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#Donna La Mulatta
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New Video: Donna "La Mulatta" Shares Swaggering "Get Away From Me (Freestyle)"
New Video: Donna "La Mulatta" Shares Swaggering "Get Away From Me (Freestyle)" @heygroover @romainpalmieri @DorianPerron
Donna “La Mulatta” is an emerging, underground Paris-based artist. In a freestyle accompanied by a chilled out and psych jazz-influenced production by Lille, France-based producer Fair’Son, the Parisian artist spitting bars full of mischievous wordplay with a swaggering, self-assuredness reminiscent of Rapsody and Lady of Rage. Simply put, I thought this was fire. And I’m looking forward to…
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apileofprofiles · 3 years
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Dunque stanotte ho sognato molto. Nel primo sogno ricordo che litigavo con un tizio che stava su un albero, pure io in verità stavo sull’albero (il  perché non lo ricordo). Una volta scesi passavamo subito alle vie di fatto, in realtà ero io che cominciavo, prima che facesse una mossa rifilavo un bel pugno in faccia al tizio. Come succede anche nei migliori films il pugno l’ho sferrato per davvero, pure forte, e ho preso in pieno la porta della mia stanza. Si perché io dormo vicino a una porta, è una mia usanza, solo che è una porta a vetro e per un pelo non ho centrato il vetro, sarebbe stato un bel guaio. Non è la prima volta che capita, per questo prima di andare a dormire scosto un po’ il letto dalla porta, ieri sera però me ne sono dimenticato. Certe volte tiro anche dei calcioni, ma in quelle occasioni centro sempre il muro. Fortuna che non ho una moglie altrimenti il pugno se lo prendeva lei, l’è andata bene, è una donna fortunata. Comunque la nottata è proseguita con una altro strano sogno, di cui non ricordo molto tranne che c’era una scena porno. Una tizia mulatta fatta un po’ strana voleva dormire a casa mia, io all’inizio le dicevo di no ma poi cedevo. Allora nel sogno le dico che forse è meglio se va a fare una doccia però, perché sapevo che la storia sarebbe finita nel letto, lei acconsente e io che sono un furbone la raggiungo sotto la doccia. Ora questa ragazza aveva qualche stranezza anatomica,non ricordo di preciso cosa, in tutti i modi a me non dava affatto fastidio, infatti cominciavo a toccarla e cose così, ma quando le cose cominciavano a diventare dannatamente sexy mi sono svegliato. Non è giusto secondo me, dopo le nocche sbucciate contro la porta meritavo qualcosa come risarcimento.
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questouomono · 4 years
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Questo uomo no, #112 - In che senso?
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Prendiamo, tanto per cominciare, tre definizioni dal sito di Treccani:
Umorismo: la facoltà, la capacità e il fatto stesso di percepire, esprimere e rappresentare gli aspetti più curiosi, incongruenti e comunque divertenti della realtà che possono suscitare il riso e il sorriso.
Ironìa:  1. In origine, finzione (e insieme anche interrogazione); 2. Nell’uso com., la dissimulazione del proprio pensiero (e la corrispondente figura retorica).
Satira: composizione poetica che rivela e colpisce con lo scherno o con il ridicolo concezioni, passioni, modi di vita e atteggiamenti comuni a tutta l’umanità, o caratteristici di una categoria di persone o anche di un solo individuo, che contrastano o discordano dalla morale comune (e sono perciò considerati vizi o difetti) o dall’ideale etico dello scrittore.
Come si vede chiaramente anche da questa piccola indagine, umorismo ironia e satira non hanno un immediato legame con nessun potere censorio; è invece la storia delle differenti situazioni politiche ad aver reso, in alcune circostanze, umorismo ironia e satira qualcosa di ostacolato da un potere politico. Queste sono state - e probabilmente ancora saranno - le uniche occasioni nella quali il rapporto con la lingua e con la libertà d’espressione sarà rigidamente regolato da un’autorità politica con intenti censori; il resto sono chiacchiere inutili, perché se un gruppo organizzato, un’associazione o semplicemente parte dell’opinione pubblica esprime dissenso per una espressione del pensiero, non lo sta censurando - perché la censura la attua chi ha il potere, non chi esprime la propria opinione. Se non ti va di sostenere un dibattito pubblico con altre soggettività su un argomento che non ti va di affrontare, il tuo problema è l’ignoranza e la gestione dei diritti altrui e della loro espressione, e non la censura.
La definizione sensata di politically correct l’ho già data in questo articolo, e non annoierò ripetendola. Invece esaminerò nel dettaglio alcune frasi recentemente espresse da Carlo Verdone, chiarendo che non è affatto interessante cosa lui pensi, bensì il suo esempio - il suo essere uomo famoso, settantenne, campione di una diffusa opinione riguardo una versione completamente fraintesa del cosiddetto politically correct. Le sue frasi sono raccolte qui, ma sono state riprese in molti altri luoghi, è facile ritrovarle e verificarle.
“a forza di seguire questo politicamente corretto uno se sente sempre incatenato in qualche modo“: già questa frase basta a far capire che non si è capito niente del “politicamente corretto”. Se ti senti incatenato perché non puoi offendere un gruppo di persone che non nomini o non descrivi correttamente quando fai umorismo o ironia o satira, il problema è che ti stai inventando che quel gruppo ti ha messo le catene. Come ha già spiegato per esempio Lenny Bruce tanti anni fa - e non posso ammettere che Carlo Verdone non conosca il lavoro di Lenny Bruce - il problema sei tu che non sai adoperare tutte le risorse del linguaggio, sei tu che non sai fare umorismo o ironia o satira, perché tanti e tante fanno umorismo o ironia o satira sugli stupri, sui femminicidi, sulle disabilità, e nessuno e nessuna si offende, anzi ridono di gusto, perché al contrario altri loro “colleghi”, lo sanno fare. 
“se continuiamo così...noi avremo dei grossi problemi di sceneggiatura“: “noi” chi? Da quando Verdone - o altri, ovviamente - è stato autorizzato a parlare a nome di tutti gli sceneggiatori, di tutte le sceneggiatrici? E, di nuovo: il problema è che tutta la tua esperienza, tutte le tue capacità non ti bastano più per non offendere qualcuno o qualcuna attraverso le parole o le immagini? Forse basterebbe ascoltare questo qualcuno, questa qualcuna, e imparare - anche dopo tanta esperienza, anche se hai già tante capacità - a esprimerti come richiesto da soggettività che non avevano parola, che non avevano spazio. Non è poi tanto difficile: molti e molte lo stanno già facendo, anche se non sono famosi uomini di spettacolo come te.
“faremo meno ridere, avremo meno battute“: ancora, “noi” chi? Forse non ti va di ammettere che tu non riesci più a far ridere, perché gli strumenti della lingua e dell’espressione che hai usato finora non vanno più bene. Ed è normale: il mondo cambia, la società è sempre più complessa, umorismo, ironia, satira cambiano. Altrimenti diventano linguaggi vuoti, sintomi di inadeguatezza, volgarità gratuite o semplicemente linguaggi che non significano più niente. E non è certo colpa di chi cerca di non farsi insultare o di non subire forme di violenza.
“tanti miei colleghi cominciano ad averne le palle piene de ‘sto politicamente corretto“: ecco, “le palle piene” è proprio la metafora che spiega bene l’impotenza di un uomo che scopre di non saper più fare il proprio lavoro (in questo caso, far ridere) con i mezzi che ha usato finora. Quindi, invece di studiare, comprendere, ascoltare, fa sapere che ne ha “le palle piene”, il simbolo della sua forza, del suo potere. Grazie, davvero illuminante.
“sta diventando un po’ una patologia“: uh, ma pensa, io credevo che le patologie sociali fossero quelle che causavano vittime, sopravvissute, reati, problemi psicologici. Invece sono quelle che costringono famosi settantenni a darsi una regolata. “Mo’ me lo segno”, disse una volta un altro comico. 
All’inizio della sua chiacchiera Verdone ha tenuto a precisare che le parole seguenti sarebbero state solo la sua opinione. Quello di cui sembra non rendersi conto è che l’opinione di un famosissimo attore e regista con quasi 50 anni di carriera e presenza in tv e cinema, celebrato da sempre come uno dei migliori esponenti della comicità e della satira di costume nazionali, non è esattamente un’opinione: è la parola di un uomo con un immenso seguito e un enorme potere di condizionare quel seguito.
Tanto per chiarire quale sarebbe la cosa di cui parlare, invece di sventolare censure che non esistono, ecco un esempio - l’autore, come prima, non è importante - della stessa ignoranza espressa da un altro uomo provvisto di potere per agire sulla cultura su un personaggio di finzione: 
“James Bond sarà Donna e nera. Anna Bolena l'hanno fatta mulatta (era bionda con gli occhi azzurri). Le sinistre stanno demolendo ogni presupposto culturale della nostra civiltà“.
Chiacchiere che si fermano alla superficie populista e destrorsa dei fenomeni, perché nella realtà il personaggio cinematografico di James Bond era lontano e diverso da quello letterario già ai tempi di Sean Connery; ma figuriamoci se qualcuno nel 2020 si va a rileggere Ian Fleming per fare una sensata critica a un mondo - reale, letterario e simbolico - completamente diverso. Quello che scoccia non è mica, tanto per fare un esempio, una delle più antiche mistificazioni simboliche a uso di un pubblico da conquistare: Gesù Cristo è ritratto ovunque bianco biondo e con gli occhi azzurri pur essendo un palestinese di venti secoli fa - forse questo è stato un “presupposto culturale della nostra civiltà”. No, no, il problema è James Bond nero e donna, cioè un’altro modo sbagliato di intendere il politicamente corretto. Complimenti.
Eccoci quindi costretti ad assistere all’ennesima versione dei soliti problemi causati da uomini vecchi (non anagraficamente, ma di pensiero) e potenti: - perché un uomo famoso di 70 anni che non si è mai occupato di certi argomenti pretende di sapere delle cose e sulla base di quello che pensa di sapere spara giudizi a vanvera? Perché è un rappresentante, da quasi mezzo secolo, di una cultura maschile (non biologicamente, ma socialmente) che non si aggiorna né s’interessa con partecipazione ai problemi di genere. Che sono nuovi, non sono quelli del femminismo di cui tutti in Italia sembrano sapere qualche cosa perché “c’erano”; e se non ti aggiorni perché pensi di saperne abbastanza e di aver fatto abbastanza, quello è il momento in cui diventi un ignorante. - Perché nessuno e nessuna delle persone che ha intorno lo prende in privato e gli dice “ma che stai a dì”? Perché un uomo famoso di 70 anni è molto difficile che abbia intorno delle persone preparate o quantomeno interessate all’argomento che sono in grado di parargli a quattrocchi e farlo sentire l’ignorante che è; essendo un “pezzo grosso” del suo ambiente, è molto più facile che intorno abbia solo gente che sta ben attenta a non contraddirlo mai. - Perché nessuno o nessuna dei giornalisti o giornaliste presenti, quando un personaggio famoso con un grande seguito dice quelle stupidaggini, glielo fa notare?  No, su, davvero, ancora vi fate questa domanda?
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jasminepersephone · 3 years
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[ ADRIAN E JASMINE ] #ravenfirehunters #ravenfirerpg / 𝑷𝒓𝒊𝒅𝒆 𝒂𝒏𝒅 𝑷𝒓𝒆𝒋𝒖𝒅𝒊𝒄𝒆 𝑬𝒗𝒆𝒏𝒕 / < Ma guarda chi abbiamo quì, Miss Perfettina. Insomma, non potevi di certo mancare, no. > Disse Adrian mentre affiancava la veggente. Quando l'aveva vista, aveva deciso subito di raggiungerla. Adrian era una Hunt annoiato. Andato ad una festa solo per uno scopo e quindi doveva pur passare il tempo. Come farlo? Disturbando gli altri, soprattutto i ' nemici ' o le persone che lo odiavano.
Jasmine Persephone A. Harrison
Scegliere di partecipare ad un evento cittadino era una decisione piuttosto semplice per la veggente che spesso voleva essere in prima linea. Cercare attenzioni non era lo spirito guida della venere nera, ma in talune occasioni si divertiva vedere come le persone la guardassero. Scelto l'abito che faceva risaltare la sua pelle color ebano, Jasmine non poté non roteare gli occhi nel riconoscere la voce dell'amico, o meglio del nemico, che ora le si parava davanti. « Decisamente no, ma come vedo, anche tu non sei da meno... Dubitavi forse di non vedermi? Non dirmi che ti manco. »
Adrian Hunt
< No dolcezza, dovrei essere io a mancare a te, visto l'aiuto che ti ho dato. Sai, mi devi un pò di cose. > Disse mentre la osservava. In parte Adrian, si considerava responsabile degli avanzamenti veloci di Jasmine. Infatti la donna, se a quell'età era diventata così brava, probabilmente lo doveva anche a lui, ai suoi cristalli e ai suoi consigli. Alcune persone perchè ancora, non gli erano molto riconoscenti. Le sorrise comunque. Era un gentiluomo dopotutto. O comunque, doveva fingere di esserlo davanti a quelle persone che lo guardavano con ammirazione. < Allora Jasmine, come va la vita? > Chiese successivamente.
Jasmine Persephone A. Harrison
In quel momento un sopracciglio schizzò verso l'alto quando udì il veggente pronunciare quelle parole, le quali avrebbero potuto perfino essere veritiere per un qualche aspetto, ma che la venere nera non era disposta ad ammettere. Aveva compiuto passi da giganti con i suoi poteri, risultato di allenamenti intensi, eppure per la Harrison non erano ancora abbastanza. « Addirittura in debito? » Domandò con quella falsa sorpresa che era così brava a inscenare. Tradì quel divertimento con un sorriso che fu più simile ad un ghigno prima di rivolgersi nuovamente a colui che sapeva farla imbestialire ma che in fondo diceva in parte il vero. « Forse dovresti rielaborare il concetto di debito, o magari è la convinzione che ti sei fatto, ma tutto sommato non posso lamentarmi, e tu? Non ti facevo da eventi mondani... »
Adrian Hunt
< Beh.. l'ingratitudine è un lusso che molte persone si stanno godendo. Il punto è che alcuni possono permettersi di esserlo, altri no. Dovresti solo stare attenta. > Disse poi Adrian, con il suo solito sguardo tranquillo. Quella che poteva sembrare una minaccia, in verità era un semplice avvertimento verso la donna. Perchè in fondo lei sapeva benissimo che l'uomo aveva ragione, solo che non lo ammetteva. < Non sono un tipo da eventi mondani, hai ragione. Eppure sono un Hunt e diciamo che il mio cognome me lo impone. > Disse successivamente, mentre guardava davanti a loro. La festa era una noia mortale e lui non vedeva l'ora di andarsene. < Ti diverti tu? >
Jasmine Persephone A. Harrison
Continuare a battibeccarsi con l'Hunt era un qualcosa che veniva straordinariamente bene ai veggenti, e la replica piccata del veggente andò decisamente a segno nonostante la venere nera non volesse dargli la soddisfazione. Sapeva che per potersi migliorare avrebbe dovuto impegnarsi ancora e ancora, ma soprattutto in parte il merito era anche di Adrian, che lo volesse ammettere o meno. « Un avvertimento che ha il sapore di minaccia, Hunt. » Replicò la Harrison prima di darsi un'occhiata attorno. Gli abiti del tempo rendevano tutto il contesto elegante, la sua pelle scura spiccava con quell'abito color panna, ma non poteva dire che si stesse divertendo. « Uhm, sì e no. Mi aspettavo qualcosa in più, forse qualcosa in meno, è un contesto che non riesco esattamente ad inquadrare, ma forse è questo che serve a Ravenfire, qualcosa che non è necessariamente da comprendere. E' stato comunque un piacere incontrarti, Adrian... Direi che terrò a mente le tue parole. »
Adrian Hunt
< Spero tu lo faccia. > Disse successivamente Adrian, tornando all'argomento principale. In fondo, tutti i veggenti che stavano crescendo insieme ai loro poteri, in verità avevano bisogno di una guida. Questo era quello che aveva tentato di dirle prima, mettendola in guardia. O lui o qualcun altro, potevano essere essere la sua guida. Ma presto la mulatta, si sarebbe accorta da sola. Tempo al tempo. Adrian lasciava sempre che le persone comprendessero e assaporassero i propri sbagli da soli. < E comunque tutte queste feste sono noiosissime. > Disse prima di salutarla con un cenno del capo e allontanarsi.
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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pensierifolli · 3 years
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Ora vi spiego perché dire che "mi piacciono le ragazze di colore" (che poi sarebbero nere, come voi siete bianchi), non è un complimento.
La mia melanina potrebbe essere un fattore interessante, lo concedo. Ognuno ha le proprie preferenze.
Ma che senso ha dire, avete un fisico più bello, siete alte, avete delle belle labbra, etc etc.?
L'africa - che tra l'altro non è l'unico luogo da dove vengono le persone nere - è grande circa 30 milioni di kilometri quadrati. Davvero credete che sia costellata da top model omologate? E davvero credete che quegli standard che avete in testa per le donne nere siano l'unico modo perché siano considerate belle?
Vi svelo un segreto: una donna nera è bella anche se decide di tenere i suoi capelli lisci, è bella anche se bassa, è bella anche se non snella o con il naso a patatina, è bella anche se ha la pelle color carbone o mulatta, è bella anche se ha le labbra sottili o se ha gli occhi verdi.
Adoro le nere, non è un complimento, perché mettete insieme tutti quegli stereotipi che avete disegnati nella mente.
Ah, comunque io adoro i bianchi.
Suona brutto, eh?
Ps lo so che molte volte non è detto con cattiveria, ma questo non lo rende meno fastidioso, abbiamo tutti molto da imparare. Amici come prima.
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eroticissimo · 6 years
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I RACCONTI (SECONDA PARTE) LA COPPIETTA
La mia curiosità mi sta facendo impazzire. E’ un tarlo che mi si è annidato nella mente. Non penso ad altro… Francesca, dopo aver letto i miei racconti, mi assilla di proposte, anche lei vuole partecipare, vuole guardare, vuole gestire. Ma non è facile trovare le persone giuste per far sesso in 4. Inesperti, esperti, molto esperti, giovani, maturi… Non so decidermi, non so muovermi. Sono vicino a rinunciare, se non fosse per Francesca avrei già smesso di pensarci. Un giorno come tanti però Francesca mi invita a passare un week end da lei, almeno il sabato, visto ches suo marito sarà sicuramente fuori. Vado da lei, sono appena 20 km da casa. Arrivo in casa sua, una casetta carinissima con piscina in comune. Sono già particolarmente eccitato per la situazione. Un pomeriggio di sesso con Francesca è assicurato. Lei si cambia davanti a me senza nessun pudore, io faccio lo stesso, sfoderando il cazzo già in tiro davanti ai suoi occhi eccitati. Andiamo in piscina, ci sdraiamo sui lettini per un bagno di sole… Non siamo soli, c’è una coppia di ragazzi molto giovani, sui 20 anni. Lei è mulatta, bella, giovane, provocante ed elegante. Lui un bel ragazzo, fiero e orgoglioso di mostrare la sua nuova preda al vicinato. Francesca si alza e va da loro. Mi dice che conosce il ragazzo da quando era piccolino, mi dice pure che lui l’estate scorsa ci ha provato insistentemente x tutta l’estate, rimediando solo qualche ammiccamento provocatorio.
Comunque dopo una mezz’oretta Francesca torna da me, sorridente e soddisfatta. Vuole fare un bagno, si butta in piscina e io la seguo. Il piccolo tuffo ci porta proprio sulla sponda opposta della piscina dove c’è la coppietta. Francesca, con una mano aggrappata al bordo, mi abbraccia con l’altra e inizia a baciarmi. Ma sono baci estremamente erotici, mi succhia la lingua e si fa succhiare la sua. Uhhh, come succhi bene la lingua – dice Francesca con tono alto. La cosa dura un pochino, io ho il cazzo che mi scoppia. Mi piace amoreggiare in acqua, ma mi piace soprattutto essere guardato dalla coppia, che ha posato gli occhi su di noi e ci guarda concentrata. Francesca si toglie il costume, e lo lancia ridendo verso di loro. Toglie anche il mio, lasciandolo galleggiare sull’acqua. La sua mano inizia ad accarezzarmi le palle. La sensazione è meravigliosa, l’acqua fresca e la mano di Francesca, oramai fuori controllo e impazzita dalla lussuria. Guarda spesso i due, che impietriti dal nostro spettacolo erotico, non accennano a muoversi. Luca, ma ti immaginavi che la tua vicina di casa fosse così porca – dice Francesca senza nessuna vergogna. Luca, così si chiama il ragazzo, non ha la prontezza di rispondere. Ha il cazzo duro, quello si, e lo si vede dal rigonfiamento del costume. La ragazza però non vuole passare da verginella, si spoglia e si butta in acqua vicino a noi. Viene dietro di me e inizia a toccarmi il corpo e a baciarmi il collo dietro. Sarà meglio che entriamo in casa - dice Francesca – mi sa che tra poco i nostri maschi faranno le scintille. E così in un attimo siamo fuori, io corro nudo e bagnato verso la porta finestra, le due femmine invece camminano rilassate tenendosi la mano e ridendo. Luca arriva per ultimo, frastornato dalla situazione. Lui giovane play boy adesso si vede costretto a rincorrere le fantasie di una bellissima donna e di quelle di una giovane ragazza straniera. Dentro casa i giochi diventano ancora più divertenti. Francesca si accorge del forte imbarazzo di Luca e invece di far qual cosa per metterlo a suo agio continua nella sua sfrontatezza. Luca, piccolo mio, ma non mi dire che sei imbarazzato? La tua ragazza lo sa che l’estate scorsa hai fatto di tutto per scoparmi? Lei hai detto che ti facevi vedere nudo dalla finestra? – sussurra con voce calda Francesca, sempre più padrona del gioco. Luca è senza parole, inerme di fronte ad una donna piena di fascino, esperienza e malizia. La sua ragazza invece ne è divertita. E’ nuda, mi tiene abbracciato da dietro, strofina i suoi seni meravigliosi sulla mia schiena. Ha un corpo veramente statuario, il pelle color cappuccino è un invito a leccare, ovunque in cerca di schiuma saporita. Io decido di lasciar fare tutto alle donne, di lasciarle giocare per vedere a che punto si spingeranno. E Francesca sa cosa vuole e lo vuole subito. Dai Luca, sei troppo giovane per fare il play boy, siedi, rilassati e goditi lo spettacolo – aggiunge Francesca. E così appena finito la frase si gira verso di me, si inginocchia e inizia a leccarmi il cazzo, durissimo e bagnato. L’altra ragazza si inginocchia vicino a Francesca, e iniziano a leccarmi assieme, chi l’asta, chi la cappella o le palle. Ogni tanto si baciano e poi riiniziano a giocare con il mio uccello. E’ una sensazione meravigliosa, ho brividi di piacere che attraversano tutto il mio corpo. Le labbra di Francesca sono morbide, le labbra di Rju sono invece più carnose e dure. E poi la lingua chiara in contrasto con la pelle più scura mi eccita ancora di più. Voglio schizzarle sulla faccia, voglio il contrasto della mia sperma sul suo volto. E Francesca pare abbia lo stesso desiderio. Appena capisce che sono vicino all’orgasmo inizia a masturbarmi a poca distanza dal volto di Rju.
Schizzo tanto, tantissimo e le copro il volto. Che spettacolo meraviglio, che delizia vederla e vedere Francesca che con attenzione inizia a leccare il volto della ragazza fino a pulire ogni piccola parte. O poi le ragazze si baciano con una sensualità che solo due donne possono regalare. Sono sempre inginocchiate, una di fronte all’altra, le mani sui fianchi, i seni che si cercano e si trovano. Luca in un angolo vorrebbe masturbarsi, ma la sua ragazza gli intima di fermarsi. Alzo Rju in piedi, mi inginocchio io da dietro e inizio a leccarle il buchino. Francesca le sta accarezzando la fichina, sapientemente curata, con una sottile strisciolina di peli ricci e cortissimi. La mia lingua lecca all’impazzata, le mani stringono forti le natiche sode. La sua pelle leggermente ruvida mostra il piacere che le sto donando. Le dita di Francesca entrano ed escono, sono coperte dagli umori di lei. Francesca se le succhia e poi le infila nuovamente. Io sono di nuovo in erezione, mi siedo sulla poltrona e faccio sedere Rju sul mio cazzo, dandomi la schiena. E così mentre la scopo, Francesca le lecca il clitoride, inginocchiandosi e mettendo la testa tra le nostre 4 gambe. Luca è sempre in “castigo” di fronte a noi. Non ha più il coraggio di sfiorarsi, guarda inebetito le nostre posizioni d’amore. Adesso anche Francesca vuole il cazzo, e dopo aver sentito l’orgasmo di lei la fa alzare e prende la sua posizione. La fica di Francesca è bagnatissima, il cazzo non fa nessun attrito dentro e la scopo così con una forza esagerata. Ha un primo orgasmo, poi uno seguente, poi un ultimo forte, soffocato dalla bocca di Rju che la bacia con forza. Le ragazze sono esauste. Francesca, ancora sulla poltrona mi guarda e mi chiede – vuoi provare, hai voglia di provare la tua fantasia? Certo che ne ho voglia – le rispondo. E così mi avvicino a Luca, che seduto sulla poltrona immobile e con un erezione spaventosa è in attesa di un qualcosa. Mi inginocchio, prendo il suo cazzo in mano e lo guardo negli occhi. Luca mi dice solo una cosa – se mi farai venire io poi lo farò a te. E così, dopo averlo masturbato un pochino, mi faccio coraggio e inizio a succhiargli il cazzo. Cerco di essere bravo, cerco di fare ciò che vorrei mi facesse una donna. Ed evidentemente ci riesco. Uno schizzo caldo mi riempie dopo poco la bocca, sputo e riprendo e succhiare. Credo di aver fatto un bel lavoro, Luca urla di piacere, a lungo. Come l’erezione scende Luca mi dice di sedermi. Fa lo stesso con me, lo fa con voglia evidentemente. E anch’io schizzo, lui beve tutto… Vedo le due donne sedute ad ammirarci sfiorandosi reciprocamente i corpi con le dita… Sembra che sia stata per entrambi la nostra prima esperienza Bi… Direi un inizio eccellente…
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pleaseminddgap · 2 years
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Del razzismo e delle sue forme
La contemporaneità ha un vizio capitale: quello di parlare troppo di tutto, al punto da banalizzare e svuotare di significato e profondità ciò di cui si occupa. Affibbia avidamente etichette e nomi, riuscendo miracolosamente ad appiattire qualsiasi concetto, sia semplice che complesso.
È accaduto anche ieri, sul palco di Sanremo. Il conduttore Amadeus ha invitato come co-conduttrice (ruolo più di forma che di sostanza) un'attrice mia coetanea, Lorena Cesarini. Una ragazza dolce e fragile come uno scricciolo che, oltre ad aver recitato nella serie Netflix Suburra, ha una caratteristica: quella di essere italiana e mulatta, figlia di madre senegalese e padre italiano.
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Caratteristica che secondo alcuni le è valsa l'invito al Festival. Ipotesi probabile, visto che a prendere la decisione è stato uno showman come Amadeus, che in tre edizioni di festival si è distinto per aver spesso operato scelte political correct camuffandole da anticonformiste. Questa insinuazione è razzista? No. Non è rivolta a Lorena Cesarini, bensì al facile compiacimento del pubblico, che vedendo una ragazza dalla pelle scura sul palco può sentirsi a posto con la propria coscienza, non razzista "come tanti altri".
Sul palco servono tempra e presenza scenica: qualità che io non scorgo in Lorena Cesarini (né in Ornella Muti, ingessata e paralizzata in un sorriso forzato). Intendiamoci: come voi amo la sua fragilità di uccellino ferito sul palco, la tenerezza, le lacrime, la delicatezza, il bel volto sorridente, le parole sofferte, la lettura del libro di Tahar Ben Jelloun (vedere qualcuno leggere un libro in tv, senza fare autopromozione del proprio libro, è raro come la neve in agosto). Come attrice mi è piaciuta in Suburra, accoppiata al bullo ma tenero Borghi. Però non ci vedo le caratteristiche di una vera co-conduttrice, non necessariamente perché non le abbia ma per via di Amadeus: due prime donne non possono condividere lo stesso palco.
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Mi sarebbe piaciuto vedere una ragazza, di qualsiasi colore, forte, fiera, spigliata. O almeno raccontata come tale, visto che oggi il racconto tende a sostituire la realtà. Invece ciò che ho visto ieri è una giovane donna fragile, presentata al pubblico in modo paternalistico dal conduttore, anche negli sguardi a lei rivolti. Dalla fisicità nervosa e magrissima, quasi a riproporre un'estetica da bambina denutrita del Biafra. La magrezza esasperata anche dal primo abito indossato, dal taglio inadatto al suo corpo filiforme. Non è, tutto questo, un'ulteriore forma di razzismo?
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C'erano altre candidate analoghe idonee al ruolo? Ovviamente sì. Qualche nome: Denny Mendez, già Miss Italia, oggi apprezzabile attrice di teatro e cinema e ancora splendida donna. Oppure la giovane stella di Netflix Coco Rebecca Edogamhe, protagonista della serie Summertime: ventuno anni, italiana, più o meno la stessa ascendenza di Cesarini (madre italiana e padre senegalese), il piglio sicuro. O, perché no, un'attivista con 22.000 follower su Twitter come @OizaQueensday (che tra l'altro ha espresso opinioni molto condivisibili sul Festival).
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Mi sconforta pensare che, con tutta probabilità, la migliore co-conduttrice del Festival di quest'anno, quella a cui immagino che verrà dato maggiore spazio, sarà un personaggio femminile di fantasia (Drusilla Foer, che adoro e che il palco se l'è meritato tutto). Sogno che un giorno sia considerato normale mettere su un palco da 9 milioni di spettatori, indifferentemente, una donna, un uomo, un/una transessuale, una drag queen, un drag king e, più in generale, persone di talento senza più sentire il bisogno di etichettarle.
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imoviez · 2 years
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CASTING PER SPOT PUBBLICITARIO DI AZIENDA PRODUTTRICE DI PERGOLE
CASTING PER SPOT PUBBLICITARIO DI AZIENDA PRODUTTRICE DI PERGOLE
  Per la realizzazione di uno spot e un video web e social per un cliente che produce pergole, Quasar Productions effettua casting finalizzato alla selezione di attori e attrici di bella presenza. Lavoro retribuito   Nello specifico si cercano : Donna nera, età 35/45 anni. Ragazza mulatta, 18/25 anni. Donna latina in carne, 30/40 anni. Ragazza bianca in carne, 18/25 anni. Uomo nero, 30…
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d-a-r-e-d-a-r-e · 6 years
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La Mela Avvelenata non trova pace [03/07/2074]
di Damian Southgate
Il destino de La Mela Avvelenata, noto negozio di ingredienti e pozioni di Notturn Alley, sembra proprio determinato a non trovar pace in seguito alla morte del suo storico proprietario - Charmian Stronger - deceduto suicida alcuni mesi fa. Nel tardo pomeriggio di ieri, infatti, in seguito a rocamboleschi eventi sulla cui natura al momento si conosce poco, la facciata della conosciuta attività commerciale si è sgretolata conseguentemente a quello che si suppone esser stato un Incantesimo di Scoppio di secondo livello. Malgrado non si abbiano notizie dell'attuale proprietaria de La Mela Avvelenata - la turca Nilufar OztUrk - appare certo il ritrovamento di due corpi al di sotto delle macerie, uno privo di vita all'esterno del locale appartenente ad una donna non ancora identificata ed il secondo imprigionato all'interno del locale ed in gravissime condizioni. E' proprio attorno all'identità della seconda vittima, tuttavia, che si è scatenata l'attenzione sin da subito non solo - o non tanto - per l'identità dell'uomo che, al momento, non è stata ancora resa nota, quanto per l'incredibile somiglianza tra il mago in questione e l'uomo ritrovato cadavere mesi fa, sempre a Notturn Alley. Stessa carnagione mulatta, stesso paio di occhiali piccoli e tondi e lineamenti che non sembrano lasciar spazio ad equivoci, almeno dalle prime notizie che giungono dal San Mungo dove l'uomo è stato condotto privo di conoscenza ed in condizioni critiche che non fanno ben sperare su una sua imminente ripresa che possa gettare un Lumos su quanto accaduto a Notturn Alley o su cosa abbia determinato il parziale crollo dell'edificio. Se le condizioni del mago trasferito al San Mungo si son mostrate critiche sin da subito, lo stesso purtroppo non si è potuto dire per la strega parzialmente intrappolata al di sotto delle macerie de La Mela Avvelenata. Tremendamente giovane - stando ai lineamenti che si son mostrati ai soccorritori - il lungo mantello indossato ed il cappuccio tirato sul capo per trovare riparo dalla pioggia scrosciante che si è abbattuta su Londra nella giornata di ieri ne hanno coperto il volto e l'espressione, malgrado le poche testimonianze raccolte pongano l'attenzione su un accenno di sorriso, probabilmente perché l'immediatezza degli eventi non ha reso possibile che la strega si accorgesse di quanto le stava capitando. Resta di certo da chiedersi se la donna vivesse dalle parti di Notturn Alley o se si trovasse effettivamente a passare da quelle parti per puro caso, al pari dell'Indicibile Evelyn McClair anche lei coinvolta suo malgrado. Ben più inquadrabile in un contesto di ronde, se non altro, è la presenza sulla scena del Cadetto Auror Hilary Darcy e del suo superiore Oliver Marshall, al contrario di un altro ministeriale - Connor Olsen - apparso frastornato subito dopo gli eventi. Quanto al destino de La Mela Avvelenata, la situazione appare tutt'altro che semplice, al momento. La - si spera - momentanea scomparsa dell'attuale proprietaria, infatti, non contribuisce a rendere le condizioni più agevoli per nessuno, sebbene la quasi certa conferma di dolo renderà necessaria l'apertura di un'indagine da parte delle Forze dell'Ordine Magico di competenza e questo potrebbe fornire, se non altro, un quadro decisamente più nitido su quanto accaduto tra i vicoli di Notturn Alley. Certo, considerando l'abituale resistenza che la stampa incontra quando si ha a che fare con tale zona della Londra magica, è forse inopportuno sperare in un passaggio di informazioni che possa aiutare chi vi scrive a fornire una cronaca più esaustiva, ma - come si dice in questi casi - la speranza è l'ultima a bere un veleno.📷 E non mancheremo quindi di informarvi di qualsiasi sviluppo in merito alla situazione, i coinvolti ed il futuro legato alla ben nota attività legata alle pozioni ed i suoi ingredienti. Le uniche certezze che si hanno allo stato attuale, dopotutto, riportano l'apposizione di sigilli magici su quel che resta del negozio ed il sequestro della singolare insegna de La Mela Avvelenata
con le due candele dalla fiamma eterna e, si vocifera da più parti, velenosa. Il Ministero della Magia e le autorità competenti non hanno invece rilasciato ancora alcuna dichiarazione in merito, in attesa probabilmente di sviluppi più chiari. A margine del fatto di cronaca, come avviene talvolta in questi casi, è il caso di riportare anche qualche aneddoto più colorito e quasi certamente legato alla più classica delle girandole di notizie che emergono in tali situazioni. Bisbigli dei vicoli di Notturn Alley riportano infatti ed in ordine sparso di vetrine infrante, oggetti scagliati davanti a La Mela Avvelenata, nebbie artificiali e risate scomposte, il tutto condito dall'immancabile presenza di Maghi Oscuri, Maledizioni Senza Perdono e addirittura un Inferius, tanto per rendere la narrazione ancora più colorita di quanto Notturn Alley offra già di suo.
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eleanordahlia · 4 years
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     👑     —    𝐍𝐄𝐖 𝐑𝐎𝐋𝐄      𝐞𝐥𝐞𝐚𝐧𝐨𝐫 𝐝𝐚𝐡𝐥𝐢𝐚 & 𝐦𝐚𝐫𝐥𝐞𝐧𝐞 𝐬𝐨𝐩𝐡𝐢𝐞      ❪    ↷↷     mini role ❫      r  a  v   e   n   f   i   r   e      01.03.2020  —  #ravenfirerpg      #ravenfireevent #ravenfireilconfine
Il silenzio che si udiva era pressoché irreale alle orecchie della giovane newyorchese che, nonostante fosse mattina presto, sentiva il bisogno di prendere una boccata d'aria. Tutto attorno a sé gridava di stare al riparo, di non attirare l'attenzione su di sé, soprattutto dopo gli ultimi avvenimenti, ma la testardaggine di Eleanor era dura da sopperire. L'aria fresca del mattino era una una boccata d'ossigeno per la giovane che, con sguardo sempre attento attorno a sé, aveva varcato la soglia della sua abitazione per giungere sul limitare del suo quartiere. Le poche persone che aveva incrociato non l'avevano degnata nemmeno di uno sguardo, con i suoi lunghi capelli castano chiari e quel volto algido che sembrava continuare a guardare gli altri da un gradino più in alto. Le voci che correvano veloci e le teorie che i cittadini di Ravenfire tiravano fuori erano tra le più disparate, eppure qualcosa in tutta quella storia non le tornava. Preoccupazione, timore, tutte sensazioni che non erano conosciute all'animo della giovane Janssen che, giunta all'angolo della strada, si maledisse per aver dato ascolto al suo bisogno di uscire.
« Lene... »
Marlene Sophie A. Griffiths
Restare in casa, tra quelle quattro mura da sempre considerate amiche, caldo ventre ove rifugiarsi nei momenti complicati, era divenuta missione impossibile per una Marlene il cui animo inquieto non riusciva proprio a placarsi. Era estremamente agitata, la giovane dooddrear, serpeggiava sempre più velocemente il sentore che il peggio non fosse ancora venuto, che l'arresto di quei ragazzi — che lei ovviamente riteneva innocenti, tutti, nessuno escluso — non fosse la fine della questione vertente intorno a Jacob Ruiz, ma piuttosto l'inizio, l'inizio di qualcosa di molto più importante, di più grande, di più tragico e che avrebbe comportato la rescissione di molte vite. No, non era mai stata particolarmente pessimista, ogni situazione era stata affrontata da lei con positività ed un ampio sorriso, ma in quel frangente entrambe le cose erano di difficile realizzazione, era diverso ciò che stava accadendo: tutta la città era in rivolta e pronta alla guerra, al sangue, alla morte. Ecco perché, di conseguenza, dormire era divenuto qualcosa difficile da fare, ormai Marlene preferiva stare più fuori casa che dentro. Anche in quel momento, seppur fosse presto, si aggirava con aria smarrita tra i vicoli della città, quando d'improvviso, per poco non urtò una figura assai familiare ma che non vedeva da molto, Eleanor. Le iridi color nocciola si sgranarono mentre per un attimo il silenzio calò, imbarazzante.     « Hey, Ele, buongiorno, anche tu mattiniera? »     Domandò, accennando un sorriso. Era da tempo che non parlavano, chissà se stava bene o se anche la sua vitta fosse in subbuglio come la propria.
Eleanor Dahlia H. Janssen
Sensazioni discordanti sembravano aver preso piede nell'animo della giovane Janssen che, non sena sorpresa, si fermò nell'incrociare quella che da sempre aveva considerato come la sua migliore amica. Certo, avrebbe dovuto comportarsi mille volte meglio con lei, avrebbe dovuto parlarle, avrebbe dovuto spiegarle ciò che le passava per la mente, e invece aveva sempre fatto un passo indietro, e poi ancora. Un sorriso tirato velò le di lei labbra, incapace di tornare indietro nel tempo e poter mettere a posto le cose. E se anche avesse potuto, Marlene avrebbe potuto accettarla? V'era ancora un grande, grandissimo fatto che non avevano preso in considerazione, ovvero la sua condizione che, in qualche modo ed inspiegabilmente, era cambiata ormai da un paio d'anni. « Lene... Ehm, sì. In realtà sentivo il bisogno di fare due passi. » Disse la giovane come se fosse la cosa più normale al mondo. Distolse lo sguardo per un momento, si guardò perfino attorno prima di stringersi nelle spalle e tornare con gli occhi su quella figura che aveva contato così tanto in passato. « Come stai? E' diverso tempo che non ti vedo... »
Marlene Sophie A. Griffiths
Puro era il cuore che batteva da ventisette anni nel petto di Marlene, puro a tal punto che spesso veniva scambiata per una semplice umana, perché no, non godeva nel provocare dolore a chi le stava dinanzi, assolutamente no. Certo, per avanzare di livello aveva dovuto nutrirsi della sofferenza altrui, come un parassita, ma non aveva provato piacere in ciò, anzi, innumerevoli erano state le volte in cui s'era rifugiata nel ventre materno, disperata, sentendosi un mostro. C'erano volute le dolci parole della donna ed i saggi insegnamenti di suo padre a farle capire che purtroppo non era qualcosa che poteva comandare od impedire, che era semplicemente fatta così, al massimo poteva scegliere di non infliggerne, cosa che aveva fatto. Ecco perché, di conseguenza, non nutriva rancore alcuno nei riguardi di colei che le stava dinanzi, le circostanze avverse s'erano poste di mezzo, le avevano separate, ma per la giovane Griffiths non tutto era perduto, non se anche Eleonor la pensava in egual modo.     « Potrei star meglio, come te immagino. Siamo tutti un po' tesi, spiazzati, scossi dai terribili fatti che stanno avvenendo in città. »     Rispose, stringendosi nelle esili spalle. Quei poveri ragazzi innocenti, quelle giovani anime sofferenti ora rinchiuse in cella ingiustamente, chissà come stavano, chissà se riuscivano a nutrirsi, a dormire, se erano tranquilli o spaventati a morte: che esseri ignobili li governavano.     « Dove sei stata tutto questo tempo? Sei praticamente svanita. »     Non che volesse impicciarsi ovviamente, ma era davvero passato troppo tempo dall'ultima volta che s'erano viste, non poteva fare a meno di preoccuparsi per lei.
Eleanor Dahlia H. Janssen
Impossibile non notare come una terza presenza fosse lì assieme alle due giovani donne, una presenza che entrambe conoscevano ma che senz'altro apparteneva maggiormente alla newyorchese: il senso di colpa. Un senso di colpa che non sempre le apparteneva, ma che ne confronti della mulatta era più che mai vivido. Entrambe non avevano mai realmente affrontato ciò che le avesse fatte allontanare ma ritrovarsi su territorio neutro l'una di fronte all'altra, portò inevitabilmente la Janssen quanto a lungo aveva sbagliato. Inspirò sonoramente, e si ritrovò così ad annuire con un semplice cenno secco del capo. « Quello che sta succedendo... » Eleanor scosse poi per un momento il capo cercando di immaginare come il comportamento di chi li avrebbe dovuto governarli, li stava portando inevitabilmente a una guerra. « Stento a credere che nessuno abbia ancora fatto qualcosa. Si sente aria di guerriglia, come se da un momento all'altro, tutto potesse succedere... E lo so, sono sparita. » Ella abbassò lo sguardo, una cosa assolutamente non da lei, ma che in quel momento le sembrò la cosa giusta da fare. Tante volte Marlene era stata al suo fianco per aiutarla, per comprenderla, per darle quella spalla che la sua famiglia non le aveva mai fatto avere, ma ora sembravano due estranee. « Mi sento strana, ma non so dirti il motivo. Penso a quei poveri ragazzi e non posso fare a meno di pensare a come si sentano, soli, traditi dalla stessa città che avrebbe dovuto proteggerli... »
Marlene Sophie A. Griffiths
Benché fossero trascorsi due anni dalla separazione con Evan, Marlene aveva ancora vivido in mente il ricordo di lui che le confessava un tradimento che mai avrebbe pensato potesse attuare e, con esso, gli occhi di Eleonor, colpevoli, per averlo coperto. A quel tempo, ferita e probabilmente accecata dal dolore, la giovane dooddrear non aveva avuto abbastanza lucidità per riflettere sul fatto che, per quanto si fosse divertito parecchio prima di lei, una cosa così meschina il suo ex non avrebbe mai potuto farla a lei, troppo l'amore che li univa in primo luogo, stupido sarebbe stato farlo dopo cinque lunghi anni e non durante il primo in cui peraltro egli aveva dovuto aspettare che fosse stata pronta a concedersi. Era stata, infatti, tutta una bugia architettata dal riccio per infangare chissà quale terribile segreto che ancora non le aveva rivelato, e che probabilmente non me avrebbe mai svelato. Tuttavia, il danno era ormai fatto, Marlene aveva riversato ingiustamente tutta la sua collera sulla fedele amica che ora le stava dinanzi e no, non poteva ignorare il senso di colpa che ora sentiva: doveva abbattere quel muro di freddezza che s'era creato tra loro.     « Senti, so che attualmente non c'entra molto, ma io così non posso farcela, devo assolutamente dirti una cosa, una cosa importantissima. »     Dinanzi a quanto stava accadendo in città — sommosse, rivoluzioni, arresti insensati, un Consiglio che ormai pareva prossimo a cadere — certamente i problemi tra loro erano assolutamente di poco conto, ma la Griffiths era fatta così, non lasciava cose in sospeso, non se le procuravano notti insonni e fitte al cuore.     « Evan non mi ha davvero tradita, quella ragazza che hai visto con lui, la mora bellissima, è sua cugina Loreen. È stato tutto uno stratagemma per nascondere qualcosa che non riesco a cavargli di bocca. Sono stata terribilmente ingiusta con te, ti chiedo perdono dal profondo del cuore, anche se probabilmente non lo accetterai. »     D'un fiato la fanciulla dalla pelle ambrata aveva tirato fuori quelle parole, quasi terrorizzata dall'evenienza che Eleonor potesse fermarla e non permetterle più di spiegare. Sicuramente non s'aspettava la perdonasse istantaneamente, anzi, forse l'avrebbe addirittura mandata al diavolo, ma non importava, lei doveva provarci, doveva lottare, doveva dare tutto prima di deporre per sempre le armi.
Eleanor Dahlia H. Janssen
La distanza che s'era creata con l'amica di un tempo, sembrava essere diventata insormontabile, eppure nella quiete di quella notte, entrambe erano lì a parlare come se nulla fosse. Vivido era ancora il ricordo nella newyorchese di come Marlene non ci avesse pensato due volte a non crederle, in quella faccenda che ancora stentava a capire, ma che le aveva fatte allontanare fino a diventare due sconosciute. Eleanor aveva sbagliato a mantenere il segreto, era un fatto che ancora le bruciava, ma nell'attimo in cui vide quella scena che avrebbe cambiato le loro vite, proteggere l'amica fu l'unica variabile che prese in considerazione. Aveva parlato poco prima pensando a come la situazione cittadina fosse sull'orlo del collasso, ma furono le parole dell'amica a prenderla completamente in contropiede. « C-come scusa? » Fu probabilmente la prima volta che la Janssen si ritrovò senza parole, incapace di formulare un pensiero coerente e totalmente spazziata da quella confessione. Per mesi, anni addirittura, Eleanor s'era sentita in colpa, seppur in modo latente, per quella vicenda, ma soprattutto ciò di cui si incolpava era il fatto che aveva perso l'unica amicizia a cui teneva davvero. « Per tutto questo tempo... Per tutto questo tempo, mi hai fatto credere di essere stata io a sbagliare. Mi hai incolpato, mi hai urlato contro, mi hai fatto sentire come se fossi la persona peggiore e invece tu lo sapevi... Tu sapevi ogni cosa. Che diavolo t'era passato per la testa, eh? » Ora il tono di voce si fece più forte, e l'apatia che l'aveva accompagnata nelle settimane precedenti era stata spazzata via dalla rabbia, dalla furia per quella rivelazione che ora cambiava ogni cosa. « Perché? Perché non dirlo prima? Perché rovinare la nostra amicizia, e non dirmi che è colpa mia perché la colpa è mia quanto tua. »
Marlene Sophie A. Griffiths
« Come? Io cosa? Placa la drama queen vittimista che è in te, Eleonor, ed impara ad ascoltare le persone piuttosto che sputare sentenze a caso, accusandole di essere dei mostri! È la seconda volta che lo fai, prima Evan, poi io, falla finita, il mondo non gira intorno a te! »     Era pura di cuore, Marlene, non portava rancore né nutriva rabbia nei riguardi di chi le faceva del male, al massimo rimaneva indifferente, voltava le spalle e se ne andava cancellando per sempre. Riteneva, infatti, che farsi divorare internamente da sentimenti negativi come quelli non fosse una cosa sana, né tanto meno giusta, avvelenare la vita per azioni o persone evidentemente indegne di attenzioni, a che serviva? A nulla, solo a perdersi nel frattempo quanto di più bello la vita potesse offrire. Tuttavia, ciò non implicava affatto che fosse debole ed ingenua, benché giovane aveva già dovuto affrontare innumerevoli tragedie che l'avevano fortificata e resa una sorta di roccia impossibile da scalfire, ancor più dinanzi ad infondate accuse. Ma che stava dicendo quella che credeva sua amica? La stava davvero dipingendo come un mostro senza cuore quando era tutto l'opposto? Seriamente pensava che lei sapesse tutto da anni ed avesse semplicemente voluto ingannata per cercare un capro espiatorio? Ma era pazza? Probabilmente.     « L'ho saputo appena due settimane fa da Evan stesso! Come potevo dirtelo? Ma soprattutto come osi farmi passare per una creatura così meschina e subdola? Forse ho davvero fatto bene ad allontanarti da me. »     Sentenziò offesa e sdegnata. Non se lo aspettava, non si aspettava che Eleonor potesse vomitarle addosso tanto veleno in un solo attimo senza neppure porle domande. Se era davvero questo il pensiero che aveva di lei, allora sì, non avevano null'altro da dirsi.
Eleanor Dahlia H. Janssen
Non ci aveva pensato nemmeno un minuto prima di sputare la sua sentenza e in fondo era ciò che Eleanor aveva sempre fatto in passato: prima agire e poi pensare, mai il contrario. Aveva aggredito senza nemmeno chiedere spiegazioni, era partita in quarta,e le cose sarebbero dovute andare senz'altro in modo diverso se la sua istintività non fosse stata così accentuata. Puntava gli occhi sull'amica, sui quei lineamenti delicati che l'avevano sempre colpita per l'eleganza e la raffinatezza, ma in quel momento troppi pensieri sembravano accavallarsi gli uni sugli altri. « Due settimane... » Ripeté la Janssen mentre il suo respiro divenne appena più lento. Ancora non riusciva a concepire che razza di persona fosse Evan per lasciar credere una cosa del genere, ma di certo non doveva sorprendersi. Eppure la cosa che le bruciava maggiormente era il fatto che tutta quella storia avesse intaccato quell'amicizia in cui lei stessa credeva. Tante cose erano cambiate nella sua vita dal suo arrivo a Ravenfire, ma Marlene era l'unico punto di riferimento che aveva mai avuto, l'amica che che le aveva dimostrato che poteva essere tutto diverso. « Giusto, in fondo sono sempre io quella sbagliata, non è vero? Io ho sbagliato a non dirtelo, io ho sbagliato a reagire... Ma non ti ho mai fatto passare meschina, né tanto meno subdola. E' questo ciò che realmente pensi? Se non ci fossimo incontrate, me l'avresti mai detto? »
Marlene Sophie A. Griffiths
« Due settimane, sì. » Malignità non governava il cuore di Marlene tanto che, vista dall'esterno, mai sarebbe stata associata alla razza cui realmente apparteneva. Aveva le dolci movenze e l'altruismo di una fata, infatti, nessuno immaginava che possedesse canini ben affilati in grado di strappare pezzi di carne, o che potesse manipolare le paure altrui sino a provocare la più terribile delle morti, quella per arresto cardiaco ovvero. Amava ciò che era, ella, non detestava essere più veloce, più forte, guarire più in fretta rispetto ad un normale umano, ma non si adeguava alle dicerie che li volevano tutti feroci assassini, in ventotto anni aveva reciso una vita sola, per errore anche, ed ancora ne scontava le colpe. Ecco perché non aveva affatto gradito l'uscita di Eleonor, si presumeva dovesse conoscerla meglio di chiunque altro, — dopo Sophie ovviamente — come poteva accusarla di tali orrido misfatti? Mentire, intessere tele d'inganni e dolore, no, decisamente non era da lei. Certo, il loro rapporto non era più idilliaco come un tempo, ma la giovane Griffiths non aveva mai covato rancore nei suoi riguardi anzi, le aveva addirittura lasciato la porta socchiusa in caso avesse sentito il desiderio di tornare. Cosa ne aveva ottenuto? Nulla, evidentemente sua madre aveva ragione a definirla troppo buona.     « Per quanto possa sembrarti impossibile visto che vedi male ovunque, sì, te lo avrei detto non appena questo disastro che è certamente più importante, avesse trovato risoluzione. Io non sono come tu mi descrivi, Eleonor, la cattiveria, nonostante sia una delle dooddrear più potenti in città, non fa parte di me. »     Sentenziò con tono glaciale e sguardo ugualmente impregnato della medesima freddezza. Non intendeva assolutamente ferirla, Marlene, non voleva ripagarla con la stessa moneta e prendersi una inutile e stupida vendetta, solo farle capire come realmente il suo essere fosse, votato alla bontà ovvero, non al provocare ulteriori guai a chi già ne aveva di suo.
Eleanor Dahlia H. Janssen
Si sentiva stupida, e il fatto che perfino Marlene le facesse notare come vedeva del male ovunque, faceva sì che Eleanor si dovette fermare a riflettere. Davvero appariva così subdola agli occhi degli altri? Lei, che tanto aveva fatto per osservare i comportamenti e la mente umana, si abbassava a compiere quei fatti. Da quando era giunta a Ravenfire, la newyorchese aveva sperato di avere una seconda opportunità, di comportarsi meglio di quanto non avesse mai fatto, ma era vero che le dure abitudini erano dure a morire. Ripeté mentalmente quel lasso di tempo che trascorse da quando Marlene scoprì la verità, tuttavia le successive parole della dooddrear bruciavano sempre di più. « Non ho mai pensato che tu fossi cattiva, Lene. » Replicò la giovane prima di scuotere il capo. Gli avvenimenti successi in città avevano scosso tutti, la Janssen per prima, costretta a tenere un profilo ancor più basso, eppure il suo protagonismo era ben più forte. Inspirò a pieni polmoni ed espirò, cercando di trovare quelle parole che in quel momento sembravano svanite. « Non era mia intenzione accusarti. Non era nemmeno mia intenzione tenerti all'oscuro ma è successo e me ne dispiace. Dico sul serio... E' meglio che vada ora, ma sono contenta che tu sappia ora la verità. » Probabilmente per la prima volta nella sua breve vita, Eleanor era costretta a far un passo indietro. Era costretta a leccarsi le proprie ferite per riflettere su quanto si fossero dette le due amiche. Non sapeva se vi era spazio di manovra per tornare quelle di un tempo, magari in un futuro, ma sapeva che doveva lavorare ancora molto su se stessa.
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫  
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pangeanews · 4 years
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“I soli bianchi che conosco sono quelli che ci hanno rapiti e portati in questa terra come schiavi”. Tre storie emblematiche: Malcolm X, George Jackson, Angela Davis
Il primo uomo sulla Terra era nero, e nero sarà l’ultimo. Lui ci credeva davvero, si aggrappava alle sue convinzioni e ci viveva e lottava e per quello in cui credeva e lottava è stato ucciso, ma Malcolm X diceva pure che l’uomo nero è superiore a tutti ma al bianco in particolare, e lui lo sosteneva con una rabbia tutta sua, lui che completamente nero non lo era, e non poteva nasconderlo, quella ‘impurità’ se la portava in testa, nel rosso dei suoi capelli.
*
Malcolm il cognome non ce l’aveva, se l’era tolto perché se sei americano e sei nero il cognome di sicuro non è il tuo, ti è stato dato dai bianchi, e se sei un nero e hai orgoglio, quel cognome lo devi schifare e abiurare. Basta una X, a eliminarlo, e a denunciare anni di soprusi, violenze, carnali e mentali. Anni di schiavitù. Malcolm X odiava e si odiava, odiava quel rosso dei capelli che svelava la sua ascendenza insozzata: sua madre era frutto di quello che i bianchi per secoli hanno fatto alle nere, stuprandole a loro piacimento, ché il nero, in America, per secoli è stato niente, non una persona, era una ‘cosa’ che apparteneva a un altro, a un bianco che vi faceva ogni nefandezza: poteva comandarlo, picchiarlo, venderlo, stuprarlo, ammazzarlo. Impunemente.
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“I soli bianchi che conosco”, tuonava Malcolm X, “sono quelli che ci hanno rapiti e portati in questa terra come schiavi, fatto lavorare, trattati e venduti come loro proprietà, e negli ultimi anni si sono comportati da ipocriti, cercando di far credere al mondo che noi siamo stati liberati, mentre siamo più schiavi di quando eravamo sotto Lincoln, e il suo proclama di emancipazione”.  Nell’odio di Malcolm X c’è il nero che non esiste se non nello sguardo distolto di un bianco. La madre ‘mulatta’ di Malcolm X passa al figlio i capelli rossi del nonno padrone e bianco, e la pelle di questa madre era così ‘bianca’ che poteva entrare in un locale ‘per bianchi’ e nessuno la mandava via credendola ‘pura’, quando in realtà era per metà nigger. La madre di Malcolm X sposa un nero che i bianchi buttano sotto un tram, perché non abbassava la testa, esortava i neri ad agire da soli, lottava per la sua dignità e aveva avuto l’ardire di andare ad abitare in un quartiere bianco, e questo non nel profondo Sud, ma nel Michigan, uno degli Stati dove Martin Luther King Jr., vantava che i bianchi lo salutassero, e lo chiamassero ‘signore’. Lo stesso Stato dove il Ku Klux Klan assalta e brucia la casa di Malcolm X bambino, gli ammazza il padre, chiude in manicomio la madre.
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Per i media era “il nero più arrabbiato”, ma Malcolm X si era guadagnato un rispetto altero, rispetto riconosciutogli anche da chi gli era nemico e non tollerava il suo legare il riscatto nero all’Islam, e da chi non gradiva il suo passato da magnaccia e la sua palese misoginia, ma pure da chi gli era amico ma nel pensiero contrario. James Baldwin capiva la sua rabbia: “Io e Malcolm abbiamo molto in comune, tutti e due abbiamo fatto la fame, abbiamo subito le stesse umiliazioni. Tranne per le sue teorie sulla superiorità razziale, quello che dice è giusto, ma le sue conclusioni sono sbagliate. Il nostro posto è dentro questa America dei bianchi e dei neri, legati al destino della stessa polveriera. Per noi non è possibile vivere, soffrire, e sperare in nessuna altra parte”.
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Malcolm X diceva che l’America è una grande prigione, basta nascere con la pelle scura ed è come stare sempre a Sing Sing: così “bisogna ricorrere a qualsiasi mezzo”, perché il nero d’America è in guerra, “e qualcuno cade”. Come è caduto George Jackson. La sua è una vita compiuta e conclusa quasi interamente in una cella. George Jackson nasce a Chicago, e cresce in strada: a 14 anni, il primo fermo per furto, e il primo riformatorio; a 16, sta rapinando un magazzino e un poliziotto gli spara 6 colpi di pistola, ma non lo uccide; a 17, rapina 70 dollari a un distributore di benzina. È al terzo reato e il giudice lo condanna a 10 anni, 5 da scontare in isolamento. In carcere, George si trasforma: da criminale diventa un rivoluzionario, ed è un mutamento avvenuto coi libri: legge Marx, Mao, Sartre, i classici, e testi di economia, ma per George non c’è salvezza. Da detenuto, viene accusato di avere ucciso una guardia carceraria. Non è vero, ma rischia la sedia elettrica, e un giorno sua madre va da una donna, e le chiede di interessarsi al caso di suo figlio. Questa ragazza è nera, è una filosofa, un’attivista, una Pantera Nera. Si chiama Angela Davis, e lei e George si vedono per un solo colloquio in carcere. Quello loro è un amore, un’unione concreta e inossidabile, di idee e di lotta. Ma non staranno mai insieme, non si toccheranno mai, non avranno nessun contatto che non siano le lettere.
*
Angela Davis, 14 giugno 1971, udienza
Le scrive Jackson: “Nessun uomo, e ciò che più importa, nessun uomo nero, qualunque sia il luogo del mondo dove l’uragano ha spazzato il suo corpo affranto, ti potrà mai amare come me”. Un giorno, in tribunale, durante un’udienza, Jonathan, il fratello più piccolo di George, irrompe e spara e prende in ostaggio il giudice e tutto questo per far sì che George evada. Finisce nel sangue, stesi per terra si contano 4 cadaveri, quello di Jonathan e di tre magistrati. Angela Davis è accusata di aver passato le armi a Jonathan, e allora scappa, per un periodo è la donna più ricercata d’America. George Jackson muore ucciso in carcere pochi mesi dopo. Angela è catturata e il suo processo diviene un caso mediatico: lei ogni volta entra, fiera, in aula, con il pugno alzato. Angela rischiava la vita ma ci metteva la vita, e quel suo pugno alzato è grido di libertà, è resistenza.
*
Malcolm X non ha pianto John Kennedy e, pochi giorni dopo Dallas, così ne parlava a Enzo Biagi: “È il caso di un pollo andato a farsi arrostire”. Il 4 aprile 1968 un bianco spara e uccide Martin Luther King, il quale era disprezzato da Malcolm X, perché King incitava alla convivenza pacifica, ci metteva di mezzo il cristianesimo, e faceva dei politici un fine. Malcolm X non aveva fede nel governo, nelle leggi, nella comprensione: “’Fanc*lo la politica”, urlava ai suoi seguaci, “levatevi in piedi e combattete le vostre battaglie perché solo così il bianco imparerà a rispettarvi. E se lui non vi permetterà di vivere da uomini, non potrà impedirvi di morire”.
Barbara Costa
*Fonti: i virgolettati sono tratti da: Enzo Biagi, La mia America, RCS, 2003; qui vedete Angela Davis intervistata nel 1973 (doppiata da Monica Vitti), qui leggete una intervista del 1970
L'articolo “I soli bianchi che conosco sono quelli che ci hanno rapiti e portati in questa terra come schiavi”. Tre storie emblematiche: Malcolm X, George Jackson, Angela Davis proviene da Pangea.
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allnews24 · 6 years
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Terracina, recuperati i corpi di donna e bimba trovati in mare. In corso gli accertamenti
Terracina, recuperati i corpi di donna e bimba trovati in mare. In corso gli accertamenti
Sono in corso in queste ore i primi accertamenti dopo il rinvenimento dei due cadaveri in mare questa mattina a Terracina. Dalle informazioni a disposizione, si tratta di una donna e di una bambina piccola, entrambe di carnagione mulatta, trovate vicine e ad un miglio dalla Foce di Torre Canneto, tra Terracina e Fondi. 
La segnalazione è partita alle 10.45 dalla Guardia di Finanza, impegnata in…
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imoviez · 3 years
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CASTING CONTROFIGURA PER FILM
CASTING CONTROFIGURA PER FILM
  Per la realizzazione di un film, si effettua casting finalizzato alla selezione di controfigura.   Nello specifico si cercano : una donna mulatta con le seguenti caratteristiche, sui 35/40 anni Altezza 160 cm, taglia 44, capelli come nella foto, per controfigura attrice. Libera nel periodo dal 19 giugno al 11 agosto, disponibilità per più giornate.     MODALITA’ DI PARTECIPAZIONE Vi preghiamo…
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