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#crescere con un kinder
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“Cresciuti con un Kinder
Finiti con un grinder”
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SAIL 2018 - VELA DAY - Torna il due 2 giugno l'appuntamento promozionale della Vela - 2018
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20 aprile 2018 - Anche quest'anno la Federazione Italiana Vela in collaborazione con Kinder+Sport, Assomarinas e le Società affiliate promuove la cultura del mare e lo sport della Vela attraverso l'appuntamento del 2 giugno: il Vela Day.    Un evento dedicato a tutti coloro che, dai sei anni compiuti, vogliono avvicinarsi e scoprire più da vicino quanto sia affascinante il mondo della vela. La presenza capillare sul territorio (i Circoli affiliati che hanno aderito all'iniziativa sono presenti sulla pagina http://www.federvela.it/veladay) permetterà facilmente a tutti gli amanti del mare e del lago di poter passare un giorno a diretto contatto con questo sport. Un benvenuto iniziale che ci si augura diventi un arrivederci al termine dell'esperienza. "Era solo curiosità, passo spesso qui davanti ma non mi aspettavo potesse essere proprio così." "Mio figlio ha imparato tante cose divertendosi, l’unico problema è stato convincerlo a tornare a casa!" “Dopo questa bella giornata io e papà porteremo quest’estate la mamma a provare con noi la Scuola Vela!” Sono solo alcune delle testimonianze di chi, lo scorso anno, ha deciso di passare una giornata diversa, con amici e tra amici. #iocisarò l'hashtag che quest'anno sarà abbinato al classico #veladay, e tu ci sarai? Federazione Italiana Vela - riconosciuta dal CONI e dal CIP - conta più di 150 mila tesserati distribuiti in 735 circoli velici. L’organizzazione federale, il lavoro dei circoli velici, l’esclusivo sistema di Scuole Vela, con istruttori qualificati, sono la garanzia di ingresso, ogni anno, per oltre 40.000 giovani nello sport velico; fra questi molti si avviano alla pratica agonistica, potendo scegliere tra innumerevoli tipologie di imbarcazioni che rispondono al nome di Classi. La Federazione Italiana Vela coordina, regola e assiste questa attività in Italia, spaziando, quindi, dalla promozione della cultura nautica ai ragazzi delle scuole, alla vela olimpica. La FIV, d’intesa con il MIUR (il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) e con il supporto di Kinder + Sport, promuove la cultura velica nelle scuole attraverso il progetto VelaScuola, e accoglie quanti vogliano intraprendere l’esperienza di andare per mare con le oltre 600 scuole di vela organizzate dai circoli affiliati e presenti in tutta Italia. Kinder+Sport è il progetto internazionale di responsabilità sociale sviluppato dal Gruppo Ferrero in 25 paesi volto a sostenere l’attività fisica tra le giovani generazioni. Il Programma nasce dalla consapevolezza che una vita attiva è un elemento essenziale per bambini, ragazzi e famiglie. L’obiettivo di Kinder+Sport è quello di aumentare i livelli di attività fisica tra le giovani generazioni, dando loro la possibilità di sviluppare una maggiore abilità motoria e poterli aiutare ad acquisire comportamenti corretti e atteggiamenti sociali ed etici. L’educazione è al centro del progetto sviluppato dal Gruppo Ferrero, per aiutare i bambini a crescere con i valori dello sport e della vita, come l’onestà, l’amicizia, l’unità e la fiducia negli altri. Nella vela la classe di riferimento per le prime competizioni è l’Optimist e la Coppa Primavela e i Campionati Nazionali Giovanili sono i primi grandi eventi giovanili organizzati dalla Federazione, a cui si affiancano il progetto “VelaScuola” realizzato con il MIUR, i Meeting Scuola Vela, organizzati su tutto il territorio (fasi provinciali, zonali e meeting nazionale finale) con l’intento di fidelizzare i ragazzi all’attività velica e, infine, il Vela Day, una giornata di festa su tutto il territorio organizzata dalla Federazione per promuovere la cultura del mare e lo sport della vela.
FROM http://www.navigamus.info/2018/04/vela-day-2018-torna-il-due-2-giugno.html
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yomersapiens · 7 years
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Al supermercato guardo sempre con stima le persone che entrano, prendono qualcosa, non riescono ad aspettare di averla pagata, la mangiano/bevono e poi dopo aver fatto la spesa vanno in cassa e pagano consegnando un involucro vuoto. Ma come fanno? Quanto coraggio. Quanta ammirazione. Io mi faccio problemi pure a pendere gli assaggini gratuiti quando me li offrono perché non si sa mai magari li vuole qualcun altro e non bastano per tutti poi mica voglio che pensino che entro per scroccare dai. Uno dei miei passatempi passivo-aggressivo preferiti invece è giudicare la spesa degli altri. Sì, sono una di quelle persone che vi guarda nel carrello e poi dopo attenta osservazione si volta verso di voi ad esprimere il suo disappunto. “Certo, passerai sicuramente una bellissima serata in cesso grazie a quei pacchetti di Fonzies. In bocca al lupo per la gara di rutti a te e le tue 6 bottiglie di Coca Cola. Vuoi anche dello zucchero extra insieme a tutte quelle caramelle e cioccolate oppure dici che è abbastanza. Oh prodotti sani, oh linea Vegan, oh abbiamo uno che ha scoperto il segreto della vita eterna, allora visto che vivrai per sempre perché non mi fai andare avanti in fila. Pizza surgelata, verdure surgelate, prossimo passo iscrizione a Masterchef.” Mi diverto molto al supermercato. Ogni tanto mi compro un ovetto Kinder e quando capita faccio in modo che tutti i bambini presenti lo notino. Voglio essere invidiato. Voglio vadano dalle loro madri a chiedere altrettanto. Invece no stronzetti, aspettate di crescere e di avere un lavoro, queste saranno le gioie della vita. Queste e il fatto che al supermercato vendano gli alcolici. Molti dei ricordi più belli della mia vita sono accompagnati dagli alcolici. O sono stati creati dagli alcolici e me li sono immaginati e niente è vero.
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Ho conosciuto Alice che avevo otto anni. Ricordo che, allora, quello sputo di periferia romana in cui vivevo non mi sembrava poi così male. La Roma un po’ dimenticata da Dio, quella con gli autobus sgangherati e la puzza di fognatura esplosa e gli appartamenti con vista sui fili del tram, lo squallido discount dove puoi comprare cibo spazzatura liofilizzato e latte in polvere, il cinema in disuso che diventa rifugio serale per tossici e ubriachi. E’ in questi luoghi che ho conosciuto Alice, e quindi va bene. Abitava nel palazzo di fronte al mio, il numero sette, il cornicione della sua finestra era di un rosa sbiadito, pallidissimo, la osservavo tutte le sere prima di andare a dormire, visto che la finestra della mia cameretta era esattamente davanti alla sua. A otto anni non ti passa mai per la testa che tu possa essere scambiato per un maniaco che sbircia nelle finestre altrui. Ogni mattina facevamo la stessa strada per andare a scuola, un enorme edificio in fondo alla nostra via con le pareti scrostate e grigie, ognuno sul proprio lato, senza mai attraversare per raggiungersi, la osservavo camminare con passo veloce e ritmo costante, la scortavo silenziosamente, non poteva capitarle nulla di male, mi dicevo, due destini paralleli con lo sguardo basso e le mani nelle tasche. Sono il tuo supereroe silenzioso, Alice, veglio su di te e tu non lo sai. A scuola Alice non parlava quasi con nessuno, se ne rimaneva seduta al banco, i lunghi capelli rosso scuro pettinati in fretta, il collo esile, una spruzzata di lentiggini sul naso e sugli zigomi. Aveva gli occhi neri, nerissimi. Quando qualcuno le rivolgeva la parola all’improvviso lei sbatteva le palpebre un paio di volte, quasi come se fosse stupita di non essere invisibile. Alice, piccola presenza nei corridoi affollati, una dèa ai miei occhi, ero convinto di essere io il suo supereroe senza che lei lo sapesse. In realtà era lei a salvare me ogni volta, ma non sapeva neanche questo. Le lasciai un bigliettino sul banco, una mattina, un bigliettino senza grandi promesse ma con una gran voglia di farle sapere, mi ero addirittura messo la camicia bianca quella mattina, anche se poi era stata interamente nascosta dal grembiule blu scuro. Alice lesse il biglietto e si girò verso di me. Nel mio mondo la forza di gravità cominciò ad arrivare da un punto diverso da quello a cui ero sempre stato abituato, da un punto indefinito a metà tra i suoi occhi grandi e neri e il suo labbro superiore, in mezzo a tutte quelle costellazioni sul naso di cui forse un po’ si vergognava. Mi avvicinai a lei. “Ciao!” “Ciao!” rispose lei sorridendomi timidamente. “Hai già il compagno di banco?” le chiesi, lei fece cenno di no con la testa. “E tu?” mi chiese poi. “Neanche io. Posso sedermi qui?”. Lei sorrise ancora e annuì con la testa. Tolse un paio di quadernoni dal banco, il temperino e la gomma da cancellare per farmi spazio, il bigliettino ancora lì, un po’ stropicciato, “hai i capelli bellissimi” scritto un po’ storto ma chiaro, in stampatello. Portai tutta la mia roba al suo banco e mi sedetti. “Come ti chiami?” le chiesi. “Alice, tu?” “Stefano.” Le tesi la mano come i grandi, lei la guardò un attimo e poi me la strinse, le unghie mangiucchiate, la pelle liscissima. Il biglietto che finisce nel suo diario, destini paralleli che collidono e fanno la strada insieme per tornare a casa, trovarsi in tutto quel grigio, in mezzo alle fabbriche, alle pozzanghere. Il quartiere quasi non puzzava più quando c’era Alice accanto a me, le sospensioni degli autobus sembravano rimettersi a posto, le urla delle madri che dai balconi richiamavano i propri figli per la cena sembravano i richiami delle sirene. La voglia di togliersi il grembiule, spogliarsi della definizione di «bambino delle elementari», voler crescere prima del tempo mangiando ovetti Kinder e scambiare le sorpresine all’interno per progetti di ingegneria meccanica. Alice ed io, le scarpe da ginnastica, la panchina del parchetto che ci sembrava grandissima, i nostri piedi che non toccavano terra e le nostre fantasie che invece sfioravano le nuvole. Il mio panino all’olio con il prosciutto cotto confezionato del discount, la sua merendina che apriva facendo fare lo scoppietto all’involucro, ci metteva un sacco a finirla, spazzava via con una mano le briciole dal grembiule, le guance gonfie per l’ultimo boccone, in quel momento avrei voluto essere il suo supererore, trasformare il grembiule in un mantello e portarla da qualche parte, in volo, evitando i fili del tram e i piccioni che passeggiavano spavaldi intorno a noi. Le elementari alle spalle, la paura di non ritrovarsi nella stessa classe alle medie, e invece di nuovo insieme, il tragitto era sempre lo stesso e i capelli di Alice erano più lunghi, erano lingue di fuoco, profumavano di un’essenza che non riesco a ricordare. «Dove vorresti andare un giorno?» le chiedevo. Alice mi guardava e si scostava con la mano aperta un ciuffo di capelli. «Basta che ci sia il mare» mi rispose, e io ci immaginavo in una piccola casa bianca con il tetto spiovente, sopra una collina a strapiombo sul mare, le onde che si infrangono e tornano indietro, avanti e indietro, avanti e indietro, come il 542 dalle sette di mattina fino alle nove di sera. Guardai le case grigie con le scale antincendio arrugginite, i giardini abbandonati a loro stessi, i campi da basket di cemento senza canestri, senza grida, senza tonfi ripetitivi. «Un giorno ce ne andremo di qui. Ci sarà il mare Alice. Te lo prometto.» Ma poi Alice doveva tornare a casa, e di corsa. Non l’ho mai capita la sua fretta di tornare a casa, come se avesse un coprifuoco. Il padre di Alice lo vedevo spesso uscire di casa la mattina presto, prima che uscissi io per andare a scuola, e rientrare la sera. Un uomo basso, molto stempiato. Aveva una voce roca e a tratti tagliente, quando richiamava Alice dalla finestra, nelle rare occasioni in cui lei perdeva di vista il tempo e tardava il rientro a casa per parlare con me della nostra casa sulla scogliera. C’erano delle notti in cui Alice veniva di nascosto a casa mia. Mi tirava sul vetro della finestra dei pezzetti di segatura del pellet che usavano per la loro stufa. Una volta, due volte, tre volte. Io mi svegliavo e andavo alla finestra, la aprivo e la vedevo lì, affacciata sul suo cornicione rosa pallido. Nel quartiere regnava il silenzio, tranne qualche motorino in lontananza e la tv di chi non riusciva a prendere sonno. «Posso venire?» mi sussurrava forte. «Perché?» «Ho paura dei mostri.» Usciva di nascosto, e io in punta di piedi le andavo ad aprire la porta, stando attento a non fare il benché minimo rumoreci sentivamo amanti, clandestini, ladri di un qualcosa di bello che neanche noi riuscivamo a comprendere. Una notte, mentre eravamo nel mio letto, Alice tirò fuori un dischetto di cartone. Alle due estremità del dischetto c’erano due forellini in cui erano stati fatti passare due fili di spago. Su una facciata del dischetto c’era disegnato un pettirosso. Sull’altra, una gabbia. Alice stringeva i fili di spago tra il pollice e l’indice e faceva ruotare il dischetto. Ed eccolo lì, un pettirosso in gabbia. «Un giorno cancellerò la gabbia, e a qualunque velocità ruoterà il dischetto, il pettirosso sarà sempre libero» mi disse pensierosa. Rimanevamo nel letto per un paio d’ore, e parlavamo della nostra casa, la cucina, il soggiorno, la cameretta. Alice voleva una finestra, possibilmente quella sul mare, con il cornicione rosa acceso, accesissimo. E io sapevo che le avrei comprato tutte le sfumature di rosa del mondo per farle scegliere quella che preferiva. Mi piaceva un sacco il modo in cui la luce della luna che entrava dalla mia finestra le illuminava uno spicchio di naso, ed eccola lì, la luna con le costellazioni, avevo un cielo privato nella mia camera. Poco prima dell’alba, Alice poggiava sempre la testa sul mio petto, come se sapesse sempre quanto tempo mancava prima che lei dovesse tornare di nascosto in camera sua, e mi sentivo come quei puzzle che mi regalavano sempre per Natale e finiva sempre che, in un modo o nell’altro, non trovavo più un paio di pezzi e i paesaggi rimanevano senza la cima di una montagna, lo spicchio di un sole al tramonto, la fonte di un fiume. Alice era il mio pezzo di tramonto. Poi l’alba arrivava, ci alzavamo dal letto e andavamo verso la porta che aprivamo lentamente, le espressioni concentrate per non farla cigolare. Prima di andare, Alice mi sorrideva. «Ci vediamo tra poco.» E mentre la guardavo correre verso casa sua, aprire il piccolo portone con la serratura rotta e venire inghiottita dal palazzo, feci mia la convinzione che quella fosse la promessa più bella del mondo. Così come il dischetto di cartone che poi trovai sotto il mio cuscino, anche quella era una promessa che avrei mantenuto, in un modo o nell’altro.
I giorni che passavano, la pizza bianca divisa in due, i banchi di scuola, le foglie secche che vengono spazzate via, i compiti, Alice e il suo vestitino blu. Alice e la sua torta di mele, era bravissima a preparare le torte, diceva che glielo aveva insegnato sua madre, ciambellone allo yogurt, crostate con la marmellata, piccoli biscotti al burro. Spesso, quando ci vedevamo la mattina, tirava fuori dalla tasca un pezzo di torta o dei biscotti, tutto avvolto in due o tre tovaglioli e me li dava, il tragitto passato sgranocchiando e dividendo. Alice e lo shampoo alla mela, eccola l’essenza che non riuscivo a ricordare, il profumo dei fiori, Alice e un labbro gonfio, spiegazioni che prendevo per buone, ci credevo veramente a quello che diceva, perché non avrei dovuto? Le risposte evasive, un sorriso forzato, io che non capivo, non capivo mai niente, non avevo più un cielo privato in camera da un sacco di notti. E se i mostri esistessero davvero? Una mattina di giugno, la fine della scuola, le vacanze obbligate dai nonni, profondamente desiderate solo non molto tempo fa, ora solo un ostacolo tra me e lei, un complotto cosmico, un’ironia velenosa. Il pensiero di lasciare Alice per tutto quel tempo mi faceva male, e non sapevo assolutamente cosa volesse dire quella sensazione.Sapevo solo che non avrei mai voluto, per nessun motivo al mondo, staccarmi da lei. Fissai Alice negli occhi, lei mi fissò a sua volta, e i palazzi crollarono, i binari si staccarono da terra e i tram deragliarono. «Ti scriverò una lettera tutti i giorni.» «Tutti i giorni?» «Sì, tutti i giorni.» «Lo prometti?» «Lo prometto.» Le presi le mani e le lasciai il dischetto di cartone, le dissi che al mio ritorno avremmo distrutto la gabbia, e che saremmo andati al cinema, anche se era in disuso, e che saremmo andati a vedere i film con il lieto fine.» «Ci vediamo quando torno allora.» «Speriamo che arrivi il prima possibile.» «Dobbiamo pensare che sarà prestissimo e il tempo volerà sicuramente.» «Allora ci vediamo tra poco.» «Sì, ci vediamo tra poco, Alice.»
Il tempo che si ferma, l’estate è solo un enorme fiore dal quale strappo un petalo al giorno, ogni momento scandito dentro un continuo conto alla rovescia. Una lettera al giorno, con l’inchiostro blu, la calligrafia dritta da tema scolastico, con i contenuti fuori da ogni traccia. L’ultimo mese che sembra immobile nella sua afa, nelle cicale, nei vetri umidi, aspettare ancora, e ancora inchiostro blu, aspettare, crollare, dirsi che manca poco. Ma Alice non risponde, non fa niente, sicuramente ha dei motivi validi. La notte prima del ritorno mi ritrovai a imprecare contro la luna, che non accennava a schiarirsi, a svanire, tardavano ad arrivare le tracce di arancione e di giallo chiaro dell’alba, gli uccelli non cantavano. A pensare a quante albe erano arrivate così velocemente con Alice sul mio petto mi veniva una rabbia da spaccare i muri. E poi, finalmente, il ritorno. Nella mia macchia di cielo color perla, nella puzza di vomito e fogna, l’immondizia, eppure mi sembrava il posto più bello del mondo. Le luci del numero sette erano tutte spente, mi dissi fa niente, l’avrei vista il giorno dopo La mattina dopo uscii di casa, il numero sette nel silenzio, Alice non c’era, mi dissi che forse si era già avviata, forse credeva che tornassi con qualche giorno di ritardo, percorsi la strada come un cane da caccia, tra i cespugli secchi e le macchine sporche e vecchie. A scuola il suo banco era vuoto, mi dissi fa niente, avrà avuto un contrattempo, forse sta male, non c’è problema Alice, rimettiti presto, ci vediamo domani, domani passo a prenderti e andiamo al cinema. La notte tesi le orecchie mentre ero nel letto, in attesa di un ticchettio, di qualcuno che mi invitasse ad aprire la finestra perché ci sono i mostri e quindi bisogna stare insieme. Il giorno dopo il numero sette era ancora buio, la strada non aveva una stella cometa, il banco era vuoto, a dodici anni la speranza non muore mai, decisi di andare da lei, mi fermai davanti alla sua porta e bussai, una volta, due volte, rimasi in attesa e la porta non si aprì, abbassai la testa e me ne andai, ci vediamo domani Alice, facciamo la strada insieme e parliamo della casa sullo strapiombo, del mare e di questo cielo grigio perla che un giorno coloreremo insieme e ce lo godremo da un’altra parte, dobbiamo distruggere la gabbia Alice, te lo ricordi che dobbiamo distruggere la gabbia? Un altro domani, ed ero ancora davanti alla sua porta, bussando senza ricevere risposta, rimasi seduto per terra con la schiena appoggiata al muro, in attesa, ma quella porta non si aprì. Il cielo sembrava un po’ più scuro, dammi una mano col colore Alice, da solo non ce la faccio, dove sei ora? Sei al mare? Sei andata a colorare la nostra finestra di rosa? Scrivimi dove sei, che le onde sugli scogli le guardiamo insieme. Allora torna a prendermi, okay? Domani apro la porta e tu sei lì ad aspettarmi, dall’altra parte della strada, ci stai? Puoi anche non portarmelo il pezzo di torta, va bene lo stesso, non preoccuparti. Passavano i giorni, il cielo era lo stesso, avevo la luce della luna che in camera illuminava uno spazio vuoto di lenzuola aggrovigliate. Passò l’ennesimo domani e io pensavo «Alice mi dispiace, scusami davvero, ma il cinema lo hanno demolito, ci hanno costruito dei palazzi di cartapesta» mentre spegnevo le candeline dei miei diciott’anni.
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leolucaorlando · 6 years
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Presentato il progetto "Il GIARDINO" un luogo di conoscenza e dialogo che prenderà il via a partire dal 2 luglio 2018 e che rimarrà attivo durante tutto l‘anno. È rivolto ai bambini e ragazzi che provengono da situazioni di vulnerabilità, palermitani e stranieri, a coloro che vivono in Case Famiglia, ai MSNA e ha come obiettivo principale quello di ridurre la povertà educativa dei bambini coinvolti, dando loro l’opportunità di crescere e apprendere attraverso lo sport, l’arte e la musica. Il progetto, dunque, permetterà loro di frequentare un luogo di incontro, di movimento e di attività ricreative, dando una mano concreta alle famiglie in difficoltà che non possono permettersi di andare in vacanza. Il GIARDINO rimarrà aperto anche durante la stagione invernale per attività realizzate in cooperazione con gli istituti scolastici e con le associazioni del territorio. Questa iniziativa è una delle tante conferme del cambiamento culturale che sta vivendo la città ed è anche un modo per condividere Manifesta 12, la Biennale di arte che non viene e se ne va, ma che lascerà segni tangibili anche dopo il novembre di quest'anno. Il mio grazie va soprattutto a Clementina Cordero di Montezemolo perchè contribuisce alla rigenerazione urbana, partendo dai ragazzi e dai bambini. Con i patrocini del CONI e del Comune di Palermo, il progetto è realizzato dalla Onlus Beyond Lampedusa in partenariato con OIS (Osservatorio Internazionale per la Salute Onlus), in accordo con l’Assessorato delle Politiche Giovanili, Scuola, Lavoro, Salute del Comune di Palermo, d’intesa con il CPIA Palermo 1, in collaborazione con numerose associazioni locali e con il supporto di Ferrarelle, Kinder Ferrero, Mulino Bianco e Unipol. https://ift.tt/2IuoTyg
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iluprot · 7 years
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Più parenti hai più persone devi salutare.
Quando era piccola pensavo che l'unico problema di avere tanti parenti fosse solo che alle feste è davvero impegnativo doverli salutare tutti. Appena finivi di salutare l'ultimo arrivato era già l'ora di salutare il primo ad andare via, e le nostre feste non duravano certo 1 ora.
Ora, con l'età, mi sono resa conto che avere molti parenti significa soprattutto avere più persone a cui dire addio.
Il primo addio sofferto l'abbiamo dovuto dare a Zio Giannino. Lo zio che aveva sempre una buona parola per tutte noi donne della famiglia, lo zio che, quando lo incontravo davanti all'oratorio, mi portava sempre al bar a comprare le caramelle o dalla Maria a comprare il Cioè. Un uomo d'altri tempi, un vero gentiluomo, come forse non ce ne sono più al mondo. Ma quando penso a zio Giannino mi viene in mente sempre la stessa scena. Tutti a tavola a mangiare le fave. Le fave finivano per tutti, ma lui se ne nascondeva sempre una sotto il piatto, che tirava fuori quando ormai di fave non ce ne erano più per nessuno. Lui diceva che quella era la fava più gustosa di tutte. Io ora faccio la stessa cosa con le castagne, e devo dire che l'ultima che mangio è sempre la più buona, probabilmente perché penso a lui.
Poi abbiamo dovuto dire addio ai nonni. Prima al nonno, che ci ha lasciato improvvisamente, lasciandoci senza parole. Poi è arrivato il turno della nonna, un addio che, a dire la verità, non vedevamo l'ora di darle. Nonostante la malattia ormai l'accompagnasse da più di una decina d'anni ha aspettato ad andarsene. Ha aspettato fino all'ultimo. Ha aspettato di sentire che il suo compito qua era finito. Suo marito si è spento improvvisamente, ora poteva riposare anche lei.
L'addio più doloroso, quello che mi ha tolto un pochino di luce dagli occhi, l'ho dato esattamente 2 anni fa. A una delle donne più importanti della mia vita, la donna che mi ha insegnato a lottare, ad alzare la testa e la voce se c'è qualche cosa che non mi sta bene. La donna che aveva sempre due kinder nella borsa, uno per me e uno per mia sorella. La mia madrina, la zia da cui ho preso il mio carattere del cazzo, e per questo gliene sarò grata per tutta la vita. Mi manchi ogni giorno. Mi mancherai per tutta la vita zietta mia adorata <3
Ed ora zio Antonio. Lo zio che da piccola avevo paura d'incontrare, perché non capivo quello che diceva (insieme al nonno e a zio Franco) Da piccola pensavo che loro tre parlassero una lingua davvero strana, una lingua aliena, ma poi sono cresciuta e ho scoperto che quella lingua era semplicemente dialetto calabrese. Zio Antonio, colui che non andava mai a mangiare da qualche parte senza avere il suo prezioso peperoncino in tasca. Quel peperoncino che se non assaggiavi era peggio che dargli una coltellata. Quel peperoncino che da bambina mi dava al posto delle caramelle. Quel peperoncino che mi ha fatto crescere, e conquistare quel lato di meridionalità che allora mi mancava. Lo zio Antonio, l'unico che riusciva a tenere testa al nonno, almeno così pensavamo, visto che quando iniziavano a litigare per le partite a briscola, nessuno capiva quello che si dicevano, calabresi compresi.
Zio Antonio, che finalmente dopo tanto ha trovato un'alleata di piccantezza. La nuora tailandese, l'unica che mangia più piccante di lui, l'unica che io conosca che gira con gli habanero in borsa.
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Ciao nonna, voglio scrivere a te, di te. Spesso penso a quello che è il nostro rapporto e mi chiedo se anche tu ne sia consapevole. Quand'ero piccola non ti ho mai vista all'uscita dell'asilo o della scuola. Non ti ho mai vista ad una recita scolastica, eppure, chiedevo sempre a mamma di invitarti e la risposta era sempre la stessa:"Cosa glielo chiediamo a fare? Figurati se viene." E aveva ragione mamma, non sei mai venuta. Tre anni di asilo, sei recite, cinque anni di elementari, dieci recite. Possibile che proprio in quei sedici pomeriggi tu abbia avuto sempre qualcosa da fare? Era possibile, perché ero piccola e non capivo,nonna non c'era perché aveva da fare. Ricordo anche quando, facevo danza moderna e Dio quanto la odiavo, piangevo ogni volta che dovevo andarci, facevo già le elementari. Nonostante la odiassi però, mi ero preparata per il saggio finale e bisognava comprare i biglietti per il teatro per assistere al saggio, mamma il biglietto per te l'ha comprato, ha preso quattro biglietti,uno per lei,uno per papà è uno per ogni nonna. Però là,al tuo posto c'era seduto mio fratello,però capisco,avevi da fare. E invece, ti ricordi di quando avrò avuto più o meno sei anni ed avevo la febbre alta? Ero a casa con mamma e la pediatra era appena andata via e qualcuno doveva andare a comprare le medicine per farmi scendere la febbre, ma mamma non poteva portarmi in giro in quello stato e allora, decise di chiamarti e la tua risposta fu "Ormai è grande,chiudila a chiave a casa." Ormai è grande. Solo sei anni. Io quel giorno me lo ricordo ancora,e ad oggi ho quasi diciotto anni. Sai nonna, non vedo l'ora Di compierli questi famosi diciotto anni, dicono tutti che non cambierà nulla ma voglio sentirmi una principessa per un giorno,anche se c'è una cosa che mi spaventa. Da tradizione per i diciotto anni hai sempre fatto determinati regali tutti uguali a tutte le nipoti femmine e uguali a tutti i nipoti maschi però, so che quest'anno non sarà così, so che troverai il modo di farmi sentire diversa anche in questo, ma io, non ho bisogno dei tuoi regali e sinceramente, nemmeno di te. Io ho avuto chi si è presa cura di me quando stavo male, chi conosceva alla perfezione i miei piatti preferiti da bambina, chi mi ha insegnato a giocare a scopa e chi mi coccolava da morire,era l'altra mia nonna. Quando il sabato mi portava al mercato ti incontravamo sempre, ma allora avevi del tempo, forse, non lo avevi solo per me. Io però sono contenta, sono contenta che i miei cugini non abbiano subito lo stesso trattamento, sono contenta che ti abbiano avuto ad ogni recita, ad ogni avvenimento importante e ad ogni passo verso la crescita. Sicuramente, un po' invidiosa lo sono, perché forse anche a me sarebbe piaciuto trovarti fuori dal mio asilo o dalla mia scuola con un ovetto kinder in mano. Non è mai accaduto, e il tempo perso non si può recuperare. Adesso sono cresciuta, ricordo una telefonata di due o tre anni fa, era il tuo compleanno e mamma mi obbligò a chiamarti, mi è rimasta impressa una tua frase " Mi dispiace di non poterti vedere crescere" hai avuto tutto il tempo del mondo per poterlo fare, non l'hai mai fatto e ti dispiace? Ti dispiace cosa? Adesso, quelle poche volte in cui ti vengo a trovare e ti parlo dei miei viaggi ti mostri sempre preoccupata e ogni volta prima che parto mi regali dei soldi, ma questo non basta,e non basterà mai. La penultima volta che ti sono venuta a trovare, circa settembre, mi hai detto " menomale che c'è tua cugina che viene e mi pulisce casa perché ho fatto tanto bene e ora nessuno contraccambia." E si nonna, menomale che c'è mia cugina,che non fa un cazzo tutto il giorno e può pulirti casa. Io ho obiettivi ben più grandi da raggiungere, voglio costruirmi qualcosa di mio, qualcosa che mi renda orgogliosa. Però, guardo il lato positivo della cosa, forse, se tu mi avessi "coccolata" o anche solo trattata da nipote come avrebbe fatto qualsiasi nonna,io oggi non sarei così. Ma io, sono orgogliosa di essere così, sono forte, nonostante la giovane età ho le palle per mettermi in gioco in ogni avventura che la vita mi offre. Sono orgogliosa di me stessa, si, ma una cosa è certa, cara nonna, tra me e te ci sarà sempre solo un semplice legame di sangue. Tua, non nipote.
@la-ragazza-a-chiusura-ermetica
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massimilianodegiuli · 7 years
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Insieme con un fratello
Non si sa come trasformare i sentimenti in scrittura quando hai vissuto una giornata piena d'emozioni. Io, nel mio piccolo, da scrittore, ci provo nel tentativo di far riscaldare il cuore a chi mi ha guardato gli occhi per quasi 16 ore consecutive. (La persona sa chi è) Vorrei partire dalla mezzanotte del 20, quando entrambi abbiamo dato l'uno all'altro la carica e la voglia di visitare e scoprire una nuova città. In quest'ora furono creati due orologi che presero vita dando vigore e fioritura alle lancette dei minuti e dei secondi, le quali erano soltanto i nostri cuori che battevano con gioia per la futura giornata. Il duo si trasformò in un uno quando il treno delle 07:00 parti e i protagonisti di questo viaggio, noi, partirono spensierati per quest'avventura. Una marea di parole cullò il nostro viaggio, perché quando fai germogliare fiori di felicità, il tempo o si ferma o scorre velocemente, perché questo accade quando vuoi star veramente con qualcuno. Il treno arrivò a destinazione e i protagonisti furono interrotti dal Ciccio panza che vendeva dai vestiti alla cocaina e aveva agganci con la pizzeria, tizio assai bizzarro e strano. La prima metà, come sappiamo caro zio, qual è stata? Uno dei due protagonisti non sapeva il significato di quella mostra e cosa potesse esprimere, perché ora che tu stai leggendo puoi sapere che a Napoli e a Napoli sotterranea mi ci voleva portare zio, e quindi visitarla con un fratello al mio fianco non poteva soltanto che essere felice, come lo è stata zia quando ne è avvenuta alla conoscenza. Dopo alcune ore si fecero subito riconoscere, comprarono il vino rosso, perché d'altronde Roma o Napoli o n'altra il nome va sempre portato in alto. Pranzammo da signori, e davvero bene, un pranzo doc, e anche qui non potevano mancare le nostre chiacchiere soprattutto quelle tipiche conversazioni, perché ormai il flusso che si è realizzato in noi ha creato un filamento che ha portato all'Unione delle due mani dei protagonisti. Un filamento invisibile e indistruttibile. Un filamento che cerca di legarci sempre. Oltre al parlare, quindi a invocare la letteratura, anche l'arte attraeva entrambi, e si imbarcarono alla ricerca del dipinto di Banksy, il quale gli stava sotto al naso ma lo scoprirono solo dopo il giro dell'intero perimetro del Duomo. I protagonisti si imbarcarono alla ricerca del buon caffè kinder, alla ricerca del bagno sperduto soprannominato anche the new sbratto, alla ricerca dei loro yacht, alla ricerca della spiaggia o di una semplice doccia, ma la parte bella che avevano sempre il sorriso e la voglia di scoprire la città ma soprattutto scoprire chi erano loro. Arriva anche un momento in cui le lancette ti dicono che devi ritornare, e alla fine pensi che ti dispiaccia, beh lì per lì si, ma se scopri cosa è nato nel viaggio del ritorno, beh ti dico fermate, è nato un flusso di parole che entrambi da tanto volevano far nascere e con occhi sinceri, guardando i tuoi occhi, solo un sorriso di conforto e gioia potevo e potevi donarmi, perché in quel viaggio di ritorno hanno(abbiamo) confermato cosa siamo l'uno per l'altro e cos'è questa amicizia. Il bene che ti voglio è indescrivibile, un infinito non basta, tu sei migliore di un fratello. Napoli è stata la meta che ci ha fatto crescere umanamente e spiritualmente. Il tuo bene nei miei confronti è che hai fatto di tutto di più per distrarmi dalle spese folli se avessi visto alcott. Non so più che scrivere, l'inchiostro non è finito ma la piuma ora la passo a te. Concludo dicendo che questo piccolo pezzo scritto le dedico ad una persona speciale che è riuscita a far intrecciare due cuori forti e duri. Per te.
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