino sospeso tra pace e tradimento.
🌍 L'ambientazione: In un continente spezzato dalla guerra, dove il progresso umano a vapore fagocita terre antiche e misteriose, si contrappongono due mondi:
A Sud, gli insediamenti umani dominati dalla borghesia, dalla monarchia costituzionale e dal fervore industriale. Dirigibili solcano i cieli, le macchine a vapore spingono il progresso, e i Sehva – antichi uomini-uccello – vengono ridotti a schiavi, privati delle loro ali, trattati come oggetti e forza lavoro.
A Nord, le foreste senza tempo dei Sehva, dominate da matriarche e da un equilibrio naturale infranto. Qui vivono tribù pacifiche, legate alla terra e agli Antichi, creature primordiali dalle origini dimenticate.
🕰️ La trama: Dopo dieci anni di guerra, la pace è fragile come le ali spezzate dei Sehva. Quando Makena, una sehva in fuga dagli insediamenti umani, si ritrova nel cuore delle foreste settentrionali, viene trascinata in un intrigo senza precedenti. La Regina dei Sehva, ancora prigioniera di rancore e sospetti, la costringerà a fare da informatrice: esplorare i segreti del mondo umano e rivelarne le debolezze.
Nel frattempo, Colombo, il ragazzo che accompagna Makena, dipende completamente da lei per sopravvivere nel regno dei Sehva. Ma i due dovranno affrontare nemici invisibili, tradimenti e dilemmi morali che metteranno a rischio non solo la loro vita, ma la fragile alleanza tra le specie.
E mentre un principe umano tenta di avviare trattative di pace, un’imboscata rovina tutto: chi può davvero fidarsi di chi, quando il passato è fatto di sangue e inganno?
⚔️ Temi e atmosfere:
Steampunk Vittoriano: macchine a vapore, dirigibili maestosi e vestiti raffinati.
Fantasy oscuro: una foresta misteriosa abitata da creature antiche, tribù legate alla natura e antiche tradizioni.
Conflitto e divisione: il razzismo contro i Sehva e l’avidità umana.
Intrighi e viaggi: una storia di fuga, sopravvivenza e alleanze difficili.
🎯 Per chi ama:
Romanzi con atmosfere alla "Londra Vittoriana"
Mondi fantasy dettagliati e culture in conflitto
Storie epiche di pace e guerra con personaggi sfaccettati
✨ "in Arya echi di guerra, la vera battaglia non è solo tra due specie, ma contro ciò che siamo diventati."
🔖 #SteampunkFantasy #AliSpezzate #GuerreDimenticate #NuovoFantasyEpico
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alicephoenix · 7 months ago
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I am inconsolable, like an endless sea that rejects every caress of the wind. No matter how hard someone tries to fill this void, to cradle my wounded soul, there will always remain an infinite space, an abyss that no light can ever truly reach.
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alicephoenix · 7 months ago
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alicephoenix · 7 months ago
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La spennatura
"Malgrado il dolore intollerabile, Makena sopportò in silenzio per non dare a nessuno la soddisfazione di vederla soffrire. Nel tempo si era indurita a tal punto da non emettere più nemmeno un verso agonizzante, con grande disappunto dei suoi aguzzini.
Mentre il torturatore aveva preso a rimuovere il piumaggio della schiava con una lentezza esasperante, gli altri due servitori raccoglievano celeri le piume dal pavimento e, dopo averle ripulite il più possibile dal sangue della loro proprietaria, le depositavano cauti nelle ceste. più tardi le avrebbero lavate con acqua e cenere per evitare che si rovinassero e renderle pronte all’uso."
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alicephoenix · 7 months ago
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Dai un'occhiata al mio profilo su Wattpad. Sono Alice Phoenix https://www.wattpad.com/AlicePhoenix0?utm_source=web&utm_medium=tumblr&utm_content=share_profile Benvenuti nel nostro mondo! 🌟 Siamo due autrici alle prime armi con una grande passione per le parole. ✍️ In questo spazio vogliamo condividere storie che nascono dal cuore, ispirate dai sogni e da un pizzico di fantasia. Tra emozioni, avventure e personaggi che speriamo possano conquistarvi, vogl...
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alicephoenix · 1 year ago
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