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#Primi di mare
fridagentileschi · 10 months
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“Siamo noi, la generazione più felice di sempre.
Siamo noi, gli ormai cinquantenni, i nati tra gli inizi degli anni ’60 e la metà degli anni ’70. La generazione più felice di sempre.
Siamo quelli che erano troppo piccoli per capire la generazione appena prima della nostra, quelli del ’68, della politica e dei movimenti studenteschi. Ancora troppo piccoli per comprendere gli anni di piombo, l’epoca delle brigate rosse e delle stragi nere.
Siamo quelli cresciuti nella libertà assoluta delle estati di quattro mesi, delle lunghe vacanze al mare, del poter giocare ore e ore in strade e cortili, delle prime televisioni a colori e i primi cartoni animati. Delle Big Babol e delle cartoline attaccate alle bici con le mollette da bucato. Delle toppe sui jeans e delle merendine del Mulino Bianco. Dei gelati Eldorado e dei ghiaccioli a 50 lire. Dei Mondiali dell’82 e della formazione dell’Italia a memoria. Di Bearzot e Pertini che giocano a scopa.
Siamo quelli che andavano a scuola con il grembiule e la cartella sulle spalle, e non ci si aspettava da noi nulla che non fosse di fare i compiti e poi di giocare, sbucciarci le ginocchia senza lamentarci e non metterci nei guai. Nessuno voleva che parlassimo l’Inglese a 7 anni o facessimo yoga. Al massimo una volta a settimana in piscina, giusto per imparare a nuotare.
Poi siamo cresciuti, e la nostra adolescenza è arrivata proprio negli anni ’80, con la musica pop, i paninari e il Walkman. Burghy e le spalline imbottite. Madonna e il Live Aid. Delle telefonate alle prime fidanzate con i gettoni dalle cabine e delle discoteche la domenica pomeriggio. Di Top Gun e Springsteen. Dei Duran Duran e degli Spandau Ballet. Delle gite scolastiche in pullman e delle prime vacanze studio all’estero.
E poi c’era l’esame di maturità, e infine il servizio militare, 12 mesi lontano da casa, i capelli rasati e tante amicizie con giusto un po’ di nonnismo. Nel frattempo magari un Inter Rail e infine un lavoro. All’Università ci andavi solo se volevi fare il medico, l’avvocato o l’ingegnere. Che il lavoro c’era per tutti.
Siamo cresciuti nella spensieratezza assoluta, nella ferma convinzione che tutto quello che ci si aspettava da noi era che diventassimo grandi, lavorassimo il giusto, trovassimo una fidanzata e vivessimo la nostra vita. Non abbiamo mai dubitato un istante che non saremmo stati nient’altro che felici.
E, dobbiamo ammetterlo, per quanto il futuro ci sembri difficile, e per quanto questa situazione ci appaia incomprensibile e dolorosa, siamo stati felici. Schifosamente felici. Molto più dei nostri genitori e parecchio più dei nostri figli.
Siamo la generazione più felice di sempre."
Quelli del tempo delle mele
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francesca-70 · 10 months
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La mia carne
giuseppe frascà
(9 Dicembre 1991)
Fui io a tenerti
per mano quando, insicuro, muovevi i
primi passi.
Sei cresciuto troppo in fretta e non
sono riuscito a tenere il tuo passo. Ti
vedo come eri ed aspetto di vederti
spuntare da dietro una scusa qualsiasi
per abbracciarti e non farti andare mai
via. Ascolto i ricordi e ti rivedo e mi
rivedo quando il mondo intero era
nostro e nulla poteva rubarcelo.
Poi non tutto va come sognavo e
restano le parole non dette,
i troppi sensi di colpa
e quella paura di non essere riuscita a fare abbastanza
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Ascolto i ricordi tra i sorrisi, le
risate di ieri e le lacrime di oggi
quando il giorno finisce e le mie
mani disegnano nell'aria un volto.
Cammina solo un po' con me prima
che il mio tempo finisca. Prendi la
mia mano come io presi la tua
quando i primi passi furono la tua
prima vittoria.
Prendimi per mano, figlio mio, prendimi per mano
e cammina con me per un po'. Vorrei dirti ciò che
ho dentro e mi fa male. Vorrei che tu mi insegnassi
la vita che non ti insegnai. Vieni, siedi con me, solo
per un po' e dimmi se in questa nebbia possono
nascere ancora i fiori. Vorrei parlarti dell'amarezza
che ho, vorrei che tu mi ascoltassi, solo per un po'.
Andiamo verso il mare, come un tempo, solo per
vedere più vicino il tuo orizzonte ed il mio. Prendi i
miei tanti anni e falli tuoi, solo per un po' e, forse
capirai quel dolore lieve che mi accompagna da
sempre. Prendimi per mano e dimmi dei miei tanti
errori ma ti prego non rimproverarmi: nessuno mi
insegnò a vivere ed oggi...non so ancora vivere.
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La vita non sempre è tutto come sembra, ma
ogni cosa va vissuta prima di giudicarla,
affinché possa riconoscere il bene ed il male.
Ma tu vai avanti ..anche con il mondo contro.
Votrei insegnerti a credere in te..a non arrenderti,
a prenderti in braccio e portarti in salvo perché,
ahimè, spesso sarai da solo a doverlo fare.
Ma ricorda che le cicatrici hanno una storia
e che ad ogni modo saranno una vittoria.
Vivi ogni giorno come se
fosse l'ultimo. Vivi e non
dimenticare mai i sogni
che un giorno tua madre sognò per te.
Vivi figlio mio
e se ti mancasse la voglia
vivi la vita che io non vissi
perché la vita è solo un sogno.
Sii sempre mio figlio perché il tempo è tiranno
...passa troppo velocemente.
Voglio essere ancora tua madre e carezzarti
il viso mentre stai per dormire
Si, figlio mio, fammi sentire ancora una
volta importante, fammi sentire ancora madre.
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Buon compleanno cuore mio❤
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ilfildiarianna · 3 months
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C'era una volta la vacanza estiva che durava dai due ai tre mesi. Aveva un nome obsoleto ed in disuso, "la villeggiatura".
Tanti partivano addirittura ad inizio giugno od ai primi di luglio e tornavano a metà settembre. L' autostrada era una fila di Fiat 850, 600, 1100, 127, 500 e 128, Maggiolini e Prinz.
Non era guardato affatto chi aveva la Bmw la Mercedes o l'Audi, perché gli status symbol allora non esistevano.
Era tutto più semplice e più vero.
La vacanza durava talmente tanto che avevi la nostalgia di tornare a scuola e di rivedere gli amici del tuo quartiere, ed al ritorno non ricordavi quasi più dove abitavi.
La mattina in spiaggia la 50 lire per sentire le canzoni dell'estate nel juke box o per comprare coca cola e pallone.
Il venerdì chiudevano gli uffici e tutti i papà partivano e venivano per stare nel fine settimana con le famiglie.
Si mandavano le cartoline che arrivavano ad ottobre ma era un modo per augurare "Buone vacanze da..." ad amici e parenti.
Malgrado i 90 giorni ed oltre di ferie, l'Italia era la terza potenza mondiale, le persone erano piene di valori e il mare era pulito.
Si era felici, si giocava tutti insieme, eravamo tutti uguali e dove mangiavano in quattro mangiavano anche in cinque, sei o più.
Nessuno aveva da studiare per l'estate e l'unico problema di noi ragazzi era non bucare il pallone, non rompere la bicicletta e le ginocchia giocando a pallone altrimenti quando rientravi a casa ti prendevi pure il resto.
Il tempo era bello fino al 15 di Agosto, il 16 arrivava il primo temporale e la sera ci voleva il maglioncino perchè era più fresco.
Intanto arrivava settembre, tornava la normalità.
Si ritornava a scuola, la vita riprendeva, l'Italia cresceva e il primo tema a scuola era sempre.
"Parla delle tue vacanze". Oggi è tutto cambiato, diverso. La vacanza dura talmente poco che quando torni non sai manco se sei partito o te lo sei sognato.
E se non vai ai Caraibi a Sharm o ad Ibiza sei uno stronzo. O magari hai tante cose da fare che forse è meglio se non parti proprio, ti stressi di meno.
Una risposta certa è che allora eravamo tutti più semplici, meno viziati e tutti molto più felici, noi ragazzi e pure gli adulti. La società era migliore, esisteva l’amore, la famiglia, il rispetto e la solidarietà. Fortunati noi che abbiamo vissuto così.
La vita era quella vera insomma.
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3nding · 6 months
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Doveroso oggi condividere un capitolo così doloroso della mia vita. Che questa sia una testimonianza, senza pretesa di verità. Se deciderà di prendere il mare agitato dei social va più che bene l’anonimato. Mia sorella è morta per il covid a 53 anni, si controllava regolarmente e l’ospedale per una banalità lo aveva visto una volta sola nella vita. E’ entrata in ospedale il 15 gennaio, ne è uscita dentro una bara chiara il 16 febbraio. Io e lei non abbiamo mai pensato fosse un’influenza più forte del normale, del resto, se lo fosse stata, non si sarebbe trovata con un tubo in gola, in coma farmacologico, con questo “serpente” che ritmicamente si gonfia e si sgonfia per tenerti attaccato alla vita. Non si sarebbe sfiancata in cicli di pronazione a testa in giù sperando di tornare alla vita e ai sorrisi. Noi parlavamo e cercavamo di agire con responsabilità, lei che mi ha detto “Non ci vediamo nemmeno a Natale, scusami, dobbiamo tutelare noi e gli altri”. Lei che l’ultima volta che  ha potuto dirmi qualcosa mi ha detto “Grazie, ringrazia tutti”. Le ho lasciato il vestito che preferiva, le scarpe del ballo che tanto amava, gli orecchini, la collana prediletta e lo scialle rosso per lei essenziale per questo corredo funebre, e ci scherzava nei primi giorni di ricovero, dandomi indicazioni, in un esorcismo laico mai riuscito. E allora penso ai quasi 94.000 che ad oggi hanno dovuto pensare a uno scialle, a riprendere i sacchi sigillati dall’ospedale con i vestiti dentro, con il nome scritto sopra con un pennarello, come dei caduti di una guerra che trova sempre nuovi motivi di divisione. E’ per questo che non è importante che questa sia la mia storia, è la storia di tantissimi. Tantissimi che chiedono solo l’uso della delicatezza, del rispetto, della gentilezza. Non vorrebbero leggere le opinioni non richieste, i complotti, l’iperbole definitiva di un autore sconosciuto. Nel momento più doloroso, quello dell’astio per la troppa superficialità di  chi usa questo mezzo che ci sta avvelenando l’anima ben oltre il percepito, riesco comunque a dare un segnale diverso. A non accodarmi. Non ho niente da dire nemmeno sul covid. Chiedo solo gentilezza, per mia sorella che era la mia roccia e il mio pilastro, da sempre. Chiedo gentilezza per tutti gli altri, lei  e’ un numero, insieme agli altri quasi 94.000. Ma se ci si impegna, si può avere rispetto anche dei numeri. Solo questo chiedo. - Paolo Di Sabatino, fb
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falcemartello · 11 months
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La CO2 provoca l’acidificazione dei mari!! E giù a imbrattare statue e quadri per salvare gli oceani! Ma questi giovincelli hanno una vaga idea di ciò di cui parlano? Di cos’è l’acidificazione e cosa fa la CO2?
C’è circa 50 volte più CO2 in mare che nell’atmosfera, anche di più nei primi 100 metri di profondità. Noi dobbiamo essere grati per tutta quella CO2 perché è tutta quella CO2 che evita che il mare sia sostanzialmente un detergente per scarichi.
L’oceano è essenzialmente una soluzione di idrossido di sodio ed è estremamente alcalino, quasi soda caustica con un PH che, senza CO2, sarebbe circa 11,3 (invece dell'attuale PH 8)
Senza la CO2 gli oceani non conterrebbero alcuna forma di vita. Ma se questi imbrattatori studiassero un po’ di più di scienze non sarebbe meglio per tutti? Risparmierebbero anche sulla vernice.
Del resto...
forse molti hanno dimenticato che la nostra vita è fondata sulla chimica del carbonio. Quando qualcuno demonizza le cose più naturali c’è proprio da preoccuparsi.
La cosa più naturale che facciamo è respirare, producendo CO2! Trascurabile?
Un po' di matematica spicciola.
La densità della CO2 è 1,98 Kg/m3 Un corpo a riposo ne emette 0,3 m3 ogni giono Ora moltiplichiamo 1,98*0,3*365(giorni anno)*8 miliardi (persone) = 1.734.480.000 Ton. di CO2 l’anno.
Cioè il 63% della CO2 prodotta dalla UE nel 2021 dai combustibili fossili.
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Detto questo sarebbe obbligo che Greta e i suoi compagni, d'ora in poi, si tappassero la bocca... ...per evitare di contribuire non poco, al cambiamento climatico, naturalmente!
Critica Climatica
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Infatti uno dei fini è diminuire le unità carbonio, cioè le persone.
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viendiletto · 7 months
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Nino Benvenuti: «Senza ricordi non c’è futuro»
Campione olimpico nel 1960, campione mondiale dei Pesi superwelter tra il 1965 e il 1966 e dei pesi medi dal 1967 al 1970, Giovanni (Nino) Benvenuti è stato uno dei migliori pugili italiani di tutti i tempi e il suo nome troneggia tra i grandi del pugilato internazionale. È entrato nell’immaginario collettivo in una notte di aprile nel 1967 quando 18 milioni di italiani seguirono la diretta del suo incontro con Emile Griffith al Madison Square Garden di New York. Di quel match che gli portò il titolo di campione mondiale dei pesi medi, ma anche dell’infanzia a Isola, dei primi passi nella boxe, del significato dell’essere pugili, del rapporto con gli avversari sul ring e di tanto altro Nino Benvenuti – insignito nel 2018 dalla Can comunale del premio Isola d’Istria –, parla in un’intervista esclusiva di Massimo Cutò pubblicata di recente sulla Voce di New York, che riproponiamo.
[...]
Chi è un pugile?
“Uno che cerca sé stesso sul ring. Uno che vuole superare i propri limiti come faceva Maiorca in fondo al mare o Messner in cima alla montagna. La sfida è quella: fai a pugni con un altro da te e guardi in fondo alla tua anima”.
Lei cosa ci ha visto?
“La mia terra d’origine, una verità che molti continuano a negare. La storia di un bambino nato nel 1938 a Isola d’Istria e costretto all’esilio con la famiglia. Addio alla casa, la vigna, l’adolescenza: tutto spazzato via con violenza, fra la rabbia muta e la disperazione di un popolo. Gente deportata, gettata viva nelle foibe, fucilata, lasciata marcire nei campi di concentramento jugoslavi”.
Una memoria sempre viva?
“Ho cercato di non smarrirla, per quanto doloroso fosse. Riaffiora in certe sere. Ti ritrovi solo e sale una paura irrazionale”.
Riesce a spiegare questo sentimento?
“Il passato non passa, resta lì nella testa e nel cuore. A volte mi sembra che stiano arrivando: Nino scappa, sono quelli dell’Ozna, la polizia politica di Tito viene a prenderti. Un incubo che mi tengo stretto perché senza ricordi non c’è futuro”.
Che cosa accadde in quei giorni?
“Isola d’Istria odora di acqua salata. È il sole sulla pelle. La nostra era una famiglia benestante, avevamo terra e barche, il vino e il pesce. Vivevamo in una palazzina di fronte al mare: papà Fernando, mamma Dora, i nonni, io, i tre fratelli e mia sorella. Siamo stati costretti a scappare da quel paradiso”.
Come andò?
“Mio fratello Eliano fu rapito e imprigionato dai poliziotti titini, colpevole di essere italiano. È tornato sette mesi dopo, un’ombra smagrita, restò in silenzio per giorni. Mia madre si ammalò per l’angoscia. È morta nel ‘56 di crepacuore: aveva 46 anni. Attorno si respirava il terrore delle persecuzioni. Un giorno vidi dalla finestra della cameretta un uomo in divisa sparare alla nostra cagnetta, così, per puro divertimento”.
Finché fuggiste?
“Riparammo a Trieste dove c’era la pescheria dei nonni. Fu uno strappo lacerante, fisico. Così la mia è diventata in un attimo l’Isola che non c’è. Non potevamo più vivere lì dove eravamo nati”.
[...]
Quant’è difficile invecchiare?
“Dentro mi sento trent’anni, non ho paura della morte. Sono allenato. Sul ring risolvevo i problemi con il mio sinistro, la vita è stata più complicata però ho poco da rimproverarmi. E ho ancora un desiderio”.
Quale?
“Vorrei che un giorno, quando sarà, le mie ceneri fossero sparse da soscojo. È lo scoglio di Isola d’Istria dove ho imparato a nuotare da bambino”.
Intervista di Massimo Cutò a Nino Benvenuti per La Voce di New York, 23 luglio 2022
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un-mei-no-akai-ito · 2 months
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Un insoddisfacente mondo.
Vivo nel mio mondo perché questo in cui siamo non mi soddisfa.
Preferisco essere definita emarginata socialmente, al posto di essere omologata con gli altri, in un mondo dove ormai l'apparenza e l'aspetto di una persona, contano di più del suo animo, del suo io interiore.
Sento che non faccio nemmeno parte di questa generazione.
Odio le fotografie, seppur la maggior parte di esse raccolgano i ricordi più belli di una persona, ma non riesco a restare "ben in posa" per la foto. Mi sento a disagio.
Non ho mai amato uscire la sera, ho sempre preferito quei momenti tranquilli sul divano "Netflix & Chill" come dicono gli americani, O magari leggendo un buon libro.
Non mai piaciuto questo "ostentare ciò che si ha" che è un po' la base dei social media.
L'idea di diventare famosa tramite social, non mi è mai passata per l'anticamera del cervello e, sinceramente, anche, come avevo io, un profilo dove pur non mettendoci la faccia, ma ne facevo comunque parte, mi sentivo dipendente a tal punto di passare il tempo a fare home/profilo tantissime volte in pochissimi minuti.
Questo mondo allontana, ma non unisce, fa sentire più soli che mai, perché fa sentire diversi, anche inconsciamente.
Smisi definitivamente di avere social all'età di sedici anni, durante la mia permanenza in vacanza a casa di mia cugina.
Restai da lei per quasi due mesi, e all'epoca lei si era appena trasferita in un nuovo appartamento e ci hanno messo qualche giorno i signori della compagnia a metterle la linea telefonica.
Ricordo che inizialmente per me era impensabile non avere social e soprattutto non vedere quello che pubblicavano le mie influencer preferite, così i primi giorni furono bruttissimi emotivamente (guardate che schifo la dipendenza).
Intanto i giorni passavano e avevo preso il giro di uscire (perché lei è sempre riuscita a farmi uscire dalla mia tana) 🐻 spesso la sera, e durante il giorno lei lavorava e io restavo con mia zia e dormivo.
Ormai avevo preso questo "giro" di usare i miei gb solo per WhatsApp e mandare qualche messaggio di risposta, a quei 4 gatti che mi scrivevano, tra cui mia mamma. E iniziava a piacermi un sacco questa cosa.
Avevo un sacco di tempo libero, potevo dormire e fare poi, colazione con calma, senza avere la "frenesia" di vedere quello che faceva la gente, la sera prima.
Potevo passare il tempo a guardare il mare fuori dalla finestra con le cuffiette alle orecchie. E "scattare foto con gli occhi" che è poi, il ricordo più bello.
Leggere in attesa della cena, con in sottofondo le onde del mare, senza avere lo stress delle notifiche da dover leggere o i messaggi da dover rispondere immediatamente.
A seguito del mio rientro a casa, qualche giorno dopo, cancellai i profili social, ad eccezione di Pinterest, che è una applicazione che mi ha sempre accompagnata, fin dal giorno, o poco più della fondazione.
In assenza dei social ci ho guadagnato molto in fatto di tempo libero, ma soprattutto anche di ansie e preoccupazioni mentali.
Certo purtroppo, il giudizio di altre persone su di me è ancora attivo e spesso mi ferisce, ma almeno non ho la tentazione di andare a controllare tale profilo x e vedere se ha pubblicato qualcosa su di me, eventualmente, anche se io non conosco tale persona.
Seppur purtroppo, resto ansiosa di carattere, i pensieri intrusivi spesso e volentieri, mi fanno visita e mi fanno stare male, mandandomi letteralmente in paranoia per ogni minima cosa vista o ricordata o che era stata pubblicata, o che magari avevo l'intuizione che fosse stata pubblicata su di me.
Nonostante questo ripeto, resto debole, ma sicuramente ora sono più forte di prima. O almeno, lo sono in parte.
Tutto questo mi serve per dire che, non sto criticando le persone che hanno i social e che li usano abitualmente, ma dico semplicemente che è una abitudine mia, che a me non è più piaciuta e che a me personalmente ha fatto bene mentalmente.
Ad eccezione però, di Tumblr. Tumblr è un social che non ce l'ho mai fatta ad abbandonarlo totalmente. Questo social mi permette di esprimermi attraverso la scrittura, che è il mezzo che preferisco in assoluto, e nel quale, sicuramente, riesco meglio.
E nel quale si sta bene "nascosti nell'ombra."
Qui non serve l'esporsi, serve il tuo vero io, serve chi sei dentro tu, e nient'altro. Solo tu, la scrittura e il tuo nuovo diario virtuale.
@un-mei-no-akai-ito // @un-mei-no-akai-ito (Dom 21.07.24 h02:43)
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curiositasmundi · 4 months
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Una classe dirigente può esser tale senza avere nessuna delle caratteristiche minime per esercitare dignitosamente questo ruolo? Sicuramente ci si può trovare davanti ad una ruling class inadeguata, ma questo comporta che il Paese disgraziatamente sotto il suo potere sia condannato allo sfacelo. La giornata di ieri ha mostrato un mosaico di avvenimenti che dànno la misura effettiva della nullità – capitalistica, morale, economica, politica, culturale, ecc – di chi controlla questa sfortunata provincia dell’Impero. Andiamo con ordine, prendendo i titoli dal giornale che pretende di essere ancora “il salotto buono della borghesia italiana”. Il quale, fin da ieri mattina, ci invita a spargere lacrime simpatetiche con “il povero” Luciano Benetton, che si è accorto solo ora – 89enne, al momento di ritirarsi in dolce attesa – che il suo gruppo ha registrato perdite choc: «In pochi mesi da 13 a 100 milioni, ora il rosso sarà di 230». E’ appena il caso di ricordare che l’ex “re del maglioncino” è stato a capo di un piccolo impero economico multinazionale, “a gestione familiare”, che ha responsabilità dirette nella repressione dei Mapuche in Patagonia, nel crollo del Ponte Morandi per risparmiare sulla manutenzione (43 morti), accarezzando nel frattempo anche qualche giovane virgulto “democratico” in vena di arrampicate… Il “povero pensionato” accusa naturalmente l’ultimo amministratore delegato da lui stesso scelto con toni entusiatici, e ora se la vedranno con gli avvocati in tribunale. Secondo capitolo. “Morto nel suv con la fascetta al collo Giallo sul marito di FrancescaDonato”. L’eurodeputata un tempo leghista, quando ci istruiva in ogni talk show circa le cirtù salvifiche del neoliberismo condito con privatizzazioni e taglio delle tasse a ricchi ed imprese, nonché del complottismo novax, ha immediatamente sentenziato “Me l’hanno ucciso”. E noi stavolta – l’unica – le crediamo. Angelo Onorato, imprenditore ed ex candidato alle regionali con la Dc di Totò Cuffaro (formazione cui è approdata anche l’eurodeputata) è stato infatti trovato morto strangolato alle tre del pomeriggio dentro la sua auto, sulla parallela dell’autostrada per l’aeroporto di Palermo. Modalità e luogo dell’omicidio lasciano un portone spalancato a ogni ipotesi che riporti alla mafia (anche se I media sono molto cauti, in queste prime ore). Ma la cronaca nera politico-imprenditoriale ci continua a sottoporre i tormenti del “povero Giovanni Toti”, tuttora presidente della Regione Liguria nonostante sia agli arresti domiciliari, descritto con umana compassione dal Corrierone: “Toti, la vita ai domiciliari: l’ansia nella casa di Ameglia con la moglie convalescente e il cane Arold”. Le accuse di corruzione, le intercettazioni, i soldi di Spinelli… Tutto nelle righe dell’articolo, ma è il titolo che deve restare nella testa dei lettori, no?
Ci sarebbe da fare qualche domanda anche sulla morte del rettore dell’università Cattolica di Milano, suicida (ma non viene quasi mai ricordato, tanto meno nei titoli) e senza alcuna spiegazione apparente. Riserbo massimo, nessuna ipotesi, parce sepulto…
Si potrebbe andare avanti a lungo, ma ci sembra più interessante l’unica notizia di critica sociale vero uno degli esponenti peggiori di questa classe dirigente. A Marina di Pietrasanta, titola sempre il Corsera, “Irruzione degli attivisti al Twiga, ombrelloni piantati fra le tende dei vip: «La spiaggia è di tutti»”
Ma chi sono questi attivisti? Di chi è il Twiga?
Bisogna andare a spiluccare nelle pagine interne… E allora si viene a sapere che I primi fanno parte del coordinamento ‘Mare Libero’, che dal 2019 si battono contro la privatizzazione delle spiagge e per “restituire il mare alla collettività”. Hanno montato ombrelloni e sdraio, steso gli asciugamani tra i lettini dello stabilimento, solitamente meta di vip, calciatori e politici. E lì si sono rimasti, tra le proteste di alcuni clienti che hanno rivendicato la “proprietà privata” della spiaggia.
Mal gliene è incolto, però, visto che come spiegano i ragazzi “Piantiamo i nostri ombrelloni in questa spiaggia tornata libera perché le concessioni sono tutte scadute il 31 dicembre 2023. Lo ha deciso il Consiglio di Stato in attesa, come stabilito anche dall’Unione europea, delle gare”.
Quanto ai proprietari del Twiga, beh, sono storicamente gli stranoti Flavio Briatore e Daniela Santanché, ora ministro del turismo. Che è poi a ragione per cui ha venduto le sue quote al socio, anche se un’inchiesta de Il Domani ha verificato che continua a incassare profitti dal Twiga tramite una società creata ad hoc, la Ldd Sas, ditta creata ad aprile 2023 e controllata al 90% da Immobiliare Dani, a sua volta al 95% di Daniela Santanché.
Scatole cinesi, azzeccagarbugli da commercialisti, rapporto osè – mortiferi – con la grande criminalità organizzata, truffe pure e semplici, amministratori pubblici a busta paga…
In mano a questi stanno le nostre vite.
[...]
Una “classe dirigente” di impressionante squallore - Via
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angelap3 · 7 months
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La storia della Musica
Ricordando Lucio Dalla ❤️
Lucio Dalla muore improvvisamente, stroncato da un infarto, il 1º marzo 2012, tre giorni prima del suo 69º compleanno, presso l'Hotel Plaza di Montreux, cittadina svizzera sede di uno dei festival musicali più importanti al mondo, il Montreux Jazz Festival, dove si era appena esibito la sera precedente. È il suo compagno Marco Alemanno a scoprire per primo il decesso, pochi minuti dopo. I primi a dare la notizia della morte del cantante sono i frati della basilica di San Francesco d'Assisi, la stessa mattina del 1º marzo, su Twitter, esattamente alle 12:10, 23 minuti prima dei lanci d'agenzia.
A due anni di distanza dalla morte del cantante, il 26 febbraio 2014, viene costituita la "Fondazione Lucio Dalla", con relativa ufficializzazione a partire dal giorno 4 marzo 2014. La fondazione avrà sede nella sua casa di via D'Azeglio a Bologna e avrà come obiettivo principale quello di valorizzare l'esperienza e il patrimonio culturale dell'artista.
Trascorsi 10 anni, la città di Sorrento gli dedica un murale.
Il 30 settembre 2022 viene pubblicato Stella di mare, singolo inedito di Cesare Cremonini e Lucio Dalla.
Ti ho guardata e per il momento
Non esistono due occhi come i tuoi
Così neri, così soli che
Se mi guardi ancora e non li muovi
Diventan belli anche i miei
E si capisce da come ridi che
Fai finta e che non capisci, non vuoi guai
Ma ti giuro che per quella bocca che
Se ti guardo diventa rossa
Morirei
Ma chissà se lo sai?
Ma chissà se lo sai?
Forse tu non lo sai
No, tu non lo sai.
Poi parliamo delle distanze, del cielo,
E di dove va a dormire la luna quando esce il sole
E di come era la terra prima che ci fosse l'amore
E sotto quale stella, tra mille anni
Se ci sarà una stella, ci si potrà abbracciare?
E poi la notte col suo silenzio regolare
Quel silenzio che a volte sembra la morte
Mi dà il coraggio di parlare
E di dirti tranquillamente,
Di dirtelo finalmente
Che ti amo
E che di amarti non smetterò mai
Così adesso lo sai
Così adesso lo sai
Così adesso lo sai
(Brano di Lucio Dalla - Chissà se lo sai)
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stanza707 · 2 months
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Oggi parecchi alti e bassi emotivi. I primi due mentre guidavo perché ho pensato che è la seconda estate che faccio il viaggio da sola, senza la mia gatta sul sedile posteriore che si lagna perché la traversata in auto verso la sua residenza estiva non soddisfa gli standard di comfort richiesti da sua grazia. Poi è partita Questo mondo non mi renderá cattivo su Spotify e ho pensato a quanto ho pianto guardando la prima serie di Zerocalcare, un po' di meno alla seconda e all'ultima vignetta dell'ultimo libro, quella con papá papero che mi ha onestamente uccisa.
E ora sto al mare vicino a sta ragazzetta che sta chiamando tutto il mondo per dire che ha preso 25 all'esame, che all'inizio dico madonna che palle, poi però ha chiamato suo nonno e vorrei dirle quanto cazzo è fortunata perché col mio non ho potuto condividere neanche il diploma e un sacco di altre cose.
Ora vado a tuffarmi in acqua che almeno non se vede che piango.
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allecram-me · 2 months
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Dopo un anno al civico 418
Non so dire che stagione sia, mi sembra che si siano riunite tutte qui in un pic-nic sul mio collo, portando ciascuna il carico della propria inconfondibile nostalgia. Sono all’incrocio dei venti, il soffio vitale di moltissime e imprevedibili possibilità, carne ancora di carta, ma comunque la storia della carne. Il tempo non muore, il tempo semplicemente si estingue: è diverso. Penso allo sgomento col quale sono stata costretta ad accettare il fatto che, se non lo mangi, il cibo si guasta anche se è nel frigo. Quella sensazione di tradimento, di impermanenza, mi fa orrore. Eppure non credo sia metafora della mia morte, credo che sia lo spaesamento della dipendenza - è la morte degli altri. Questo mese faccio scatoloni, mi impoversico di qualche migliaia di euro, e mi impoverisco di questo ultimo status quo, uno dei primi che mi sia piaciuto dopo la baita di montagna sul mare di Valerio. Parallelamente scolpisco come una artigiana piuttosto incerta l’ultimo colpo grosso della mia carriera nel mondo della ricerca, promessa d’incrocio, incrocio che conduce da molte parti lontanissime tra loro. Berlino potrebbe non piacermi. È probabile che Berlino mi ammazzi, ma sono già sopravvissuta a qualche inferno e una trentina di inverni, e contro ogni previsione sono qui adulta con un sacco di vite alle spalle e pochissimi privilegi - tantissimi privilegi - ma meno privilegi di quelli che mi erano stati promessi. Li ho rifiutati. Se Berlino mi ammazza vorrà dire che sono scaduta, ma qualcosa mi ha comunque già mangiata: sono solo gli avanzi di me, sono quello che potrei ancora diventare. Peggio: se Berlino mi ammazza è perché l’ho lasciata guastarsi nel frigo, non l’ho assaggiata, nessun pic-nic all’aperto.
Questa vita, la mia vita, il mio unico vero amico di sempre: mi mancheranno e non so che sto facendo, li sto lasciando scivolare così, come è giusto anche se non lo voglio. In frigo nevica, fuori dal frigo ci si scioglie nel sudore. Sulla porta di casa nostra ci sarà ancora per un po’ la ghirlanda di Halloween, sopra al microonde la gallina di cioccolato di Pasqua.
Se Berlino non mi ammazza lo faranno il lavoro, la tesi, il trasloco verso un appartamento che pago ed in cui è probabile che non vivrò. Sulla mia faccia piove poco, tra le mie dita della terra da cui inevitabilmente qualcosa in primavera germoglierà.
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ilpianistasultetto · 1 year
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- A Robbe', se stavorta vincemo l'elezzioni 'sto Paese cambia da cosi a cosi. Se vince Giorgia sfonnamo er monno..quella si ch'e' na lider seria. Dice 'na cosa e nun cambia mai idea. Mica come quer cojione de Conte o come li comunisti. Quelli a me nun m'hanno mai dato gnente, quelli sanno difenne solo i neri, li zingheri o quelli che stanno seduti sur divano a grattasse le palle.. A me 900 euro dopo 'na vita de lavoro e ar zinghero vicino casa mia gl' hanno dato 'na casa der comune a 8 euri ar mese..ma mo sloggiano tutti eh, tutti a casa loro li rimannamo e quelli che provano a entra' in Italia Giorgia glie spara. Quella e' seria, quello che dice, fa. Mettemo tutte navi in mezzo ar mare e appena se vede un gommone..tatarattataratata, li famo tutti secchi. Poi vedemo se avranno er coraggio de riprovacce! E poi uscimo dall'Europa e tornamo alla lira, cosi pijo 1milioneeotto de pensione e con quer mucchio de sordi vivo come un pascia'. Tornamo a comanna' a casa nostra.E cacciamo pure tutti 'sti froci che adesso me sembrano sto' caxxo..Giorgia e' l'unica con le palle a di' certe cose. Quella le promesse le mantiene. Ma Robbe', tu glielo dai er voto a Giorgia?
- il voto mio? Caro signor Vincenzo, il mio voto proprio no! Basta il voto tuo e di quelli come te per farla trionfare. Il voto mio alla Meloni non serve..
Erano i primi giorni di settembre 2022.
@ilpianistasultetto
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vintagebiker43 · 1 year
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In 31 anni di lavoro, sono stata rispettata, applaudita, premiata.
E in 31 anni di lavoro, sono stata umiliata, portata al punto di rottura, discriminata, molestata.
Ho viaggiato in auto con l’autista, ho avuto responsabilità, gratifiche.
E ho lavato le scale dei condomini, i pavimenti dei capannoni, lavorato alle stagioni di pomodori e cipolle, come cameriera, lavapiatti, operaia stagionale e su turni, in call center. Ho pedalato chilometri nelle sere d’inverno per portare pizze a domicilio. Ho avuto spesso paura.
Dopo aver perso chi conoscevo sotto un erpice, dopo essermi sentita dire di firmare dimissioni in bianco, dopo essere andata via in lacrime e senza essere pagata perché non accettavo le mani addosso del primo porco che si sentiva in diritto di farlo perché mi aveva firmato un contrattino di merda, la demagogia non la tollero più.
Cominciamo però per primi a non lasciare il tavolo del ristorante come una discarica, che c’è qualcuno che per questo dovrà subire risultati di cose che a casa nostra non faremmo mai.
Rassicuriamo che va tutto bene chi ci consegna la pizza in ritardo, che forse ha fatto semplicemente ciò che poteva.
Chiudiamo bene i sacchi di rifiuti, che chi li viene a portar via alle cinque del mattino non debba pure sporcarsi delle nostre schifezze.
Ringraziamo i commessi, i corrieri che ci lasciano pacchi, chi in ospedale ha cura di farci i prelievi cercando di non farci male, gli insegnanti dei nostri figli che affrontano difficoltà che conosce davvero solo chi sa cos’è stare a scuola tutti i giorni.
E scostiamoci per far passare chi spinge la lavapavimenti nel supermercato, notiamo quanto spesso tiene gli occhi bassi e domandiamoci perché una persona che sta facendo il suo mestiere deve sentirsi in modo tale da non sollevare lo sguardo sul prossimo.
Ricordiamoci che per ogni cartaccia che ci scivola e non raccogliamo, ci sarà un altro essere umano che si dovrà chinare al posto nostro.
Nel mare di ingiustizia, almeno non facciamo mancare il nostro rispetto e il nostro “grazie e buona giornata” a ogni fratello e sorella che ogni giorno tenta come noi di sopravvivere con dignità
@ Sarah Savioli
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bicheco · 1 year
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"Sottosopra"
"Sottosopra"
L'onorevole Giacomo Triglia, 65 anni, sottosegretario al turismo, leghista dai tempi di Bossi, marito (quasi) fedele, padre e nonno amatissimo, aveva un solo difetto: il sonno pesante. Per questo quando si risvegliò, solo, sopra il pedalò, al tramonto, in mezzo al mare, capì subito che il riposino doveva essere stato piuttosto lungo e che non sarebbe stato facile tornare a casa. Quando il sole sparì all'orizzonte, cominciò ad avvertire i primi brividi di freddo e si pentì di aver fatto quella vacanza in Sicilia, una terra bellissima ma anche arretrata a livello di organizzazione. Ripensò ai giorni belli di quando urlava "sporchi terroni!", ma allora era solo un ragazzo e la politica era molto diversa. Il mare buio e nero, per fortuna, rimaneva calmo e questo alimentava la speranza, Giacomo era certo che alle prime luci dell'alba i soccorsi lo avrebbero trovato. Il mare però non aspettò il sorgere del sole per svegliarsi. Le onde crescevano sempre più così come la paura del povero onorevole. Quando fu buttato in acqua si sentì perso, riuscì ad aggrapparsi a un'asse di legno, tutto quello che rimaneva del pedalò. Passò un'ora, o forse due, il tempo in quei momenti cessa di esistere, e poi, dal nulla, una mano nera tesa verso di lui: "Amico, amico: aggrappati". Un barcone di migranti, stracolmo di persone gli stava offrendo spazio. Giacomo non....
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filorunsultra · 6 months
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SciaccheTrail TRC Expedition 2024
Ogni anno c'è il weekend di Sciacche, e ogni anno c'è un pezzo su questo blog intitolato così (qui il primo, qui il secondo). Ah, avvertenza: ho scritto di getto e senza rileggere. Lo faccio quasi sempre su questo blog (mai altrove, beninteso). Poi ci ritorno sopra nei giorni successivi. Cosa imperdonabile, lo so, ma qui mi permetto sciatterie altrove vietate. Facile insomma che se rileggete un articolo dopo qualche tempo, cambi qualcosa.
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Io, la Chri, Pass, Marta e Amanda Basham, durante un'intervista per Coltellate all'Alba, la domenica mattina, al negozio del Nic e la Chri di Manarola.
Dunque, partiamo dall'inizio. L'anno scorso, il giorno dopo la gara, io e il Pass ci recammo a Riomaggiore per la conferenza stampa di presentazione di una nuova distanza, la 100k, che si sarebbe aggiunta alla classica 47k. Andammo alla presentazione e c'era già un'idea di percorso, l'idea: unire il mare all'entroterra, da cui, parrebbe, provengano le vere origini dei popoli delle Cinque Terre. Qualche mese fa il Nic mi invitò a correrla e io intelligentemente rifiutai (perché continuo a essere convinto che non riuscirei a preparare una 100k dura per fine marzo). Il Pass invece ci credeva e si è iscritto, e io sono andato a fargli da pacer, un po' per lui, un po' per la gara, a cui, comunque, in qualche modo avrei voluto partecipare. Un anno dopo sono a Cognola, dopo una corsa in Argentario e una pastasciutta a Povo (che in primavera suscita ancora più nostalgia), con il Metti e la Marta, ad aspettare la Leti che esca di casa tutta trafelata dopo aver "smontato" il turno in comunità. Comunque la strada per Monterosso è lunga e brutta e la Cisa fa davvero schifo. Alla fine arriviamo all'imbrunire, trovando il Pass nel suo furgone, parcheggiato nel carissimo parcheggio sul mare a Monterosso, cercando di dormire in vista dell'imminente parenza. Andrea è qui dal giorno prima e ha già ritirato il pettorale, così accompagniamo Marta a ritirare il suo, trovando il Nic già completamente andato (lo dice lui) ma galvanizzato dal weekend che sta per iniziare. Poi andiamo a mangiarci una pizza in paese, dove ci sono seduti anche Kathrin Goetz e suo marito, e dove soprattutto incontriamo il grande Jacopo Bozzoli che avevo visto l'ultima volta al Morenic e sono super contento di rivedere. Dopo la pizza torniamo in macchina ad aiutare il Pass a prepararsi lo zaino.
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I letti per la prima notte: la Leti sopra, nel tendalino, io sotto, nel furgone, Marta e Metti nella macchina del Metti. Il Pass non c'è perché è in gara e la sua partenza è a Riomaggiore a mezzanotte. Dopo aver fatto lo zaino, la Marta va a letto, visto che il giorno dopo deve correre la sua prima ultra e ha programmato di svegliarsi esageratamente presto per fare colazione. Prima che parta, io, il Pass e la Leti ci chiudiamo in furgone per ammazzare il tempo guardando il documentario di Jeff Browning a Moab 240 (Jeff è il mito del Pass). Poi lo accompagniamo alla stazione di Monterosso per prendere il treno che lo porterà alla partenza a Riomaggiore, ad appena 13 minuti di treno più in là. Non glielo dico, ma ho programmato di svegliarmi verso l'una e mezza di notte per vederlo passare al suo 17esimo chilometro a Monterosso, così io e la Leti andiamo a letto per provare a dormire. Due ore dopo la sveglia suona ed è orribile. Mi metto le Birkenstock e vado al ristoro, dove i primi devono ancora passare. In generale i tempi stimati sono tutti più lenti e così passa un'ora prima che Andrea arrivi. Poi alla fine distinguo la sua corsa sbucare dall'oscurità e gli chiedo come va. Ha scavigliato un paio di chilometri prima, si fa una fasciatura ma per il resto sta bene; è contento di vedermi e faccio con lui un chilometro fino al parcheggio. Torno a dormire. La seconda sveglia è dannatamente presto, appena quattro ore dopo. Facciamo la prima colazione e poi accompagniamo Marta alla partenza. Ci sono Kuba, Mau e la Raffaella Ressico, sono contento di vederli. Nel frattempo mi arriva un messaggio dal Pass che dice di aver scavigliato di nuovo, ha perso una ventina di posizioni ed è rimasto solo, percepisco che sia vicinissimo a ritirarsi ma non glielo chiedo: se sta male sarà lui stesso a dirmelo, ma non sarò io a dargli l'idea. Intanto la 47k parte e io, il Metti e la Leti andiamo a fare una seconda colazione. Poi loro partono di corsa verso Manarola, io resto in macchina e poi prendo un treno, per raggiungerli, prezzo di 5 euro (per fare circa 8 minuti di treno). A Manarola la Marta passa in sesta posizione e sta benissimo, siamo contenti di vederla e le facciamo un po' di tifo, forse troppo perché affronta le scalette dopo il paese con eccessivo entusiasmo. Mangiamo un panino vegetariano di rara bontà e riprendiamo il treno per Monterosso.
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Qui iniziano i casini: il primo treno che prendiamo non ferma in paese e così ci ritroviamo a Levanto. Il controllore non ci fa la multa e per pura casualità non mi controlla il biglietto che non ho, perché non avevo fatto a tempo a farlo in stazione. A Levanto dobbiamo aspettare venti minuti e iniziamo a pensare di non riuscire ad arrivare in tempo alla aid station di Riccò del Golfo, dove dovrei iniziare a fare da pacer al Pass. Quando arriviamo finalmente a Monterosso spostiamo tutte le cose della Marta nel furgone del Pass, con l'idea di prendere la macchina del Metti con cui la Leti dovrebbe accompagnarmi a Riccò, mentre Metti resterebbe in paese per aspettare l'arrivo della Marta. Saliamo finalmente in macchina, la Leti gira la chiave ma la macchina non si accende. Proviamo un paio di volte ma la batteria è chiaramente andata. Nel frattempo il Metti si è aperto una gamba contro un pezzo di ferro arrugginito che spunta da terra nel parcheggio, ma non ha tempo per preoccuparsene e non gli fa nemmeno tanto male. Andiamo in cerca di un paio di cavi e dopo dieci minuti finalmente li troviamo in un bar vicino, ma non funzionano. L'unica è andare col furgone del Pass, che però la Leti non si sente di guidare. Così chiudiamo tutto, rispostiamo le borse, abbassiamo il tendalino, e io e il Metti partiamo. Il furgone del Pass non ha benzina e i freni sono andati, ma in qualche modo, tra incidenti e tornanti, arriviamo a Riccò. Scendo al volo e il Metti riparte. Da qui le nostre strade si dividono. Una volta tornato indietro, mi racconteranno, il Metti avrebbe chiesto una medicazione ai medici della gara, poi sarebbe andato al pronto soccorso di Levanto, pagando altri 5 euro di biglietto del treno (nelle Cinque Terre il biglietto costa sempre 5 euro, che tu faccia una o cinque fermate, sempre 5 euro). In ospedale gli avrebbero fatto la profilassi antitetanica chiedendogli consenso soltanto dopo avergliela iniettata. Nel frattempo avrebbero trovato altri cavi con cui far partire l'auto. Il buon Tommi Maggiolo, un nostro amico ligure che abbiamo conosciuto alle Group Runs del mercoledì, aveva deciso di raggiungerci da Chiavari per vederci arrivare. Non aveva calcolato gli scioperi dei treni e così sarebbe rimasto bloccato a Monterosso e costretto a dormire con noi in furgone la notte successiva.
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Nel frattempo alla aid station di Riccò del Golfo aveva iniziato a piovere. La Chri era arrivata ma del Pass ancora nessuna traccia. Resto ad aspettarlo lì per delle mezz'ore quando finalmente lo vedo comparire nel tracking della gara e decido di andargli in contro. Riesce a correre in salita ma gli fa male la caviglia. Si cambia, mangia qualcosa, e ripatiamo. I primi chilometri dopo la aidstation sono i migliori che avremmo trovato nei successivi 40. Il tempo fa schifo e, ammettiamolo, anche il paesaggio. Comunque proseguiamo, inseguendo il fantasma della Chri 10 minuti avanti a noi (solo poi sarebbero diventate mezz'ore, e infine ore). La prima discesa sembra il Vietnam, è piena di fango e il sentiero non è davvero un sentiero. Raggiungiamo finalmente il ristoro di Biassa e poi affrontiamo il Telegrafo, che non tarda ad arrivare. Superata quell'ultima cima e il relativo ristoro, ritorniamo sul versante del mare, da cui risbucano dalle nuvole gli ultimi raggi di sole della giornata. Il tramonto arriva definitivamente a Riomaggiore: il Pass è carico e sente profumo di arrivo, ma è ancora lunga, 8 chilometri più lunga di quello che avremmo immaginato. Addenta comunque le salite di Riomaggiore e di Manarola, ma le discese sono un'interminabile agonia. La caviglia gli fa male e le rocce bagnate dall'umidità del giorno sono diventate delle saponette. La discesa da Volastra è forse il pezzo peggiore della 47k, quando lo si affronta con appena 40 chilometri sulle gambe, figurarsi con 80 e una caviglia malmessa. Ciononostante, arriviamo a Corniglia. Da qui a Vernazza dovrebbe essere veloce ma non lo è. Inizio a guardare l'ora poco prima di arrivare in paese, conto di fargli tirare dritto il ristoro per chiudere sotto le 24 ore, ma quando scorgo un'altra ansa della costa da dover superare mi convinco che non ce la possiamo fare. Ogni chilometro è interminabile e Andrea non si capacita di come possano esserlo: è normale amigo, gli dico. Le gare lunghe sono così. Ci sono due tipi di ultra, quelle in cui, grossomodo, la media è di 10km/h, e cioè quelle in cui tendenzialmente corri, chilometro più chilometro meno, e ci sono quelle da 5km/h, in cui cammini. Puoi andare più lento o più veloce ma grossomodo la media è quella. Ne mancano più di 6, e al nostro passo significa due ore. Così affrontiamo l'ultima discesa a Vernazza e poi quella fino a Monterosso. Terribile resta terribile, ma è l'ultima. Sul sentiero a picco sul mare, illuminato solo dalla luna e dalla sua frontale semiscarica (di quattro che ne avevamo, solo quella che mi aveva prestato il Metti era rimasta accesa, e io mi ero ritrovato a correre gli ultimi 20km senza frontale) — sul sentiero a picco sul mare, dicevo, illuminato dalla luna, fermo il Pass e gli faccio notare la bellezza del momento: siamo solo io e lui, di notte, con la luna piena, a guardare la scogliera sotto di noi. Lui è sbudellato e non sono certo che se ne accorga, ma ci tengo a farglielo notare perché spesso quando soffriamo non riusciamo del tutto a assaporare le cose belle. E in alcuni momenti anche io avrei voluto avere qualcuno accanto che mi distogliesse dalla gara e dalla sofferenza e mi facesse guardare quel pezzo di mondo coi suoi occhi. Sussurra qualcosa di sconfortato, si ripete che è ancora eterna: gli dico che lo è, che soffrirà ancora, ma che domani mattina sarà la persona più felice del mondo.
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Nel frattempo i nostri cellulari si sono scaricati e siamo completamente isolati dal mondo. L'ultimo chilometro è lunghissimo e talmente lungo che nemmeno l'adrenalina riesce ad accorciarlo. Così tratteniamo il respiro, poi prendiamo le scalette sul mare, e infine arriviamo in paese. Il gonfiabile d'arrivo è stato smontato e c'è solo un bellissimo archetto di rami di vite e pampini. L'arrivo è intimo: ci sono Metti, Leti, Marta, Tommi, Nic e la Chri, che dopo essere arrivata è rimasta ad aspettare gli ultimi, da buona americana. Mangiamo un sacco al luculliano terzo tempo della gara, in cui siamo rimasti solo noi. L'orologio segna mezzanotte e mezza, il paese è deserto. Ci raccontiamo le storie della giornata, di quanto sia stata bellissima e orribile. Di quanto il Pass sia stato un duro a chiuderla, mosso da un solo sentimento: il desiderio. Ha chiuso SciaccheTrail 100 perché ci teneva da morire, per il Nic, per la Chri, per chi si è sbattuto a organizzarla. Voleva farlo e lo ha fatto, scavando nel profondo. Dio se ha scavato, posso garantirlo. Così raccattiamo le nostre cose e ci incamminiamo per quell'ultimo chilometro tra l'arrivo e il parcheggio. Ci facciamo la doccia e andiamo a letto: io e la Leti nel tendalino, e il Pass e Tommi di sotto.
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La mattina è dolce e il Pass è la persona più felice del mondo, come avevo detto. Salutiamo quattro volte il Tommi che per quattro volte ci saluta per andare a prendere il treno, per poi tornare indietro ogni volta constatando che anche quello è stato annullato. Facciamo colazione e poi Tommi se ne va davvero. Raccattiamo le cose e andiamo a Manarola dove abbiamo un appuntamento con Amanda Basham e sua sorella, il Nic e la Chri per cercare di registrare un podcast che non abbiamo preparato. Non sono mai entrato nel negozio del Nic perché di solito la domenica è chiuso e l'unico momento in cui avrei il tempo è dopo la gara: di per sé è molto carino e accogliente anche se ora è invaso dagli scatoloni. Facciamo l'intervista e parliamo di cose che non ricordo, poi andiamo a mangiare nello stesso posto in cui abbiamo mangiato il giorno prima. Spendiamo in modo irragionevole e mangiamo in modo irragionevole. Poi ripartiamo: Riomaggiore, Spezia, Cisa, Parma, Modena-Brennero. Io e il Pass ci stiamo addormentando e siamo rimasti solo io e lui, ancora una volta. Sono contento perché questo pellegrinaggio ormai per tradizione è nostro. Parliamo di tante cose, animatamente, felici, concordi. Sono contento, anche lui e adesso lo sa. Ci vediamo l'anno prossimo.
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iviaggisulcomo · 1 year
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Si sbagliavano: perché a sedici anni sapevo tutto, leggero, incosciente, coraggioso. A venti i primi dubbi, intorno ai venticinque le prime incertezze, a ventotto il terreno ha iniziato a mancarmi sotto ai piedi e a trent’anni non capivo più niente.
«Crescerai, imparerai.» Non è vero. «Ma certo: crescerai, imparerai.» Tutte bugie.
Andrebbe detto l’esatto contrario: crescerai e la vita sarà ancora più complicata, diventerai adulto e non capirai niente, goditi questo momento, goditi i giudizi dati così, in scioltezza, a cazzo di cane; goditi i mille errori, le mille spericolatezze, le mille improvvisazioni del cuore; sorridi a chi ti considera ingenuo, a chi ti dice:"Sei un immaturo"; non ascoltare chi ti rinfaccia scelte azzardate e passi falsi, un giorno sarai tu a rinfacciarli a te stesso, sarai tu. E sarà dolorosissimo.
(Mattia Torre, In mezzo al mare)
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