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#Il mio atlante delle Emozioni
federicodeleonardis · 6 years
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Miart 2018: le vittime
Non facciamo del vittimismo perché vittime lo siamo tutti: artisti, galleristi, critici e perfino collezionisti. Certo in misura diversa, ma non in dipendenza della categoria alla quale veniamo assegnati, soprattutto perché i confini di ciascuna non sono proprio così netti come possono sembrare a un profano: quale è l’artista che non colleziona qualche collega o quale gallerista non si sente artista mancato o collezionista? Per non parlare dei critici che da almeno 40 anni, vista la dilatazione abnorme della mandria degli artisti, per governare la scuderia finiscono per essere autorizzati dalla non minore massa dei collezionisti a usare spesso la frusta, finendo per essere considerati i veri arte-fici delle mostre. Quanto poi agli artisti, si sa che usano spesso la penna, anzi ci si aspetta da loro che abbiano una posizione critica e spesso alcuni la esercitano letterariamente in modo a volte interessante. Nell’essere vittime siamo tutti uguali, compresi i collezionisti, grazie ai quali vivono tutti gli altri. Infatti non dimentichiamo che per sostenere il loro trip mecenatesco portano sulle spalle come Atlante l’intera baracca.
Quindi evitiamo per favore di delineare una gerarchia del vittimismo: vittime lo siamo tutti anche se non ce ne rendiamo conto. Ed è su questo punto che voglio centrare il discorso. Ma intanto devo anticipare che non  ho scomodato Miart per dire qualcosa che a molti operatori dell’arte potrà sembrare una banalità, ma per parlare proprio delle Fiere (e non tanto di quella milanese che, tra l’altro, quest’anno ha fatto un notevole salto di qualità rispetto ai precedenti). Parlare di queste manifestazioni mi serve a evidenziare quanto un veleno sia arrivato a infiltrarsi dentro di noi in maniera forse irreversibile e ci abbia drogato al punto da riuscire a farci apparecchiare in due giorni una kermesse fantasmagorica che ne dura quattro e alla quale partecipano folle che i musei di tutto il mondo invidiano, muovendo un giro di affari strepitoso. Che c’è di male allora e dov’è il veleno, la sua longa manus? Ma è semplice, signori, nel cartone!
Non faccio dello spirito: è proprio così: un esercito di schiavi innalza pannelli di 1metro di larghezza e 4 di altezza (costituiti da un telaio di legno riempito di “vespaio”, alias carta a onde), li sposta e li assembla ad altri, allo scopo di creare spazi più o meno chiusi dove un altro esercito di allestitori attacca a precari chiodi i tesori degli artisti, il tutto in un paio di giorni affannosi; dopodiché inizia la festa e un altro esercito di visitatori col naso per aria invade la scena credendo di vedere qualcosa (che naturalmente gli sfugge) e dopo quattro giorni il tutto viene smontato e portato a casa: il cartone, sissignori, proprio lui, ha fatto il miracolo: Il medium densitiy è proprio cartone pressato e misura solo 4mm di spessore 1. Parlo, abbiate pazienza, per chi  non è dietro le quinte di questo frenetico teatro e si trova in platea.
Continuo con le battute per mantenere leggero il discorso, ma non si va molto lontani nella ricerca dell’emblema delle responsabilità e il cartone ne è anche il supporto materiale. Non solo è funzionale alla velocità ed economico rispetto alla precarietà con cui si è costretti a montare questa gigantesca collettiva, ma purtroppo denuncia senza mascherature la sua astrattezza, la sua inconsistenza fisica, in una parola la sua evanescenza: l’effimero è il suo regno.
Velocità: si può in due giorni concepire una collettiva degna di questo nome in uno spazio qualsiasi e senza nessun coordinamento che non sia una vaga direzione che dietro le quinte bada praticamente solo  alla notorietà delle gallerie rappresentate? Precarietà: se anche ce la fai a concepirla, riesci poi a montarla con pareti di cartone e senza violare lo spazio altrui? Astrattezza: richiede un discorso più lungo perché siamo ormai abituati al trasformismo della  “Società dello spettacolo”  e non molti mi seguiranno: l’arte, la vera arte, quella che dialoga con lo spazio che la ospita, lo arricchisce e se ne arricchisce, si trova davanti uno spazio anonimo, neutro, senza storia e consistenza, astratto, appunto; e se questo vale per i quadri, ancor più è evidente per le opere a tre dimensioni, per non parlare di quelle che sono dichiaratamente site specific. Evanescenza: ma come la si vuol classificare una mostra che dura quattro miseri giorni, che ben pochi, se non gli operatori che si danno da fare ad allestirla hanno occasione di vedere e giudicare? Dopo quattro giorni si chiude baracca e burattini e rimangono solo le fotografie a testimoniare l’evento.
Passiamo ora alle vittime. Certo lo siamo tutti. Tutti ci inchiniamo al Moloch, tutti accettiamo le condizioni date, tutti viviamo le giornate delle Fiere con l’animo oppresso dalla coscienza del falso, tutti vogliamo illuderci che il nostro messaggio travalichi queste pareti di cartone, tutti chiudiamo le orecchie alla voce di saggezza che parla della falsità di queste manifestazioni e accorriamo in massa a parteciparci (e siamo addirittura grati a chi ci rappresenta), ma sappiamo benissimo che chi ci scapita è l’arte, chi se ne va a casa “povera e nuda” è proprio lei: con le pive nel sacco si ritira mesta negli studi dei paria (alias gli artisti), arricchisce qualche salotto o qualche biblioteca d’arte, forse deposita qualche pulce nell’orecchio di una minoranza di gitanti domenicali in cerca di emozioni facili (un po’ meno di quelle che si ottengono in uno stadio), ma alla fine, ne sono sicuro, non ha fatto nessun passo avanti e anzi dubito che non ne abbia fatti indietro. Le gallerie sono sempre più deserte, i musei, attenti solo al mercato e non propositivi, fingono di amministrare il denaro pubblico, ma in realtà vanno dietro al mercato, quindi alle Fiere (e forse addirittura non più a quelle, ma alle aste). E la colpa è del cartone!
Ma siamo finalmente seri! Potrei cavarmela concludendo con un celebre aforisma: “Non esiste vera vita nella falsa” oppure invitando a leggere un paio di testi , ma rimarremmo tutti, compreso me, con la bocca asciutta e non è questo il mio scopo. Un barlume di speranza che non tutto finisca nel “cafard” ci fa andare avanti e una domanda rimane: per quale ragione gli artisti in prima fila e dietro tutti gli operatori continuano caparbiamente a credere che contro il “terrore capitalista,” il ricatto del denaro a cui sono sottoposti  e che nelle manifestazioni delle Fiere ha la sua più patente espressione, si possa opporre l’arte? No, mi rifiuto di credere che siano gli affari o la notorietà. Ho sempre pensato ottimisticamente che esista un’illusione difficile da sconfiggere, un’illusione forse più potente della longa manus, ma a questo punto posso parlare solo per me. Personalmente non credo né nel cartone, né nel suo opposto (le pareti solide di un muro autentico), ma nel loro dietro. Sembra una battuta, ma non lo è affatto. Se preferite dirò, letteralmente ma “retinicamente”2: nella nostra immaginazione.
Nella kermesse milanese ho avuto la fortuna di esporre un esempio di come si faccia a suscitare quest’immaginazione. Non so se ci sono riuscito. Ma per aiutare i nasi per aria, a una certa altezza  ho esposto anche un cartellino, passato quasi del tutto inosservato. Quasi. Per facilitare cosa intendo per immaginazione, a rischio di apparire criptico, lo riprodurrò qui sotto:
Il vuoto non è un parola astratta perché non indica una cosa astratta, ha un corpo, un colore, un volume e un peso. Ha anche un tempo, un passato, un futuro e soprattutto un presente, quindi un ritmo. Di più, è di questo mondo, perché intrattiene rapporti con chi lo incontra: quindi ha una morale. Un uomo può essere vuoto, ma il vuoto non è un uomo, è molto di più. Chi incontra il vuoto è libero di riempirlo di tutto ciò che immagina senza ingombrare nessuno, senza condizionarlo.
Il vuoto non ha un centro, se mai una periferia: è qui che trovi il suo corpo, nell’angolo dell’occhio, in tralice, di sfuggita, quando meno te lo aspetti.
Il vuoto è fatto di poco, quasi di niente e quindi non ha valore: chiunque lo può incontrare,  se ha sufficiente bisogno di liberarsi  del peso del mondo, chiunque può godere del rapporto con lui, ma nessuno lo può possedere.
Il vuoto è un evento e come tale intrattiene rapporti con la memoria, rapporti stretti quali si possono avere solo con un altro essere. Sono questi a far scattare l’immaginazione, la tua, di te che mi leggi in questo momento.
FDL
1.       Peccato che se non hai una vite lunga esattamente 4 cm per conficcarsi in quello del fondo – la parete del vicino, attenti a non bucarla! - non regge nemmeno 4 etti di peso!
2.       Chiedo perdono per tutte queste virgolette, ma sono d’obbligo. L’allusione nell’ultimo caso ha un nome e un cognome che ho fatto troppe volte per ripeterli, ma negli altri posso essere più esplicito: La Société du Spectacle è un termine coniato da Guy Debord; l’aforisma a cui alludo è di T.W. Adorno; stranoto il cafard (umor nero) di E. Cioran; il paio di testi cui accenno potrebbero essere All’ordine del giorno, il terrore di Daniele Giglioli e Realismo capitalista di Mark Fisher (segnalatimi da un amico dopo le mie esternazioni verbali a lui sull’argomento); povera e nuda oggi va l’arte, non la filosofia.
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ilikeshoppingit · 7 years
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La vera trama di 50 sfumature di grigio
È un giorno qualsiasi, nella vita di Anastasia Steele. Cammina per strada con aria contrita, entra in ufficio con aria imbarazzata, parla a sussurri, guarda il mondo come un gatto guarda il decollo di un’astronave. Lavora in una casa editrice con ruolo di fermaporta. Un giorno va a una mostra d’arte di un suo amico, dove fatalità ci sono dei suoi ritratti con aria contrita. Anastasia si vergogna, non vuole. L’amico viene a sapere che quei ritratti sono appena stati acquistati da un milionario e lei ne è ancora più imbarazzata.
«Chi li ha comprati?» domanda. «Io. Sono ricco» risponde Christian Gray, sbucando da un angolo. «Oh, Christian» dice Anastasia «devi dimenticarmi. Hai superato il limite.» «Ceniamo.» «Ok.»
Al ristorante scopriamo che Christian Gray è affetto da una rara patologia per cui deve far presente il suo reddito ogni sedici secondi. Questo complica la comunicazione, perché da un lato Anastasia ha la stessa gamma di emozioni di Daitarn III, dall’altro abbiamo un uomo a cui hanno dato come dialoghi dei titoli di mensili di lifestyle anni ‘90.
«Christian, non abbiamo niente da dirci» dice Anastasia. «Il polo: uno sport dimenticato.» «A te piace farlo violento, a me invece piace il sesso raffinato, elegante.» «Lo smoking si reinventa.» «Mi stai… mi stai invitando a casa tua?» «Lo yacht, filosofia di vita.» «Christian, non dobbiamo! È sbagliato!» «I migliori elicotteri del 2017.» Scopano.
La prima scena di sesso consiste in inquadrature di deltoidi, bicipiti, mani che si stringono e lui che le mangia la passera. La colonna sonora pop-hop aumenta il disagio, essendo il genere musicale tipico dei cartoni animati per preadolescenti. Solo che invece della volpe coraggiosa nel bosco incantato c’è una tizia inespressiva che si fa sbaffare il grilletto dal fratello autistico di Tony Stark.
È come guardare il porno amatoriale di Paperone.
Il mattino dopo, Anastasia è contrita. Va al lavoro e invece di fermare le porte continua a mandarsi SMS con Christian, il quale è nel bel mezzo di una riunione e risponde con la sua solita carica erotica.
«Ci vedremo ancora?» domanda lei. «I bottoni d’oro del blazer, un segno di distinzione senza età.» «Siamo dei pazzi. Ma ti voglio ancora.» «Il golf nel mondo.»
Quando si rivedono, Christian spiega ad Anastasia che lui ha subito delle violenze da piccolo, argomento che viene affrontato con la stessa profondità di un cinepanettone. I traumi hanno causato a Christian un buffo riflesso mentale per cui se qualcuno gli tocca pettorali o addominali, lui viene colto da mostruosi attacchi di dissenteria e caca senza controllo. Anastasia sussurra qualcosa di assolutamente irrilevante che porta Christian a dire una frase importante: «L’eleganza della pelle italiana.» «Va bene, ma questa volta facciamo qualcosa di più spinto» dice lei.
Christian le tira due sculaccioni e le mangia la passera così.
Il mattino dopo, Anastasia è contrita. Dice che il suo capo non la apprezza. Christian quindi acquista l’azienda che gestisce l’azienda che gestisce la casa editrice dove lavora lei. È per questo che le donne hanno lottato: ottenere qualsiasi cosa non perché lavorano o perché si impegnano, ma perché scopano l’uomo giusto. E l’uomo giusto è ricco. Infatti quando Christian le regala smartphone e macchina lei non fa nemmeno il gesto di rifiutare.
«Ah grazie» dice lei con un accenno di sorriso «cosa facciamo stasera?» «L’etica dell’estetica, a cura del barone Von Kauffman.» «Stiamo andando a una festa alla Eyes wide shut? Davvero?» «Il carattere dell’X5, il jet per eccellenza.» «Vuoi mettermi delle palline cinesi in berta? Sei pazzo.» «Rolex, tra passato e presente.» «Ah certo, bellissimo, ora facciamolo violento, sottomettimi.»
Questa volta la sottomissione di Anastasia è estrema: Christian le tiene le gambe aperte con un bastone e le mangia la passera, ma con atteggiamento molto dominante. Il mattino dopo la festa più imbarazzante dai tempi del mio esame di maturità, Anastasia si sveglia in un attico/villa/yacht/astronave madre e non sa cosa pensare. Lo ama? La ama? Gli manda un SMS.
«Christian, dimmi la verità: cosa sono, per te?» «Lo scamosciato, per un uomo di carattere.»
Il capo di Anastasia scopre di essere appena diventato dipendente dell’amante di lei, e fa quello che farebbe chiunque: prova a stuprarla. Non c’è momento migliore. Tra le scelte intelligenti si colloca giusto tra provare a disinnescare una bomba a martellate e fare il bagno nei fanghi radioattivi. Uno stupratore sceglie sempre di stuprare una donna nel momento in cui è più blindata. Si piglia un calcio nelle palle e sviene. Anastasia riferisce a Christian che lo licenzia. Il conflitto con l’antagonista termina con questa difficoltà.
«Oh, Christian, mi hai salvata!» dice Anastasia. «Come prendersi cura della propria Bugatti Atlantic, pg.102.»
Dopo questa cavalleresca scena, Christian fa un bilancio: lui è un palestrato bellissimo che fattura 24,000 dollari ogni quarto d’ora, ha uno yacht, ville con piscina, azioni in borsa, un numero incalcolabile di aziende e gira in elicottero. Anastasia respira, ha la vagina ed è indecisa: è quindi la donna dei sogni di tutti gli uomini dell’alta società. Christian le chiede di sposarlo.
«Non lo so, sono indecisa. Potrei avere di meglio, dopotutto sono una nullità.» «Tennis, uno sport da gentiluomini.» «Lo so che mi ami, ma hai ancora il trauma della dissenteria. Non sei perfetto. Ricordati, io rappresento il riscatto sociale di milioni di zitelle che a furia di standard fantascientifici oggi dormono con trenta gatti e quattro antidepressivi diversi.» «Il Philippe-Patek, un classico intramontabile.» «Come può esserti passata? È l’amore che provi per me?» «Gli alberghi sette stelle nel mondo e i loro designer.» «Ma tu sei un sadico! Ti piace fare del male!»
Le mangia la passera, la porta al castello tra mille e mille fuochi artificiali, organizza un banchetto da 7834893487348734 invitati tra cui Obama, Ghandi, Temistocle, Grace Kelly e l’imperatore Marco Aurelio, la conduce in una piscina sotterranea, mostra un anello che costa come la Morte nera e le chiede di sposarlo. Anastasia dice di sì.
Sostanzialmente, l’uomo ideale per E.L.James è Rin tin tin.
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yourcrysalideus · 8 years
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Mi porteresti a casa?
Mi porteresti a casa?
      Eccomi qui a regalarvi un nuovo frammento, un’altra tappa del viaggio  attraverso Il Mio Atlante delle Emozioni.
Un testo intenso che tocca le corde  di un cuore graffiato che lacrima…di un’anima spezzata nella quale non fatico a riconoscermi.
Lieta di servirvi.
Cliccate qui per ascoltare questo meraviglioso brano di Jess Glynne
      Così avvolta, così consumata da
Tutto questo dolore
Se…
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yourcrysalideus · 8 years
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La passione è una sfida al destino Oggi ne  Il mio Atlante delle emozioni  vi riporto una citazione  che appare nelle prime pagine del libro…
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yourcrysalideus · 9 years
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  Un brano sensualissimo quello che fa da colonna sonora allo Spot del nuovo profumo di un noto marchio.
Ne “Il mio Atlante delle Emozioni” ve lo propongo al link sotto.
The Wheeknd – High for this
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yourcrysalideus · 9 years
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Stupendo fino a qui
Stupendo fino a qui
Eccomi di nuovo  ne “Il mio Atlante delle Emozioni” letteralmente folgorata dall’intensità di un testo che, come pochi, toccano il mio cuore. Ho sempre amato Alessandra Amoroso, la sua canzone La mia storia con te ha “segnato” un particolare momento della mia vita e ritrovarsi nelle parole di una canzone così bella, a volte, fa davvero male.
  Ascoltate il brano Quì
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Probabilmente chiara come…
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yourcrysalideus · 9 years
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Così ho trovato la mia strada
Così ho trovato la mia strada
La musica è sempre stata la colonna sonora della mia vita, potrei dire che faccio davvero poche cose senza un accompagnamento musicale.  Ho sempre scelto musica “speciale” capace di evocare emozioni e sensazioni di pace fin dal profondo del mio cuore. Enyaè stata l’artista che tra le poche mi ha sempre regalato molto più di un momento di relax, mi ha sempre trasportato oltre, verso quell’oltre…
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yourcrysalideus · 9 years
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Hello Ne Il mio Atlante delle Emozioni vi propongo un brano di un'artista dalla voce intensa e "graffiante". Stupenda.
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yourcrysalideus · 9 years
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Incomplete
Oggi nel mio  Atlante delle Emozioni vi propongo questo  brano di James Bay. Io lo trovo fantastico.
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yourcrysalideus · 9 years
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Ti ho voluto bene veramente
Ti ho voluto bene veramente
Riprendiamo alla grande con le emozioni. Io non posso farne a meno, e voi? Per Il mio Atlante delle Emozioni voglio proporvi questo bellissimo brano di Marco Mengoni. Un testo davvero intenso, parole e frasi nelle quali non è difficile ritrovarsi. Una stupenda dichiarazione d’amore.
Così sono partito per un lungo viaggio Lontano…
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yourcrysalideus · 9 years
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Torno a settembre
torno a settembre
Lo so, mancavo da un po'; Perdonatemi non sono sparita, anzi, sto preparando molte  sorprese e il tempo non è mai abbastanza.
Ovviamente prima di congedarmi da voi per queste vacanze estive, direi roventi, eccomi di nuovo per un piccolo post/consiglio ne Il mio Atlante delle Emozioni.
E’ un’estate molto impegnativa per me, sono successe tante cose e  molti cambiamenti. Il mio spirito libero e…
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