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#Lo scrittore volante
levysoft · 4 years
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Un uomo come tanti Amadeus, che nasce nel 1884 a Zurigo. Diventa insegnante di francese e tedesco e nel frattempo vive un amore sfortunato: la donna di cui è innamorato si sposa con un altro, più ricco di lui, e dopo due anni morirà di tubercolosi.
Dienach va avanti con la sua vita, finché nel 1917 non si ammala. Non contrae una banale influenza e nemmeno la pericolosa febbre spagnola che provoca milioni di morti in quegli anni. La sua è una malattia misteriosa e incurabile, comparsa intorno al 1915 e praticamente sparita (o quasi) nel 1924, l’encefalite letargica.
Un sonno improvviso e profondo si impadronisce dei malati, che possono rimanere addormentati da pochi minuti a qualche giorno, fino a intere settimane e mesi, in uno stato comatoso dal quale ci si può risvegliare come no.
In quella prima comparsa della malattia, nel 1917, Amadeus dorme per due settimane, e quando si risveglia non ricorda nulla. Nel 1921 l’encefalite letargica lo colpisce in forma molto più violenta: resta in stato comatoso per un anno, durante il quale rimane ricoverato in un ospedale di Zurigo. Quando si risveglia sua madre non c’è più e lui patisce i primi sintomi di un’altra malattia che all’epoca non lascia scampo, la tubercolosi.
La fredda Zurigo non è salubre per i malati di tisi, così Dienach si trasferisce nella ben più mite Atene, dove insegna francese e tedesco all’università. Lì avrà come allievo Georgios Papachatzis, che poi diventerà un eminente professore di diritto e giurista del Consiglio di Stato greco.
Non è una figura di secondo piano Papachatzis in questa storia, perché proprio a lui Dienach consegna i suoi diari prima di ripartire per la Svizzera, nel 1924, quando ormai si sente prossimo alla fine.
Sono un regalo per l’amico, destinati solo a lui, che infatti legge e traduce quelle 800 pagine, rendendosi conto di avere in mano qualcosa di straordinario: il frutto di una mente ottenebrata dalla malattia, di una fervida fantasia, oppure il resoconto di un’avventuroso viaggio nel tempo compiuto restando fermo in un letto di ospedale?
La risposta sta nella mente di chi legge, perché Papachatzis decide di pubblicare quei diari cinquant’anni dopo averli ricevuti in regalo, non senza trovare ostacoli da parte delle autorità politiche e religiose dell’epoca. Dienach, consapevole della portata di ciò che racconta, precisa più volte in alcune note lasciate a margine dei diari che lui non è uno scrittore, né uomo dotato di fantasia: racconta di un’esperienza vissuta in quell’anno di coma.
Viaggiare nel tempo: esperienza onirica o realtà della coscienza?
Dienach, che ovviamente non ha coscienza di essere entrato in coma a maggio del 1921, si risveglia nell’anno 3905, in un corpo che non è il suo, ma quello di un certo Andeas Northam, un uomo italiano ricoverato in un ospedale di Molsendopo essere stato vittima di un incidente con una macchina volante (linsen). I medici parlano con Andreas, gli dicono chi è e cosa ha avuto, ma quell’uomo non riconosce niente e nessuno, perché è Amadeus, che non capisce la lingua parlata dai medici (comunque di origine nordica), si stupisce di quell’ambiente tutto vetro e luci, e vede per la prima volta quelle strane divise indossate dal personale ospedaliero.
Andreas/Amadeus non risponde ai tentativi fatti per risvegliare la sua memoria, non riconosce i suoi più cari amici e viene mandato in una struttura dove dovrebbe recuperare la sua coscienza. E’ lì che Dienach apprende tutto quello che è successo nei duemila anni compresi nel suo viaggio temporale.
Nel susseguirsi dei corsi e ricorsi storici c’è all’inizio un tempo oscuro, che i nostri posteri chiameranno Preistoria, e che Dienach racconta così:
Il XX e XXI secolo sono funestati da guerre mondiali, dall’oppressione dell’uomo sull’uomo e dal mancato rispetto della natura. I valori cambiano e lo smodato consumismo distrugge il pianeta e le coscienze degli uomini. Sono anni dove il potere economico e politico è detenuto da un Nuovo Ordine del Mondo (testuali parole). Violenza e povertà dilagano, in particolare in Africa e in Asia. Il pianeta è sovrappopolato e Marte diventa la meta di una colonia terrestre, che dura poco, perché dopo una sessantina d’anni un evento catastrofico spazzerà via tutti i 20 milioni di persone che lo abitano.
Nell’anno 2309 il Vecchio Continente sarà quasi completamente annientato da una guerra nucleare. La popolazione sopravvissuta sul pianeta inizia a migrare, e nell’Europa del sud arrivano genti dal nord. Gli uomini sono ormai quasi privi di una qualsiasi forma di vita spirituale.
Segue l’età degli eroi che per i nostri posteri è l’Era Antica o Eldere, durante la quale, alla fine del XXIV secolo, nasce un governo mondiale, che porta legalità e ordine: il pianeta non è più diviso in nazioni, e tutti si sentono cittadini della Terra. Il rinascimento inizia nel 2894, in un luogo tra Grecia e Macedonia chiamato Valle delle Rose, dove nasce il “Movimento dei Duecento”, dal quale riparte una nuova spiritualità ed anche un uomo nuovo dal punto di vista fisico, frutto di un modo di vivere diverso, più libero e gioioso.
Arriva infine l’età della ragione che per i nostri posteri è la Nuova Era o Nojere, dove spicca un uomo Alex Volky, che nel 3382 libera gli uomini dal dolore e insegna loro a trovare una nuova spiritualità e una gioia immensa grazie alla meditazione, talmente forte da risultare mortale se non si è pronti a riceverla.
Nel 3842 sbocciano le prime rose blu di un saggio giardiniere, dopo cinquanta anni di tentativi, nella Valle delle Rose.
Un futuro utopistico?
Questo è il percorso fatto dall’uomo nel corso di duemila anni. In quel nuovo mondo gli uomini lavorano solo per due anni, tra i 19 e i 21, poi ognuno si dedica a ciò che più gli piace. Il concetto di proprietà privata non se lo ricorda più nessuno, perché è lo stato ad occuparsi dei bisogni delle persone. Non esiste più nemmeno il matrimonio, le relazioni sono libere ma non la procreazione: chi vuole mettere al mondo un figlio deve ottenere l’autorizzazione dello stato, per evitare la sovrappopolazione, causa di tanti mali del passato. La giustizia è garantita, perché al governo ci sono persone che si preoccupano del bene comune e non di quello dei singoli.
Le religioni, svuotate degli antichi dogmi, sono tutte tollerate, ma ormai unificate in un solo credo: il Samith è il tutto che comprende tempo e spazio.
Dienach apprende anche dell’esistenza degli extraterrestri, che avrebbero potuto prendere contatto con gli uomini già migliaia di anni fa, ma non lo hanno mai fatto perché consapevoli della loro mentalità ristretta. Forse, in qualche particolare momento storico, hanno dato una mano all’umanità, senza mai farsi riconoscere.
Amadeus/Andreas viaggerà per tutta Europa e avrà modo di visitare Markfor, la nostra Roma, ma cinque volte più grande. Nel 3905 c’è ancora la statua di Giordano Bruno, ma il Colosseo chissà che fine avrà fatto…
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chez-mimich · 5 years
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HENRY CARTIER-BRESSON, PÉRÉGRINATION EN EUROPE
Mi incammino per la Rue des Archives sempre con lo stesso stato d’animo di quando passeggio nel Marais, con il desiderio della scoperta discreta senza grandi sorprese, con l’emozione controllata che dànno le cose raffinate e la Fondation Cartier-Bresson, completamente rinnovata, è una di quelle scoperte. Due le mostre presenti, una su Herny-Cartier Bresson stesso (che sarà ospite fisso delle ultime due sale), ed una sul grandissimo fotografo americano Wright Morris. L’omaggio al fotografo francese si intitola (un po’ banalmente) “Pérégrination en Europe” e raccoglie alcune tra le fotografie più celebri dell’artista. Del resto il viaggio ci fu e ad accompagnare Henry Cartier-Bresson fu lo scrittore André Pieyre de Mandiargues con il quale visitò il Belgio, la Germania, la Polonia, l’Ungheria. Un giovanissimo Cartier-Bresson, al volante di Buick d’occasione e armato di una vecchia Krauss, incomincia ad indagare nell’insolito quotidiano del Nord Europa e dell’Europa dell’Est. Tutto è stato scritto della e sulla sua fotografia, tanto che cercare si essere originali scrivendo di lui diventa un’impresa disperata. Ma la mostra raccoglie anche le foto di altri celebri viaggi del grande maestro, come quelli in Italia e Spagna, con altri due compagni di viaggio: l’eccentrica artista Leonor Fini e la sua Leica, “en bois à plaques de verre”. La Leica lo accompagnerà anche in Italia dove scatterà in Abruzzo e in Toscana, fotografie divenute celeberrime. Guardare queste fotografie è come passeggiare nella Stanza della Segnatura, affrescata da Raffaello o volgere lo sguardo verso il Veronese delle “Nozze di Cana”: è la silente emozione del “classico”, tanto sono note queste opere e nelle quali tanto ancora c’è da scoprire. Il suo è il primo sguardo incantato della storia della fotografia moderna e, se per me è difficile pensare alla sua fotografia senza gli scorci urbani e i personaggi degli anni Trenta, mi è assolutamente impossibile pensare agli anni Trenta senza la sua fotografia. Se passate da Marais, non sprecate il tempo a scattarne di vostre.
Parigi, agosto 2019
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pangeanews · 5 years
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I dieci giorni in cui Agatha Christie morì (ovvero: sul sano desiderio di uno scrittore di scomparire)
Un secolo fa Agatha Christie metteva al mondo una figlia, Rosalind Margaret, nata in agosto, e un libro, il primo, The Mysterius Affair at Styles, che sarebbe passato come “Poirot a Styles Court”. Nel 1919 Agatha Christie ha 29 anni, è figlia di ricca famiglia, è piuttosto audace. Suo marito, Archibald Christie, un anno più grande di lei, era, come si dice, un ‘marcantonio’ dal volto volitivo. Nato nell’allora India inglese, militare di rango, impalmò Agatha – che di cognome faceva Miller e per l’anagrafe era in possesso di un altro paio di nomi, Mary e Clarissa – alla vigilia di Natale del 1914. Prima di conoscere ‘Archie’, Agatha, affamata di vita, era stata con quattro uomini separati. Dopo la Prima guerra, ‘Archie’ fu promotore del British Empire Exhibition Tour: in sostanza, doveva andare in giro per il globo a denunciare la grandezza dell’Impero britannico e a sponsorizzare la futura Esposizione del 1924, a Wembley. I Christie, così, viaggiarono tra Sudafrica e Hawaii, Australia e Nuova Zelanda. Si dice che Agatha fosse una efficace surfista.
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7 dicembre 1926: il “Daily Mirror” racconta la storia della “donna scrittrice scomparsa”
La questione, sonante e tonante, è sempre quella. Insieme a Shakespeare, Agatha Christie è la scrittrice inglese più venduta al mondo. Parlano di un miliardo di copie comprate in UK & Angolofonia, e altrettante copie nel resto del pianeta. In un recente articolo pubblicato per la “London Review of Books”, The Case of Agatha Christie, John Lanchester osa la verità: la Christie vende perché è brava. Stop. Ogni altro discorso sui ‘generi’ e la letteratura alta, bassa o terra-terra muore sul sorgere.
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Della vita della Christie colpiscono almeno due cose. La prima ha origine 50 anni fa e uno svolgimento nel 1971. La firma di Agatha Christie, tra tante altre – a casaccio cito quelle di: Cecil Day Lewis, Iris Murdoch, Robert Graves, Graham Greene, Cyril Connolly –, si dice che convinse papa Paolo VI a concedere il permesso di officiare il rito tridentino in Inghilterra e Galles. Il territorio è quello della riforma conciliare, che per diversi artisti e intellettuali raffigurava l’emblema della vittoria della modernità sulla tradizione. Il testo, appunto, è noto come “The Agatha Christie Indult”.
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L’altro è il mistero che da sempre aleggia sulla biografia della Christie. L’ombra bianca. Il sussurro del nulla. La scomparsa di Agatha Christie, accaduta il 4 dicembre del 1926. All’epoca, la Christie aveva scritto pochi libri ma buoni, insistendo soprattutto su Poirot (Aiuto, Poirot!, del 1923 e L’assassinio di Roger Ackroyd, del 1926), inventando altri personaggi, che avranno minor consistenza letteraria: la coppia Tommy e Tuppence (Avversario segreto, 1922), il Colonnello Race (L’uomo vestito di marrone, 1924) e il Sovrintendente Battle (Il segreto di Chimneys, 1925). Per dieci giorni della scrittrice di fama non si seppe nulla: la sua scomparsa divenne un caso da romanzo. Anche Arthur Conan Doyle, di cui la Christie era una fan, occultista per passione, si mise a ordire una seduta spiritica per capire se si fosse perduta tra i morti.
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Agatha non fece cenno alla scomparsa, mai, se non in una intervista rilasciata al “The Daily Mail” nel 1928: “Quella notte mi sentivo terribilmente triste. Sentivo di non poter più andare avanti. Sono uscita di casa in uno stato di forte tensione nervosa, con la certezza di dover compiere qualcosa di disperato… quando ho visto la cava di gesso, lungo la strada, mi sono precipitato verso di essa. Ho mollato la guida. L’automobile è sobbalzata, sbattendo contro qualcosa. L’impatto mi ha scagliato sul volante. Fino ad allora ero la signora Christie”.
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La storia, ricostruita minuziosamente, giorno per giorno, grazie a un lavoro di ricerca compiuto setacciando i giornali dell’epoca, da Tina Jordan sul “New York Times” – titolo: When the World’s Most Famous Mystery Writer Vanished –, parrebbe, nel suo stato di rebus, banale. La polizia annaspa – in un articolo del 13 dicembre 1926 si dice che “sono impiegate nelle ricerche della signora Christie tra le 10 e le 15mila persone, segugi addestrati e cani poliziotti alsaziani”. La macchina incidentata è trovata quasi subito. Senza la scrittrice. Qualcuno è certo del suicidio, un’altra pista è che sia a Londra, “camuffata con abiti maschili”. Altri ritengono che sia impegnata a risolvere un ‘caso’ vero, coadiuvando i servizi. I maliziosi dicono: perverso modo per far levitare le vendite dei libri. Quarant’anni fa Michael Apted – quello di Gorky Park, Gorilla nella nebbia, Nell e Extreme Measures – girò un film sul Segreto di Agatha Christie con Dustin Hoffman e Vanessa Redgrave nei panni della scrittrice.
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15 dicembre 1926, il “Daily Sketch” titola: “Mrs. Agatha Christie trovata viva”
Il ‘segreto’, trattato come un avvincente noir dai giornali dell’epoca – la scrittrice avrebbe lasciato delle lettere, la polizia adoperò perfino il suo cane per rintracciarla – ha una soluzione semplice. La gelosia. Dieci giorni dopo la scomparsa, il 14 dicembre, la scrittrice fu ritrovata all’Hydropathic Hotel di Harrogate, nello Yorkshire. Era registrata come “Mrs. Tressa Neele”. A chi la scoprì disse di avere avuto una amnesia. ‘Archie’, quando andò a prenderla, evitò di fissarla, aveva già capito tutto. Neele, infatti, era il cognome della sua amante, Nancy, di dieci anni più giovane di lui. Il 17 marzo del 1928 Agatha ottenne il divorzio. ‘Archie’ si sposò quell’anno con la sua ‘Mrs. Neele’, con cui viveva dal 1927: fu un matrimonio felice. Dopo il divorzio, la scrittrice partì per Istanbul, poi proseguì per Baghdad, sull’Orient Express. Su quel treno scoprì due cose. La prima fu l’ispirazione forse più poderosa della sua carriera: è del 1934 – tradotto immediatamente in italiano, l’anno dopo – Assassinio sull’Orient Express. L’altra fu un nuovo uomo. Si chiamava Max Mallowan, faceva l’archeologo, incontrò la scrittrice nel sito di Ur, nel 1930, aveva tredici anni meno di lei. Si sposarono quell’anno. Seppellita la moglie Agatha nel 1976, l’anno dopo Mallowan impalmò una archeologa, Barbara Hastings Parker. Non fece in tempo a godersela: l’anno dopo schiattò e lo seppellirono, a Cholsey, di fianco ad Agatha. Lei, per altro, conservò il cognome del primo marito: ai diktat della fama bisogna obbedire.
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Al di là della gelosia, il segno che lo scrittore voglia scomparire, celandosi dietro un altro nome, è emblema. Chi dà la vita, può scegliere di togliersela. Abdicare a sé perché sia scintillante l’opera, abiurare la propria vita per quell’altra, fittizia, data a personaggi inesistenti. Abbandonarsi perché ci si ritrova soltanto in una trama fabbricata in favore di altri. (d.b.)
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theblondedrug · 2 years
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Writer in the Sea
Lo scrittore era affermato ma in crisi. Il successo c’era ma confinato. Di fatto si sentiva in un pantano abitato da simili che, ben contenti di essere un attrazione, sguazzavano nell’acqua melmosa per la gioia del pubblico. Ma a lui era chiaro: era in una pozza.
Una pozza, per quanto vasta, resta sempre un qualcosa di circoscritto. Lui conosceva la vastità del mare e sapeva che il Caspio, per esempio, è considerato un mare ma a conti fatti si tratta di un lago. Un mare è diverso, per quanto locale, attraverso passaggi è collegato agli altri mari che compongono quell’enorme massa blu. Il Caspio contribuisce, certo, ma non produce letteratura di navigazione degna di nota. Visto dallo spazio è una macchia che, per vederlo occorre farci caso. Per un alieno sono più interessanti il Pacifico, l’Atlantico e altro sconfinato azzurro. Sto lavorando di fantasia: nessun alieno è venuto a raccontarmi se dal finestrino del disco volante ha notato o no il Caspio.
Tornando alla pozza, era densa di blabla, di modelli che festeggiavano la propria importanza che sapeva di artefatto e nel mondo accadeva dell’altro. Alla metà degli anni 90 del secolo scorso c’erano per esempio gli Smashing Pumpkins e scrivere canzoni è come scrivere libri, disse Lou Reed. Cosa c’era in comune con la pozza? Niente… E’ una questione di suono ma non solo. 
Ci sarebbe stato, da fare, un quinto passo e dire addio? Che ne sarebbe stato della sua identità? Avrebbe trovato un senso fuori di lì?
Non è facile. Quando sei qualcuno in un posto, non molli tutto e vai via. Figuriamoci. Chi se ne va perde sempre qualcosa, inoltre vi è sempre qualcosa di ingiusto. Anche, di vigliacco. Ma che avventura c’è qui?
Andare contro una forza possente può esserlo.
Uno scrittore vive di metafore e la metafora è spesso tratta da un fatto reale. Anzi, trasformare un fatto reale, che può ad altri sembrare banale, in una storia avvincente, è la prima dote di uno scrittore. Cosa c’è di più possente del mare?
Il mare quel giorno era impossibile. Un bel giorno per la sfida.
Non sappiamo cos’abbia prodotto, quel tentativo. Lui non è tornato indietro a raccontarcelo.
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livornopress · 3 years
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Martingala, oggi una biografia su Caprilli e lo spettacolo "Il cavaliere Volante"
Martingala, oggi una biografia su Caprilli e lo spettacolo “Il cavaliere Volante”
  Federico Caprilli Livorno, 14 luglio 2021 Oggi, mercoledì 14 luglio, la rassegna “Martingala” all’Ippodromo “F. Caprilli” prosegue con un doppio appuntamento. – Alle ore 19.00 presentazione del libro Carlo Giubbilei “CAPRILLI. VITA E SCRITTI”, edizione a cura di Daniele Tinti (Ed. Erasmo Livorno) Ne parleranno Gabriele Benucci, drammaturgo e scrittore e Alessandro Guarducci, capocronista…
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napolblog · 7 years
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L'estate che cercavo la casa di Hemingway
Oggi che sarebbe il compleanno di Ernest Hemingway ho ripensato a quell'estate del 2005 che volevo vedere la sua casa a Key West e l'ho trovata chiusa. A dirla tutta io non ero nemmeno così sicuro di volerci arrivare fin laggiù e rompevo l'anima al mio amico che stava al volante della nostra pontiac bianca targata Kentucky. Avevamo guidato tutta la notte, fermandoci solo per dormire qualche ora in un motel logoro a Homestead, la classica cittadina irreale degli Stati Uniti dove ad attraversarti la strada sono soltanto le balle di fieno o i coccodrilli e le persone sono inquietanti.
La receptionist del motel non faceva eccezione e, oltre a confermare l'impressione a prima vista sugli esemplari umani del posto, non proferiva parola e non voleva nemmeno avere a che fare con i nostri documenti. La tessera della stanza chiudeva male la porta e le lenzuola erano gialle. Sembravano già utilizzate. I neon dell'insegna continuavano ad entrare dispettosi tra le bande verticali delle tende e mi flashavano la faccia. Una ragazza afroamericana urlava cose imprecisate al suo uomo sul pianerottolo due stanze più in là. Poi ho sentito il rumore delle botte, una porta sbattere e una macchina sgommare nella piazzola e andare via. Mi sono appoggiato per due ore, nelle quali per lo più ho guardato il soffitto e pensato “che estate sto vivendo”. 
La mattina presto ci siamo fatti tutta la Overseas Highway: mare a destra e mare a sinistra e l'odore di sale secco. Una Florida Key in lontananza e poi ancora mare. La prima immagine che ho di Key West è un tramonto mozzafiato a Mallory square, così gigante che solo gli americani possono fare dei tramonti così giganti. Mallory square è uno di quei nomi che mi ricordo sempre perché sembra uscito da un film e suona così bene. La seconda immagine è invece quel bussolotto che sta ad indicare il punto più a sud degli Stati Uniti. Tutti abbracciano quel suppostone a 90 miglia da Cuba come se fossero Cristoforo Colombo, esploratori di un nonnulla. La terza è un'aragosta mastodontica mangiata da Duffy’s - lo ricordo perché era scritto con un bel font anni Sessanta - a fianco a una staccionata bianca che le dava più risalto e masticavo trenta o quaranta volte quanto era grossa mentre mi chiedevo in religioso silenzio dove l'avessero messa questa casa di Hemingway, dove minchia fosse. Mica volevo consultare la guida, la voleva trovare. Volevo uscirmene con un “Toh! Guarda un po’ la casa di Hemingway!”. E alla fine l'ho detto ma troppo tardi: ci siamo arrivati quando era già chiusa. Allora mi sono tolto lo sfizio di mettermi in tasca un sasso dal marciapiede antistante il cancello d'ingresso come a poter affermare “been there”, anche per i miei posteri.
Se non ero riuscito a vedere dove Ernest e Pauline avevano vissuto, almeno avrei potuto passare la serata da Sloppy Joe’s dove lo scrittore andava a sbronzarsi. Era agosto e avrei compiuto 21 anni a dicembre perciò non sarei potuto entrare. Amo il fatto che gli americani, oltre ad essere ossessionati dalle dimensioni, siano abituati a leggere le date anteponendo il mese al giorno di nascita. Così sulla mia patente ho potuto avere 21 anni anche se ancora non li avevo. Il cuore mi è saltato in bocca per l'eccitazione non appena entrato, quando ho sbirciato il bancone con delle lucine blu e il palchetto per l'open mic. Tequila, tanta tequila, fatta scivolare sul tavolo e spruzzata addosso, le cover dei Lynyrd Skynyrd e una grassona che mi mostrava il reggiseno. E poi grande incertezza nella ricostruzione delle cose. 
La mattina seguente, i vestiti a loro modo puzzavano un po’ di Ernest Hemingway. Abortivo rutti e azzannavo i muffin alla banana di Jenny, la padrona della casa coloniale che ci ospitava e mi ripeteva “Oh jee” per ogni cosa, mentre pensavo che due giorni prima avevamo guidato tutta la notte e la mattina presto. E io rompevo l'anima. E non avevo nemmeno 21 anni. E che ci faceva un sasso in tasca. E anche a Ernest le tettone mostravano i reggiseni? Ma forse no a quell'epoca. Che poi, io all'inizio a Key West non ci volevo nemmeno andare. Ero uno stupido, cazzo.
Dedicato a Roby, fedele route-mate
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goodbearblind · 7 years
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La strada bruciata delle magliette a strisce di Marco Philopat Sono passati cinquantasette anni dalla rivolta dei ragazzi in maglietta a strisce scesi piazza a Genova per impedire un congresso di neofascisti. Un convegno voluto anche dall'allora governo del democristiano Tambroni, che da pochi mesi era diventato presidente del Consiglio grazie ai 14 voti dei parlamentari dell'Msi. La determinazione dei manifestanti fecero fallire quel tentativo di sdoganare, per la prima volta dal dopoguerra, gli eredi del tragico ventennio. Quel convegno fu infatti annullato. Nell'estate del 1960 ci fu un terremoto, di quelli imprevisti, violento e allo stesso tempo liberatorio. In prima fila negli scontri di piazza, da Genova a Catania, da Reggio Emilia a Palermo, da Roma a Bologna, c'erano giovani sui vent'anni, operai figli di operai che pagarono cara la loro voglia di farsi sentire. La pagarono con il sangue. In undici rimasero sull'asfalto, crivellati dalle sventagliate dei mitra e dai colpi di pistola. Altre centinaia finirono in ospedale o sul banco degli imputati come pericolosi sovversivi e condannati a scontare anni di carcere. Sapevano di rischiare grosso eppure scesero in piazza convinti che andasse fatto, che quello era il loro dovere, l'unico modo per dire no al ripetersi della storia. Per questo motivo i ragazzi con le magliette a strisce rimasero impresse nel mio cervello appena ne venni a conoscenza. Sentii parlare di loro, per la prima volta in vita mia, quando indossavo con orgoglio la mia nera corazza punk. Fu il libraio Primo Moroni che mi spiegò bene cosa accadde il 30 giugno 1960 a Genova. “Andammo sulle barricate a fare a cazzotti con i celerini e carabinieri che difendevano i fascisti. Eravamo tutti giovani, generosi e intransigenti, portavamo i jeans, avevamo il mito dell'America e siccome i soldi in tasca erano pochi ci vestimmo con delle magliette comprate per trecento lire nei grandi magazzini. Non ci interessava una vita passata solo lavorando, preferivano guadagnare meno ma avere più tempo libero, però quando ci fu da protestare non ci tirammo certo indietro.” Era uno dei suoi strepitosi racconti orali che per noi ventenni di allora rappresentava una specie di rappresentazione cinematografica a dir poco epica, con i moti dei movimenti operai come protagonisti. C'era stato anche lui a Genova quando aveva 24 anni e partecipò agli scontri in prima fila dopo aver mal interpretato una telefonata del responsabile del servizio d'ordine di una sezione della Fgci milanese alla quale era iscritto. Inutile dire che per noi punk, che consideravamo i nostri vestiti come uno dei pochi strumenti per esprimere rabbia e ribellione, quelle magliette a strisce furono una precisa indicazione sui nostri futuri doveri. D'altronde, come tentò sempre di sottolinearci Primo, non avevamo inventato proprio niente. Già il grande poster incorniciato che il libraio teneva alla sue spalle ci consigliava di guardare un po' oltre la nostra divisa. Era infatti una foto d'epoca che ritraeva la Banda Bonnot, anarchici francesi nonché rapinatori di banca che vestivano in nero come noi, che vivevano in una comune ed erano vegetariani come noi. (Ai quei tempi noi punk stavamo tutti al Virus di via Correggio). A Milano poi c'erano stati i giubbotti di pelle della Volante Rossa, i capelloni beat che inneggiavano al libero amore, gli studenti con l'eskimo e infine i trench bianchi della famosa banda Bellini... Le magliette a strisce orizzontali bianche e blu o bianche e rosse furono un segno distintivo che riunì i giovani contro il ritorno del fascismo, in una lotta fino all'ultimo sangue come quello dei Morti di Reggio Emilia, (7 luglio 1960), immortalati nella celebre canzone di Fausto Amodei. Cosa portò alcuni ragazzi a scegliere un indumento come simbolo di una rivolta contro l'autorità costituita? Cosa li mosse? Non erano bandiere rosse quelle che sventolavano, erano semplici magliette comprate al discount. Ma soprattutto perché dopo il 1960 non ci fu più niente di così dirompente nel rapporto tra i simboli della rivolta e l'impegno politico? Dopo tanti anni si potrebbe anche affermare che noi non siamo stati capaci di tramandare l'importanza dell'adottare nuovi simboli in grado di rappresentare un'opposizione intransigente alle attuali derive totalitarie. Resta il fatto che i ragazzi con le magliette a strisce non furono mai così irrimediabilmente ostacolati dai loro rappresentanti istituzionali come invece capitò alla mia generazione. Per farvi un esempio vi vorrei riportare le parole che l'allora deputato del Psi Sandro Pertini, pronunciò a Genova il 28 giugno 1960. Sarà ricordato come “u brighettu”, il fiammifero, a significare che accese la fiamma della sollevazione popolare. Sandro Pertini arrivò attraversò Piazza della Vittoria a Genova strinse la mano ai vecchi compagni partigiani e salì sul palco accolto dall'ovazione di trentamila antifascisti. “Le autorità romane sono impegnate a trovare quelli che ritengono i sobillatori, gli iniziatori, i capi di queste manifestazione di antifascismo” gridò con tutto il fiato che aveva in gola. “Non c'è bisogno che s'affannino. Lo dirò io chi sono i nostri sobillatori. Eccoli qui: sono i fucilati del Turchino, della Benedicta, dell'Olivetta e di Cravasco, sono i torturati della Casa dello studente, che risuona ancora delle urla strazianti delle vittime e delle risate sadiche dei torturatori.” Gli applausi lo interruppero per diversi minuti. Poi Pertini continuò. “Io nego che i missini abbiano il diritto di tenere a Genova il loro congresso. Ogni iniziativa. ogni atto, ogni manifestazione di quel movimento è una chiara esaltazione del fascismo. Si tratta, del resto, di un congresso qui convocato, non per discutere ma per provocare e contrapporre un passato vergognoso ai valori politici e morali della Resistenza” Pertini chiese a tutti di scendere in piazza per tutelare la libertà conquistata con il sacrificio di migliaia di innocenti. “Oggi i fascisti la fanno da padroni, sono di nuovo al governo, giungono addirittura a qualificare come un delitto l'esecuzione di Mussolini. Ebbene, io mi vanto di aver ordinato la fucilazione di Mussolini, perché io e gli altri membri del CLN non abbiamo fatto altro che firmare una condanna a morte, pronunciata dal popolo italiano vent'anni prima.” Pertini comunque non fu il solo a stare a fianco dei ragazzi in rivolta, lo dimostra il fatto che al processo sui fatti di Genova e quelli siciliani o di Reggio Emilia, gli imputati per gli scontri furono difesi dai migliori avvocati dell'apparato del Pci, tra cui Umberto Terracini che aveva redatto la Costituzione e il capo partigiano Giovanbattista Lazagna. Inoltre i vertici del partito togliattiano cominciarono una seria autocritica interna per capire lo scollamento tra il movimento spontaneo e la strategia del Pci. “Non bisogna perdere il contatto con le masse entrate in lotta” dicevano. Le testimonianze che dimostrano tutta la lacerazione di quel dibattito sono riportate da molti libri. Il primo è uscito da qualche settimana e s'intitola Al tempo di Tambroni di Annibale Paloscia per Mursia, poi c'è lo stupendo romanzo del 2008, L'estate delle magliette a strisce di Diego Colombo per Sedizioni e infine un capitolo del breviario di racconti orali di Cesare Bermani, Il nemico interno per Odradek, dove potete trovare le ragioni della telefonata mal interpretata da Primo Moroni. Vedere i dirigenti del Pci barcamenarsi tra i Teddy boy e le magliette a strisce presumibilmente usate da personaggi trasgressivi come Picasso e Brigitte Bardot, fa oggi morire dal ridere. Emilio Sereni s'interrogava sulla “gioventù sotto una direzione che non è la nostra.” E in effetti le iscrizioni alla Fgci erano in calo mostruoso (365 mila nel '56, 229 mila nel 1960). C'era chi accusava i giovani di aver subito una “deteriore influenza dal clericalismo e dall'americanismo” e chi invece sosteneva il dialogo, certamente non fu facile per tutti loro controbattere alle tesi dello scrittore Carlo Levi apparse sul settimanale “ABC”. “Spingere con la forza e non tacere. Dovete usare la vostra forza per sovvertire, protestare. Fatelo voi che siete giovani.” diceva Levi e quindi, rivolto ai dirigenti del Pci notava. “Questi fatti impongono a tutti un esame approfondito, e l'elaborazione, o la modificazione di programmi e di metodi: lo studio preciso di fini concreti, nati dalla coscienza popolare. La fiducia, rinata attraverso l'azione, è un bene prezioso che non può essere deluso e dissipato”. Su quelle magliette a strisce, e in senso più ampio sulla passione per i modelli trasgressivi dell'american way of life trasmessi dai film come The Wild one o con le scosse del Rock 'n' Roll, nessuno dei dirigenti comunisti o socialisti riuscì mai a capirci qualcosa. Eppure non erano in pochi quelli che avevano compreso quanto quei modelli erano sedimentati tra i giovani e quanti immaginari di società diverse e vissuti generazionali affascinanti avessero sprigionato. Negli ultimi 50 anni i partiti che avrebbe dovuto rappresentare i diritti dei lavoratori e delle fasce più deboli della società si sono trasferiti piano piano dall'altra parte della barricata, ormai è palese. Durante gli anni Settanta furono impegnati a spegnere ogni fuoco possibile che nasceva spontaneo tra le masse diseredate, ripiegando sulla criminalizzazione dei sobillatori, come a dire: “Se non ci fossero gli estremisti di sinistra, il mondo sarebbe perfetto.” Poi, dopo essersi battuti soprattutto per dimostrare di essere all'altezza della modernità, di essere persone raffinate e di buone maniere e amici del business globale, hanno raggiunto l'apice nel dopo G8 2001, (ancora una volta a Genova), con la deleteria questione della nonviolenza. E lì è crollata la maschera. È vero che da parte nostra, e intendo ragionare sui quei pochi punk e autonomi che restarono a galla durante gli anni del riflusso, non ci fu la capacità di smontare i meccanismi di cancrena sociale che si svilupparono attorno alle nostre roccaforti liberate. Forse non capimmo bene ciò che si nascondeva dietro la gelateria dei gusti colorati e degli stili di vita che stava prendendo piede nelle nuove generazioni. Non capimmo neanche la danza degli spettri dei rave nel limbo fluorescente di una bolla destinata prima o poi a scoppiare, senz'altro fummo travolti dal bling bling degli anni '00 con il luccicare delle fibbie dolcegabbana a simboleggiare la resa definitiva del nostro futuro. Non sta a me provare a fare analisi, sono solo un grande appassionato delle magliette a strisce e di tutte le creature simili che si sono susseguite nel corso del tempo. Però di una cosa ne sono sicuro, noi fummo contrastati in primo luogo da ciò che rimaneva dell'apparato dell'ex partito comunista italiano teso nella sempre più spasmodica ricerca di un paese normale... Purtroppo oggi l'orologio della storia è ritornato brutalmente indietro e i fascisti non solo sono stati ampiamente sdoganati, ma hanno addirittura riconquistato il potere e l'egemonia culturale. Ora che l'insolente corruzione dei politicanti e la tracotanza padronale hanno dilagato, sono ancora pochi coloro disposti a non naufragare di fronte alla paura nei confronti della passione per la libertà e l'uguaglianza. E noi continuiamo a essere orfani di quelle magliette strisce, che oltre a difendere i diritti già acquisiti, riuscirono a rilanciare sul futuro per conquistarne nuovi. -Antonietta Agostini-
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jaysreviews · 8 years
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Non mi sono mai dilungato troppo sulle recensioni di Miracleman, come uno che vorrebbe recensire il cosmo o un concetto astratto e si ritira di fronte alla difficoltà. Con i racconti scritti da Alan Moo-ehm- volevo dire lo Scrittore Originale avevamo toccato ogni punto: meraviglia e orrore, amore e odio, violenza e sesso, nascita e morte… insomma un opera magna che mi ha aperto la mente. Ala-daje- dicevo lo Scrittore Originale aveva lasciato un finale quasi lieto. Dopo una battaglia sanguinaria che aveva quasi raso al suolo Londra, era stato creato un mondo perfetto, tanto da diventare un pochino alieno. Poteva essere la fine oppure la porta aperta per una prosecuzione. Ma chi poteva prendere in mano la potentissima divinità moderna e mantenere alto il livello raggiunto finora? Beh, tutto finì nelle mani di Neil Gaiman e Mark Buckingham. Oggi ho letto l'ultimo numero del ciclo da loro diretto, l'Età dell'Oro, in cui vengono raccontate non le vicende del nostro biondo eroe ma delle persone che vivono nel nuovo mondo di Miracleman, con tutti i lussi possibili, le possibilità più incredibili, il benessere assoluto. Raccontando le loro storie ci spiega cosa succede sotto Olimpo, la cittadella volante del creatore del nuovo ordine mondiale. Gaiman ha forse fatto la scelta migliore in assoluto scegliendo le persone comuni: tramite loro ha potuto parlare dell'eroe senza farlo scendere in campo. Dopo il ciclo di Moor-porc!- lo Scrittore Originale era una sfida ardua da sostenere. Quindi Neil ha preferito vincere facile? Direi di no: scrivere storie di gente comune, anche in un mondo straordinario, mette a rischio di scrivere cose noiose, poco interessanti. Ma Neil riesce nell'impresa e crea personaggi che sono curiosi, particolari, fatti per mostrare aspetti differenti del mondo dei miracoli riuscendo anche a tirare in ballo personaggi del ciclo precedente, vivi e morti. E Buckingham lo supporta con tecniche sempre diverse, stili sperimentali che rendono ogni episodio diverso dall'altro in un caleidoscopio fatto di collage, stile cartoon, chiaroscuri… Eppure la famiglia Miracleman non è completamente assente grazie ad una storia di supporto che pone le basi per ciò che potrebbe accadere. Insomma l'Età dell'Oro sembra quasi possa vivere di vita propria, come se non avesse veramente bisogno delle storie di Ala… Alan Moore! Basta, mi sono rotto con sta cosa dello scrittore originale! Comunque non so quando tornerà l'onnipotente uomo in blu-rosso e oro ma sarò lì quando uscirà l'Età d'Argento. Fino ad allora: KIMOTA!
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levysoft · 3 years
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Ricordate Starman, il manichino in tuta spaziale seduto al volante di una fiammante Tesla Roadster che Elon Musk lanciò come carico pagante con il primo lancio del Facon Heavy di SpaceX?
Ebbene, ogni tanto l’account Twitter di SpaceX posta un diagramma con la posizione attuale dell’auto con a bordo il manichino:
Starman, a bordo dell’avveniristica auto di Elon Musk dove lo schermo dello stereo riporta l’iconica frase “Don’t panic” e sui suoi componenti elettronici è stampigliata la frase “Made on Earth by humans” continua il suo viaggio, è andata ormai oltre l’orbita di Marte e sta tornando verso il Sole.
La seconda frase di quel tweet, ovviamente, riprende i frequenti omaggi che il CEO di SpaceX ama porgere al compianto Douglas Adams. Il “Ristorante al termine dell’universo” è il secondo romanzo della serie in cinque parti di “Hitchhiker’s Guide to the Galaxy” (Guida galattica per autostoppisti) del brillante scrittore inglese.
Elon Musk è noto per essere un grande fan di “Hitchhiker’s Guide“, come dimostra la Starman’s Roadster. Il display di intrattenimento dell’auto è stato programmato per riportare per sempre “Don’t Panic!“, la frase che adorna la copertina dell’omonima guida elettronica nell’amatissima serie di Adams.
“Starman” è anche un riferimento culturale; è il titolo della canzone del 1972 di David Bowie. Non solo, secondo quanto Musk ha detto prima del lancio, lo stereo della Tesla Roadster continuerà ad eseguire ininterrottamente l’altra canzone iconica di Bowie del 1969 “Space Oddity” per tutta la durata del suo viaggio nello spazio profondo (o, almeno, finché le batterie avranno energia), anche se Starman non può sentirne l’esecuzione nel vuoto dello spazio.
A proposito di riferimenti iconici, durante la diretta video del lancio, i tecnici di SpaceX, su istruzioni di Musk, mandarono come sottofondo musicale nel momento della separazione del modulo, con la Tesla e Starman a bordo, dal secondo stadio del lanciatore Falcon Heavy, il brano, ancora di Bowie “Life on Mars“.
Dopo il lancio, Musk ha spiegato di aver mandato verso Marte la sua Roadster con a bordo Starman  perché trovava molto più divertente mandare nello spazio qualcosa di valore piuttosto che il tipico payload di massa inerte. Il lancio di un satellite o di altra strumentazione di valore di clienti non era un’opzione, dati i rischi inerenti ad un volo inaugurale (e, probabilmente, c’entra qualcosa anche il fatto che Musk è il proprietario di Tesla e ha quindi colto un’occasione unica per farsi uno spot pubblicitario gratuito in diretta mondiale).
Starman e la Roadster non resteranno per sempre oltre l’orbita di Marte. Come si capisce dal diagramma, sono inseriti in un’orbita eliocentrica che li farà tornare verso il Sole e la Terra prima di tornare ancora al di là di Marte.
Secondo un modello che simula il percorso della Roadster con Starman a bordo, i due oggetti passeranno a poche centinaia di migliaia di chilometri dal nostro pianeta nel 2091. Secondo gli autori della simulazione il payload del primo Falcon Heavy finirà per schiantarsi contro Venere o la Terra nel giro di qualche decina di milioni di anni.
Gli appassionati hanno a disposizione un sito web, whereisroadster.com, creato da Ben Pearson, il fondatore della Old Ham Media.
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con-una-lettera · 8 years
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Neri Pozza a Goffredo Parise
Vicenza, 4 aprile 1956
Caro Parise, ho letto Il fidanzamento tra ieri e oggi. È pacifico da anni che tu sei un uomo che non vuole né ama i consigli. T’ho detto a Milano che avresti dovuto – se non altro per vecchia amicizia – farmi leggere prima di stampare il tuo nuovo libro. È probabile che avresti stampato lo stesso, ma è anche probabile che io t’avrei dato un parere che sarebbe servito a farti riflettere. Tu riflettere non vuoi, non ami in fondo che i pareri che coincidono coi tuoi. Il racconto è debole, sbadato, scritto alla brava, senza cura e senza rispetto di te stesso. Passando dal romanzo picaresco alla commedia borghese, lo stile avrebbe dovuto essere sostenuto, inciso, vigilato in ogni sua parte. E la storia stessa, così poco persuasiva nella sua apparente verità, non sollecita altro che un interesse piatto e anonimo. Nel complesso, per le tue ambizioni e per le tue possibilità, questo libro è di un livello assai inferiore al Prete bello, e mi dispiace. Al fondo del tuo lavoro di questi ultimi quattro anni, cioè dopo La grande vacanza, vedo una sola ambizione: quella di battere il tamburo, di fare cassetta. E falla, se così ti piace. Ognuno ha da seguire la propria vocazione. Ma io, a suo tempo, ti presi e ti stimai per un primo libro vivo, sincero e intimamente poetico; e per un secondo ambizioso e pieno di grandi promesse. A quelle prove, con tutti i loro errori, le loro esuberanze patetiche e ricche di forza, io rimango fedele. E mi sembra di restar fedele a un amico trovato e perduto. Non ti dolere di questo parere negativo, io sono un vecchio provinciale con idee estremamente chiare anche se sbagliate (per te). Saranno idee d’arte e di poesia, che fanno pochi soldi, ma sono le sole capaci di sedurmi e interessarmi. Il resto, per me, è buio e vanità. Ciao, mi dispiace.
Neri
L'attività di editore di Neri Pozza iniziò per caso nel 1938, quando il primo libro di poesie del suo amico Antonio Barolini, La gaia gioventù e altri versi agli amici, non può più essere pubblicato perché il suo editore, per via delle leggi razziali, è costretto a fuggire. Le Edizioni dell’Asino Volante nasce per dare a questo libro, prematuro orfano di editore, una casa editrice. Neri scopre così la sua vocazione di editore, che lo porterà a fondare, dopo le Edizioni dell’Asino Volante, le Edizioni del Pellicano e infine, nel 1946, la casa editrice che porta il suo nome. Il suo apporto alla cultura italiana fu multiforme. Fu editore, scrittore, poeta, scultore, incisore. Scontroso, irascibile, ruvidamente schietto, paternamente severo ma capace di slanci ironici, fu il primo critico dei propri autori, ai quali non lesinava incoraggiamenti e stroncature, come in questa lettera indirizzata a Goffredo Parise.
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tmnotizie · 5 years
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ANCONA – E’ in fase di montaggio la prima video-track tratta da “Il cavaliere degli asini volanti” di Luca Bonaffini. Prodotta da Long Digital Playing con la supervisione del cantautore mantovano, la regia è stata affidata al giovanissimo Giacomo Bottarelli e protagonista è il rapper emergente (chiamarlo rapper è un po’ riduttivo) Frankie Bröni, scelto da Bonaffini e da Bottarelli come attore principale. L’uscita del videoclip è fissata per il 21 giugno, in occasione del solstizio d’estate.
Ma facciamo un passo indietro: dal 2007 a oggi, sono trascorsi oltre dieci anni e Luca Bonaffini, cantautore dalla penna eclettica, è tornato con un album di inediti. Dopo essersi riprodotto e riproposto con singoli sparsi qua e là, raccolte e antologie, tributi a Bertoli, romanzi, autobiografie e regie teatrali, finalmente l’artista mantovano si è ripreso un piccolo spazio all’interno del mercato musicale (e discografico) italiano.
Con “Il cavaliere degli asini volanti”, Bonaffini prende letteralmente il volo verso nuove mete, sperimentandosi in testi intrisi di romanticismo e di estetica letteraria (ricordiamo che oltre ad essere un musicista Bonaffini è scrittore e autore di testi teatrali), bene accoppiati con musiche geniali, composte da Roberto Padovan – anche co-produttore e arrangiatore dell’album.
Il concept non è semplice e immediato, ma molto ricco di emozioni. È un percorso a due binari (il primo terreno, il secondo mistico) che attraversa il Pianeta Terra per traghettare l’Uomo – prigioniero delle umane, appunto, fragilità – verso l’Universo. Amore e bellezza sono alcuni degli argomenti trattati nel breve ma intenso viaggio redatto dal Bonaffini dreamwriter formato CD.
“La fonte di ispirazione- chiarisce Luca Bonaffini- è stato un vecchio cd che avevo in archivio, di musica reiki scritta da Padovan. Inizialmente temevo un po’ troppo l’associazione alla new age e ai viaggi onirici di Franco Battiato (magari…!). Poi, lungo la strada, ho scoperto che stava nascendo una vera e propria canzone per ogni Chakra, senza citare mai esplicitamente alcuna disciplina. Insomma, alla fine è nato un album di canzoni pure e semplici fatte di bio-suoni e di tanto sentimento.
Il Cuore, come cita “Il frutice e la grande fionda”, in lingua giapponese è “il mio cuore (watashi no kokoro)”. Spunta lo spettro della distruzione delle guerre, dietro “la grande onda di Kanagawa” di Hokusai e la capacità visionaria, quasi a tinte Fantasy, di chi si sente un asino volante. Un asino – ribadisce Luca – non un cavaliere. Il cavaliere non sono io, non siamo noi a dover salvare gli asinelli: saranno loro a portarci verso la salvezza, la felicità“.
Sette tracce forti e intense per “Il cavaliere degli asini volanti” che, tra elettro-pop d’autore e influenze etno-age, ci racconta il nostro tempo in essere e a venire e la sacralità dei nostri valori fondamentali di sempre.
Collaboratore storico del cantautore emiliano, dal 1983 al 2002 Luca Bonaffini è stato frequentatore di “casa Bertoli”, trasformandosi da “allievo e fan” a collaboratore principale. Una lunga strada fatta di incontri, sorprese e canzoni che ha visto il giovane Luca diventare autore, compositore, chitarrista e vocalist di Bertoli, nel giro di pochi fondamentali dischi.
Negli anni del boom televisivo di Pierangelo, Luca c’era: c’era con “Chiama piano” (che Bertoli cantò con Concato) fino alla sera del Festival di Sanremo 1991, nella quale Bertoli interpretò insieme ai Tazenda il brano “Spunta la luna dal monte” che decretò il successo discografico e live dell’artista di Sassuolo, facendolo diventare simbolo televisivo-musicale delle minoranze e della cosiddetat canzone civile.
Su Wikipedia troviamo queste informazioni, ma in realtà gli album da lui realizzati sono tredici, i libri tre, oltre dieci spettacoli di teatro canzone e, tra produzioni artistiche e collaborazioni autorali/partecipazioni, si contano circa una cinquantina di album. https://it.wikipedia.org/wiki/Luca_Bonaffini
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CALLIMACO
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CALLIMACO
CALLIMACO
  Non amo la poesia comune e odio la strada aperta a chiunque. Odio un amante goduto da tutti e non bevo ad una pubblica fontana. Odio ogni cosa divisa con altri. Certo, Lisània è bello! Bello! E ancora non l’ho detto che un’eco già ripete: “E’ anche d’un altro.”
Ant. Pal. XII, 43:
La traduzione è di Salvatore Quasimodo, che si dilettò con eccellenti risultati alla traduzione dei lirici greci. E’ un epigramma contenuto nell’Antologia Palatina, così chiamata perché ritrovata nel 1600 ad Heidelberg, nel Palatinato, basata su una raccolta di epoca bizantina.
E’ evidente la metafora: Callimaco proclama la propria volontà, il proprio programma poetico, con la ricerca dell’originalità avanti a tutto. Callimaco è di Cirene, colonia greca in Libia, e da Cirene proviene anche la regina Berenice II, moglie del faraone Tolomeo III Evergete (=Benefattore). E Berenice introdusse a corte e negli ambienti colti il suo concittadino, Callimaco.
Capitale dell’Egitto allora era Alessandria, una della ventina di città, tutte con lo stesso nome, fondate da Alessandro Magno, un raro esempio di modestia. La città era stata fondata sulla riva del Mediterraneo, sulla base di un progetto generale, elaborato su carta, sul modello della ricostruzione di Mileto, ad opera dell’architetto urbanista Ippodamo, dopo la fine delle guerre persiane, in cui Mileto era stata distrutta.
In precedenza le città greche nascevano intorno all’acropoli, un tempo residenza del re, ma poi divenuta area sacra e fortificata, come estremo baluardo in caso di attacco. Intorno al nucleo primitivo andavano aggiungendosi gli altri elementi urbanistici, con il criterio di armonizzarli all’esistente. Con Mileto prima, ed ora con Alessandria si afferma un nuovo modo di sviluppare una città: disegno su carta, con spazi ben individuati, e sua concretizzazione materiale, sulla base della razionalità e della funzionalità. I romani faranno la medesima cosa, partendo però dal modello del loro accampamento militare (vedi Torino ed Aosta, ad esempio).
Ad Alessandria regna la dinastia dei Tolomei, iniziata da Tolomeo I. questi era un luogotenente di Alessandro, che a lui aveva affidato il compito di regnare pro tempore sull’Egitto, con il progetto di riprenderselo, insieme a tutti gli altri territori conquistati, per la costituzione dell’impero universale. Ma Alessandro era morto prematuramente a Babilonia, forse di malaria, ed i suoi luogotenenti si tennero i regni ricevuti pro tempore. E Tolomeo I era divenuto faraone d’Egitto. Si formarono così i regni ellenistici, che si logorarono a vicenda in lunghe dispendiose ed inutili guerre, ed ebbero il solo risultato di indebolirsi a vicenda. Ed i romani ebbero gioco facile a sottometterli tutti.
Tolomeo si proclamò faraone, per inserirsi nella millenaria tradizione d’Egitto, ed essere accettato dai sudditi, ma l’elemento guida del regno era greco: funzionari di corte, dignitari sacerdoti, categorie produttive, alti gradi militari, élite culturale erano tutti greci, ed la lingua greco- ellenistica divenne l’inglese del tempo.
Ad Alessandria fu istituita la prima biblioteca dell’antichità, e sul suo modello si innalzarono dappertutto – Roma compresa – biblioteche pubbliche. L’immagine più comune che oggi si ha di una biblioteca, almeno da noi, è quella di un edificio destinato a contenere una gran quantità di volumi, nella consultazione dei quali c’è la ragione prima della sua esistenza. Ma allora non era così: ad Alessandria (ed altrove) la biblioteca aveva due funzioni principali: a. la raccolta la sistemazione e l’elaborazione della versione ufficiale delle opere che venivano dall’antichità (Omero ed Esiodo, ad esempio); b. elaborazione di nuovi prodotti, specialmente poetici.
Titolo di prestigio era quello di Bibliotecario di Alessandria: era la patente di uomo di immensa cultura e di grande carisma. Callimaco non rivestì mai questo ruolo, ma fu uno degli animatori della vita culturale di Alessandria, e la sua opera era destinata ad avere una enorme importanza nella cultura del tempo, e poi a Roma e poi nel mondo occidentale.
Mega biblìon mega kakòn: grosso libro grosso guaio. Questo detto è una delle chiavi principali per entrare nella produzione di Callimaco: negli ultimi decenni la letteratura si orientava verso il manierismo imitativo dei grandi poeti del passato, con inevitabile isterilimento della creatività. “Odio il poema del ciclo”, dice ancora Callimaco, che ama l’espressione condensata, sintetica, ma che nella sintesi contenga tutti i dati essenziale della narrazione di un tema. Dunque compito del poeta è di sfrondare l’espressione, rivedendo, correggendo, limando: ecco, nasce quello che a Roma si chiamerà ‘labor limae’.
Callimaco narra miti, ma cercando versioni meno note, che gli danno maggiore spazio creativo, sempre proteso verso l’originalità. E’ il fondatore della poesia ‘eziologica’ , vocabolo che discende da ‘àition’ , causa, ed uno degli aition più riusciti e destinati a grande fortuna nella storia della letteratura latina prima, ed europea poi, è “La chioma di Berenice.” , Tolomeo III era partito per una guerra contro la Siria, e sua moglie , Berenice, aveva fatto voto di sacrificare la sua splendida chioma, se il marito fosse tornato incolume. Cosa che avvenne, e lei tenne fede al voto. La chioma recisa fu posta nel tempio di Afrodite, ma misteriosamente scomparve. E l’astronomo di corte disse di averla ritrovata in cielo, sotto forma di costellazione. E tutto ciò è messo in versi da Callimaco, che fa raccontare il tutto dalla chioma stessa.
Brevitas e labor limae: saranno i criteri dominanti dell’elaborazione poetica, in Grecia come a Roma. Il poeta augusteo Orazio ammira l’autore di satire Lucilio, di un secolo prima, ma gli rimprovera la scarsa cura dell’espressione: definisce il suo verso limaccioso come l’acqua di un fiume, da cui molto è da togliere, che appesantisce l’opera. E noi moderni, italiani in particolare, siamo figli di Callimaco: è vero o no, che, quando ci disponiamo a scrivere, automaticamente elaboriamo un’espressione diversa da quella parlata? Labor limae, appunto.
C’era inoltre la novità del libro. Esisteva anche prima: Erodoto, ad esempio, deve aver per forza scritto la sua monumentale Storia, ma la diffusione era orale e fatta in pubblico, nella agorà di Atene, tanto per iniziare, ma per forza di cose l’aveva scritta. Se ne fecero delle copie (a mano, è ovvio), e cominciarono a circolare. Ad Alessandria, nella biblioteca, fu fatta l’analisi delle varie copie reperibili, e si stilò l’opera ufficiale, che è quella arrivata a noi. E così per Omero e gli altri. A fare materialmente il lavoro erano degli amanuensi, degli scribi, persone di buona cultura, che spesso nella zona marginale della pagina eventualmente rimasta libera inserivano i loro commenti, gli scholia marginalia, fonte preziosa per noi di innumerevoli notizie. Erano gli scoliasti.
Il materiale scrittorio era particolarmente costoso, papiro o pergamena che fosse. Perciò, quando si diffuse l’ambizione di avere il proprio libro di proprietà a casa, nella biblioteca familiare, per soddisfare tale desiderio, si doveva essere ricchi, essendo il libro un oggetto di pregio, e tale è rimasto fino all’inizio degli anni 60 del secolo scorso, quando si è diffusa l’editoria tascabile. La libreria domestica era un mobile con varie scansie, in cui si deponevano i rotoli di papiro, e fu un ulteriore elemento e fattore di disuguaglianza sociale. Per permettersi una libreria domestica, infatti, si doveva essere danarosi, avere quindi del tempo libero in abbondanza, e possedere adeguata cultura: tutta roba da ricchi. Lo scrittore, il poeta, questo lo sapeva, quindi doveva porre particolare cura nell’elaborazione dell’opera. Quando questa ha una divulgazione orale, verba volant, quindi non è indispensabile una cura insistita della forma. Invece, quando la sua diffusione è scritta e costa pure, scripta manent, ed il compratore il testo la ha lì, e lo può consultare quando vuole. E, se resta deluso, non comprerà più né consiglierà l’autore.
Ecco allora la precettistica di Callimaco: brevitas, mega biblìon mega kakòn, ed il labor limae, e spesso la citazione o l’allusione ad autori antichi e famosi, una delle cose più divertenti per chi comprava il libro. Ecco allora lo sviluppo della ‘industria’ cartaria, la nascita del mestiere dello scriba, quello del libraio e quello dell’editore. E’ nato il libro in tutte le sue componenti. L’opera è composta per essere diffusa per iscritto. Solo un autore in precedenza aveva scritto per la diffusione scritta delle sue opere letterarie: Platone (e come ti sbagli?!). I suoi dialoghi e le sue lettere sono le prime opere letterarie in prosa della nostra cultura pubblicate per una diffusione scritta. Letterarie ed in prosa, ho affermato, perché quelle di storia pure sono scritte, ma, ribadisco, destinate ad una divulgazione mediante pubblica lettura. Ora la lettura piace privata ed a casa.
Quando si impone un regime totalitario, c’è sempre il rogo dei libri, o materiale o ideale. Infatti anche quando si dice che la cultura non serve, e gli intellettuali sono guardati con sospetto e quasi messi alla gogna; quando si proclama che uno vale uno, e che la competenza in fondo non serve, quando arriva qualcuno che concentra su di sé tutta l’attenzione di un popolo, si torna indietro a passi da gigante. Quando ministri della Nazione diventano ex DJ, ex bibitari eccetera……..
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italiaefriends · 6 years
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Italia & friends Comunica
"Natale, le sette Opere di Misericordia del Caravaggio e Pasolini"
Spesso ci chiediamo ma cosa è la misericordia? La potremmo definire atto con il quale l’uomo si dà al prossimo per mano divina, che discende dall’alto e investe chi si apre alla sua grande bellezza.
A tali presupposti come non regalarsi quindi a Natale un quadro unico, che possa essere anche capace di risvegliare la nostra coscienza davanti al dramma della povertà e entrare più nel cuore del vangelo, dove i poveri sono privilegiati dalla misericordia divina.
Un dipinto che fa emergere come la carità sia il luogo dell’incontro tra Dio uomo, immagini di un’attualità sconcertante, che ci riconducono al senso più profondo dell’esistenza umana.
D’obbligo allora una visita al Pio Monte della Misericordia di Napoli per vedere Le Sette opere di Misericordia del Caravaggio: un olio su tela realizzato tra la fine del 1606 e l’inizio del 1607, pagata a suo tempo ben 400 ducati (cifra altissima, se si considera che il Segretario Generale del Pio Monte, allora percepiva 24 ducati l’anno!).
Un dipinto definito da Giulio Carlo Argan come “il più importante quadro religioso del Seicento”.
Un capolavoro che ha rivoluzionato il mondo dell’arte ed anticipato di quattro secoli l’avvento della fotografia.
Un dipinto dove tutto appare come era Napoli di inizio seicento: la gente, la strada, le ombre, i contrasti sociali, l’inferno e il paradiso. Le Sette Opere di Misericordia (anche se l’esatto titolo dell’opera, come risulta dai documenti, è la “Madonna della Misericordia” racchiudono lo spirito partenopeo.
Un’umanità sofferente, ferita spiritualmente e corporalmente da privazioni, povertà e malattie viene soccorsa da un’umanità misericordiosa, la quale con questo percorso sceglie la via della salvezza.
Un quadro verista oggi potremmo dire, ma il verismo di Caravaggio richiedeva ore e ore di posa lunghissime ed estenuanti che spesso solo i poveracci che vivevano nei vicoli di Napoli erano disposti a sopportare per pochi soldi.
Ecco perché spesso erano prostitute e poco di buono coloro che offrivano il loro miglior profilo per la realizzazione di santi e madonne.
In alto è rappresentata la Madonna con Bambino che osserva la scena nella via sottostante.
La sorreggono degli angeli dalle grandi ali, in volo tra lo sventolio di panni.
La giovane Madonna della Misericordia è raffigurata nelle vesti di una semplice popolana che si affaccia come a curiosare dal balcone di casa.
Sotto la Madonna si vedono rappresentate le sette opere della misericordia:
Seppellire i morti” è raffigurata sulla destra, dove si trovano un seppellitore, che cerca di trasportare un cadavere di cui si vedono solo i piedi, e un diacono che regge una fiaccola;
“Visitare i carcerati” e “Dar da mangiare agli affamati” sono individuabili nella parte destra della tela. Cimone, che fu condannato a morte per fame in carcere, viene allattato dalla figlia Pero. Si nota, infatti, la goccia di latte sulla barba di Cimone;
“Vestire gli ignudi” compare nella parte sinistra.
Un giovane cavaliere fa dono del suo mantello ad un povero visto di spalle, che assume una posa michelangiolesca; ad esso è legata la figura dello storpio in basso nell’angolo sinistro, emblema del “Curare gli infermi”;
“Dar da bere agli assetati”è rappresentata a sinistra, da un uomo, Sansone, che dopo aver sconfitto i filistei, si disseta avidamente con l’acqua miracolosamente sgorgata nel deserto, per opera del Signore, usando una mascella d’asino;
“Ospitare i pellegrini”, è raffigurata da due figure: dall’uomo in piedi all’estrema sinistra che indica un punto verso l’esterno, come se stesse invitando qualcuno ad andarsene, e dall’uomo che, avendo una conchiglia sul cappello, si identifica facilmente come un pellegrino (simbolo del pellegrinaggio a Santiago de Compostela).
In Italia Caravaggio non ha eguali nella pittura, ma potremmo dire che se c'è un autore nel Novecento che ha una somiglianza psicologica e di vita con Caravaggio, è Pier Paolo Pasolini, il grande scrittore, regista, poeta, morto drammaticamente, con la stessa vita da doppia Dottor Jekyll e Mister Hyde che caratterizzava Caravaggio.
Di sera, il Pasolini-Mister Hyde inforcava i Ray-Ban e, al volante della sua spider, andava a rimorchiare ragazzi di strada che di caravaggesco non avevano solo i volti (lo stesso Pelosi, il presunto assassino di Pasolini, aveva il viso adolescenziale di Caravaggio).
Nei ragazzi di borgata, Pasolini cercava l'autenticità, la vita vera, e anche in questo è caravaggesco; anche in questo Caravaggio era pasoliniano.
Così come le debolezze della vita privata non hanno scalfito l'interesse per l'opera del Pasolini-Dottor Jekyll, Caravaggio addirittura si giova, in qualche modo, del giudizio sulla sua vita scellerata per assurgere ad artista maledetto.
Tutti soggetti che evocano altrettanti ‘ragazzi di vita’, tutti presi dalla strada a prendere il posto di quelli a carattere religioso che avevano, fino a quel momento, monopolizzato la produzione artistica.
By Napoli & Dintorni
Rubrica a cura di Enzo Lonhobardi *
*Docente di Marketing Turistico e Local Development
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enricocassi · 7 years
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Asti e Alba, vicine e diverse nella loro unicità, si incontrano sotto il segno della dolcezza nel primo week end di primavera.
Un appuntamento che le due città fanno vivere offrendo ciascuna spunti e curiosità da gustare.
Luoghi che saranno il palcoscenico di materie prime e prodotti che meglio rappresentano questo territorio, dal cioccolato alla nocciola, dal miele al torrone, senza dimenticare la castagna e la pera Madernassa, le torte, i biscotti e i dolci straordinari, divenuti simbolo identitario di questa regione.
E infine lui, il simbolo del vino dolce, il Moscato d’Asti DOCG.
Scoprite con noi La Dolce Valle!
Programma
Per tutta la giornata, dalle 10 alle 19,30 presso l’Info Point in Piazza San Secondo, Selfie per un sorriso, selfie benefici in collaborazione con l’Aisla di Asti.
Azzecca il grammo: stima del peso di un maxi uovo di Pasqua messo in palio da Cioccolateria Barbero.
Espositori
Piazza del Miele e del Moscato Dove: Piazza Roma Orario: dalle 10 alle 20 Grande spazio coperto dove si potranno incontrare i produttori e degustare i loro prodotti: Moscato e Asti Docg (padiglione Consorzio dell’Asti Docg), Moscato Passito di Strevi,Miele dell’Associazione Produttori Miele Piemonte (padiglione Aspromiele). Ingresso libero
Paese che vai, dolce che trovi Dove: Palazzo del Michelerio Orario: dalle 10 alle 20 Nello splendido chiostro il viaggio alla scoperta delle specialità dolciarie piemontesi. Degustazione e vendita. All’ingresso scultura “Il cuoco volante” di Raffaele Iacchetti. Ingresso libero
Il Castello dei dolci – Città di Fossano Dove: Piazza San Secondo Orario: dalle 10 alle 20 La città di Fossano presenta alla Dolce Valle il progetto del castello dei dolci che animerà lo storico maniero degli Acaja nel dicembre 2018 con le più importanti realtà dolciarie del territorio. Ingresso libero
Asti e i suoi tesori: visite
La Torre del Torrone, Piazza Medici Dove: La Torre Troyana Orario: dalle 10.00 alle 18.00 Torre dell’Orologio è uno dei simboli di Asti. Alla cima si potranno ammirare le suggestive fotografie di Giulio Morra dedicate alla dolcezza. Ad attendere gli “scalatori” un croccante e dolce premio a base torrone dello storico marchio Davide Barbero. Ingresso libero
La cioccolata del Conte Dove: Palazzo Alfieri Orario: ore 15.00 e ore 16.30 Visita guidata alla Casa natale del grande scrittore astigiano. A seguire, la cioccolata servita in costume d’epoca e raccontata con l’accompagnamento di letture e musiche ispirate a Vittorio Alfieri e ai salotti del Settecento. Ingresso: 40 posti, prenotazioni al +393387899380. Costo 10 euro
Mostre
Dolce è la vita Dove: Torre Troyana Orario: dalle 10.00 alle 18.00 Scatti del fotografo Giulio Morra. Dieci scatti d’autore raccontano altrettanti momenti di dolcezza nell’evoluzione della vita umana: dalla dolce attesa in avanti. Ingresso libero
Alighieto Boetti. Per filo e per segno Dove: Palazzo Mazzetti, corso Alfieri 357 – Asti Il percorso si compone di 65 opere che comprendono arazzi, mappe, arazzetti, ricami e cartoncini a biro, che si integrano alla perfezione nella splendida cornice offerta dal palazzo settecentesco, con i suoi tesori e arredi.
Aleppo, come è stata uccisa Dove: Palazzo Mazzetti, corso Alfieri 357 – Asti Il percorso si compone di 65 opere che comprendono arazzi, mappe, arazzetti, ricami e cartoncini a biro, che si Mostra a cura di Domenico Quirico. La mostra ripercorre i cinque anni di guerra che hanno coinvolto Aleppo dal 2011 al 2016.
Sergio Albano. Dipinti e disegni. Il fascino del mistero Dove: Fondazione Eugenio Guglielminetti – corso Alfieri 375 Orario: dalle 16.00 alle 18.00 Nel decennale della scomparsa, omaggio alla poetica rigorosa ed enigmatica al Maestro torinese, allievo del padre Mario Albano, di Gregorio Calvi di Bergolo e di Carlo Terzolo, sperimentatore per quattro decenni di singolari paesaggi incantati, ritratti ed interni, ispirati al Rinascimento fiammingo. Ingresso libero
Asti ritrovata. La decorazione barocca nelle chiese conventuali astigiane Esposizione degli affreschi di Salvatore Bianchi staccati nel 1907 dalla chiesa di sant’Anastasio, poi demolita per iniziare il cantiere delle nuove scuole cittadine Dove: Ex chiesa del Gesù – Palazzo del Michelerio – corso Alfieri 381 – Asti Orario: dalle ore 10 alle ore 13 e dalle ore 15 alle ore 18 Ingresso: 3 euro correlato al Museo Paleontologico
Cinema
Pellicole Dolci – Ratatouille di Brad Bird, Jan Pinkava. Dove: Sala Pastrone del Teatro Alfieri Orario: ore 16.00 All’ombra della Tour Eiffel, un piccolo topo e il suo grande sogno di diventare chef. Prima della proiezione, merenda
Laboratori per bambini
Il Teatrino dei bambini
Dove: Sala Riolfo, Cortile della Maddalena Orario: ore 11.30 e ore 17.00 “Samba e merende”: un laboratorio creativo dove i piccoli saranno protagonisti. Sulle note della samba, con creatività e fantasia i bambini si divertiranno a seguire le rocambolesche vicende di Vanille e Madeleine. A cura di Giovanna Stella e Marta Ziolla
Chiacchiere dolci – Incontri
L’ingrediente della felicità. Come e perché il cioccolato può cambiarci la vita Dove: Palazzo Gastaldi, Casa dell’Asti, piazza Roma Orario: ore 15.30 Clara e Gigi Padovani presentano il loro ultimo libro “L’ingrediente della felicità. Come e perché il cioccolato può cambiarci la vita” (Ed. Centauria). Partecipano i maestri cioccolatieri Bruna e Giorgio Peyrano con degustazione di prodotti Peyrano, Torino Ingresso libero
Viviamo tempi amari c’è bisogno di dolcezza Dove: Palazzo Ottolenghi, Sala degli specchi Orario: ore 17.00 Incontro con l’assessore regionale al Turismo Regione Piemonte Antonella Parigi, la ristoratrice Mariuccia Ferrero del San Marco di Canelli, Davide Sordella sindaco di Fossano, l’imprenditore Giuseppe Pero di Nizza Monferrato, l’attore Andrea Bosca, il dietologo Giorgio Calabrese Conduce Sergio Miravalle. A seguire Brindisi di arrivederci alla Dolce Valle 2019 Ingresso libero
Spazio Bambini
La Merenda come una Volta Dove: Caffetteria di Palazzo Mazzetti Orario: dalle 16 alle 18 Mamma Valeria riscopre e propone le merende di un tempo: pane burro e zucchero, pane e marmellata, pane e cioccolato…
Giocoso Luna park del Magopovero e Bottega delle Fiabe Dove: nel cortile di Palazzo Ottolenghi Orario: dalle 10 alle 18 L’artista Antonio Catalano coinvolgerà bambini e adulti in uno spazio di racconti e giochi dedicati al tempo passato dell’infanzia, trasportandoli in un dolce viaggio immaginario. Da non perdere la Giostra delle Carriole e il laboratorio creativo di invenzione delle fiabe. Ingresso libero
Come si inventa un biscotto dal cuore trasparente Dove: Al Diavolo Rosso, piazza San Martino Orario: ore 11.00 Il laboratorio di pasticceria per bambini e genitori curiosi condotto da Caterina e Monica Ingresso: 30 posti, prenotazioni al +39338 9937171.
Timbri e Sorprese
L’esplorazione della Dolce Valle prevede che in varie postazioni possa essere apposto un timbro per ciascuna delle 6 caselle presenti nell’apposito spazio sulla mappa ufficiale dell’evento, distribuita presso gli Info point di Alba e Asti. Chi avrà completato la tessera con i 6 timbri ottenuti nelle postazioni indicate sulla mappa riceverà una dolce sorpresa rivolgendosi agli Info Point di Asti in Piazza San Secondo e di Alba in Piazza Garibaldi.
Evento Collaterale
24 x 1 ora
Da 44 anni una straordinaria corsa podistica impegna atleti in una staffetta che dura 24 ore suddivisa in 24 frazioni. Il campo scuola di via Gerbi diventa dalle ore 14 di sabato 24 marzo alle ore 15 di domenica 25, teatro di una gara epica e unica.
L’organizzazione è della società di atletica astigiana Vittorio Alfieri che ospita oltre 40 squadre per un totale di mille atleti tra i quali anche formazioni albesi, in un clima di fraterna festa dello sport. Info: http://www.ssvittorioalfieri.eu/
I ristoranti de La Dolce Valle
Nel primo week end di primavera i locali aderenti al progetto propongono un menù del territorio a tema La Dolce Valle, dove il dolce è abbinato all’Asti e al Moscato d’Asti Docg. Scopri l’elenco dei ristoranti aderenti e la proposta di menù: www.ladolcevalle.it/menu-dolcevalle.html
Hashtag
È possibile interagire con la Dolce Valle attraverso l’hashtag ufficiale dell’evento #IsweetU, hashtag ufficiale dell’evento#IsweetU.
Si dovrà poi condividere lo scatto su Instagram con una breve descrizione e l’hashtag #IsweetU. Saranno considerate valide foto già pubblicate, purché originali dell’autore, taggate con l’hashtag e in tema con il contest.
In alternativa si potrà partecipare inviando via mail all’indirizzo [email protected] un testo di max. 500 caratteri, che racconti cosa rappresenta il tema della “dolcezza“.
Una commissione composta dalla direzione artistica de La Dolce Valle e dai rappresentanti dei team di Igers Asti e Igers Langhe, selezionerà le 30 foto che rappresenteranno al meglio il tema della “dolcezza”.
I 30 autori delle foto premiate, vinceranno 1 cena per 2 persone nei 30 ristoranti aderenti a “La Dolce Valle” di Alba e di Asti.
La manifestazione
Da venerdì a domenica esplora La Dolce Valle, la prima rassegna diffusa dedicata alla Dolcezza in tutte le sue declinazioni.
Perché la valle del fiume Tanaro, che unisce Alba ad Asti, è da sempre culla di prodotti dolci.
La filosofia
Un luogo dove le mani sapienti di nonne e mamme, l’intelligenza operosa di contadini, artigiani e industriali, la fantasia di cuochi e maestri pasticcieri, hanno trasformato in eccellenza assoluta, la castagna, il miele, la Nocciola Piemonte Igp, l’Asti e il Moscato d’Asti Docg, il cioccolato e la Pera Madernassa. Sono decine i paesi che hanno dolci tipici frutto della storia e della fantasia di veri e propri “artisti del dolce”.
Il paesaggio
I paesaggi vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato riconosciuti dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità, con Asti e Alba diventano palcoscenico e vetrina di una dolcezza che si gusta, si tocca, si ascolta e si respira. Un’esperienza da non perdere.
Incontri e attività
Non mancheranno momenti di chiacchiere dolci con personaggi del mondo del giornalismo e della televisione, spazi dedicati alle famiglie, “Giostre, Fiabe e Merende”, momenti di racconto e gioco, laboratori a tema dolcezza.
Maestri cioccolatieri e pasticcieri condurranno adulti e bambini in percorsi di creazione dei dolci, invogliando il pubblico, tra zucchero e farina, a mettere le “Mani in Pasticceria”.
http://ift.tt/eA8V8J
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ravekidsgo · 7 years
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Voglio parlarvi di qualcosa di personale. Voglio farlo perché possa essere interessante per tutte le persone che sono simili a me e, ancora di più, per quelle che non lo sono. Anzi, mi rivolgo proprio a loro. Penso che ci sia molta confusione su quel tratto della personalità chiamato introversione. È credenza diffusa che introversione sia sinonimo di timidezza, che una persona introversa non apprezzi i rapporti sociali o che sarebbe più felice se si sforzasse di cambiare. Sono tutte cose false. E chi meglio di un introverso per spiegarvi perché? Sono molti gli aspetti che caratterizzano una persona introversa, ma io credo che quello più importante sia la tendenza a volgere il proprio sguardo all’interno di sé. Se le persone estroverse colpiscono per la loro energia e positività, quelle introverse appaiono generalmente più calme, rigide, a poco agio in contesti sociali. Questo però non significa che un introverso non apprezzi i rapporti sociali! Per me sono fondamentali e cerco di organizzare qualcosa di sociale tutte le sere. Il nocciolo però è che queste situazioni sociali prosciugano la mia energia, che ricarico invece con la solitudine. Uso una metafora che penso possa essere chiara per le persone estroverse: per un introverso stare in un contesto sociale è come andare sulle montagne russe. È bellissimo e potendo ci andresti magari tutti i giorni, ma solo per un periodo di tempo limitato. La situazione diventa ancora più stressante se l’attività sociale comporta conoscere persone nuove. Gli introversi, al contrario di quello che si possa pensare, amano molto conversare e soprattutto di argomenti intimi, ma prediligono un rapporto a due rispetto ad una situazione di gruppo. Trovarsi per lungo tempo in compagnia di altre persone, dividendo magari degli spazi comuni, è particolarmente stressante per un introverso. Tornando all’esempio delle montagne russe: voi vorreste passare 12, 24 o 36 ore di fila su di un otto volante in movimento? Costretti a magiare e a dormire lì sopra? Un introverso si sente allo stesso modo. Gli estroversi, al contrario, traggono energia dai contesti sociali. Vi faccio un esempio pratico: dopo che un gruppo di persone passa una giornata intera lavorando assieme ad un progetto o ad un evento, è molto comune che qualcuno proponga di cenare tutti assieme. È un’occasione per rilassarsi, scherzare e conoscere meglio le persone con cui si è passata la giornata. In pratica, per gli estroversi questo rappresenta un premio per il lavoro svolto. Per un introverso già stanco dalla giornata, questo rappresenta invece una punizione. Specie se, come detto prima, sono presenti delle persone sconosciute. Così come gli introversi amano passare del tempo in compagina, anche gli estroversi amano avere del tempo per se stessi. Ma in modo esattamente speculare, deve essere un periodo di tempo circoscritto e, soprattutto, essere una scelta. Credo proprio che ‘scelta’ sia la parola chiave. Per un estroverso, ben felice di passare qualche a ora da solo a leggere un libro, una condizione di isolamento forzato (fisico o psicologico) causa molta angoscia. Allo stesso modo per un introverso, che non vede l’ora di passare una serata tra amici, diventa angosciante non potersene andare in autonomia quando la sua energia è finita. Tutto questo non è però da confondere con la timidezza. Potremmo dire che la timidezza è una sorta di ansia di fronte all’interazione sociale, un timore intimo di non piacere agli altri. E sebbene molti introversi siano anche timidi, le due cose non coincidono. Io ad esempio non mi considero timido (o per lo meno non più). Come credo sia ovvio dalle mie attività, non ho problemi a stare di fronte ad un pubblico, a fare dell’umorismo o a esprimere le mie idee. Stare con le altre persone e conoscerne di nuove non mi causa nessuna ansia. Mi costa solo fatica. Può essere bellissimo, ma richiede energia. Altro preconcetto è che un introverso sia poco sensibile agli stimoli esterni. È il contrario. Io sono fin troppo sensibile agli stimoli esterni e mi distraggo facilmente. E questo sovraccarico di percezioni cosa consuma? Ormai lo sapete: energia. Altro motivo per preferire contesti chiusi, conosciuti e controllati. Ad esempio per me le spiagge o i centri commerciali sono dei luoghi infernali. Veniamo ora all’aspetto che mi sta più a cuore, ossia cosa aspettarsi da un introverso e come comportarsi con lui. Introversione ed estroversione sono solo due poli e la maggior parte della persone si colloca tre di essi, generalmente più vicino ad un polo che all’altro. Si può quindi essere leggermente introversi o fortemente introversi. Ci sono anche persone che si collocano esattamente nel mezzo. Tuttavia, semplificando, gli estroversi sono in netta maggioranza. Questo porta gli estroversi a percepire gli introversi come “strani” e a cercare, in buona fede, di cambiarli o di aiutarli. Capita quindi spesso che un estroverso che entra in contatto con un introverso per la prima volta percepisca, magari dopo qualche minuto, qualcosa che non va (un sospiro, uno sguardo distante, le spalle che si abbassano). Non c’è nulla che non vada, semplicemente in quel momento l’introverso sta esaurendo le sue energie. L’estroverso, mosso dalle migliori intenzioni, inizia a quel punto a domandare “va tutto bene? ma sei stanco?” o a dire “dai, lasciati andare!”. Tutte invasioni dello spazio personale, che aumentano lo stress del momento. Dato che nessun introverso vi risponderà mai dal vivo, lo faccio io adesso: - Va tutto bene? - Sì, va tutto benissimo. Sono felice che tu sia venuto a parlare con me, ma ancora non ti conosco e questa conversazione mi costa fatica. - Ma sei stanco? - Sì, sono stanco perché ho passato le ultime tre ore sulle montagne russe. È stato molto bello, ma ora avrei bisogno di riposare da solo. Ma non posso farlo, perché se ne me andassi ora, farei preoccupare le persone presenti o ferirei i loro sentimenti. - Dai, lasciati andare! - Non mi sto trattenendo. Questo è come sono io e tu mi stai dicendo che come sono io non va bene. Mi stai facendo sentire inadatto, perché ti aspetti cose da me che io non posso darti. Cosa dovrebbe fare quindi l’estroverso quando percepisce che qualcosa non va? È semplice: smettere di insistere e andarsene. Magari premiando con un bel sorriso l’introverso per lo sforzo fatto. Non fraintendetemi però! Non pensiate che interagendo con un introverso gli abbiate fatto un torto! L’introverso in quel momento è contento e pensa “forse mi sono fatto un nuovo amico. La prossima volta che lo vedo, dopo aver ricaricato le mie energie, gli farò molte domande, scherzeremo, organizzeremo attività insieme e magari un giorno faremo lunghe discussioni intime. Ma non ora, perché le mie energie si sono esaurite”. Voglio concludere dicendo che sono fermamente convinto che nessun tratto della personalità, tra introversione ed estroversione, sia migliore dell’altro. Ognuno è accompagnato da delle qualità, ugualmente utili. È tuttavia vero che l’estroversione è considerata più desiderabile. Non è raro infatti che i genitori di un bambino introverso, percependo la sua stanchezza o il suo disagio in contesti sociali, lo forzino ancora di più a socializzare, ad esempio con centri estivi o vacanze avventura, nella speranza che i sintomi dell’introversione spariscano e che, di fatto, la personalità del bambino “cambi”. Naturalmente questo non fa che prosciugare ulteriormente le energie del bambino e l’incapacità di soddisfare le aspettative dei genitori lo porta a sentirsi inadeguato, sviluppando magari quell’ansia invalidante chiamata timidezza, di cui sopra. Se passa molto tempo al computer, probabilmente diventerà un programmatore che lavora da casa. Servono anche quelli. Se preferisce passare i pomeriggi a leggere fumetti o a guardare i cartoni probabilmente diventerà uno scrittore o un illustratore. Servono anche quelli. Se passa ore camminando da solo e ascoltando musica con i suoi auricolari, probabilmente diventerà un musicista. Quelli invece non servono, ce ne sono già troppi, specie di cantanti, ma tant’è. Almeno starà bene con sé stesso. E anche con i sui amici, a cui vuole bene (purché si tratti di periodi di tempo circoscritti).
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sounds-right · 7 years
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"Influencer Girls" : Il reality show diventa social, tutto al femminile, in onda su FashionTV canale nazionale!
Si sono candidate in quasi milleduecento, da tutta Italia, ma ne sono state scelte solo trenta. L'innovazione del social, "INFLUENCER GIRLS" #influencergirls, prende vita da un idea del talent scout internazionale tutto italiano Devis Paganelli, già patron di Miss Principessa d'Europa, licenziatario italiano di Miss Europe World, Mister Universe e direttore casting agli studi televisivi Belli 14, ex studi MTV di Milano, con la collaborazione del partner Plus Production.
Grazie a Mario Chiavalin COO di App Media Group SPA, proprio dagli studi che hanno visto nascere trasmissioni come Le Iene, Invasioni Barbariche, Chiambretti Night, Markette, Eccezionale Veramente e tante altre, si darà il via al nuovo e innovativo Reality Show, coinvolgendo 30 ragazze "influencer" su Instagram, che da casa, mostreranno il proprio quotidiano. L'occhio indiscreto che "spia" su stessa volontà e discrezione delle concorrenti, cosa accade alle influencer durante la giornata, con il coordinamento editoriale degli autori televisivi Alessio Tagliento, Diego Cajelli e con la regia di Luca Noce. A condurre il programma televisivo, la fotomodella ed influencer emergente Alina Drozdovschi, responsabile fashion delle sfilate nell'hospitality del Festival di Sanremo.
Le influencer scelte dagli autori per il Reality, hanno tutte da 15.000 a 300.000 follower (seguaci) sul social network Instagram e tutto ciò che accade durante la giornata, sarà in onda sia sui social network, sia durante i daytime in onda sul canale moda n.1 al mondo : FashionTV. Attraverso Google Analytics, lo redazione del programma terrà monitorato il traffico generato dalle concorrenti, che si cimenteranno anche in prove e giochi di squadra.
Sono infatti tre i "TEAM" di gioco : Le "Chic" (hashtag #teamchic), le "Trendy" (hashtag #teamtrendy) e le "Rock" (hashtag #teamrock). Allo scadere del trentesimo giorno di produzione, si decreterà il nome della Influencer vincitrice con maggior quantità di notizie e contatti ottenuti. La migliore Influencer vincerà un mini docu-film artistico professionale a lei dedicato in onda sui canali FashionTV di tutto il mondo, come accade per le grandi star del cinema, della moda e della tv, oltre ad un contratto televisivo per la conduzione della prossima edizione Influencer Girls.
Già da luglio, sarà possibile assistere alle clip anteprima, delle concorrenti scelte, provenienti da tutta Italia, su canale 143 del digitale terrestre dal 17 al 23 luglio alle 16.00. Una valanga di contatti giornalieri raggiunti poi, con picchi di 2 milioni al giorno, per un totale quindi di 60 milioni di contatti previsti con i soli social network, in 30 giorni di programmazione nel mese di ottobre.
Per tenersi aggiornati su cosa accadrà fb.com/influencergirls
LE CONCORRENTI
TEAM ROCK
Rosy Maggiuli
29 anni, pugliese, vive a Parma. Rosy è spumeggiante e dalla parlantina sciolta, ma il meglio di sé lo da al volante.
Denise Gambarato
19 anni, da Abano Terme. Diplomata alla scuola di Visual, è una splendida insegnante di ginnastica ritmica.
Alice Tranchida
18 anni, nata a Marsala, vive a Trapani. Adora viaggiare e portare i suoi follower in viaggio con sé.
Nicole Pallado
21 anni di Padova. Una simpaticissima make up artist, con un brutto rapporto con la tecnologia. Rompe i computer.
Melissa Tani
21 anni, di Vicenza. Fisico mozzafiato, esperta di cosmesi e ha fatto un contest come truccatrice.
Gessica Gessica
22 anni, calabrese di Cetrara. Carattere sanguigno, figura mediterranea, parla tanto perchè ha lavorato in un call center.
Katia Ferrante
32 anni, milanese. Esperta di seduzione e lo racconta sul suo seguitissimo blog.
Emily Zanussi
27 anni, nata a Roma, ma vive a Ravenna. Modella, animatrice in discoteca e ombrellina sulle piste di motociclismo.
Claudia Sartorelli
32 anni, da Civitavecchia. Interior designer con la passione per la moda.
Renee Graziani
23 anni, da Teramo anche se siciliana di origine. Appasionata di moda e stile e amante del cosplay.
TEAM TRENDY
Asia Valente
21 anni, da Milano. Prezzemolina in tutte le feste vip e sa sempre dov'è quella giusta. Sogna di fare la showgirl.
Fabiana Russo
21 anni, nata a Modica. Dai lunghi capelli castani, per lei l'importante è avere un outfit sempre perfetto.
Martina Forte
27 anni, di Lanciano. Il suo sorriso dolce e sbarazzino nasconde una piccola, ma decisa, imprenditrice.
Cristina Salzano
36 anni, di Salerno. Ha la passione della fotografia, avvocato impegnato nel sociale con un grande amore per gli animali.
Federica Milo
23 anni, vive tra Milano e Nocera Inferiore. Fa l'infermiera ed è molto sicura di sé e dei suoi tre tatuaggi.
Morena Manca
26 anni di Brindisi. Appassionata di moda, porta avanti il suo sogno diventare una visual designer, ad aiutarla nella sua impresa la sua innata ironia.
Elena Profumo
30 anni, genovese trapiantata a Bolzano. Lavora in un hotel, è una blogger e una grandissima fotografa.
Elisabetta Bertolini
29 anni, viene da Cremona. Madre, blogger e influencer. Il suo segreto? Riuscire a fare tutto nel migliore dei modi.
Valentina Salviati
26 anni, arriva da Roma. Sta studiando giurisprudenza, è molto dolce, e fa la beauty reporter per Glamour Italia.
Eleonora De Felicis
21 anni, da Roma. Ha partecipato a diversi concorsi di bellezza, è nata per andare in video, ed è la nostra "sporty".
TEAM CHIC
Joselena Zaccaro Joselena
23 anni, vive a Torino. Influencer per diversi brand, ed esperta karateka. Una bellezza mediterranea, dal carattere spigliato e deciso.
Rosalia Russo
22 anni, da Cosenza. Studentessa universitaria, la sua attitudine a essere distaccata incute un po' di timore, ma basta un suo sorriso per coinvolgere i suoi follower,
Daniela Porto
30 anni, da Catania. Instagram è il suo mondo, dentro il quale riesce a farci stare tutta la sua Sicilia.
Ivana Lombardini
22 anni, è nata a Bari, vive a Rimini. Fisico da fotomodella, la sua passione sono le tavole del teatro.
Martina Grotti
20 anni, di Firenze. E' al primo anno di psicologia, e ama posare per degli scatti glamour.
Valentina Nunneri
23 anni, da Napoli.
Fashion Designer, si interessa sia di food che di moda, e li affronta con una confusa simpatia
Noemi Guerriero
23 anni da Avellino. Il suo marcato accento avellinese la rende simpatica e spontanea e per questo è premiata dai suoi numerosi follower,
Esthefany Gulliermo
27 anni, di Santo Domingo, ma vive tra Cremona e Parigi. Durante il nostro show vedremo nascere il suo bambino.
Giulia Borio
30 anni, di Biella. Laureata in grafica, ha posato per Playboy e GQ.
Eleonora Milano
24 anni, di Milano. Simpatica e spontanea, avrebbe voluto fare la giornalista, ma essere blogger e influencer la soddisfa comunque.
LO STAFF
Studi Televisivi Belli 14 : Qui hanno visto luce i più noti e longevi programmi dell'attuale panorama televisivo come Le Iene, Invasioni Barbariche, Chiambretti Night, Markette, Eccezionale Veramente e tanti altri. Sono forse centinaia i personaggi televisivi più famosi nati proprio a questa importante location.
Mario Chiavalin. COO della App Media Group Spa, proprietaria dell' App Studi Belli 14. E' un poliedrico imprenditore con spiccato talento nell'avviamento di nuove iniziative di successo. E' riuscito nel 2016, ad accordare la gestione di FashionTV per l'Italia, attualmente in onda sul canale nazionale 143 del digitale terrestre.
Devis Paganelli - Ideatore e produttore del format. Talent scout internazionale, Direttore Nazionale Casting e Risorse Artistiche per gli Studi Televisivi Belli 14 ex Mtv e di FashionTV. Ex selezionatore per Miss Universo in Italia, patron di Miss Principessa d'Europa (il concorso di bellezza più trasparente – Fonte TgCom Mediaset) e Miss Europe World per l'Itali. Ideatore e patron del concorso canoro Sanremo Newtalent. Coordinatore dell'area Style e moda nell'hospitality del Festival di Sanremo.
Alessio Tagliento - Capo Autore. Umorista e Autore televisivo, docente dell'accademia del comico. Esperto ventennale di marketing nasce artisticamente nel '97 nel gruppo Laboratorio Scaldasole di Milano, prima al fianco del comico-fumettista Diego Cajelli, per diventare parte integrante del Laboratorio, come autore, attore e musicista. Passando da format comici radiofonici di successo su Radio Popolare, diventa personalità coinvolta come autore in programmi di fama come Zelig (Canale5), Quelli che il Calcio (Rai2), Ogni Maledetta Domenica, Panariello non esiste (Canale5), Real Illusion (con Arturo Brachetti), Sketch Up (Disney XD), Central Station (Comedy Central), Circus Junion (con Ambra Orfei). Ha collaborato con Paolo Rossi, Gianmarco Pozzoli, Gianluca De Angeli, Simona Ventura, Lucia Vasini, Giorgio Panariello, Walter Leonardi, Gene Gnocchi, Raul Cremona, Mr Forest, Paolo Labati, Paolo Casiraghi, I Sagapō, Pozzoli e De Angelis, Giancarlo Kalabrugovic, Fausto Solidoro, Pippo Sollecito, Bove e Limardi, Antonio D'ausilio, il Trio Medusa, Marta Zoboli, Chicco Paglionico, Vincenzo Albano e molti altri. Ideatore, autore e/o collaboratore di svariati programmi televisivi, editoriali, teatrali, e radiofonici nazionali di grande successo.
Diego Cajelli - Autore. Scrittore, sceneggiatore, autore radiofonico e televisivo, blogger. Insegna Crossmedialità e Storytelling all'Università Cattolica di Milano. Scrive storie per Dylan Dog, Dampyr, Zagor, Nathan Never e Diabolik. Si è occupato dell'espansione a fumetti dell'universo del film: "Il Ragazzo Invisibile" di Gabriele Salvatores, e delle avventure a fumetti del personaggio televisivo Chef Rubio. Con la serie Long Wei ha ideato, scritto e coordinato il primo fumetto ambientato interamente nella chinatown milanese. Ha scritto e condotto programmi di approfondimento sull'immaginario contemporaneo delle serie televisive andati in onda su Joi e ha ha curato numerosi programmi per Radio Popolare. E' appena usicto il suo terzo libro "il manuale dell'idiota digitale" edito da Panini.
Alina Drozdovschi – Immagine del programma. Influencer emergente in rappresentanza delle concorrenti in gara. Ex volto ufficiale di Monella Vagabonda Time in Italia. Coordinatrice della rubrica fashion sul magazine nazionale Slide. Fashion Blogger su www.ioragazzafashion.it. Stylist del concorso di bellezza Miss Principessa d'Europa e coordinatrice backstage nell'area Style al Festival di Sanremo.
Corinna Grandi – Voce del programma. Dopo aver frequentato diversi seminari (tenuti tra gli altri da Serena Sinigaglia, Paolo Rossi, Walter Leonardi, Tommaso Amadio e Bruno Fornasari, Massimiliano Cividati), oltre a numerosi laboratori di cabaret, partecipa e vince alcuni festival (Cabaret in Rosa, Verona Award, Festival del cabaret di Martina Franca), fino all'approdo nei programmi satellitari prima e a Zelig Off (2012) e Zelig Circus (2013) poi, trasmissioni per le quali è anche autrice dei suoi testi in collaborazione con Alessio Tagliento.
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Per informazioni Devis Paganelli Tel e wathsapp 338 4572105
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