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#Radici USA
queerographies · 2 years
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[Storia transgender][Susan Stryker]
Scrivere la storia è un gesto importante, capace di connettere la comprensione del passato con il futuro che si intende costruire. È proprio questa l’impresa di "Storia transgender" di Susan Stryker
Scrivere la storia è un gesto importante, capace di connettere la comprensione del passato con il futuro che si intende costruire. È proprio questa l’impresa tentata da Susan Stryker in questo libro già classico che ricostruisce, con rigore e poesia, la storia e le battaglie di soggettività e movimenti transgender, dalle discriminazioni mediche, sociali e politiche, alle lotte per i diritti…
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stregamorganablog · 1 year
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Amo la mia follia e i folli veri come me .Amo quelli con i cuori a brandelli che sorridono nonostante hanno le lacrime negli occhi. Amo quelli che ti sbattono la verità in faccia ma che poi ti abbracciano, ti stringono , ti riscaldano, ti accarezzano l'anima e non fraintendono perché ti vogliono bene . Amo quelli che entrano nel mio cuore in punta di piede , crescono come un seme per mettere radici e restare e non giocare con i sentimenti , qualsiasi essi siano .Amo quelli che sorridono alla vita , che con coraggio affrontano e tornano ad amare , nonostante tutto ,senza paura , senza avventura, senza rabbia e con la voglia di non avere rimorsi ,senza ordine ma con il cuore in disordine e il tempo che gira al contrario , per fermare i ricordi più belli .
Amo chi dona la presenza con l’essenza
e non l'assenza. Amo chi ama . Amo la vita . Amo donando e non ricevendo, ma allontanando chi usa perché stanca , ma viva per dare e camminare verso orizzonti nuovi.
Patrizia Lova
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sciatu · 8 months
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Devi far sedere la tua anima e farla concentrare sulla Vigna per più di trenta secondi, il tempo che ti ruba un Reel inutile su i cosiddetti “Social”. Questo perché la tua anima ha bisogno di far sedimentare quello che i sensi le fanno percepire. È un esercizio che certi monaci o esseri spirituali chiamano “meditazione” ma che è semplicemente dare valore al tuo tempo. Ecco, ad esempio, la Vigna, se tu la guardi semplicemente è un filare continuo e ripetuto di piante della vite. Questa constatazione però non è degna di te che sei, o dovresti essere, un essere vivente, un’anima pensante in un corpo recettivo. Usa gli occhi. Vedi l’azzurro del mare ed il crepuscolo che si avvicina, il cielo perdere forza e dare alle foglie delle viti un colore intenso ed intimo non quello splendente e forte che hanno durante il giorno. Vedi le nuvole, li ad occidente, arrossare ed illuminarsi sempre più intensamente, coperte dall’ondeggiare delle chiome ad ombrello degli antichi pini. Sono gli attimi che portano i ricordi ed in cui la memoria distilla il giorno preparando attori e sceneggiature per i prossimi sogni. Ora ascoltiamo il mondo. Il vento, instancabile maratoneta, sale dal mare o scende precipitoso verso di esso, facendo frusciare le foglie e portandoti la discussione paesana che le Ciaule hanno nel cielo, chiamandosi e rispondendosi fin quando il grido infinito di un Cacciavento, non le zittisce e le porta a nascondersi su rami o sui fili della luce. Aspettano composti che il rapace torni verso l’alto monte, tra gli aerei abissi da dove domina il mondo. Senti le voci della spiaggia, il vociare dei bambini, il metallico e ritmico correre di un treno, il suono della corriera, lo scoppiettio dei motorini. Il suono è parte dell’uomo, per questo le viti in silenzio, ascoltano curiose, scrivendo nei loro acini, le canzoni della gioia per quando sarà festa o per quando vi saranno dolori da combattere. La Vigna vive di santa eternità e prova ne è l’amore che dona agli uomini. Ora i profumi. Profumo di resina dei pini, intenso, liberatorio, quasi una medicina miracolosa. L’odore del vento, odore umido del mare, odore secco del monte, fatto di cardi arsi e di ulivi eterni. Odori caldi d’estate ed odori secchi e taglienti d’inverno che la vigna percepisce e di cui nutre i suoi grappoli, custodendo il sapore della terra nel loro sangue e trasformandolo con il sole in zucchero ed ebrezza perché la Vigna è la magia della natura, il cantastorie delle stagioni. I suoi filari si allungano a vivere nel sole, le sue radici raccolgono l’anima della terra. Per questo la Vigna è come una donna che dona ebrezza, che ci rivela la bellezza e l’essenza della natura: il mutare, il divenire, l’essere. Perché la vigna è una bambina a cui devi dare attenzione, cura, la protezione di un padre, l’amore di una madre. Ogni giorno chiede la tua presenza, ogni notte sogna le tue carezze. Il tuo passo tra quelle zolle grosse e secche, è quello che aveva tuo padre, e tutti padri che ci sono stati prima di lui. Sono i passi del tempo, che va e torna, che viene a potare, ad aggiustare tralci e pali, a raccogliere per creare. Ecco, ora puoi andare a rincorrere Reel e relazionarti con le frasi di un bambino non più lunghe di uno sguardo. Non ti ho fatto perdere tempo, ti mostrato quello che la tua anima non sa dirti.
You have to make your soul sit and focus on the Vineyard for more than thirty seconds, the time that a useless Reel on so-called "Social Media" steals from you. This is because your soul needs to settle what its senses perceive. It is an exercise that certain monks or spiritual beings call "meditation" but which is simply giving value to your time. Here, for example, is the Vineyard, if you look at it simply it is a continuous and repeated row of vine plants. However, this observation is not worthy of you who are, or should be, a living being, a thinking soul in a receptive body. Use your eyes. You see the blue of the sea and the approaching twilight, the sky lose strength and give the leaves of the vines an intense and intimate color, not the bright and strong one they have during the day. You see the clouds, there in the west, reddening and lighting up more and more intensely, covered by the swaying umbrella-shaped crowns of the ancient pine trees. They are the moments that bring memories and in which memory distills the day, preparing actors and scripts for future dreams. Now let's listen to the world. The wind, a tireless marathon runner, rises from the sea or descends hastily towards it, rustling the leaves and bringing you the village discussion that the Ciaule have in the sky, calling and answering each other until the infinite cry of a Cacciavento silences them and brings them to hide on branches or on electricity wires. They wait calmly for the bird of prey to return to the high mountains, among the airy abysses from where it dominates the world. You hear the voices of the beach, the shouting of children, the metallic and rhythmic running of a train, the sound of the bus, the crackling of motorbikes. Sound is part of man, for this reason the vines listen curiously in silence, writing in their grapes the songs of joy for when there will be a celebration or for when there will be pain to fight. The Vineyard lives in holy eternity and proof of this is the love that it gives to men. Now the perfumes. Scent of pine resin, intense, liberating, almost a miracle medicine. The smell of the wind, the humid smell of the sea, the dry smell of the mountain, made of burnt thistles and eternal olive trees. Warm smells in summer and dry, sharp smells in winter that the vineyard perceives and nourishes its bunches of, keeping the flavor of the earth in their blood and transforming it with the sun into sugar and exhilaration because the Vineyard is the magic of nature , the storyteller of the seasons. Its rows stretch out to live in the sun, its roots collect the soul of the earth. For this reason the Vineyard is like a woman who gives exhilaration, who reveals to us the beauty and essence of nature: changing, becoming, being. Because the vineyard is a little girl to whom you must give attention, care, the protection of a father, the love of a mother. Every day she asks for your presence, every night she dreams of your caresses. Your step among those large, dry clods is the one your father had, and all the fathers who were there before him. They are the steps of time, which comes and goes, which comes to prune, to adjust branches and poles, to collect to create. Here, now you can go chasing Reel and relate to a child's sentences no longer than a glance. I didn't waste your time, I showed you what your soul can't tell you.
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elperegrinodedios · 7 months
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Il seminatore
Gesù spesso usa delle illustrazioni estratte dal nostro ambiente naturale per evitenziare certi rapporti spirituali. La parabola dei 4 terreni n'è uno dei tanti esempi comprensibili da lui usati.
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Un contadino dell'epoca non poteva disporre dei macchinari attuali per la coltivazione della terra e quindi seminava manualmente, spargendo sul terreno i suoi semi, che pigiava poi con i mezzi a sua disposizione. Tali macchinari col passare del tempo sono cambiati, ma non sono cambiati nè i tipi di terreno nè le semenze. Cosi, il contadino semina a mano e molti semi cadono sul sentiero duro e non avendo aratro per pressarli, arrivano gli uccelli che li mangiano immediatamente. Poi altri semi cadono sul terreno roccioso, che visto dall'alto, non si distingue molto dal resto di quel campo. Ma dopo poco tempo, il contadino nota che le piante non crescono bene e le radici non riescono ad attecchire bene e, periscono per la mancanza d'acqua e la forte irradiazione solare.
Anche la semente che è caduta tra le spine non ha alcuna possibilità di sopravvivenza. Seppure il grano possa germogliare, i rovi e la sterpaglia selvaggia, soffoca in un tempo il tenero virgulto. Deperisce per la mancanza di luce e di spazio.
I semi però che cadono sul buon terreno, senza rocce o spine e che sono ben coperti dalla terra, germogliano prontamente portando cosi molto frutto. Il contadino dunque si rallegra contando su di un buon raccolto.
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AAA cercasi operai per la messe del Signore. Un lavoro a tempo illimitato, senza retribuzione, ma ricco di benedizioni, d'amore e di vita eterna. 📌
=🌾=
La parabola del seminatore e dei quattro terreni è un efficace esempio di quello che succede agli uomini, che ascoltano la Parola di Dio. E come i terreni che si distinguono nel modo d'accogliere il seme sparso, cosi pure gli uomini accettano la Parola di Dio in modi diversi.
=🌾=
Il seme è la parola di Dio. Coloro lungo la strada sono quelli che ascoltano ma poi viene il diavolo e porta via la parola dal loro cuore, affinchè non credano e non siano salvati. (Lu. 8:11-12)
Una parte cadde sulla via
Quelli che resistono alla parola di Dio sono quelli del sentiero calpestato nella parabola di Gesù. Il seme è stato seminato, e la predicazione è stata fatta ma il terreno è duro e l'uomo non permette che la parola entri nell'intimo del suo cuore. Per questi, e con questi, il diavolo ha gioco facile. E cosi, come gli uccelli si sono beccati i semi sul sentiero calpestato, egli ruba la parola di Dio dal cuore umano, prima che possa mettere le radici.
=📖=
Una parte cadde sulla roccia
Quelli sulla roccia sono coloro i quali, quando ascoltano la parola, la ricevono con gioia, ma costoro non hanno radice, e credono per un certo tempo ma, quando poi viene la prova si tirano indietro. (Lu. 8:13)
Una parre cadde tra le spine
Quello che è caduto tra le spine, sono coloro che ascoltano, ma poi se ne vanno e restano soffocati dalle preoccupazioni dalle ricchezze dai piaceri della vita non arrivando a maturità. (Lu. 8:14)
Una parte cadde su buon terreno
E quel seme che è caduto in un buon terreno sono coloro i quali, dopo avere udito la parola, la trattengono in un cuore onesto e buono, e portano frutto con perseveranza. (Lu. 8:15)
=🗝=
I terreni calpestati, rocciosi e ricoperti di spine, non possono e nè potranno mai produrre frutti.
lan ✍️
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mezzopieno-news · 5 hours
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Negli Stati Uniti, in California, la tribù Chumash ha raggiunto un risultato importante dopo nove anni di grande impegno: sarà il co-gestore del Santuario Marino Nazionale, una riserva di quasi 12.000 chilometri quadrati di acque costiere e offshore che si estende lungo 187.000 chilometri della costa centrale della California. Mai nella storia degli Usa era successo che venisse concessa la gestione di un’area protetta a una tribù di nativi.
Un traguardo storico importante che ha le sue radici nel 1969, anno a partire dal quale i Chumash hanno iniziato a sostenere la conservazione di questo ecosistema costiero che da sempre li ha accolti all’interno di un delicato equilibrio di coralli, alghe, squali, delfini, balene e foche. Per i Chumash il santuario non è solo la loro casa ma rappresenta soprattutto il loro legame con la propria storia: “Per preservare qualcosa, per proteggere qualcosa, le persone devono amarlo – ha dichiarato Violet Walker Sage, capo del Northern Chumash Tribal Council – e questo traguardo vuol dire darci l’opportunità di condividere le nostre storie e la nostra storia”. Il valore aggiunto rappresentato da questa co-gestione è dato dal fatto che adesso vi sarà l’opportunità di proteggere, gestire e tutelare in modo collaborativo le ricche risorse ecologiche e culturali dell’area, attingendo dalla conoscenza ecologica tribale generazionale, dai diversi input della comunità, e dalla ricerca accademica innovativa.
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Fonte: Chumash sancturay; foto di Pexels
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ambrenoir · 8 months
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Non m'interessa quello che hai fatto, quanto ti definisci spirituale, per quanto tempo riesci a resistere senza mangiare zuccheri, quanti viaggi hai fatto o chissà cos’altro.
Davvero.
Non mi interessa.
Voglio sapere invece, quanta umanità possiedi.
Sai sederti, nonostante il disagio, accanto a chi sta morendo?
Sai stare con il tuo dolore o il mio, senza cercare di dare consigli?
O trovare una soluzione immediata?
O trattenerlo?
Voglio sapere se hai il coraggio di mostrarti e di farti vedere per chi sei veramente, al di là di quanto tu possa essere illuminato, allineato o completo.
Riesci a mantenere uno spazio amorevole per la persona che ami mentre curi le tue stesse ferite, senza sforzarti di essere chi non sei?
Non ha nessun potere di seduzione il numero dei corsi online che hai collezionato, se vivi nel deserto, in una capanna di tronchi o se conosci alla perfezione l'arte del successo.
Ciò che mi emoziona sono le mani che agiscono e piantano radici.
Mi emoziona il fatto che tu riesca a fare quella telefonata, a salire su quell'aereo, ad amare i tuoi cari e a dare da mangiare alla tua famiglia, nonostante tutta la stanchezza.
Voglio vedere con quanta bellezza ti integri nella realtà ordinaria con la tua magia unica, quanta gratitudine e bellezza riesci a trovare in ciò che ti circonda e quanto sai essere presente nelle tue relazioni.
Voglio sapere se sai esserci e prenderti cura sia delle cose difficili che di quelle sante su questa Terra.
Voglio vedere che sai essere sincero, radicato e compassionevole e allo stesso tempo fiero del tuo potere, della tua passione e del tuo magnetismo.
Voglio sapere se anche durante i tuoi successi, sai fare un passo indietro ed essere abbastanza umile da tornare studente.
Ciò che è davvero bello per me è la tua capacità di gioire e celebrare i successi degli altri, al di là della tua grandezza.
Ciò che è veramente seducente è quanta capacità di dare possiedi dopo esser diventato pieno di te.
Ciò che è veramente prezioso è quanto tu ti stia impegnando per diventare un essere umano migliore in un mondo che sta in bilico su un materialismo diventato spirituale e usa la scusa della libertà per evitare ogni responsabilità.
Alla fine di tutto, non mi interessa quanto sei coraggioso.
Quanto sei produttivo, quanto famoso o quanto illuminato.
Alla fine, voglio sapere se sei stato gentile.
Se sei stato autentico.
Voglio sapere se di tanto in tanto puoi scendere dal tuo piedistallo per baciare la terra e lasciare che i tuoi capelli si sporchino e che i tuoi piedi sguazzino nel fango per unirti alla danza di tutti noi.
(Taylor Rose Godfre)
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venetianeli · 2 years
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Pitosto che perdar na tradision, ze' meio brusar un paese,, questo sentivo dire a casa mi quando ero piccino.
Stasera son nda " a BATTAR MARZO.
Iera anca un fià fresco, ma ne è valuta la pena; ne vale sempre la pena portar avanti le tradizioni dei nostri veci, dei nostri genitori.
Un popolo che non mantiene vive le proprie tradizioni, le proprie storie, le proprie radici,,, è destinato a scomparire...
Ringraziando chi mi ha aperto la porta di casa, per condividere un paio di chiacchere, e assaporare assieme un goccio.
Grazie a tutti.
BATI MARSO
“Bati, bati Marso,
che’l mato va descalso
cavàeo no morire
che l’erba butarà.”
Un tempo i rustici che vivevano tra le vie centuriate, erano convinti che il “Sapere” fosse stato tramandato ai loro antenati direttamente dagli dei e quindi ogni passo in avanti, per un villico, era la perdita di un frammento dell’antica “Conoscenza”. Per tale ragione nell’Ottocento i contadini compivano le stesse azioni dei loro avi congelando il mondo rurale per millenni. Tuttavia anche se il secolo appena trascorso ha visto eclissarsi molte delle nostre antiche tradizioni, a cavallo tra il mese di febbraio e quello di marzo si può sentite il familiare “bacan del batti marso”. Una remota pratica che consisteva nel gironzolare per le strade battendo su pentole, barattoli, bidoni e qualsiasi altro strumento casalingo inventato per l’occasione.
Lo scopo era di far scappar via l’inverno e risvegliare gli spiriti della terra, propiziare e incoraggiare la rinascita della natura; un auspicio per l’arrivo della PRIMAVERA!
CAO DE L’ANO E BATI MARSO:
CAPODANNO VENETO:
I festeggiamenti per il primo giorno dell’anno (cao de l’ano) erano una festività riconosciuta dalla Serenissima Repubblica di Venezia. Secondo la tradizione nei giorni che precedono o seguono il primo marzo, la gente usciva nelle strade con pentole, coperchi e altri strumenti musicali fatti in casa battendoli e facendo una gran confusione. Questo era il modo per scacciare il freddo dell’inverno e propiziare l’arrivo della bella stagione: da qui il nome di Bati Marso.
In alcuni casi questa usanza si è tramandata nei secoli ed è arrivata fino ai giorni nostri. In alcune parti del Veneto si usa ancora pronunciare questa filastrocca
Vegnì fora zente, vegnì
vegnì in strada a far casoto,
a bàtare Marso co coerci, tece e pignate!
A la Natura dovemo farghe corajo, sigando e cantando,
par svejar fora i spiriti de la tera!
Vegnì fora tuti bei e bruti.
Bati, bati Marso che ‘l mato va descalso,
femo casoto fin che riva sera
e ciamemo co forsa ea Primavera.
Vegnì fora zente, vegnì fora!. . . .
Fino al 1797, anno dell’invasione napoleonica, il Capodanno in Veneto si festeggiava il 1° marzo, in linea con una tradizione molto più antica del calendario gregoriano, ovvero quella romana, più vicina al ciclo lunare e con dieci mesi anziché dodici.
Il termine ‘more veneto’ (=secondo l’uso veneto, a modo veneto), che veniva abbreviato in m.v. accanto alla data utilizzata nei documenti e nelle annotazioni, indicava proprio il diverso uso secondo lo stile più diffuso dell’epoca, che era, appunto, l’attuale gregoriano, introdotto nel VI secolo da papa Gregorio Magno.
L’usanza di origini molto antiche, secondo tale sistema faceva coincidere i mesi di settembre, ottobre, novembre e dicembre effettivamente con il settimo, l’ottavo, il nono e il decimo mese dell’anno, come indicato dal nome.
L’uso di collocare l’inizio dell’anno in corrispondenza con l’inizio della bella stagione, del risveglio naturale della vita in primavera, era una pratica arcaica alquanto diffusa, che possiamo tuttora trovare anche nel calendario cinese.
Testimonianze odierne dell’antica tradizione del capodanno veneto si hanno ancora in alcune zone della pedemontana berica, dell’altopiano di Asiago e in varie feste locali del Trevigiano, del Padovano e del Bassanese, dove è celebrata come l’usanza del Bruza Marzo, del Bati Marzo o del ciamàr Marzo, simboleggiante il risveglio della nuova stagione.
BATI MARSO
"A l'epoca de ła Serenìsima Republica, el Cao de ano, invesse che al 1° de genaro come previsto dal całendario giulian e dopo da queło gregorian, el cascava el 1° de marso. Sta tradission par che ła vegna da l'antico całendario che doparava i Romani prima de Giulio Cesare, che el faxéa scominsiar l'ano dal méxe de marso (e difati in sta maniera i mesi de setenbre, otobre, novenbre e diçenbre i vien a èsar efetivamente i méxi numaro sete, oto, nove e diexe come dixe el nome). Par no far confuxion, i Veneti de na òlta in parte a ła data i ghe scrivéa more veneto, cioè leteralmente "a ła maniera Veneta". Donca, ła data, metemo, del "14 febraro 1703" a Venessia ła deventava "14 febraro 1702 more veneto", parché el febraro l'era efetivamente l'ultimo méxe de l'ano vecio, e el 1703 el scominsiava soło in marso".
Ła festa del Bati Marso ła se svolgéa apunto in tei ultimi jorni de l'ano, e ła prevedéa de 'ndar in giro par łe strade batendo su cuèrciołi, pignate e altri strumenti muxicałi "fati in caxa" faxendo un gran bordèło, con l'intento de far scampar via l'inverno e el fredo e propiziarse l'arivo de ła beła stajon, par poder scuminsiar i laori 'gricołi."
L. Tosatto
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furrycollectorsoul · 2 years
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NO alla religione in politica.
In qualsiasi forma, è bene che le convinzioni religiose (superstizione) non entrino in politica. I disvalori cristiani hanno reso l'Italia un Paese dove, per motivi religiosi (superstizione), si sono commessi omicidi e ostracismi; l'antisemitismo nasce con il cristianesimo: di questo abbiamo prove anche in Italia, con la presenza di numerosi ghetti ebraici (istituiti in Italia tra il XVI e il XIX secolo, secondo i dettami della bolla Cum nimis absurdum di papa Paolo IV del 1555). La chiusura dei ghetti avvenne solo nell'Ottocento. 
Il culto cristiano (d'origine ebraica) è stato importato in Italia, in un'epoca in cui eravamo già Civilizzati dalla cultura greco-romana; il cristianesimo non rappresenta affatto le radici italiane/europee, ma un pessimo momento storico di regressione sociale. Il cristianesimo è una superstizione antisemita, xenofoba, razzista, omofoba, misogina, maschilista; se non ci fossero mai più state, dopo il fascismo, interferenze politiche della chiesa cattolica nella politica italiana, oggi avremmo un welfare socialdemocratico e diritti sociali, civili ben garantiti.
Dichiararsi pubblicamente cattolici, manda un messaggio preciso: si dice ai terzi di essere maschilisti, misogini, razzisti, xenofobi, omofobi; si professa di essere persone Incivili e Ignoranti, poiché la chiesa di Roma fa apologia di tali disvalori. Un papa, un sacerdote della chiesa cattolica non è altro che uno sciamano, un truffatore: un soggetto meschino che usa la superstizione, l'Ignoranza altrui per condurre una vita privilegiata, senza lavorare. Qualsiasi 'opinione' provenga da tali TRUFFATORI va tassativamente rigettata.
La religione non è verità, ma superstizione; è un aspetto privato delle persone, non pubblico; un religioso ha diritto a fare ciò che vuole, secondo i suoi principi, del suo corpo, della sua vita, non di imporlo agli altri - bambini compresi, a cui si deve offrire Cultura.
La religione non è Cultura, ma mera superstizione, creduloneria, da cui tenersi alla larga; per comportarci in modo Civile non abbiamo bisogno di alcuna religione, ma di una Coscienza - che si può costruire solo attraverso Scienza e Cultura.
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margherita-la-toms · 2 years
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Non credo agli auguri in tempi fioriti e non credo agli auguri fatti ad un genere. Credo a chi usa la propria forza nascosta, a chi sa farcela da solo, credo alla bontà, credo alle donne oneste e dal sorriso puro, credo alla luce in fondo al tunnel se saprai percorre ogni metro di vita, credo alla resistenza e non credo alla scorciatoie, credo anche che ci siano donne tanto malsane e dall'anima cupa, credo agli uomini che ce la mettono tutta per occupare un cuore malato, credo ai padri forti, alle mamme senza stanchezza, credo ai figli più saggi degli adulti, credo che non ce la faremo ma possiamo vivere con la stessa intenzione, credo in chi ha creduto con tutta la sua forza ed intelligenza in un ideale, credo in chi lascerà il pianeta un po' più in ordine di come lo ha trovato, credo nel presente che si fa onore di ciò che è stato, credo nelle persone cattive, credo nelle cose belle che fanno bene al cuore, credo negli abbracci alla sera nella propria casa che assomiglia ad un nido, credo nelle lacrime di mio figlio, credo nel potere magico della natura, nelle radici nascoste nel cielo, credo nelle stelle che brillano sotto il sole, credo in me stessa e in chi amo, credo che esistano persone belle, uomini e donne e a loro dico grazie, grazie di voi, di noi, della gioia pulita e saggia che è.
Margherita
©Giuseppe Palmisano
#margheritalatom #lemarg
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abr · 1 year
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Negli anni ‘80 le mummie del Cremlino usavano il contingente cubano e i loro «consiglieri» per appoggiare regimi amici in Africa. Oggi Vladimir Putin dispone della compagnia di sicurezza Wagner, impegnata da tempo in un grande «safari». (...) Mosca – sottolineano le indiscrezioni (dal Foggy Bottom del Pentagono e del Deep State di Washington) rilanciate dal (loro house organ) Washington Post – si è mossa per piazzare sue basi, ha dato il suo supporto ad eserciti africani, ha manovrato per (difendere e incrementare i regimi) anti-occidentali. Un obiettivo ampliato dopo l’invasione dell’Ucraina, con missioni a ripetizione, (intelligente) ricerca di sponde diplomatiche (contrariamente al più brutale alleato cinese, che lavora coi soldi) – vedi il Sudafrica – promesse e aiuti. Sono una dozzina i Paesi dove (...) agiscono (...) con presenze di consistenza diversa. Hanno messo radici in Libia al fianco del generale Haftar, «signore» della Cirenaica, zona diventata un avamposto formidabile, utile per proiezioni oltre i confini libici (btw, grazie a Francia, UK e Obama per averci tolto il controllo di quel Paese, per regalarlo al loro nemico giurato).
Sono corsi in Mozambico, però le hanno «buscate» con perdite. È andata meglio in Mali e Centrafrica, due Paesi dove la «ditta» ha conquistato posizioni sfruttando gli errori e il risentimento verso l'ex colonialista francese (ex? Ndr) e la grave situazione socio-economica. I russi hanno cavalcato alla grande (gli investimenti dei cinesi, gli errori occidentali tipo eliminazione di Gheddafi e quelli nei confronti dei vicini, come l'ostilità di Biden verso Israele e i Paesi arabi ricchi) (...).
In Sudan (i russi) hanno stretto un buon rapporto con le milizie del generale Mohamed Dagalo, però hanno anche preservato i rapporti con il potere centrale incarnato dal generale Abdel Fattah Al Burhan. La Russia punta ad ottenere una base sul Mar Rosso – c’è un accordo di principio – ed è interessata al traffico d’oro gestito proprio da Dagalo, appoggiato a sua volta dagli Emirati Arabi (...). Secondo gli osservatori i russi sono piuttosto cauti (...), non vogliono sbilanciarsi più di tanto e bruciare i ponti. L’Africa non è facile neppure per loro. (...) In Centrafrica, (...) dove traggono vantaggi dalle miniere, la «compagnia» ha spinto indietro i ribelli, tuttavia restano i pericoli documentati dalla strage di tecnici cinesi.Washington (...) da tempo ha dato vita ad una contro-strategia (esercitando) pressioni, sollecitando la cooperazione di vecchi partner (...), specie in chiave anti-terrorismo con droni, ricognitori e commandos. Hanno il Comando Africa basato però a Stoccarda perché nessuno Stato lo ha voluto ospitare (in realtà gli americani preferiscono starsene al sicuro, mandando sul campo solo droni e commandos). (Specializzazione Usa, la "guerra sporca":) in un’occasione – sempre secondo le carte top secret – ha organizzato un’operazione coperta per distruggere un velivolo della Wagner in Libia. Più in generale gli investimenti statunitensi e l’attenzione sono diventati inferiori rispetto a quelli dei concorrenti, cinesi in particolare. (Stessa cosa succede ai loro "Alleati": UK è fuori da un pezzo, conta meno dell'Italia; il Sudafrica che ai tempi combatté i cubani in Angola, post apartheid ha girato le spalle agli Usa, mentre) Parigi, dopo aver dominato per decenni, è in ripiegamento. Lasciato il Mali, è stata messa alla porta in Burkina Faso, altro «attore» corteggiato dai russi. Adesso teme per il Ciad e, stando alle carte riservate, è pronta a colpire se il pendolo dovesse spostarsi in favore di Mosca. Girano voci di rischio golpe (cme sempe "spintaneo"). Da buoni opportunisti a Mosca aspettano. La nuova guerra fredda passa per le terre calde.
dal corrierone bel pezzo di Marinelli e G.Olimpio, basta depurarlo dalla propaganda e arricchrirlo di memoria storica (fatto: la realtà trapela anche quando viene "vestita"). https://www.corriere.it/esteri/23_aprile_24/wagner-sudan-48ba15c0-e200-11ed-a60a-9823b7efe925.shtml
Siamo di nuovo in pieno BIG GAME geopolitico. Solo che stavolta non vi dicono che arranchiamo e come ai vecchi bei tempi ci affidiamo alle operazioni speciali (tipo North Stream) e ai golpe della CIa coi suoi Pinochet.
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tastatast · 3 months
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D’O - Davide Oldani
LA LOCALITZACIÓ I LA HISTÒRIA.
D’O és el restaurant del cuiner Davide Oldani. Situat arran de carrer, amb finestres de vidre de terra fins al sostre que permeten veure el menjador, a la plaça de l’Església de San Pietro all’Olmo, a Cornaredo, ens trobem a les afores de Milano, a uns 15 km al nord-oest de la ciutat.
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Obert la tardor de 2003, quan en Davide tenia 36 anys, amb pocs recursos i amb l’ajuda (recalca que únicament moral i no econòmica) del seu pare, des del juny de 2016 el D’O se situa en aquesta plaça que el cuiner ha convertit en una plaça gastronòmica amb les recents obertures, l’octubre del 2023, del restaurant Olmo i de l’obrador Next d’Oor on elaboren tots els pans per als seus dos restaurants. 
Només d’arribar, ens va voler ensenyar l’Olmo amb orgull, ressaltant elements del disseny com les parets de resina de Kerakoll, els llums Bontà d’Artemide, el marbre de Carrara de la barra i les taules de fusta d’om d’Artwood Academy, amb barnisos antibacterians i que es poden ajuntar encaixant com un puzle amb la forma del continent Pangea. 
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També ens explica, donant molta importància al benestar que ha de generar menjar a un restaurant, que les taules i cadires estan a 80 i 50 cm d’alçada respectivament per tal de facilitar una bona digestió. Segurament, el moment i el fet d’explicar-ho és criticable, però estic totalment d’acord amb ell. Sóc la primera que sempre m’he queixat dels bancs i les cadires de disseny que tants i tants restaurants ofereixen per a menjar i de les males maneres amb les que es menja a moltes pel·lícules i sèries de televisió, fins i tot en butaques i sofàs, amb l’estómac estrangulat i impedint una bona postura corporal i de bona educació. Tamb�� m’agrada que no presenti l’Olmo com una segona línia, com un bistró o com quelcom de segona categoria, sinó com el segon restaurant que ha obert, simplement oferint plats diferents i prou, simplement els va descriure com a plats més radicals i utilitzant un producte encara més local.
A l’Olmo, per a 14 comensals, hi ofereix el Menú Radici, que es llegeix de baix cap a dalt, tal com creixen els arbres, de terra cap al cel. Perquè, com explica, a la vida, primer creixen les arrels i, després, es recullen els fruits. Fins i tot, explica que les sabates de l’equip estan fetes amb algues, aliments rebutjats i materials reciclats, es tracta de les Yatay de Golden Goose.
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Pel que fa als premis i reconeixements internacionals, el D’O va guanyar la primera estrella Michelin el novembre del 2004 per a la guia del 2005 i la segona estrella i l’estrella verda, el 2020, per a la guia del 2021. Des del 2020, també apareix a la llista dels Europe Top Restaurants de l’OAD en posicions que voregen el número 60. A més, apareix a guies i associacions com Les Grandes Tables du Monde, Le Soste i Ambasciatori Italiani del Gusto.
LES PERSONES.
En Davie Oldani (Milano, 1967) és un cuiner que es dedicava al futbol professional, però una lesió greu quan tenia 16 anys el va fer retirar abans d’hora. Tant és així que, l’any 1983, va iniciar els estudis a l’Istituto Alberghiero Carlo Porta de Milano i, tot seguit, va treballar amb Gualtiero Marchesi al restaurant de Milano, del 1987 al 1989 com a cap de partida i del 09/1991 al 08/1993 com a cap de cuina, anys que en què també va treballar com a consultor al Gran Hotel “The Inn at Spanish Bay” de Monterey California USA i al Gran Hotel “New Otani” de Tokyo, tots dos sota la direcció de Gualtiero Marchesi.
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L’any 1990-1991 va treballar amb Alain Ducasse a Montecarlo, després amb l’Albert Roux a Le Gavroche de Mayfair, on va coincidir amb en Gordon Ramsay, i l’any 1993 a Fauchon París, anys en què Pierre Hermé va ser el cap de la pastisseria durant 10 anys, del 1986 al 1996. 
Un cuiner que treballa per marques com Lavazza i Dom Pérignon, que surt a la televisió i a la ràdio, qui ha publicat pràcticament una desena de llibres i, fins i tot, l’any 2013 va ser convidat a Harvard per parlar de la seva experiència emprenedora després que el seu cas fos publicat a la Harvard Business School Review en el que diversos economistes de la universitat definissin el seu enfocament i organització per a treballar a la cuina i els consideressin per a aplicar-los a altres camps més enllà de la restauració. En quant al màrqueting i a la comunicació, no li falta detall, fins i tot té un Champagne de Jean Baptiste Martin etiquetat per a ell. Això sí, la pàgina web trobo que hauria de millorar i, com a mínim, oferir la possibilitat de veure l’oferta culinària i la possibilitat de reservar online.
Tal i com ja hem vist quan ens ensenyava l’Olmo, a en Davide Oldani sembla que li interessa el món del disseny i que hi té una forta relació, fins al punt de col·laborar amb moltes cases com Aran Cucine, amb qui va dissenyar una cuina per a la innovació en el camp de la Kitchen Design o amb Attile Veress, amb qui va fer la Cucina D’O, una taula que disposa d'un petit espai on poder col·locar els telèfons, les claus i qualsevol altra cosa per deixar la taula lliure per menjar. De fet, és la taula on vam dinar, una taula que diu que costa 10.000€. A més, també presumeix d’haver dissenyat tot els elements del seu restaurant: els coberts, les cadires, els llums, la distribució de la cuina, els uniformes de l’equip, etc. És veritat que col·labora amb algunes cases de disseny per aportar el seu punt de vista com a cuiner, però d’aquí a dir que tot està dissenyat per ell, em sembla una mica exagerat. Al final, el que fa és gravar “D’O” a la vaixella, a la coberteria i a les tovalles i tovallons, però dubto que s’involucri gaire més enllà a l’hora d’elaborar el disseny final, dubto que sigui ell el creador. També, se li atribueix la creació del Passive Cooker, un temporitzador per a la pasta, que va fer amb Barilla i que ajuda tant a l’estalvi energètic com a una bona cocció de la pasta a través del mètode Parisi* que, a més, evita afegir tant de greix a posterior. 
*Pietro Parisi és un cuiner de Nàpols conegut pel seu mètode de cocció de la pasta basat en torrar la pasta crua, abans de bullir-la, per tal que surti tot el caràcter del gra, afegir aigua a poc a poc, només la que calgui, tal com es fa amb l’arròs, apagar el foc i deixar-ho reposar. Segons Parisi, el midó atrapat a la pasta s’uneix amb els condiments i, d’aquesta manera, no cal afegir tant de greix per aconseguir la cremositat i la melositat que es busca en els plats de pasta.
L’EQUIP.
Està format per uns 50 treballadors entre cuina, sala i oficines, per a una mitjana de 9 taules.
El seu cap de cuina i qui realment està a la cuina durant tot el servei és l’Alessandro Procopio (1983, Calàbria), qui treballa al D’O des del primer dia, des de l’any 2003, encara que marxés 7 anys a formar-se a Le Gavroche, amb Ducasse i amb Troisgros fins el 2010, quan es va reincorporar a la plantilla del D’O.
A la sala, en Davide Novati (de Brianza) també fa 20 anys que hi treballa. Una maître excel·lent que ens va atendre amb molta professionalitat, rigor, amabilitat i amb molts detalls dignes dels grans restaurants.
Com a sommelier, en Manuele Pirovano, més informal i divertit, treballa al D’O des del 2004. Ens va atendre molt al nostre gust, sense fums, comunicatiu, sabent escoltar i proposant vins amb el perfil que li demanàvem.
En Davide Oldani parla molt de l’equip. Fa goig quan es veuen plantilles amb tants treballadors que hi són des del primer dia, trobo que diu molt, tant d’ell com de l’entorn i de l’empresa.
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La dona d’en Davide Oldani, l’Evelina Rolandi, també forma part de l’equip, al departament de comunicació. Fins i tot, vam poder saludar la seva filla, d’uns 10 anys. I és que tant la plaça del poble com el restaurant són ben familiars. 
L’OFERTA CULINÀRIA.
No ofereix la possibilitat de menjar a la carta i ofereix 4 menús: el Leggerezza (el vegetal), l’Esattezza (5 plats 155€ i maridatge de 5 copes 85€), l’Armonia (8 plats 180€ i maridatge de 6 copes 130€) i el Molteplicità (que no revelen fins que no arribes al restaurant i només en cas de preguntar-ho, és el més llarg i el venen com l’experiència més completa de la seva cuina, 200€ i maridatge de 150€).
VAM MENJAR.
El Menú Molteplicità (200€) afegint el plat de morone (30€ per persona).
Un menú amb 21 “plats”: 4 aperitius, 1 amuse-bouche, 9 plats salats, 1 formatge, 1 postres i 5 petits fours.
L’ÀPAT.
ELS APERITIUS.
1. Candela al rosmarino, frisella soffice al datterino giallo e aceto di riso. 
Donen la benvinguda encenent una espelma plana que, de seguida, es fon i es torna líquida. Es tracta d’una espelma d’oli d’oliva verge extra de la Puglia, cera d’abella i romaní.
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En un platet, davant de cada comensal, un quadradet d’un pa tou, entre un pa de motlle i una massa crua com un bun, fet amb aigua de tomàquet Datterino groc (petit com un cherry però ovalat) i vinagre d’arròs, i amb sal gruixuda per sobre. No sé per què li diuen frisella si no té res a veure amb aquesta galeta o pa sec salat del sud d'Itàlia, que és cruixent i irregularment rodó, de vegades en forma de dònut (enroscada en forma de tarallo o de rosquilla).
La idea era que, amb l’ajuda d’una mena de cullera de porcellana, untéssim el pa amb l’oli semi-dens.
L’oli d’oliva es tornava a solidificar de seguida, tenia molt de gust de romaní i la consistència tova ideal per a untar el pa perfectament.
Un pa amb oli amb la densitat d’una mantega que, tot i que tingués un gust conegut, sortia de l’afrancesat pa amb mantega. Una idea prou enginyosa per a iniciar l’àpat.
Impossible no pensar en l’espelma de greix de bou que vaig menjar el 2015 a l’Story (Londres) d’en Tom Sellers.
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2. Crostino con tartare di mondeghili.
Una torradeta rodona d’un pa tipus tramezzini i, a sobre, una mandonghili, una mandonguilla milanesa feta a base de carn cuita i que ells fan amb un tàrtar de vedella i rematen amb una mica d’or a sobre. El pa estava lleugerament untat amb una compota de llimona. 
La torrada era tova i tenia gust de parmesà. La carn del tàrtar no tenia un color vermell gaire intens, semblava un pèl oxidat.
3. Sablé al pomodoro e Grana, senape di Dijon e anguria.
Una galeta de mantega, Grana Padano i tomàquet.
M’encanta la textura del sablé, una galeta lleugera i una mica trencadissa però sense arribar a ser pasta de full. Boníssima, em va recordar les galetes del Bubó de fa tants anys. Aquesta duia, per sobre, un trosset de síndria marinada amb mostassa de Dijon i, també per sobre, una mica de sèsam negre torrat.
4. Bignè quadrati alla bagna cauda e misoltino.
Un cub de pasta choux o bignè, de lionesa, farcit amb bagna cauda (la famosa salsa piemontesa d’anxoves, alls i oli) i, per sobre, un trosset de Missoltino*, un peix assecat del Lago di Como, i un trosset de pell de llimona.
*El Missoltino és una recepta típica del Lago di Como a base d’agone (Alosa agone o Alosa fallax, entre altres, en llatí), un peix que es troba principalment als llacs prealpins com el de Como, Maggiore, Lugano, Garda, Iseo i Orta i que s’eviscera, se sala, s’asseca a l’aire lliure (actualment en forns especials), es premsa i es conserva amb fulles de llorer durant uns mesos. Si es pesquen al maig-juny (quan es reprodueixen), no estan llestos fins a l’octubre, més o menys. Una recepta que va néixer com a mètode de conservació del peix i que trobo que no deixa d’assemblar-se molt al narezushi o a les nostres arengades i, en menor mesura, al nostre garum. El dia següent, en vaig veure al mercat de Como a 49€/kg. 
Ens van avisar que podia rebentar però no ho va pas fer. La massa no era pas de lionesa com ens havien anunciat, però tampoc era ben bé de pasta de full. La crema de l’interior era densa i n’hi havia molt poca. No vaig notar ni el gust de les anxoves ni el gust del trosset de peix que duia per sobre que, en tot cas, es notava per la salinitat que aportava.
Tots 4 aperitius servits a la vegada.
5. Pasta e fasò: insalata di pasta mista, fagioli, aceto di xeres, bottarga di muggine e santoreggia.
La segona part de la benvinguda era un altre amuse-bouche.
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Una revisió de la “pasta e fasò”, que vol dir “pasta e fagioli”, el plat tradicional de Milano a base d’un tipus de pasta i fesols llegums. Ells posen diferents tipus de pasta enlloc d’utilitzar-ne només un, fent la recepta a l’estil de Nàpols. Sis trossets de diferents tipus de pasta i una desena de llegums “del Trasimeno” del Lazio (d'a prop de Roma), semblants a uns fesols de l’ull ros o a uns genoll de Crist petits, uns llegums de calibre petit, sabor suau i pell fina. A la base, un puré dels mateixos llegums. 
No vaig entendre en quin moment de l’elaboració utilitzaven el vinagre de Jerez ni la sajolida (santoreggia) ni el marduix (maggiorana), potser era en la cocció dels llegums.
Un plat tractat amb poca gràcia i que no va brillar. Això sí, els llegums eren prou delicats i molt ben cuits. Un ració un pèl escassa i servida freda a mode d’amanida. Em va recordar els macarrons que servien a l’Hispània dient que eren els que havien sobrat el dia anterior i deixats de mala manera sobre la taula per una de les “hispàniques”. Farinositat dels llegums i més farina de la pasta. Suposo que és el que tenen les receptes tradicionals de la cuina de subsistència, però trobo que tant la pasta com els llegums podrien haver sigut més gustosos (cuits amb algun vegetal o alguna part del porc a l’estil del blat de moro escairat, per exemple). La botarga de llissa llobarrera ratllada tampoc es notava gaire. 
ELS PLATS.
6. Grana Padano Riserva 27 mesi, caldo e freddo: melanzana caramellata a portata di mano.
La “melanzana caramellata” és el plat que substitueix la seva famosa “cipolla caramellata” a l’estiu, ja que no és època de cebes i n’és d’albergínies.
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En aquest cas, es tracta de la versió moderna, ja que va deixar de fer la clàssica perquè diu que era massa grossa i perquè els clients històrics preferien la moderna. Així que, tot i que la demanés per encàrrec, no va ser possible menjar-la.
El plat consta d’una compota d’albergínia (a la base), una mena de concentrat de tomàquet amb perfum d’orenga, una escuma de Grana Padano tèbia, un gelat de Grana Padano i una sfoglia (pasta de full) caramel·litzada (amb sucre) i esmicolada.
Tot i que no ho anunciïn així, no deixa de ser una desconstrucció d’una “melanzane alla parmigiana” que serveixen per a menjar “a portata di mano”, amb una mini cullereta d’Azioni, una mena de pala de porcellana o ceràmica, com a cobert.
Una desconstrucció amb els següents canvis. Primer, els trossos d’albergínia passaven a ser una compota amb textura cremosa de puré enlloc de ser més masticable com a la versió tradicional. Després, el formatge era Grana Padano enlloc dels més habituals parmesà, mozzarella, pecorino o scamorza i també estava present en textura cremosa, en aquest cas en forma d’escuma tèbia (evidentment, de sifó) i en forma de gelat enlloc de ser més masticable i gomós tal com es nota en la recepta original quan se serveix calenta. El tomàquet seguia sent una salsa concentrada, però possiblement més densa que en la versió original i, a més, estava aromatitzada amb orenga enlloc d’alfàbrega. Diria que no portava all. El cruixent l’aportaven a través del crumble enlloc del gratinat tradicional.
Com la majoria de les desconstruccions reconstruïdes a base de tècniques modernes els gustos i les textures eren més toves, més lleugeres, menys masticables, menys untuoses, amb menys caramel·litzats i torrats propis de la Maillard i amb gustos més inerts, esterilitzats, passius.
Un fred i calent que es desfeia de seguida, molt agradable, molt disfrutable. Un plat fàcil d’agradar, amable i molt bo, però em vaig quedar amb les ganes de provar la versió amb ceba, tant la clàssica com la moderna. M’hauré de conformar amb el record que tinc de la "Cipolla caramellata con Grana Padano" que vaig menjar al Dina, on l’Alberto Gipponi fa un homenatge a en Davide Oldani amb la seva versió d’aquest plat i que ja vaig explicar a la crònica d’aquest àpat el passat mes de novembre de 2023.
7. Calamaretto spillo ripieni: caviale Oscietra, aneto e ravanelli acidici.
Uns calamars molt petits (no deuen fer ni 10 grams cada un) que es diuen spillo (d’agulla) perquè pràcticament s’han de pescar amb una agulla de cosir. De fet, els millors es pesquen amb làmperes i una xarxa molt petita, aquests no eren d’arrossegament, així que pràcticament no deu caler ni netejar-los. Diria que el nom científic deu ser Alloteuthis media i van a uns 60-80€/kg. 
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Uns calamar molt tendres, amb la pell molt prima i d’un gust molt subtil que sempre valoro més per la seva textura que pel gust. Tot i que diria que és un calamar bastant comú a tota la costa italiana, els havia menjat de Sicília tant a Del Cambio com a l’Andreina; en aquest cas eren d’Argentario (Toscana).
S’acostumen a cuinar fregits o amb pastes tipus linguini. 
L’Oldani presenta els calamaretti spillo farcits amb un puré a base de pa, tomàquet Datterino i nepetella (una planta de la tribu de les Mentheae semblant al poleo i a la menta). Haurien de fer un monument al cuiner que li toca farcir-los! Santa paciència!
A la base, una royale de sépia. A sobre, una salsa cremosa feta amb un fons de bolets, una emulsió d’herbes amb anet (els puntets verds), una emulsió de raves envinagrats (en italià tant diuen rapanelli com ravanelli, noms que fan referència tant al rave comú Raphanus sativus com al rave silvestre Raphanus raphanistrum) (els puntets transparents). Al centre, caviar Ossetra de Mongòlia de la casa Kaviari de París, un caviar grisós i bastant daurat, de bon calibre, de textura ferma i tova i de gust més aviat de fruits secs.
Pel que fa a la royale, tot i que el gust era ben clàssic amb crema de llet i es notava el gust marí de la sépia, la textura era més de flam que de royale, era poc escumosa, una capa prima a la base del plat. La salsa de bolets també es notava làctica. Deliciós, aquest bon gust fàcil d’agradar, amable i càlid a través de la crema de llet. Tot un plat de cremositats: del caviar, de la royale, de la salsa de bolets, de les emulsions… El post-gust era salat i amb aquella elegant greixositat. Un plat que actualment considerem maquillat pel làctic però molt atraient i satisfactori. Al final, el de menys era el calamar.
 
8. “Condiglione estivo”, tonno rosso in salagione, Olive taggiasche disidratate e San Marzano soffice.
Condiglione és una amanida típica de la Ligúria (cundigiun en lígur), concretament de Ventimiglia, i que no deixa de ser una amanida niçoise.
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Mongetes verdes, patates al vapor tallades molt finament i enrotllades, ceba vermella envinagrada, olives Taggiasche deshidratades i molt cruixents, tonyina vermella marinada de Sicília. Tot plegat, amanit amb una salsa d’anacards, salsa de soja i gingebre. Per a afegir l’ou i el tomàquet de l’amanida, serveixen un soufflé.
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Les mongetes tendres les hagués preferit un punt menys cuites. La ceba tenia moltíssim vinagre. Les olives eren cruixents i amargues, semblaven cafè i tot, molt bones. La tonyina estava una mica massa macerada amb soja, deixaria lluir més l’excepcionalitat d’un producte tant bo.
Un d’aquests plats que menges pràcticament d’ingredient en ingredient sense agafar un cullerada homogènia.
Una altra desconstrucció que em va semblar curiosa per dos factors. Per una banda, pel fet de barrejar l’acidesa de la ceba en vinagre amb el soufflé d’ou i tomàquet. Per altra banda, pel fet de servir el soufflé tan calent per a un plat fred com una amanida.
9. Malfatti tondi, sifonata al Bagoss, composta di mirtilli e tartufo nero in conserva.
Tres malfatti tondi, uns nyoquis rodons, fets de ricotta i espinacs, amb farina i ou, però sense patata. Per sobre, una escuma (de sifó) de Bagoss di Bagolino, un formatge de vaca del poble de Bagolino (Brescia, Lombardia) i, per rematar el plat, una pols de sàlvia deshidratada. 
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A sota, també hi havia una salsa a base de mantega i tòfona negra en conserva de Norcia (Perugia, Umbria); van dir que era tuber melanosporum, però hagués pogut passar per uncinatum, aestivium o alguna varietat menor. Finalment, una compota de nabius.
Calent i suficientment gros per a gaudir i gaudir. Potser, una ració massa gran i tot. Els nyoquis eren excel·lents, tant per textura com per gust. A jutjar pel color vermellós, més que nabius semblaven gerds. L’escuma de formatge era densa i fins i tot enganxosa de tan greixosa que era. Un plat que quan el menges, com per acte reflex et surt un "mmmh!". Boníssim!
10. “Dripping”: minestrone alla milanese, ricciola marinata, profumo di yuzu e Carnaroli mantecato.
Un plat que anomenen “dripping” per la tècnica que va desenvolupar en Jackson Pollock, també anomenada “splashing”, que consistia a llançar pintura sobre la tela sense fer un dibuix ni un esbós previ.
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Expliquen que el primer cuiner que ho va utilitzar per a decorar un plat va ser en Gualtiero Marchesi l’any 2004 amb el famós plat quadrat de peix, diria que de calamars i cloïsses, demostrant el seu entusiasme per les belles arts. 
Ells serveixen aquest risotto fet a base de Carnaroli mantecato al Grana Padano i mantega i, per sobre, hi llencen 4 salses amb la tècnica del dripping: de tinta de sépia (la negra), de créixens (la verda), de pebrot groc (la groga) i d’una sopa de peix a base de crustacis (la vermella). També, per sobre, 3 rodanxes de cerviola marinada. Recomanen no barrejar-ho, no acabo d’entendre per què.
Estèticament, preciós; a més, s’assemblava bastant al plat original d’en Marchesi, amb el fons blanc i les salses dels mateixos colors per sobre, tot i que la vermella era de tomàquet i la groga era una maionesa líquida. L’olor general era cítrica de yuzu. L’arròs estava ben al dente, a un molt bon punt i, potser era la quantitat de mantega que ja havia ingerit, però el plat no tenia pas gust de la mantega de l’arròs. Les tres làmines rodones de cerviola tenien gust de peix i cítric, però la textura era fibrosa, dura i un pèl seca.
Molt ben fet, però vaig gaudir més amb els nyoquis, que eren menys pesats. La quantitat em va semblar excessiva.
11. Trancio di morone, emulsione di lattuga, erba cipollina, ragù di ostriche e cialda al fumetto.
Un plat de peix que vaig voler afegir pensant-me que es tractava d’una morena.
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Un tros de llom de morone, un peix que no vaig aclarir si era Centrolophus niger (ricciola di fondale, rotllo negre, pàmpol, negret o carboner en català i romerillo en castellà) o Morone saxatilis (persico spigola, llobarro atlàntic ratllat). Segons ens van dir, era un peix de la família de la cerviola, però a mi em va semblar més un llobarro, així que em decanto pel morone saxatilis.
Estava cuit en una paella. Aquest exemplar era de Ligúria i feia uns 15-20 kg. A la base, una salsa d’enciam amb un ragú d’ostres Gillardeau nº3 (Île d'Oléron, Normandia) i una mica de cibulet. A sobre, una “oblea” cruixent feta amb un fumet de peix. En un plat a part, ofereixen uns grissini fets per ells amb oli i sal i stirati a mano. Uns grissini llisos, més moderns que els tradicionals rubatà, que són enrotllats i tenen forma de nus.
El ragú d’ostra amb la salsa d’enciam i daus d’algun cítric va ser excepcionalment bo, calent, amb el deliciós gust d’aquestes ostres de tan bona qualitat i amb la seva característica textura carnosa. Quedava molt ben integrat amb la salsa d’enciam. Un acompanyament prou important com per a servir-se sol i tot.
El morone era excepcionalment gustós i excel·lentment ben cuit, sucós a més no poder i amb la pell ben cruixent, però gens cremada. Semblava un peix blanc però era gras com un llobarro (sense que recordés el greix que desprenen molts de piscifactoria) més que una cerviola. El cruixent de la galeta de fumet de peix també m’hi va agradar.
12. Coda di astice blu alla brace, patate allo zafferano, pomodoro verde all’aceto di Champagne e caffè in polvere.
Una cua de llamàntol de Ligúria lleugerament madurada (dry aged) 3 dies amb Lardo di Colonnata i anet a 3 ò 4°C i humitat no controlada i feta a la brasa (kamado).Servida amb un puré de patates i safrà i, per sobre, pols de cafè, pebrot verd en conserva (tot i que el recordatori deia que era tomàquet verd). A taula, serveixen una bisque del cap del llamàntol a la base. En un plat a part, ofereixen un filoncino milanès, un pa semblant a una mini baguette, també fet per ells.
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La primera olor era de cafè. El puré de safrà era dens i compacte sense arribar a ser enganxós, semblava fet a mà i no amb batedora elèctrica, tot i que també podia ser per la quantitat mantega. El cas és que si hagués posat el plat cap per avall, crec que no hagués caigut. El pebrot verd recordava una oliva gordal. La bisque era ben gustosa però no especialment concentrada.
La cua del llamàntol feia una mica d’olor de kamado sense ser molesta i estava molt ben cuita, potser podria haver estat un puntet menys feta. De vegades m’agrada aquell punt quan pràcticament encara està crua i freda per dins. En aquell moment de l’àpat necessitava aquest punt de fred. Intensitat de salabror i de greix. El pa no tenia res d’excepcional i tampoc entenc menjar un llamàntol amb pa, ni tant sols per sucar la poca salsa que hi havia, que s’acaba mentre menges el llamàntol i el puré impregnant aquests dos elements.
Un plat de cuina clàssica francesa que, amb el toc de safrà, potser el fa més italià.
13. Carré d’agnello bruciato, salsa all’aglione e foie gras, raviolo di sedano rapa in giardiniera.
Un carré de xai dels Abruzzo, cuit a baixa temperatura i al buit i lleugerament rostit, servit desossat i amb una mica de pols de harissa torrada i una mica de iogurt. Per sobre, una salsa de foie gras i aglione (un all que fa entre 200 i 600 grams, típic de la Val di Chiana, a la Toscana i una mica més dolç que els nostres alls) que serveixen a taula i únicament per sobre el carré. Al costat, una rodanxa del filet del xai, també cuit al buit i a baixa temperatura. I, també al costat, un ravioli d’api-rave (no de pasta) farcit de patates, api-rave i fines herbes.
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En un plat a part, serveixen dos pans: un pa de pasta de full engrassat amb mel d’acàcia i una michetta, un pa blanc típic milanès semblant a un panet de Viena però cuit com un brezel i fet amb farina tipo 0 i tipo 1.
Servit amb un ganivet de la Coltellerie Berti de Florència.
El punt de la carn estava molt ben aconseguit, llàstima que la salsa el superava. Tot i així, semblava més una salsa amb un fons de carn de vedella que una salsa de foie gras i all. La harissa i el iogurt tampoc eren gaire perceptibles. El ravioli no em va dir res. Vaig trobar excessius els dos pans que serveixen amb el plat, i més, venint del plat anterior, també servit amb un pa. Un d'aquells plats amb 3 elaboracions que menges per separat i queden sense integrar, un tipus d'emplatat que mai gaudeixo.
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14. Pita soufflé, cosce sfilacciate e Garam Masala.
Una pita, el pa d’origen grec, suflada i cruixent (més semblant a un airbag que a un soufflé tal com l'anuncien), farcida de cuixa de xai desfilada i amanida amb la barreja d’espècies Garam Masala de l’Índia (canyella, clau, nou moscada, pebre negre, cardamom, cúrcuma, mostassa, all, pebrot, comí…). A la base, una crema de iogurt grec i al costat, el mateix iogurt grec amb una pols negra de llimona. Ves a saber quantes elaboracions deuen haver calgut per tornar negra i en pols una pobra llimona.
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Per a menjar amb les mans, una mena de segon servei del xai. Un finger food ben anodí i amb un emplatat ben absurd. Amb la intensitat que té el xai i la quantitat de pans que arriben fer, podrien oferir un plat molt millor. Una manera ben trista i deslluïda d'acabar la part central de l'àpat.
ELS FORMATGES.
15. Find the real one: Montebore e melone.
Presenten el plat com una versió juganera del carretó de formatges.
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A través de 3 porcions, abans de menjar-les, fan endevinar al comensal quina és la que és un formatge de veritat. Es veia bastant clar que era la porció del mig.
Era formatge Montebore, un formatge de llet de vaca, ovella i cabra del poble de Tortona (Alessandria, Piemont), madurat 30 dies amb forma de castell o de pastís nupcial. 
A l’esquerra, una mousse de meló amb forma de ricottina i, a la base, un pa de motlle.
A la dreta, un pa tou amb forma de Grana Padano, cuit al vapor, banyat amb un brou de brandi i marcat a la paella.
Diuen que la idea és anar menjant d’una porció i d’una altra.
Al centre de la taula, uns grissini de cacau i sucre.
El formatge, ni fu ni fa.
El pa de motlle amb meló era molt bo, dolcet però refrescant, combinava molt bé per a menjar després del formatge.
El pa amb forma de Grana no creava afició. Amb la varietat de pans que arriben a fer, trobo, una vegada més, que podrien oferir alguna cosa millor. I això que sonava molt bé el fet d'estar banyat amb un brou de brandi i marcat a la paella.
Els grissini tenien poc gust de xocolata i eren poc dolços.
LES POSTRES.
16. Lievitato alle mandorle con gelato al peperone.
Un triangle de menja blanc a base d’ametlla, un gel de llimona (punts grocs transparents), un crumble de fruits secs i un sorbet de pebrot. 
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En un plat a part, una mena de brioix d’ametlla. 
Recomanen alternar el plat amb el brioix. Ostres tu, fins i tot les postres les serveixen amb un pa!
El gelat de pebrot semblava fet amb pebrots escalivats (caram, quanta creativitat fer un gelat "salat") i era un pèl massa fred. El triangle de menjar blanc tenia gust de cianur i textura de flam ferm. Ho vaig tastar per separat i vaig preferir barrejar-ho tot bé per desfer el gelat. El contrast amb el deliciós brioix d’ametlla ben calentó era agradable, tot i que trobo excessiu, una vegada més, tornar a servir tot un panet per a un plat.
17. Panettone Milanese, cedro e arancio canditi, uvetta e gelato alla vaniglia.
Un trosset de panettone amb fruita confitada (raïm, taronja i poncem) que van servir al mateix moment que els petits fours. El recordatori anunciava un gelat de vainilla que, o no ens van servir o no el vaig saber trobar.
ELS PETITS FOURS.
Comencen l’explicació presentant una làmpara d’Artemide que mostren com també serveix de vas en cas de girar la part superior, la campana de vidre on hi serveixen el primer petit four decorat amb una palmera simulant una platja i on el sucre fa de sorra.  
18. Palmiers coco e lime.
Una pasta de full amb coco, ametlla, llimona i sucre que estava un punt remollida, cruixia poc.
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19. Focaccia alle pesche e timo.
Un quadradet de focaccia dolça amb un gel de préssec a sobre (puntet groc).
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20. Colombina: Cassata siciliana.
Al fons del plat, una pintura que representa la Colombina (el personatge de la Commedia dell’Arte) fent malabars amb les Minne o Cassatella di Sant’Agata, unes postres típiques de Sic��lia elaborades en honor a Santa Àgata de Catània, patrona del càncer de mama, d’aquí la forma similar a un pit. Una mena de petita cassata, un pa de pessic esponjós i ensucrat, amb ricotta dolça, massapà, fruita confitada, emborratxat amb algun licor i acabat amb un puntet de color vermell que era un gel de cireres confitades, simbolitzant els mugrons.
D’un color verd lloro ben intens, era una mena de massapà, però fred i més lleuger. 
21. Piccoli sablé al cioccolato ocoa e capperi.
Una tartaleta farcida amb una crema de xocolata ocoa (del 70%) i amb unes tàperes fregides per sobre.
Em va agradar molt la idea de les tàperes fregides, més saladetes, eren un molt bon contrast amb tanta dolçor.
Tots prou bons.
L’OFERTA LÍQUIDA.
Una carta de vins molt variada, de les millors cartes en format digital que he pogut utilitzar, sobretot per la interfase, molt còmoda, ràpida i fàcil d’interpretar. La selecció permet trobar vins interessants de manera àgil. Una bona llista de referències tant d’Itàlia com de França, Alemanya, Espanya i el parell de regions més conegudes d’Hongria.
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A més, també ofereixen els maridatges amb els menús, que ja he mencionat a l’oferta culinària.
VAM BEURE.
Una ampolla de 50 cl. del Jakot 2016 (65€) de Radikon (Venezia Giulia IGT), una anyada molt ben considerada a Itàlia, ja que va fer el clima que tocava i s’esperava a cada moment del cicle vegetatiu. Des d’un inici, es va mostrar obert i gens reductiu, amb la intensitat aromàtica com a marca de la casa. Radikon treballa la Tocai Friulano d’una manera personal i fa sorgir les seves notes més florals i herbàcies i, tot i els 14% vol., resulta un vi fresc i lleuger. M’hauria encantat trobar aquesta ampolla en el format més clàssic de Radikon, la de litre.
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Com sempre, la fórmula de vi blanc natural i de maceració pel·licular va encaixar amb aquest tipus de menú. Fins i tot, moltes vegades, els trobo més interessants per la seva sapidesa, per la seva intensitat gustativa, que per la seva acidesa que, per descomptat, també agraeixo.
Per al xai, el sommelier ens va oferir una copa de Valgella 2019 (20€) d’Alessio Magi, un Valtellina Superiore DOCG.
D’un color vermellós ben viu, es percebia una aromàtica fresca, de fruita vermella prou nítida i sense l’embolcall de la fusta. En boca, tot i que molta gent el descriuria com un vi lleuger, a mi em va semblar alcohòlic i, en tot cas, la lleugeresa que li vaig trobar era per la manca de pes de fruita i d’estructura i complexitat gustativa. És curiós que sempre es pensi en un vi negre d’aquestes característiques per a acompanyar la carn (en aquest cas, el xai), que va ser l’harmonia que el sommelier ens va proposar. Hagués sigut més feliç amb un vi fresc i àcid que acompanyés la carn i els dos afartants pans que l’acompanyaven. 
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L’etiqueta mencionava Meteri Eccelenza e Terroir, el seleccionador i distribuïdor d’aquest vi, almenys a Itàlia.
Tots dos vins, servits en una copa amb el ribet irregular, les Eren d’Archè, bufades a mà per VDglass (Parma) i dissenyades pel divulgador enològic Francesco Saverio Russo, com les de Del Cambio, tot i que en Baronetto tenia un altre model, no aquest irregular. Una duia imprès el nom de Davide i l’altra de Manuele, el nom del sommelier. Totes dues amb molt de volum, tipus la copa Bourgogne, servint el vi negre a la més voluminosa. La idea és que el ribet sigui més baix a la part que toca el front per tal que el nas hi càpiga i hi encaixi bé a l’hora de fer el gest d’aixecar la copa i que el vi passi a la boca. A mi, a la pràctica, em va semblar igual que la resta de copes i, tot i que siguin fines i lleugeres, la irregularitat estètica m’altera una mica.
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LA CUINA - L’ESPAI.
Una cuina oberta que únicament veuen els comensals de la taula rodona on vam seure i que ja he descrit a l’inici quan parlo de l’Oldani.
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El que es veu des d’aquesta taula de la cuina són una bona colla de fogons d’inducció, planxa de crom, molts petits cassons, un forn Rational iCombi dels grans, un parell de sifons, una màquina de cocció al buit amb temperatura controlada, una pica, biberons de plàstic, una salamandra que no van utilitzar ni per escalfar els plats a l'hora de l'emplatat, un bon extractor que ocupa pràcticament tot el sostre i, a la barra que uneix la cuina amb el menjador, una figura del Bibendum ajegut a sobre unes guies vermelles de la Michelin que, quan acaba el servei, deixen presidint i vigilant la cuina.
Pel que fa a la brasa, fa el seu propi carbó pel kamado, amb fusta de cirerer i avet, en una brasa a part, situada també dins la cuina, a una part que no queda tant a la vista pel comensal. Trobo elemental fer el carbó en un altre espai i un luxe poder-se fer el seu propi carbó, com a tants altres restaurants que valoro i que també se’l fan. Però em sembla desperdiciar la brasa tenir-la únicament per a la producció de carbó i no per a cuinar i utilitzar el kamado per a la cocció dels aliments.
Durant l’àpat, hi devien desfilar ben bé una desena de cuiners, tots ben uniformats i amb un barret blanc ben alt. 
LA CUINA - L’ESTIL.
En Davide Oldani és el creador del concepte de Cucina Pop. De fet, quan va obrir el 2003, ja ho va fer amb aquesta filosofia de cuina i sota el lema “qualitat i accessibilitat”. Per contra del que sempre penso, segons ell, “Pop” no fa referència ni a la cuina popular, ni a la música pop, ni al pop art, ni a la cucina povera.
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En principi, és una filosofia basada en la senzillesa i les matèries primeres humils. Una manera econòmica de cuinar, però plena de sabor. Una cuina que mostra el valor dels gustos més tradicionals en el seu estat més natural. És a dir, el concepte central sembla que radica en la intenció de ressaltar els sabors amb els que tothom està familiaritzat, però des d’una altra perspectiva. Sembla ser que l’Oldani sempre ha fomentat una cuina quotidiana i senzilla, però que, a la vegada, sigui extraordinària i preparada amb la tècnica i els coneixements necessaris.
Altres preceptes del decàleg serien: 
1. Hem de potenciar l'equilibri de contrastos, tant a la cuina i a la vida. 
2. A la cuina, el disseny és el recipient que ha de potenciar el contingut. 
3. Tot negoci ha de tenir beneficis, però els preus han de ser justos. Precisament, respecte a aquesta qüestió, el 2013 va sorgir una polèmica amb en Massimo Bottura, qui argumentava tot el contrari dient que l’alta cuina requereix investigació i costs elevats. Deia que, qui vol un Ferrari, no el pot pagar a preu de Cinquecento. Oldani creu que la comparació era encertada i que ell està content amb el seu Cinquecento, que poca gent sap conduir bé.
4. La curiositat i l'observació són la millor manera d'interpretar les necessitats del convidat. 
5. Cada error dóna lloc a oportunitats, només cal saber explotar-les. 
6. La prioritat del qui cuina és el benestar de les persones que atent.
7. Cada ingredient, des del més humil fins al més refinat, mereix el mateix respecte. 
8. Cal donar la importància justa al vi. 
9. Les compres s'han de fer sempre amb la panxa plena, per evitar malbarataments. 
10. La marca ha de ser immediata, fàcil de recordar.
Tot i haver-me informat abans i després de la visita al D’O sobre el seu significat i tot i haver-ho parlat amb en Davide en persona, encara em costa entendre amb exactitud a què caram fa referència aquest concepte o filosofia de cuina del que n’ha fet bandera des del primer dia. En definitiva, trobo que sota el concepte de Cucina Pop hi barreja moltes idees i no és fàcil resumir-lo de manera sintetitzada. A més, trobo que entra en moltes contradiccions. 
D’entrada, no em sembla que un menú de 200€ es pugui definir com accessible ni de fàcil abast per a tothom. És clar que amb els preus que estem veient cada vegada més als restaurants, potser aviat sí que el podrem considerar així. Només entendria aquesta “accessibilitat” si fes referència a una cuina amb un gust fàcil d’agradar. Trobo que és una filosofia que potser tenia sentit als inicis, l’any 2003, quan oferia un menú de menys de 12€ al migdia i un d’uns 30€ a la nit, però que, actualment, està mancat de coherència, tant amb el restaurant com amb tot el que envolta el negoci que genera l’Oldani.
Per una banda, diu que fa una cuina pensada per tal que sigui saludable, equilibrada i aporti benestar, sense excessos de greix ni de quantitat. Però, per altra banda, ofereix múltiples masses farinoses, pesades i amb gluten i, a més, molta quantitat de làctics (mantega i formatge) i greixos.
El menú consta de molts pans (n’enumero 10):
⁃ Tots 4 aperitius amb pa.
⁃ Els grissini del morone. 
⁃ El filoncino del llamàntol.
⁃ El pa de pasta de full amb mel d’acàcia i la michetta, tots dos pel xai.
⁃ La pita suflada de la cuixa de xai.
⁃ El brioix d’ametlla de les postres de gelat de pebrot amb menjar blanc.
Si a tota aquesta varietat de pans li sumem les masses farinoses com la pasta amb llegums, els nyoquis, el risotto, el pa tou amb forma de Grana Padano i cuit al vapor dels formatges, el panettone i alguna massa més dels petits fours, la quantitat d’elaboracions pesades crec que és evident.
Per una banda, sembla que defensi una cuina feta amb INGREDIENTS econòmics, cosa que ja fa a alguns plats del menú (pasta e fagioli, bagna cauda, salses de tomàquet, arròs, els nyoquis malfatti tondi, tota la varietat de pans, etc.) però, per altra banda, no deixa de servir llamàntol, caviar, foie gras, safrà, ostres, tartufo nero, tonyina i calamaretti spillo.
El grau de localisme del productes és relativament elevat. Encara que no sigui extremadament local, sí que la gran majoria són italians: missoltino del Lago di Como, llamàntol de Ligúria, tonyina de Sicília, calamaretto spillo i Aglione de la Toscana, xai dels Abruzzo, llegums del del Trasimeno del Lazio, tòfona de Perugia (Umbria), etc. Els formatges també, tots eren del país: el Grana Padano, la ricotta, el Bagoss di Bagolino Brescia (Lombardia) i el Montebore de Tortona (Alessandria, Piemont).
Surt d’Itàlia per productes com les ostres Gillardeau de la Normandia o el caviar de Mongòlia, productes que semblen imprescindibles en aquests restaurants.
Un àpat amb cuina, amb un bon producte visible i disfrutable, de racions generoses, amb tècniques i elaboracions de cuina clàssica francesa (soufflé, royale, bisque, ragoût, sous vide…) però també de cuina tradicional i regional italiana (bagna cauda, missoltino, risotto, els nyoquis malfatti tondi, pans locals, la cassata…) i alguna pinzellada de cuina d’avantguarda, una avantguarda de fa 30 anys, no la més actual (escumes de sifó, gelats de Paco Jet…) però molt de passada, sent clarament un restaurant de cuina entre clàssica i tradicional.
Una cuina de gustos coneguts, amables, fàcils d’agradar, accessibles, propers, harmoniosos, càlids, tendres.
Un menú amb una estructura molt clàssica (aperitius, amuse-bouche, antipasti, nyoquis, risotto, peix, carn, formatges, postres i petits fours), sense un relat feixuc i només amb un únic moment d’humor als formatges. 
LES CONCLUCIONS.
Tot i que a aquest apartat l’anomeni “conclusions”, aquestes apareixen al llarg de tot l’article i aquí, simplement faig unes anotacions globals finals.
Un restaurant amb departament de comunicació.
Un restaurant dels que no cuina el cuiner, sinó el cap de cuina, l’Alessandro Procopio.
L’Oldani em va semblar un cuiner que, almenys actualment, es dedica més a la direcció, comunicació i promoció del restaurant que a cuinar.
Un restaurant en el que el cuiner titular pràcticament només apareix per a transmetre el relat que, per sort, explica al principi i al final de l’àpat, però no durant el menú. Així que, tot i que des de fora sembli “can propaganda i discurset”, l’àpat va ser molt agradable gràcies a les intervencions concises i detallades però breus del magnífic maître, en Davide Novati. 
Una cuina entre clàssica, tradicional i creativa (que situo als 2000’s, d’un moment de la història que ja ha passat, tot i que segueixi sent ben bo i modern) i que, almenys actualment, diria que no s’està oferint al nostre país. Una cuina coneguda tot i que no sabria dir quin cuiner de casa nostra podria ser el seu equivalent.
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Traducción automática del artículo en castellano
Automatic translation of the article into English
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piovra · 4 months
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Le leggende della Dance Anni 90
Avevo questa idea da diverso tempo. In realtà ero partito con la creazione di una playlist di max. 50 brani. Una scelta ristretta alle tracce più calde dell'epoca, ma è stato complesso perché in realtà, seguendo questo paradigma, i brani di successo sono molti di più. La scelta si basa su tre punti cardine: la loro posizione in classifica, l'indice di ascolto nei social e quello che realmente ho vissuto in prima persona quando uscirono tutti questi brani (e non solo) in disco, nessuno escluso. Gusti soggettivi? No, non credo. Ci sono tracce che piacciono, altre meno, altre che mi vanno strette, ma mi sono tenuto su ciò che realmente la nostra generazione cavalcava in questo decennio. Io sono stato un appassionato accanito della dance, collezionando singoli e anche compilation. Se non il 100%, ho raccolto almeno il 99% delle hit che hanno segnato il nostro decennio, ma ci sono da precisare alcuni aspetti oggettivi e storici.
Le fasi della dance anni 90 possono esser divisi in 4 momenti cruciali.
'90-'92 La nascita e diffusione della eurodance ed eurohouse.
L’esplosione dal 1993 al 1997.
La nascita della progressive italiana, collocata nel 1995 (prodotto di matrice italiana, nostro vanto, con il nostro padre fondatore, Gigi D’ag.)
Il declino, stimato dal 1998.
Sul primo punto, la diffusione delle tracce dei primi anni '90 era legato molto su ciò che mettevano i DJ in disco, pertanto buona parte dei tormentoni sono rimasti confinati in quegli ambienti, non figurando le alte posizioni delle classifiche che erano fino ad allora dominio della pop, musica italiana, rock e rap. Solo una nicchia di artisti figura in queste classifiche, ma pezzi grandiosi (alcuni dei quali soprattutto all’estero) ci sono stati eccome! Basterebbe pensare agli Snap! Double You o Robin S. E' bene anche ricordare che la produzione di un brano, all'epoca, non era supportata da una tecnologia evoluta come al contrario lo sono stati i brani che vanno dal '94 in poi, pertanto si presentano poveri di sound, spesso ripetitivi e con la voce al centro delle tracce. Molto spesso alla cantante si accostava un rapper che nella gran parte dei brani presenti arricchiva la traccia con dei ritornelli brevi, ma energici. L’esplosione della dance anni '90 è andata di pari passo con la privatizzazione delle radio e la loro diffusione nell’etere, con annessi palinsesti dedicati a questo genere. Anche le emittenti televisive private hanno permesso tutto ciò, con programmi dedicati. Nel '95 si raggiunge l’apogeo del successo, dove entra di scena anche la Progressive, un genere con radici italiane di cui tra i fondatori figura un'artista di fama globale e di successo come Gigi D'Agostino. In questa fase, le classifiche dei singoli più venduti erano quasi interamente di dominio della musica dance, con tracce che arrivavano ad occupare stabilmente le prime posizioni anche per mesi: ci viene da pensare a Corona, La Bouche, Robert Miles, Underworld, Ti.Pi.Cal e tanti altri. E' bene poi precisare che alcuni di questi sono riusciti persino a varcare i confini nazionali spopolando persino negli USA (tipo Robert Miles e Corona). Buona parte della crescita esponenziale dei successi e dei brani di questo genere in questo periodo è stato favorito da una sempre più rapida crescita tecnologica. Il processo di digitalizzazione ha permesso di fatto una produzione più rapida e consistente dei brani e costi minori per i produttori sullo sviluppo, permettendo a DJ ed artisti di proporre tracce con una cadenza temporale minore. Possiamo però dire che la digitalizzazione è stata purtroppo anche una delle cause del declino o meglio dire l'inizio della fine della eurodance, meglio nota come musica commerciale. L'arrivo del digitale con gli mp3, la pirateria musicale, le web radio, i podcast e altri "attori" della nuova era che non sto qui ad elencare, hanno dato luogo ad un mutamento generale della società e della musica stessa che nello stesso periodo è stata investita da una forte crisi industriale. I brani dance hanno continuato e continuano ad esistere, ma con una cadenza molto più blanda e una popolarità molto più soffocata dall'ascesa di altri generi. Si può dire tranquillamente che la commerciale nel 2004 è stata soppiantata dal genere house, che coi suoi prodotti sperimentali è sempre riuscita a produrre tracce di successo allineate coi tempi e mode del momento. A testimonianza del grande successo della dance, oggi si assiste spesso a tracce dell'epoca rivisitate o remixate: una conferma di come la dance anni '90 sia un'icona che abbraccia diverse generazioni, o meglio dire un genere senza età scalfito nelle nostre memorie e che tuttora riesce con l'energia delle sue tracce a far esplodere ancora oggi le discoteche.
Ho sia la playlist su Spotify che Youtube, ma la seconda risulta più completa grazie ai tanti dj ed appassionati che hanno conservato pezzi introvabili che a mio parere hanno contribuito a rendere la 90's Dance un genere musicale senza età.
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giancarlonicoli · 4 months
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27 mag 2024 12:56
"ANDAVO AL CAMPO SENZA SCOPO, AVEVO SMARRITO LA FELICITA'" - MARCELL JACOBS RACCONTA IL VUOTO AGONISTICO VISSUTO DOPO I SUCCESSI: "NON RIUSCIVO A DIVERTIRMI, NON ERO TRANQUILLO. E QUANDO SI E' COSI' TESI E PENSIEROSI IL CORPO NE SUBISCE LE CONSEGUENZE. PER QUESTO HO DECISO DI CAMBIARE, DI COLPO: CASA, GENTE, ALLENATORE DIVERSO. PRIMA DELLE OLIMPIADI DI TOKYO ERO SPENSIERATO, ORA HO ALTRE RESPONSABILITA'. LE CRITICHE FEROCI? ARRIVANO DA CHI HA DEI PROBLEMI CON SE STESSO" -
Giulia Zonca per “la Stampa” - Estratti
Marcell Jacobs si è «preso una pausa dalla vita pubblica», formula scelta per tornare a vincere e testata in Florida, dove si è trasferito per allenarsi con Rana Reider e trovare quella connessione con gli Usa che gli ha fatto il solletico ai Mondiali di Eugene, due anni fa.
Il campione olimpico dei 100 metri, nato in Texas, ha capito che per rappresentare al meglio l'Italia era ora di scoprire l'America: «Nell'estate del 2022, in poche settimane in Oregon, ho riconosciuto delle radici. In questi mesi a Jacksonville ho ritrovato e approfondito quei sentimenti. Ho abbracciato la tranquillità, la serenità». Domani, a Ostrava, in Repubblica Ceca, gareggia per trasformare le sensazioni in velocità.
Serviva andare tanto lontano, negli States, per sentirsi in pace?
«Non sapevo che cosa aspettarmi, non è stato subito semplice però ho deciso di godermi ogni aspetto di quella cultura, pure le strade grandi, la necessità di spostarsi in auto per andare ovunque. Sembrava tutto più lento e difficile, eppure era un ritmo familiare».
Ha definito la sua parte americana?
«Ho sempre saputo di averla. Non capivo esattamente che cosa di me fosse più americano e che cosa meno. Sono pigro, cerco di muovermi con calma, tranne che in pista e così di trovare il lato buono di ogni situazione, di darmi il tempo per sorridere ed è l'atteggiamento più diffuso negli Stati Uniti. Mi ci sono specchiato».
(...) È spesso stato identificato con la fragilità, ora dice di aver portato il fisico al limite. Ha risolto tutti i fastidi?
«A livello tecnico, negli Stati Uniti si cura tantissimo il riscaldamento e il recupero. Tanto grounding, ovvero lavoro sull'erba per ammorbidire il muscolo e la catena della schiena da cui sono partiti tanti dei miei problemi. Più importante: ho ritrovato il mio sogno. Nella stagione precedente andavo al campo senza scopo».
Quando ha perso di vista il sogno?
«Non in un giorno preciso. Ho smarrito la felicità che mi dava la pista, il luogo rifugio. Non riuscivo a divertirmi, non ero tranquillo e quando si è così tesi e pensierosi il corpo ne subisce le conseguenze.
Per questo ho deciso di cambiare: tante volte nella mia vita ho avuto bisogno di stravolgere ogni cosa senza pensarci troppo. Di colpo. Come chiudere un libro e iniziarne un altro. La novità mi aiuta, la testa elimina i blocchi e si concentra sull'inedito.Altra lingua, casa, gente, non solo un allenatore diverso».
Ha stravolto la tecnica, la partenza, lo stile con cui è arrivato agli ori. Esistono diversi modi di vincere?
«Certo. Prima degli Usa, con Camossi, ho fatto un lavoro eccellente perché mi ha portato al successo. Reider ha un metodo completamente differente. La perfezione non esiste, ognuno ha le proprie idee e le porta avanti, inutile interpretare questo fatto in modo divisivo. Sento che ora l'approccio Reider funziona.
Non mi è ancora automatico, penso troppo. Quando vado allo start sale l'adrenalina, sale la paura, non mi posso fissare su quel che bisogna fare altrimenti parto di forza, resto rigido e poi tocca inseguire. Le prime due uscite sono andate così, mi sono visto pesante. Metterò insieme la sequenza, spero a cominciare da Ostrava».
Reider viene descritto da molti atleti ed ex collaboratori come un burbero sergente di ferro.
«Con me per nulla. Sa esattamente quello che vuole, non hai mai la percezione che stia sperimentando, ha un motivo chiaro per ogni richiesta. È severo, non lo definirei sergente, forse perché gli ho passato un filo di italianità e gli piacciono le mie battute».
Ripensi al Marcell precedente alle Olimpiadi di Tokyo: che cosa ha lasciato per strada e che cosa ci ha trovato? A parte gli ori.
«Il Marcell pre Tokyo era spensierato e concentrato su un'unica cosa: vincere, vincere, vincere. Lo sono ancora, ma ho altre responsabilità. Le ho volute. Mi sento un punto di riferimento per un bambino, sapere di essere visto come esempio sposta. D'altra parte, prima di Tokyo dei dubbi uscivano, pochi ma sbucavano. Ora ce l'ho fatta, so che è possibile. Sono meno leggero e più consapevole».
Avrebbe voluto la responsabilità del portabandiera a Parigi?
«Mi avrebbe fatto super piacere, c'era una bella concorrenza e Gimbo (Tamberi) è capitano dell'atletica, ha vinto tutto, è un motivatore e di sicuro saprà interpretare il ruolo. Dovrò rivincere anche a Parigi per propormi a Los Angeles 2028».
Zaynab Dosso, fresca di record italiano dei 100 metri, ci ha detto: «Prima la nostra atletica era in una caverna, poi Jacobs ha acceso la luce».
«Parole che mettono i brividi. Sapere che un po'di quello che hanno fatto gli azzurri più giovani è stato innescato dai miei risultati è speciale. Io non sono andato di record in record, mi sono dovuto sudare ogni progressione. Ho cambiato specialità, dal salto in lungo allo sprint, ho passato un sacco di guai, superato delusioni e poi mi sono preso un oro ai Giochi. Anzi due.
Un percorso del genere fa scattare qualcosa, mi hanno visto soffrire e ora sanno che se ti dedichi al sogno lo puoi raggiungere. Non è una passeggiata: devi scavare anche in traumi che hai sempre nascosto e affrontarli. Il messaggio è passato e ha una potenza incredibile».
I suoi colleghi usano metafore sui supereroi. Furlani, che a 19 anni già è considerato da podio olimpico nel salto in lungo, cita Spiderman. Fabbri, che ha appena migliorato lo storico record di Andrei nel lancio del peso, si vede Superman. Simonelli, nome nuovo dei 110 ostacoli, ha un alter-ego manga. Lei ripete di essere umano.
«Nessuno di noi ha un potere unico, solo tanta dedizione e sogni a occhi aperti. Credere in me a prescindere da che dicono gli altri è il mio punto di forza. Averceli i superpoteri…».
Da bimbo aveva due desideri: vincere e ci è riuscito. E andare nello spazio. Portare l'Italia all'oro dei 100 metri ai Giochi non è come andare su un altro pianeta?
«Mi piace il paragone. Nessun italiano aveva mai raggiunto una finale olimpica nei 100 metri e portare il nostro Paese dove non era mai stato è pazzesco. Lì, nel territorio che gli americani identificano come una proprietà quasi privata, lì dove abbiamo visto Bolt, è davvero un viaggio spaziale. Però io vorrei proprio riuscire a vedere la terra da fuori, l'obiettivo è concreto e resta».
Le costerà parecchio.
«Significa che devo vincere tanto per potermelo permettere».
L'Atletica, per la prima volta nella storia olimpica, a Parigi paga gli ori. Gli sport meno ricchi dicono che così si alterano i valori.
«Guardarla in questo modo non funziona, allora ci sono discipline come tennis e calcio in cui stai ad alto livello cinque o sei anni e sei a posto per sempre, tu e i tuoi figli. No, giusto darci i riconoscimenti possibili, crescere, avverto un diverso interesse per l'atletica: lo dimostra anche la serie Netflix dedicata agli sprinter che sta per uscire».
Quando sto tra la gente, la gratitudine la sento eccome e nessuno è mai venuto a dirmi in faccia "non vali niente, fai schifo". Poi ci sono i social. Sono fondamentali per far circolare le notizie, aumentano la popolarità, solo che liberano le frustrazioni. Le critiche feroci arrivano da chi ha dei problemi con se stesso, le esternazioni aggressive aggiustano l'autostima evidentemente».
Perché il parere di sconosciuti l'ha ferita?
«Ci ho dovuto lavorare sopra, tante accuse mi hanno fatto male. Difficile spiegarlo, non avrei dovuto calcolarle eppure sono stato travolto. Ora ho capito che la reazione non è ignorare, piuttosto capire il meccanismo e disinnescarlo. Soprattutto tenermi stretta la realtà: per esempio, a Roma, in un ristorante, ho incrociato degli ex calciatori. Vieri, Matri, sono venuti a farmi un sacco di feste, mi hanno riempito di complimenti. L'Italia mi è grata e me lo mostra».
(...)
Appassionato di playstation. Se avesse un allenatore come Spalletti che le limita il gioco come reagirebbe?
«Ci sta che il giorno della gara si eviti di stare incollati alla play, effettivamente consuma energie. Io, ammetto, l'ho fatto però distinguo i giochi: "Call of duty", uno dei più diffusi, ti assorbe troppo. Mi è capitato di rimanerci attaccato per ore, anche con dei calciatori, on line».
Era lei a tenere sveglio Scamacca in ritiro?
«No no, figurarsi, però "Call of duty" è tanto bello quanto stressa e poi muori lì dentro e la sensazione ti resta addosso. Non va alla vigilia dei grandi appuntamenti. Io sto in una squadra play station di quattro persone in cui c'è anche il mio amico e collaboratore Andrea che mi segue dappertutto, da tempo. Si è sempre giocato nell'anno olimpico e fino al 2022. Sfide il giorno prima delle gare. E vincevo sempre, poi ho smesso con i tornei di play…».
Ha ripreso?
«Sì, ho la valigetta per la play portatile e mi segue ovunque. Anche se ci si autolimita».
Staffetta. Sappiamo gestire l'abbondanza?
«Non sarà banale farlo. Ormai siamo in tanti a correre forte e chi sceglie ha una bella responsabilità. Filippo Di Mulo, il selezionatore, dovrà essere bravo. Io ci penso e un quartetto definito in testa non ce l'ho, è davvero complicato».
Perché non si parla più di scarpe? Era una fissazione fino a pochi mesi fa.
«Abbiamo superato la novità. Siamo oltre lo strappo tecnologico. In Florida, il lavoro si è sviluppato sulla capacità di usare il piede, aumentando la sensibilità.
Ho pure realizzato che agli Europei indoor del 2021, primo trionfo importante, oro nei 60 metri in 6"47, ho corso senza tecnologia alcuna. Con il mio sponsor, Puma, abbiamo trovato l'intesa per la qualità migliore sulle mie caratteristiche, ma mi sono staccato dall'ossessione. Altrimenti diventa una scusa».
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lamilanomagazine · 5 months
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Liguria protagonista all'ottava edizione del Discovery Italy
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Liguria protagonista all'ottava edizione del Discovery Italy. Si è aperta l'ottava edizione di Discover Italy, la grande "piazza" internazionale che ha visto riuniti a Sestri Levante buyer e seller del turismo provenienti da tutto il mondo, in particolare da Europa, Medio Oriente, Penisola Arabica e Americhe. Nello specifico, quest'anno si evidenzia un crescente interesse da parte del mercato Usa. Secondo i dati dell'Osservatorio turistico della Liguria, infatti, il mercato statunitense ha rappresentato quasi il 10% dei turisti stranieri nel 2023, confermandosi il quarto mercato di riferimento della regione (dopo Francia, Germania e Svizzera) con un incremento significativo sia in termini di arrivi (+28 % sul 2022 e +24% sul 2019) che di pernottamenti (+25% sul 2022 e +20 % sul 2019). Discover Italy è uno fra gli eventi di maggior rilevanza del settore: un workshop dedicato all'incoming in Italia, focalizzato sull'incontro mirato tra domanda e offerta. Una vetrina unica per la Regione Liguria, che quest'anno punta in particolare su un'offerta legata a turismo culturale, enogastronomico e attivo, seguendo le tendenze più attuali dei mercati di riferimento. "Discover Italy è diventata una fiera sempre più estesa con ben novanta buyer presenti e quindi sono molto orgoglioso che abbia luogo in una località della Liguria oltretutto incantevole come la Baia del Silenzio di Sestri Levante – dichiara l'assessore regionale al Turismo - Mi fa inoltre enormemente piacere che anno dopo anno siano sempre di più i Comuni liguri coinvolti in questa iniziativa e che le nostre località si promuovano anche all'estero visto ormai il carattere internazionale di Discover Italy. Dobbiamo cavalcare l'onda del grande successo in termini di presenze turistiche ottenuto lo scorso anno ma senza dormire sugli allori. Il turismo ligure funziona ma per migliorarlo è necessario proseguire a lavorare in maniera puntuale sostenendo le aziende del settore e favorendo la qualità, l'innovazione e la rigenerazione. Per innovare le imprese del comparto è necessario un turismo sempre più inclusivo e accessibile tanto è vero che per mia decisione abbiamo interamente destinato i fondi Funt, riservati ai Comuni per interventi infrastrutturali, solamente ad opere tese a migliorare l'accessibilità di infrastrutture turistiche. Inoltre, è necessario valorizzare il ricco patrimonio regionale dei borghi storici, favorire la destagionalizzazione col turismo slow e outdoor ed innalzare la qualità dell'offerta dei servizi investendo ulteriormente nella formazione degli operatori. Infine, essendo la Liguria ricca di luoghi simbolici dell'emigrazione italiana nel mondo ed essendo tanti i cittadini di nazioni a noi lontane di origine ligure, ho creduto sin da subito di supportare l'iniziativa promossa dal Ministero degli Esteri ed appoggiata dal Ministero del Turismo di fare del 2024 l'anno del Turismo delle Radici" . Di particolare rilievo è stato anche il Fam Trip, organizzato con la collaborazione dell'assessorato al Turismo della Regione Liguria e il Comune di Genova, che nei giorni precedenti all'apertura del workshop ha visto coinvolti una trentina di buyer internazionali provenienti in particolar modo dagli Stati Uniti. Un tour alla scoperta delle bellezze del territorio, dai panorami della Riviera alle attrattività culturali di Genova, tra i segreti del centro storico e i palazzi dei Rolli, patrimonio dell'Unesco.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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paolodechiara · 5 months
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netmassimo · 6 months
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Il romanzo "La crociata delle macchine" ("The Machine Crusade") di Brian Herbert e Kevin J. Anderson è stato pubblicato per la prima volta nel 2003. È il secondo libro della trilogia delle Leggende di Dune e segue "Il Jihad Butleriano". In Italia è stato pubblicato da Mondadori all'interno di "Leggende di Dune" nella traduzione di Stefano Giorgianni.
Il Jihad Butleriano sembra in una situazione di stallo in cui solo piccole vittorie vengono ottenute contro Omnius e le sue macchine pensanti. Il fuoco che ha portato miliardi di umani a combattere si sta spegnendo e Iblis Ginjo cerca qualcosa di speciale che possa ravvivarlo.
Vorian Atreides continua a sviluppare le sue strategie non convenzionali che possano sorprendere le macchine pensanti ma allo stesso tempo una visita al pianeta Caladan gli fa venire voglia di mettervi radici. Su Arrakis, la leggenda di Selim cresce mentre il suo gruppo di fuorilegge usa i grandi vermi delle sabbie contro i commercianti di spezia. Sul pianeta Poritrin, Norma Cenva progetta un nuovo rivoluzionario sistema di propulsione.
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