goriromano
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goriromano · 1 year ago
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Era necessario fornirsi di lussuosi palloni ad aria per raggiungere il borgo in alto, confinato tra vulcani sempre pieni di vita e squarci nel terreno
Crepe senza fondo e i corpi imbalsamati dalla polvere bollente intimorivano le entrate e le uscite via terra, isolando il paesello con tutte le torri e gli archetti
< E per questo motivo chi arriva trova un paradiso. Qui abbiamo soltanto artiste attori e molti parlamentari. La mattina passa sempre il famoso Barbaresco, prende sempre un caffè.Mi raccomando bello forte altrimenti mette il broncio e fa scenate, urla nomi importanti, minaccia.
Ma con un caffè bello duro lo accontenti.
Potrete lavorare tutti i giorni, poco ma tutti giorni, è una bella esperienza.
È lavoro soprattutto, ma in che contesto? Siamo tutti in pantaloncini e collane al collo.
E se vi sentirete stanchi c è un dormitorio. Niente di raffinato, da condividere con altri 4 o 6 piedi, ma non sarete mai stanchi perché dovreste essere stanchi, finite le ore andrete a cavallo o a bere vino, nessuno si chiude in casa in mezzo a queste fortune...>
l'accento nato in un innesto tra due regioni parlava così fiero e moderno da non accorgersi che i due ragazzi in ascolto si divisero
Il più timido con pala e secchio prese a scavare e riempire di mota e frutta scartata un fossa alle spalle dell'imprenditore che impaurito da un piccolo BU del giovane di fronte fece un passo indietro e si ritrovò incastrato come un cretino in una pozza di fango e mele grinze.
Rimase libera la testa per garantire un respiro
E il braccio sinistro che provava a svuotare la trappola e liberare il busto o almeno l'altro braccio.
Arrivarono i porci attratti dal rumore e affamati ma dopo il primo morso all'orecchia scapparono con il vomito stampato nel grugno; il sapore tanto familiare li fece sentire cannibali.
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goriromano · 1 year ago
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Era necessario fornirsi di lussuosi palloni ad aria per raggiungere il borgo in alto, confinato tra vulcani sempre pieni di vita e squarci nel terreno
Crepe senza fondo e i corpi imbalsamati dalla polvere bollente intimorivano le entrate e le uscite via terra, isolando il paesello con tutte le torri e gli archetti
< E per questo motivo chi arriva trova un paradiso. Qui abbiamo soltanto artiste attori e molti parlamentari. La mattina passa sempre il famoso Barbaresco, prende sempre un caffè.Mi raccomando bello forte altrimenti mette il broncio e fa scenate, urla nomi importanti, minaccia.
Ma con un caffè bello duro lo accontenti.
Potrete lavorare tutti i giorni, poco ma tutti giorni, è una bella esperienza.
È lavoro soprattutto, ma in che contesto? Siamo tutti in pantaloncini e collane al collo.
E se vi sentirete stanchi c è un dormitorio. Niente di raffinato, da condividere con altri 4 o 6 piedi, ma non sarete mai stanchi perché dovreste essere stanchi, finite le ore andrete a cavallo o a bere vino, nessuno si chiude in casa in mezzo a queste fortune...>
l'accento nato in un innesto tra due regioni parlava così fiero e moderno da non accorgersi che i due ragazzi in ascolto si divisero
Il più timido con pala e secchio prese a scavare e riempire di mota e frutta scartata un fossa alle spalle dell'imprenditore che impaurito da un piccolo BU del giovane di fronte fece un passo indietro e si ritrovò incastrato come un cretino in una pozza di fango e mele grinze.
Rimase libera la testa per garantire un respiro
E il braccio sinistro che provava a svuotare la trappola e liberare il busto o almeno l'altro braccio.
Arrivarono i porci attratti dal rumore e affamati ma dopo il primo morso all'orecchia scapparono con il vomito stampato nel grugno; il sapore tanto familiare li fece sentire cannibali.
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goriromano · 1 year ago
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Non fu capace di descrivere a una sua amica il sapore che sembrava conoscere lui soltanto, e che solo a parlarne gli provocava un terrore nuovo, un terrore massiccio. Diverso dalle paure per fantasmi, fantasmini e demoni. Era il terrore del panico.
“Come quando mangi una crosta di formaggio. Ma non è questione di puzza, piuttosto di consistenza. Pungeva, aveva l’unto del formaggio ma non il grasso. Unto vecchio.”
Fu investito dal ricordo del panico in purezza, che più volte gli strinse la gola.
C’erano altri particolari dell'incontro con Myo che lo tormentavano.
Su tutti il chiostro di un presunto monastero dove aspettava, sempre puntuale agli appuntamenti.
Luogo d'incontro stabilito era la corte interna di Palazzo Ghiozzi, e tutta la mattinata aveva chiesto indicazioni che lo avevano condotto al porticato che circondava il giardinetto di un presunto monastero, forse, certo non si trattava della corte interna di Palazzo Ghiozzi.
All’ora di pranzo Ancelo, ancora in attesa, aveva deciso di ordinare almeno una ciotola di riso senza badare troppo alle buone maniere.
La busta consegnata dal rider gocciolava, e questo fatto lo aveva costretto a ingurgitare il pasto in piedi sull’erba del giardino in mezzo al presunto monastero.
Dentro la ciotola una montagnetta di riso faceva da coperta a delle cozze nerissime, tutte chiuse, e in fondo un pezzetto bucherellato di crosta.
Mentre portava alle labbra la seconda cucchiaiata aveva incrociato con lo sguardo un monaco sbucato da una porticina del chiostro del presunto monastero e gli aveva chiesto subito dove si trovasse. La barba gli aveva risposto con sua grande sorpresa che “Solo i turisti bestia non sanno che questa è la bellissima corte interna di Palazzo Ghiozzi”.
“Ma io Palazzo Ghiozzi l’ho visitato mille volte, e questa non è la sua corte interna, abbiate pazienza padre, o papà, frate. Insomma abbiate pazienza, ma questa non è la corte interna.
MYO! Eccoti qua. Grazie per l’appuntamento.”
Myo si era palesata con una insolita velocità di gambe, almeno per lui. Sembrava avere una una certa fretta.
Dopo aver salutato porgendo una mano fiacca aveva cominciato a parlare tenendo gli occhi fissi su una mappa appesa a un muro.
“Che fai, mangi? Ci vogliono almeno 55-50 mila eh, anche 60. Sono tanti.”
“Eh sono tanti. Che conti ti sei fatta?”
“Fidati 55-60. Vediamo però, vediamo. In settimana. O la prossima, ti aggiorno. Qualcosa, in caso, si può fare. Devo parlarne con tutti. Non oggi. Oppure, se vuoi, aspetta ancora qui. Mangia pure, non ti devi vergognare. Mangia.”
Indeciso se rimanere e mostrarsi insistente, o andarsene e spazzare via qualsiasi dubbio sulla sua scarsa serietà, Ancelo era tornato al cibo e con le dita aveva afferrato la crosta per addentarla. E subito la nausea lo aveva invaso.
Si risvegliò con una forte voglia di vomitare che nemmeno l'acqua riusciva a placare.
È lo schifo che ha attraversato la parete, lo schifo per i cibi invecchiati male e le attese prolungate senza riguardo; lo schifo per le scadenze.
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goriromano · 1 year ago
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Mentre infilava il sasso marrone striato in una bustina a chiusura ermetica, si mise di spalle a Massimo e Michele che continuavano a scherzarlo. Marco, da pochissimo, si era messo alla ricerca perpetua di sassi, scegliendo con cura i parchi dove cercare rarità, che pesava a mano e ne verificava la freschezza passando la lingua sulla superficie. Li avvicinava all’orecchio per capire quanto respiro ancora contenessero; se lavati e messi al caldo in buste a chiusura ermetica, avrebbero riacquistato la parola e il nervo basilare per essere aggregati alla schiera.
Le pietre vecchie o anche minimamente comatose venivano invece abbandonate o, peggio ancora, lanciate in un laghetto, o anche in una pozza, o in qualsiasi serbatoio di liquidi stagnanti, pur di farle annegare e morire per sempre.
Aggiunse questa miseria in testa, nata forse dalla solitudine o dalla voglia di creare un esercito e annientare i suoi rivali che continuavano a prenderlo in giro, all’amore per le chiusure ermetiche, un’invenzione a detta sua ancora poco sfruttata e mal compresa.
“Chiuderebbe le porte per sempre, se le porte avessero una chiusura ermetica. E chi è rimasto dentro ci rimarrebbe fino a diventare blu, mentre noi fuori ad ingozzarci di tutta quell’aria in avanzo.
Solo i sassi, forse, potrebbero sfondare i muri. E ci sarebbe una fila infinita sotto il mio balcone, tutti in fila per implorare sassi nella speranza di liberare le amiche isolate dietro porte a chiusura ermetica.”
Bofonchiava tra sé, di spalle a Massimo e Michele che in ascolto vomitavano risate quasi soffocandosi con la propria saliva.
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goriromano · 1 year ago
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Eva provò a nascondersi tra la paglia e i vetri di una soffitta scoperta sopra il torciume dei corridoi che imboccò durante la fuga.
La tela appoggiata sul corpo camuffava poco e sarebbe stata scoperta se sua Madre fosse riuscita ad arrivare li sopra.
Timore confermato dai passi improvvisi sulle scale.
“ Sei una cretina” si sentì dire quando le si sedette accanto.
“ Sei una cretina, che cazzo scappi a fare?”
Provò a difendersi con il sibilo della gatta in calore ma venne ignorata mentre un gomito ossuto premeva sul suo braccio per ricordarle la supremazia da cui scappava.
“ Se tu dovessi morire” rispose Eva alla bocca vecchia “Se fra poco tempo tu dovessi morire, almeno perderò tutte le paure?”
“ No” rincuorò la madre accarezzandole il ginocchio con una mano decorata. “Spero di no. A ogni modo, ti lascerò in eredità questi anelli. Non tutti, forse il secondo e il terzo. I più grossi insomma. Stai tranquilla che non mi dimenticherai. Ma prima ferma questi crucci che fai quando dormi e tirati su. Sveglia.”
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goriromano · 1 year ago
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>>> lettera aperta di artisti, letterati, intellettuali al mondo della cultura italiana - per la palestina <<<
per sottoscrivere la lettera aperta che segue, utilizzare l’email [email protected] LETTERA APERTA DI ARTISTI, LETTERATI, INTELLETTUALI AL MONDO DELLA CULTURA ITALIANA   Gli artisti e le artiste, gli/le intellettuali, le associazioni culturali che firmano questa Lettera aperta, avvertono l’ineludibile bisogno di prendere posizione di fronte a quanto sta accadendo a Gaza e in…
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goriromano · 1 year ago
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PER CONTRASTARE LA POVERTA’ E L’ESCLUSIONE SOCIALE.
DI Gianni Romano
Ci scontriamo inavvertitamente in fila alle poste pubbliche poco prima della chiusura e in un attimo l’incrocio con le sue iridi nere dei suoi occhi, padrone assolute di entrambi i bulbi, mi ricordano Sara dietro a un bancone gridare per il dolore piegata sulle ginocchia, impaurita dal suo sangue.
Aveva appena morso la sua stessa mano per evitare di dare una risposta a tono a qualche cliente poco cortese. Cosi le era stato consigliato e lei ancora in età giovane e cretina, prese alla lettera il suggerimento e censurò i nervi affondando i denti nel bordo lungo il mignolo sinistro. Quella ferita la rese inutile e la proprietà si decise a cacciarla senza troppi rimorsi. Troppi i bicchieri rotti, prima o poi si sarebbe comunque tagliata per bene quelle dita sempre sudate.
Per vivere e nutrirsi, Sara cercò un guadagno di qualche tipo, un impegno che la allontanasse dalla miseria che la terrorizzava fino a comprometterle il respiro durante la notte impedendole il sonno.
Pur di lavorare cominciò a evitare che qualche arrogante annegasse in piscina, una responsabilità che per un breve periodo le regalò un certo prestigio prima di sviluppare un’antipatia per il cloro e per l’acqua in generale, causa dell’odore stantio che si porterà sempre appresso mischiato ad altri vapori assorbiti dalla sua pelle.
Il puzzo insopportabile svuotò la vasca comunale, uccise gli insetti, allontanò le nuvole.
Nuovamente a spasso, cercò un impiego in un negozio di fiori, avvelenandosi quando ne rubò uno che volle masticare per vanità.
Scoprì anche un’altra attrazione alimentare per fili elettrici che la convinse a non addentrarsi in qualsiasi ramo tecnologico.
Sempre più magra, a tratti si distrasse dalla precarietà improvvisando passioni nella speranza di coltivare un talento che le portasse future ricchezze.
Mesi dedicati alle pitture si alternarono a stoffe cucite con improbabile estro o altre declinazioni dell’arte che si rivelarono fatue oltre a causare ulteriori compromissioni del fiato nell’osservare la mediocrità del risultato raggiunto.
Semplicemente, dedusse alla fine, non era in grado di provvedere a sé, sentiva suo il diritto a essere mantenuta per cause che, pur commiserando la sorte buttana, riteneva chiare e insormontabili, radicate in un primo passato che ricordava benissimo.
Ancora in pubertà un giorno passeggiava con suo padre per la grande piazza con la croce del calvario conficcata nel centro esatto.
Allontanatasi un attimo, un anziano signore le sussurrò all’orecchio il colore che doveva cercare da quel giorno e per tutta la vita.
Rientrata a casa vide che dietro di lei papà non la seguiva più e le ricerche forsennate per ritrovarlo le fecero dimenticare il nome di quel colore, come anche gli altri.
Servirono a poco le mille tinture con cui torturò i suoi capelli per riscoprire il giallo, il giallo chiarissimo, il marrone, il fucsia e il viola, poi tutti i grigi e infine si arrese a un nero a buon mercato con cui permise che la gnugna entrasse di prepotenza nel suo mondo e uno spacciatore le promise di mantenerla in cambio di qualche pulizia. L’inalterato fetore allontanò ogni altro proposito molesto.
Quando in una sosta forzata in carcere furono sciolte le mani allo spacciatore toccò a lei provvedere al sostentamento e alla buona salute di entrambi. Con bicchieri capienti d’acqua e limone bevuti tutte le mattina cercava di ripulire budella, denti e l’anima mentre nuovi sussidi le davano un supporto inaspettato, un aiuto rabberciato calato da un nuovo alto che le regalò l’illusione di una inedita serenità, una breve pausa dalla fatica che solo oggi mostra le prime e inesorabili crepe.
Accanto a me alle poste è innervosita perché continuo a fissare lo scuro assorbito dalla cute fino ad arrivare a riempire tutta la cavità oculare
La sua bocca impastata mi rivolge la parola.
“Lo so chi sei, ho capito, smettila e aiutami a trovare i numeri”
“Quali numeri Sara, non capisco”
“I numeri cretino, il codice. Non mi danno i soldi, senza codice”
So per certo che da lì a qualche mese i conservatori elimineranno questi imbarazzanti sussidi per dissuadere i giovani fannulloni a disertare il lavoro.
E lei, ne giovane ne fannullona ma incapace in qualsiasi mestiere, farà parte dei dissidenti da punire. Lo sa anche lei e la faccenda la irrita più del mio stupore per i suoi occhi.
“Dammi una mano imbecille, sei più imbecille di quell’altro che ingrassa nella mia poltrona”
Mi permette di infilare una mano nella tasca dei suoi pantaloni per tirare fuori i sei numeri insieme a qualche spicciolo pesante che aggiungo senza che se ne accorga.
“Eccoli qua i tuoi numeri Sara. Ora vai a mangiare e va scassaci a minchia”
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goriromano · 2 years ago
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[vampiros de bolso] | RPC | 2023
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goriromano · 2 years ago
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goriromano · 2 years ago
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goriromano · 2 years ago
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Per prima cosa lavò tutto il corpo dopo i tre giorni passati tra lo sguazzo e i divani che la ospitarono dopo la furia
Sciacquò bene le gambe strofinando con vigore l'inguine e gli interni coscia per il sospetto di essersi la prima notte pisciata sui pantaloni con cui dormì e che vennero nascosti in una cesta sotto altra biancheria
Liliade asciugata pensava di poter trovare durante l'inverno una cura nella confessione, ben coperta con il nuovo montone che le amicizie residue la obbligarono ad acquistare
Dimenticò soltanto di nascondere le mani e la pellecchia smangiata che incoronava le sue unghie.
Con l'arrivo del sole dovette rinunciare alle tasche come rifugio, e alcuni sguardi ancora pieni di incazzatura continuavano a rimproverare per lo sguazzo il piscio e la pellecchia
Occhiate avvolte nelle vecchie camicie nere ereditate dalle ronde
A cui volle rispondere soltanto con un inchino e i polsi annodati dietro la schiena
Con un silenzio che augurava loro di non cadere mai in errore e riempire per vizio o debolezza una vasca di mota per poi scivolarci dentro
Senza una reale coscienza delle cose
Immagini: Emiliano Gori
Scritto: Gianni Romano
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