lecasebianche
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Le case bianche
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lecasebianche · 6 years ago
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25519
Nella mia casa bianca. 
Melanzane fritte.
Questa giornata ha il sapore e il rumore di una tortura. 
È molto difficile scrivere, in questo momento, eppure è l’unica cosa che riesco a pensare di fare. Sto piangendo. Sto piangendo la mia incomprensione, la mia grandezza, il mio essere fuori tempo. Come se esistessero altri metronomi, non sapessi quali, ma fossi sincronizzata sui loro tic. Tac. Non piango lui. Seconda persona singolare, tu, soltanto molto brevemente. 
Vorrei smetterla di raccontarmi cazzate. Vorrei che la punteggiatura neanche esistesse, se la sua assenza potesse aiutarmi a far fluire, a non filtrare ciò che sento. 
Sento un dolore maturo che non so descrivere molto bene. 
Che giorni! Mi sembra incredibile averli vissuti. Non è incredibile che siano finiti. Solo triste. Qualche giorno fa, un pensiero. Chissà se gli alberi sentono le foglie che crescono. Io le sento. Fanno male. Rompono pezzetti di pelle.
In questi giorni ho abbracciato una parte di me che non vedevo da tempo. Solo toccandola ho capito quanto forte sia stata in questi anni la mia nostalgia. 
Mi rivedo, in un rallenty maldestro che non ha pietà dei miei imbarazzi, dei miei inciampi, dei miei occhiali sporchi, sorridere. Sorridere per banalità che mi fanno spesso molta paura per quanto siano dolci. I messaggi del buongiorno, i pensieri della buonanotte. In questo momento non mi sto censurando. Normalmente, lo farei. 
I pensieri della buonanotte, augurarla credendoci. 
Una settimana fa ho incontrato colui di cui non scriverò il nome. È stato abbattuto l’ultimo tabù. Non so se perché stessi pensando a qualcun altro o per qualche altro motivo più intimo (crescere, andare avanti, accettare l’abbandono, abbandonare a propria volta) ma io non ho sentito niente. 
Non ho sentito amore. Ho sentito shock, sorpresa, una punta di disagio e poi… e poi piatto. Nessun onda di mare battere sulle mie pareti, dimenarsi per uscire. Io non sono uscita ed è così che doveva andare. Sono di nuovo mia.
Oggi, però, è comunque una tortura. Mi sento stupida e so che non dovrei. Mi sento stupida perché io ci credo ancora che cose bellissime possano accadere, che l’amore possa trovarmi in modi assolutamente bizzarri. Ci credo così tanto che ho versato una lacrima. In quel momento lui è stato tu. Ho creduto ai tuoi occhi quando mi hai detto che meritavo solo gentilezza. Ho pianto perché sono sicura che l’amore non si meriti, ma sono altrettanto sicura che la gentilezza sì, si merita. Per quella combatto, sempre. Per averla e donarla. Per averla e riceverla. Ho creduto ai tuoi occhi pieni di dolcezza, forse adesso, guardo meglio, erano pieni di dolore.
Sono triste perché sono stata brava. Sono triste perché non posso incolparmi. Di solito lo faccio, mi viene bene. Sono triste perché lui non è nel tempo giusto. Non nel mio, almeno. Vorrei averlo conosciuto meglio, vorrei che avessi capito meglio (scegliete voi il soggetto: io o tu).
Non mi sento capita. Quattro righe su WhatsApp. Sono così sintetiche, così fuorvianti, così così così mancano di rispetto a quel poco di bello che c’è stato tra me e lui. Non dimenticherò il tuo neo sulla schiena. Non l’ho detto a nessuno. È un segreto mio e tuo. Lui ha detto nostro. Anche lì, anche allora, eri tu. 
Lui ha ragione, lui io lo capisco, lui io sarei già fuggita. Però io sono rimasta, a fare bene: sorridere, essere calma, guardare fuori dalla finestra e sperare nel sole, sorridere stanca dopo ore e ore passate a studiare, dormire, finalmente, pensando un po’ chissà se lui sta bene. Questa volta, non avevo esagerato. Ero calma, nonostante il mio sforzo. Sbloccare il meccanismo spetta a me, mi sono detta. Io non voglio amare mio padre. Io non voglio essere amata dal lui nel modo in cui mio padre ama me. Non mi basta. Mi fa soffrire e io non voglio soffrire. Voglio stare bene. Spetta a me. Tocca a me. 
Carmen non piangere. 
Io a lui non dirò niente di tutto ciò. Non lo saprà, non ha voluto saperlo. Non ha voluto vedermi. Non lo incolpo per non essere pronto per me. Solo, avrei voluto vederlo e esprimermi guardandolo negli occhi (io, non lui). Questa sensazione di essere stata silenziata non va via. È difficile spiegare chi sei su una chat. Quando hai sedici anni e hai paura di te, una chat è tutto ciò che ti serve. È un letto, è un nido, è un abbraccio, è un vetro, è una gabbia dorata, è un foulard, il foulard. Quando hai 23 anni e provi ad amarti e a rispettarti, una chat è un magazzino pieno di ordini da evadere, è un calendario con appuntamenti piazzati anche un po’ a caso, è un detersivo che lava e corrode le mie piccole, imperfette, resistenti macchie. 
Io non dirò nulla. Lui non dirà più nulla. Io penserò, ancora qualche giorno (spero non troppi) a come volermi bene e a come essere felice di me. 
PS: ho una voglia matta di partire per un viaggio, ma ho gli esami. Vorrei fosse possibile evadere. Coccolarmi. Essere distratta e sorridere.
Carmen non piangere.
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lecasebianche · 7 years ago
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30718
Se non sono contenta dei miei parametri,
all’esterno del mio cervello
e dentro /
vorrei uno sconosciuto
e che leggessimo assieme
nel decifrare le ansie
e renderle tacite,
oppure tradurle come facevo anni fa,
in musica
in un bagno senza allarme antincendio
ingoio
fumo elettronico
forse ancora nessuno
ne ha scritto a proposito
se dopo tutto questo tempo
ancora ti maledico
e ti regalo
qualcuno dei miei orgasmi
peggiori.
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lecasebianche · 8 years ago
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7917
È da tanto che non amo. Certe volte mi concedo di pensare a P. Non perché la sua mancanza sia asfissiante, come un anno fa, in un intrecciarsi rabdomantico di intuizioni che non trovano soluzioni, insalubri, circolari in cui io non rappresento né l’inizio né la fine - poiché gli argini erano spostati troppo al di fuori di me. Mi concedo questo lusso, perché pensare all’amore per lui, mi fa sentire viva. Mi ricorda che lo sia, viva. Mi fa pensare a me come a una sopravvissuta con un bagaglio, benché le rive adesso siano troppo calme. In questo piattume, piatti vuoti per raggiungere pance piatte, persino al ricordo del dolore mi sento grata. Come guardare una cicatrice invisibile, che non solca i miei polsi, ma legittimamente vi appartiene, vi è rifugiata. È difficile accettare che se senza l’amore non sono viva, senza il dolore non lo sono allo stesso modo. Per cui rivivere attimi/idee dolce-amare diventa utile. So che quando accadrà, quando rivedrò P. questo rifugio smetterà d’esistere definitivamente. Lo sento nei brividi che mi vengono quando per le strade di Napoli mi sembra di vederlo. Mi blocco. Ma non ho paura. Sento il corpo percorrermi da freddo gelido. Di un’emozione così forte che riesce a paralizzarmi. Nonostante la paralisi mi sento pronta. Il castello verrà giù e il dolore con lui e allora forse toccherà trovare amore.
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lecasebianche · 9 years ago
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171016 Come un harem orientale, le tende dei miei pensieri - danzano, si bagnano. Il Sole ristora, mi secca, mi pianta, mi fa arrivare in alto. Penso a quanto poco ci voglia a turbarci le notti, quanto poco a risanare i lembi. I miei lembi asciutti come lenzuola stese, sotto un raggio tenero, che mi tiene per mano. Scendo e curo la leggerezza insostenibile del cambiamento, dell'accertarsi del vento sottile... e proseguire. Ti lascio anch'io.
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lecasebianche · 9 years ago
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1016
anche il sesso era quasi sempre delicato con lui.
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lecasebianche · 9 years ago
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12916
Due mesi dopo, c.ca: finalmente ti odio
Finalmente odio te e il ricordo del tuo corpo. Finalmente mi fanno male le braccia quando ricordano di averti toccato, di averti tenuto. Mi fa male la mente a furia di spremerla, di costringerla in illusioni fantastiche: io che ti lascio, io che ti faccio sentire allo stesso modo di come mi sento, io che ti vedo soffrire. Non ho mai provato piacere nella sofferenza altrui, solo una valanga di compassione. Ti detesto. Detesto il tuo nome e vederlo brillare su Facebook. Detesto le tue vocali, le tue iniziali, il tuo accento. Detesto i mari di poesie che conosci a memoria. Provo repulsione. Profonda. Profonda come me che mi sto scavando la fossa. La fossa non è mai tanto grande da includermi. Sola e in-compresa. Mi sento esclusa, da te. Rifiutata, da te. Abbandonata, da te. Quando ero meravigliosa. Ora mi sento un guscio. Mi sento una lumaca senza le forze per sopportare il suo stesso peso. Mi sento ghiaccio, quando invece ero acqua. Non so come farò a riprendermi qualcosa di me perché non so dove sono andata a finire. Mi pare di non vedere più niente di familiare. Vorrei che tu sapessi che mi hai distrutto. Vorrei che tu accettassi e ti sentissi in colpa. In colpa come mi sento io. Non ero mai stata tanto meravigliosa rispetto a quando stavo con te. Ero nel mio meglio. Ero la mia luce. Ero così tanto e mi hai lasciato lo stesso. Mi hai frantumato come se non valessi nulla. Come fossi un ostacolo da saltare, una bugia da lasciare indietro. Ti odio.
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lecasebianche · 9 years ago
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21816
Come in un oracolo, ascolto le mie profezie. Accolgo profumi che mi infrangono, vengono da mondi altri, non troppo lontani, collegati da fili spessi solo il giusto. Guardo all'indietro, vedo ponti nelle mie giravolte, anche quando mi sono sentita immobile - non sono mai stata ferma, solo in cerca di una ripartenza. Mi sembra un abisso, ritrovarmi senza morire, che è più difficile ritrovarsi a vivere. Oggi mi sento vicina a te, non ti ho mai conosciuto, ma in queste notti mi hai dato abbracci e forza per accettare - regali, sorrisi, stravolgimenti, imbarazzi - coraggio per tornare giù, giù dentro il mio Sud, giù nella mia casa. Con la mia anima aperta, ti dico grazie e ti benedico.
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lecasebianche · 9 years ago
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3816
Tutte le mattine c’è un sole estivo che non riesco a fermare. Come la tua rincorsa, mi buca. Il tuo camminare all’indietro, niente più voglia di camminare assieme, tenermi la mano, baciarmela. Il sole di Agosto mi sembra felice. Sembra arrivato, puntuale, atteso. Le strade di svuotano e non c’è niente da fare. Le persone sono al mare, ad annoiarsi come farebbero a casa, a cercare di staccare da tutto, a litigare. Ripenso ai giorni caldi di un mese fa in cui non vedevo sole. Avvolta nelle mie tende, pizzicata fastidiosamente dalle mie lenzuola, non vedevo niente. Sentivo. Ripensare alla fine di me e di te mi fa stare male. Potrei non pensarci. Potrei dileguarmi e piovere, piovere un poco, scoppiare teneramente come acqua, che raggiunge la terra, e implode/esplode, non saprei, nello stesso momento in cui diventa bolla. Penso al tuo cellulare staccato affinché non potessi raggiungerti. Come se servisse. Mi avevi già spinto via. Il mio unico rimorso è che sarei dovuta andarmene, con fierezza, indicandoti la strada da intraprendere per scappare più velocemente, rimettermi i pantaloni, mettere da parte le mie vesti stanche, quelle da cui con te mi ero spogliata. Quando penso al male, ai giorni passati a decostruire i miei comportamenti, a soppesare quanto non fossi abbastanza, mi sento ancora nuda. Mi sento nuda e fragile, benché è da quand’ero bambina che non sono più fragile. Le ossa di vetro non le ho mai avute. Forse desiderate, per giustificare una decina di giorni chiusa in casa, distesa sul letto, immobile, mentre tu sei corso. Un po’ di strada la volevo fare assieme. Non avevo in mente stasi, ma neppure una fuga. Invece tu sei fuggito davvero. Non so da cosa e non lo sai neppure tu, credo, quindi forse è meglio che smetta di pormi questa domanda. Non so neppure come abbia fatto a scegliere un rimpianto a un rimorso. Non so dove hai trovato le tue ragioni, non so perché hai lasciato prevalere l’inettitudine. Non ho risposte e non le avrò mai. Fatto sta che corri proprio bene, questo te lo devo. Avrei bruciato, fossi in te, le espadrillas amaranto che ti ho regalato, perché sono troppo belle e potrebbero/potranno/avrebbero potuto portarti da qualsiasi parte. Ma forse ci cammini ancora. Non butti via niente, no? In questo forse siamo simili. Sei in parti. Sei in parti disorganiche, cruente, fragili davvero. Forse ti ho spaventato io - come temevo, come temo sempre, come accade sempre -, forse la vita, forse doveva andare così, forse non sono abbastanza, forse non so più scrivere. Lo accetto. Accetto il sole estivo, la rincorsa, il non chiedermi più cosa fai e se sorridi, il non chiedermi più se ti chiedi cosa faccio, se sorrido, con chi sono, se indosso il mio rossetto viola e se sì le labbra di chi sto imbrattando. Ricordo le tue. Rossissime di me, ma sempre sempre tiepide. Provo a farmi forza, ad accettare la vita e le giornate così come sono, perché non ne posso più di portare lutti. La vita continua anche senza di noi.
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lecasebianche · 9 years ago
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25716 - dieci giorni dopo
Sono trascorsi dieci giorni da quella sera chiusi in casa mia, nonostante ciò le pareti sono ancora silenziose come la tua voce strozzata. 
In questi dieci giorni ho perso e ripreso un paio di kg, come la testimonianza tangibile, rotolinica, del fatto che mi senta uno yoyo. Sono caduta da queste montagne russe e non lo volevo, preferivo altri quattro giri in vortice a testa in giù, sì, l’avrei addirittura scelto. E invece sono qui, a letto, di nuovo, a chiedermi se hai già raschiato via il mio corpo. Se sei stato con qualcun’altra. Non mi riguarda, lo so. Non mi riguarda più chi ti abbraccia, chi ti sorride, chi ti accarezza il mento e ti dice che sei veramente bellissimo. Allo stesso modo non deve interessarmi dentro chi stai, dentro chi rimani, sulle culle di quali ventri ti addormenti - non il mio, ma ho comunque ogni giorno un peso sullo stomaco. Ammetto che neanche riesco a pensarci, allo stare con un altra persona, dico. Al fare sesso e cancellare l’amore. Quello che avevamo era vero, l’hai detto anche tu, trattenendo male le lacrime, in un corridoio asfissiante, decorato ogni dieci minuti circa dalla voce elettronica che annuncia il treno per Garibaldi - NON OLTREPASSARE LA LINEA GIALLA. Vorrei anch’io non aver oltrepassato la linea gialla. Non essermi un pochino affezionata alla stupida scaramanzia dei tuoi boxer verdi, quelli che indossi quando vai a fare gli esami, penso mi ci sia affezionata perché è divertente, è divertente constatare che tu creda di averne bisogno. La parte meschina di me, quella che non mi piace, vorrebbe essere rimasta dietro la linea gialla, all’interno della propria comfort-zone a godere in silenzio dei paesaggi passeggeri. Invece sono saltata. Mi dico, per risollevarmi, che se non mi fossi lanciata non avrei ancora mai fatto l’amore. Perciò non è ancora il momento di cancellarti. Lascerò il tuo alone dentro di me ancora per un po’, così come il tuo spazzolino accanto al mio.
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lecasebianche · 9 years ago
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20716
Mi dicono dalla regia che dovrei essere arrabbiata, tanto. La verità è che infondo non devo sforzarmi troppo. Certo, c’è la tristezza assassina che vela le cose e non mi permette di osservarle lucidamente. C’è il tramonto catturato nei pannelli solari del terrazzo di J. e i miei jeans appena lavati infestati di polvere di calce. C’è lo spritz a Bellini e il tuo dirmi “meglio che non siano ammessi ospiti nel dormitorio, così sono più tranquillo”. L’immagine della Lituania come posto fiabesco, in cui perdere i fili rossi del reale, costruirsi i propri reami, eruttare poesia. Una parte di me pensa all’effetto che mi avrebbe fatto vederti seduto ad aspettarmi lungo il Vilna. Saremmo scesi nel letto ghiacciato del fiume, ci saremmo seduti sull’altalena dei desideri, grandissima - su cui c’è spazio per tutto - e avremmo guardato le nuvole senza che occorresse nessuna musica. Ma non andrà così. Le nubi che scaricano nella tua mente non mi è dato conoscerle, figurarsi risolverle. Quindi, probabilmente lo scrosciare dei tuoi trip proseguirà inalterato, senza che io possa muovervi un dito. In sincerità, non ho in me l’ambizione di salvarti, non l’ho mai avuta perché pensavo fossi già salvo. Ricredermi mi mette in difficoltà. Come cambiare un quadro o soccombere allo scorrere novizio di foto su una cornice digitale. Accadrà così? L’immagine che ho di te cambierà da sola? Non sono troppo speranzosa a riguardo. Posso sostituire i tappi di bottiglie stappate assieme e lo scricchiolare dei nostri letti con i ricordi turbati, devastanti dell’ultimo Luglio. Una me risucchiata di tutto che giace a letto, le dispense rotte dell’esame che mi guardano a distanza di sicurezza dal piano bianco della scrivania, un tic nervoso, ossessivo, al mio telefono cellulare. Non ha risposto, ha visualizzato alle, chissà cosa sta facendo, chissà con chi è, chissà come sta. Immaginare come stessi lì a casa m’ha portato via parecchie ore di luce. Avevo reso te parte della mia luce, mi dico, quando penso che forse, per questo, è normale che ora mi senta un po’ buia. Non mi sentivo buia da un sacco di tempo, da quando con le persone che amo ho imparato a ritagliarmi i miei spazi, a portare i miei tempi. E il fatto è che io inguaribilmente ami le persone. Mi fido, mi lascio andare, ci credo. Non vorrei che questo lato di me cambiasse per colpa tua. Benché mi senta sepolta da una coltre di nuvole, non vorrei ritrovarmi trasformata, modificata in peggio da un piccolo tarlo. Non vorrei notare d’essere diventata arrendevole verso le persone. Gli esseri umani sono piccoli ingranaggi complessi. Hanno bisogno di resistenza. Io pure, ne ho bisogno. Ho bisogno di resistenza e basta. È tutto quel che chiedo mentre mi lascio divorare, ora, dalla rabbia e dalla malinconia, grande stronza, che quando scorre mi fa pensare a te come a una vittima. Ma non sei una vittima. Sei forse davvero un’egoista. Un rinunciatario. Io non voglio essere così. Non voglio che gli eventi, un sorriso mancato per colpa di una giornata storta, una parola pronunciata male, tutte le scuse del mondo, una malattia superficiale, le paure si mettano tra me e quello che voglio. In questa fine di questa storia sono stati pronunciati svariati detti che, per quanto mi riguarda, sono distorti. Il primo è lontano dagli occhi, lontano dal cuore: non significa esattamente un cazzo. Mi piaceresti e mancheresti - per come ti ho conosciuto, per come ti sei mostrato da Aprile a Giugno - anche se andassi a vivere su Marte. E sfido tutti gli uomini di questa terra ad emulare la mezzaluna glabra del tuo mento o la nocciola dei tuoi occhi. Il secondo è volere e potere, e questo qui un po’ mi perplime. Poiché voglio quello che voglio, lo so così bene che a volte mi spaventa, l’indecisione è una maschera - la stessa che indossi tu quando pronunci il detto di cui sopra. Lo so così bene che mi spingo, mi distruggo, le provo tutte (ndr: non voglio essere arrendevole) fino a quando non ottengo quello che voglio, e se non ci riesco, almeno la smetto solo quando sono sicura di essere stata e rimasta fedele a me stessa. Tuttavia, mi rende perplessa, perché non vale per tutti. Non vale per chi lascia che le difficoltà del caso abbiano la meglio, non vale per chi lascia vincere la vita, per chi si abbandona alle circostanze come se, e sarebbe una scusa bellissima, non fossimo stati dotati di libero arbitrio. Mi arrabbio quando penso che hai osato dire che “sì, deve andare così, per forza”. È assolutamente falso. Niente o nessuno ti ha ordinato di puntarmi una pistola al petto, distruggendo lo spazio tra i miei seni che avevamo misurato con la tua mano, al fine di lasciarmi. Niente ti ha costretto ad abbandonare me e quello in cui stavamo credendo assieme. L’hai deciso tu. Io l’ho subito. Questa breve excursio descrive bene il fatto che tu non sia una vittima. Tutta questa lucidità riassuntiva che sto dimostrando mi terrifica: che tu possa anche non mancarmi per tutti i giorni della mia vita? Non so, è un’ipotesi, la vera me neanche in questo caso si sente troppo speranzosa. Probabilmente mi mancherai. Ma non mi mancherà il te che mi ha lasciato indietro, il te che è scappato (dal bene, dal male, dal dolore a posteriori, dall’odio - non condivido, non so odiare nessuno e non voglio imparare, neanche in questo momento ti odio, non avrei mai potuto odiarti neanche se fosse finita tra due anni), il te che si autocommisera come uno sciocco incapace di vivere e poi vola in Palestina a portare aiuti umanitari. Okay, questa era cattiva. I’m sorry. Mi mancherai tu che parli di vivere e andare ovunque, quello che mi invita al campo scout e dice “guarda che dormire da soli al buio sul cocuzzolo della montagna è un’esperienza meravigliosa, ti tempra!” conscio anche del fatto che se una notte non metto in carica l’iPhone vado in ansia e rischio di scombussolare seriamente i miei ritmi sonno-veglia. Mi mancherà la persona che mi incoraggia a studiare russo e mi dice “ti faccio studiare io, seriamente, si inizia alle 8.30”, oppure mi burla quando infinocchio le docenti con quello che esattamente vogliono sentirsi dire e porto a casa un altro 30L. Mi mancherà questo di te. Mi mancherà vederti venirmi incontro e chiedermi di portare il mio zaino troppo pesante. Mi mancherà la tua pelle e l’odore strano che avevamo al mattino. Mi mancheranno le cose semplici di cui prima di incontrarti facevo assolutamente senza, perché con te è stato semplice.
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lecasebianche · 9 years ago
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12716
Domani potrebbe essere l’ultima volta che ci vediamo. Penso a questa cosa, la frase prende vita, sento un peso che aleggia nella mia stanza da letto, qualcosa plana, o meglio, si schianta su di me. Penso al fatto che vorrei che, se fosse l’ultima, tu riempissi un’altra volta le mie pareti. Solo un’altra volta aprissimo la porta di casa mia. Il bianco della mia casa mi ha sempre rassicurato. Il bianco che contiene e trattiene i colori, mi lascia pensare tranquillamente, non aggiunge niente ai miei ricami, non mi soffoca con altri guizzi, non mi distrae da niente. Ma adesso quel bianco mi fa paura. Se davanti a me ci fosse di nuovo una pagina bianca e io proprio non la volessi? Se quei muri non ti vedranno più? Chi voglio prendere in giro? Io sono i miei muri. Io sono Bianca. Trattengo tutto. Ma con te non è stato così. Con te sono stata rosa, quando ti ho visto la prima volta e mi sono sentita disorientata, perché il vederti contrastava precisamente con l’idea schematica concretizzatasi nella mia testa: che non ti saresti presentato. Sono stata rossa, quando ti ho baciato, investendoti del piombo del mio rossetto matte, saltando giù da un marciapiede che dava sul mare. Mi sono sporta verso di te, mentre ti dicevo: “No, io di solito nella vita mi butto…” E quant’era vero? Moltissimo. Mi butto e vedo quello che succede. Lo faccio da quando ho capito che star male dopo mi fa sentire pur viva, rende me stessa me stessa, va così da quando ho capito che restare in disparte ad osservare, a passar su agli eventi che la vita sa far succedere - mascherandoli nella veste di banalissime e sciocchissime casualità - mi faceva troppo male, mi rendeva succube di un buio che non sento (più) mio. Con te sono stata blu. Ed è stato il miglior momento di tutti. Eravamo a casa tua ed avevamo troppa voglia di stare assieme. Ma non l’abbiamo fatto. Sono tornata a casa il giorno dopo, in metropolitana ho ascoltato Calcutta e ho riso, ho riso ripensando ai giorni d’inverno infiniti, a quando ascoltavo Limonata e avevo il coraggio di trovarla profonda. Con te sono stata gialla. Un puro sole, una stella, un cocktail estivo, quando ci siamo spogliati per la seconda volta e ti ho detto che andava tutto bene, ci siamo poi addormentati di giorno. Prima abbiamo parlato di tutto. Ora quel tutto lo ricordo globalmente come bello, ma non riesco a scinderlo in piccole parti. In questo tutto, in tutto questo, io non mi sento più Bianca, ed è una cosa forte da dire. Bianca è il riparo, l’ostello giovane, la mente rigida, i binarismi stanchi. Con te questi colori - mi sento nutrita. Non penso riuscirò mai a tornare Bianca. Spero che i muri di casa mia siano gentili con me. Spero mi capiranno quando tornerò, chissà que sera, forse senza di te, e sarò un dipinto astratto, perché non posso lavare via questi colori da me. Non posso lavare via le tue braccia, la linea dritta del tuo naso, la nocciola dei tuoi occhi, la tua fronte chiara. Non posso cancellare la gioia che mi fa vederti i piedi tinti d’amaranto, né il mio voler essere, come nel tuo sogno, la tua scarpa sinistra. Se non sono più al riparo, dentro di me, dentro la mia casa bianca, allora non lo so dove andrò. Da quando sei entrato dentro di me, la luce mi offusca. Il buio lo odio. Il fatto è che, se domani è l’ultima volta nella vita che ci vediamo, non posso permettere a me stessa di diventare un infrarosso. Gli infrarossi non li vediamo. Ed io ho bisogno di vedermi, di sentirmi, di giocarmi, poco più o tanto quanto abbia voglia di vedere te. E così spero lo specchio non mi bruci, spero di non cadere ma neppure di stare sdraiata a terra. Spero di vivermi ancora. È tutto quello che voglio. Anche per te. In silenzio anche ti amo.
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lecasebianche · 9 years ago
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27416
Mi fai venire voglia di guardare i film, che è sotto sotto una dichiarazione d'amore Di quelle silenti, specchiate negli occhiali appannati di un Aprile - maschile in russo, una prospettiva linguistica che influenza il pensiero quando proprio non sai dirmi che colore è.
La ritrovo e cammino la terra, madre, ingerenza, flemma - che avevo data per scontata e invece è sempre stata, eccola, accanto ai miei piedi, in orizzontale, a farmi spazio per tutto quello che mi serve.
Nascita rossa di falene che bucano gli stomachi, quanto mi piace, sentirmele perforare il diaframma e farmi mancare il fiato, e farmi mettere in dubbio le pietre della mia voce e farmi calare la testa per guardarmi la terra che risale, pianta radici, giù da dentro.
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lecasebianche · 9 years ago
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18516
Se mi dai una bussola, io nella nebbia ci vengo. Tenere la tua acqua in bocca, mi sveli gli uragani del tuo tè, in una pentola a vapore, in un letto di aghi - ci trovo un elastico. Un mare di fionde mi lancio, dove? lo sento, che lì c'è la casa le radici di spuma si schiudono rosa D'autunno i vigneti del tuo passo, i nostri piedi - cicatrici da incidere, mi trovo tra le rotte, chiuse di baie dove sei caduto e tornato. Polvere diventa altro su di una scogliera vola e si mischia - tutto che diventa bosco se sei audace e provi, non conoscendo il sentiero, non volendo conoscerlo in anticipo. Venti da te alimentati, correnti che vanno piano mi cullano i tuoi profumi raccontati da conchiglie intonate direttamente nel mio orecchio.
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lecasebianche · 9 years ago
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9716
Il mio mondo a due Incontrarti è stato riconoscerti. Due mesi fa, una forza subacquea mi ha teso una mano e quella mano nera, aperta, indirizzata verso la vita è stata uno squarcio. Ho sempre saputo di essere fatta di acqua, ma credevo di essere cristallizzata, una crisalide d’ambra racchiusa nei miei stessi pugni. Poi lo squarcio, un allentare di pugni e menti, una via da seguire, senza lampioni, senza certezze, da seguire coi sensi, gli occhi annebbiati ma con i pugni che diventano palmi. Incontrarti è stato riconoscerti. Come vederti di nuovo, ma per la prima volta. Penso di non essere stata io a decidere di cercarti, di volerti scoprire a tutti i costi. Penso che la mia energia vitale stesse inseguendo, fiutando un profumo noto, qualcosa di più grande. Io sono soltanto stata al gioco, ho lasciato che le mie ali si graffiassero, che le mie strette su me stessa si allentassero, che diventassi acqua, che accogliessi i ricordi di ciò che in me non sapevo ci fosse. Così, il nodo di me stessa, il movimento che in sé si esprime e si rinnova, il punto esatto in cui siamo materia e forma, si è immerso nel tutto. Nel tutto ti ho visto ancora. Ho visto la delicatezza del tuo pensiero e la forza dei tuoi obiettivi. Ancora una volta ti ho riconosciuto, nel leggerti, perché entrambe le nostre energie vogliono mangiare il mondo. Abbiamo fame. Essere a due con te è stato il mio modo di rendermi conto che posso stare da sola ma posso essere in due, che la mia natura duale, la mia idea di felicità non è destinata ad essere solo un’idea, chiusa in un ripostiglio perché qualcun altro la faccia propria. La mia idea è il mio valore, la mia stima verso la vita, verso l’offerta, verso la mano tesa. Accoglierti è stato trasformarmi, credere in una parte di me che avevo anestetizzato nel timore che brillasse troppo. Con te è stata pura luce e ti amo nel modo in cui abbiamo illuminato tutto assieme. Nel modo in cui la vita ha smesso per un po’ di spaventarmi: con te è stata più dolce. Rincontrarti è stato riconoscere un flusso di qualcosa di simile a me. Vedere la vita da due binari paralleli, piuttosto che sentirmi cieca. Per questo motivo ti salto, ti celebro, ti ricerco, ti accolgo, ti lodo nella tua sete. La tua sete e le tue paure sono anche le mie, circoscritte nel paradosso di non essere all’altezza di un mondo che ci vuole piccoli. Io mi sento già grande. Mi sento così grande che molte parti di me sono sfuggite al mio controllo. Molte parti di me sono sfumate in un tutto senza cornice, perché ho lasciato che la cornice che mi teneva salda, cristallizzata, ferma, diventasse, invece, effimera. Nell’effimero ho trovato la spinta di me stessa, il rischio di perdermi e ritrovarmi in forme nuove che non sapevo di poter assumere. Il rischio di guardarmi nei tuoi occhi, specchiarmi, percepirmi diversa, ancora, ancora, diversa da due minuti fa, leggera, sciolta nell’essere. Con te ho sentito la felicità a due e non riesco a lasciar andare questa profonda affinità tra anime. So che non ci credi e questo è uno dei motivi per cui mi credi, forse a ragione, pazza, ma nel riconoscimento delle nostre anime, ho trovato il tuo ritmo. Così ti ho ballato, ti ho riso, ti ho accarezzato, ti ho visto tremare, ti ho visto vedermi. Questo tuo ritmo mi accompagna in questi giorni come una nenia, che non mi fa addormentare. Qualcosa dentro di me vuole ancora ballare, bere dalla tua fonte e darti aria dal mio diaframma. So, perché lo sento in tutti gli incroci del mio corpo, che sei un’anima speciale. Sei la bellezza che la vita ha voluto mostrarmi. Sei l’energia simile, anche tu, lo slancio e la forza, la cautela di prendere dal mondo senza calpestare niente, la fragilità nelle ammissioni, il daimon che bussa, da dentro, per uscire e rivoluzionare tutto. Non so, sinceramente, cosa accadrà alle due nostre anime di questo momento. Non so se riprenderemo a vagare, nelle nostre certezze e solitudini in cui ci sentiamo stabili e forti o se ci lasceremo andare a questa cosa grande. Non so neppure se questi giorni sono una separazione in vista di circostanze che crediamo di non saper affrontare. Non so se semplicemente questa energia è fiorita nel suo tempo massimo ed ora deve ritrarsi, affinché le nostre vite continuino ciascuna all’interno dei propri margini. Non ho niente su cui riversare colpe e frustrazioni, non ho niente a cui aggrapparmi: né il tempo, né il coraggio, né i kilometri. Mi sento sciolta in me stessa in un barlume di ciò che vorrei fosse ancora perdizione con te, rivolta con te/in noi, cammino di me/di te/di noi. Se i margini non combaciano più, non so se sperare di vederti di nuovo, ma per la prima volta, ancora, perché qualora accadesse, se la vita ancora decidesse così per noi, saprei che il mio amore per te sarebbe rimasto intatto, custodito in una delle grandi parti di me, in uno dei sintagmi che mi rendono piena di spazio, complessa, bella, ingombrante. Se accadesse, saprei che il mio amore per te non sarebbe andato da nessuna parte se non qui.
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lecasebianche · 9 years ago
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2416
Sono qui, faccio una verticale sul letto il mio baricentro si sposta nel tuo diaframma scomposto - abbiamo giocato a romperlo, di mattina presto - mi ricorda, il fratturare dei tuoi pacchetti azzurri, i coni-spade che hai nel retro degli occhi.
Me ne sfili una e la mia gola si taglia, l’allergia torna ad Aprile come i miei piedi liberi, questi - i miei versi di suture - sono una soluzione ma satura, un bemolle in discesa, troppo lieve, lo sento appena e con le uniche braccia che mi restano non riesco a prenderlo.
In una rincorsa ciclica mi scopro ferma, fuori è molto meno buio di me.
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lecasebianche · 9 years ago
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17216
Vuoi sentirti dire che verrò da te, che ti darò il mare che mi scorre dentro, mi farò prosciugare, mi farò bere ma il mare è mio
Sei passato come un treno - ti ho dato la precedenza in un sorpasso di genti “vai avanti e imbattiti” ho pensato “in quello che vuoi”
E non c’è male nel come stiamo, il mio sale non mi secca solo non torno indietro perché non saprei orientarmi nella tua sosta
Vedo la sosta e non mi piace, sto camminando piano e mi lascio volentieri sorpassare - chi si ferma è perduto, ma anche chi zoppica lo è, dentro di me nuoto so in che direzione
Piano, non c’è male ma non ti dirò quello che vuoi sentirti dire sarò sola, piuttosto di avere una crisi esistenziale. Esisto nel mare.
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lecasebianche · 9 years ago
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301215 finalmente
Ripenso a quest’anno, a quante cose ho perso e non posso più toccare. Sono qui e non ho idea di come ci sia riuscita, non so perché non sia andata persa anch’io assieme a tutto il resto. Vedo il buio affacciarsi dal tramonto e sussurrarmi ricordi alle guance: primule chiuse in se stesse in un lembo di cortile in Germania, notti insonni per una voce che buca i corridoi, telefoni troncati come parole ossitone - non trovano misura, perché, diversamente dalla metrica, non c’è niente da aggiungere. La mia prima notte da sola, nel silenzio della mia casa bianca, immersa nel tripudio-orrore del percepire esattamente ogni mio movimento: mi riconosco mentre sto male o bene, ascolto il mio passo - ne misuro il peso e il ritmo, trovo le mie dita annodate alla finestra - per evitare che soffochi, per avere, in caso di esplosione, una via attraverso cui disperdermi. Le successive notti e gli accenni di vera insonnia, una telefonata che ha il sapore di una ninnananna. Lo studio incoerente, irrazionale, turbato ma che ancora mi elettrizza e, paradossalmente, mi premia. Fiori, sbocciano a Maggio, kg che se ne vanno in un niente, stress accumulato, mancanze - se non ne avessi non mi lamenterei mica. Mia madre e i suoi sensi di colpa, esploro la differenza che c’è tra essere sola e sentirmi sola, probabilmente mi trovo nel mezzo. Napoli che risplende a Giugno ed io che sono dietro una tenda. La voglio spezzare, la voglio cucire, la voglio assottigliare? La rompe un tuono - sono alla vita aperta, ma la mia è cascata in un “purtroppo” e non vedo scale. Le possibili interpretazioni del purtroppo in baci etilici, dimenticabili e belli punto. La mia genesi in una parola. Finalmente dopo sei mesi riesco a pronunciare di nuovo questo cazzo di avverbio. Perdermi. Perdersi come persona. Viaggio come anestesia. Sua Biondezza ragazzo medio random nato a Vilnius, a che serve la chirurgia se posso rifarmi gli occhi? Però in realtà non vedo granché bene. Un bacio sulla guancia mi lascia sbigottita, forse, lo ammetto, tremo; forse, lo ammetto, spavento, perché tremo e ne vado fiera. Poi il caos, tutto assieme - volevo essere un altro giorno una volpe, ma devo diventare d’acciaio e non piangere molto e non arrugginirmi, funzionare, ragionare - anche se non lucidamente, almeno provarci - per lei, che mi lascia. Sperare con tutta la mia energia che apra solo un attimo gli occhi. Solo un attimo. Crederci. Ci credo, mentre le parlo piano all’orecchio - accade, ma me lo dicono dopo, sono così, calata su di lei, presa dal respirare forte l’odore della sua pelle, dal trattenere su di me il più possibile il ruvido dei suoi capelli, che mi perdo i suoi occhi, stanchi. Devono essere stati belli come sempre. Grazie per avermi sentito. Novembre è un buco. Dura meno la luce del giorno che uno x dei miei pensieri. Giocare a non avere sentimenti - un abbraccio che vorrei portare via con la carta vetrata, solo perché non mi è stato né sarebbe potuto mai essermi sufficiente. Perdermi. Concerti annullati che non mi bloccano. Città piccola questa, vero? E invece mi trovo. Senza senso e con la nebbia tra i capelli, il riflesso di tramonti trasversali da una finestra immensa direttamente nel mio sguardo, nei bicchieri spaiati riempiti con persone che non conosco. Ci sono e vado benissimo così, imperfetta e senza pretese su di me. Non aspettarsi niente è meraviglioso. Tranquillità. Mediocrità oraziana, diocristo, avevi capito proprio tutto davvero. Non voglio niente dagli altri, solo da me voglio che io stia bene. Solo da me voglio la cura per me, e me lo ripeto come un mantra che mi fa sentire sia pazza sia, proprio perché folle, sciamana. Dicembre come rinascita di me in me, non c’è nessun movimento né verso fuori né verso dentro. Verso il mio ultimo pianto. Me lo concedo, dopo aver capito che anche se l’anno lo chiudo in perdita non potrò mai perdere me stessa e questa è, per finire la mia adolescenza (ndr. battuta adolesenza), la mia più grande vittoria.
Buona fine, 2015 non potrò mai dimenticarti, ma starò bene lo stesso
Carmen Demetra
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