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#Azioni partigiane e repressione
marcogiovenale · 1 year
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oggi alle 15:00, all'archivio di stato di roma: "occupazione e resistenza: roma 1943-44. storie e documenti"
OGGI, mercoledì 31 maggio 2023 alle ore 15:00 sarà inaugurata nella sala Alessandrina dell’Archivio di Stato di Roma, corso Rinascimento 40, la mostra OCCUPAZIONE E RESISTENZA: ROMA 1943-1944. STORIE E DOCUMENTI, frutto della collaborazione tra l’Archivio di Stato di Roma e il Museo storico della Liberazione. La mostra ripercorre i nove mesi dell’occupazione attraverso documenti poco noti…
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personal-reporter · 1 year
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La resistenza italiana durante la Seconda Guerra Mondiale
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La resistenza italiana durante la Seconda Guerra Mondiale è stata un movimento di opposizione al regime fascista e all'occupazione nazista che ha dimostrato coraggio, determinazione e spirito di sacrificio nella lotta per la libertà. In questo articolo, esploreremo la storia della resistenza italiana, le sue organizzazioni e strategie, e l'eredità che ha lasciato nella storia del paese. La resistenza italiana ha avuto inizio nel 1943, quando il regime fascista di Benito Mussolini venne rovesciato e l'Italia si arrese agli Alleati. Tuttavia, con l'occupazione tedesca in gran parte del paese, molti italiani non accettarono passivamente la situazione e si organizzarono per combattere contro le forze di occupazione e le truppe fasciste rimaste fedeli a Mussolini. La resistenza italiana era composta da un'ampia gamma di gruppi e organizzazioni, tra cui partigiani comunisti, socialisti, monarchici e repubblicani. Questi gruppi operavano in diverse regioni del paese e avevano obiettivi diversi, ma tutti condividevano la volontà di liberare l'Italia dal nazifascismo e ripristinare la democrazia. Le attività della resistenza includevano sabotaggi, attacchi alle forze nemiche, azioni di intelligence e attività di propaganda. I partigiani, spesso reclutati tra la popolazione locale, svolgevano operazioni di guerriglia e colpivano le infrastrutture e le comunicazioni nemiche. Queste azioni non solo danneggiavano l'occupante, ma servivano anche a mantenere alta la morale della popolazione e a dimostrare che il regime fascista non aveva il completo controllo sul territorio. La resistenza italiana era un movimento eterogeneo e decentralizzato, con strutture organizzative locali e regionali. Tuttavia, nel 1944, diverse organizzazioni partigiane si unirono per formare il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), che agiva come un governo provvisorio e coordinava le azioni di resistenza su tutto il territorio italiano. Il CLN aveva rappresentanti di diverse fazioni politiche e svolse un ruolo cruciale nel coordinamento delle attività della resistenza e nella preparazione per l'arrivo degli Alleati. La resistenza italiana non fu priva di sfide e repressione. Le forze di occupazione tedesche e i fascisti italiani compirono rappresaglie brutali contro i partigiani e la popolazione civile, con esecuzioni sommarie e deportazioni. Tuttavia, nonostante le difficoltà, la resistenza italiana continuò a lottare con tenacia e determinazione fino alla liberazione finale del paese nel 1945. La resistenza italiana ha lasciato un'impronta indelebile nella storia del paese. Oltre al contributo alla sconfitta del nazifascismo, la resistenza ha giocato un ruolo cruciale nella ricostruzione postbellica e nella nascita della Repubblica Italiana. Molti partigiani sono diventati leader politici di spicco, contribuendo a plasmare il futuro democratico dell'Italia. Oggi, la resistenza italiana è considerata un simbolo di coraggio, patriottismo e difesa dei valori democratici. In tutto il paese, monumenti, musei e celebrazioni annuali commemorano i sacrifici dei partigiani e ricordano l'importanza di difendere la libertà e i diritti umani. Fonti: - ANPI - Associazione Nazionale Partigiani d'Italia - http://www.anpi.it/ - Enciclopedia Treccani - Resistenza italiana - https://www.treccani.it/enciclopedia/resistenza-italiana_Enciclopedia-Italiana/ - Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea in Toscana - http://www.i-ires.it/ - Rai Storia - La Resistenza italiana - https://www.raistoria.rai.it/articoli/la-resistenza-italiana/27896/default.aspx Read the full article
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paoloxl · 5 years
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A ridosso del 25 aprile anniversario della Resistenza partigiana, della lotta di liberazione dal nazi-fascismo e dalla guerra, si è tenuta a Palermo il 23 aprile un'assemblea  promossa dalle compagne del Mfpr e dalle lavoratrici Slai Cobas per il sc. Contro il moderno fascismo e il moderno medioevo che avanzano nel nostro paese serve una Nuova Resistenza: celebrare il 25 aprile non è una ricorrenza che ritorna;  oggi più che mai,  dinnanzi ad un governo, all'interno del sistema al servizio del Capitale, nelle mani del fascio-populismo di SalviniLega /Di MaioM5S, che falsamente fanno proclami in nome del "popolo" ma che dopo avere giurato da neo-ministri sulla Costituzione nata dalla Resistenza, rivendicano valori e mettono in campo azioni ogni giorno sempre più fasciste, razziste, sessiste, celebrare il 25 aprile significa affermare la necessità di una Nuova Resistenza, guardando e traendo insegnamenti e lezioni dalla grande esperienza della Resistenza partigiana che vinse in quella che fu una guerra di classe, una guerra di liberazione nazionale, una guerra civile, la prima guerra di popolo nel nostro paese. In questo senso si è cercato, in assemblea, di ricostruire un ampio quadro rifacendosi in particolare ad uno degli aspetti importanti e determinanti della Resistenza, rappresentato dalla grande partecipazione delle donne in essa. Guardando alcuni video/documentari come "La Resistenza di Norma" sulla donne partigiane, che hanno  anche sacrificato  la loro vita combattendo contro il nazi-fascismo,  ascoltando la  diretta testimonianza di compagne del Partito Comunista, che diresse e guidò la Resistenza, che furono molto attive anche sulla questione delle donne, come Giovanna Marturano, leggendo e commentando alcuni stralci dell'interessante dossier prodotto dalle compagne del Mfpr di Milano in occasione del 71° anniversario della Liberazione, diversi sono stati gli aspetti emersi nella discussione/dibattito - La necessità di riappropriarsi dei fatti storici che appartengono alla lotta di classe del proletariato - Difendere attivamente la Resistenza che la propaganda/azione revisionista della borghesia dominante che si è alternata negli anni al potere ha mirato a svuotare, ad attaccare fino ad arrivare al fascio-populismo al potere di oggi che la vuole proprio cancellare e affossare. Salvini con odiosa arroganza fascista fa i proclami che il 25 aprile viene in Sicilia a Corleone, perchè la vera battaglia di liberazione è oggi quella contro la mafia,  ma nello stesso tempo i legami/gangli corrotti della Lega con la mafia sono sempre più palesi, vedi l'ultimo caso Siri - Armarsi per la lotta necessaria oggi. - Ripercorrendo la parte del dossier del Mfpr relativa alla condizione delle donne sotto il fascismo con tutte le leggi e provvedimenti che erano la dimostrazione di come "la difesa degli interessi della borghesia si intrecciavano con l'impianto ideologico  dell'inferiorità della donna, la centralità della famiglia, il ruolo di mere riproduttrici della razza italica..., ci si è proiettati all'oggi con un excursus/analisi delle leggi, provvedimenti, campagne ideologiche del governo attuale (il DDl Pillon, l'attacco al diritto di aborto, il congresso clerico-fascista-antiabortista di Verona pro famiglia) contro la maggioranza delle donne che sono un concentrato, in forme moderne, da moderno medioevo, di quell'impianto ideologico fascista e sessista che ai tempi del fascismo diventò leva di ribellione e lotta. Oggi il movimento delle donne nel  nostro paese sta rappresentando una significativa opposizione al governo fascio-populiste ed è importante agire, lavorare, lottare per organizzare, ampliare l'area femminista proletaria rivoluzionaria. La grande esperienza dei Gruppi di difesa delle donne durante la Resistenza, ampiamente documentata nel dossier e spiegata per vari aspetti, che fu la risposta pratica   del Partito comunista italiano di dare organizzazione ed estensione al grande bisogno di ribellione e di lotte di tantissime donne, dalle lavoratrici, alle casalinghe, alle studentesse ecc, è una fonte di lezioni utili per l'oggi. - In termini più generali si è detto che di fronte al moderno fascismo che avanza nel nostro paese, necessità della borghesia dominante nel suo insieme per difendere i propri interessi in un quadro di crisi economica mondiale  a discapito delle masse proletarie e popolari (decreto sicurezza di Salvini/Lega,  attacco ai migranti propagandati come il nemico invasore nel nostro paese per sviare le masse dai veri problemi sociali, sempre più repressione sociale-stato di polizia, legittimazione dall'alto dei fascisti, la cui manovalanza viene  spinta a rialzare la testa, riforme sul lavoro, scuola, servizi che tendono a riportarci ancora più indietro in termini di diritti e conquiste sociali, controllo mediatico del consenso sociale, politiche al servizio della guerra imperialista), occorre opporsi con tutti i mezzi e in ogni campo, mettendo in campo l'unica lotta possibile e necessaria, la lotta rivoluzionaria, contribuendo a costruire gli strumenti (partito rivoluzionario, organismi di massa, forza combattente, politica del fronte) conseguenti e necessari. La Resistenza partigiana ha aperto e mostrato concretamente la via da seguire e da riprendere oggi  sulla base dell'analisi concreta della situazione concreta. - Le partigiane e i partigiani hanno scelto da che parte stare, dalla parte del giusto, della coscienza della necessità, della prospettiva di combattere per una società diversa senza sfruttamento e oppressione... oggi tocca a noi davvero scegliere da che parte stare. L'assemblea si è chiusa con un caldo canto collettivo di Bella Ciao.
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spazioliberoblog · 5 years
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  di CLAUDIO GALIANI ♦
DAVIDE CONTRO GOLIA
Azioni spavalde
Sin dai primi di ottobre le truppe tedesche cominciano a rastrellare sistematicamente la fascia collinare, cercando di snidare le bande in via di formazione e di bonificare il terreno dalle centinaia di soldati che vagano nella macchia. Maroncelli riporta gli episodi che colpiscono direttamente la banda.
“Il mattino del 6 ottobre, in località “ La Bianca “, forti contingenti di truppe tedesche hanno circondato l’abitato cogliendo di sorpresa gli abitanti. Alcuni partigiani attaccarono per rompere l’accerchiamento e fuggire nei boschi circostanti. Il patriota Remo Consolati rimaneva ucciso nel rapido combattimento.” “ Tre giorni dopo, all’alba del 9 ottobre, in località Monte Cucco, nel Comune di Civitavecchia, le truppe tedesche hanno circondato la macchia dove erano accampati un gruppo di militari sardi sbandati dopo l’8 settembre. Essi avevano accettato di operare sotto il comando della nostra formazione. Per non essere catturati ingaggiavano un combattimento durato per circa due ore. Alla fine riuscirono a rompere l’accerchiamento e portando i feriti a spalla la maggior parte dei combattenti italiani si mise in salvo. Nove patrioti erano rimasti sul terreno. Anche i tedeschi avevano subìto una forte perdita tra morti e feriti.”
Dieci, alla fine, sono i morti da parte italiana, un tenente e nove militari, e quattro i tedeschi che restano sul campo, più numerosi feriti. Sullo scontro di Monte Cucco abbiamo anche la versione tedesca. Parla di 12 italiani, tra i quali un tenente, passati per le armi, e 14, in massima parte sardi, catturati. Non fa nessun accenno a perdite subite da parte tedesca. La banda programma una serie di risposte spavalde, per marcare la presenza sul territorio.
“ Alle prime ore del mattino del giorno 20 ottobre approfittando del bombardamento aereo che stavano compiendo aerei alleati su Civitavecchia, fu effettuato un colpo di mano contro una batteria costiera onde metterla in condizioni di non poter operare per molto tempo. Mentre alcuni partigiani tenevano testa a colpi di bombe a mano ai tedeschi addetti alla batteria altri toglievano dai pezzi otturatori e cannocchiali panoramici, che a combattimento ultimato venivano gettati in un pozzo, mentre una motocicletta prelevata nello stesso tempo veniva nascosta in una folta siepe. Forze partecipanti: n. 20 partigiani; Forze contrapposte: n. 50 tedeschi circa; Perdite inflitte: n. 1 tedesco morto e 7 feriti; Perdite subite: nessuna.
Dopo alcuni giorni fu portata a termine la seguente azione: un gruppo scelto di partigiani al comando del partigiano Foschi Amerigo affondava nel porto di Civitavecchia durante le ore notturne un piroscafo di piccolo tonnellaggio requisito dai tedeschi. Forze partecipanti: n. 20 partigiani Il giorno 31 ottobre veniva effettuato un colpo di mano alla Caserma “Duca degli Abruzzi” in Civitavecchia per asportarvi una stazione radio ricevente e trasmittente che fu poi piazzata al Comando dei Carabinieri di Allumiere. I tedeschi di servizio a detta stazione in numero di cinque colti di sorpresa venivano legati e imbavagliati. Forze partecipanti: n. 15 partigiani; Perdite inflitte: nessuna; Perdite subite: nessuna. I primi interventi del gruppo sono quindi focalizzati sull’area portuale di Civitavecchia. Ma dal mese di novembre crescono i rastrellamenti tedeschi, alla ricerca dei capi. É un’azione alla cieca, tanto che Maroncelli, arrestato, viene rilasciato qualche giorno dopo senza essere riconosciuto. La tattica tedesca si affina sempre più, allestendo un servizio di spionaggio, che procura informazioni per la cattura dei capi.
”Infatti la mattina del 17 novembre, truppe addette al servizio di polizia militare, dopo avere avuto la segnalazione da parte di spie fasciste, le quali avevano segnalato ai tedeschi la presenza del comandante Maroncelli e di altri membri della banda in località Casalone, nel comune di Tolfa, circondavano detta località. Gli abitanti, uomini donne e bambini, vennero fatti uscire dalla casa colonica con le mani in alto. Vennero brutalmente interrogati ricevendo però sempre risposte negative. Esasperati per l’insuccesso della loro azione i tedeschi assassinavano barbaramente i patrioti collaboratori della formazione: Carlo Belfiore, Angelo Caciornia, Emiliano Santi e Luigi Gabrielli.”
Vengono poste taglie fino a centomila euro sul capo di Maroncelli e Morra e la banda è costretta a spostare la sua azione verso l’interno.
La strategia della Giunta militare centrale
A dire il vero, gli arresti e i rastrellamenti si intensificano un pò dovunque e causano perdite al movimento partigiano, oltre che rappresaglie sulla popolazione. Come Roberto Forti, dirigente della Resistenza romana, annota nelle sue memorie, il 2 novembre 1943, in un appartamento in via Torino, si svolge a Roma un importante incontro tra la Giunta Militare Centrale, emanazione del C.L.N., e alcuni capi politici e militari delle formazioni partigiane della provincia. C’è da mettere a punto una nuova tattica, per superare i limiti mostrati nelle prime settimane dall’azione partigiana. Già sono stati effettuati importanti atti di sabotaggio che, come era prevedibile, hanno suscitato la reazione dei tedeschi. In assenza di alte montagne, i ristretti spazi di movimento non sono adatti all’ azione di grandi concentrazioni partigiane e favoriscono la loro individuazione e l’attacco da parte nemica. E’ più difficile l’ approvvigionamento, crescono i rischi per la popolazione, si favorisce il controllo delle numerose spie che i tedeschi hanno messo in circolazione. Viene fissato uno schema organizzativo. Le bande devono dividersi in piccoli gruppi, mescolati con elementi locali, dispersi intorno ai distaccamenti nemici, per seguirne i movimenti ed effettuare attacchi a sorpresa. E’ il metodo della guerriglia con azioni rapide, pronte ritirate e successiva ricomposizione. E’ la tattica usata dalla Banda di Bieda dopo l’eccidio del 29 ottobre e da quella di Allumiere dopo il drammatico episodio del Casalone.
“ Dopo tali avvenimenti il Comando decise di spostare i distaccamenti in altro luogo. Gli accampamenti furono stabiliti nei boschi intorno ad Allumiere, mentre l’attività della banda venne estesa fino a comprendere, oltre Civitavecchia ed Allumiere, i territori dei Comuni di Tolfa, Veiano, Barbarano, Bieda e Civitella Cesi.”
Sotto la pressione del nemico, la guerra di posizione si trasforma in guerra di movimento. Partendo dai due poli di Bieda e Allumiere, le due bande accentuano i loro spostamenti, trovandosi spesso a incrociare i loro passi in un territorio che si fa sempre più stretto.
Zona delle operazioni delle due bande
Un nemico potente e spietato
Fatto è che i nostri partigiani si trovano di fronte un nemico potente, sempre più aggressivo e spietato. Dal mese di luglio, le ambiguità del governo Badoglio hanno favorito un afflusso enorme di truppe specializzate tedesche nel Lazio. Circa 300.000 uomini della 14° e della 10° armata sono concentrati nella regione, per la maggior parte a sud di Roma, per sostenere il fronte di combattimento; dopo l’ 8 settembre molti reparti occupano la capitale, per sopprimere ogni tentativo di difesa patriottica. Anche nell’alto Lazio, nell’area tra l’Aurelia e la Cassia, è un pullulare di truppe. Tra settembre e novembre, addetti alla difesa costiera lungo l’Aurelia, tra la foce del Tevere e Tarquinia, sono impiegati 14.000 paracadutisti della 2. Fallschirmjäger-Division. La Divisione, costituita in Francia, nel mese di luglio viene trasferita in Italia, per occupare l’aeroporto di Pratica di Mare. In pochi mesi si rende protagonista di spietate operazioni di rastrellamento e rappresaglia. Un suo reparto è responsabile dell’eccidio di Bieda, su cui stila anche una relazione. Un altro reparto è protagonista dello scontro di Monte Cucco del 9 ottobre. La sua azione repressiva è diffusa. Il 9 settembre partecipa alle operazioni di occupazione di Roma e al disarmo delle forze armate italiane. Un suo reparto coopera alla liberazione di Mussolini sul Gran Sasso. Il 18 ottobre svolge un ruolo anche nel rastrellamento del ghetto di Roma. Con molta probabilità è responsabile della fucilazione del vicebrigadiere dei carabinieri Salvo D’Acquisto alla Torre di Palidoro il 28 settembre, e di quella di Renato Posata, giovane universitario di Civitavecchia, il 1° ottobre. Lasciandosi dietro questa scia del terrore, a novembre viene trasferita sul fronte orientale. Viene sostituita lungo l’Aurelia dalla SS Panzergrenadier. Nell’ area opera la 3.Panzergrenadier-Division, giunta anch’essa in Italia nel luglio 1943, spostatasi a settembre verso Roma e poi verso sud.
Immagini di repertorio:  Wehrmacht Division (in alto) – Panzer Grenader Division (in basso).
  A partire dal 12 settembre assume i compiti di difesa costiera nell’area a nord di Gaeta. Nel frattempo un suo reparto esplorativo occupa anche Civitavecchia. Sulla Cassia opera con 24.000 soldati e 350 carri armati, acquartierati presso il lago di Bolsena e utilizzati per occupare Viterbo, Montefiascone, Orte, Orvieto e Terni. Dopo l’ 8 settembre Kesserling, che ha a sua disposizione anche un reparto “cacciatori”, incaricati della repressione delle formazioni partigiane, sposta la sede del suo Comando da Frascati al Monte Soratte, dove resta fino al giugno 1944. A Viterbo opera, alle dipendenze del Comando di Roma, un Comando territoriale, che sovrintende i Comandi dei vari centri.
Le bande
Elenchiamo, per un confronto impietoso, l’armamento dichiarato dalla banda Barbaranelli.
N°   74 moschetti 1891 “     11 fucili mitragliatori Berretta “      5 migliatrici italiane Brera con abbondante scorta di munizioni. “    32 pistole automatiche Berretta calibro 9 con dotazione di pallottole e caricatori. “    18 pistole di vario tipo “      2 pistole lancia razzi per segnalazioni “  2476 caricatori di pallottole per moschetto Mod. 1991 “   800 pacchetti di pallottole per mitragliatore “Berretta” “   416 bombe a mano di vario tipo.
Queste sono le armi consegnate agli Alleati. Sono la fionda di un piccolo Davide che sfida un immenso Golia. Considerando i membri di tutte le bande, grandi e piccole, che operano in quel momento nell’Alto Lazio, possiamo contare poche migliaia di combattenti. La più numerosa e virulenta, la banda Arancio, protagonista di tante azioni e particolarmente temuta dal Comando tedesco, conta alcune centinaia di elementi, compresi molti militari di varie nazionalità che si sono aggregati. Intorno ad essa ruotano in modo instabile vari gruppi locali. Scarsi sono i contatti tra le diverse formazioni, dislocate in varie zone, diverse per nascita, per composizione, per ispirazione ideale e politica. Particolarmente diffidente è la rete garibaldina, come appare dal giudizio sprezzante che sul comandante Arancio, personaggio controverso, emette ”Stefano”.
”Detti notizia orale dell’esistenza nella selva del Lamone, oltre di un nostro nucleo, di una grossa formazione partigiana. Da un’ispezione, fatta per mio ordine da un compagno che mi aiuta nel lavoro, mi risulta quanto segue: nella zona c’è effettivamente stato un giro molto rilevante di elementi raggiungenti qualche migliaio. L’organizzazione peraltro della banda era difettosissima a causa soprattutto dell’elemento dirigente, certo Arancio, sedicente capitano, elemento tra il pazzoide e il delinquente, che millantando l’accreditamento da parte dello Stato Maggiore del Maresciallo Badoglio, con cui affermava di essere a contatto a mezzo di R.T., era riuscito ad imporsi come comandante, costruendo tutta una scenografia da comando di chi sa quali forze.”
Pur con questi limiti, sparsi tra le macchie delle colline, i partigiani rappresentano una continua spina nel fianco dei reparti tedeschi, con molteplici azioni di sabotaggio, a volte con scontri diretti e con il servizio di informazione che forniscono agli Alleati sui concentramenti e gli spostamenti di truppe. Questo li espone a dure azioni di rappresaglia, che ne minano l’integrità e l’efficienza. La tattica della guerriglia è la più adatta per rendere insicuro il territorio al nemico.
Un’arma mitica
Bisogna a proposito far cenno all’arma mitica dei partigiani, il famoso chiodo a tre punte, evoluto poi nella forma a quattro punte. E’ un chiodo efficacissimo che, seminato sulle strade, è in grado di bloccare intere autocolonne, rendendole un bersaglio facile degli attacchi partigiani, ma soprattutto dei bombardamenti aerei. L’uso dei chiodi assume un’ importanza strategica e il loro possesso identifica, agli occhi di tedeschi e repubblichini, l’appartenenza partigiana. Lo stesso ”Stefano” , fermato durante una missione a Poggio Mirteto, riesce a salvarsi dall’arresto liberandosi furtivamente dei chiodi in suo possesso. In uno scambio polemico tra il Comitato di Viterbo e quello di Civitacastellana sull’uso delle armi anche il chiodo diviene elemento di contenzioso.
”Per i G.A.P vi abbiamo domandato a voi del Com. se funzionano, nell’interesse comune di spronarli, tanto i vostri quanto i nostri, al lavoro. Per i chiodi, al contrario abbiamo tutto il diritto di chiedervi se sono stati adoperati in quanto non ve li abbiamo mandati per tenerli sotterrati come ci risulta.”
CLAUDIO GALIANI
… continua (il prossimo capitolo (VI) venerdì 26 luglio 2019)
ANATOMIA DI DUE BANDE (V) di CLAUDIO GALIANI ♦ DAVIDE CONTRO GOLIA Azioni spavalde Sin dai primi di ottobre le truppe tedesche cominciano a rastrellare sistematicamente la fascia collinare, cercando di snidare le bande in via di formazione e di bonificare il terreno dalle centinaia di soldati che vagano nella macchia.
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paoloxl · 6 years
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Maverick, autore del blog omonimo (https://mavericknews.wordpress.com) è stato condannato per diffamazione a mezzo stampa, chiamato in causa da Massimo Numa, per un articolo pubblicato sul sito. Una condanna tutta politica, che colpisce chi osa scrivere in dissenso e senza paura, su uno dei tifosi dell’accanimento giudiziario nei confronti dei notav, con un passato politico tutto da chiarire. A Maverick va tutta la nostra solidarietà qui di seguito il report e la dichiarazione in tribunale —– da Maverick – Processo Numa vs. Maverick. Sentenza Dopo breve camera di consiglio, Maverick è stato ritenuto colpevole del reato di diffamazione a mezzo stampa. Il giudice ha tuttavia concesso attenuanti di cui per ora non si conoscono le motivazioni. Per cui Maverick è stato condannato a € 516 di sanzione amministrativa e a pagare le spese legali (fino a € 3000). La pm Valeria Abbiati (sostituta di Padalino) aveva chiesto la sanzione di € 1000. Il giudice, trascurando lo specifico capo di imputazione (l’articolo incriminato) su cui è stato avviato il giudizio, ha accolto gli argomenti della parte civile secondo cui il sottoscritto è con-causa della vita derelitta a cui il querelante sarebbe costretto da tempo a causa della “persecuzione mediatica” da parte dell’avversa “fazione politica” e di cui l’articolo incriminato è solo un esempio. L’udienza si è tenuta in una cornice di pubblico coinvolto e solidale, più numeroso delle volte precedenti: valsusini, No Tav dei Comitati torinesi, amici. Che il giudice non promettesse niente di buono, l’avvocato Lamacchia, difensore di Maverick, l’aveva capito fin dalla prima udienza: cenni di insofferenza agli interventi dell’avvocato, atteggiamenti severi, concessioni poco formali al querelante in apertura. Il significato di questa sentenza è chiaro: se sei No Tav e antifascista di Numa non puoi parlare. Non si può nemmeno dire che è “famigerato” malgrado l’ampia documentazione delle sue gesta (sul “fascista” il tribunale non è entrato nel merito). E’ il significato di un processo politico che è sfuggito ad alcune parti di movimento ma non ai semplici militanti che hanno affollato l’aula in questi mesi. A questi ultimi e alle otto sezioni Anpi che hanno emesso un loro comunicato va il mio affetto fraterno. C’è un aspetto positivo della vicenda giudiziaria: abbiamo condotto tutto il processo all’attacco producendo prove della “fama” del querelante tanto che lo stesso avvocato di parte civile ha dovuto sottolineare nella sua arringa che “sembrava che l’imputato fosse il mio cliente e non il Salmoni”. Di questo siamo soddisfatti: abbiamo fatto un buon lavoro di informazione e raggiunto un pubblico più ampio rendendo pubblico il curriculum del querelante e documentando molte delle sue imprese. Che ora sono agli atti. Se ne riparlerà in appello.  Qui sotto il comunicato stampa di Maverick e la dichiarazione spontanea letta oggi in aula.   Sono stato condannato per aver riportato in un articolo di cronaca giudiziaria, sintetizzandola nell’aggettivo “famigerato”, un’opinione ampiamente diffusa presso larghe parti dell’opinione pubblica e nello stesso ambiente giornalistico sul querelante Massimo Numa. Tale opinione diffusa riguarda la collocazione politica del querelante, autore di un libro di denigrazione della Resistenza nel savonese e dedicato a un marò repubblichino caduto nei giorni della Liberazione, libro su cui si sono pronunciate nel tempo dieci sezioni Anpi; riguarda il ruolo politico di un “giornalista” che si accanisce quotidianamente sulle lotte e le proteste sociali; riguarda la discutibile deontologia, esibita anche al di fuori dell’ambito politico, di un “giornalista”già condannato per diffamazione e sottrattosi più volte al giudizio. Nel corso del processo abbiamo ampiamente documentato il tipo di fama che caratterizza il querelante e gli inquietanti aspetti del suo agire ma il tribunale ha optato per la sua tutela. Una tutela che rafforza le ipotesi diffuse di solide protezioni. E’ una condanna politica per un reato di opinione nei confronti del sottoscritto, giornalista indipendente, non protetto da editori o da testate potenti, attivo nel movimento No Tav. Un processo che in qualsiasi altra sede non sarebbe neanche stato istruito, una querela che sarebbe stata archiviata da qualsiasi altra Procura. Ma si sa che alla Procura di Torino l’accanimento contro i No Tav è di casa. Il futuro farà giustizia, noi faremo appello. Torino, 19 marzo 2018 Dichiarazione di Fabrizio Salmoni al Tribunale Questo processo ruota intorno al concetto di “famigerato” usato nel mio articolo in riferimento al Numa. L’ho usato non gratuitamente o per arbitrio personale ma per indicare in un aggettivo una somma di elementi che già al tempo della querela avevo potuto sia raccogliere che verificare di persona e che mi davano motivo per utilizzarlo. Un’opinione che nel tempo non ha potuto che rafforzarsi considerando che le condotte personali e professionali del querelante hanno interessato un pubblico sempre più vasto. Quindi un’opinione diffusa che io ho riportato e ampiamente documentato in questo processo. E’ comunque un’opinione soggettiva e come tutte le opinioni ha il suo contraltare: per molti, non solo in ambito politico, il Numa ha cattiva fama, per i suoi sodali è probabilmente un esempio di civismo e di giornalismo. Tutto è relativo ed ognuno ha la responsabilità della propria immagine pubblica. Bisogna poi anche accettarla se si è coerenti. Ho cercato durante la mia audizione di riassumere tutti quegli elementi ed ora qui voglio sottolinearne le implicazioni più significative. Sono figlio di due partigiani, un po’ tutta la mia famiglia, zii compresi, ha fatto quell’esperienza.  Papà e mamma erano due dei migliori amici di Primo Levi e nella famiglia Salmoni ci sono stati due deportati: uno non è mai tornato dai campi, l’altro se l’è cavata perchè è stato arrestato dai fascisti e consegnato ai tedeschi a fine gennaio del 1945. Io sono iscritto all’Anpi perchè i miei ne sarebbero contenti e perchè l’antifascismo è storia anche della mia vita. Credo che possiate capire quindi perchè il libro del Numa è il primo e più importante motivo per me per confermare l’autore “famigerato”, a partire dal pronunciamento dell’Anpi di Savona nel 2008 proprio su quella pubblicazione. Se avete letto almeno la recensione redatta dalle sezioni Anpi che nel 2013 lo denunciarono pubblicamente, già potete esservi fatti un’idea chiara della fondatezza di quel giudizio. Ogni cittadino democratico che abbia letto o visionato quel libro ha avuto la stessa sdegnata reazione e ha espresso lo stesso giudizio, e voglio credere che anche Lei giudice e il Pm possiate condividerlo. Come le otto sezioni Anpi che hanno emesso il comunicato che abbiamo prodotto. Tanto più chiaro e severo giudizio in tempi in cui forze di estrema destra, vicine al pensiero del querelante, ripropongono una propaganda fatta di saluti fascisti, di manifesti recuperati dalla Repubblica Sociale, di azioni aggressive come da cronache recenti. Il querelante si è sforzato di dichiararsi democratico difensore dello Stato ma è risaputo che non basta dirsi antifascista, bisogna anche dimostrarlo. E il querelante ce la mette tutta nella sua attività professionale per smentirsi. E’ riuscito persino a farsi querelare dall’Anpi di Chianocco-Bussoleno per averne indicato per iscritto e per fotografia alcuni iscritti come “terroristi” (querela transata). E ancora recentemente (sabato 9 dicembre 2017), senza farsene scrupolo, ha scritto l’ articolo su La Stampa che tenta di giustificare in modo forse volutamente confuso il carabiniere che ha esposto la bandiera adottata dai nazisti, un gesto condannato dalle maggiori autorità di quello Stato di cui si dice difensore. Nel corso di questo processo, ho elencato diverse ragioni per cui il querelante è considerato diffusamente “famigerato”, ho messo in evidenza comportamenti quantomeno anomali per un giornalista, alcuni anche paradossali (come il messaggio alla collega Zorio sulla pièce teatrale sospesa) ma ciò che mi sembra più importante evidenziare è un concetto fondamentale che lo rende tale: c’è modo e modo di interpretare il concetto di Stato. Io penso che lo Stato debba soprattutto servire, ascoltare e proteggere i cittadini.  A giudicare dalla sua produzione giornalistica, invece il querelante è un ammiratore sfegatato degli apparati armati dello Stato a cui sono affidati la repressione e il controllo dei conflitti sociali. Lui scrive quasi solo di ordine pubblico, ha una speciale ammirazione per i “reparti antisommossa”, in generale per gli “sbirri” come li chiama affettuosamente in un altro libro a loro dedicato. Come scrivono le sezioni Anpi che nel 2013 lo hanno pubblicamente denunciato, nella recensione del suo libro sulla Resistenza, “…Per Numa, ieri come oggi, è importante l’omologazione (lo Stato, i partiti, ecc.); tutto quanto ad essa sfugge è negativo: cosi’ le bande partigiane non identificate (“schegge impazzite”, “formazioni fuori controllo”) a fronte della REPUBBLICA Sociale, come i protagonisti attuali delle lotte sociali (anarchici, centri sociali, No Tav, antagonisti, il dissenso non riconoscibile, ecc.) a fronte dello Stato e delle Forze dell’Ordine, sempre in un’ottica di scontro. Insomma, l’importante è la divisa. Nessuno gli ha mai spiegato che la Rsi non è mai stata un’autorità riconosciuta ma un’entità fittizia o che lo Stato e certe sue articolazioni o comportamenti non sempre sono simboli di democrazia compiuta. A prescindere, lui sta dove stanno i manganelli…”. Insomma, una concezione dello Stato coerente con la sua ideologia, che porta a pensare che tra i suoi modelli di riferimento ci siano comunque i poliziotti condannati per le violenze di Genova 2001 e quelli che sui muri della Diaz e dei bagni di Bolzaneto scrissero odi al duce, o quelli che hanno dileggiato e insultato la mamma di Aldrovandi. Se riteniamo che lo Stato debba servire, ascoltare e proteggere il cittadino, se riteniamo che il modello di Stato non debba essere quello del querelante, allora riportare la qualifica di “famigerato” attribuita al Numa come opinione diffusa è comprensibile e non può costituire reato. Se invece sarò condannato, la sentenza non servirà a cambiare quell’opinione collettiva nei confronti del querelante: per molti sarà e rimarrà sempre, come minimo, famigerato. Diverse volte il Numa è stato querelato ma ha sempre transato prima di andare a sentenza. Almeno una volta, per quanto mi risulta, gli è andata male ed è stato condannato per diffamazione. Deve aver passato molto tempo a cercare il modo di colpirmi ma alla fine ha trovato solo l’appiglio di “famigerato”. Era un po’ che ci provava con quelle piccole provocazioni via e-mail che abbiamo depositato. Del resto, me l’aveva promesso: “…Con Salmoni non abbiamo ancora finito…”. Chiediamoci che razza di giornalista sia costui. E perchè a Torino querele come questa arrivino in giudizio. Torino, 19 marzo 2018
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