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#Infanzia berlinese
gregor-samsung · 4 months
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" È consolante riandare alle proprie letture. Penso alle fughe nel fantastico quando si leggeva dei pirati della Malesia di Emilio Salgari, o Giulio Verne e i viaggi per ventimila leghe sotto i mari, o le memorabili avventure di Oliver Twist in Dickens, o l’Odissea che lessi da piccolo in una edizione illustrata a colori, e i favolosi volumi della «Scala d’oro» che la Utet stampava, divorati nel tepore della cucina. Daniel Pennac ricordava la sua lettura di Guerra e pace «che si svolse di notte, alla luce di una lampada tascabile, e sotto le coperte tirate su come una tenda in mezzo a un dormitorio di cinquanta sognatori, russatori e sussultatori»*. Walter Benjamin, in Infanzia berlinese, ricorda i romanzi di avventura della sua infanzia che gli venivano incontro come venti del Sud o tempeste di neve: «I paesi lontani che vi incontravo danzavano confidenzialmente l’uno intorno all’altro come fiocchi di neve. E poiché ciò che scorgiamo lontano attraverso la neve non ci invita fuori, ma dentro, cosí Babilonia, e Bagdad, Akka e l’Alaska, Tromsö e il Transvaal abitavano dentro di me»**. Tutto ciò che l’umanità ha pensato, concretizzato, fantasticato, sentito e intuito sta nei libri. La finzione della poesia o della narrativa ci fa percepire il mondo presente e ricostruire il passato. È simulazione potente di vita vera e di emozioni. Grande consolazione è il sapere che tutto sta nei libri, nella loro presenza fisica. "
* D. PENNAC, Come un romanzo [1992], Feltrinelli, Milano 2000, p . 122.
** W. BENJAMIN, Infanzia berlinese [1950], Einaudi, Torino 1973, p. 78.
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Gian Luigi Beccaria, In contrattempo. Un elogio della lentezza, Einaudi (collana Vele), 2022. [Libro elettronico]
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Uno scrittore per palati fini
Fabio Stassi con i suoi libri non solo fa trascorrere piacevolmente il tempo agli amanti della buona lettura, ma ci consiglia, come in un gioco di scatole cinesi, titoli vecchi e nuovi meglio (quasi!) di un bibliotecario esperto.
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Procediamo a ritroso segnalando l’ultimo giallo, Uccido chi voglio (2020), che vede sempre come protagonista il nostro infallibile, insostituibile, coltissimo Terapista della Rigenerazione Esistenziale, l’accanito bibliofilo Vince Corso, lettore compulsivo, i cui amici sono un libraio e una bibliotecaria, ma che non disdegna la frequentazione del pittoresco portinaio sudamericano devoto al culto di Yemanja e di un ex allenatore di pugilato che elargisce preziose perle di saggezza. In quest’ultimo esperimento, tuttavia, l’inquilino di via Merulana non ha tempo per assistere i suoi affezionati pazienti, perché si trova alle prese con un furto nel suo appartamento che gli permetterà di conoscere il commissario Ingravallo (niente meno!). Il furto non è che un tassello di una trama malefica che lo porterà a indagare su una serie di misteriosi ‘omicidi letterari’ compiuti con cieca (è proprio il caso di dirlo…) ferocia da una sanguinaria setta internazionale. A complicare il tutto, il rapporto (esclusivamente epistolare) con il padre che evolve dalle semplici cartoline a una lettera che vuole essere conclusiva. Su questo tema il nostro terapeuta non può mancare di citare la Lettera al padre di Kafka “perché tu eri per me la misura di tutte le cose”.
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Tra i numerosi titoli indicati dall’autore (e lo ringraziamo sempre per le utilissime appendici in cui li elenca e commenta brevemente) ricordiamo i due citati nell’esergo: Infanzia berlinese di Walter Benjamin, una scrittura veramente sontuosa, e I casi del commissario Croce dell’argentino Ricardo Piglia, per la serie: se un meteorite cade in un campo, a chi chiedere consiglio sul da farsi? Ma naturalmente alla bibliotecaria!
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Nel penultimo giallo Ogni coincidenza ha un’anima (scelto anche per uno dei nostri gruppi di lettura) l’infallibile segugio è alle prese con un incarico che fa sospettare un secondo fine abilmente nascosto tra le pagine dei libri di una vastissima biblioteca privata. Un’indagine da leccarsi i baffi per il nostro Vince, scritta con la consueta opulenza lessicale e generosa di citazioni. Facciamo tesoro di alcuni dei suoi ambiti consigli: la nuova traduzione de L’isola del tesoro di Stevenson a cura dell’ottimo scrittore e poeta Michele Mari; l’unico cortometraggio sceneggiato da Samuel Beckett (1965), dal titolo autoreferenziale Film, interpretato da ‘faccia di pietra’, l’indimenticabile Buster Keaton; Qualcuno volò sul nido del cuculo, di Ken Kesey, da cui Milos Forman ha tratto lo strepitoso film con Jack Nicholson; Piccolo blu e piccolo giallo di Leo Lionni, un classico per l’infanzia (il nostro terapista è un lettore ad amplissimo spettro); lo spietato libro-inchiesta L’avversario di Emmanuel Carrère, da cui è stato tratto un film; le affascinanti Memorie di Giacomo Casanova e tutta una sezione molto interessante sulle raccomandazioni, a volte a carattere dissuasorio, di grandi scrittori agli aspiranti romanzieri. 
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Il 2016 è l’anno d’esordio dell’attività del nostro Terapista, che in La lettrice scomparsa riesce a rintracciare una misteriosa vicina di casa seguendo, citazione per citazione, impercettibili indizi che solo un lettore ossessivo è in grado di decifrare. Di nuovo ci avvaliamo dei suoi ‘consigli da bibliotecario’: Dona Flor e i suoi due mariti di Jorge Amado, libro davvero divertente da cui è stato tratto un film con Sonia Braga; il racconto Wakefield di Nathaniel Hawthorne, di cui Stassi svolge un’analisi così approfondita da invogliare alla lettura; La scala di ferro di Simenon per i fortunati che non lo avessero ancora letto e Una cosa divertente che non farò mai più di David Foster Wallace “capolavoro di comicità e virtuosismo stilistico” suggerito a chi ha nostalgia dei viaggi in crociera.
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Il nostro consiglio personale: per affrontare i libri di Vince Corso, così ricchi di citazioni letterarie, musicali, artistiche, topografiche, è bene avere a portata di mano uno strumento per consultare internet, in modo da poter, durante la lettura, vedere le strade percorse e i monumenti visitati dall’improvvisato piedipiatti nostrano, ascoltare la sua musica, approfondire le sue letture, magari prenotandole direttamente nel nostro sito!
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Limitandoci sempre alla produzione narrativa, troviamo Con in bocca il sapore del mondo: “L’investigatore letterario Fabio Stassi si insinua nella vita di dieci poeti del Novecento”; Angelica e le comete: librai, bibliotecari, marionette e pupi siciliani, Garibaldi con i Mille, ce n’è per tutti i gusti in questa favola moderna che ricorda l’Ariosto; Come un respiro interrotto: una vera prova d’autore narrare la vita intera di una donna sulla base delle testimonianze di chi l’ha conosciuta; L’ultimo ballo di Charlot, in cui il geniale Chaplin riesce addirittura a beffare la Morte; La rivincita di Capablanca per gli appassionati del gioco degli scacchi; È finito il nostro carnevale: con l’espediente narrativo di un’intervista rilasciata dal suo eroe l’ultimo giorno del 1999, “Stassi racconta la geografia di tutte le speranze perdute nel Novecento”.
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Infine, è del 2006 il debutto narrativo con Fumisteria, ambientato in Sicilia, in una località immaginaria vicino a Piana degli Albanesi, luogo d’origine dello scrittore e paese di Portella della Ginestra. Premio Vittorini per il miglior esordio (i premi collezionati dallo scrittore durante la carriera non si contano), si tratta di un giallo classico, complicato da vicende storiche, trame politiche e tradimenti, con disvelamento finale del tutto a sorpresa.
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chez-mimich · 4 years
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CITY MAPS AND STORIES
 Se si definisse Lorenzo Petrantoni un illustratore, lui si arrabbierebbe. Lui sa di non esserlo eppure crea libri illustrati e molto altro. A suo dire, non sa minimamente disegnare nemmeno una pera. Probabilmente è vero, ma le sue storie e i suoi racconti sono comunque storie e racconti fatti di segni. Ed è così anche per l’ultimo meraviglioso lavoro, “City Maps and Stories”, edito da “Moleskine”, un viaggio attraverso “segni” di quindici città nel mondo: Barcellona, Berlino, Buenos Aires, Capetown, l’Havana, Hong Kong, Istanbul, Londra, Milano, New York, Parigi, San Francisco, San Pietroburgo, Shangai e Vienna. Viviamo in un universo segnico, amava ripetere Umberto Eco e Lorenzo Petrantoni dissemina le sue città di segni. Una paziente opera di ritaglio da centinaia e centinaia di “gravure”, stampe, caratteri tipografici, astrazioni, decori tutti e solo ottocenteschi. Non vorrei annoiare nessuno ricordando che Petrantoni ha lavorato e illustrato per giornali di mezzo mondo dal prestigiosissimo “The New Yorker” a “Newsweek” dal “Wall Street Journal” a “Wired”. E poi musei, università, istituzioni culturali, teatri, case editrici, tutti “committenti” (più che clienti), di grandissimo prestigio. Cosa illustra “City Maps and Stories”? Il titolo dice tutto e non spiega nulla, potremmo dire che si tratta di “mappe concettuali”, ma anche questo sembra un po’ riduttivo, sa un po’ troppo di tesina della maturità, eppure è ciò che si avvicina maggiormente a quanto è rappresentato nelle pagine di questo volume che “Moleskine” ha voluto editare. Occorrerebbe spendere qualche parola anche su “Moleskine” e sui suoi raffinatissimi punti vendita milanesi, ma non credo che per il brand che produce il celeberrimo quadernetto di Bruce Chatwin occorrano grandi presentazioni. Ma torniamo al volume dove il bianco e nero non lasciano posto che ad altro bianco e ad altro nero. La vogliamo “guardare” insieme e da vicino una mappa di Lorenzo Petrantoni? Partiamo da Londra e magari da Euston Road dove campeggia in una vecchia incisione della St, Pancras Station, giusto un pelo più a nord del “Charles Dickens Museum” con un bel ritratto dello scrittore inglese; percorrendo la mappa verso est ecco comparire una bella pinta di birra della “Viaduct Tavern” al numero 126 di Newgate Street. E tra maniglie art deco, libri orientalisti, ventagli floreali, eccoci la silohuette nera che annuncia il “Jack the Ripper Museum” al numero 12 du Cable Street... Il gioco può ripetersi a Parigi, magari partendo dal “Restaurant Le Procope” al 13 della fascinosissima e fané Rue de l’Ancienne Comédie” procedendo poi sul Boulevard St. Germain per attraversare il Luxembourg fino alla Rue Auguste Compte, tra primoridali auto d’epoca, colletti inamidatissimi di camicie di cotone e Swan Pens, lanterne magiche e caleidoscopi. E il gioco si può ripetere in una serie di combinazioni infinite per le mappe di tutte le città presenti nel magnifico volume. “Non sapersi orientare in una città non significa molto, ma perdersi in essa è una cosa tutta da imparare” scriveva Walter Benjamin nella sua “Infanzia Berlinese”. Ecco, le mappe di Lorenzo Petrantoni insegnano questa magnifica arte.
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fguglieri · 5 years
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Ho sempre sognato di scrivere una storia degli smarrimenti. Di come ci si perde in una città. Perché dei tanti modi di classificare la letteratura, non è ancora stato adottato questo: dividere il repertorio delle storie tra i libri che raccontano l’attraversamento di una città e quelli che raccontano il perdersi in essa. Alla seconda categoria appartengono le scritture fedeli al motto di Walter Benjamin: «Non sapersi orientare in una città non vuol dire molto. Ma smarrirsi in essa, come ci si smarrisce in una foresta, è una cosa tutta da imparare» (in Infanzia berlinese). Non a caso Benjamin è il grande santo protettore di tutti quegli autori che hanno fatto della città, e del perdersi in essa, la propria musa e il proprio oggetto privilegiato. «Ché i nomi delle strade devono suonare all’orecchio dell’errabondo come lo scricchiolio di rami secchi e le viuzze interne gli devono rispecchiare nitidamente come le gole montane», prosegue Benjamin, ed ecco che la città, le sue strade, i suoi palazzi, il centro e le periferie, le fabbriche e i passages pieni di vetrine, diventano di colpo paesaggio naturale da osservare con l’occhio laterale, visionario e naturalista a un tempo, del flâneur.
Continua su «IL» del «Sole 24 Ore».
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ridopoco · 6 years
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Non sapersi orientare in una città non vuol dir molto. Ma smarrirsi in essa come ci si smarrisce in una foresta, è una cosa tutta da imparare. Ché i nomi delle strade devono suonare all'orecchio dell'errabondo come lo scricchiolio dei rami secchi e le viuzze interne gli devono scandire senza incertezze, come le gole montane, le ore del giorno. Tardi ho appreso quest'arte; essa ha coronato il sogno, i primi segni del quale furono i labirinti che arabescavano le carte assorbenti dei miei quaderni.
Walter Benjamin, Infanzia berlinese
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Trödel | Cianfrusaglie
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“I berlinesi continuano a domandarsi se la loro città sia o no una metropoli. Forse perché in una metropoli, nella maggior parte dei casi, si sopravvive.”
Appunto questa frase che A. mi riporta, quasi con orgoglio e presa chissà dove, come se fosse cifra di quanto vissuto in questi giorni. C’è la neve fuori, il nostro volo è stato cancellato. Butto giù qualche riga, allora, e mi domando se questa sosta forzata non voglia in fin dei conti significare qualcosa. Forse c’è ancora un posto da vedere, ancora qualcuno da incontrare. Il fatto è che l’ho sentita familiare da subito, questa città. Non c’è stato un momento in cui abbia provato quella sensazione, che conosco così bene… – Che ci faccio qui? – Forse perché un po’ mi ci riconosco: ci sono venuto per perdermi e alla fine mi sono ritrovato.
Sempre se stessa e il suo opposto, probabilmente è in questo il suo fascino, vorrei dire la sua essenza. Ce lo raccontano i libri e la storia che è stata una città divisa, da sempre. Lo si respira nell’aria anche ora. Non mi sembra possibile pensarla nel suo insieme se non come una città di frammenti. È un paradosso, lo so, affermarlo in particolar modo oggi che il muro è caduto da tempo, e non so se pensarla in questo modo sia un bene o un male; non lo so giudicare, ma va bene così. Mi viene da dire che qui ogni tentativo di unificare, accentrare…Spero non si offenda nessuno se, nonostante le buone intenzioni, dietro alle luci scintillanti e le belle facciate, vedo ancora desolazione a Potsdamer Platz. Potrà sembrare strano, ma mi sembra quasi più autentica l’aria di Alexander Platz, o quella della Karl Marx Allee, che hanno già lo strano e ambiguo fascino delle cose passate, di un futuro immaginato che ha preso poi tutt’altre direzioni. Con la sua spietata geometria, intervallata da piccole meraviglie come il Kino International o il Cafè Moskau, la grande Allee, una linea quasi retta che punta dritta verso l’est più profondo, esprime tutta la sua logora autorità. Ma tutto questo grigiore in qualche modo mi attrae, tanto quanto i colori e le trame delle facciate delle vecchie case in centro, mi sembra di percepire il brulicare delle vite anche dietro spessi e freddi muri di cemento e cumuli di neve sporca ai lati della strada. Non ne so il motivo ma ritrovo un po’ di me anche qui.
È la città degli angeli, come ci ha raccontato Wenders, di quegli angeli che preferiscono abbandonare la loro distanza dalla realtà, la loro armatura, per scambiarla con un vestito, usato e un po’ largo ma vero, terreno. Chissà se quel negozio dove si è fermato Damiel esiste più? Preferisco non andarci, mi piace ricordarmelo così.
È piena di vuoti, poi, questa città. I grandi viali e le piazze della città vecchia, gli Höfe, le enormi ferite ancora aperte della guerra, ciò che resta del muro…Sopravvivono anche oggi fronteggiando la ricostruzione e sono forse il suo segno più evidente, la sua matrice più autentica, in grado di raccontarci molto di più di qualsiasi edificio, di qualsiasi facciata. Uno su tutti, il groviglio di cortili di Hackescher Markt: entri in uno, ne intravedi un altro e un altro ancora, fino a perdertici dentro, senza mai sentirti fuori luogo.
Ci vorrebbero gli occhiali di un vecchio berlinese per capire a fondo questa città, per guardare dentro le cose e le case, nel cuore di questo posto e dei suoi abitanti, una cassetta degli attrezzi per smontarla pezzo a pezzo e carpirne i movimenti, al di là dei muri. Eppure osservarla attentamente, fotografarla, mi accorgo che non mi basta: dietro le parole esatte di una guida turistica o alla precisione di un obiettivo fotografico mi restano i contorni sbiaditi della città che un attimo prima, toccandola, calpestandola, annusandola, mi sembrava di sentire fino in fondo. Walter Benjamin ha scritto che appena cominciamo a orientarci in un luogo, appena se ne delineano i riferimenti, perdiamo la prima immagine che avevamo di esso e non la recuperiamo più. Se poi provo a raccontarla, mi accorgo che quello che ne è venuto fuori è un ammasso di pensieri e immagini, un insieme imbarazzante di lacune, una miriade di frammenti e contraddizioni. Insomma, le solite cianfrusaglie.
Una colonna sonora David Bowie Heroes, Franco Battiato Alexanderplatz
Un libro Walter Benjamin Infanzia berlinese
Una mappa Google Maps
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gianfrancomammi-blog · 13 years
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Berlino, Colonna della Vittoria
Mi era stato spiegato da dove provenivano gli ornamenti della Colonna. Tuttavia non avevo ben capito la storia delle canne di cannone di cui era fatta: se cioè i Francesi fossero andati in guerra con cannoni d'oro, oppure se i cannoni li avessimo fusi noi con l'oro sottratto ai Francesi.
Walter Benjamin, Infanzia berlinese (Einaudi, 2007), pag. 12
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