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#Aragonesi
fridagentileschi · 5 months
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LA BANDIERA DEI QUATTRO MORI, SOS BATTEROS MOROS
Ringrazio un mio amico sardo per la foto e per avermi mandato la storia
''Per conoscere la storia della bandiera dei QUATTRO MORI (come viene appellata dal popolo sardo) occorre percorrere a ritroso la storia fino al periodo in cui i Catalano-Aragonesi presero possesso della Sardegna. Lo stemma dei quattro mori compare per la prima volta nei sigilli in piombo della Cancelleria Reale aragonese. Nell' archivio storico comunale di Cagliari sono conservati alcuni documenti chiusi con tali sigilli, appartenuti a Giacomo II° e Alfonso il Benigno entrambi re d' Aragona. Gli Aragonesi divennero re di Sardegna a seguito della creazione (avvenuta il 4 aprile 1.297) da parte del Papa Bonifacio VIII del regno di Sardegna. Lo stesso Bonifacio VIII dopo la creazione del regno accordo la "licentia invadendi" agli Aragona per permettere agli stessi di legittimare il possesso dell' isola. A seguito della conquista di fatto dell' isola ad opera del sovrano aragonese Alfonso IV nell' anno 1.323 lo stemma con i quattro mori in campo bianco con croce rossa, fu adottato per il nuovo regno di Sardegna. Regno creato dal nulla e poi regalato da generoso Papa Bonifacio VIII alla casata Aragonese. Questo stemma fu in uso dalla casata iberica degli Aragona fin dal XIII secolo. Sul significato intrinseco dei quattro mori raffigurati nello stemma che era in uso da molto tempo da parte degli Aragona vi sono le più disparate versioni. Tutte caratterizzate dal mito e dalla leggenda. Non esiste nessun documento che riporti dati sufficienti che permettano di stabile in che periodo inizio l' adozione di tale stemma a stemma identificativo della casata. Tra le tante versioni conosciute è da mettere in risalto quella che riconduce alla battaglia di Alcoraz combattuta dagli Aragonesi contro i mori (19 novembre 1.096). Nella battaglia il Re Pietro I° sconfisse pesantemente i mori guidati dal saraceno Abderramen. La leggenda narra che dopo la vittoria le truppe aragonesi issarono insieme alle insegne dei Conti di Barcellona (scudo con quattro pali rossi in campo giallo) uno stemma che riportava nei quattro quarti bianchi formati dalla croce rossa (la croce di San Giorgio) la testa di un moro con la benda sulla fronte. La motivazione sulla comparsa di tale stemma fu probabilmente legata al ricordo della battaglia e alla vittoria sui saraceni. Quando gli Aragonesi ricevettero "in dono" la Sardegna decisero di assumere lo stemma con i quattro mori come bandiera del regno di Sardegna.
Il vessillo con i quattro mori fu innalzato dalle truppe aragonesi durante la battaglia (infausta per i sardi) combattuta a Sanluri la domenica mattina del 30 giugno del 1.409 in una località tristemente nota come Su Occidroxiu (il mattatoio). Le truppe sarde innalzavano la bandiera con raffigurato l’albero eradicato (stemma del giudicato d’Arborea (l' ultimo dei quattro regni che ancora teneva testa agli Aragonesi). Istintivamente si può pensare che il vessillo degli Arborea fosse la bandiera in cui tutti i sardi si riconoscevano. Ma non è cosi. La Sardegna medievale era divisa in quattro giudicati indipendenti. Ogni giudicato (un regno a tutti gli effetti) aveva la sua bandiera, il proprio vessillo.
L’albero eradicato era il vessillo di uno dei quattro giudicati, quindi di una parte della Sardegna. Come ben noto tre dei quattro giudicati dopo la regalia fatta alla casata aragonese dal Papa Bonifacio VII, persero l' indipendenza. L' unico giudicato che poteva esprimere la propria piena autonomia e indipendenza nei confronti degli Aragona era il giudicato d' Arborea. In quel preciso momento storico quasi tutta la Sardegna era unificata sotto il controllo di una unica entità statuale: il giudicato d' Arborea. Agli aragonesi rimasero ben pochi lembi di territorio sardo da controllare. Quindi è normale che quel vessillo venisse visto da quei sardi che affiancarono gli Arborensi come la bandiera di tutti i sardi.
La bandiera di BATTEROS MOROS stemma della Sardegna viene sventolata con orgoglio dai sardi dentro e fuori dall' isola. Viene considerata come simbolo di appartenenza alla Sardegna. Ai detrattori della bandiera dei BATTEROS MOROS direi di chiedere a quanti più sardi possibile se non amano questa bandiera, e se intendono cambiarla. Do per scontato che prevalga nelle risposte all' amore e l' insostituibilità dei BATTEROS MOROS.''
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michelangelob · 4 months
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Le Opere del Natale: la Natività del Rossellino
L’opera del Natale che vi propongo oggi è un vero e proprio presepe scolpito nel marmo: la Natività che Antonio Rossellino scolpì nel 1475 per la Cappella Piccolomini della chiesa di Sant’Anna dei Lombardi, già Santa Maria di Monteoliveto, a Napoli. Il complesso di Sant’Anna dei Lombardi era molto caro agli aragonesi e in modo particolare ad Alfonso II e a suo cognato Antonio Piccolomini e…
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marcoleopa · 1 year
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《sostituzione etnica》
Lollo&Brigida alias il cognato, non si smentisce. Il suo miserrimo linguaggio affonda le radici nel tragico passato, con il quale e, dal quale, l'italietta non ha mai fatto i conti.
La difesa della razza (agosto 1938) e la legge sul meticciato (13/5/40), ritorna alla ribalta con il vomitevole intervento presso l'assemblea sindacale.
Citare la sostituzione etnica, non è casuale, segue un preciso canovaccio, identico a quello dell'eponimo fuggito dopo Salò, travestito da milite germanico.
Non è nemneno un caso che la cognata, in contemporanea, parla di maternità italica, mentre il Lollo parli di sostituzione e agricoltura. Niente di più, niente di meno, del programma autarchico dei figli della patria e dell'agricoltura del ventennio.
Donna=riproduttrice di riproduttori
Uomo=grano per la patria
Dal 1938 ad oggi, la propaganda fascista utilizza simboli e tecniche pubblicitarie per sostenere la campagna di discriminazione razziale: la creazione del concetto di “razza italica”, la storiella dell'identità culturale/etica italico-romana/identità biologica fondata sulla ereditarietà dei caratteri genetici/stereotipi fisionomici, la creazione del nemico interno/capro espiatorio che danneggia l'identità e la cultura italica nazionalpopolare, la discriminazione dei "neri/ebrei/non ariani" e dei figli nati in Italia da non italici romani biologicamente puri.
Francamente, vivo in una terra che da millenni è un crogiolo di etnie, indigeni provenienti dal nord Europa e medio oriente, indoeuropei, sicani, elimi, siculi, fenici, morgeti, ausoni, cartaginesi, greci, romani, vandali, ostrogoti, bizantini, arabi, normanni, angioini, aragonesi, spagnoli, sabaudi, austriaci, Borboni, etc...cioè popoli, etnie, dominazioni che si sono sostituite l'uno all'altro, portando, importando, lasciando, un mix di tradizioni e culture, che si sono stratificate e mescolate ad ogni passaggio.
Pertanto sono orgogliosamente METICCIO e non mi riconosco nell'artifizio dell'identità culturale etica romanoitalica/identità biologica/caratteri genetici/stereotipi.
La mia terra, è dove poggio i piedi.
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marino222 · 1 year
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Che poi all’inizio ci furono i Neandertal che furono sostituiti da quelli bricconcelli dei Sapiens africani. Quindi gli Indoeuropei, che si sostituirono a tutte le popolazioni autoctone d’Europa, o quasi. Poi gli Indoeropei si suddivisero in tribù che si sostituivano allegramente fra loro, Veneti, Celti, Cimbri, Teutoni, Liguri, Osci, Sabelli, Latini. E gli Etruschi, che si sostituirono ai Villanoviani, o forse no, non si capisce. Poi i Greci e i Fenici, che si sostituirono a Sicani, Siculi, Iapigi, Sanniti e in parte anche ai Sardi. In mezzo i Pelasgi, che non si capisce se si sono sostituiti mai a nessuno, e i Minoici che spuntavano qua è là, almeno nelle leggende. Poi ci furono i Romani, che si sostituirono e mischiarono con tutti: Italici, Greci, Siriaci, Arabi, Traci, Mauri, Numidi. Poi ci furono i Barbari in tutte le loro varianti: Visigoti e Ostrogoti, Vandali, Avari, Gepidi. E giunsero i Greci a bizantini, che già di loro erano un gran mischiotto. Poi arrivarono i Longobardi, che si imbastardarono fra loro e con gli Italici a più non posso. E poi i Franchi, Normanni, Arabi, Saraceni, gli Angiolini, gli Aragonesi, i Francesi, gli Spagnoli, gli Austriaci, più Tedeschi e Americani sparsi durante le guerre mondiali. E vari ed eventuali che mi sono scordata. Noi italiani siamo tutta questa roba qua. E sulla sostituzione etnica e la razza italiana da difendere ho detto tutto, vostro onore.
ilnuovomondodigalatea.wordpress.com
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In Biblioteca puoi scoprire autori e opere che non conoscevi o di cui avevi sentito parlare ma che ancora non avevi avuto modo di leggere. Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicare un angolo alla scoperta di questi "tesori nascosti".
Oggi l'opera prescelta è "La misura dell’uomo" di Marco Malvaldi.
Ottobre 1493. Firenze è ancora in lutto per la morte di Lorenzo il Magnifico. Le caravelle di Colombo hanno dischiuso gli orizzonti del Nuovo Mondo. Il sistema finanziario contemporaneo si sta consolidando grazie alla diffusione delle lettere di credito. E Milano è nel pieno del suo rinascimento sotto la guida di Ludovico il Moro.
A chi si avventura nei cortili del Castello o lungo i Navigli capita di incontrare un uomo sulla quarantina, dalle lunghe vesti rosa, l’aria mite di chi è immerso nei propri pensieri. Vive nei locali attigui alla sua bottega con la madre e un giovinetto amatissimo ma dispettoso, non mangia carne, scrive al contrario e fatica a essere pagato da coloro cui offre i suoi servigi. È Leonardo da Vinci: la sua fama già supera le Alpi giungendo fino alla Francia di re Carlo VIII, che ha inviato a Milano due ambasciatori per chiedere aiuto nella guerra contro gli Aragonesi ma affidando loro anche una missione segreta che riguarda proprio lui. Tutti, infatti, sanno che Leonardo ha un taccuino su cui scrive i suoi progetti più arditi - forse addirittura quello di un invincibile automa guerriero - e che conserva sotto la tunica, vicino al cuore. Ma anche il Moro, spazientito per il ritardo con cui procede il grandioso progetto di statua equestre che gli ha commissionato, ha bisogno di Leonardo: un uomo è stato trovato senza vita in una corte del Castello, sul corpo non appaiono segni di violenza, eppure la sua morte desta gravi sospetti... Bisogna allontanare le ombre della peste e della superstizione e in fretta! E Leonardo non è nelle condizioni di negare aiuto al suo Signore.
A cinquecento anni dalla morte di Leonardo da Vinci, Marco Malvaldi gioca con la lingua, la scienza, la storia, il crimine e ridà vita al suo genio tra le pagine immaginando la sua multiforme intelligenza alle prese con le fragilità e la grandezza dei destini umani. Un romanzo straordinario, ricco di felicità inventiva, di saperi e perfino di ironia, un’indagine sull'uomo che più di ogni altro ha investigato ogni campo della creatività, un viaggio alla scoperta di qual è - oggi come allora - la misura di ognuno di noi.
Marco Malvaldi si cimenta con il giallo storico e lo fa a suo modo, con la sua ironia e con un dialogo diretto tra narratore e lettore, facendo emergere il contrasto tra il periodo storico raccontato e l’attualità del linguaggio moderno, dove dissemina termini anacronistici ma azzeccati, come internet o influencer, sondaggi o statistiche. Gli stessi personaggi descritti sono a tratti ironici e lontani dall'immaginario collettivo ma, del resto, lo stesso autore afferma che “è sbagliato pensare che i personaggi storici fossero consapevoli di essere personaggi storici”. Anch'essi sono stati esseri reali, quindi caratterizzati da sentimenti e passioni e vizi naturalmente umani. C'è spazio per amori, tradimenti, parolacce e anche un Leonardo da Vinci un poco svampito e distratto che si aggira con aria da sognatore. Tutto questo non rende meno credibile la storia, anzi! Si percepisce chiaramente che dietro “La misura dell’uomo” si cela un approfondito lavoro di ricerca sul periodo storico e, in particolare, sulla Milano di quel tempo. Insomma, siamo molto lontani dalle atmosfere del Bar Lume a cui Malvaldi ci aveva abituato.
Marco Malvaldi (1974) è uno scrittore italiano. Ricercatore presso l’Università di Pisa (Dipartimento di Chimica biorganica), nel 2007 ha pubblicato “La briscola in cinque”; accolto con favore da critica e lettori, il romanzo è il primo di una serie di gialli (nota come ciclo del BarLume) di cui fanno parte “Il gioco delle tre carte” (2008), “Il re dei giochi” (2010), “La carta più alta” (2012) e “Il telefono senza fili” (2014). Nel 2011 sono usciti “Scacco alla Torre” (un’atipica guida alla scoperta di Pisa) e il giallo storico Odore di chiuso, mentre sono del 2012 “Come i fumi confusi” e “Milioni di milioni” e del 2013 “Argento vivo”. Nel 2014 ha pubblicato la guida enogastronomica letteraria “La famiglia Tortilla” e, in collaborazione con D. Leporini, il saggio “Capra e calcoli. L'eterna lotta tra gli algoritmi e il caos” e ha scritto uno dei racconti contenuti nel volume “Vacanze in giallo”, mentre sono del 2015 il testo “Leonardo e la marea”, realizzato in collaborazione con S. Bruzzone, il thriller “La tombola dei troiai”, il saggio “Le regole del gioco. Storie di sport e altre scienze inesatte” e il romanzo “Buchi nella sabbia”. Dal 2015 collabora con il Domenicale de “Il Sole 24 ore”. Tra i suoi lavori più recenti vanno segnalati, tutti pubblicati nel 2016, il romanzo “La battaglia navale”, il saggio “L'infinito tra parentesi. Storia sentimentale della scienza da Omero a Borges”, la raccolta di racconti “Sei casi al BarLume” e uno dei racconti dell'antologia “Il calcio in giallo”; nel 2017, “Le due teste del tiranno. Metodi matematici per la libertà”, “Negli occhi di chi guarda” e “L'architetto dell'invisibile ovvero come pensa un chimico”; nel 2018, i romanzi “A bocce ferme” e “La misura dell'uomo” e il saggio sull'umorismo “Per ridere aggiungere acqua”; nel 2019, “Vento in scatola” (con G. Ghammouri) e “Caos. Raccontare la matematica” (con S. Marmi); nel 2020, “Il borghese Pellegrino” e “La direzione del pensiero. Matematica e filosofia per distinguere cause e conseguenze”; nel 2021, con P. Cintia, “Rigore di testa” e “Chiusi fuori” (con S. Bruzzone, 2022).
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Castelli in Campania: il Castello Aragonese di Ischia
Quanti castelli ci sono in Campania? Secondo alcune fonti, i castelli e le torri in Campania sono più di 300. Ognuno con il suo stile architettonico, ognuno con la sua storia da raccontare. Oggi raccontiamo la storia del Castello Aragonese di Ischia. Incastonato nella roccia, dalla sua sommità si può ammirare uno degli scorci più suggestivi della regione. Il Castrum Gironis Quando nel 474 a.C. con la battaglia di Cuma i Tirreni furono sconfitti dai Cumani, questi ultimi, decisero di cedere il controllo dell'isola di Ischia a Gerone I. Un gesto di riconoscenza per l'aiuto prestato in battaglia dal tiranno di Siracusa. Fu così che nacque il primo castello sull'isola verde: il Castrum Gironis (Il castello di Girone). Dopo una breve occupazione da parte dei Partenopei, l'isola fu conquistata dai Romani che vi stabilirono la colonia Aenaria. Sotto il dominio romano, il castello fu trasformato in un fortino difensivo, divenne una vera e propria cittadella, con l'edificazione di abitazioni e torri di avvistamento. Dagli Aragonesi all'Unità d'Italia La struttura del castello, per come ci appare oggi, lo dobbiamo agli Aragonesi. Nel 1441, Alfonso V d'Aragona decise di ammodernarlo lasciandosi ispirare dal Maschio Angioino di Napoli. Nel Cinquecento, il castello conobbe il periodo di massimo splendore. Al suo interno vi abitavano più di 1800 famiglie: vi avevano trovato ospitalità anche un monastero di clarisse e un'abbazia di monaci. Vi erano 13 chiese compresa la cattedrale dove nel 1509 Francesco Fernando d'Avalos e Vittoria Colonna convolarono a nozze. La presenza di Vittoria Colonna, nobile e poetessa, diede l'impulso a un periodo culturalmente molto vivace per l'intera isola. A partire dalla seconda metà del Settecento, cessato il pericolo di attacchi pirati, il castello iniziò a essere abbandonato. Nel 1823, Ferdinando I di Borbone, re delle Due Sicilie, convertì il castello in carcere per ergastolani, e nel 1851 divenne il carcere in cui venivano rinchiusi i cospiratori politici. Con l'annessione al Regno di Napoli, il carcere politico fu dismesso. Dal 1912, quando il castello fu messo all'asta dal demanio, è gestito da privati che ne hanno fatto una delle attrazioni turistiche più interessanti dell'isola. Castelli in Campania: l'unicità del Castello Aragonese di Ischia Ciò che rende così affascinante il Castello Aragonese di Ischia, oltre alla sua storia millenaria, è la sua posizione geografica. La struttura, infatti, sorge su uno sperone di roccia collegato al versante orientale dell'isola da un ponte di pietra lungo 220 metri. Realizzato inizialmente in legno, il ponte fu costruito durante la ristrutturazione voluta da Alfonso d'Aragona. Fino ad allora l'accesso al castello era possibile solo via mare attraverso una scala i cui ruderi sono ancora visibili. La linea della costa è accompagnata da una serie di fortificazioni. Le stesse che spinsero la popolazione locale a rifugiarsi nel castello per ripararsi dalle invasioni barbariche del Medioevo e dopo dagli attacchi pirati. Lo skyline dell'isola è dolcemente disegnato dagli edifici realizzati nel corso dei secoli, dai ruderi, dai vigneti e dalla scogliera scoscesa. Il Castello Aragonese, dicevamo, è una delle mete più interessanti dell'isola di Ischia, nel golfo di Napoli. E' visitabile tutti i giorni dell'anno, nei suoi ambienti risuonano ancora i nomi dei personaggi del passato che, volenti o nolenti, lo hanno abitato: da Michelangelo Buonarroti a Jacopo Sannazzaro, ospiti di Vittoria Colonna; da Carlo Poerio a Luigi Settembrini, rinchiusi come cospiratori contro il Regno delle Due Sicilie. Da Burt Lancaster a Robert Siodmak che nel 1952, nel castello recitarono e diressero alcune scene del film "Il corsaro dell'isola verde". In copertina foto di itiner da Pixabay Read the full article
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aki1975 · 2 months
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Napoli - Francesco Laurana - Maschio Angioino - Arco trionfale - 1479
Fondata dai Greci di Cuma, i sovrani che nei secoli si sono susseguiti sul trono di Napoli sono stati:
i Normanni:
- Ruggero I d’Altavilla conquistò la Sicilia nel 1091;
- Ruggero II (1130 - 1154): fu il primo re di una Sicilia multietnica e multireligiosa avendo accorpato in un unico regno tutti i possedimenti normanni nell’Italia Meridionale conquistando Napoli nel 1137;
- Guglielmo I (1154 - 1166)
- Guglielmo II (1166 - 1189): eresse il Duomo di Monreale;
- Tancredi (1189 - 1194)
- Guglielmo III (1194)
- Costanza d’Altavilla (1194 - 1197)
gli Svevi:
- Federico II (1198 - 1250) Stupor Mundi: a Napoli istituì l’università nel 1224;
- Corrado (1250 - 1254): dovette confrontarsi con il potere del fratellastro Manfredi;
- Corradino (1254 - 1258): fu sconfitto nella battaglia di Tagliacozzo e fatto imprigionare a Castel dell’Ovo e decapitare da Carlo d’Angiò nella piazza del mercato a Napoli, poi sepolto nella vicina Chiesa del Carmine. La dinastia degli Svevi scomparve con la morte di Manfredi nel 1266.
gli Angioini:
- Carlo I (1266 - 1285): fratello di Luigi IX il Re Santo, Conte d’Anjou, ricevette in vassallaggio la Sicilia e Napoli dal Papa che difese dagli Hohenstaufen. Edificò il Maschio Angioino, con uno stile che richiama il castello di Avignone, nel 1282;
- Carlo II (1285 - 1309): dovette rinunciare al trono di Sicilia dopo la rivolta dei Vespri Siciliani nel 1302;
- Roberto I (1309 - 1343): figlio di Maria d’Ungheria sepolta nella Chiesa di Donnaregina, fu apprezzato da Petrarca e amante della cultura e delle lettere;
- Giovanna I (1343 - 1382): fu fatta assassinare dal ramo di Durazzo degli angioini e le succedette
- Carlo (1382 - 1386)
- Ladislao (1386 - 1414)
- Giovanna II (1414 - 1435)
- Renato I (1435 - 1442)
gli Aragonesi:
- Alfonso I d’Aragona (1442 - 1458): sconfisse Renato d’Angiò e unì il tono di Napoli a quello di Sicilia e ai possedimenti della Sardegna e della Spagna occidentale. Combattè contro Milano e Genova e dotò il Maschio Angioino dell’attuale arco di trionfo;
- Ferdinando I detto Ferrante (1458 - 1494): all’inizio del suo regno dovette fronteggiare la rivolta angioina e successivamente sedò la rivolta dei baroni e si alleò con gli Sforza contro il re di Francia Carlo VIII d’Angiò. Del suo tempo la Chiesa del Gesù Nuovo;
- Alfonso II: sposò Ippolita Maria Sforza, ma dovette abdicare a causa della calata di Carlo VIII;
- Ferrandino (1494 - 1496)
- Federico I (1496 - 1503) durante il cui regno vi fu la conquista e poi la cacciata di Luigi XII re di Francia;
- Ferdinando III (1504 - 1516) dopo il quale il Regno di Napoli fu incluso in quello di Spagna prima sotto la casata degli Asburgo (con la breve parentesi della Repubblica di Masaniello fra il 1647 e il 1648) poi sotto quella dei Borbone (1700 - 1713) ed ancora sotto quella degli Asburgo d’Austria (1713 - 1734).
i Borboni:
- Carlo I (1734 - 1759): già Duca di Parma, conquistò e riunificò il Regno delle Due Sicilie anche grazie alla madre Elisabetta Farnese, seconda moglie del re di Spagna, che da Madrid influenzò la prima parte del suo regno. Riformò con Bernardo Tanucci l’amministrazione, promosse la musica (fondò il Teatro di San Carlo nella patria di Paisiello e Pergolesi), l’arte (promosse la ceramica di Capodimonte, fece costruire al Vanvitelli la reggia di Caserta del 1751 e quella che oggi è Piazza Dante oltre alla Reggia di Capodimonte dove installò la collezione Farnese) e sostenne gli scavi a Pompei ed Ercolano che iniziarono nel 1738);
- Ferdinando (1759 - 1799 e 1816 - 1825): sposò una figlia di Maria Teresa d’Austria, Maria Carolina che lo allontanò dall’influenza spagnola di Bernardo Tanucci, promosse la Marina Militare (nel 1787 fu fondata la Nunziatella), ma dovette subire una rivoluzione filo-francese (Eleonora Fonseca Pimentel, Mario Pagano, …) nel 1799 contrastata dal Cardinale Ruffo e da Fra Diavolo e la conquista napoleonica che insediò Giuseppe Bonaparte dal 1806 al 1808 e Gioacchino Murat dal 1808 al 1815 prima di diventare, con il Congresso di Vienna, Re delle Due Sicilie ed essere sepolto al Monastero di Santa Chiara;
- Francesco (1825 - 1830)
- Ferdinando II (1830 - 1859): fondò la prima ferrovia d’Italia (1839), ma fu reazionario e soprannominato il Re Bomba per come represse i moti rivoluzionari del 1848 a Messina;
- Francesco II (1859 - 1861): era figlio di Ferdinando II e di Maria Cristina di Savoia e sposò la sorella di Sissi, Maria Sofia di Baviera.
Con l’Unità, Napoli confluì nel Regno d’Italia: ecco perché la statua di Vittorio Emanuele II è presente a Palazzo Reale.
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sardies · 8 months
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Bastida di Sorres, 500 euro al gruppo di rievocazione storica più meritevole
Borutta. La segreteria della Bastida di Sorres – la rievocazione storica organizzata dal Comune di Borutta che racconta la storica battaglia del 1334 tra Doria e Aragonesi – punta alla perfezione e per farlo organizza il Premio “Rievocazione storica: tra unicità e creatività”, destinato al gruppo rievocativo che riuscirà a distinguersi per novità, originalità e creatività rispetto alle edizioni…
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Viaggio nella Casbah a Mazara del Vallo, simbolo di integrazione
Lasciatevi condurre in un viaggio tra passato, presente e futuro, in uno dei luoghi più suggestivi della Sicilia, terra di incontro fra le culture greca, latina, araba ed ebraica. Passaggio di tantissimi popoli: Fenici, Greci, Romani, Ostrogoti, Bizantini, Arabi, Normanni, Angioini, Aragonesi, Borboni, in un continuo avvicendarsi, nei secoli, di usi e tradizioni che hanno mutato l’identità dei…
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infosannio · 10 months
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Lo Ship Tour di Greenpeace fa tappa a Casamicciola Terme
Sabato 1 Luglio la spedizione di Greenpeace “C’é di mezzo il mare”, farà tappa a Casamicciola Terme.per documentare la biodiversità e la fragilità dei nostri mari, e denunciare i crescenti impatti della crisi climatica e dell’inquinamento da plastica.le attività inizieranno dalle 10.30 presso la banchina di Ponente di Cala degli Aragonesi: Greenpeace Village, con mostre fotografiche e laboratori…
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jacopocioni · 1 year
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Pier Capponi pronto a suonar le nostre campane.
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Pier Capponi davanti a Carlo VIII di Bernardino Poccetti Pier Capponi, Gonfaloniere di giustizia di Firenze, con la delegazione fiorentina. in fronte al conquistatore Re di Francia, Carlo VIII. Due uomini che fronteggiandosi stanno parlando delle sorti di Firenze. Carlo VIII arrogante, pieno di se grazie alle suo imponente esercito e Pier Capponi in difficoltà date le vicissitudini accadute fino a quel momento in Toscana. Carlo VIII scendeva in Italia nel 1494 valicando le Alpi non per le terre toscane o la Repubblica Fiorentina ma per raggiungere il Regno di Napoli dove imperavano gli Aragonesi, voleva conquistarlo e necessitava di un passaggio sicuro in terra Toscana. Piero de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, ricevuti gli ambasciatori francesi decise di rendere difficile il passaggio, cioè si schierò con gli Aragonesi raccomandando a destra e a manca di resistere ai francesi. Carlo VIII era però troppo potente, dato le sue fila, e dopo aver espugnato (non facilmente a dire il vero) Fivizzano mosse contro Sarzana e Sarzanello. Vilmente e impaurito Piero de' Medici cedette all'esercito Francese provocando all'interno della Repubblica forti disagi che si espressero con violente reazioni dei fiorentini. Pietro aveva agito senza consultarsi con il consiglio fiorentino. Non solo i fiorentini cacciarono Pietro e richiamarono dall'esilio famiglie come i Pazzi ma si organizzarono richiamando persone dalle campagne e armandosi come potevano per fronteggiare il sicuro arrivo di Carlo VIII. Ed infatti Carlo VIII con tutto il suo esercito si presentò alle porte della città, tronfio di orgoglio attraversò porta San Frediano e perse dimora presso Palazzo Medici dove riceveva la Signoria Fiorentina per discutere una resa. La sua arroganza era tale da avere richieste impossibili pretendendo una resa incondizionata tanto da voler essere nominato Signore di Firenze. Non solo, doveva essere onorato anche con una somma di denaro talmente sproporzionata da sembrare studiata appositamente per cercare lo scontro che in realtà non era certo voluto. Le ambizioni di Carlo VIII erano il Regno di Napoli e perdere forze inutilmente a Firenze non era il suo scopo, inoltre era ben conscio che i fiorentini dietro le finestre chiuse brandivano i loro forconi.
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Martinella sulla Torre di Arnolfo in Palazzo Vecchio. Carlo VIII volendo concludere la trattativa da una posizione di potere dichiarò di essere pronto a far squillare le sue trombe. In pratica lo squillo delle trombe era l'ordine per l'esercito di entrare a Firenze e saccheggiarla. Pier Capponi messo in un angolo invece di cedere ebbe uno scatto d'orgoglio e alzandosi in piedi con tono minaccioso rispose:" Voi date fiato alle vostre trombe e noi suoneremo le nostre campane!".  Il suono delle campane era, ovviamente, un avvertimento per i fiorentini di un'imminente calamità, e in questo caso un ordine di fronteggiare le truppe di Carlo VIII. Tale fu la veemenza di Pier Capponi che Carlo VIII rimase spiazzato e scese di pretese rendendo la trattativa accettabile. Questo non è l'unico episodio in cui i fiorentinacci si mostrano spavaldi, da leggere: "Materassi e calcio in costume: l’assedio del 1529." Ed ecco svelato come nacque il detto  "Voi date fiato alle vostre trombe e noi suoneremo le nostre campane!" che ancora oggi è usato quando si vuol significare che una posizione di potere non può essere tollerata ad oltranza e che prima o poi si deve porsi di traverso. Mi domando se questa lezione gli italiani la ricordano oppure l'hanno dimenticata.
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Jacopo Cioni Read the full article
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L’isola di Ortigia rappresenta il cuore della splendida città di Siracusa, il primitivo nucleo abitato dove percepire secoli di storia, arte e cultura che hanno contraddistinto questo suggestivo luogo siciliano.
Anche se si tratta di un’isola, essa è collegata alla terraferma tramite il Ponte Umbertino che permette direttamente di passare da Siracusa città all’isola di Ortigia.
Il suo nome rimanda ad origini greche, anche se questa zona, ricca di sorgenti d’acqua dolce, era abitata già dall’età del bronzo, come testimoniato da reperti archeologici databili tra il 3500 a.C. ed il 1200 a.C.
Passeggiare in questo territorio vuol dire assaporare secoli di storia, captando nelle costruzioni ancora vive in questo quartiere le civiltà greche, romane ed il passaggio indelebile degli aragonesi e degli arabi.
Nell’isola di Ortigia si trova anche il Duomo della città, costruito in origine nel V secolo a.C. come tempio dedicato alla Dea Atena e modificato in seguito con la trasformazione in basilica cristiana.
Oggi la facciata si presenta interamente rifatta in stile barocco, avendo subito gravissimi danni in seguito al terremoto del 1693.
Buongiorno e buon giovedì a tutti voi, cari amici, dall’isola di Ortigia!! 🇮🇹❤👏👋
The island of Ortigia represents the heart of the splendid city of Syracuse, the primitive inhabited nucleus where centuries of history, art and culture that have distinguished this suggestive Sicilian place are perceived.
Despite being an island, it is connected to the mainland via the Umbertino bridge which allows you to pass directly from the city of Syracuse to the island of Ortigia.
Its name refers to Greek origins, even if this area, rich in fresh water springs, was already inhabited since the Bronze Age, as evidenced by archaeological finds dating from between 3500 BC. and 1200 BC
Walking in this area means savoring centuries of history, grasping the Greek and Roman civilizations and the indelible passage of the Aragonese and Arabs in the still living buildings of this neighborhood.
On the island of Ortigia there is also the Cathedral of the city, originally built in the 5th century BC. as a temple dedicated to the goddess Athena and subsequently modified with the transformation into a Christian basilica.
Today the facade is completely rebuilt in Baroque style, having suffered serious damage following the earthquake of 1693.
Good morning and happy Thursday to all of you, dear friends, from the island of Ortigia!! 🇮🇹❤👏👋
Grazie: Complimenti a📷@instagram.com/pupina 💚🤍❤️
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sardegnaterraemare · 2 years
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📌  Il Castello dei Doria, Chiaramonti (SS). Il castello è situato nella parte più alta (465m) del paesino di Chiaramonti, in provincia di Sassari. Fu fatto erigere tra il XII e XIII secolo dalla famiglia Genovese dei Doria. Era un castello utilizzato come difesa dalla famiglia dei Doria, insieme ad altri tre castelli situati in questa parte di isola. Nel 1348 il castello fu nelle mani degli Aragonesi, ma nel 1350 attraverso un patto di pace, il castello tornò di proprietà dei Doria. Dopo la caduta dei Doria il castello venne utilizzato come chiesa e poi con gli anni lasciato cadere in rovina. Da questo punto si può ammirare tutta la vallata dell'Anglona, e nelle giornate più chiare si possono ammirare le coste della Corsica. Complimenti a @liveinsardinia_ per questo fantastico post 👏👏👏 ✔️ Visita il nostro sito internet sardegnaterraemare.it per conoscere la #sardegna con noi (presso Chiaramonti) https://www.instagram.com/p/ChSWlbRjBe5/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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Castel dell'Ovo: Un tuffo nella storia e nella leggenda
Castel dell'Ovo, situato sull'isolotto di Megaride a Napoli, è un castello millenario che sorge maestoso sul Golfo, offrendo una vista mozzafiato e un'immersione nella storia e nella leggenda. La sua silhouette, inconfondibile, è un simbolo della città partenopea, un luogo intriso di fascino e mistero che cattura l'immaginazione di visitatori e cittadini. Le origini di Castel dell'Ovo La storia del castello affonda le sue radici nell'epoca romana. Nel I secolo a.C., il generale romano Lucullo vi fece costruire una villa di lusso, sfruttando la posizione strategica dell'isolotto. Nel corso dei secoli, la villa venne ampliata e fortificata, assumendo la forma di un castello vero e proprio. Il Medioevo e il Rinascimento Durante il Medioevo, Castel dell'Ovo divenne una roccaforte strategica per il controllo del Golfo di Napoli. Fu conteso da diverse dinastie e subì numerosi assedi. Nel XVI secolo, il castello ampliato e rimodernato dagli Aragonesi, che ne fecero una residenza reale. Leggende e misteri Il castello è avvolto da un'aura di mistero e leggenda. Una delle più note narra che Virgilio, il celebre poeta latino, nascose un uovo magico nelle segrete del castello. Secondo la leggenda, il destino di Napoli è legato a quell'uovo: se si dovesse rompere, la città cadrebbe in rovina. Il castello oggi Castel dell'Ovo è oggi un museo aperto al pubblico. I visitatori possono passeggiare tra le mura storiche, ammirare le suggestive vedute del Golfo e conoscere la ricca storia del castello. Alcune sale ospitano mostre d'arte e eventi culturali. Castel dell'Ovo è un luogo imperdibile per chi visita Napoli. La sua storia millenaria, le sue leggende affascinanti e la sua bellezza mozzafiato lo rendono un vero e proprio gioiello da scoprire. Foto di gianfilippo maiga da Pixabay Read the full article
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vele-e-vento · 3 years
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- le ultime lettere di Jacopo Ortis, prima stesura 1798. Per chi dice, afferma anzi, che l’Italiano è nato solo dopo l‘unità di  Italia, e che non esisteva prima e che lo parlavano solo tizio e caio, ben fortunati di origini, nei loro circoli intellettuali. mah si forse lo parlavano solo tizio e caio, il Foscolo e il Parini per dirne due. Ma anche il Beccaria e il Manzoni, che quando si trovavano nei bordelli di Milano come riferisce nelle note azzurre il Carlo Pisani Dossi, lo scapigliato, che conosceva tutti i peccatucci della Milano bene di allora, parlavano un misto di Milanese e Italiano. Forse. ma come dicevo altrove, l’opera, la musica d’opera intesa come arte drammaturgica - che si è imposta in Italia e in Europa come la regina delle arti popolari, nel ‘600 e poi ancora di più nel ‘700  e nell’ ‘800 -  si rappresentava ormai da duecento anni già prima delle “lettere di Ortis”, la si inscenava anche nella Napoli Aragonese (gli aragonesi di Spagna), o a Parma, o a Roma (che non è certamente di lingua Toscana), a Venezia,   o nella già citata Milano, la Milano sede della Scala,  il più prestigioso palco d’opera d’Europa, già sotto il dominio Austriaco. E l’opera non era rivolta ai nobili, ma a tutti, e specialmente al popolo. Dunque  il popolo in tutta la penisola forse non scriveva in Italiano, ma lo capiva. Eccolo,  l’Italiano “che non esisteva prima dell’unità” , l’Italiano “quasi moderno”   non impastato di retorica, e di parole distorte dalla rimazione e dalla volontà di raffinatezza poetica del Bembo, dell’Alfieri, o dei librettisti,  quell’Italiano che non esiste, eccolo qua: si rappresenta nelle “ultime lettere”. Ortis, veneto nella finzione romanzata, scrive in perfetto Italiano, un Italiano quasi del tutto simile al nostro. E perchè - chiedo - nella finzione di Foscolo, Ortis avrebbe dovuto scrivere in una lingua finta, quando l’intento di Foscolo era dare il senso che le lettere fossero “vere” ? Dato chè per vere le ha denunciate nel 1801, sulla Gazzetta Universale di Firenze, un giornale dell’epoca, Foscolo stesso... Le lettere di Ortis  erano twitt, e chat e post dell’epoca. Erano la realtà. Almeno questa l’intenzione. Che senso avrebbe scriverle in una lingua che nessuno usa se l’intento è la verosimiglianza... da Film, da documentario pasoliniano, diremmo oggi. Allora queste lettere, simulano lettere vere. Coi loro bravi difetti e la loro verità. Parlano la lingua quotidiana reale. Per perseguire l’intento poetico e politico di Foscolo, nello scriverle. D’altro lato queste lettere sono state pubblicate prima di tutto per questo motivo. Esporre un’ idea politica. E allora dove è questo Italiano, nato magicamente dopo l’unità, che invece  esisteva da almeno un secolo prima dello Jacopo Ortis, nelle opere popolari? E che è questo estratto di Italiano, del 1798, se la lingua italiana non esisteva ancora?
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Una stella a cinque punte campeggia su una finestra. Un passato oscuro avvolge nel mistero quanto accadde dentro quei cortili. Di sicuro le mura, gli stipiti di porte e finestre e i pavimenti raccontano sofferenze atroci e condanne ingiuste. Parliamo di Castello Ursino.
Siamo a Catania in piazza Federico II di Svevia, 3. Un luogo avvolto dal fascino della storia. Fu ultimato intorno al 1250 ma è «circondato» anche da diversi racconti che nella tradizione popolare continuano a tramandarsi. Nulla di ufficiale. Chi racconta le esperienze vissute all’interno del castello non vuole lasciare alcuna traccia: nessun video o virgolettato. Tutto viene affidato alle parole, dette, per una sorta di «rispetto»… Verba volant.
Il maniero venne fondato da Federico II di Svevia nel XIII secolo. Durante i Vespri siciliani fu anche sede del parlamento e, in seguito, diventò la residenza dei sovrani aragonesi fra cui Federico III. Oggi è sede del Museo civico di Catania. Il castello fu anche adibito a carcere.
Non avendo locali idonei, le grandi sale del piano terra furono suddivise da nuovi muri e solai. Si crearono così delle piccolissime celle. Qui i prigionieri stavano al buio. Queste cellette pare fossero anche popolate da topi, scorpioni e tarantole. Un incubo. E di quei giorni dannati sono rimaste delle testimonianze scritte: chiunque visita il castello può venirne a contatto.
Sono centinaia i graffiti presenti sui muri e gli stipiti di porte e finestre. «Miseru cu troppu ama e troppu cridi» è una delle frasi più emblematiche che si trova all’interno del castello. Ma non ci sono solo frasi o numeri (tantissime le date). Ci sono anche simboli come i nodi di Salomone.
IL MISTERO
Bene, in questo spazio, si sono da sempre tramandati racconti di apparizioni e strani movimenti. C’è chi sostiene che sono soprattutto coloro che lavorano all’interno del castello ad essere testimoni di queste manifestazioni: dalle porte che all’improvviso si aprono alle urla di uomini e donne…
Fino a qualche tempo fa, era possibile trovare un documentario su Youtube realizzato proprio su quanto avveniva all’interno del castello. Secondo quanto si trova in rete, questo video aveva anche alcune testimonianze registrate. Oggi non è più possibile vedere queste immagini. Il file è stato rimosso. E il mistero rimane.
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