Don't wanna be here? Send us removal request.
Text
Zoonosi legate all’evoluzione degli stili di vita
Il passaggio all'agricoltura e la coevoluzione di Salmonella enterica
I ricercatori sono riusciti a isolare dai resti, in particolare da campioni di denti, otto antichi genomi di Salmonella enterica, alcuni dei quali risalgono a 6500 anni fa. I sei genomi di salmonella recuperati da pastori e agricoltori, in particolare, sono progenitori di Paratyphi C, un ceppo raro che infetta specificamente gli esseri umani. Quell'antica salmonella, invece, probabilmente infettava sia gli esseri umani sia gli animali.
L’analisi dunque mostra come questo agente patogeno batterico si sia evoluto in un periodo di circa 5000 anni, anche in funzione delle mutate abitudini di vita dei nostri progenitori. Il passaggio ad abitudini stanziali e la nascita di una economia basata su agricoltura e allevamento degli animali - un processo denominato complessivamente neolitizzazione - ha portato una maggiore promiscuità e aumentato le occasioni di contatto con feci umane e animali. Di conseguenza, la transizione ha incrementato anche il rischio d’infezione da salmonella, che rappresentava probabilmente una seria minaccia per la salute dei nostri antichi antenati: questa è un’ipotesi che gli antropologi hanno formulato da tempo, ma solo ora si è arrivati a una prova molecolare diretta.
“L’analisi genomica di campioni antichi getta una luce senza precedenti sul passato delle malattie umane", ha spiegato Key. "Ora disponiamo di dati molecolari per comprendere l'emergere e la diffusione di agenti patogeni di migliaia di anni fa, ed è entusiasmante il modo in cui possiamo utilizzare la tecnologia più moderna per rispondere a domande di lunga data sull'evoluzione microbica".
0 notes
Text
Esobiologia e alieni
https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/spazio_astronomia/2020/03/01/il-mondo-alieno-che-potrebbe-ospitare-la-vita-video_5d91f6c4-68fd-458e-ab00-47a3f154d84e.html
Come ebbe a dire una volta Einstein, se esistono gli alieni non assomiglieranno a nessuna delle forme di vita che conosciamo. E aveva ragione, o quasi. Tutte le rappresentazioni, soprattuto degli anni '50-60, raffiguravano gli extraterrestri come omini verdi o grigi, con una enorme testa e qualche volta con solo due o tre dita, ma sempre con forme vagamente umane. Questo ovviamente è frutto di una visione completamente antropocentrica da parte nostra (perché dovrebbero avere la stessa sembianza di una specie che sulla Terra rappresenta un brufolo - in tutti i sensi - vicino al buco del culo di un elefante). Partendo da alcune considerazioni sia scientifiche che teologiche si potrebbe affermare: non è possibile che non esistano forme di vita all'esterno del nostro pianeta. Scientificamente su milioni di galassie conosciute con all'interno milioni se non miliardi di stelle con almeno uno o due pianeti, la probabilità che non ci siano forme di vita è sinceramente non sostenibile. Quale forma abbiano questi esseri è un altro paio di maniche. Sempre sulla scorta delle rappresentazioni immaginifiche e "vagamente" complottiste (leggi Area 51), questi omini grigi con cranio globoso e vuoti occhi neri orbiterebbero da decenni intorno alle nostre teste su dischi volanti circolari o a forma di freccia. La domanda a questo punto è: ma se una civiltà extraterrestre è talmente evoluta e tecnologicamente avanzata da superare distanze, letteralmente, siderali perché dovrebbe limitarsi a sporadici e fantasmagorici avvistamenti e non cercare di prendere contatto o anche cercare di sovrastare tutto quello che si trovasse davanti?
Sul nostro pianeta la forma di vita più abbondante, longeva e biologicamente più vincente sono i batteri. O, volendo salire nella scala evolutiva, gli insetti. Quindi se proprio dovessero assomigliare a qualcosa che conosciamo, gli extraterrestri sarebbero più simili a un batterio appunto o a una formica. Ma sarebbero in grado delle formiche o dei batteri di costruire un mezzo di locomozione talmente avanzato da spostarsi nello spazio e raggiungere altri sistemi stellari?
Al momento non possiamo rispondere a questa domanda, o meglio, allo stato delle NOSTRE conoscenze dovremmo dire no. Per questo motivo inventiamo astronavi enormi e fallaci ed evanescenti lemuridi.
Gli alieni potrebbero essere scesi già sulla terra precedentemente alla comparsa dell'uomo o almeno prima della coscienza di se stesso (quel che sostengono altri tipi di complottisti per la costruzione delle piramidi, dei teschi di vetro, dei Maya ecc, ecc,), e quindi noi non ne avremmo traccia: cioè saremmo nel posto giusto ma nel momento sbagliato. Oppure siamo prossimi ad una loro comparsa.
Quindi una qualche forma di vita (anche molte più di una) nell'universo sicuramente esiste, quale forma abbia e in quale modo riuscirà (sempre che lo voglia) a mettersi in contatto con noi ancora è tutto da scoprire.
0 notes
Text
“Tremate, questa è Roma”. Tre considerazioni sul film "Il primo re" di Matteo Rovere. (2019).
Partiamo dal principio che stiamo parlando comunque di un film. Che si tratta di ricostruzioni basate su dati storici desumibili da fonti storiografiche vissute secoli dopo i fatti reali, e di per sé non verificabili. Che si tratta di un film fortemente guidato da esperti del settore (e quindi non siamo qui a discutere sulle scelte scenografiche dettate da conoscenze ben più aggiornate delle mie) tre sono le considerazioni principalmente geografiche ma anche storiche, che mi sento di fare dopo aver visto il film. Seppur riconoscendo al film stesso una eccezionale forza evocativa e uno sforzo molto ben riuscito di riportare ad un passato molto più attinente alla realtà storica degli stessi storiografi che ne riportarono le gesta da un punto di vista quasi prettamente fantastico se non addirittura deiparo, questi tre aspetti potevano, a mio giudizio, essere resi in modo più efficace. Molto interessante anche l'idea o lo spunto di un Remo fratello maggiore ed effettivamente primus rege sacrificato al volere divino ed alla profezia aruspicina (sull'altare della storia verrebbe da dire) da un Romolo effettivamente proiettato verso una dimensione di guida per il suo futuro popolo. Iniziamo dall'incipit. Ovvero dalle scene iniziali del film. Siamo in un non ben definito vallone in cui entrambi i fratelli (e qui cade anche la passata dualità tra un Remo pastore e più sottomesso ed un Romolo cacciatore più forte e indipendente) portano al pascolo le loro greggi e dove già dall'inizio Romolo appare molto più devoto e proiettato verso un universo metafisico, ma anche più debole fisicamente rispetto ad un Remo maggiormente strutturato. I due fratelli vengono travolti da un'improvvisa e violenta esondazione del fiume Tevere, perdendo così tutti i capi di bestiame e finendo spiaggiati nel territorio della potente città di Alba Longa. I due vengono catturati dagli Albani come schiavi. In primo luogo l'esondazione appare come se fossero sta aperte le cateratte del Nilo, solitamente un'esondazione del Tevere pur essendo per quei tempi pericolosa non aveva la forza di incanalarsi e trascinare per chilometri (circa 20 che separano le rive del Tevere con i territori sottostanti le prime pendici dei Colli Albani) i due disgraziati e le loro armenti. Secondo il viaggio: dopo la ribellione e l'uccisione dei malcapitati Albani (e anche qui bisognerebbe approfondire su come la maggiore potenza militare del periodo si sia potuta far soggiogare da uno solo dei condannati da sacrificare al dio fuoco, ma anche questo è un doveroso omaggio al mito) i prigionieri delle altre genti latine fanno ritorno verso le terre a nord in modo da "passare il fiume" (è ripetuto più volte) e tornare in salvo. Ora dando un rapido sguardo alla conformazione geografica delle terre latine ed albane passare il fiume significava entrare in territorio etrusco e quindi nemico, non tornare verso le proprie terre e quindi verso il futuro septimontium cioè dallo stesso lato del fiume rispetto alla crudele e famigerata "Albalonga". Terzo ed ultimo aspetto, stavolta storico, il dominio incontrastato e despota da parte di Albalonga forse poteva essere posto in maniera più pragmatica, in quanto è vero che la cittadina albana era egemone nel territorio in virtù di una presunta dinastia fondatrice, ma d'altro canto la Lega Latina poneva le altre civitas se non alla pari, quanto meno in posizione di federate e non schiavizzate, come appare nelle prime e nelle ultime scene del film.
Solo un'ultima annotazione rispetto alla resa cinematografica della "selvatichezza" e della estremizzazione (a mio giudizio non necessaria o eccessiva) della sporcizia "attaccata" ad alcuni dei personaggi, in primis ai protagonisti. Molto bella la contrario la resa dell'abbigliamento e delle atmosfere selvagge e boschive che sicuramente caratterizzavano i territori a quei tempi.
0 notes
Text
La (non così) dura vita dei Neandertal
Anche se molte lesioni sono accidentali, altre possono essere una conseguenza del comportamento, dell'attività o delle norme sociali di un individuo o di un gruppo, caratteristiche che ci parlano delle società, delle tensioni e dei rischi presenti all'interno e tra i diversi gruppi. Sopratturro se riscontrate in modo più frequente e ripetitivo.
Nei fossili di Neanderthal sono state spesso identificate delle lesioni traumatiche, in particolare alla testa e al collo, e questo ha fatto ritenere che nelle popolazioni neanderthaliane le lesioni scheletriche fossero più frequenti che nelle popolazioni umane moderne.
Una serie di dati (https://www.nature.com/articles/s41586-018-0696-8) sfidano la diffusa opinione che tra le popolazioni di Neanderthal vi fosse un tasso di lesioni traumatiche significativamente superiore a quello riscontrabile fra gli esseri umani. Il risultato mette in discussione l'idea che i comportamenti e le tecnologie dei Neanderthal li abbiano esposti a livelli particolarmente elevati di rischi e insidie.
Beier e colleghi, hanno analizzato le descrizioni pubblicate di Neanderthal e di crani fossili umani moderni trovati in Eurasia fra 80.000 a 20.000 anni fa circa, confrontando il numero di crani con ferite e non nei reperti di Neanderthal e di umani moderni. Gli autori riferiscono livelli di trauma cranico simili in entrambi i gruppi.
La forza delle analisi di Beier e dei colleghi sta nella progettazione dello studio. Invece di confrontare i dati dei Neanderthal con quelli di popolazioni umane più recenti o viventi, come hanno fatto studi precedenti, gli autori hanno basato i loro confronti su esseri umani che non solo hanno condiviso con i Neanderthal aspetti dell’ambiente in cui vivevano, ma la cui documentazione fossile avesse anche un livello di conservazione simile.
I ricercatori hanno analizzato i dati relativi a 114 crani di Neanderthal e 90 crani di umani moderni, annotando i dati su 14 ossa craniche (le principali) e raccogliendo informazioni che andavano da quelle su un singolo osso, nei fossili mal conservati, a quelle relative a tutte e 14 le ossa nei fossili meglio conservati.
In totale, gli autori hanno registrato l'incidenza dei traumi in 295 ossa di Neanderthal e 541 ossa di umani moderni. Hanno anche raccolto altre informazioni, come la percentuale di ciascuna delle 14 ossa conservatesi per ciascun individuo, oltre a dettagli come il sesso, l'età alla morte e la posizione geografica del fossile.
Beier e colleghi hanno condotto due serie di analisi statistiche - una basata sulla presenza o assenza di traumi in ciascuna delle ossa craniche, l'altra sui singoli crani fossili considerati nel loro complesso - per verificare se ci fossero differenze statisticamente significative tra la prevalenza di traumi nei fossili di Neanderthal e in quelli umani. Hanno inoltre valutato se la prevalenza dei traumi era legata al sesso o all'età, tenendo conto della conservazione dei fossili, della posizione geografica e dei possibili effetti di interazione tra le diverse variabili. Le due analisi hanno dato risultati simili.
Sia i maschi di Neanderthal che quelli umani moderni mostrano una maggiore incidenza di traumi rispetto alle femmine delle rispettive specie, un andamento che rimane lo stesso per gli esseri umani di oggi.
Un ultimo risultato intteressante è che, sebbene le lesioni traumatiche fossero presenti in tutte le fasce di età studiate, i Neanderthal con un trauma alla testa avevano più probabilità di morire prima dei 30 anni rispetto agli umani moderni. Gli autori interpretano questo risultato come una prova che, rispetto agli umani, da giovani i Neanderthal riportavano più lesioni, o che avevano più probabilità di morire dopo essere stati feriti.
Lo studio di Beier e colleghi non invalida le precedenti stime sui traumi tra i Neanderthal, ma offre un nuovo quadro di riferimento per l'interpretazione di questi dati, mostrando che il livello dei traumi fra i Neanderthal non era straordinariamente più elevato rispetto a quello dei primi esseri umani vissuti in Eurasia.
Ciò implica che il tasso di traumi neanderthaliano non richiede spiegazioni particolari e che il rischio e il pericolo erano parte della vita dei Neanderthal tanto quanto lo erano del nostro passato evolutivo.
Lo studio si aggiunge al crescente numero di prove che i Neanderthal avevano molto in comune con i primi gruppi umani. Tuttavia, la scoperta che i Neanderthal potrebbero aver subito traumi in età più giovane rispetto agli umani moderni, o che avevano un maggiore rischio di morte in seguito alle lesioni, è affascinante, e potrebbe essere una chiave di lettura del perché la nostra specie ha avuto un vantaggio demografico rispetto ai Neanderthal.
0 notes
Text
Probabile capacità protolinguistica negli orang-utan
Le madri di orangutan sono in grado di posticipare l'emissione di un grido di allarme quando compare un predatore per un tempo che dipende da quanto è distante la minaccia e dall'età del loro piccolo. Il comportamento implica la capacità di riferirsi a cose lontane nel tempo - capacità che è ritenuta una delle basi del linguaggio, e non era mai stato documentato in primati non umani allo stato selvatico
In un esperimento sul campo Lameira e Call hanno mostrato a sette madri di orangutan di Sumatra delle finte tigri (in realtà, degli sperimentatori travestiti) registrando le loro risposte vocali. In un numero significativo di casi si è visto che la madre lanciava il caratteristico segnale di allarme, ma solo un certo tempo dopo aver visto della minaccia.
Dal comportamento delle madri i ricercatori hanno concluso che il ritardo nell'allarme non era dovuto a una risposta di "congelamento" dei movimenti - una delle classiche opzioni di fronte a una minaccia, a fianco del "combatti o fuggi". Il ritardo appare invece legato alla consapevolezza che l'allarme può rivelare la presenza e la posizione propria e del piccolo.
Lameira e Call hanno anche constatato che quanto più il predatore era vicino alla femmina, minore era la probabilità che emettesse un allarme vocale, e più lungo il tempo trascorso prima di lanciarlo nel lanciarlo; inoltre, il ritardo era legato - questa volta in senso inverso - all'età del piccolo: più era giovane, più era probabile e rapidala risposta vocale della madre.
Questi risultati - concludono i ricercatori - inducono a supporre che la capacità di elaborare riferimenti differiti, propria del linguaggio, si sia originariamente evoluta da comportamenti simili in un ominide ancestrale.
Le scienze on line. Articolo originale su SciencesAdvances http://advances.sciencemag.org/content/4/11/eaau3401
0 notes
Link
Secondo un nuovo studio, prove della più antica produzione casearia del Mediterraneo sarebbero state individuate in Croazia su frammenti di ceramica di 7.200 anni fa. Non tutti sono convinti però che si tratti di formaggio
0 notes
Text
La complessa struttura genetica e sociale dei Longobardi
Il confronto fra i reperti archeologici rinvenuti rinvenuti in due cimiteri longobardi, uno in Ungheria e uno in Piemonte, e i dati dell'analisi genetica sui resti di 63 individui che vi erano sepolti mostra che nella popolazione che invase l'Italia nel VI secolo d.C. erano compresenti almeno due gruppi geneticamente diversi e che seguivano pratiche funerarie distinte
https://www.nature.com/articles/s41467-018-06024-4 via @le_scienze http://www.lescienze.it/news/2018/09/12/news/longobardi_struttura_genetica_sociale_gruppi_distinti-4104827/
0 notes
Link
0 notes
Text
La diffusione della lingua e del cavallo
L'ipotesi prevalente per la diffusione delle lingue indoeuropee è che il fattore chiave della diffusione siano state la domesticazione del cavallo e l'invenzione del carro, entrambe realizzate circa 3000 anni fa dalla cultura Yamnaya, composta da popolazioni di pastori che vivevano in Europa orientale e in Asia occidentale, grossomodo in quello che oggi corrisponde al territorio del Kazakistan.
Quindi migrazoni ma anche contagio culturale, come per gli antichi Ittiti, inventori della prima lingua indoeuropea, ma il cui DNA non mostra relazioni dirette con gli Yamnaya.
Anche nell'espansione verso est, dall'Ungheria alla Siberia, le popolazioni appartenenti alla grande confederazione degli Sciiti, pur parlando una lingua comune aveva origini genetiche diverse.
Nel corso del tempo, la componente genetica delle popolazioni di cultura Yamnaya fra gli Sciti è diminuita, quasi sparendo con la successiva migrazione verso ovest - fra il III e il II secolo a.C.- dei nomadi delle steppe orientali, che nella regione della Mongolia avevano formato la confederazione Xiongnu.
Ulteriori migrazioni di gruppi provenienti dall'Asia orientale hanno infine fatto sì che le steppe eurasiatiche originariamente occupate da popolazioni prevalentemente occidentali e di lingua indoeuropea venissero abitate da popolazioni di lingua turca originarie dell'Asia orientale.
http://www.lescienze.it/news/2018/05/10/news/antiche_migrazioni_europa_steppe_asia_popolazioni_cavallo_lingue-3975376/
4 notes
·
View notes
Photo

Gli esseri umani moderni si sono evoluti in Africa per poi disperdersi in Asia, fino a raggiungere l’Australia, in una singola ondata migratoria avvenuta circa 60.000 anni fa. Questo è lo scenario previsto dal cosiddetto modello "Out of Africa", messo in discussione di recente dai progressi tecnologici nell’analisi del DNA e in altre tecniche d’identificazione dei fossili.
I genomi delle popolazioni non africane portano i segni di una grande diaspora degli esseri umani moderni dall'Africa avvenuta circa 60.000 anni fa, nota convenzionalmente come Out of Africa. Ma secondo numerose ricerche genetiche e paleoantropologiche, a partire da 120.000 anni fa si susseguirono varie migrazioni, e gli studi documentano sia la presenza di Homo sapiens in Asia orientale prima dell'Out of Africa sia l'incrocio con altre specie, come i Neanderthal e i Denisova
Le scienze_http://www.lescienze.it/news/2017/12/11/news/out_of_africa_homo_sapiens-3784826/
0 notes
Link
I mammiferi hanno iniziato a passare all'attività diurna poco dopo la scomparsa dei dinosauri, attraversando una fase intermedia di attività mista (diurna e notturna) durata alcuni milioni di anni. Questa transizione non è però iniziata contemporaneamente per tutti gli ordini e famiglie di mammiferi.
0 notes
Text
Lice and Bacteria Partners in Parasitism
Head lice have been stigmatized, quickly conjuring images of infested school children and parents combing through their hair. This social stigma reaches many of the estimated 14 million people who are annually infested in the U.S. alone. However, these blood sucking lice have had a long and complex evolutionary history tied to humans and other mammals. In total, there are 532 species of blood-sucking lice and each species parasitizes one or just a few mammal species. In the past, scientists have taken advantage of the close associations of lice to their hosts to approach questions of human evolution. Research is now moving to the bacteria associated with these lice.
It turns out that blood-sucking lice are themselves host to symbiotic bacteria. These bacteria, which are passed on maternally, facilitate parasitism by providing essential B-vitamins to the lice.
Now, scientists Bret Boyd et al. have sought to better understand the evolutionary history of bacteria residing within lice. In this study, they see that bacterial evolution is driven by associations with lice, and louse evolution is tied to their mammalian hosts.
Boyd et al. sequenced the genomes of symbiotic bacteria from human lice as well as the closely related chimpanzee, gorilla and red colobus monkey lice. The data provided a new perspective on the evolutionary tree of these symbiotic bacteria. They found a single-trunked, monophyletic tree, suggesting the bacteria have been continually associated with lice for millions of years.
"Our results are a departure from previous findings and supporting monophyly instead of symbiont replacement," said Boyd. The nearest bacterial cousin is a symbiotic bacterial species found in the tsetse fly, another blood feeding parasite.
"We found that the evolutionary tree of the bacteria reflects the phylogenetic patterns seen in the lice," said Boyd. "Within human head and body lice there are distinct clades identified by their mitochondrial haplotypes; potentially a result of modern and extinct hominids exchanging lice. We found that the bacterial tree follows these evolutionary patterns." Boyd also noted that "congruence between the evolutionary trees of lice and symbiotic bacteria can be traced to 20-25 mya when the lice parasitizing monkeys diverged from a common ancestor of hominid lice."
While exploring the genome of a louse symbiont, they encountered an extrachromosomal region called a plasmid. This plasmid encodes genes needed for nutritional synthesis, critical to the symbiosis. Based on the associations with lice, the authors estimate this plasmid arose between 17-25 million years ago. Boyd said, "we suspect that this plasmid arose from a re-organization of the symbiont genome in the common ancestor of human and other hominid lice." They conclude that the results of this study have implications for the progression of genome evolution in symbionts.
"While lice are a highly maligned, they have provided a wealth of scientific information. Because the symbiotic bacteria studied here are tied to a known evolutionary history between lice and primates, this makes an ideal system to study bacterial genome evolution" said Boyd.
Source: Molecular Biology and Evolution (Oxford University Press) via @ICT_magazine
0 notes
Text
Sesso ed evoluzione
Tutto sommato il sesso per la scienza è ancora un enigma. Per quanto possa sembrare bizzarro, o addirittura poco credibile, la realtà è che i ricercatori, in particolare quelli che si occupano di evoluzione, biologia, genetica e comportamento (sia umano sia di altri animali) non hanno ben chiaro perché lo facciamo. E perché lo facciano tutte quelle specie che come noi si riproducono per via sessuata. Ci sono certo ipotesi e dati sperimentali a sostegno di quadri teorici, ma a ben vedere uno dei momenti più alti della nostra esistenza rimane ancora misterioso dal punto di vista evolutivo, e pone una questione conosciuta anche come «il problema del sesso».
Basta solo considerare l’energia profusa nella ricerca e nella conquista del partner con il quale riprodursi, e quella necessaria a mantenere lo stesso partner nella propria cerchia. È uno sforzo immane, fatto di code di pavone o di combattimenti tra contendenti il cui esito può anche essere mortale. Il tutto poi per trasmettere i propri geni alla prole, per assicurarsi una discendenza che protragga nel tempo la presenza del proprio patrimonio genetico. Ed è qui uno dei punti più misteriosi delle vicenda riproduttiva. In natura sono ben noti esempi di riproduzione asessuata, in cui il genitore genera figli geneticamente identici a se stesso. Allora perché l’evoluzione non ha fatto fuori il sesso?
Una risposta estesa prova a darla il giornalista e scrittore britannico Matt Ridley in La Regina Rossa, il libro in edicola con «Le Scienze» di aprile. Il titolo fa riferimento a un personaggio di Alice attraverso lo specchio, romanzo di Lewis Carroll pubblicato nel 1871. Nel libro di Carroll, la Regina Rossa è un pezzo degli scacchi che deve correre senza sosta per rimanere però sempre nello stesso posto perché nel frattempo tutto quello che ha attorno si muove con lei. In modo simile, la riproduzione sessuata permetterebbe agli organismi di mantenere il passo con l’evoluzione dei nemici.
Il ragionamento è semplice. La lotta per la sopravvivenza non ha mai fine, possiamo dire che è un gioco a somma zero. In altre parole, se un organismo è ben adattato a un ambiente, ma i suoi nemici, per esempio virus e batteri, evolvono nuove strategie e nuove armi per sconfiggerlo, allora quell’organismo deve a sua volta evolvere difese aggiornate ed efficaci se vuole rimanere in quello stesso ambiente. Da questo punto di vista il sesso è un’ottima soluzione. La riproduzione sessuata permette il rimescolamento del materiale genetico a ogni generazione, poiché proviene da due individui diversi, e la variabilità genetica che ne risulta migliora le probabilità di sopravvivenza e dunque quelle riproduttive.
Lo sguardo di Ridley si allarga poi ai rituali e alle strategie di corteggiamento, che hanno esiti profondi sulla nostra mente. In qualità di specie che si riproduce per via sessuata, noi esseri umani siamo attratti da persone con un elevato potenziale genetico e riproduttivo; cerchiamo cioè partner sani, in forma e potenti. Si tratta della selezione sessuale, già descritta da Charles Darwin, per cui un cervo maschio è progettato per battersi con i rivali, mentre un pavone è selezionato per sedurre, per esempio. La nostra psiche non è da meno. Per Ridley è progettata per compiere azioni che aumentino la probabilità di conquistare e conservare una o più partner di alta qualità, anche se sono azioni che mettono a repentaglio la vita. La stessa intelligenza umana potrebbe essere un prodotto della selezione sessuale.
Da Le Scienze
0 notes
Link
Le aumentate risorse disponibili nella savana hanno probabilmente innescato lo sviluppo del cervello e delle capacità cognitive nei primi ominidi.
0 notes
Link
La libertà di parola è sacrosanta, ma purtroppo gli eccessi sono sempre deprecabile e quindi come può parlare il luminare della scienza può farlo il contaballe che comunica in telepatia con gli alieni.
Un po lungo ma vale la pena arrivare fino in fondo.
0 notes
Photo

Infografica via @le_scienze
I microbiomi ospitati dall'organismo umano sono molteplici, e alcune parti del corpo ospitano le popolazioni batteriche più abbondanti e variegate. Si stima che il peso complessivo di questi microbiomi superi in chilogrammo (immagine American Academy of Microbiology)
http://www.lescienze.it/news/2015/05/13/news/microbiomi_umani_dna_batteri_identificazione_persona-2606243/
0 notes
Link
http://link.springer.com/article/10.1007/s00114-016-1420-x
0 notes