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#José Luis Gioia
fridagentileschi · 8 months
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Malva Marina Reyes Hagenaar, la figlia abbandonata di Neruda
Il poeta cileno, Pablo Neruda,ha avuto un'unica figlia dalla prima moglie, María Antonia Hagenaar Vogelzang di origine ebraica che lui aveva ribattezzato ''Maruca''. La bambina nata a Madrid, al principio era stata accolta con gioia dal poeta..fino a quando non seppe che la bimba era affetta da idrocefalia, allora non ci pensera' due volte ad abbandonare mamma e figlia-
Tornera' in Cile a scrivere le sue poesie e a vivere nuove storie d'amore. La moglie che gli neghera' il divorzio provera' a chiedergli aiuto per la figlia che non puo' ne' parlare ne' camminare ma non ricevera' piu' nulla.
La moglie con l'aiuto di un amico andra' a vivere nella capitale olandese essendo lei di origine olandese.
Le difficoltà si susseguono. Maruca vive in pensioni , il denaro si esaurisce e sua figlia, con il cervello sempre più pieno di liquido, richiede molta più attenzione. Attraverso organizzazioni religiose come Christian Science, Maruca riesce a trovare una famiglia di olandesi residenti a Gouda. Hendrik Julsing e Gerdina Sierks che si accordano per prendersi cura della bambina mentre sua madre cerca lavoro a L'Aia, a meno di un'ora di auto. È trattata come una di famiglia fino alla sua morte, ad otto anni, il 2 marzo 1943. Assumono persino una babysitter, Nelly Leijis, per dedicarsi esclusivamente alla bimba.
Maruca, nel frattempo, non rifiuta nessun lavoro. Si offre di pulire i pavimenti, prendersi cura dei malati, qualunque cosa serva per aiutare la figlia indifesa.
Non ha piu' i genitori e sua figlia cammina verso una fine drammatica. Attraverso la mediazione trova finalmente lavoro, anche se non ben pagato, presso l'ambasciata spagnola a L'Aia. È sotto il comando di José María Semprún, padre dello scrittore Jorge Semprún, poi espulso nel 1964 dal Partito Comunista di Spagna (PCE), che Pablo Neruda ammirava così tanto. Ciò che questa donna deve ancora soffrire non lo immagina.
Poco prima della fine della seconda guerra mondiale, María Antonia fu arrestata dai nazisti - non per essere ebrea, ma per avere un passaporto cileno - e internata nello stesso campo di concentramento dove si trovava Anna Frank. Da Westerbork, progettato per ospitare 107.000 prigionieri, di cui circa 60.000 morti, per lo più ebrei e zingari ai crematori e alle camere a gas di Auschwitz e Treblinka, in Polonia. Maruca vi trascorre un mese tra filo spinato, soldati delle SS e cani addestrati a uccidere. Ma questa volta la fortuna non le avrebbe voltato le spalle. Quando il campo fu rilasciato (15 aprile 1945) dalle truppe canadesi, trovarono vivi solo 876 prigionieri. E tra questi, la moglie abbandonata di Neruda. Nove giorni prima dell'apertura delle porte dell'inferno, Anna Frank, la sua vicina di campo, morì lì.
Non è rimasto nulla di Maria Antonia Hagenaar. Non una lapide che indica la fine del suo percorso . Tre anni dopo il suo rilascio, si reca in Cile per cessare il doloroso capitolo nerudiano. Nel novembre del 1948 firmò il divorzio e un accordo finanziario. Gli ci voleva ancora per tornare in Olanda. Dicono che sia diventata dipendente dall'oppio. Fino a che un cancro la uccise, nel 1965, a L'Aia,ha chiesto di essere seppellita non lontano dalla tomba dove sono i resti della sua amata Malva Marina, che non smise di visitare fino alla fine dei suoi giorni.
L'esistenza di queste due creature e' stata ignorata fino ad ora e sfido a trovarne traccia nella patria di Neruda, il poeta che canto' l'amore come pochi...ma come tanti non seppe amare mai.
Incredibile come nella storia dei comunisti non si trovi un solo essere degno di essere chiamato umano!
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calcioshopm2c · 4 months
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Joselu e Jude Bellingham hanno la stessa gioia
Il Real Madrid sta battendo di nuovo il record nel calcio, la squadra ha vinto il 15° trofeo della UEFA Champions League. I tifosi possono vedere i 15 trofei della UEFA Champions League quando entrano al Santiago Bernabeu, che è il più scioccante onore del campionato per loro. Joselu ha baciato con entusiasmo lo stemma della squadra sulla sua maglie calcio dopo la finale, e la sua gioia è meglio compresa da Jude Bellingham.
Nella formazione attuale del Real Madrid, solo Joselu e Jude Bellingham hanno vinto la UEFA Champions League per la prima volta. Vinicius Junior e Rodrygo hanno vinto la UEFA Champions League per la seconda volta, e hanno perso la gioia di aver vinto il primo campionato. Joselu ha detto nell'intervista post-partita che non riusciva a sentire la gioia dei suoi compagni di squadra. Ed era pieno di gioia nell'aiutare il Real Madrid a vincere l'onore del campionato, che è il primo campionato di UEFA Champions League della sua carriera. Anche Jude Bellingham ha vinto la UEFA Champions League per la prima volta, ed è stato anche uno degli eroi che hanno aiutato il Real Madrid a vincere il campionato. Joselu e Jude Bellingham hanno assistito per la prima volta alla cerimonia di premiazione della UEFA Champions League, e hanno anche ricevuto l'attenzione dei media e dei tifosi. Jude Bellingham ha cercato José Mourinho dopo la partita, sua madre è una fan di quest'ultimo. José Mourinho ha fatto un viaggio speciale per vedere la finale del Real Madrid, e crede ancora che la squadra possa vincere il campionato. C'è stata gioia e addio dopo la partita, e questo è stato Joselu che ha sperimentato la tristezza per la partenza dei suoi compagni di squadra. Ha assistito alle straordinarie prestazioni del capitano Nacho Huertas e Toni Kroos, e lui, come i tifosi, ha dovuto dire addio ai migliori giocatori. Anche la divisa Real Madrid ha accolto un nuovo membro, e anche Kylian Mbappé ha potuto sperimentare la felicità di Joselu.
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lamilanomagazine · 1 year
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Calcio, finale di Europa League: Siviglia-Roma 1-1 (4-1 d.c.r.), il Siviglia è campione per la settima volta nella sua storia
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Calcio, finale di Europa League: Siviglia-Roma 1-1 (4-1 d.c.r.), il Siviglia è campione per la settima volta nella sua storia. Alla Puskás Aréna di Budapest è tutto pronto per la finale di Europa League. È uno scontro tra 2 colossi: il Siviglia che non hai mai perso una finale di Europa League e la Roma, che dopo 32 anni ritorna a giocare la finale di quella che era la Coppa Uefa, allenata da José Mourinho che non è mai stato sconfitto in una finale. Sarà guerra vera! Gli spagnoli di José Luis Mendilibar si schierano con il 4-2-3-1 con Bono in porta; Jesus Navas, Badè, Gudelj e Alex Telles in difesa; Fernando e Rakitic in mediana; Ocampos, Oliver Torres e Gil a sostegno di En-Nesyri unica punta. I giallorossi scendono in campo con il 3-4-2-1 con Rui Patricio tra i pali; Smalling, Mancini e Ibanez in difesa; Celik, Cristante, Matic e Spinazzola a centrocampo; Dybala e Pellegrini alle spalle di Abraham. Il primo tempo inizia con le squadre che si studiano, pressando alto, ma senza creare tanti pericoli. All’undicesimo minuto ecco la prima occasione del match: i giallorossi scendono sulla fascia destra, palla per Celik che, in area, serve a rimorchio Spinazzola, il quale apre il piattone con il destro, ma Bono respinge. La Roma continua a spingere e al trentaquattresimo trova il meritato vantaggio con Dybala: palla recuperata a centrocampo da Mancini che imbuca per la “Joya” fra le linee, il numero 21 entra in area e incrocia con il sinistro battendo Bono. La Puskás Aréna diventa una bolgia con i sostenitori dei giallorossi in visibilio grazie al loro beniamino, recuperato dopo l’infortunio apposta per la finale. Il Siviglia prova ad abbozzare una reazione con un colpo di testa di Fernando che finisce di poco alto sul corner battuto da Rakitic. L’arbitro Taylor concede 7 minuti di recupero e al quinto minuto gli spagnoli vanno vicino al pareggio con Rakitic che calcia da fuori area con il mancino, ma il palo gli nega la gioia permettendo alla Roma di andare negli spogliatoi in vantaggio per 1-0. Il secondo tempo inizia con i primi cambi da parte del Siviglia di Mendilibar che fa entrare l’ex Milan Suso per Oliver Torres e Lamela per Bryan Gil. Gli spagnoli alzano il ritmo e costringono i giallorossi ad abbassare il baricentro e ripartire in contropiede. Al cinquantunesimo ci prova Alex Telles con un tiro di mancino da dentro area, dopo una discesa sulla fascia sinistra, ma la palla finisce alta. Al cinquantaquattresimo arriva il pareggio del Siviglia grazie all’autogol di Mancini che spedisce in porta un cross forte e teso dalla destra da parte del capitano degli andalusi, Jesus Navas, facendo esultare i propri tifosi. Al sessantaseiesimo la Roma ha un’occasione colossale per passare in vantaggio con Abraham che, sugli sviluppi di una punizione di Pellegrini, colpisce a botta sicura trovando la grande risposta di Bono e sulla ribattuta Ibanez “ciabatta” con il destro sul fondo. Al sessantasettesimo Mourinho opera il primo cambio sostituendo uno stremato Dybala per Wijnaldum. Al settantaquattresimo ecco il secondo cambio per i giallorossi: dentro Belotti per Abraham. La partita diventa molto fisica, con tanti contatti e tanti palloni lanciati lunghi e a campanile. La Roma ha un’altra occasione monumentale all’ottantatreesimo con Belotti che viene pescato da Pellegrini con un tocco morbido su punizione, il numero 11 si allunga e tocca con il mancino ma trova il miracolo di Bono che salva i suoi. L’arbitro concede 6 minuti di recupero e al novantaduesimo ci prova En-Nesyri con un colpo di testa che finisce sul fondo sul cross di Jesus Navas. Al novantacinquesimo il Siviglia ha una triplice occasione: Suso si accentra dalla destra e calcia forte trovando la respinta di Rui Patricio, poi Matic respinge la conclusione di En-Nesyri da pochi passi e Fernando spedisce di poco sul fondo sulla ribattuta da fuori area. Dopo questo brivido corso dai giallorossi, l’arbitro fischia la fine dei tempi regolamentari sull’1-1. Si va ai tempi supplementari. Il primo tempo supplementare incomincia con una sostituzione da parte di Mourinho che toglie Celik per inserire Zalewski. Al novantaquattresimo Mendilibar inserisce Montiel e Rekik per Jesus Navas e Alex Telles. La partita resta bloccata, senza occasioni, né da una parte né dall’altra e dopo 2 minuti di recupero si passa al secondo extra time. Il secondo tempo supplementare vede altri 2 cambi tra le file della Roma: dentro El Shaarawy per Pellegrini e Llorente per Spinazzola. Il Siviglia prova a spingere e attaccare, mentre la Roma, stanchissima, si difende e prova a ripartire in contropiede. Al centoventesimo Mourinho fa entrare Bove al posto di uno stremato Matic, mentre l’arbitro concede 6 minuti di recupero. Al minuto numero 127 l’allenatore del Siviglia opera 2 cambi inserendo Marcao e Jordan per Gudelj e Fernando. La Roma negli ultimi minuti si riversa nella metà campo spagnola alla ricerca del gol-vittoria e all’undicesimo minuto di recupero Smalling colpisce la traversa di testa su un corner battuto da Zalewski. Il Siviglia regge e l’arbitro fischia la fine di quella che è stata la partita più lunga di sempre. Si vai calci di rigore. La tensione è enorme, la stanchezza è tanta e le energie sia fisiche che mentali sono pochissime. Si inizia con il Siviglia. Il primo rigore lo batte Ocampos e non sbaglia spiazzando Rui Patricio con il destro. Per la Roma parte Cristante e infila Bono incrociando anch’egli con il destro, sebbene il portiere marocchino avesse intuito. Il secondo rigorista del Siviglia è Lamela e non sbaglia infilando la palla all’angolino incrociando con il mancino. Per la Roma va Mancini e sbaglia calciando rasoterra centrale trovando la risposta di Bono con i piedi. Per il Siviglia va Rakitic sul dischetto e non sbaglia incrociando con il destro. Il terzo rigorista della Roma è Ibanez e sbaglia colpendo il palo dopo aver incrociato con il destro. Per il Siviglia si presenta Montiel sul dischetto che si fa ipnotizzare da Rui Patricio sbagliando il rigore, ma il penalty è da ribattere dato che Rui Patricio si è mosso in anticipo. Il numero 2 lo ribatte e segna con freddezza decidendo anche la finale di Europa League, dopo aver deciso la finale dei Mondiali. Il Siviglia vince per la settima volta l’Europa League, mentre la Roma di Mourinho, che perde una finale per la prima volta, esce a testa altissima.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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gregor-samsung · 2 years
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Hoy se arregla el mundo (Ariel Winograd, 2022)
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scenesandscreens · 5 years
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The Secret in Their Eyes (2009)
Director - Juan José Campanella, Cinematography - Félix Monti
"A guy can change anything. His face, his home, his family, his girlfriend, his religion,his God. But there's one thing he can't change. He can't change his passion..."
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#tupiovisudimeediotiricevo
voglio dirti che tutta me è aperta per te.
Da quando mi sono innamorata di te, tutto si è trasformato ed è pieno di bellezza.
Voglio darti i colori più belli, voglio baciarti…
Vorrei vedere dai tuoi occhi, sentire dalle tue orecchie, sentire con la tua pelle, baciare con la tua bocca.
Per vederti dal di sotto, vorrei essere la tua ombra nata dalla suola del tuo piede, che si estende lungo il terreno su cui cammini…
Voglio essere l’acqua che ti lava, la luce che ,ti dà forma, vorrei che la mia sostanza fosse la tua sostanza, voglio accompagnarti e aiutarti, amarti e nella tua risata trovare la mia gioia.
Se a volte soffri, voglio riempirti di tenerezza così che tu ti senta meglio.
Quando hai bisogno di me, mi troverai sempre vicino a te.
Perdonami se tutte queste cose che ti scrivo ti sembrano stupidità, ma credo che in amore non ci sia né intelligenza né stupidità, l’amore è come un aroma, come una corrente, come pioggia.
Lo sai, mio cielo, tu piovi su di me e io, come la terra, ti ricevo.
#storiadiunapassione💋
Lettera d’amore di Frida al suo amante José Bartoli
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E lui che ti dice questa foto ti assomiglia 😱😱😱😱😱😱
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Título Original: Los Extraterrestres
Año: 1983
País: Argentina
Género: Copia/Parodia decadente nacional de E.T. de Spielberg
Director: Enrique Carreras
Actores: Alberto Olmedo, Jorge Porcel, Luisa Albinoni, Susana Traverso, Mario Sánchez, Luis Robles, Lucía Galán, Marisa Carreras, María Carreras, José Luis Gioia, Fernando Olmedo, Hugo Varela, etc.
Texto de la contratapa: En su viaje hacia el hotel donde trabajan, dos camareros descubren desde su destartalado automóvil un plato volador. También notan entre la arboleda la presencia de un ser extraño. 
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tasksweekly · 8 years
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[TASK 035: VENEZUELA]
Shout out to anon for inspiring this task! There’s a masterlist below compiled of over 150+ Venezuelan faceclaims categorised by gender with their occupation and ethnicity denoted if there was a reliable source. If you want want an extra challenge use random.org to pick a random number! Of course everything listed below are just suggestions and you can pick whichever character or whichever project you desire.
Any questions can be sent here and all tutorials have been linked below the cut for ease of access! REMEMBER to tag your resources with #TASKSWEEKLY and we will reblog them onto the main! This task can be tagged with whatever you want but if you want us to see it please be sure that our tag is the first five tags!
THE TASK - scroll down for FC’s!
STEP 1: Decide on a FC you wish to create resources for! You can always do more than one but who are you starting with? There are links to masterlists you can use in order to find them and if you want help, just send us a message and we can pick one for you at random!
STEP 2: Pick what you want to create! You can obviously do more than one thing, but what do you want to start off with? Screencaps, RP icons, GIF packs, masterlists, PNG’s, fancasts, alternative FC’s - LITERALLY anything you desire!
STEP 3: Look back on tasks that we have created previously for tutorials on the thing you are creating unless you have whatever it is you are doing mastered - then of course feel free to just get on and do it. :)
STEP 4: Upload and tag with #TASKSWEEKLY! If you didn’t use your own screencaps/images make sure to credit where you got them from as we will not reblog packs which do not credit caps or original gifs from the original maker.
THINGS YOU CAN MAKE FOR THIS TASK -  examples are linked!
Stumped for ideas? Maybe make a masterlist or graphic of your favourite Venezuelan faceclaims. A masterlist of names. Plot ideas or screencaps from a music video preformed by a Venezuelan artist. Masterlist of quotes and lyrics that can be used for starters, thread titles or tags. Guides on Venezuelan culture and customs.
Screencaps
RP icons [of all sizes]
Gif Pack [maybe gif icons if you wish]
PNG packs
Manips
Dash Icons
Character Aesthetics
PSD’s
XCF’s
Graphic Templates - can be chara header, promo, border or background PSD’s!
FC Masterlists - underused, with resources, without resources!
FC Help - could be related, family templates, alternatives.
Written Guides.
and whatever else you can think of / make!
MASTERLIST!
Note: If you’re using this masterlist for casting purposes please do further research before casting any of the following.
Ladies:
Carolina Herrera (78) Venezuelan (Spanish [Canarian], possibly other) - fashion designer.
Lila Morillo (73)  Venezuelan - actress & singer.
Ileana Jacket (70) Venezuelan - actress.
Carmen Julia Álvarez (64) Venezuelan - actress.
Mimí Lazo (62) Venezuelan - actress.
Caridad Canelón (61) Venezuelan - actress.
Elluz Peraza (59) Venezuelan - actress.
Julie Restifo (58) Venezuelan - actress.
Hilda Abrahamz (57) Venezuelan - actress & former beauty pageant titleholder.
Gledys Ibarra (56) Venezuelan - actress.
Alba Roversi (55) Venezuelan - actress.
Dora Mazzone (55) Venezuelan - actress.
Kiara (55) Venezuelan - singer, actress, lawyer & TV presenter.
Fedra López (54) Venezuelan - actress.
Grecia Colmenares (54) Venezuelan - actress.
Tatiana Capote (54) Venezuelan - actress & former beauty queen.
Nohely Arteaga (53) Venezuelan - actress.
Astrid Carolina Herrera (53) Venezuelan - actress & beauty queen.
María Alejandra Martín (52) Venezuelan - actress.
Catherine Fulop (52) actress, model, beauty pageant contestant, and television presenter.
Dad Dáger (49) Venezuelan - actress.
Ruddy Rodríguez (49) Venezuelan - actress & model.
Gabriela Spanic (49) Venezuelan / Croatian - actress.
Rita Verreos (48) Venezuelan - host, actress, beauty pageant coach & model.
Lilibeth Morillo (47) Venezuelan - actress.
Emma Rabbe (47) Venezuelan - actress.
Mariah Carey (46/47) African American and Afro-Venezuelan / Irish - singer.
Patricia Velásquez (46) Mestizo / Wayuu - actress & fashion model.
Crisol Carabal (46) Venezuelan - actress.
Ana Karina Manco (46) Venezuelan - actress.
Niurka Acevedo (45/46)  Venezuelan - actress & pageant titleholder.
Chiquinquirá Delgado (44) Venezuelan - host, model & actress.
Sonya Smith (44) Venezuelan / American - actress.
Anabell Rivero (44) Venezuelan - model & actress
Gabriela Spanic (43) Venezuelan / Croatian - actress.
Eileen Abad (43) Venezuelan - actress & model.
Scarlet Ortiz (42) Venezuelan - actress.
Gabriela Vergara (42) Venezuelan - actress & model.
Catherine Correia (42) Venezuelan - actress.
Beba Rojas (41) Venezuelan - actress, model & comedian.
Venezuelan (41) Venezuelan / American, Mexican - actress, singer & comedian.
Alicia Machado (40) Venezuelan - actress, TV host, singer & beauty queen.
Jullye Giliberti (40) Venezuelan - actress.
Gaby Espino (39) Venezuelan - actress.
Marlene De Andrade (39) Venezuelan - actress, model & presenter.
Marieh Delfino (39) Venezuelan / Cuban - actress.
Wanda D'Isidoro (39) Venezuelan - actress.
Claudia Moreno (39) Venezuelan - beauty pageant titleholder.
Norkys Batista (39) Venezuelan - actress, model & former beauty pageant titleholder.
Flávia Gleske (38) Venezuelan - actress.
Marianela González (38) Venezuelan - actress.
Samantha Castillo (37) Venezuelan - actress.
Mariángel Ruiz (37) Venezuelan - actress, host, fashion model & beauty pageant titleholder.
María Luisa Flores (37) Venezuelan - actress & model.
Claudia La Gatta (37) Venezuelan - actress.
Majandra Delfino (36)  Venezuelan / Cuban - actress & singer.
Cristina Abuhazi (36) Venezuelan - actress, host & model.
Maritza Bustamante (36) Venezuelan - actress & model.
Daniela Alvarado (35) Venezuelan - actress.
Marisa Román (35) Venezuelan - actress.
Juliet Lima (35) Venezuelan - actress.
Daniela Bascopé (34) Venezuelan - actress & singer.
Jeinny Lizarazo (34) Venezuelan - actress, host & model.
Gioia Arismendi (33) Venezuelan - actress & model.
Daniela Navarro (33) Venezuelan - actress & model.
Dominika van Santen (33) of Dutch and Venezuelan ancestry - actress, model & dancer.
Adrienne Bosh (31) Venezuelan / German - model and beauty pageant contestant.
Sabrina Seara (31) Venezuelan - actress.
Dayana Mendoza (30) Venezuelan - actress, model & beauty queen.
Juliette Pardau (30) Venezuelan - actress & singer.
Marjorie Magri (30) Venezuelan - actress & model.
Raquel Yánez (30) Venezuelan - actress.
Elise Avellan (30) Venezuelan - actress.
Electra Avellan (30) Venezuelan - actress.
Génesis Rodríguez (29) Venezuelan and Cuban (both including Spanish, possibly other) - actress.
Yuvanna Montalvo (29) Venezuelan - actress & model.
Adriana Vasini (29) Venezuelan - model & beauty queen.
Gabriela Isler (28) Venezuelan / Swiss-French, German - host, model, and beauty queen.
Scarlet Gruber (28) Venezuelan - actress & dancer.
Ivian Sarcos (27) Venezuelan - model & beauty queen.
Stefanía Fernández (26) Venezuelan - Host, model & beauty queen.
Sandra Díaz (25) Venezuelan - actress & model.
Rosmeri Marval (25) Venezuelan - actress & model.
Greisy Mena (25) Venezuelan - actress.
Maria Gabriela de Faria (24) Venezuelan - actress, singer, model & dancer.
Sheryl Rubio (24) Venezuelan, states background is “mixed“ - actress & singer.
Angela Ruiz (24) Venezuelan - beauty pageant titleholder.
Garbiñe Muguruza (23) Venezuelan / Spanish - professional tennis player.
Emily Sera (21) Navajo, Western Shoshone, Venezuelan - actress.
Natalie Negrotti (?) Venezuelan - reality star.
María Elena Dávila (?) Venezuelan - actress & singer.
Rosanna Zanetti (?) Venezuelan - actress. 
Males:
Miguel Ángel Landa (80) Venezuelan - actor & comedian.
José Luis Rodríguez (74) Venezuelan - singer & actor.
Xabier Elorriaga (72) Venezuelan - actor & writer.
Jean Carlo Simancas (67) Venezuelan - actor.
Orlando Urdaneta (66) Venezuelan - actor & tv personality.
Andrew Divoff (61) Russian, Venezuelan - actor & stuntman.
Guillermo Dávila (61) Venezuelan - actor & singer.
Manuel Salazar (60) Venezuelan - actor.
Juan Luis Guerra (59) Dominican Republic (Spanish, possibly other), 1/8th Venezuelan - singer & songwriter.
Víctor Cámara (57) Venezuelan - actor.
Carlos Cruz (56) Venezuelan - actor.
Luis José Santander (56) Venezuelan - actor.
Miguel de León (55) Venezuelan - actor.
Carlos Montilla (51) Venezuelan - actor.
Fred Armisen (50) Venezuelan / German, Japanese - actor, comedian, singer, musician, writer, director & producer.
Luis Fernández (49) Venezuelan - actor, writer, producer & director.
Daniel Sarcos (49) Venezuelan - actor, singer, comedian & television personality.
Juan Carlos García (46) Venezuelan - actor & model.
Ricardo Álamo (46) Venezuelan - actor.
Guillermo Pérez (46) Venezuelan - actor.
Rhandy Piñango (45) Venezuelan - actor.
Juan Carlos Alarcón (45) Venezuelan - actor.
Luis Gerónimo Abreu (44) Venezuelan - actor.
Jerónimo Gil (43) Venezuelan - actor.
Roque Valero (43) Venezuelan - actor, singer & songwriter.
Yul Bürkle (42) Venezuelan - actor & model.
Josué Villae (41) Venezuelan - actor & model.
Alejandro Nones (41) Venezuelan (Spanish, possibly other) - actor & model.
Enrique Palacios (41) Venezuelan - model.
Albi De Abreu (41) Venezuelan - actor.
Juan Alfonso Baptista (40) Venezuelan - actor & model.
Luciano D'Alessandro (40) Venezuelan - actor & model.
Miguel Augusto Rodríguez (39) Venezuelan - actor.
Édgar Ramírez (39) Venezuelan - actor and former journalist.
Adrián Delgado (39) Venezuelan - actor.
Laureano Olivares (38) Venezuelan - actor.
Jonathan Montenegro (38) Venezuelan - actor & singer.
Victor Martinez (38) Venezuelan - professional baseball player.
Daniel Elbittar (37) Venezuelan - actor & model.
Wilmer Valderrama (37) Colombian / Venezuelan - actor, singer, producer & television personality.
Eduardo Orozco (36) Venezuelan - actor.
Andrés Mistage (35) Venezuelan - model.
Claudio de la Torre (36) Venezuelan - actor & model.
Alejandro Chabán (35) Venezuelan - actor & host.
Devendra Banhart (35) Venezuelan / American - singer-songwriter.
Miguel Cabrera (33) Venezuelan - professional baseball player.
Carlos Felipe Álvarez (33) Venezuelan - actor & model.
Manuel Sosa (33) Venezuelan - actor.
Víctor Drija (32) Venezuelan - actor.
Rafael de La Fuente (30) Venezuelan - actor.
José Manuel Flores Sánchez (30) Venezuelan - model.
Gabriel Coronel (30) Venezuelan - actor, singer & model.
Felix Hernandez (30) Venezuelan - professional baseball player.
Gabriel Correa Guzmán (28) Venezuelan - modle & former baseball player.
Carlos PenaVega (27) Venezuelan, Spanish / Dominican - actor & singer.
Arán de las Casas (27) Venezuelan - actor & singer.
Jonathan Freudma (26) Venezuelan - actor.
Gabriel López (26) Venezuelan - actor.
Emmanuel Palomares (26) Venezuelan - actor & model.
Sean Teale (24) Venezuelan, Spanish, Welsh - actor.
Andrés Gómez (23) Venezuelan - actor, model & singer.
Jesús de Alva (23) Venezuelan - model & television personality.
José Ramón Barreto (24) Venezuelan - actor and singer.
Francisco Stanzione (?) Venezuelan - actor & model.
Use at your own discretion:
Fernando Carrillo (51) arrested for sexual assault.
Trans:
N/A
Non-binary:
N/A
-C
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dergarabedian · 6 years
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Movistar y Dhélet VMLY&R presentan “Dar es dar”
Movistar y Dhélet VMLY&R presentan “Dar es dar”
Movistar lanzó su nueva campaña “Pasá gigas” de la mano del aviso comercial “Dar es dar”. Con esta promoción, los clientes Movistar pospago podrán transferirse GB entre sí, cuando quieran, sin necesidad de cambiarse de plan y totalmente gratis.
(more…)
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Manu Chao, “Grazie” ad Alba per Collisioni Festival
C’è poco da fare, ogni volta che i miei occhi e le mie orecchie incrociano José Manuel Arturo Tomás Chao Ortega, al secolo quel bandito di Manu Chao, la sensazione è sempre la stessa, mi sale un moto di gioia mista ad un senso di libertà. Nessuno più di lui incarna lo spirito della World … Leggi tutto L'articolo Manu Chao, “Grazie” ad Alba per Collisioni Festival proviene... Per il contenuto completo visitate il sito https://ift.tt/1tIiUMZ
da Quotidiano Piemontese - Home Page https://ift.tt/3gUnJxY via Adriano Montanaro - Alessandria
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pangeanews · 4 years
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Evviva, torna l’opera di Piero Scanziani! Mircea Eliade lo voleva al Nobel, “Lo leggo, rapito, per alcune ore. La gioia di scoprire, alla mia età, un nuovo scrittore”. Ovvero: elogio delle piccole, avventurose imprese editoriali
Prima cosa che mi preme. Elogio delle imprese editoriali che al di là dei meandri del mercato (i libri si devono vendere è ovvio: dipende cosa, come, perché) s’impegnano in vaste avventure. Un esempio. Lindau che pubblica tutto Carlo Coccioli. Secondo esempio. La neonata casa editrice Utopia, che ha vaghi intenti da enogastronomia libraria (annunciano di voler fare “letteratura di qualità” all’ombra della parola “coerenza”: io sono un lettore del sottosuolo, mi bastano i buoni libri e gli autori impeccabili) e una proposta magnetica. Oltre alla pubblicazione di testi importanti (La famiglia di Pascual Duarte di Camilo José Cela, un tempo in catalogo Einaudi, e Gente nel tempo di Massimo Bontempelli, un tempo Mondadori poi SE), infatti, Utopia ha annunciato di voler investire sull’opera di Piero Scanziani. Una notizia magnifica.
*
Di Piero Scanziani, scrittore svizzero, studi a Milano, talento anomalo, desto a scandagliare gli ignoti, ho avuto modo di scrivere, interpellando la moglie, Magì, che con dedizione ne custodisce l’opera. Autore di libri spesso spiazzanti – mi ha appassionato, per qualità narrativa e foga intellettuale, Entronauti, il viaggio, dagli Stati Uniti al Giappone, tra Monte Athos e santoni indiani, che lo scrittore compie alla ricerca degli ultimi maestri, delle residue tracce del sacro – ho conosciuto Scanziani scontrandomi con la scrittura intrepida e tremante di Mircea Eliade. Era il 21 luglio del 1984, Provenza, quando il grande studioso scriveva a Scanziani, denunciando la gioia di averlo scoperto. “Caro Piero Scanziani, come ringraziarLa? Da due settimane mi sono immerso nei suoi libri. (Una cataratta, per ora inoperabile, limita la mia lettura a tre, quattro ore al giorno). Dopo Aurobindo, l’appassionante Avventura dell’uomo, poi I cinque continenti e gli straordinari incontri di Entronauti! M’inoltro, adesso, meravigliato in Libro bianco… Vorrei parlarle più a lungo. Ahimé! Scrivo con fatica (artrite reumatoide) e non sono capace di dettare (ho provato il dittafono, ma i risultati mi deprimono!) Ancora una volta, grazie! In tutta sincerità e amicizia, il suo Mircea Eliade”.
*
Quella lettera è preceduta da un appunto, il 28 luglio del 1984, che ho trovato per caso – come se il caso fosse la provvidenza, bendata – sfogliando il Diario di Eliade in una bancarella bolognese, edizione Jaca Book. Ecco il testo: “Ieri sera con gli Ionesco e Cioran abbiamo cenato da Colette e Claude Gallimard. Ero di cattivo umore, apatico e, infine, depresso. La conversazione generale: si è parlato soprattutto di malattie… Ho ricevuto oggi, per espresso aereo, tre volumi di Piero Scanziani. Tutti con la stessa dedica: ‘A frate Mircea, frate Piero’. Apro a caso il Libro bianco. Il testo mi conquista subito e leggo, rapito, per alcune ore. La gioia di scoprire, alla mia età, un nuovo scrittore”. I libri di Scanziani dovettero davvero coinvolgere e sconvolgere Eliade, se è vero che uno degli ultimi atti dello studioso – morirà nel 1986 – sarà quello di candidare lo scrittore svizzero al Nobel per la letteratura (nei cui archivi, per altro, risulta, ad ora, anche una candidatura cascata sul capo di Eliade: era il 1957, l’alloro andò ad Albert Camus, come si sa).
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Alcuni, grandi autori, passati negli altri mondi (Scanziani muore nel 2003), meritano di essere imbracciati solo da editori intrepidi, avventati, votati al nuovo e all’antico, desti alla maestria. Altrimenti, verrebbero massacrati dal carrarmato editoriale. Scanziani non otterrà il Nobel – che in quegli anni va a Jaroslav Seifert, Claude Simon, Wole Soynka: non per forza autori “maggiori” – ma nel 1997 è onorato con il Premio Schiller, “per l’opera omnia”, nell’anno in cui viene riconosciuto anche Maurice Chappaz.
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Eliade preferiva Libro bianco, romanzo inclassificabile del 1968; Utopia non denuncia il piano editoriale, ma partirà – da ciò che si annusa in giro – con Avventura dell’uomo, uno dei libri felici e inquieti di Scanziani, di cui riproduciamo un brano.  
“Nel momento in cui il pensiero della morte ci opprime, è importante per noi capire come mai l’uomo antico si convinse che i morti non erano morti, anzi ben vivi, tanto d’aver bisogno d’aiuto e di parola. Qual era dunque per lui questa evidenza?
Una storiella ottocentesca, che ancora qualcuno ripete, pretendeva che l’uomo dei primordi fosse quasi bestiale. Ma era una storiella mal inventata, poiché l’uomo sarebbe stato una bestia così gracile da non poter certo sopravvivere, con il solo aiuto di qualche selce aguzza, in un immane mondo nemico. Cos’è mai una selce dinanzi al mammut di cento quintali, all’orso cavernicolo alto cinque metri, ai sauri lunghi dieci? Come potrebbe un bambino, lanciando pietre, sopravvivere nella lotta contro uno stuolo di carri blindati?…
Se rileggiamo i primissimi libri, se interroghiamo le superstiti popolazioni primitive, ci persuadiamo che gli antenati vedevano il creato diversamente da noi. Vedevano anche un universo etero, sovrasensibile, sottile, mentre noi vediamo soltanto un cosmo denso e pesante, tutto terrestrità.
Nipoti e pronipoti di pazzi, noi soli dunque siamo savi? Certo erano pazzi, ma con le loro follie vinsero i cento quintali del mammut. Certo erano visionari, ma la loro veggenza non doveva essere contraria al vero, altrimenti la terra li avrebbe cancellati.
Per tutti i millenni antichi gli uomini di ogni latitudine costruirono grandi civiltà intorno ai loro Dei e ai loro morti, ossia intorno a ciò che ci sembra inesistente. Tutte quelle civiltà erano sacre, compreso il Medioevo: soltanto la nostra è profana. Tutte quelle civiltà affermavano che dietro la realtà corporea ve n’è un’altra, più importante, animata da forze e da potenze, da anime e da Divinità. Furono dunque dei pazzi i costruttori della Grande Muraglia, del Tempio di Boro Budur, delle Piramidi, dell’Acropoli, del Colosseo e di San Pietro? Furono dunque dei pazzi Mosè, Budda, Pitagora, Platone, Maometto, Francesco e Gesù? Se noi siamo savi, dobbiamo dire che i più grandi popoli e i più grandi uomini dell’umanità furono tutti pazzi. Ma dirlo non sarebbe una pazzia?
Forse non vi sono né pazzi né savi, ma esistono due dimensioni del reale, l’una sottile che si raggiunge con la sola anima, l’altra pesante, che si raggiunge con i soli senti. Per l’una il morto è vivo, per l’altra è morto”.
Piero Scanziani
*Il testo è tratto da: Piero Scanziani, “Avventura dell’uomo”, Elvetica Edizioni, 200
L'articolo Evviva, torna l’opera di Piero Scanziani! Mircea Eliade lo voleva al Nobel, “Lo leggo, rapito, per alcune ore. La gioia di scoprire, alla mia età, un nuovo scrittore”. Ovvero: elogio delle piccole, avventurose imprese editoriali proviene da Pangea.
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Ha una storia che trasuda mistero e fede, in buona parte inedita, la statua della Madonna di Fatima affidata per alcuni giorni alla Nuova Bussola Quotidiana. Custodita da 55 anni da una famiglia bresciana, arrivò in Italia grazie a un figlio spirituale di Padre Pio, devotissimo della Vergine, dopo una richiesta ‘ardita’ al rettore del Santuario alla Cova d’Iria. Vi raccontiamo i particolari…
di Ermes Dovico (28-05-2020)
Ad ammirarla, da vicino, appare in tutta la sua bellezza, specialmente nei tratti delicati del viso e negli occhi. Vividi. È una delle pochissime statue — almeno rispetto alle dimensioni — della Madonna di Fatima oggi sparse fuori dal Portogallo e un tempo custodite all’interno del Santuario alla Cova d’Iria.[1] Parliamo della statua che martedì 26 maggio è stata portata nella cappellina della redazione della Nuova Bussola Quotidiana, dove rimarrà fino al 6 giugno (e davanti alla quale preghiamo ogni giorno il Rosario in diretta Facebook alle 12.45)
Alta circa 1.5 metri, base compresa, e pesante 23 chili, è custodita da 55 anni da una famiglia di Brescia, in una cappellina interna alla propria abitazione. La sua storia, molto particolare, chiara nei suoi tratti essenziali — con tanto di documenti ufficiali — e avvolta nel mistero per altri, si lega a quella di un figlio spirituale di san Pio da Pietrelcina, di nome Paolo, tornato alla Casa del Padre all’inizio del 1999. Ne omettiamo il cognome perché la famiglia desidera, nei limiti del possibile, riservatezza.
Bisogna spendere qualche parola preliminare su Paolo che, da vero discepolo di Padre Pio, cercò per quanto poteva di imitarne il nascondimento. «Era un laico consacrato, celibe, con una grande devozione per la Madonna», ci dice il fratello, «ma non sappiamo che tipo di consacrazione avesse fatto perché rivelava poco di sé». Già nell’adolescenza, aggiunge il fratello, «Paolo aveva iniziato ad aiutare i malati, essenzialmente quelli moribondi, assistendoli fino alla morte». Verso i 23-24 anni, Paolo lasciò la sua terra natale e diede quindi l’arrivederci alla famiglia per meglio dedicarsi a servire gli anziani e i poveri. «Lui ci diceva spesso così: “Nelle mie tasche girano più soldi che in tante imprese. Il mio cassiere è san Giuseppe. Quando ho delle persone da assistere e mi mancano i soldi per aiutarle, passo la notte davanti a san Giuseppe e al mattino ricevo il necessario”».
Un giorno, in mezzo ai suoi vari spostamenti, Paolo si trovava a San Giovanni Rotondo da Padre Pio. Il frate Cappuccino gli disse: «Ascolta, domani va’ a Brescia perché ti aspettano per andare a Fatima». Paolo obbedì e, arrivato a casa, ricevette una telefonata. Quattro persone, tra cui una signora che conosceva, lo esortavano a prepararsi «perché domani partiamo per Fatima». Fu la sua prima volta al Santuario portoghese.
A Fatima ritornò nuovamente, sempre con altri quattro bresciani, nel 1965. Era esattamente il 13 settembre del ‘65, vigilia della riapertura della quarta e ultima sessione del Concilio Vaticano II, presieduta da Paolo VI, bresciano (di Concesio) anche lui. Il gruppetto di Brescia portava con sé, come dono per la Madonna, una Rosa d’Oro, fatta da orefici locali. Bellissima. Il rettore del Santuario, Antonio Borges — che in quello stesso anno ne aveva già ricevuta una a nome di papa Montini –, apprezzò moltissimo.
Paolo colse la palla al balzo e avanzò la sua – ardita – richiesta: domandò al rettore se fosse possibile portare nella terra di Paolo VI l’Immagine Pellegrina di Nostra Signora di Fatima. Sbalordito, Borges dovette dirgli di no. Ma Paolo non si arrese, e chiese se invece fosse possibile portare in Italia la statua della Cappellina delle Apparizioni, la prima in assoluto, completata dallo scultore José Ferreira Thedim nel 1920. Anche stavolta il rettore del Santuario dovette, suo malgrado, dirgli di no. Il racconto del fatto è contenuto in alcuni giornali portoghesi dell’epoca.
Ma nella notte qualcosa cambiò. «All’indomani il rettore — precisa ancora il fratello alla Nuova Bussola — disse a Paolo che non era riuscito a dormire e che aveva preso una decisione. Non poteva consegnargli nessuna delle due statue richieste, ma poteva dargli una terza statua della Madonna, esposta nel Santuario. Ed è la statua che ancora oggi, 55 anni dopo, è custodita dalla mia famiglia». Quel giorno, il 14 settembre, nella Basilica di Fatima venne celebrata alle 17.30 la Santa Messa in unione spirituale con i Padri conciliari che si riunivano a Roma. Seguì la solenne esposizione del Santissimo e la recita del Rosario per il buon esito del Concilio.
«Dopo la benedizione eucaristica», seguiamo la cronaca di allora del giornale Novidades, «è stata organizzata una processione con una bella Immagine di Nostra Signora lungo la strada per la Cappellina, accompagnata da tutti i fedeli che riempivano completamente la Basilica. L’Immagine è stata portata [a spalla, ndr] da membri della commissione di Brescia con ai lati due signore che portavano la corona e la Rosa d’Oro offerta al Santuario». Arrivato alla Cappellina delle Apparizioni, con un seguito di molti pellegrini che evidentemente nulla sapevano del perché si stesse facendo quella particolare processione, «il monsignor rettore ha rivolto alcune parole di spiegazione dell’inaspettata cerimonia, incoronando in seguito l’Immagine della Santissima Vergine che il giorno successivo [il 15 settembre] sarebbe partita per l’Italia».
«Alla fine», prosegue il resoconto di Novidades, «tutti hanno cantato con grande fervore il Salve Regina, mentre l’Immagine di Nostra Signora veniva collocata sulla colonna che segnala il luogo delle apparizioni del 1917». A suggellare il tutto, monsignor Borges spedì un telegramma a Paolo VI: «Beatissimo Padre, il gruppo di pellegrini di Brescia, insieme ai fedeli del Santuario di Fatima, offre alla Santissima Vergine una Rosa d’Oro implorando la sua materna protezione sul Concilio Ecumenico».
Il 15 settembre 1965 la statua partì dunque alla volta dell’Italia. E per quasi 36 anni non si mosse dalla casa dei familiari di Paolo, a parte che per un paio di “uscite” all’interno della parrocchia. «A mo’ di battuta mio fratello diceva: “Verrà un giorno che se vorrete vederla dovrete muovervi voi”». Lo stesso Paolo aveva ricevuto una profezia personale da Padre Pio, che un giorno gli aveva rivelato che «a 60 anni avrai un cambiamento nella tua vita». Non si sa a che cosa si riferisse il santo da Pietrelcina, ma quel che è certo è che Paolo morì a 60 anni, giusto pochi giorni prima del suo 61° compleanno.
L’altro dato certo è lo speciale legame che questa statua ha con i Cappuccini. Sono loro che da decenni celebrano una-due Messe al mese nella cappellina di famiglia in cui è custodita la statua. E sono loro che hanno iniziato la pratica della peregrinatio Mariae al di fuori della parrocchia. «Il primo pellegrinaggio, intorno al 2001, fu voluto da un Cappuccino di nostra conoscenza», ci spiega il fratello di Paolo. «All’epoca questo religioso, al ritorno da San Giovanni Rotondo, dopo aver celebrato Messa nella nostra cappellina, mi chiese: “Mi date la Madonna per portarla nel mese di maggio ai Sabbioni di Crema?”». Luogo, quest’ultimo, dove dal 1575 si trova un convento di Cappuccini.
Da quel momento questa splendida statua di Maria, che ci parla visibilmente dell’amore di Dio e della Madre celeste per ciascuno di noi, è stata portata in diverse località della Lombardia, finendo anche (in battello) in Emilia Romagna. Sempre accolta con grande gioia, ha sempre ricambiato con grazie, visibili e nascoste.
NOTE [1] La statua rispecchia quello che è stato classificato come “modello B” (vedi foto). Esistono tre fondamentali modelli di statue fatimite. Sono modelli realizzati nel corso degli anni — sulla base delle indicazioni di suor Lucia — da José Ferreira Thedim (1892-1971), che completò la statua originaria (vedi “modello A”) nel 1920. Si badi bene: quando si parla di “12 copie”, ci si riferisce alle statue simili al primo esemplare della Statua Pellegrina di Fatima, completata nel 1947, e non alla statua del 1920, che è invece custodita in modo pressoché permanente nella Cappellina delle Apparizioni (ne viene portata fuori il 13 maggio e in occasioni speciali).
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(Fonte: LaNuovaBQ)
Da Fatima a Brescia, storia di una Madonnina speciale Ha una storia che trasuda mistero e fede, in buona parte inedita, la statua della Madonna di Fatima affidata per alcuni giorni alla…
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pangeanews · 5 years
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“Bisogna assecondare una voce, acciuffarla coi denti. Io, per esempio, con la lingua faccio del sesso spericolato”: dialogo con Francesco Iannone
Gli dico Pedro Páramo e non fa verso. Intendo: il rito meridiano, la tenebra grave del Meridione, in Arruina (il Saggiatore, 2019), possono stare nel Messico corrusco di Juan Rulfo, nel Cile di José Donoso, nel Brasile di Guimarães Rosa, tra boscimani e sciamani, in una trionfale mascherata – cenere che si fa corpo – che mi ricorda quando Pier Paolo Pasolini voleva ambientare Eschilo in Africa, che genio!, perché i primordi non sussurravano, pietra arsa dall’incuria, ma urlavano con fervore di iena, in favore di sangue. Dunque, sì, qui c’è la rovina della lingua, la decapitazione del linguaggio e Francesco Iannone – “è il suo esordio nella narrativa”, ci avvisa la nota smilza – vuole scrivere sangue, vuole traslare il verbo in carne, la retorica in carie. Così, Nerissima e Sperduta, ’O ’Mpasturato e Poeta Antico stanno nell’ogiva meridionale nel senso che sono il Meridione del sasso, la luce da cui cominciò il dire, terra/pane, parola/prepuzio, per questo, questo libro non va letto ma odorato, partecipato, scosceso, discesa tra le ombre del ‘fu’, funesto rito. “Dovrei imparare ad uccidere il mio io. Dovrei farlo tacere con il suo canto storto, strozzato, impreciso, fuori tempo, troppo calante, troppo imperfetto, troppo umano… La morte mia e la morte di tutti, il disfarsi dei corpi, così mortali, così mortalmente riducibili, che senso ha? Le mie sere finiranno con me, sentirò tossire il firmamento sulla mia testa, un’ultima volta, e terrò con lui il mio dialogo più bello, dirò ogni cosa di me, di noi…”. Con questa lingua che è dedica ai morti – come chi, appunto, raccolga le lingue dei cadaveri e le semini in terre messe a maggese sperando nella crescita di ulivi – nasce, eretto, un libro arcaico, eppure scritto da un autore così giovane – classe 1985 – forse a mo’ di monito, o forse, semplicemente, perché ogni libro è l’ultimo e trapana la morte. In realtà, esordiente alla narrativa, Iannone è nato da tempo alla poesia: nel 2016 per Aragno pubblica Pietra lavica, che ha vasta risonanza critica. Piuttosto, si potrebbe dire, a mo’ di nota parziale, da approfondire, che i narratori più avvertiti, oggi – cioè, quelli che s’installano in un linguaggio e lo impongono – sono quelli che si sono svezzati nella pappa poetica, penso a Daniele Mencarelli, ad Andrea Temporelli, a Laura Pugno, per dire, a Iannone, ora, e a Gian Ruggero Manzoni, prima. Ma non è questo, qui, il tema. Il tema, piuttosto, è questo: “Piove magnifico fra i ruderi, piove incessantemente sulla polvere e noi tocchiamo le nuvolette che la polvere genera, le tocchiamo cautamente come fossero di carne. Qualcosa di increato trema sotto i nostri passi, e tremando esiste. Potrebbero essere ossicine, bambine sgozzate, potrebbero essere scheletri di rane, stragi di formiche, ogni cosa potrebbero essere, cose condannate a vivere qui, con i falchi che cacciano selvaggina fra rugiada e fango”. L’ultimo getto è proprio del poeta – musica ha splendore sul resto, sul restio, senti: selvaggina fra rugiada e fango. L’altro è la rovina, in forma di memoria e d’acqua, necessaria per dissotterrare l’ossessione e mutarla in caccia cardinale. (d.b.)
Intanto. Da dove viene Arruina e che lavoro ha preceduto l’annuncio di quel linguaggio così arcaico, dalle sementi liriche? A me ha ricordato (per pura impressione ‘sonora’) la lingua pietrificata di Juan Rulfo. Dimmi.
Ho immaginato di scrivere Arruina rannicchiato nello stomaco del mostro che inghiottì Giona. Arruina è cresciuto lì dentro, in quello spavento. Ma Arruina per me è anche la realtà che non si racconta. È la traccia, l’avvistamento fra le macerie. Ed è pure la determinazione del soccorritore che cerca sopravvissuti sotto gli accumuli di pietre e calcinacci. Non è un elogio del disastro, sia chiaro, né una compiaciuta narrazione delle rovine, così in voga oggi. È piuttosto un orientarsi nei cunicoli di bui ipogei scavati sottoterra provando ad accordare il proprio passo all’eco degli zoccoli pestati sulla terra dalla mandria chissà dove. E questo sembra molto simile alle dinamiche della umana esistenza. Un viaggio camminato fissando la crepa, e la luce che talvolta da essa ne viene. Si vive per quei barlumi, rincorrendo quegli abbagli. Ho usato la Salerno selvatica del Cilento più estremo (Roccagloriosa, Acquavena, Torre Orsaia) perché un grido potesse ampliarsi ed echeggiare enormemente lungo i costoni delle rocce che ne caratterizzano il paesaggio e che il mare lo possono soltanto sognare tanto ne sono lontani. Così come noi siamo distanti dalle verità che riguardano la nostra vita, verità sognate, desiderate e perciò già reali, per il fatto stesso di poter essere concepite.
A un certo punto appare il Poeta Antico e oltre a chiederti: chi è?, ti chiedo di specificare l’influsso della tua scrittura poetica in quella narrativa. 
Il Poeta Antico nasce dal rapporto personale con due poeti che mi si sono incistati nella carne come uomini prima ancora che come poeti (ma non meno vera sarebbe l’affermazione contraria): Alfonso Guida e Gino Scartaghiande, gli autori, fra le altre cose, di Irpinia e Sonetti d’amore per King Kong. Due poeti a cui devo umanamente moltissimo. Da loro ho appreso il valore della concessione di sé, e per motivi diversi. Non ci si sottrae alla guerriglia, nessuna croce può essere posata a terra, pena una felicità monca, mutilata. Sembra un ossimoro, lo so. Ma c’è allegria anche nei gorgogli che fa il sangue quando tumultua nel taglio. Ogni cosa corre verso la casa della fine, che forse è anche la casa dell’inizio, chissà.
Che ardore ha il tuo linguaggio? Intendo: pensi che per giungere a una certa postura linguistica sia necessaria anche una scelta etica, una disciplina, ecco? 
Non preferisco parlare di linguaggio perché mi fa pensare all’artificio, a qualcosa di premeditato. O comunque ad una prevaricazione dell’autore sulla parola. Ad un atto di arroganza estrema. Meglio parlare di lingua. E anche nella scelta di una lingua credo sia necessario sgonfiarsi di se stessi. Assecondare una voce, acciuffarla con i denti. E infine esserle fedele per tutto il tempo che ti chiede. È una grande prova di umiltà. Non è sempre facile mettersi da parte, subire l’ingombro di una presenza altra. È una dinamica erotica, ha a che fare con i corpi, con i loro spasmi e turbamenti. Perché la lingua è un corpo a tutti gli effetti, e ti sceglie. E tu ci fai del sesso spericolato.
A chi scrivi, perché? A chi hai lanciato questo libro in particolare, per quali occhi è apparecchiato?
Non vorrei sembrare spietato o cinico. Ma quasi mai penso ad un ipotetico lettore quando scrivo. Scrivo per fame. E quando si ha fame si raschiano le briciole dal pavimento e ci si copre la bocca con la mano mentre le si mangia per non essere visti da nessuno. Se hai fame sei egoista e ti ingozzi del poco che trovi nascondendoti dentro un antro buio di caverna affinché nemmeno l’odore possa diffondersi di quel cibo. Poi capita un giorno che qualcuno senta nostalgia del pane come te, e quello potrebbe essere il lettore. Una fame che incontra un’altra fame.
Dal ciglio di questo libro che, mi pare, vuole essere senza assoluzione, ti chiedo un giudizio sulla letteratura italiana, oggi. Ci stai bene? Come ci si può stare?
È sempre più difficile riconoscersi in ciò che si scrive oggi. E, in verità, non mi salgono alla mente molti nomi. Imbarbariti dal mercato, critici e scrittori hanno smesso di scavare nella loro fame e li vedi adagiati sulle piume del perbenismo letterario. Ciò che per uno scrittore ad esempio rappresenta un pretesto, come in Arruina certe suggestioni meridionali, per chi è chiamato a giudicare diventa subito lo scopo finale del testo, il suo significato definitivo. Ed ecco l’equivoco, il fraintendimento. Io non ho la presunzione di introdurre nessuna novità. Tutto è già stato detto e raccontato. Confido molto nella lingua, perché è lì dentro che ancora possono avvenire i miracoli, almeno quando si parla di libri.
Che valore ‘politico’ ha il tuo romanzo? Come si installa, cioè, nella Storia? O ne è meteorite laterale, candido, candidato solo a se stesso?
Arruina è volutamente non collocato in un tempo determinato. Né è in sintonia con nessuna delle odierne tendenze letterarie. È linguisticamente respingente. E più che farti carezze, ti sgancia sonori ceffoni sulla faccia. Ha un andamento che stordisce. Ti costringe a pause, rallentamenti. Diciamo che non sono stato per nulla scaltro. Quando mi innamoro, ad esempio, non sono di quelli che diventano più cortesi o accomodanti. Ma, per tutela di me stesso, sono ancora più insopportabile del solito. E forse Arruina ha un certo livello di insopportabilità che ha ereditato da me. Ma poi, è sopportabile la vita? E il dolore? E la gioia, come la si addomestica?  La vita ha di questi eccessi, e la letteratura, perché ha a che fare con la vita, è eccesso essa stessa. È lo spazio dentro il quale si avvera il pandemonio. Lo si può osservare rappresentato fisicamente. La letteratura ne diventa specchio e riflesso insieme.
*In copertina: Francesco Iannone secondo Chiara Pardini
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pangeanews · 5 years
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“La Bellezza, come la grandezza, non è più di moda. Le Muse si sono stancate dei poeti di oggi, morti viventi”: dialogo con Silvio Raffo
Chi lo conosce fa finta di non capire. Silvio Raffo, che in quell’opificio di lirica, di magia che è La Piccola Fenice, a Varese, ha la più vasta biblioteca di libri di poesia che abbia mai visto, è la dimostrazione vivente che si può vivere da poeti. Che si deve vivere poeticamente. La sua leggerezza – coniugata a una cultura ‘mostruosa’ – ti mette in scacco: cita un verso di Emily Dickinson e muta il muso canino del giorno in virtù primaverile. E tu che fai?, sei ancora lì, perduto tra gli ‘affari’ senza afferrare la coda di tigre della vita? Sempre sull’argine della gioia – cioè, sul lato di chi ha visto tutti i dolori, tutte le disperazioni, mungendone il diamante – Silvio Raffo, che è, primariamente, poeta e romanziere – La voce della pietra, ripubblicato da Elliot lo scorso anno, è stato tradotto in film, Voice from the Stone, nel 2017, con Emilia Clarke – ha compiuto una impresa che ha il senso della necessità e dell’azzardo. Muse del disincanto (Castelvecchi, 2019), è “Un’antologia critica” intesa a descrivere la “Poesia italiana del Novecento”. La necessità è data da chiarezza architettonica nella composizione e nitidezza stilistica. Insomma: Raffo non scrive per i critici, per i giornalisti delle ‘terze’ – ce ne sono ancora? –, tantomeno per i poeti o i curatori di auree collane editoriali. Vuole farsi capire. E ci riesce, scandendo il suo discorso in sei parti – dalla porzione Verso il Novecento al Caleidoscopio che orienta alle svariate esperienze liriche, minori ma non per questo meno interessanti, che hanno puntellato il secolo passato – spiegando ai non edotti (cioè: tutti) che cos’è la poesia (Appendice metrica) e che rapporto ha con la musica (“Sono solo canzonette”. Musa e musica leggera). Il resto, è l’azzardo. Silvio Raffo si erge, da sempre, a difensore della bellezza vilipesa, e lo dice, senza tema, fin da subito: “Il lettore appena esperto si accorgerà infine di un altro intento oggi decisamente ‘controtendenza’: quello di una difesa – lo ammette per primo chi scrive – del canone estetico-lirico di cui molti amano celebrare le esequie, o le hanno già celebrate da un pezzo. La Bellezza rimane di fatto l’unica ancora di ormeggio, sia per la letteratura sia per la vita”. Così, Raffo raccoglie – giustamente – Fernanda Romagnoli a discapito di Edoardo Sanguineti (‘mito’ della cultura che fu), riammette nel canone Antonio Delfini ma relega all’ombra Antonio Porta, imbarca Emilio Villa dimenticando Dario Villa, dà giusto pregio al Tommaso Landolfi poeta, ma a questo punto avrebbe potuto trattare anche Federigo Tozzi e Scipione, come Massimo Ferretti e Alessandro Ceni che paiono, parere tutto mio, mancanze reali. Ma forse non è questo il gioco da fare in una antologia dove ci si diverte a spigolare autori dimenticati – tra i tanti: Nella Nobili, Elena Bono, Giovanni Descalzo, Aldo Borlenghi, Maria Luisa Belleli, Enzo Fabiani, José Basile, Biagia Marniti – finalmente degnati di attenzione autentica e gratuita (cosa non da poco: l’antologizzatore non si auto-antologizza). Dove l’autore, al posto di fare il maestrino del canone, l’inquisitore della letteratura, ci affronta: e tu, hai il coraggio di farti poeta, di spendere tutto per la bellezza? Infine, un libro che trasuda vita, evviva. (d.b.)
Disincanto. Significa che la musa non incanta più?
Le Muse, esattamente come gli Angeli, si sono stancate, disincantate, per la desolante destituzione dell’incanto e del canto: nessuno vuole né sa più cantare, e a loro, che vivono in funzione del canto che possono ispirare, non resta che appollaiarsi sulle balaustre della scala di una villa abbandonata come quella “sul lago d’Orta” di Montale. Sono tristi, poverine, perché “l’armonia non vince di mille secoli il silenzio”, anzi si è spenta del tutto. Mi ricordano gli angeli di una mia poesia di Lampi della Visione. Gli Angeli sono tristi perché “strano/ suona il loro saluto al cuore umano/ Si riposano stanchi sulle guglie/ di turrite città, piangono un poco/ tra loro si sorridono per gioco./ Gli Angeli sono tristi perché vano/ sentono in loro annuncio al cuore umano”. Come diceva già l’Aldo burlone più di cent’anni fa “I tempi sono cambiati/ Gli uomini non domandano niente dai poeti…”. Lui però, almeno, si divertiva (“tri tri tri, tru tru tru”). Quei morti viventi dei ‘poeti’ di oggi non hanno un briciolo di brio, non solo hanno perso il dono del canto ma non hanno niente da dire (Marino Moretti diceva per vezzo di non “aver nulla da dire”, ma poi ci raccontava storie deliziose, questi al massimo contano le piastrelle del pavimento o illustrano l’interno di un frigorifero elucubrando cervelloticamente sul nulla). Oggi la poesia è un esercizio di ingegnosità lambiccata, senza l’entousiasmòs e la gioiosa bizzarria dell’estro barocco (i cui voluttuosi arabeschi palpitavano di ebbrezza senza mai tradire i principi dell’ut pictura poesis e la convinzione che “è del poeta il fin la meraviglia”). Un’arida pantomima in cui la Bellezza non ha alcuna voce in capitolo. Quale “meraviglia”? Niente più stupore, né vitalità di canto (“poiché la vicenda si compie/ senza eroismo, senza passione, senza bellezza”, Mariagloria Sears, 1954). A dettar legge nella poesia del terzo millennio, come in generale nell’arte, salvo qualche eccezione, parrebbe proprio il contrario della Bellezza. Quel Bello che fu chiamato “l’inizio del Tremendo” è stato sostituito dalla grisaglia dell’insignificante. L’anelito all’avventura metafisica è guardato con sospetto se non con disprezzo, per non parlare della ‘melodia’ o di qualsiasi incanto del canto (considerati elementi obsoleti e ‘accademici’ – come se Penna, puro melodico cantore, fosse minimamente accademico!). Pare che la finalità precipua debba essere una surrettizia ‘aderenza alle cose’, soprattutto si deve essere ‘attuali’, immersi nel ‘reale’ (come se sapessimo cos’è davvero) e non dimenticarci dei ‘problemi sociali’, tutto ciò insomma di cui la poesia ha sempre tenuto conto, ma da un punto di vista privilegiato e ‘trascendente’.
Lui è Silvio Raffo, poeta perenne
La tua è una antologia polemica: scombussoli il canone con il cannone, dici che non esistono ‘minori’ semmai sono ‘minorati’ (dico io) certi critici e i loro criteri. Spiegaci cosa ha animato il tuo lavoro, anomalo.
Polemico è un aggettivo che non mi appartiene, come anche ‘provocatorio’. Diversamente da molti miei contemporanei, non m’interessa polemizzare né provocare. Ognuno la pensi come vuole. Io ho un’idea precisa dell’essenza della Poesia (e uso non a caso la maiuscola) e non scrivo neanche una riga per compiacere miei amici o ‘clienti’. Scrivo quello che penso anche se non è politically correct. Ritengo che oggi la poesia sia in disarmo, che la stragrande maggioranza di coloro che sono qualificati come poeti siano scrittori in versi che non sono più nemmeno versi. La poesia si costituisce di tre elementi: la musicalità, la trasfigurazione fantastica, la vivacità dell’espressione. La stragrande maggioranza dei poeti di oggi potrebbe fare a meno di spezzare il ‘sermo continuus’ perché i loro scritti, non avendo alcuna dimensione musicali, sono semplicemente prosa che si ferma a un certo punto per andare a capo (ciò che risultano a volte, ahimè, anche certe pessime traduzioni di poeti che siamo costretti a leggere solo in originale per non inorridire). Quanto alla trasfigurazione fantastica, non è più in uso, la realtà non viene più trasfigurata e ricreata ma piuttosto riprodotta fotograficamente, e questo potrebbe andar bene se si verificasse con un impatto drammatico e suggestivo, ossia con una impronta che rimandi comunque altrove, (il ‘suggerimento’ mallarmeano) ma il fatto è che oggi si tende, come aveva intuito già il grande Luigi Baldacci, a spacciare per enigmatica la banalità. ‘Fantasia’ significa “capacità di rappresentazione e di trasfigurazione”, ed è la principale carenza di una generazione cresciuta davanti alla tivù. Quanto alla vivacità dell’espressione, quella che si avverte nei testi (se li leggiamo) è la stessa che si rivela nell’ascoltarli se li leggono ad alta voce, di una noia esiziale (c’è qualche poeta oggi che legge come sapeva leggere Ungaretti?). Ahiahi, mala tempora currunt anche per quanto riguarda l’interpretazione (rileggete Quintiliano ragazzi, actio, dispositio, etc.). Non ho mai negato che esistano poeti maggiori e poeti minori. Solo trovo assurdo che vengano considerati minori alcuni che sono di valore pari ai più noti. Camillo Sbarbaro e Libero De Libero, Bartolo Cattafi e Daria Menicanti non sono ‘minori’ rispetto a Montale, sono diversi da Montale ma poeti autentici, fecondi, fedeli a un credo come lui.
Intendo. Non sarebbe stato meglio semplificare la scelta, decrittare e decapitare (già Mengaldo ne allineò tantissimi, 40 e passa anni fa, denunciando l’impossibilità del canone), più che allargare smodatamente le maglie liriche? 
No, desideravo che il quadro fosse completo. E non potevo tralasciare parecchie voci di poeti validi e vivaci, nel Caleidoscopio finale: voci che NESSUNA delle antologie degli ultimi quarant’anni ricorda e valgono più di tanti poetucoli strombazzati dai loro amici critici e scribacchini.
Dimmi chi è (e perché): il poeta del Novecento più sottovalutato.
Camillo Sbarbaro. Esistono pochissimi saggi critici sulla sua opera, alla quale deve parecchio anche Montale
…il più sopravvalutato…
Pier Paolo Pasolini, le cui poesie apprezzabili sono a mio avviso solo quelle della stagione giovanile. Anche Montale è ipervalutato: benché si tratti indubbiamente di un grande poeta, trovo che gli scritti critici di cui è stato oggetto siano più del necessario, mentre ad altri ne sono stati dedicati pochissimi. Le mode culturali sono una piaga Efesto. Chi si guadagna un trono non lo perderà mai. Basti pensare al fenomeno Alda Merini. In un anno le sono stati dedicati sedici volumi dal Corriere, dozzine di tesi di laurea e un museo (dove peraltro vado molto volentieri a tenere corsi e seminari, ambiente simpaticissimo) mentre a Maria Luisa Spaziani – indubbiamente più alta di Alda nel senso luziano del termine – nessuno ha dedicato alcuno spazio ‘in memoriam’ fuorché un paio di articoli. Il torto di Maria Luisa, la vera first lady della poesia femminile italiana, è stato di non aver fatto mai parlare di sé come personaggio e non aver mai usato un linguaggio ‘popolare’ nelle sue interviste.
…quello che ti porteresti nell’isola deserta…
Dato che Emily Dickinson la conosco quasi tutta a memoria, porterei con me in un’isola deserta Guido Gozzano o Giovanni Pascoli (è concessa un’accoppiata? Mi avvalgo di questo diritto autorizzato da Emily, che afferma “Uno più uno fa uno”).
…quello che avresti voluto conoscere…
Mariagloria Sears, prima che si togliesse la vita. I leoni sul sagrato è una delle poesie più belle del decennio ’50/60.
…il più simpatico e l’insopportabile (come traluce dall’opera)… 
Il più simpatico Palazzeschi (ex aequo con Juan Rodolfo Wilcock). Insopportabile Edoardo Sanguineti.
…quello che leggi continuamente.
Giovanni Pascoli.
Oggi: qual è lo stato della poesia italiana (dunque della italica civiltà)?
“Povera e nuda vai, cara Poesia”. Quanto alla civiltà italica… perché, c’è ancora?
Insisti sulla parola Bellezza, dileggiata, direi, nelle aule della lirica dominante. Cos’è questa bellezza? 
La Bellezza, senza scomodare Keats e il suo motto comunque sempiterno Beauty is Truth, Truth Beauty, that is all/ ye know on earth and all ye need to know (nel quale peraltro credo) è la gioia del contatto con il mistero, non può aver luogo con nulla che sia solo contingente ma è ontologicamente qualcosa di ‘out of sight’ anche se la riconosciamo in qualcosa che vediamo. Baudelaire ne Lo straniero la definisce “divina e immortale”: è proprio così. Nella vera arte la Bellezza si fa verbo e immagine. Tutto qui. E la sua essenza non cambia perché non dipende dal tempo storico (lo trascende infatti), non cambia per il fatto che domini il brutto. Quando domina il brutto vuol dire semplicemente che ci sono in circolazione meno anime belle. Oggi è così. La Bellezza, come la ‘grandezza’, non è di moda. Sì, è esatto dire che è dileggiata. Umiliata e offesa, sta per lasciarci o ci ha già lasciati. Anche lei (come gli dei e gli angeli). “Per puro spavento” (a dirlo, è ancora una volta la sovrumana Emily). Beauty has no cause. It exists (or not) Chi la ama la scorge – aggiungiamo – o sente ancora “l’indizio del suo nume”, e – oggi con molta fatica – riesce ancora a farla respirare. Quanto a chi non la ama, peggio per lui. La Bellezza ‘dovrebbe’ salvare il mondo, ma se il mondo non vuole salvarsi non lo salverà.
L'articolo “La Bellezza, come la grandezza, non è più di moda. Le Muse si sono stancate dei poeti di oggi, morti viventi”: dialogo con Silvio Raffo proviene da Pangea.
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