In Biblioteca puoi scoprire autori e opere che non conoscevi o di cui avevi sentito parlare ma che ancora non avevi avuto modo di leggere. Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicare un angolo alla scoperta di questi "tesori nascosti".
Oggi l'opera prescelta è l’“Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters.
La poesia ha in sé la possibilità (e l'ardire) di raggiungere ogni tema, ha forza e "sfrontatezza" di celarsi nelle cose semplici, fors'anche le più difficili da raccontare, esaltandole o rivelandole per quel che sono. I versi abbracciano, cullano, stringono, incendiano: innescano un cambiamento diffuso la cui eco informa il circostante, gli animi, fino a mescolarsi con l'esperienza stessa del mondo. Soprattutto, la poesia può "giocare" in equilibrio da acrobata con la vita, le speranze, i destini e persino con la morte! E l'autore scelto per il tesoretto di oggi intreccia proprio vita e morte in una raccolta particolarissima e forse unica nel suo genere... In effetti non è così usuale imbattersi in questa sorta di letteratura funeraria sui generis nata dall'intuizione di dipingere la vita di una cittadina del Middle West americano attraverso le riflessioni ed i pensieri dei suoi defunti!
Ha un fascino inquietante e geniale, ed è stato per me curioso ed interessante cercare di scoprire i legami, rammendare strappi e riannodare i fili che probabilmente univano molti o alcuni dei personaggi narrati fintantoché si trovavano ancora tra i vivi, gli uni per gli altri concittadini, la cui voce affiora "prepotente" tra le pagine. In queste liriche dal carattere narrativo trovano posto e attenzione i rimorsi, i rimpianti, le nostalgie e le gioie degli abitanti dell'immaginaria Spoon River. C'è chi, nel silenzio e nel freddo della morte, nel proprio giaciglio sotterraneo, è riuscito a trovare quell'onestà d'animo prima sconosciuta e negletta per ammettere finalmente i propri errori. C'è chi, proseguendo invece nelle stesse esecrabili abitudini, vomita la colpa delle private sofferenze sulle spalle di altri morti, salvo poi scoprire che la verità non coincide mai con una sola e che, piuttosto, esistono del vero tante versioni, tante (troppe) verità provvisorie. O, ancora, c'è chi nei confronti di Spoon River nutre un legame profondo, forse morboso, e chi imputa alla cittadina tutta quanta la responsabilità della propria esistenza mediocre e fallimentare, dell'insuccesso fatale, dell'oblio del non ricordo.
Tra gli aspetti che più ho apprezzato vi è la scoperta dei vari punti di vista dei personaggi presentati: il marito che ricorda vicende e caratteristiche della relazione coniugale secondo il suo personalissimo (e parziale) punto di vista; voltando pagina, si scopre, all'opposto, la visione della moglie di diverso e antitetico avviso. In certi casi, poi, è anche possibile cogliere considerazioni e stato d'animo dei figli o di persone in qualche modo gravitanti intorno alla vita terrena della famiglia. Tanti i rimandi, profonde le connessioni in una cittadina che appare affascinante e piccola, dove è facile conoscersi e riconoscersi. Il sottosuolo di Spoon River ospita un grandissimo e variegato affresco d'umanità, colto in ogni sfaccettatura, tanto buona quanto cattiva, con un'indubbia predominanza degli aspetti negativi... Solitudine, rimpianti e sogni, tempo perduto: questa raccolta priva di derive declamatorie o celebrative dall'autore definita "qualcosa di meno della poesia e di più della prosa", dà voce a chi voce non ha più, in linea con l'antica tradizione degli epitaffi e degli epigrammi. Da ogni sepoltura del cimitero locale di Spoon River in cui l'autore immagina di sostare, proprio dall'iscrizione tombale sembra affacciarsi un volto, una storia, un'anima la cui vita terrena viene evocata e tratteggiata con tocchi immediati e impetuosi. Pennellate urgenti nell'urgenza di raccontare fino alle soglie della verità in tutta la sua evidenza, una verità che non ha senso nascondere dopo il trapasso e che, anzi, viene svelata priva di orpelli e pudore nel disincanto di chi, ormai, non ha più nulla da temere né perdere.
«Questo è il dolore della vita:
che si può essere felici solo in due;
e i nostri cuori rispondono a stelle
che non voglion saperne di noi.»
Vicende meschine, legate agli interessi materiali o a colpevoli passioni, causa della caduta e poi della fine; esperienze dolorose, di frustrazione e umiliazione, non senza slanci di umanità o lucide riflessioni, radi attimi di serenità di defunti senza colpe da scontare, ma, al contrario, con la consapevole felicità di una vita trascorsa in modo laborioso e onesto, anche grazie all’amore.
Viene tralasciato ogni giudizio morale, ignorata ogni considerazione esistenziale in questa affabulazione prosastica dallo stile asciutto e scarno, privo di infingimenti o artifici letterari, nella concisione e nella mordacità dei versi.
“Tutti, tutti dormono sulla collina”: a vegliare sugli affanni e le sofferenze trascorse resta un silenzio che sa di assoluzione, forse anche redenzione. Un silenzio interrotto solo dal ricordo affidato all'autore in veste di visitatore di passaggio, un silenzio evocato a rimandare a malinconici tocchi (talvolta carezze) di poesia, in queste “cronache dai sepolcri”, nell'intento, forse, di squarciare il velo dell’oblio di ogni identità. Restituendo voce e valore al più piccolo sussulto, alla minima velleità e rimpianto, accorciando la distanza tra chi resta e chi ha lasciato le cose del mondo, in un solo afflato di dolente e quieta umanità.
Edgar Lee Masters (1868 –1950) è stato un poeta, scrittore e avvocato statunitense, noto soprattutto come autore dell'Antologia di Spoon River. Edgar Lee Masters nacque da Wallace Masters ed Emma J. Dexter il 23 agosto 1868 a Garnett in Kansas, dove il padre si era trasferito per esercitare come avvocato. La famiglia tornò però presto nella fattoria dei nonni paterni, vicino a Petersburg nella Contea di Menard in Illinois. Nel 1880 i Masters si spostano ancora, stavolta a Lewistown, dove Edgar frequenta la scuola superiore e pubblica i suoi primi testi per il Chicago Daily News. Il paesaggio intorno alla città, il cimitero di Oak Hill ed il vicino fiume Spoon furono preziose fonti d'ispirazione tanto per l'Antologia di Spoon River che e per altre opere del poeta. L'Antologia lo consacrò autore di fama, ma sancì anche la rottura con i suoi concittadini, di cui la raccolta denuncia debolezze ed ipocrisie.Nel 1890, dopo aver lavorato presso l'ufficio legale del padre, Lee Masters ottenne l'abilitazione alla professione di avvocato nello stato dell'Illinois. Nel 1898 sposò Helen M. Jenkins, figlia di un avvocato, dalla quale ebbe tre figli. Nel 1911 aprì uno studio legale in proprio, due dei suoi figli seguirono le sue orme. La figlia Marcia si dedicò alla poesia, mentre il figlio Hilary Masters divenne romanziere e scrisse, insieme al fratellastro Hardin, una biografia del padre.Fonti d'ispirazione maggiori per l'Antologia di Spoon River furono l'Elegia scritta in un cimitero campestre di Thomas Gray e gli epigrammi greci dell'Antologia Palatina, letture suggerite all'avvocato-scrittore dall'amico William Marion Reedy, direttore del Reedy's Mirror nel 1913, appare probabile che l'autore abbia letto la novella "La morta" di Guy de Maupassant.Tra il 29 maggio 1914 e il 5 gennaio 1915 il giornale pubblicò con regolarità quasi tutti i componimenti dell'Antologia, a partire da La Collina. Nel 1916 uscì la versione definitiva dell'opera in volume, che riscosse in breve tempo grande successo, soprattutto in USA e, più tardi, in Italia. Sebbene non abbia mai più replicato il successo dell'Antologia di Spoon River, Masters fu uno scrittore prolifico in diversi campi. Negli ultimi anni le difficoltà economiche fattesi pressanti lo obbligarono a ricorrere all'aiuto di amici per poter sopravvivere. Morì in miseria e dimenticato, di polmonite, il 5 marzo 1950 e fu sepolto nel cimitero Oakland di Petersburg. La sua grandezza sarà universalmente riconosciuta solo a partire dagli anni '60, in cui diverrà uno dei poeti statunitensi più celebri a livello mondiale.
Recensione a cura di Rita Pagliara
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I have studied many times
The marble which was chiseled for me--
A boat with a furled sail at rest in a harbor.
In truth it pictures not my destination
But my life.
For love was offered me and I shrank from its disillusionment;
Sorrow knocked at my door, but I was afraid;
Ambition called to me, but I dreaded the chances.
Yet all the while I hungered for meaning in my life.
And now I know that we must lift the sail
And catch the winds of destiny
Wherever they drive the boat.
To put meaning in one’s life may end in madness,
But life without meaning is the torture
Of restlessness and vague desire--
It is a boat longing for the sea and yet afraid.
Edgar Lee Masters
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