Tumgik
lucianopagano · 6 days
Text
Bloch spietato
Ecco un’idea di come sia pregiudiziale ogni affermazione su un’opera, un autore, senza avere letto l’opera, l’autore. La scrittura cela in sé molteplici anime, chi scrive le possiede tutte. Prendiamo a esempio Ernst Bloch, il filosofo dell’Utopia, il filosofo del Principio Speranza, il filosofo, per dircela fuori dai denti, che solo oggi ha forse trovato una collocazione degna, oggi che le correnti sono liquidate e dissolte nella pillologia da comodino. Ecco, Bloch nel suo «Tracce» (Garzanti), un capolavoro, scrisse, con buona pace di chi lo mette nelle file degli speranzosingenutopisti: «Infatti, se si guardano il cibo, le serate, le domeniche della maggioranza degli uomini, non si capisce come possano restare in vita».
Tumblr media
0 notes
lucianopagano · 11 days
Text
Irrompere nell'immaginario con visionarietà
Tumblr media
Bisognerebbe avere la forza di irrompere nell’immaginario con una visionarietà eclatante, debordante, deragliante, al di là di tutto ciò che è stato immaginato in precedenza. Così soltanto si può costruire in quella zona di un’eventualità creativa che fa nascere il nuovo facendo percepire il precedente come remoto, e non solo passato. Allo stesso tempo facendo percepire il presente come già gettato in avanti, giano, ancipite, di un futuro anche esso denso di remote conseguenze. Un’immagine che può tradurre questo concetto è «Underground» di Emir Kusturica, di quasi trenta anni fa. Chi poteva attendersi una metafora di questa portata, in tal senso, una rivoluzione?
0 notes
lucianopagano · 24 days
Text
Telepatia
Nonostante tutto resto dell'opinione che la telepatia, se ben utilizzata, è il mezzo di comunicazione migliore di cui disponiamo.
0 notes
lucianopagano · 25 days
Text
«Il maestro e Margherita» di Bulgakov, a un certo punto sbrocca. Mi riferisco alla scena in cui Margherita raggiunge la festa infernale. Una scena analoga, più articolata e solenne, forse, ma altrettanto delirante «dall’interno», è contenuta anche nel Pendolo di Foucault, di Umberto Eco, quando si incomincia a comprendere il «disegno» che ha attraversato i secoli. Nell’Ulisse di Joyce, che inizia con una parodia di messa, c'è a un certo punto, nel colmo del delirio verbale-immaginifico del bordello, una contromessa sabbatico infernale. Ecco, tre opere di autori diversi, nel tempo, nello spazio, nella provenienza, in tre romanzi differenti, tre classici di cui uno, Eco, vicinissimo. Ce n'è abbastanza per divertirsi?
1 note · View note
lucianopagano · 26 days
Text
«un insuccesso che ha scansato ogni dubbio mettendo finalmente d'accordo critica e pubblico»
0 notes
lucianopagano · 1 month
Text
Letto «La valle oscura» (Adelphi) di Anna Wiener, un bel romanzo che affronta – tra i molti affrontati – il tema della disparità di genere nel meraviglioso mondo delle start-up multimilionarie di San Francisco.
La lettura è stata l'occasione per conoscere la scrittura e la figura di Jo Freeman (aka Joreen), della quale viene citato un intervento interessantissimo, del quale riporto il link qui di seguito.
«The Tiranny of Structurelessness»
Tumblr media
https://www.jofreeman.com/joreen/tyranny.htm
0 notes
lucianopagano · 1 month
Text
Sono tutti paesologi col paese degli altri.
1 note · View note
lucianopagano · 1 month
Text
De Angelis, Celati, Terrinoni, Biondi, Darwin e l’origine delle specie.
Parto dal titolo darwiniano, che è per l’appunto «L’origine delle specie», con specie al plurale, perché non ci si riferisce alla specie somma, la specie grandiosa, scherzo, insomma l’uomo. Per quella, sempre dello stesso autore, c’è «L’origine dell’uomo». Ma veniamo al dunque. Ieri stavo rileggendo l’Ulisse di James Joyce, nella traduzione di Gianni Celati uscita con Einaudi, quando mi sono accorto di una cosa che non avevo notato. Celati, nel penultimo capitolo, quando Joyce cita le opere di Darwin, traduce con «L’origine della specie». Sfoglio una versione tascabile in lingua originale e non ci sono dubbi sul fatto che Joyce abbia scritto il titolo corretto, «The origin of Species». Così per curiosità sfoglio la versione di Giulio De Angelis, della Mondadori – il primo Ulisse non si scorda mai – e anche lì trovo «della specie». Così per togliermi il dubbio prendo la versione di Enrico Terrinoni con Carlo Bigazzi, quella della Newton, in attesa di procurarmi quella con Bompiani, non prima dell’estate perché il tempo vola. Terrinoni traduce correttamente con «Origine delle specie». Mi era rimasto un ultimo dubbio, la versione di Mario Biondi uscita per La nave di Teseo, anche lì trovo «L’origine della specie». Riflettendoci mi sono dato come spiegazione, più che una svista, il fatto che l’opera di Darwin, come capita ad esempio al romanzo di Salman Rushdie, Versi satanici (Satanic verses), sia più citata che letta, tanto che anche della seconda c'è chi la cita dicendo «Versetti satanici», titolo mai assegnato all’opera di cui esiste in Italia un’unica versione, edizione e traduzione.
1 note · View note
lucianopagano · 2 months
Text
Semafori visionari
Uno che passa col semaforo rosso in fondo è un visionario, uno che passa col rosso è uno che vuole andare avanti mentre tutti gli dicono di fermarsi, perché sa che prima o poi quel semaforo tornerà a essere verde, ma non c'è tempo. Il mondo non attende che la visione diventi realtà, ti fa una multa se passi col rosso e appena diventa verde ti passa sopra. Sbagliatissimo ragionamento. Non si passa col rosso.
0 notes
lucianopagano · 2 months
Text
Appunti per una presentazione di «Se tolgo il nodo», Anna Rita Merico
L'1 marzo 2024, a Maglie, presso la Galleria Capece, nell'ambito della rassegna «Il marzo della poesia» a cura della Fondazione Capece, si è tenuta la presentazione della raccolta di Anna Rita Merico «Se tolgo il nodo» di recente edita da Musicaos Editore. Qui di seguito il testo del mio intervento.
§
L’immagine del Minotauro nel racconto di Friedrich Dürrenmatt, posta in principio di «Se tolgo il nodo», pone l’attenzione su due elementi. 
Il primo, più evidente, è l’invito a osservare la diversità in modo differente, ovvero a guardare diversamente tutto l’impianto di valori con cui la mitologia si racconta attraverso i secoli. Il Minotauro infatti è una figura che in nessuno di noi, nella sensibilità comune, ispirerebbe fiducia, tenerezza, compassione.
Il secondo aspetto è nel carattere del Minotauro, che è un figlio mostro non voluto, nascosto all’interno di un labirinto. Come ci ricorda Juan Eduardo Cirlot, nel suo «Dizionario dei simboli», il labirinto viene costruito o raffigurato anche per intrappolare i demoni che, una volta al suo interno, non sarebbero stati in grado di sfuggire da esso; sempre Cirlot, citando Mircea Eliade, scrive che compito del labirinto è quello di proteggere il Centro, il Mistero. 
Il Minotauro posto in questo nuovo labirinto è un mistero nascosto, è un invito a entrare in una dimensione in cui si attueranno diversi capovolgimenti di senso.
Tutta la struttura di «Se tolgo il nodo» procede per inclusione di un nucleo nell’altro, dai ringraziamenti a Mario Tobino, Franco Basaglia, Michel Foucault, Ronald Laing, all’ingresso nell’antro del labirinto del Minotauro, alla nota di Antonio Nazzaro che precede i testi, ed è inclusa a sua volta nell’“opera”.
Anche questa traccia iniziale merita una nota, dato che gli autori citati hanno tutti a che fare con il tema della reclusione-isolamento associato al trattamento psichiatrico dell’anima. Sempre secondo Diel, ultimo citato da Cirlot a proposito di labirinto, quest’ultimo simboleggia proprio la psiche.
Quindi ricapitolando da questi primi riferimenti posti in principio di «Se tolgo il nodo», comprendiamo come questa raccolta si inscriva intimamente nel percorso poetico tracciato sin qui da Anna Rita Merico, decidendo di affrontare con la scrittura un tema legato al rapporto tra psiche, corpo, socialità, apertura-chiusura.
Non è un caso se la scelta cade su pensatori agenti nel sociale e non su filosofi o poeti tout court.
Il registro è volutamente intimo.
Il dialogo è tra forza bruta del fatto sociale, realistico, e reazione di un vissuto corporale, dove qui però è assodato che quando si parla di individuo si parla di un ente in cui anima e corpo condividono tutto, come sosteneva Friedrich W. Nietzsche nel suo Zarathustra, noi “non abbiamo” un corpo, noi “siamo” un corpo.
La “bava di ragno”, il linguaggio come “tentacolo filiforme”, sottolineano quanto evanescente sia il legame che dalla parola conduce alla cosa.
Il corpo è soggetto nella sua interezza, l’io non è un insieme organico privo di consapevolezza, l’io ha contezza materiale, nella riflessione, di tutti i suoi frammenti, che cerca di tenere costantemente uniti.
Espressioni utilizzate dalla poeta coma“affilata nientificazione”, “un filo potente scuce” riportano all’immagine di quel filo che serve per circolare nel labirinto senza smarrire la via del ritorno, “e perderò il dentro e il fuori / e non sapevo se la mente fosse oggetto tra gli oggetti”.
La poesia di Anna Rita Merico, che già in altri luoghi ha fatto i conti con un moto di decentramento dell’Io dal proprio mondo soggettivo, con un rifiuto pressoché totale di ogni rappresentazione e presentazione dell’Ego a scapito dell’individualismo, qui presenta una prima persona che pur avendo consapevolezza di ciò che esperisce col proprio corpo, si trova smarrita, persa e frantumata in particelle, “oggetto tra gli oggetti”.
C’è un testo, “Santità”, nel quale al corpo accade il trascendimento, un percorso transumano, quello che accade, prefigurato da più di trenta anni di arte performativa e adesso giunto alle soglie dell’estetica poetica. 
La trasformazione e la mutazione non sono tuttavia qui etichette di comodo, non si tratta di un manierismo tentato per mettersi alla pari di un “discorso generale” – anche poetico – in atto, proprio Foucault definiva un discorso come “insieme degli enunciati che appartengono a uno stesso sistema di formazione”, potremmo proseguire con ”sistema di formazione poetico”: 
«Se tolgo il nodo» è un richiamo implicito allo smarrimento vero, reale, tangibile, sanguigno, bavoso, scabroso, escoriato. 
«Se tolgo il nodo» il ritorno al di fuori del labirinto mi è precluso, sono perso.
Le “energie filate”, i raggi, ricordano la presenza di un corpo estatico nelle ultime poesie di Antonin Artaud.
In “Storie” c’è la negazione dell’amore nell’attesa, un corpo attende un altro corpo, ciò che arriva è un corpo che ha l’urgenza di trovare un oggetto, una discarica imbellettata come un manichino in vetrina, con l’ossessione che ritorna ciclica “bella bella bella bella bella bella”, ripetuta sei volte, svuotando di significato la bellezza. La ripetizione è utilizzata proprio per svuotare la poesia della sua funzione di ritornello accomodante.
C’è un rapporto di ridefinizione dell’oralità, nel verso frantumato che stilisticamente ha oltrepassato una fase legata alla rappresentazione poetica del linguaggio.
L’oralità della poesia è colta in presa diretta, sul corpo-ventre-stomaco, non dice più coi termini della razionalità, percorrendo però con raziocinio il crinale di un delirio lucido, “il mio stomaco è sottile linea di leppe [...] otre di rabbia”.
È importante in questa ricerca l’utilizzo del vuoto, degli spazi, delle percorribilità sulla pagina di un testo che è anche spaziale, territorio.
Anche se i presupposti teorici affondano le radici nel mito per una sua revisione, questa raccolta è con molta probabilità quella meno radicata, seppure l’azione poetico performativa si accompagni a diversi luoghi e relazioni «Se tolgo il nodo», quest’opera presenta un messaggio urgente, di scuotimento etico.
Quando l’autrice utilizza termini come “otre”, “cotenna di nervo”, richiama i termini di un’area animale. La sacca animale utilizzata come otre per l’acqua, l’otre in cui Eolo consegna i venti imbrigliati a Ulisse. 
Quello che si cerca è un disperato aggancio tra corpo e animale. “Digiuno in spirali nervose” ci dice che il nutrimento è acquisizione dello spirito, ma non perché il corpo diventa spirito, ma perché lo spirito non è stato mai altro che corpo.
L’immagine del filo che cuce, che sutura, che collega i punti della pelle, che unisce le carni, è altrove associata a quelle del graffio, della ferita, della crepa.
In testi come “Rostri”, “Fusioni” c’è la certezza che per Anna Rita Merico la parola non sia più un fatto referenziale, un circuitare tenuto a bada tra significante e significato.
La parola assume qui la stessa valenza che assume in teatro, nella singolarità di una scena vivida che non è solo raccontata. Tutti i richiami alla corporeità gettano un ponte di prossimità con il lettore che non può non provare ciò che legge, che appartiene a un suo passato remoto, rivivere lo strazio, se vogliamo, dello strappo, della perdita, perché è di sé stesso lettore che trova le tracce. In tal senso questa è una raccolta che presenta una visuale interiore che diviene nostra.
Una comunanza di isole che si incontrano, come accade nel testo “Abitudini”.
La suggestione di partenza è un gesto che lega, come un collare, che in realtà concretizza un’amicizia.
§
La poesia contemporanea, quella che dal secolo scorso lega autori come T. S. Eliot, Paul Celan, Josif A. Brodskij, Wisława Szymborska, e arriva ai giorni nostri con autori che legano il corpo alla scrittura, come Durs Grünbein – nel nostro paese potremmo citare Amelia Rosselli e Valerio Magrelli – è una poesia in cui il sostrato filosofico, le ragioni, sono sempre collegate a ciò che si scrive. La scrittura di Alda Merini è uno scavo profondo, a partire dalla psiche in dialogo con le fonti letterarie e bibliche, del suo vissuto corporeo, è anche per e grazie a lei se siamo qui a parlare di un “Marzo della poesia”, perché nel giorno del suo compleanno è stata fissata la data per la “Giornata Mondiale della Poesia”.
Concludo con una riflessione proprio sul significato della “Giornata Mondiale della Poesia”, in relazione alla scrittura di Anna Rita Merico. Quando diciamo “Mondiale”, diciamo che sarà la giornata mondiale della poesia anche in India, in Sudan, in Uruguay, in Siria, in Giappone; luoghi che se hanno subito il mito, come il Minotauro ad esempio e il Labirinto, come fattore culturale da ibridare con la propria esperienza. Il passo di Anna Rita Merico è un passo in avanti, nella consapevolezza che poesia e pensiero, inscindibili, devono discutere e mettere in discussione il mito. La “Giornata” in tal senso, non può essere concepita come “Giornata della Poesia Occidentale”.
https://musicaos.org/se-tolgo-il-nodo-anna-rita-merico-poesia-44/
0 notes
lucianopagano · 2 months
Text
Un giorno diverso dagli altri
Oggi parlavo con una poetessa della mia teoria del 29 febbraio, tutti dovrebbero averne una, avete quattro anni di tempo per averne una e altri quattro per metterla in pratica, e ancora altri quattro per smentire voi stessi e cercarne un’altra. La teoria è semplice, il 29 febbraio, anche se capita in un giorno feriale, datevi malati e trattatelo come un giorno di vacanza, se potete. Il mondo ruota attorno al sole e siccome utilizziamo un calendario di 365 giorni e 6 ore ogni quattro anni queste ore dispari si accumulano e diventano un giorno, ecco: quel giorno è come se ogni 8760 ore ce ne fossero 6 di troppo. E voi quel giorno non consideratelo. Di solito esco col cane quattro, sei volte al giorno, fino a notte, perché lui deve uscire per via della salute e dell’anzianità, oggi invece di una decina di minuti, a mezzogiorno, sono stato un’ora e mezza a spasso nella stessa villetta comunale. Domani devo presentare un libro, anziché ripassarlo ho scritto un'introduzione al testo, come se dovessi pubblicarla. Dopo avere lavoratp nel pomeriggio mi sono steso a occhi chiusi nella stanza vuota e ho fatto finta di prendere sonno. Ora sto leggendo il Dizionario dei simboli di Juan Eduardo Cirlot. Ecco, miei 80 lettori, siccome la Terra ruotando quattro anni attorno al sole avanza un giorno io quest’anno ho deciso di farlo passare diversamente da come trascorro ogni giorno. So che qualcuno penserà che c'è già un giorno in luglio che lo chiamano il giorno fuori dal tempo. Questo è diverso, questo capita una volta ogni quattro anni, bisogna proprio buttarlo via, non vi serve. Nessuna obiezione.
1 note · View note
lucianopagano · 2 months
Text
Un contemporaneo che è un classico che è un contemporaneo
Lo scetticismo del lettore di classici e la diffidenza nei confronti della contemporaneità è uno dei modi; molto spesso si sottovaluta che un autore contemporaneo di romanzi, oltre che ad avere letto i classici e meditato sulla loro forma, cerca anche di creare con la sua narrazione e il suo stile una forma alternativa, differente dalle precedenti, seppure da queste influenzata. È quello che farebbe un qualunque scrittore sensato, quindi oltre alla lettura dei classici tra i contemporanei si nascondono classici che hanno tentato una forma differente, che inizialmente suona inaudita. C'è stato un giorno, nella letteratura, in cui Sterne non era ancora comparso, Dante, Beckett, Leopardi; succede così, il nuovo fagocita il vecchio ma proseguendolo se ne ha la forza, procede in avanti senza scomparire nel Tempo. Ci vogliono secoli, milioni di secondi e di lettori.
0 notes
lucianopagano · 3 months
Text
Tempi duri, nemmeno gli stupidi sono quelli di una volta.
0 notes
lucianopagano · 3 months
Text
Andrai, tornerai.
Fermarsi. Dove, quando? Impossibile solo pensarlo. Un uomo in una stanza piena di libri prende un foglio bianco, fabriano, di quelli che al liceo si usano per l’ora di disegno tecnico, prende una matita appuntita, disegna gli scaffali di una biblioteca, le scale ripide che conducono ai diversi settori, dove i libri sono suddivisi per aree geografiche e paesi di provenienza degli autori. L'uomo disegna una biblioteca, una sala di lettura, dove seduto davanti a un tavolo c'è un ragazzo, che davanti a sé ha un foglio bianco, una matita in mano, scrive, all’inizio l’uomo non decifra la parola, poi capisce. Il ragazzo, sul foglio, nel disegno, ha scritto MAI. Fermarsi, mai. Ibis redibis non, morieris in bello. Ibis, redibis, non morieris in bello.
1 note · View note
lucianopagano · 3 months
Text
Ho lasciato un libro
Ho lasciato un libro fuori a prendere aria dopo avere lavato le sue pagine con l'aceto e dopo averle affumicate con l'incenso. Alla fine di questo rito sarò pronto per la tua lettura, mondo, paradiso, notte, cielo, terra, frutto, angelo, serpente, giorno, adamo, eva.
0 notes
lucianopagano · 3 months
Text
Annarita Risola (PaiseMiu / «Visti da vicino») intervista Davide Morgagni a proposito dell’anteprima e dell’uscita della tetralogia “Il rifiuto” (Musicaos Editore)
(Il 23 gennaio 2024, sul Canale YouTube di «PaiseMiu» viene pubblicato il video, per la rubrica «Visti da vicino» a cura di Annarita Risola, dell’intervista a Davide Morgagni, sulla nascita e il senso della tetralogia «Il rifiuto», si riporta qui di seguito la trascrizione dell’intervista, disponibile integralmente qui:
youtube
“Visti da Vicino” incontra Davide Morgagni per parlare del suo ultimo romanzo: “Il Rifiuto” (Musicaos Editore - balbec 1 - 2023), presentato lo scorso 22 dicembre ’23, presso la storica sede di Astràgali Teatro a Lecce. In tale circostanza l’autore ha dialogato con Fabio Tolledi (Direttore artistico e regista di Astràgali Teatro), Simone Giorgino (Docente di Letteratura italiana contemporanea presso l’Università del Salento, Presidente del Centro Studi Phoné e membro del Centro Studi “Vittorio Bodini”) e Luciano Pagano (Editore). “Il Rifiuto”, punto d’arrivo di un lungo percorso narrativo che Morgagni realizza in dieci anni di scrittura, ironica e libera, accoglie a sé tre dei suoi precedenti romanzi a cui si aggiunge l’inedito “Finché c’è rabbia”. Davide Morgagni nasce a Lecce nel 1977. Si laurea in filosofia. È autore, regista, scrittore e attore di numerose pieces teatrali. Pubblica “I pornomadi” (2014) e “Strade negre” (2017), entrambi con Musicaos Editore. “La nebbia del secolo”(Leucotea Editore-2019), “Finché c’è rabbia” l’inedito che termina il grande affresco narrativo: “Il Rifiuto” (Musicaos Editore -2023). [l'articolo completo e il video qui]
Annarita Risola - Benvenute e benvenuti, oggi siamo in compagnia dello scrittore, attore, regista, Davide Morgagni. Benvenuto.
Davide Morgagni - Buon Natale.
AR - Vorrei chiederle come nasce il suo amore per la scrittura.
DM - Non so se si tratti di amore, forse è più una forma patologica o forse un desiderio clinico, comunque certamente da ragazzino ho sentito questa forma di possessione che purtroppo ancora alla mia età mi perseguita.
AR - Il suo modo di scrivere è stato paragonato a quello di Joyce, Artaud. Come, da chi, e se, trae ispirazione?
DM  - Ma, credo che l’ispirazione nasca non solo da Joyce che è un classico, insomma, di tutto il secolo precedente fino a oggi, con Artaud sicuramente c’è un profondo legame rispetto al processo di scrittura. Stiamo parlando comunque di una letteratura che nonostante anche Joyce sia un classico, appartiene comunque a una letteratura minore, quindi a un concetto di letteratura minore come diceva il grande pittore, “la letteratura appartiene al popolo”, e poi, quale popolo, il popolo, che non sono gli spettatori, quindi diciamo una letteratura minore e se posso citare, per esempio, c’è un bellissimo testo di Deleuze e Guattari che appunto si intitola proprio “Per una letteratura minore”, dove Deleuze come anche in altri testi riprende alcune frasi di Artaud riguardo la scrittura proprio lì dove Artaud dice, io scrivo, cioè bisogna scrivere per gli analfabeti, dove quel per gli analfabeti è un po’ come lo stesso concetto di “per una letteratura minore”, cioè dove quel “per” vale non tanto “a favore” o “dalla parte”, ma più che altro “al posto”, in questo caso “al posto degli analfabeti”, e in francese à la place…
AR - … dando voce…
DM - … ripeto, in francese è proprio à la place, quindi è veramente un movimento attoriale, che è un movimento che appartiene allo scrittore, ma appartiene all’artista tout court secondo me.
AR - Nei suoi romanzi descrive luoghi, persone… reali… autobiografici?
DM - Beh, io penso appunto che, si è già detto che ogni biografia è immaginaria…. diciamo che c’è una sorta di ritornello, una sorta di protagonista, che attraversa tutte le pagine di tutti e quattro i libri, che compongono in questo caso «Il rifiuto», l’ultimo romanzo, dove più che altro è una sorta di esploratore, ecco, che attraversa degli spazi dei campi lisci o degli spazi striati, metropolitani, e quindi ne fa, diciamo, di questo attraversamento, ne appunta, ecco, descrive un po’ questo passaggio da un punto di vista veramente clinico, quindi tutti i personaggii luoghi incontrati e attraversati appartengono, ahi noi, a qualcosa che ormai è scomparso, cioè la realtà.
AR - Lei lo ha appena citato e parliamo de «Il rifiuto», da poco pubblicato con Musicaos Editore, è il suo ultimo romanzo, una tetralogia che comprende i suoi precedenti lavori, I pornomadi, Strade negre, La nebbia del secolo, e l’inedito Finché c’è rabbia. Io partirei proprio dal titolo, perché ha scelto di chiamarlo «Il rifiuto».
DM - Allora questa è un’operazione editoriale… io sono molto grato all’editore Luciano Pagano per aver compreso quando gli ho consegnato l’ultimo romanzo Finché c’è rabbia, il legame tra i quattro libri, il legame tra i quattro libri naturalmente era un’operazione editoriale che io personalmente speravo accadesse, magari dopo la morte, è vero ma è così, nel senso che è un’operazione un po’ inedita, solitamente non accade, però Luciano ha una mente molto molecolare, brillante, intuitiva e quindi abbiamo deciso insieme di fare questa operazione del Rifiuto. Che cos’è «Il rifiuto», per dirla in breve, direi che è una questione che riguarda… è una questione etica, «Il rifiuto» è una questione etica, una questione etica intendo proprio da un punto di vista anche estetico, assolutamente diciamo spinoziana, ecco, nel termine proprio più preciso del termine, cioè è un’operazione dove c’è un’etica che rifiuta la morale, rifiuta un certo tipo di morale, forse tutta la morale, rifiuta tutti i moralisti, che in questo attraversamento di queste pagine sono anche gli scrittori, le scrittrici, le poetesse, i poeti, le attrici, gli attori, gli artisti tout court un po’ tutti. Ecco, un po’ tutti i moralisti… di questo moralismo c’è un rifiuto totale che appartiene appunto a una filosofia del rifiuto un po’ flaianiana direi, perché è molto ironica e comica quindi direi quasi porno. 
AR - Diciamo che il suo è un romanzo non propriamente da leggere in una notte, però, molto molto interessante e benché abbia una scrittura anche molto particolare, approfondisce dei temi anche molto forti legati allo scarto, perché lei non ha voluto sottolineare che il termine rifiuto è anche legato a un suo modo di concepire la vita e di parlare attraverso questi romanzi anche di un certo tipo di società.
DM - Sì, questa è una scrittura un po’ fuori dalle righe, è una scrittura, non so in quanti ne carpiranno diciamo delle tracce teatrali, nel senso che è una scrittura fatta di intensità, di densità, che dà spazio alle voci, allo spazio, alla luce, e c’è proprio un movimento intensivo, ecco, in questo lavorio sulla lingua… qual era la domanda?
AR - Mi dovrebbe parlare degli strati sociali in particolare che lei vuole mettere in luce.
DM - Ripeto, ho parlato prima di etica, e quindi non tanto di antimoralista, assolutamente, ma di non concepire un certo moralismo, che è anche politico, certamente, riguardo appunto gli strati sociali, non so se chiamarli proprio strati sociali, forse dovremmo cominciare a usare parole nuove che ancora non esistono, forse delle analisi meno sociologiche. Finché c’è rabbia per esempio è un romanzo, dove appunto parla di una rabbia che è un po’ in certi momenti vista appunto come la rabbia di Gesù, è come la rabbia di un Gesù stremato che vaga fra gli stremati. Ecco in quel senso è sempre…
AR - … legata anche agli ultimi…
DM - Sì, se vogliamo chiamarli ultimi, sì più che altro è legata, diciamo, a una macchina che non ne vuole sapere di cambiare le sue dinamicità. Al di là diciamo delle propagande politiche, è una macchina che non… uff, che bella domanda…
AR - … mi permetto di dire che ho utilizzato il termine ultimi, semplicemente in riferimento al suo, che ha citato Gesù…
DM - … sì, sì, sì, però più che altro è con Gesù appunto che dice, il regno dei cieli è dentro di noi, è un “al di qui” che comunque viene celebrato e anche sottolineato, cioè, Finché ci rabbia attraversa anche gli ultimi anni che abbiamo vissuto un po’ tutti…
AR - …legato al Covid, nel periodo del Covid…
DM - … legato in questi ultimi anni dove ci sono stati degli stravolgimenti politici, economici, c’è stata anche tanta indifferenza, è venuta a galla un po’ l’idea di futuro che hanno i nostri politici, o i vostri politici.
AR - A proposito di futuro volevo chiederle, quali sono i suoi progetti futuri?
DM - Beh, progetto diciamo più certo, sicuramente la morte.
AR - Benissimo…
DM - … e poi, continuerò…
AR - … prima della morte magari…
DM - … sì, prima della morte c’è qualche idea, sì, diciamo ancora, lavoro sul teatro ormai da parecchio tempo, quasi 15 anni che tento di smettere quotidianamente, e quindi si continuerà a lavorare su quel versante teatrale.
AR -  Lei ha concluso nel 2021 una residenza con la presentazione di un progetto teatrale,«Il mucchio», una residenza svolta con Astràgali Teatro, avete altri progetti insieme da realizzare?
DM - Sì, «Mucchio» è stato un lavoro su Samuel Beckett, che come tutti sanno è un autore che non si può affrontare per i prossimi quarantasei anni per motivi di diritti, se non affrontandolo nell’integrare, quindi non si possono fare delle operazioni teatrali su quel testo, noi comunque ce lo siamo permesso, me lo sono permesso comunque, con Astràgali Teatro ci sono state tantissime collaborazioni in questi ultimi anni, conosco molto bene il direttore Fabio Tolledi, è una delle menti più colte del Teatro del Sud Italia, non a caso ho avuto, anche, appunto questo tipo di rapporto, perché per me il teatro è stato sempre un qualcosa legato alla dimensione filosofica, alla dimensione religiosa, alla dimensione del corpo inteso come appunto un corpo in preghiera, un corpo in trance… quindi negli ultimi anni sì, mi è capitato di scrivere molto per il teatro… forse un progetto
AR - … siamo riusciti 
DM - … non so se possiamo dire…
AR - … diciamolo dai…
DM - … non so, forse meglio, ok, lo diciamo, anzi no, un progetto per esempio, una cosa che mi piacerebbe un giorno magari quando riuscirò ad avere un po’ più di chiarezza, su alcuni punti, avendo sempre scritto per il teatro in questi ultimi anni, mi piacerebbe scrivere magari sul teatro, questa è sicuramente un’idea che ho, sono un accanito studioso, io dico sempre che ho cominciato a studiare dopo l’università, dopo la laurea, quindi ho una ricerca persistente in questi decenni, mi piacerebbe un giorno, diciamo avere il tempo, la possibilità di scrivere un testo sul teatro.
«Il rifiuto» (Musicaos) di Davide Morgagni, sul sito della casa editrice Musicaos Editore
«Il rifiuto» (Musicaos) di Davide Morgagni, su Amazon
0 notes
lucianopagano · 3 months
Text
Mauro Marino a proposito del romanzo di Davide Morgagni «Il rifiuto» (Musicaos)
Venerdì 19 gennaio 2024 presso la Biblioteca Bernardini di Lecce si è tenuta l’anteprima del romanzo di Davide Morgagni, «Il rifiuto» (Musicaos), l’autore ha letto alcuni brani del romanzo.
Nelle parole di Mauro Marino (Biblioteca Bernardini):
«Un intenso reading ha attraversato i quattro romanzi raccolti nel volume - I pornomadi (2014), Strade negre (2017), Del 2019 La nebbia del secolo (2019), Finché c’è rabbia (2023) - una narrazione che attraversa quindici anni della nostra recente storia, un nomadismo, geografico ed esistenziale, da Lecce a Roma, da Roma a Parigi e poi ancora il Salento. Fare pratica dell’ascolto, guardare, stare nel ritmo della vita, sentirlo quel ritmo, quel battito, l’incessante divenire della lingua, della parola. Farne canto, racconto, preghiera. Questo fa un autore, un buon autore; un attore, un attore-scrittore che tesse la sua drammaturgia, facendo “altezza” la scelta della lateralitá. Quello il posto ideale per esercitare l’attenzione, la presenza, la militanza. Per fare della scrittura teatro».
Tumblr media
0 notes