[in progress] Renato Nicolini, Estate romana
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Per capire la portata dell’Estate Romana bisogna contestualizzare e capire che città fosse la Roma di Nicolini. Era, in primis, una città in cui il centro era vissuto in maniera tangenziale dai cittadini, relegato più a luogo di lavoro che a una parte della città da vivere a pieno, soprattutto per gli abitanti delle borgate. In secondo luogo era una città poco sicura, nel pieno degli anni di piombo, proprio in quell’anno veniva arrestato per la seconda volta il brigatista Renato Curcio e, solo due anni dopo, sarebbe stato sequestrato Aldo Moro. Anche a causa di questo la vita culturale della città era molto scarsa e soprattutto divisa per fasce, ad una situazione culturale molto elitaria il ceto meno abbiente rispondeva con la stagione delle cantine e dei cineclub, un circuito sotterraneo di diffusione della cultura.
Non è il luogo che fa l’evento ma sono le persone che lo frequentano a dargli uno scopo, l’utopia della modificazione della città si realizza attraverso il non costruito, il non pianificato, e apre la stagione dell’effimero, che durerà per tutta la permanenza di Nicolini all’assessorato. Nonostante lo stesso Nicolini non apprezzasse questa terminologia, ma preferisse parlare di Meraviglioso urbano, il dibattito intorno all’Estate Romana si mosse intorno a due poli che discutevano dell’utilità o meno di una politica effimera.
Perchè costruire con i mattoni indirizza un’esperienza, e l’innovazione portata da Nicolini è stata la comprensione di questo processo e la volontà di lasciare che questa esperienza fosse governata da una struttura immateriale, sostanzialmente dal convergere insieme di una comunità in un determinato luogo, aprendo a delle possibiltà anche differenti da quelle che offre la pianificazione urbana tradizionale. Nella Roma di Nicolini l’effimero era un ventaglio di opportunità, la parte di un’utopia che temporaneamente può essere messa in atto.
Oggi che Nicolini è stato mitizzato e in tanti, un po’ ovunque, si proclamano indebitamente custodi della sua eredità, è necessario ricordare che l’Estate Romana non fu solo uno schermo cinematografico tra i monumenti bensì un vero e proprio manifesto urbanistico, culturale e, perché no, architettonico. Nulla a che vedere insomma con un banale concerto ai Fori Imperiali o le orribili bancarelle sulle rive del Tevere né tantomeno le recenti porcherie rock sul Palatino. Cercando di non cadere nelle insidie agiografiche indotte dalla desolante contemporaneità dobbiamo dunque sottolineare che la grandezza di quella stagione fu ben altra dalla movida di oggi e le differenze sono chiare se analizziamo le edizioni successive.
Archivio Luce
1976: A Roma fu eletto sindaco lo storico dell'Arte Giulio Carlo Argan, che tre anni più tardi lascerà il posto a Luigi Petroselli. Ma chi cambiò veramente il volto della città fu un giovane architetto che venne nominato assessore alla cultura, Renato Nicolini, del quale ricorrono in questi giorni i dieci anni della scomparsa.
Fino a quel momento per chi, per diverse ragioni, era costretto a restare in città, luglio e agosto erano mesi in cui non c'era nulla da fare: cinema e teatri chiudevano, concerti non ce n'erano tanti e comunque non alla portata di tutti. Nasce da questi presupposti l'Estate romana che dal 1977 caratterizzerà i mesi estivi dei romani: musica, cinema, avanguardie. E poi periferie dove finalmente si inizia a fruire la cultura.
Rai post-pandemic video on 1977 Estate Romana
Estate romana Wikipedia
l'intento di indurre i cittadini romani a usufruire degli spazi pubblici della metropoli in risposta all'emarginazione delle periferie prendendo spunto dall'enorme domanda di convivialità e richiesta di cultura, dai “nuovi bisogni” provenienti dal basso
In molti quartieri della città venivano organizzati autonomamente eventi del genere che raccoglievano una grande adesione popolare. L'estate romana ruppe il diaframma dei ghetti urbani aprendo il centro storico della città alle periferie. La politica culturale promossa da Nicolini andava in controtendenza con una storica abitudine italiana di forte accentramento della cultura e di divisione classista dell'accesso al sapere
musica pop e avanguardia, balletto, teatro di strada, maratone cinematografiche di film popolari e d'autore, giocando sulla contaminazione delle pratiche di "cultura alta" e "cultura bassa"
alle rassegne dell'Estate Romana partecipa una varietà di platee di diverse estrazioni sociali, dagli intellettuali agli studenti, dagli abitanti del centro storico alle masse popolari della periferia cittadina
La manifestazione fa il suo esordio con alcuni spettacoli cinematografici presso la Basilica di Massenzio organizzati dal comune in collaborazione con alcuni cineclub della capitale. Lo schermo di Massenzio si accende il 25 agosto 1977 con la proiezione del film Senso di Luchino Visconti, di fronte ad alcune centinaia di spettatori. Nei giorni successivi l'affluenza cresce vertiginosamente: la proiezione su quattro schermi in simultanea e le prime maratone di film portano a Massenzio migliaia di spettatori entusiasti.
La risposta formulata da Nicolini e dai suoi collaboratori all'avvenuta impossibilità di riduzione a schemi organici del sistema sociale intende proporre a un'aggregazione massificata e trasversale grandi eventi culturali privati della tradizionale "aura" che in passato contraddistingueva le espressioni della cultura alta. Il profilo all'apparenza "leggero" delle manifestazioni romane contiene in sé la ricerca di una dimensione politica alternativa in grado di conseguire "non tanto la prefigurazione di un avvenire ipotetico possibile, la formulazione di modelli di società virtuosa, ma la capacità di scegliere quegli elementi che sono in grado di produrre movimento, di formulare nuove ipotesi, di rinnovare la cultura e la politica stessa" (Renato Nicolini, intervento alla tavola rotonda L'effimero e la cultura di massa, 1982).
A questo bisogno di cultura si sovrappone un corrispondente desiderio di socializzazione; da parte di larghe fasce di pubblico, in particolar modo giovanile, emerge la forte esigenza di recuperare il piacere dell'aggregazione di massa. Una voglia di socialità messa in discussione dall'assenza di offerte culturali di massa, di luoghi di ritrovo nei quali la cultura sia anche partecipata, da una visione “lavorista” della vita che non concede spazio a momenti ludici o ritiene dispersiva la fruizione di cultura. Inoltre, dall'Estate Romana viene a galla la richiesta da parte di larghi strati metropolitani di poter fruire di spettacoli culturali non rigidamente sottoposti ai dettami del consumo commerciale.
Massenzio Wikipedia
Massenzio Architectuul
film screenings in the area around Domus Aurea
Renato Nicolini Wikipedia
Renato Nicolini Architectuul
Renato Nicolini Archinform
Book: Federica Fava: Estate romana. Tempi e pratiche della città effimera
Il meraviglioso urbano. L’Estate romana di Renato Nicolini
Dalla rassegna Cinema epico alla Basilica di Massenzio che, trasformando la sede estiva dei concerti dell’Accademia di Santa Cecilia – con le parole di Nicolini: “Luogo d’élite, riservato ai colti e dunque ai pochi” – in luogo per il cinema popolare, innesca l’incontro tra i pochi e i molti, all’ultima estate (1985) mirata alla riscoperta del paesaggio metafisico dell’Eur, passando per le visioni di Massenzioland, con uno straordinario Circo Massimo trasformato in città del cinema con proiezioni dal tramonto all’alba, e Parco Centrale, edizione “distribuita” su quattro location, ai limiti della scena urbana conosciuta. Il Mattatoio abbandonato a Testaccio, via Sabotino a Prati, il Parco della Caffarella e Villa Torlonia (ancora tutta da riconquistare) diventano i luoghi del teatro, della musica, della danza e del video, con allestimenti affidati a Franco Purini e Laura Thermes. Tra questi il Teatrino scientifico dedicato agli spettacoli teatrali e costruito su uno spazio liberato dalla demolizione di alcune case popolari e protetto dalla mobilitazione dei comitati di quartiere, esemplifica bene come questa città dell’effimero sia pensata come uno strumento di gestione pacifica del conflitto urbano, capace di costruire, attraverso l’arte e la cultura, luoghi di incontro piuttosto che di scontro. Il teatrino è infatti un dispositivo relazionale: uno spazio in cui il pubblico circondando la scena, vi entra dentro, diventa protagonista, si guarda.
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L’idea che un ‘borgataro’ – uno dei tanti cittadini romani residenti nelle borgate, aree urbane periferiche, satellite alla città stessa – potesse scoprire la maestosità del soffitto a lacunari di Massenzio, deve fornirci, con un po’ di immaginazione, l’iter interpretativo della portata epocale di quell’evento.
Book: Marco Testoni: Renato Nicolini -- La gioiosa anomalia
Nicolini e l’Estate romana delle contaminazioni
Invece che far prevalere la logica della paura, e cedere al rischio concreto di una militarizzazione della società, come egli stesso disse, si volle proporre un’estensione del diritto di cittadinanza, dicendo a ogni romano – per usare le sue semplici parole – «la città è tua, la puoi vivere in modo divertente, piacevole, non devi testimoniare nulla, non devi essere impegnato»: ne sei comunque di diritto cittadino.
right to the city
Le polemiche sulla politica culturale di Nicolini non si placarono, e nel 1981 si aprì un dibattitto, soprattutto da parte socialista, che contrapponeva il suo “effimero” – quelle iniziative immateriali che non lasciavano nulla se non un ricordo nella memoria dei partecipanti, secondo i detrattori – e il “permanente”: gli interventi strutturali di cui la città aveva bisogno (e che in verità, proprio quelle giunte avevano avviato con importanti risultati). Dopo la fine del suo assessorato, l’Estate romana venne dunque alquanto ridimensionata e, rispetto alle idealità che avevano animato quelle giunte, assai snaturata.
Quando Roma smette di meravigliare. Sulle (dis)ragioni della giunta cinquestelle di mettere fine all’Estate romana di Ottavia Nicolini
Tre sono stati, a mio giudizio, gli elementi decisivi che, cristallizzandosi tra di loro, hanno dato vita a quell’esperienza generazionale unica e irripetibile dell’Estate romana dal 1976 al 1985:
a) il suo carattere di novità
Con la rassegna cinematografica Cinema epico, svoltasi dal 25 Agosto al 18 Settembre 1977 “un luogo considerato di élite, riservato ai colti e dunque ai pochi” viene aperto, per la prima volta, a un pubblico più ampio che, attratto da un’offerta culturale variegata, entra, spesso per la prima volta, proprio nel suo centro storico, instaurando così un forte legame di appartenenza con la città e la comunità dei suoi abitanti. Il primo segreto dell’Estate romana ha poggiato dunque in prima istanza sulla possibilità di questo incontro inedito tra classi sociali diverse, in cui i gusti culturali invece di creare barriere hanno fatto da apripista, invitando le persone a interagire gli uni con gli altri invece che circoscrivere ognuno nel suo recinto abitativo e culturale. Quel mix sapientemente dosato di “cultura alta” e “cultura bassa” è riuscito a gettare un ponte tra immaginari sconosciuti, portando la periferia in centro e il centro in periferia. Anzi, direi di più, dissolvendo in qualche modo, anche se solo per una sera, la distinzione tra centro e periferia.
b) l’energia immaginativa che ha saputo sprigionare
Attraverso la proiezione notturna sul grande schermo resa possibile da allestimenti effimeri in luoghi inusuali della città si è andati a lavorare proprio sull’immaginario, evocando sogni e desideri nascosti in ognuna e ognuno di noi. Rivivere la grande città di notte, d’estate, in un tempo diverso da quello della routine quotidiana apre di per sé lo spazio urbano alla meraviglia, allo stupore di fronte all’inconsueto, all’altro da noi, a ciò che non si è ancora mai visto. Vedere al Colosseo su tre schermi costruiti appositamente il Napoleon di Abel Gance, un film muto della durata di 4 ore, accompagnato dall’Orchestra dell’Opera di Roma sotto una pioggerellina leggera è sicuramente un’esperienza rarefatta, al limite tra la realtà e l’immaginazione. E proprio questo senso di meraviglia che la comunità urbana può evocare è alla base di quell’esperienza del “meraviglioso urbano” con cui mio padre amava descrivere quell’incontro inaspettato tra la città, i suoi luoghi e i suoi abitanti che è anche un incontro/scontro di sogni, aspettative, progetti, opinioni e punti di vista che rendono viva la comunità urbana.
visioni urbanistiche capaci di modificare poi di fatto non solo l’immaginario personale di ognuna e ognuno di noi ma anche la composizione urbana della città stessa. Ricordiamo infatti che dopo il successo di Massenzio al Colosseo è stata pedonalizzata l’area accanto al Colosseo, togliendolo alla sua funzione di rotatoria spartitraffico così come in seguito alla creazione di parco Centrale a via Sabotino è stata impedita l’ennesima speculazione edilizia per destinare l’area a parco pubblico.
c) quella che si potrebbe definire come la creazione di una cittadinanza pubblica felice
l’attivazione di una esperienza culturale di felicità pubblica che è stata in grado di creare una comunità di cittadine e cittadini innamorati della propria città, andando oltre il concetto di mera cittadinanza. L’esperienza dell’Estate romana è diventata un’esperienza generazionale proprio perché ha permesso di sperimentare insieme una forma di “felicità pubblica”, di “appartenenza gioiosa” alla città di Roma nel suo complesso
Una sera d’estate, una sera di gioia, una sera in fondo dove tutto è possibile e in cui si guarda avanti, fiduciosi in un futuro prossimo che ancora non è arrivato ma che arriverà.
editions, locations
1977-78
quasi esclusivamente cinema, Basilica del Massenzio
1979
Parco Centrale -- Città della Musica all’ex Mattatoio, Città della Danza alla Caffarella, Cittá della Tv a Villa Torlonia, Teatro Scientifico di via Sabotino
Festival Internazionale dei Poeti, Castel Porziano
1980
schermo nell'area archeologica -- Fori Imperiali, Colosseo, via della Consolazione
fuori le macchine
Ugo Colombari e Giuseppe De Boni da allora in avanti diventeranno gli “architetti dell’Estate Romana”
1981
schermo nel Colosseo
Anfiteatro Flavio fuori le macchine
1982-84
Circo Massimo
le splendide mostre al Palazzo delle Esposizioni con i suggestivi allestimenti di Maurizio di Puolo prima e Costantino Dardi poi
31 dicembre 1982
capodanno galleria di via del Tritone
1985
Attraverso il più maturo, e per certi versi più suggestivo, allestimento di Colombari e De Boni la prospettiva dechirichiana di via della Civiltà e del Lavoro venne negata dallo schermo che occludeva completamente la strada creando una nuova, straniante, chiave di lettura per quei luoghi.
la mostra Avanguardia-Transavanguardia curata da Achille Bonito Oliva
more notes:
[1] Luca Bergamo, Perchè siamo oltre l’Estate romana, La Repubblica 23/06/2020 leggibile online al seguente indirizzo: https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2020/06/23/il-nostro-obiettivo-oltre-leredita-dellestate-romanaRoma11.html
[2] Rimando per questo gioco di parole a Christian Raimo e all’articolo di Cecilia Gentile, Le polemiche sull’estate romana. Raimo:“scelte elitarie, periferie sole, roma grama! Pubblicato su La Repubblica il 22/06/2020 leggibile online al seguente indirizzo: https://roma.repubblica.it/cronaca/2020/06/22/news/la_polemica_sull_estate_romana_raimo_scelte_elitarie_periferie_sole_roma_grama_-259861196/
[3] Qui rimando al libro di Renato Nicolini, Estate romana. 1976-1985: un effimero lungo nove anni, Città del Sole, Cosenza, 2011.
[4] E qui basta riferirsi al fatto che Jack Lang, Ministro sotto Mitterand colpito dall’Estati romane nicoliniani, assegnò a mio padre il titolo di Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres oltre che a dichiarare in più occasioni di essersi ispirato a Nicolini durante la sua mministrazione in particolare per la creazione della Fete de la Musique a Parigi.
[5] Espressione utlizzata da Filippo Celata in un articolo che sarà pubblicato sul numero 5/2020 di Micromega in edicola a partire dal 23 luglio.
[6] http://www.archiviocapitolino.it/eventi.php?page=4&eid=43
[7] Per avere una breve panoramica degli studi più recenti faccio riferimento ai seguenti testi: A.A.V.V. Massenzio ’77-’79. Tendenze urbane. Il programma completo della manifestazione, Castelvecchi, Roma 1997; A.A.V.V. Sentieri Selvaggi Magazine, Il desiderio di essere inutile. Renato Nicolini, l’intellettuale 2.0, Magazine n.3 settembre/ottobre 2012; Federica Fava in Federica Fava, L’Estate romana. Tempi e pratiche della città effimera, Quodlibet, Macerata, 2017; Guido Panvini et Ottavia Nicolini, ˂LL’Estate romana contro il terrorismo˃, Laboratoire Italien, 22, 2019 leggibile online al seguente indirizzo: https://journals.openedition.org/laboratoireitalien/2721; Camilla De Boni, Massenzio 1977-1985. Mito e poetica del meraviglioso Urbano, tesi di Dottorato in Paesaggi della città contemporanea, Università degli Studi di Roma Tre, Dipartimento di Architettura, A.A: 2018-19 di prossima pubblicazione presso la casa editrice Libria di Melfi.
[8] Maurizio Caprara, Coronavirus a Roma, da Nicolini un esempio per salvare la cultura publicato su Il Corriere della Sera, 24/04/2020 e leggibile al seguente indirizzo: https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/20_aprile_24/modelloper-salvare-cultura-9852c4fe-857b-11ea-b71d-7609e1287c32.shtml?refresh_ce-cp
[9] Come ricorda Federica Fava in Federica Fava, L’Estate romana. Tempi e pratiche della città effimera, Quodlibet, Macerata, 2017, p.53
[10] “[…] Massenzio, come luogo dei concerti estivi dell’Accademia di Santa Cecilia, era invece un luogo considerato di élite, riservato ai colti e dunque ai pochi. Molti allora vi entrarono per la prima volta”, Renato Nicolini, L’architettura dell’immateriale, in Massenzio ’77-’79. Tendenze urbane. Il programma completo della manifestazione, Castelvecchi, Roma 1977, pp. 26-27
[11] L’espressione meraviglioso urbano è stata coniata proprio da mio padre per descrivere la sua Estate romana. Per saperne di più rimando al suo articolo Il meraviglioso urbano, pubblciato in L’effimero teatrale, alla puntata televisiva condotta da Gianni Minoli di La Storia siamo noi. Massenzio: meraviglioso urbano visibile a questo link: http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/video/massenzio/1158/default.aspx
[12] Jack Lang, Prefazione, in Renato Nicolini, Estate romana. 1976-1985: un effimero lungo nove anni, Città del Sole, Reggio Calabria, 2011, p.16
[13] Roma.fanpage.it/il-significato-della-canzone-che-lucio-dalla-ha-dedicato-a-roma-la-sera-dei-miracoli/
[14] Per chi volesse approfondire il periodo dell’Estate romana rimando alla prossima iniziativa che si terrà a Casetta Rossa il 10/07/2020 dove nel coros della serata verrà proiettato il documentario „Ciao Renato!“ di Cristina Torelli, Paolo Luciani e Roberto Torelli a cui seguirà una tavola rotonda dedicata a Renato Nicolini e alla sua visione rivoluzionaria di città. Per maggiori informazioni rimando al seguente indirizzo: https://roma.repubblica.it/cronaca/2020/06/27/news/roma_un_mese_tra_incontri_musica_e_cucina_a_casetta_rossa_inizia_l_altra_estate-260381259/
https://www.quodlibet.it/recensione/2817
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L’Asinara, l’isola dei «dannati della terra», la «Caienna» italiana, da tempo immemore isola-carcere per antonomasia. Adibita a colonia penale nel lontano 1885, da sempre spauracchio per i detenuti riottosi, gli irriducibili, i refrattari alla disciplina, i ribelli, i rivoluzionari, i nemici del Sistema. Non si può capire la vicenda-Asinara senza parlare di Luigi Cardullo, classe ’35, siciliano di Patti (Messina), direttore del carcere tra il 1974 e il 1980. Eloquentemente ribattezzato il «viceré», Cardullo viene ricordato come un sovrano, un uomo al di là di ogni illuministica ragionevolezza: lui stesso con mirabile sprezzo della sobrietà, commentava: «Il mestiere di Dio è sottopagato». Lo ricorda così il fondatore delle Br Renato Curcio: «Una volta mi sfidò ad ucciderlo, in una di quelle sfide psicologiche che, secondo me, lo facevano sentire “uomo”. La jeep in quel momento percorreva un sentiero che sovrastava un dirupo. “Vedi Curcio”, mi disse, “se dai uno strattone allo sterzo precipitiamo e mi uccidi, ma so che non ne hai il coraggio; per questo posso permettermi di portarti con me da solo; voi parlate, parlate, ma poi…”. No guarda, gli risposi, (…) sarei anche disposto a buttarti di sotto, ma senza precipitare anche io”. Un’altra volta confidò a Curcio: “Io nella vita non ho più niente da perdere, mi rimanete voi e la mia unica soddisfazione è che da qui non riuscirete a scappare”». Una volta venne davanti alle nostre celle e tenne una specie di sermone: “La notte non dormo perché so che voi non dormite, pensate solo a fuggire. Voi non avete le donne ma io, anche se ho mia moglie con me, non scopo, perché non mi interessa più, penso solo a voi” ricorda un altro ex Br . All’occorrenza, Cardullo non difettava certo di cinismo, come emerge dal resoconto di un cronista del Corriere della Sera che lo aveva incontrato insieme ad una delegazione di giornalisti: «Hanno detto che alcuni detenuti per sfuggirle si sono conficcati aghi nel petto, cuciti le labbra, inghiottito manici di cucchiai. Cardullo soddisfatto commenta: “È un buon resoconto”». Diversi detenuti raccontarono che era solito legarli alla sua jeep con una corda, per poi trascinarli fino allo stremo in giro per l’isola, a mo’ di punizione. Proprio la denuncia effettuata da uno di loro, nel 1976, accese il dibattito pubblico sui suoi metodi poco «ortodossi». Il «viceré», per nulla intimorito, trasformò quel dibattito in uno show a mezzo stampa. Particolarmente controverse divennero le sezioni di massima sicurezza dell’isola: il «Pollaio» («la moglie di Cardullo ci aveva tenuto le galline, tanto erano degradati e angusti gli spazi »), “Fornelli” e il famigerato «Bunker»: una costruzione di cemento armato protetta da un muro di cinta e circondata da filo spinato. Le celle, «bugigattoli di tre metri per tre in cui stavano quattro detenuti, rinchiusi ventitré ore su ventiquattro; l’”ora d’aria” avveniva in una stanza poco più grande delle celle, praticamente al chiuso». Queste sezioni vennero scelte a metà degli anni Settanta dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa per custodire, in condizioni di assoluto isolamento, gli appartenenti alle organizzazioni armate, Br in testa. Un cronista de L’Unità chiese al dottor Vindice Silvetti, da 25 anni medico del penitenziario, che cosa pensasse di quelle sezioni: «Posti infernali nei quali non vorrei mai essere rinchiuso». Non usò mezzi termini neanche il sottosegretario alla Giustizia Raffaele Costa (ma senza far niente in proposito): «Ho visto un cimitero, uomini ridotti a cadaveri viventi, con un fiore in testa». Nel 1978 un quotidiano come La Stampa, non certo sospettabile di simpatie anarco-insurrezionaliste, definì «inammissibili» i metodi della gestione-Cardullo: «Pestaggi e violenze diffuse; vitto rancido, acqua salata, fangosa, praticamente imbevibile». L’impressione degli altri cronisti? «Francamente inquietante (…). È come un’allucinante scatola in formato gigante, dentro c’è appena lo spazio per muoversi. Anche l’aria è tutt’altro che buona”. Negli anni Ottanta un’inchiesta giudiziaria scoperchiò un sistema fatto di corruzione, tangenti, gioielli e microspie. Ne 1982 infatti a Viterbo, il Viceré Cardullo, viene tratto in arresto insieme a sua moglie; i magistrati sardi, che gli contestano «gravissime irregolarità nell’assegnazione degli appalti per la ricostruzione», lo rinviano a giudizio per una lunga serie di reati: corruzione, truffa aggravata ai danni dello Stato, peculato. Cardullo tentò di scagionarsi dalle accuse di corruzione asserendo che le ingenti somme trovate sul suo conto non erano il provento di tangenti, ma il compenso elargitogli dai servizi segreti in cambio dell’attivazione di un centro di spionaggio dei brigatisti reclusi. Tirò allora in ballo nomi illustri: lo stesso Dalla Chiesa e il suo vice Enrico Galvaligi. Le cimici all’Asinara c’erano, questo venne appurato, ma ciò non bastò a salvarlo. Dopo la condanna inflittagli in primo grado nel 1987, infatti, il 6 giugno 1989 il Tribunale di Sassari mise la parola fine sulla sua vicenda giudiziaria, condannandolo a 5 anni e dieci mesi di carcere per corruzione, truffa ai danni dello Stato e peculato: aveva instaurato una sorta di caporalato carcerario, sfruttando la forza lavoro – gratuita – dei detenuti per poi rivendere, a privati, i generi alimentari prodotti all’Asinara. Fonte: Sebastiano Palamara da “Spazio 70” (Cheyenne Rebelde)
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