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Face reveal e considerazioni di fine corso
Sono Luca Mattiussi, uno dei curatori di questo blog, e ho fatto un video dove mi presento meglio e faccio un paio di considerazioni sull’esito di questo esperimento. Buona visione!
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Contro il luddismo dei dati

Luddisti che distruggono un telaio-fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:FrameBreaking-1812.jpg
Uno degli errori che si fa spesso quando si analizzano fenomeni tecnologici sia quello di non fare un’adeguata valutazione dei pro e dei contro. Ho l’impressione che spesso la tendenza sia quella di considerare solo un lato della discussione e sminuire, magari anche involontariamente, le argomentazioni contrarie ad esso.
Credo di essere stato io stesso colpevole di cadere troppo velocemente nel luddismo mentre mi informavo per questo blog, ed ho quindi deciso di radunare in questo post alcuni lati positivi dei big data e dell’era della morte della privacy.
Innanzitutto, mi sembra che la tendenza alla demonizzazione in questo campo sia dilagante. Sono in pochi a capire veramente cosa voglia dire ‘privacy online’,e ancora meno la spiegano correttamente. Ciò è dimostrato dal fatto che le due tendenze principali siano il menefreghismo ed il considerare le aziende che forniscono prodotti online come ‘malvagie’. La scelta tra le due non sembra guidata da una reale soppesazione tra pro e contro, ma piuttosto dal semplice sentimento.
Un’altra considerazione è quella che, comunque, i dati servono; non solo per fare soldi, ma per il progresso stesso. Per quanto siano possibili utilizzi discriminatori o non etici, i dati sono anche le fondamenta per creare una migliore distribuzione delle risorse, per riuscire a fare passi avanti nel campo della medicina, per contrastare il cambiamento climatico e per molti altri fini, decisamente più etici. Non darei per scontato che un’inversione di tendenza in materia di quanti dati vengono raccolti dalla nostra attività online sia priva di ripercussioni negative, oltre che sull’economia, anche su noi stessi.

L’intelligenza artificiale, nella sua accezione moderna, ha bisogno di ingenti quantitá di dati per funzionare - fonte: https://www.flickr.com/photos/mikemacmarketing/30212411048
Credo inoltre non sia troppo tardi per riappropiarci della nostra anonimità (che già ora non è da dare come persa). Il fatto che sia così facile raccogliere dati non deve per forza voler dire che questi debbano essere ricollegati alle nostre singole identità. Forse una battaglia che ha più senso combattere è quella contro la profilazione individuale: in sostanza rivendicare il diritto di essere un numero in una percentuale; sembra invece che molti vogliano riuscire ad essere inesistenti, a non lasciare tracce-cosa che è alquanto difficile già da molti anni prima della rivoluzione digitale.
Comunque vada, il passato dimostra che si ottiene molto di più cercando di sfruttare al meglio l’ondata di cambiamento piuttosto che opponendocisi. Non credo un futuro in cui siamo completamente anonimi e non lasciamo tracce online sia ancora una prospettiva possibile, quindi credo sia arrivato il momento di accettare che il concetto di privacy vada ridefinito e guardare agli sviluppi futuri piuttosto che restare appesi al passato. -Luca Mattiussi
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La sicurezza nelle app
Al giorno d'oggi tutti,o quasi,hanno un cellulare in tasca con cui si compiono miriadi di azioni,fare foto e condividerle sul web,pianificare viaggi ed effettuare pagamenti. Tante persone,specialmente le meno informate,non conoscono quanti rischi possa procurarci un oggetto cosi comune. In particolare tutte le applicazioni che ogni settimana installiamo sul nostro dispositivo.
Cosa fanno queste app? Provo a spiegarvelo in maniera semplice. Molte applicazioni,Android e iOS,condividono a terze parti tutto(o quasi) quello che facciamo su quella determinata aplicazione. Per esempio quali tasti premiamo,gli input da tastiera(ovvero cosa scriviamo), insomma tutto quello che facciamo.
Chi sono queste terze parti e perchè vengono distribiuite queste informazioni? La risposta è molto semplice. Se un venditore sa esattamente ciò che ogni individuo desidera,quando lo desidera e come lo desidera diventa molto facile e vantaggioso lucrarci sopra. Perciò queste informazioni spesso indicano cosa ci piace fare:dai viaggi,per esempio se guardiamo i voli per una destinazione, ai vestiti,agli elettrodomestici. Queste informazioni permettono una personalizzazione della pubblicità,lo stesso meccanismo che avviene molto più frequentemente navigando sul web, e perciò una maggiore vendita dei prodotti. Le terze parti,come riportato in questo articolo, sono aziende grosse che hanno milioni di utenti.

Fonte:pixabay
Inoltre sono state trovate 500 applicazioni in grado di mettere a serio rischio la nostra privacy mettendo le nostre informazioni in mano a gente che non le usa solo per farci pubblicità. Anche se è difficile beccare software così malevoli, perchè i detentori degli store ci tengono a non diffondere programmi che violino così tanto la sicurezza degli utenti, bisogna comunque prestare attenzione.

Fonte:pixabay
Non tutte le applicazioni sono così, molte sono sicure e affidabili anche perchè magari non gestiscono dati sensibili o di poca importanza a livello commerciale. Nel complesso però prima di installare qualsiasi cosa su un dispositivo bisogna capire se può mettere a rischio o no la nostra privacy. Anche se magari può piacere il fatto che arrivino solo pubblicità mirate e non su qualsiasi cosa ricordiamoci che queste informazioni non sappiamo dove vanno a finire, è bene quindi stare sempre all'erta.
Emanuele Bettini
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Alexa e la privacy
Sono uno studente del Politecnico di Torino e dopo aver assistito alla lezione di Rivoluzione digitale sulla privacy riguardo ai dispositivi che ci portiamo tutti i giorni appresso e essermi informato sul web riguardo questo argomento volevo esporre le mie considerazioni.
In questi ultimi mesi si vede spesso la pubblicità di Amazon su un prodotto già ampiamente usato in varie parti del mondo e che da qualche mese ha iniziato a sbarcare anche in Italia.Stiamo parlando di Alexa.
Alexa è l’assistente intelligente che, tramite Amazon Echo, consente all’utente di controllare con la voce una molteplicità di oggetti, servizi, contenuti e quant’altro. In pratica quello che si fa quotidianamente con un touch sullo schermo dei dispositivi ora si può fare tramite un comando vocale. Per esempio se ho installato Alexa nella domotica di casa stando tranquillamente sul divano posso ordinare ad Alexa di accendere il riscaldamento,le luci o mettere della musica.
Ciò offre sicuramente tante comodità,ma anche dei rischi riguardo alla privacy perchè l'assistente Amazon deve sentire ciò che noi diciamo. Ma siamo sicuri che sentano solo ciò che noi vogliamo far sentire? E le registrazioni chi le ascolta?Ci sono stati dei casi,come riportato qua e in molti altri siti, in cui si è scoperto che molte ore di registrazioni date da questi dispositivi venivano ascoltate e controllate da team di persone in carne e ossa per migliorare gli algoritmi di Alexa. Ovvio che la percentuale di registrazioni ascoltate è bassissima ma non credo che qualcuno voglia avere un orecchio attento per molte ore in casa a sentire ciò che diciamo.

Uomo e tecnologia-Fonte:pixabay
Sean Parker,uno tra i fondatori di Facebook,in un dibattito al Milken Institute MENA Summit ha affermato che Amazon cattura e conserva molti dati dopo averli estratti dalle conversazioni private degli utenti,in particolar modo dagli utenti degli spaeker Echo e Alexa, e tali registrazioni “potrebbero in teoria essere usate contro di voi in un tribunale, o con altri scopi. Se parlate con qualcuno davanti a un device attivato da Alexa, Amazon non vi garantisce alcuna privacy”.In effetti sono avvenuti casi in cui Alexa diffondeva,per un'incomprensione, file audio come riporta questo articolo.
Non sembra che Amazon voglia violare la privacy di tutti gli utenti, sarebbe un'azione molto discutibile e non gioverebbe di sicuro all'azienda, ma resta il fatto che anche solo per sbaglio quello che dico in casa mia con le persone con cui parlo in quel momento potrebbe essere sentito da chissà chi altro.
Per limitare tutto ciò si può intervenire nel software di Alexa e impedire certe funzionalità per migliorare la privacy. Resta il fatto che molti utenti degli assistenti vocali,me compreso, non erano a conoscenza di questi "furti di dati" ed è giusto rendere tutti consapevoli. Le tecnologie moderne di sicuro portano enormi vantaggi ma bisogna sempre fare attenzione a tutte le loro sfaccettature e intervenire spesso per renderle sicure.
Emanuele Bettini
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Il mio primo contatto con Internet
La prima volta che entrai in contatto con internet fu, se non ricordo male, in quarta elementare quando la maestra ci fece fare una ricerca sugli Ittiti, un popolo che visse nell'attuale Turchia circa 2000 anni fa.
Appena arrivai a casa dissi a mio padre della ricerca e lui mi aiutò volentieri anche per controllare che non finissi su chissà quale sito. Ancora prima di accendere il computer fisso mio padre mi spiegò a grandi linee come funzionava la rete e la ricerca su internet. Per me fu una cosa nuova ma che imparai subito. Imparai ad aprire un finestra di Internet Explorer e digitare nella barra di ricerca le informazioni che mi servivano, ma prima di tutto: il modem. La prima volta mio padre non mi spiegò a cosa servisse e infatti qualche mese dopo feci una ricerca da solo e il web non funzionava ma avendo visto che i miei genitori e tutte le persone che volevano utilizzare il computer accendevano questo apparecchio non mi ci volle molto a capire che quella scatola piena di lucine era fondamentale per far andare avanti il computer.

Bambino con tablet-Fonte:pixabay
Subito non colsi le grandi potenzialità che Google, e in generale un computer, aveva e anzi fino alla quinta elementare lo usai praticamente solo per fare qualche ricerca di scuola. Il fatto che navigassi poco in rete è dovuto un po' alla mia giovane età,un bambino delle elementari non ha tanto da chiedere a Internet se non dei giochi online, e per gran parte a tutte le raccomandazioni dei miei genitori. Specialmente mia madre, che non era una grande esperta di computer, ogni volta che mi beccava su Internet controllava attentmente ogni cosa che facessi come se avesse paura che da un momento all'altro il computer avesse potuto farmi del male. Mio padre invece era più dell'idea che per imparare bisogna sbagliare ed era molto meno attento alla mia attività online.
In seconda media però avvenne un gran cambiamento: il cellulare. Anche con questo non capii subito le potenzialità, anche se ridotte rispetto al computer, che mi offriva. Impiegai un anno a capire che internet sul cellulare era una cosa fantastica, potevo scaricare giochi,musica,guardare video e sapere quasi qualsiasi cosa in un brevissimo lasso di tempo.
In quegli anni li Internet si stava diffondendo a macchia d'olio fino ad arrivare a oggi nel quale è impossibile vivere offline.
Emanuele Bettini
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La mia prima vera esperienza con internet
La mia prima esperienza con il web è stata molto probabilmente alle elementari per qualche ricerca di geografia, oppure quelle volte in cui, dopo la scuola, andavo in ufficio da mia mamma e giocavo a qualche flash games; in entrambi i casi, tuttavia, mi era stato spiegato per filo e per segno ogni passaggio e per me il browser ed il motore di ricerca non erano che passi necessari ed obbligati per arrivare su Gioco.it, nulla di più. Immagino che se invece di scrivere gioco.it avessi provato a scrivere qualsiasi altra cosa e non avessi ottenuto nessun risultato, non mi sarei stupito affatto. Si può dire che non avessi la minima consapevolezza di cosa fosse la rete, e per un po’ la cosa non mi ha toccato minimamente.
Il primo vero contatto è stato in prima media, quando ho avuto il mio primo telefono cellulare; insieme a questo è anche arrivata la raccomandazione dei miei genitori a non accendere mai, per nessun motivo, la rete mobile, temendo che finissi come alcuni loro amici a spendere centinaia di euro per poter controllare le mail. Dopo qualche mese di messaggi e chiamate e nulla di più, mi sono reso conto che, sebbene fossi stato ammonito di non farlo, potevo accendere internet e la mia promozione ricaricabile mi consentiva di usare la bellezza di 100MB di dati al mese.

Telefono LG - "LG KM570" by zone41 is licensed under CC BY-NC-SA 2.0
Da quel momento mi si è aperto un mondo che io nemmeno immaginavo, ed ho iniziato a cercare giochi da poter scaricare gratuitamente sul mio java, video di youtube, e soprattuto immagini e canzoni da scaricare per poi spacciarle ai miei compagni di classe attraverso il Bluetooth. Feci tutto ciò nella massima segretezza, come se stessi facendo qualche cosa di proibito e molto grave. Mai mi sarei sognato di aprire il browser web in presenza dei miei genitori; forse la vedevo come una cosa diversa dalla rete a cui accedi da un computer, più personale forse, e anche se sapevo che sia mio padre che mia madre lavoravano tutto il giorno con un computer, io mi vergognavo ad ammettere di farlo.
Ripensandoci, fu anche l’unico periodo in cui fui davvero interessato alla privacy, anche se durò molto poco. La mia mail per esempio non è a mio nome, ma è uno pseudonimo, proprio perchè la creai in quei mesi. Avevo questa paura irrazionale di cosa fosse davvero il mondo in cui mi stavo avventurando...

modem wifi - "The Be Box - WiFi Button?" by William Hook is licensed under CC BY-SA 2.0
Pochi mesi dopo mio padre comprò un modem wifi, ero il primo ad averne uno nella mia classe, e nel giro di pochi giorni normalizzò la cosa. Non avevo più paura di quel mondo, ora che venivo incentivato ad accederci.
Da quel momento entrai a tutti gli effetti nell’era moderna iperconnessa, da cui non sarei più uscito.
-Luca Mattiussi
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Perchè la privacy online è un problema di tutti ...
...e soprattutto nostro
Ultimamente, sotto l’influenza di questo corso, ho provato più volte ad interrogare me stesso ed altri sul perchè un ragazzo di 20 anni, nativo digitale come noi, dovrebbe preoccuparsi di privacy; ritengo infatti che questo argomento, nonostante i toni quasi distopici con cui preoccupati ne parlano alcuni giornalisti e studiosi, sia quanto mai lontano da noi giovani.

Telecamera di sorveglianza-"Misc" by jackdoc101 is licensed under CC BY-NC 2.0
Fino a qualche anno fa, la principale merce di scambio con cui eravamo spinti a rinunciare alla nostra privacy era la sicurezza: da qui le telecamere di sicurezza, le frontiere, le agenzie segrete. Ora, che per cedere i nostri dati ci basta in cambio poter godere della comodità dell’ultima app, sembra che il gioco valga comunque la candela. Eppure, se la privacy è un diritto riconosciuto dalla carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 8), deve essere importante, no?
Una delle ragioni di questo disinteresse, forse la più facilmente identificabile, è quella del cosiddetto “nothing to hide”: se non ho fatto nulla di male, nè ho intenzione di farlo, perchè dovrei aver paura di condividere i miei dati personali online? Dall’ altro lato, questa facilità nel reperire informazioni non va a favore della giustizia e quindi di tutti?
La cosa peggiore di questa argomentezione è che regge a molte crititche, ma si basa su un’incomprensione di fondo: non si sta parlando di segretezza, ma di privacy. La differenza tra i due è labile, ma allo stesso tempo cruciale. La privacy è quella che ci spinge a cercare i nostri spazi, benchè non stiamo facendo nulla di cui vergognarci in essi; non si tratta di mantenere segreti, ma di essere soli con sè stessi.
A mio parere, essa è infatti qualcosa di intrinsecamente legato al pensiero libero. Conscio dell’impossibilità di non essere influenzato nella mia formazione come individuo e sapendo che gran parte del mercato dei dati è volto proprio ad indirizzare queste influenze in questa o quella direzione, credo che rivendicare la propria privacy sia un modo efficace per essere il più possibile libero di informarmi e ricercare, senza che idee che ho maturato e poi superato in passato ricadano su che risultati mi restituisce un motore di ricerca, di fatto prima interfaccia con il mondo di molti miei coetanei oltre a me, o ancora peggio su cosa penserà di me il mio datore di lavoro.
E se anche questi vantaggi non ti interessassero, è difficile non essere d’accordo che se viviamo in un paese avanzato come il nostro, la libertà di pensiero è una delle cause principali. È molto pericoloso darla per scontata.
“affermare di non tenere alla privacy perchè non si ha nulla da nascondere è come dire di non tenere alla libertá di stampa perchè non si ha nulla da dire“
In sostanza, la possibilità di non lasciare tracce è un requisito fondamentale per completare la propria crescita intellettuale e diventare un cittadino adulto; è quindi chiaro che, sebbene gli effetti di questa deriva del “the age of privacy is dead” siano ancora (opinabilmente) minimi, o se non altro difficili da identificare, è nel pieno interesse di noi giovani, rivendicare la nostra riservatezza, se vogliamo sperare in un futuro democratico come il presente in cui abbiamo avuto la fortuna di nascere. Il prossimo “Big Brother” è dietro l’angolo.

Big Brother from Orwell’s novel “1984″ - "bigbrother2" by lgangeles7 is licensed under CC BY-NC 2.0
-Luca Mattiussi
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