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#aldilà del velo
imperfect-girl17 · 7 months
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E mentre stavo lì immobile, incerta sé girare la chiave della macchina e partire, oppure rimanere ancora in contemplazione della pioggia.
Aspettavo un tuo segno di vita anche perché vivo nel terrore che arriverà il giorno che tu sarai andato proprio come tutti gli altri… Non a rifarti una vita diversa, ma aldilà del velo dove sono tutte le persone che ho amato.
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scenariopubblico · 1 year
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#FICFest: 12 maggio
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La sesta giornata del #FICFest ha avuto inizio alle ore 17 con Lecture, l’incontro che ha visto protagonisti la coreografa greca Toula Limnaios e il compositore tedesco Ralf R. Ollertz, che hanno presentato al pubblico la storia della compagnia toula limnaios. Questa, fondata da i due artisti nel 1996 a Bruxelles e successivamente spostatasi a Berlino, dove tutt’ora risiede, rappresenta una delle compagnie di danza contemporanea di maggiore successo nel panorama odierno, che gode della presenza di 18 danzatori stabili, impegnati nella produzione di 60-70 spettacoli l’anno. Una compagnia indipendente al circuito teatrale tedesco, istituzionalmente finanziata dall'amministrazione del Senato per la Cultura dello Stato di Berlino dal 2005.
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«We see music and we hear dance»
Con queste parole, Limnaios ha spiegato il metodo di lavoro della compagnia e il loro approccio a una nuova produzione. Infatti, entrambi hanno specificato come la creazione della coreografia e della musica avvengano nello stesso tempo, non procedendo mai su rette parallele che non si incontrano ma, al contrario, intrecciandosi. La danza vive in funzione della musica e viceversa. Di conseguenza il processo creativo richiede un lungo tempo di elaborazione e studio in quanto l’inspirazione può derivare da numerosi elementi: poesia, letteratura, filosofia, arte, cinema o autori come Dostoevskij o Beckett molto cari alla coreografa. Tra la coreografa e il compositore, i danzatori, tra loro eterogenei, svolgono la parte centrale del lavoro compositivo.
L’incontro è proseguito anche attraverso la visione di alcuni estratti delle loro produzioni, quali:
Minute papillon (2015) mostra la caducità della vita in immagini silenziose, intense e profondamente umane.
Die einen, die anderen (2017) realizzato in collaborazione con la compagnia brasiliana Gira dança, è una riflessione sull'immagine del corpo, che si ispira alle conferenze radiofoniche di Foucault sul corpo utopico.
We are made (2016) è un cortometraggio di danza, realizzato da miniature coreografiche collocate in contesti alternativi, al di fuori del palcoscenico.
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Aldilà delle produzioni della compagnia, Limnaios e Ollertz desiderano costituire un network di compagnie aperte a collaborazioni, confronti e incontri. Il progetto European ensemble network utopia parte proprio con la Compagnia Zappalà Danza che ha sposato questa iniziativa.
Importante appuntamento sabato 13 maggio alle ore 20.45, presso la Black Box di Scenario Pubblico, con l’ultima creazione della compagnia Staubkinder (bambini di polvere), che occasionalmente per la prima volta ha scelto di utilizzare non più le composizioni musicali dello stesso Ollertz, ma che si è ispirata alla Prima Sinfonia di Gustav Mahler.
Quali frasi sono per una donna superflue e dannose? Donna al volante, pericolo constante
Etichette taglienti, attenzioni non desiderate per strada, detti innocenti come quello sopra: come tutto questo influenza la sicurezza e il sentimento di libertà femminile? Questa è la tematica ben performata dal Collettivo SicilyMade.
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Le tre potenti Marta Greco, Silvia Oteri e Amalia Borsellino, creando caos sulla scena con glitter e coriandoli, hanno presentato uno spettacolo sulla misoginia e la discriminazione delle donne.
L’esibizione è iniziata in maniera composta con oggetti fortemente stereotipati: velo da sposa, corsetto e utensili da cucina. Questi ultimi, percossi dalle tre danzatrici, sono stati gli strumenti che hanno creato il suono dell’inizio.
Seguono una pioggia di coriandoli e glitter, prima nascosti dentro i pentolini, e una traccia di musica elettronica creata da Andrea Cable, che insieme accompagnano il movimento delle danzatrici: liberatorio e privo di quel giudizio che le donne portano da sempre con sé.
Gli applausi per Marta, Silvia e Amalia parlano di soli per l’apprezzamento spettacolare del pubblico.
Grazie ragazze per la vostra danza, non vediamo l’ora di vedere altro!
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Sono le h 21:00 e ci troviamo in Black Box, pronti a guardare lo spettacolo MAGIE, TRUCCHI, FANCIULLE SPIRITATE E ALTRI RIMEDI CONTRO IL MAL CONTENTO DILAGANTE.
Un'idea di Emanuele Coco presentata con l’uso di racconti animati dalla presenza di sette giovani danzatori  del percorso MoDem Atelier.
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Per tutta la vita abbiamo la sensazione che non sia molto facile realizzare sogni e aspettative, e paradossalmente diamo spazio alla nascita di guerre tra i nostri desideri e quello che vorremo realizzare. Coco, allora si pone una domanda.
«Cos'è che rende tanto complicato condurre le nostre vite in quel luogo "felice" che i nostri desideri saprebbero indicarci perfettamente?»
Come sostiene il professore, molto spesso si pensa che il problema sia dovuto al fatto che nella vita ci auto critichiamo, non sentendoci all'altezza. La questione viene spiegata in relazione al pensiero dello psicologo James Hillman secondo cui il problema di oggi non è più riconducibile all'individuo e alla sua storia personale ma alla situazione circostante.
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Facciamo attezione!!!
Oggi ad essere nevrotico non è più l'individuo ma il mondo. Qual è, allora, una possibile soluzione a questo?
Coco ci consiglia di trovare un escamotage: LA MAGIA. Si parla ovviamente di una magia più filosofica, quella della narrazione utile a liberarci da tutte le voci che possono opprimerci. Nello spettacolo, citando lo scrittore sir Arthur Conan Doile e l'illusionista Harry Houdini, possiamo notare due racconti legati da un filo comune, con una tecnica duplice nei contenuti. Dietro la quarta parete velata, l’autore ci racconta la sua esperienza personale rielaborata con storie d’invenzione alternate a momenti musicali attivati con un sequencer visibile in scena. Si parla di sedute spiritiche e streghe per mettere in luce i timori nutriti nei confronti delle donne e del diverso.
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L’obiettivo della performance è quello di riflettere sul fatto che le streghe agli occhi dei bigotti non siano mai sparite ma si siano incarnate in altri soggetti: chi è omosessuale, chi segue un sogno o semplicemente chi ha delle idee o dei pareri diversi dai nostri.
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Il #FICFest continua oggi, 13 maggio, con i seguenti appuntamenti:
h. 11 - Giselle. Corpo rotto (a cura di Stefano Tomassini, presso il foyer del Teatro Massimo Bellini).
h. 19 - 1+1=3, presentazione del progetto condiviso Associazione Musicale Etnea + Scenario Pubblico (presso Scenario Pubblico).
h.20.45 - staubkinder (a cura di cie. toula limnaios, presso Scenario Pubblico).
A domani con la prossima pagina del Blog!
Credits Redattore: Teresa De Angelis Reporter: Simona Puglisi, Ania Kaczmarska, Iolanda Longo Media: Simona Puglisi, Ania Kaczmarska, Teresa De Angelis Revisione: Sofia Bordieri
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vefa321 · 4 years
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La donna immagine...
Ho indossato le veste lunghe del pudore degli altri quando i loro sguardi erano disprezzo.
Io che non ero il canone, ne la magrezza...
Io che ero donna oltre la forma,le forme.
Fino al giorno di rottura, della stortura dell'anima ferita,
del velo sugli occhi che non avevano alzato.
Quando lo specchio, mi è diventato amico,
Quando ammiccante mi sono finalmente sedotta
Quando ho imparato ad amare per amare, aldilà dei tempi sempre sbagliati.
Aldilà di quelle bellezze definite di altri tempi ormai passati di moda.
Sono donna ora, donna oggi e domani come ieri.
Guardatevi di guardarmi...
Io ho lo sguardo innamorato di chi sa amarsi.
Ora vesto il pudore del mio sguardo lascivo, del volermi...
Ma lascio al mio corpo indossare le vesti che non lo nascondono...
Guardatevi di guardarmi,
mi merito uno sguardo che sia altezza dei miei occhi.
Dei vostri sguardi, pulpiti di fattezze perfette lascio cadere il velo dell'essere me stessa.
Generosa nel corpo e nell'anima imperfetta...
@vefa321
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abr · 4 years
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il governatore del Veneto concede un’intervista politica al giorno, (...) da interprete autentico del nord operoso e realista avvezzo a lavorare con gli imprenditori tedeschi, senza chiacchiere ideologiche sull’Euro, che rivendica l’autonomia perché “non oso pensare cosa sarebbe stata questa epidemia se tutto fosse stato gestito da Roma”. In parecchi, fuori e dentro la Lega, hanno interpretato questo protagonismo guadagnato sul campo con una gestione efficiente dell’emergenza,(...) come (...) l’affermazione di una leadership sostanziale, destinata prima o poi a diventare reale. In verità, il messaggio è tutto in una frase che Salvini ha capito bene. In quel “ma no, io vengo dalla campagna”, professione di finta modestia con cui il governatore del Veneto ha smentito le sue ambizioni. È un messaggio (per Salvini) che suona più o meno così, detta in modo un po’ sbrigativo, ma che rende l’idea: io non ti vengo contro, non faccio né conte interne, né un’Opa ostile, né scissioni, ma è ora di scegliere una linea, meno improvvisata, (...)  che tenga conto dell’enorme bisogno di serietà e di governo che viene innanzitutto dal Nord (...).  Perché E' EVIDENTE CHE IL NORD E'  ALL'OPPOSIZIONE DEL GOVERNO (maiuscolo mio, ndr), (*), ma chiede un’alternativa di governo (...) : soldi alle imprese, autonomia, una classe dirigente degna di questo nome, visto che dal Po in giù praticamente è inesistente (l'articolista sta parlando della Lega dimenticando FdI, ma senza volerlo afferma proprio questo che il Nord pensa di TUTTA LA CLASSE DIRIGENTE: da Roma in giù hanno gli Arcuri).
https://www.huffingtonpost.it/entry/il-ritorno-della-lega-nord_it_5ec40b80c5b649be30a07381
“NON OSO PENSARE COSA SAREBBE STATA QUESTA EPIDEMIA SE TUTTO FOSSE STATO GESTITO DA ROMA”: Senza volerlo l’articolista dell’Huff Post mette il dito sulla piaga: la quale non è il dibattito interno alla Lega - al governo non è quindi è il momento perfetto per interrogarsi fin che le pare e piace - ma nella frase di Zaia sopra riportata, da scolpire sulle porte delle città del Nord. 
Ora, a me della Lega frega solo leggermente più del Pd che pesa zero sottovuoto spinto (e dieci per zero fa ...?); posto questo stralcio di articolo per far vedere con piacere, aldilà delle classiche cadute retrosceniste, che anche a sinistra per intervalla insaniae qualcuno si va rendendo conto finalmente a un passo dal baratro finale che questo governo, non l’emergenza, ha RESO PIU’ PROFONDO IL VERO DIVIDE ITALIANO CHE NON E’ DESTRA-SINISTRA MA NORD-SUD, non è politico e basta ma socioeconomico. 
L’articolista pur senza dirlo indica come la destra (non Salvini eh!) ha LA soluzione: (a) FEDERALISMO e (b) FUSIONISMO cioè alleanza di anime politiche distinte SU BASE TERRITORIALE, vedi FdI piuttosto che FI, per gestire il dialogo con realtà sociecomiche del tutto diverse. 
Le sinistre invece, inclusive dei popolazzarismo m5s, han risposto e possono solo rispondere con l’elettoralismo clientelare: è la COLONIZZAZIONE DEL NORD mediante governo a trazione 100% sudista, come confessa l’articolista. Una colonizzazione bieca becera e sprezzante, stile Portogallo su Brasile, non Inghilterra su Hong Kong o Singapore.  
L’emergenza ha solo evidenziato quanto disastroso fosse questo approccio, era già evidente da settembre 2019, con buna pace per quelli che gioivano per lo scampato pericolo so so sovranista, senza aver capito quale fosse il vero problema. 
(*) qua l’articolista cita Sala come “opposizione del Nord al governo” Stendiamo un velo pietoso, era melgio se nominava Gori di Bergamo o quel pirla stalinista di Bonaccini.  Fosse intellettualmente onesto e scevro da intenti bassamente propagandari di difesa dell’indifendibile, avrebbe potuto  citare CACCIARI, unica mente ancora lucida a sinistra, ferocemente contro il governo romano sudista. 
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pangeanews · 4 years
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“Io non dico se non il mio schifo per il linguaggio della tenerezza, quei filamenti viola, quel sangue annacquato”. Le prose di Alejandra Pizarnik
Non è la vocazione di un prologo contraddire o demoralizzare il lettore. Tuttavia sarebbe disonesto e persino scortese non porre di fronte alla prosa di Alejandra Pizarnik una avvertenza: voi che entrate in questo universo dovrete abbandonare i luoghi comuni che accompagnano il nome di questa scrittrice. Sono gli stessi, in effetti, che fanno da zavorra alla ricezione delle opere di altre scrittrici: pazzia e suicidio. Nel caso della Pizarnik, la leggenda della sua morte ha finito col produrre una sorta di “racconto della passione” che la ricopre col velo di un Cristo femminile. Questo racconto reitera sempre la questione del mal de vivre della scrittrice argentina, trasponendola in chiave di suicidio. Sono gravi le conseguenze di questa patologia consistente nel “legare” in questo modo la vita e l’opera. La malinconia, la solitudine e l’isolamento, quando emergono nella produzione scritta di una donna, sono tratti che ammettono di essere interpretati come la prova di uno squilibrio psichico di tale natura da condurre la loro autrice al suicidio o alla pazzia. Se lo scrittore è uomo, invece, e la sua opera o vita o entrambe manifestano una struttura simile – l’elenco è lungo, da Hölderlin e Rimbaud a Kafka e Beckett –, tale struttura viene accolta solitamente come una conferma dell’atteggiamento visionario dell’autore. È inutile dire che le deviazioni o più semplicemente le abitudini di uno scrittore sono argomentazioni melodrammatiche, non criteri di lettura dell’opera letteraria. La morte della Pizarnik, si sia suicidata o meno, è così rilevante per la comprensione della sua produzione quanto il gas e il forno di quel gelido appartamento londinese per capire le opere di Sylvia Plath.
Alejandra Pizarnik cercava, come lei stessa confessa in uno dei testi raccolti in questo volume, una “scrittura densa e piena di pericoli a causa della sua eccessiva diafanità”. E del fatto che ci riuscì pienamente fa fede la sua opera poetica. Questa scrittura è fonte di incessante perplessità: come può sostenere così tanti registri senza minare gravemente unità e coerenza? Questo fatto, innanzitutto, è sorprendente, ma si tratta di una impressione superficiale che una lettura più accorta si appresta a dissipare e che svanisce dopo aver letto i testi in prosa raccolti qui. Come le poesie, anche la prosa della Pizarnik è attraversata dalla stessa esaltazione riconosciuta da Anna Achmatova nella scrittura poetica di Marina Cvetaeva; una esaltazione che innalza le parole e che fa sì che, all’avviare un testo – poesia o prosa che sia – il piano in cui si colloca la voce sia lo stesso che raggiungono solitamente i grandi poeti quando concludono i propri.
Risulta opportuno sottolineare due aspetti della prosa della Pizarnik. I racconti, in primo luogo, costellati da temi e figure ricorrenti nella sua opera poetica: la seduzione e la nostalgia impossibili, la tentazione del silenzio, la scrittura concepita come uno spazio cerimoniale dove esaltare la vita, la libertà e la morte, l’infanzia e i suoi miraggi, gli specchi e il loro doppio minaccioso… Non pochi di questi racconti si inseriscono in una tradizione canonica dell’ambito letterario francese particolarmente caro all’autrice e che vede come figure di spicco, nel suo caso, Lautréamont, Henri Michaux e Georges Bataille. Autori ammirati dalla Pizarnik, a cui vanno aggiunti André Pieyre de Mandiargues che conobbe personalmente. Risulta meno rilevante, in questo senso, l’estensione dei racconti rispetto alla concentrazione in essi di un lavoro di scrittura che cerca di esaltare i poteri del linguaggio. È questo, e non la morte o la pazzia o il suicidio, il grande motore dell’opera della Pizarnik… Dopo aver letto questi testi, si comprende meglio la straordinaria complicità che esisteva tra la Pizarnik e Cortázar. Aldilà della loro “opera seria”, che costituisce in entrambi i casi una delle esperienze più piene della lingua spagnola, sono i cronopios indiscutibili della nostra tradizione letteraria.
Ana Nuño
***
Contro  
Io cerco di evocare la pioggia o il pianto. Ostacolo delle cose che non vogliono farsi strada nella disperazione ingenua. Questa notte voglio essere acqua, che tu sia acqua, che le cose scivolino come il fumo, imitandolo, dando segnali ultimi, grigi, freddi. Parole nella mia gola. Sigilli ingoiabili. Le parole non sono bevute dal vento, è una bugia dire che le parole sono polvere, magari lo fossero, così io, adesso, non farei suppliche da pazza imminente che sogna subite scomparse, migrazioni, invisibilità. Il sapore delle parole, quel sapore seme vecchio, ventre vecchio, osso che disorienta, animale bagnato da un’acqua nera (l’amore mi obbliga alle smorfie più atroci davanti allo specchio). Io non soffro, io non dico se non il mio schifo per il linguaggio della tenerezza, quei filamenti viola, quel sangue annacquato. Le cose non celano niente, le cose sono cose, e se qualcuno si avvicina adesso, e mi dice pane al pane e vino al vino mi metterò a ululare e dare testate contro ogni muro infame e sordo di questo mondo. Mondo tangibile, macchine prostituitesi, mondo usufruibile. E i cani mi offendono con i loro peli offerti, leccando lentamente e lasciando la loro saliva sugli alberi che mi fanno impazzire. (1961)
*
Un viso
Un viso di fronte ai tuoi occhi che lo guardano e per piacere: che non ci sia un guardare senza vedere. Quando guardi il suo viso – per passione, per necessità come quella di respirare – succede, e di questo te ne rendi conto molto più tardi, che neppure lo guardi. Ma se lo hai guardato, se lo hai bevuto come solo può e sa fare una assetata come te. Adesso sei in strada; ti allontani invasa da un viso che hai guardato senza sosta ma all’improvviso, fluttuante e incredula, ti arresti perché ti sei appena chiesto se hai visto il suo viso. Combattere con la scomparsa è arduo. Cerca urgentemente in tutte le tue memorie perché, grazie a una simmetrica ripetizione di esperienze, sai che se non te lo ricordi pochi istanti dopo averlo guardato questo oblio significherà i più desolanti giorni di ricerca.
Fino a che lo rivedrai di fronte al tuo e con rinnovata speranza lo guarderai un’altra volta, decisa, questa volta, a guardarlo sul serio, davvero anche questo ti risulta impossibile poiché è la condizione dell’amore che hai nei suoi confronti.
Parigi, maggio 1962
*
Le unioni possibili
La disseminata rosa imprime urla nella neve. Crollo della notte, crollo del fiume, crollo del giorno. È la notte, amore mio, la notte caliginosa e smarrita che ribolle le sue consuetudini nella immonda grotta del sacrosanto presente. Meravigliosa ira del risveglio nella astrazione magica di un linguaggio inaccettabile. Ira dell’estate. Mondo a pane e acqua. Solo la pioggia si rivolge a noi con la sua offerta inimmaginabile. La pioggia alla fine parla e dice.
Meticolosa iniziazione dell’abitudine. Irritati cristalli nei giardini graffiati dalla pioggia. Il possesso del preteso passato, del popolo incandescente che fiammeggia nella notte invisibile. Il sesso e le sue virtù di ossidiana, la sua acqua fiammante che si imbatte contro gli orologi. Amore mio, la singolare quiete dei tuoi occhi smarriti, la benevolenza dei grandi sentieri che accolgono morti e more selvatiche e tante sostanze vagabonde o addormentate come il mio desiderio di incendiare questa rosa pietrificata che infligge aromi di infanzia a una creatura ostile alla sua memoria più vecchia. Maledizioni eiaculate in piena estate, guardando il cielo, come una cagna, per ripudiare l’influsso sordido delle voci vetrose che si schiantano nel mio udito come una onda in una conchiglia.
Sia visto il mio corpo, sia affondata la sua luce adolescente nella tua accoglienza notturna, sotto ondate di tremore precoce, sotto ali di timore tardivo. Sia visto il mio sesso e che ci siano suoni di creature edeniche che suppliscano il pane e l’acqua che non ci danno.
Si chiude una grotta? Giunge per lei una strana notte di fulgori che decide di custodire gelosamente? Si chiude un paesaggio? Quale gesto palpita nella decisione di una clausura? Chi inventò la tomba come simbolo e realtà di ciò che è ovvio?
Volti vuoti per le strade, alberi senza foglie, carte nei fossati: scrittura della città. E cosa farò se tutto questo lo so a memoria senza averlo mai capito? Ripetono le parole di sempre, erigono le stesse parole, le evaporano, le dissanguano. Non voglio sapere. Non voglio sapere di sapere. Allora chiudere la memoria: i suoi giardini mentali, il suo canto di chi veglia all’alba. Il mio corpo e il tuo finendo, ricominciando; ricominciando cosa? Trepidazione di immagini, frenesia di sostanze viscose, notti cannibali attorno al mio cadavere, permissione di non vedermi per qualche ora, elevato vegliare affinché niente e nessuno si avvicini. Amore mio, nelle mani e negli occhi e nel sesso ribolle la più fiera nostalgia degli angeli, nei gemiti e nelle urla c’è un volere l’altro che non è altro, che non è nulla…
*
Diffidenza
Mamma ci parlava di un bianco bosco della Russia: “… e facevamo pupazzi di neve e gli mettevamo i cappelli che rubavamo al bisnonno…”.
Io la guardavo con diffidenza. Che cos’era la neve? Perché facevano pupazzi? E prima di tutto, che cosa significa un bisnonno? (1965)
Alejandra Pizarnik
*i testi sono tratti da: Alejandra Pizarnik, “Prosa completa”, Lumen, 2002 (con l’introduzione di Ana Nuño); la traduzione e la cura sono di Mercedes Ariza
L'articolo “Io non dico se non il mio schifo per il linguaggio della tenerezza, quei filamenti viola, quel sangue annacquato”. Le prose di Alejandra Pizarnik proviene da Pangea.
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