Tumgik
#diario di un presunto artista
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«Ah, vorrei baciarti e basta, qui davanti a tutti
E raccontar la storia pazza di come ci siam conosciuti
Che eravamo quelli giusti (seh), ma il tempo era sbagliato
E l'universo prenda appunti su come l'abbiam fregato
Io giuro che un futuro con te l'ho immaginato
Ho creato un mondo parallelo in cui tutto era ricambiato (ah)
Quel mondo non esiste, ma in questo ne sento il peso
Perderti è troppo triste e io resto appeso (ah)
Dimmi che lo vuoi e squarcerò lo spazio-tempo
Superando le barriere della fisica e ogni turbamento (shh)
Mi fermerò ad un passo, sperando in quel momento
Che tu faccia l'ultimo, ma fallo sorridendo (seh)
Per me sei la più bella, lo ripeto se ti va (ah)
Con gli elettrodi sul petto alla macchina della verità
Chissà (ah) se ti mancherà la mia sincerità (ah)
Se ci tieni, vieni, ma (ah) non ti voglio più a metà, nah»
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carmenvicinanza · 3 years
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Ré Soupault
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Ré Soupault è stata una delle più importanti fotografe del XX secolo.
Formatasi alla Bauhaus di Weimar, ha fatto parte dell’avanguardia europea dell’inizio del ventesimo secolo, tra Berlino e Parigi.
È stata anche un’innovativa stilista, viaggiatrice, giornalista, traduttrice letteraria e saggista per la radio. Ha lasciato una corposa eredità costituita da fotografie, scritti, disegni e schizzi di moda.
Nacque col nome di Meta Erna Niemeyer a Bublitz, in Pomerania, il 29 ottobre 1901, in una famiglia conservatrice. Contro il parere dei genitori, nel 1921, entrò a fare parte della Bauhaus di Weimar, considerata la sua famiglia spirituale.
Si fece chiamare “Ré” dal 1924, il nome le fu attribuito da Kurt Schwitters, artista tedesco dadaista.
Nel 1923 ha anche lavorato con il regista d’avanguardia Viking Eggeling al suo film Diagonal Symphony, da lui ha appreso le tecniche cinematografiche poi utilizzate nei suoi successivi lavori.
Dal 1926, sotto lo pseudonimo di Renate Green ha lavorato a Berlino come giornalista di moda e illustratrice per la rivista Sport im Bild. Per questa, si recò a Parigi nel 1929 come corrispondente di moda e iniziò a frequentare gli ambienti dell’avanguardia artistica.
Accantonato per un po’ il giornalismo, nel 1931 fondò il suo atelier di moda Ré Sport, arredato con i mobili del già famoso architetto Mies van der Rohe. Man Ray ne fotografava le collezioni. L’atelier ebbe un notevole successo, vestiva le donne più importanti della capitale francese, disegnava la moda della donna nuova, ideale che ella stessa incarnava, abiti chic e allo stesso tempo pratici e comodi. Ha inventato, tra le altre cose, un vestito che poteva trasformarsi da abito da giorno a sera lungo fino al pavimento. Per rendere accessibile i suoi modelli di alta qualità utilizzava i tessuti dei couturier dell’anno precedente. Questa peculiarità, abbinata alla sua gestione giocosa della teoria del colore e della forma del Bauhaus, ne rivelava il grande talento e creatività. Con le sue creazioni prêt-à-porter, ha rivoluzionato e innovato la scena della moda parigina del tempo.
Dopo un breve matrimonio con il pittore e regista dadaista Hans Richter, nel 1933, frequentando i maggiori esponenti del movimento surrealista, ne conobbe uno dei fondatori, Philippe Soupault, che sposò nel 1936. L’uomo, uno dei più importanti giornalisti francesi dalla fine degli anni ’20, la convinse a seguirlo nei suoi viaggi e fotografare per i suoi articoli. Insieme lavorarono in giro per il mondo. Fu così che Ré Soupault, ha sviluppato il suo occhio per il secondo magico che caratterizza il suo lavoro. Ne è un esempio la foto di una ragazza del 1936 a Madrid prima dell’inizio della guerra civile, che con il pugno alzato imitava la solidarietà operaia degli adulti.
Nel 1938 la coppia si trasferì in Tunisia perché Philippe Soupault era stato incaricato di dirigere la radio antifascista Radio Tunisi.
Nel paese arabo, Ré Soupault fece foto pubblicate su numerose riviste. Ha fotografato emigranti, pellegrini, nomadi e il palazzo del monarca tunisino. Si è occupata del ruolo delle donne nel mondo islamico, è riuscita anche a entrare nel Quartier reservé, zona chiusa in cui venivano deportate le donne respinte dalle loro famiglie e dalla società che vivevano di prostituzione. Vi ha ritratto donne in stanze quasi vuote catturando i loro sguardi in foto di straordinaria intensità. Durante la seconda guerra mondiale, la Tunisia destituì Philippe Soupault, che nel marzo 1942 venne imprigionato senza processo per sei mesi per presunto alto tradimento. Quando le forze tedesche occuparono Tunisi, la coppia fuggì in Algeria, lasciandosi tutto alle spalle, compresi i negativi fotografici di Rés. La loro casa venne saccheggiata. I due rimasero in Algeria per quasi un anno, fino a quando, Philippe venne incaricato da de Gaulle di creare una nuova agenzia di stampa francese nel Nord, Centro e Sud America. I coniugi si recarono negli Stati Uniti e viaggiarono per tutto il paese fino al 1945, quando si separarono.
Ré Soupault rimase a New York nello studio che le aveva ceduto Max Ernst. Ha scritto e fotografato reportage di viaggio per International Digest e Travel Magazine.
Il suo ultimo servizio fotografico è stato realizzato nel 1950 nella Germania occidentale sui rifugiati e gli sfollati delle regioni orientali nei centri d’accoglienza.
Tornata a Parigi, nel 1946, la donna iniziò a lavorare come traduttrice letteraria dal francese al tedesco. Tra il 1955 e il 1980 ha scritto numerosi servizi e saggi radiofonici per emittenti tedesche e svizzere.
Insieme a Philippe Soupault, ha realizzato un film su Wassily Kandinsky per la televisione francese nel 1967.
Dal 1973, i coniugi hanno vissuto di nuovo insieme a Parigi nella stessa casa, ma in due appartamenti separati.
L’opera fotografica di Ré Soupault, composta da circa 1.500 negativi e circa 150 stampe d’epoca, inizialmente ritenuta perduta, è stata ritrovata negli anni ’80.
Alcuni dei negativi lasciati a Tunisi durante la fuga, furono trovati da un amico in un mercato, molto, però, è andato perduto. Il fotogiornalismo, i ritratti e le scene di vita quotidiana hanno dominato il suo lavoro fotografico, che colpisce per l’uso di linee rette, la chiarezza, la varietà e le atmosfere atemporali.
Nel 1988 è stato pubblicato il suo libro fotografico Una donna è di tutti. Foto dal ‘Quartier réservé’ di Tunisi. Nel 1994, Paris 1934–1938.
Dopo la morte del marito, nel 1990, Ré Soupault ha vissuto isolata in un piccolo appartamento e lavorato alla pubblicazione del suo diario, scritto ininterrottamente dagli anni Quaranta.
È morta a Versailles il 12 marzo 1996. È stata sepolta nel cimitero di Montmartre.
Il Gropius-Bau di Berlino le ha dedicato una retrospettiva nel 2007. Nel 2011, la Kunsthalle Mannheim ha presentato tutto il suo complesso lavoro nella mostra Ré Soupault. Artista al centro dell’avanguardia, in cui sono state esposte anche le foto di Man Ray in cui la ritraeva durante le sue creazioni di moda.
Il suo diario di una vita è stato pubblicato nel 2018.
È stata una donna che ha vissuto tante vite, si è reinventata mille volte, ha sperimentato ogni forma d’arte.
Un’artista dalla vita straordinaria che è ancora troppo poco conosciuta.
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sinsentidono · 3 years
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Collage literatura y jazz (entrevista a Eduardo Stupía)
Por Fabián Lebenglik
–¿Cuando empezó a hacer collages?
–Se podría decir que empecé en el collage cuando todavía no sabía que pegar y cortar papeles era algo que también se llamaba collage. Tenía más o menos diez años y no era un chico particularmente afecto a jugar en la calle, así que pasaba muchas horas jugando a algo que yo llamaba “la televisión” y que consistía en armar mi propia grilla de programación inventado las placas de los presuntos programas, cortando y pegando fotos de revistas y letras para los títulos –aunque éstos también eran manuscritos– en unos cuadraditos rectangulares que eran como mis minúsculas pantallas. Haciendo todo esto me abstraía totalmente, desde luego sin ninguna noción artística, en un estado que de algún modo se reproduce, aun con todas las diferencias del caso, cuando ahora, ya adulto y dedicado profesionalmente a la práctica artística, me vuelco al collage. De hecho, fueron muy importantes para mí las grandes muestras de collage que hice tanto en el Centro Cultural de España en Rosario, como en el Centro Cultural Recoleta de Buenos Aires: una consecuencia de haber recuperado de repente, y quizá como un recreo de la absorción intensa que me imponía el dibujo, la mística, el concepto y la estética del collage. Aunque lo fundamental en ese caso fueron las experiencias de cruce de imagen y texto que habíamos ensayado con Héctor Libertella y que, además de haberse visto reflejadas en las intervenciones que Héctor me pedía para sus libros, iban a confluir en un proyecto finalmente trunco que se llamaba El bazar del secreto de todas las cosas del mundo. Aquello dio mucho combustible a todo ese trabajo con el collage, también alimentado por otras experiencias de cruce con escritores –los libros que hicimos con Guillermo Saavedra y Daniel Samoilovich, por ejemplo– y que ahora se vuelve a revitalizar en estas experiencias con Ricardo Piglia.
–En el collage hay una mediación y un manejo de la temporalidad muy distintas de las del dibujo y por otra parte hay una ausencia (casi) completa del gesto. ¿Cómo piensa estas tensiones y continuidades entre el collage y dibujo?
–Efectivamente, la temporalidad del collage es rara, dado que por un lado pone en evidencia el tiempo transcurrido como residuo físico, pero ese residuo queda inscripto en el puro presente de la acción material que da origen al trabajo. Las piezas del collage siempre vienen de otro lado, de otro uso, de un otro orden lógico del cual, quebrado o no, se han extraído esos segmentos que ahora forman parte de este nuevo sistema que es cada collage. Eso establece un cambio de paradigma muy fuerte en cuanto al dibujo, porque además el impulso de dibujar siempre empieza de cero, en el sentido de que uno no sabe qué va a dibujar hasta que lo dibuja, en cambio con el collage el grado cero siempre es algo que ya existe visual y físicamente. En cuanto al gesto, desde luego que el collage casi siempre lo excluye como marca gramatical, en el sentido de la presencia de la grafía, de la letra del dibujo, pero a veces el gesto queda registrado en la forma del corte. Es muy diferente rasgar y romper el fragmento de papel o de cartón que cortarlo con cutter o tijera.
–Cuando trabaja con texto, ¿la imagen es un complemento, es ilustrativa?
–Siempre he pensado que la relación de mi trabajo con los textos que eventualmente puedan resultarle próximos es la de contrapunto, contraste y tensión antes que de confluencia, conciliación o ilustración. De hecho, si Ricardo Piglia me hubiera convocado con una hipótesis más ilustrativa, le habría recomendado varios otros artistas. Mas aún, aun en los ejemplos más extraordinarios y categóricos de literatura ilustrada –es decir, cuando la imagen acompaña representativamente el sentido narrativo del texto– siempre me ha parecido que una cosa es el texto y otra cosa es la imagen, más allá de cuánta proximidad mimética haya coyunturalmente entre ambas. En ese sentido, ilustrar es imposible. Por eso, tanto en el caso de este libro/disco, La incertidumbre, como cuando hicimos con Ricardo Fragmentos de un diario, simplemente acerqué a la articulación segmentada de los textos una analogía visual que son estos collages tipo patchwork, de manera más barroca en este último caso, y más simple en el caso de La incertidumbre.
–¿Cuándo y cómo comenzó tu relación con Ricardo Piglia?
–A Piglia lo había leído en los setenta, como todo el mundo; había leído Respiración artificial, y más últimamente seguía con apasionamiento sus textos teóricos y sus clases. Eso, antes de conocerlo personalmente, cosa que sucedió gracias a que él y Jorge Mara, mi galerista, tuvieron la idea de juntar fragmentos de sus Diarios de Princeton con collages míos en el proyecto del libro que mencionaba antes.
–¿Como surgió la idea de La incertidumbre?
–Luis Nacht, un gran músico de Jazz contemporáneo, tuvo la idea de grabar la voz de Ricardo leyendo textos de su libro Prisión perpetua y combinarlos con temas compuestos por él y tocados por su grupo. Nacht conocía Fragmentos de un diario, y cuando el disco estuvo listo pensó que podíamos producir el envase del disco, por decirlo de alguna manera, bajo la forma de un nuevo libro que incluyera los textos que Piglia leía en el disco, amalgamados con collages míos producidos especialmente. A mí me pareció una idea buenísima, además de una nueva ocasión de trabajar con Ricardo, y también una manera indirecta de meterme en algo musical. Trabajamos juntos los tres durante un año y medio, más o menos, en completa sintonía, ajustando y cortando el material para llegar una extensión justa y coherente, hasta que llegamos a tener un boceto terminado cuyo diseño final quedó en manos de Gabriela Di Giuseppe. El objeto final resultó ser bastante peculiar, tanto que no sabíamos qué hacer con él, cómo publicarlo. Ahí apareció Gaby Comte, una suerte de ángel de la guarda bajo la forma de editora artística-ejecutiva. Gaby interesó a la gente del Club del Disco, ellos enseguida se entusiasmaron y nos apoyaron en la producción final. junto con el aporte muy importante del Ministerio de Cultura de la Nación.
–¿Cómo pensó y realizó los 19 collages de La incertidumbre?
–Los collages de La incertidumbre son un poco menos barrocos que aquellos que habitualmente produzco, quizá porque en este caso, y aun sosteniendo la idea de eludir lo ilustrativo, sentí que debía establecer alguna suerte de relación indirecta entre el clima escénico que sobrevuela los textos y la característica de algunas de las imágenes elegidas, más explícitas y denotativas que de costumbre. De hecho, los collages pueden ser vistos autónomamente pero su verdadero sentido lo adquieren en el libro impreso. En la muestra, decidimos exhibir todos los originales de las dobles páginas, así, en crudo, como recién salidos del tablero, incluso con los textos del libro incluidos en una tipografía improvisada, diferente de la precisión tipográfica final, porque era todo lo que yo tenía para exhibir, y porque además era muy revelador dejar ver la cocina, el backstage de la cosa.
–En sus collages hay toda una enciclopedia de la gráfica.
–Es cierto, hay algo de enciclopedismo salvaje, arbitrario, una evidencia de la manía por acumular material impreso de las más diversas fuentes, épocas, estilos e iconografías, que es como revelar cómo se articula un gusto determinado, y la conformación de determinado imaginario. Nada demasiado diferente de la lógica constructiva histórica del collage –como vos decís– que siempre ha sido una suma o superposición heterogénea de residuos semánticos caídos del mundo… Esta experiencia tripartita me hizo pensar que la colaboración entre artistas es una linda variante de lo multidisciplinario.
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pangeanews · 4 years
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L’ossessione per la scrittura. Francesco Consiglio dialoga con lo psicoterapeuta Marco Innamorati su Stefano D’Arrigo, Guido Morselli, Italo Svevo, Simenon, Musil…
Prima di conoscerlo, immaginavo Marco Innamorati dietro la sua cattedra di professore di Psicologia dinamica all’Università di Roma ‘Tor Vergata’. Lo immagino severissimo e imbronciato mentre decine di studenti gli sfilavano davanti sempre più sudati e balbettanti. Non avrei mai pensato di intervistarlo perché avrebbe risvegliato in me l’incubo degli anni di liceo. Questo finché non è successo l’imprevisto. Bighellonando in una grande libreria, sono stato attratto da un titolo, Amici anche no. Capire la friendzone. Uscirne e non ricascarci più. Un manuale di auto-aiuto per cuori spezzati? Pensavo l’avesse scritto Max Pezzali, l’autore della Regola dell’amico, quel teorema sentimentale che recita così: “Se sei amico di una donna, non ci combinerai mai niente, mai”. E invece, leggo il nome degli autori: Luca Manzi, sceneggiatore delle serie Don Matteo e Boris, e… Marco Innamorati!
Diavolo di un professore, questa volta me l’ha fatta! È riuscito a stupirmi. Ma è proprio lui, lo stesso Innamorati che in questo 2020 fortemente segnato dal lockdown ha pubblicato Storia critica della psicoterapia (Raffaello Cortina) e Al di là della psicoanalisi (Mondadori)? Sì, è lui, e la cosa straordinaria è che tutti i miei preconcetti sono andati in fumo. Marco Innamorati è un uomo divertente, un gran favellatore, coltissimo. E Amici anche no è uno scanzonato trattato di psicologia dei rapporti amorosi che dovrebbe essere letto da tutti gli uomini e le donne desiderosi di innamorarsi, da chi è stato lasciato, da chi crede di avere trovato l’anima gemella, dai traditi e dai solitari che hanno il cuore in fermento e non si danno pace. Perché a tutti potrebbe capitare, prima o poi, di finire nel recinto della friendzone.
Ho contattato Marco Innamorati per parlare del suo libro, ma poi si sa come vanno queste cose: quando uno scrittore incontra uno psicologo, il discorso prende strade che portano lontano, si smarrisce, si ritrova, svicola, scalpita e salta di palo in frasca. Alla fine abbiamo parlato di letteratura, psicoanalisi, mondo editoriale e patologie del web.
È ancora possibile oggi, consegnarsi interamente alla letteratura? Stare fuori dai social e dalle beghe letterarie, rifugiarsi nella propria torre d’avorio e scrivere in solitudine? Penso a Stefano D’Arrigo, che visse da autentico asceta la stesura del suo monumentale Horcynus Orca, fino a procurarsi un esaurimento fisico e mentale.
Ho avuto il privilegio di conoscere e frequentare Stefano D’Arrigo per molto tempo, fin da giovanissimo, perché mio padre era un suo intimo amico. Lui rappresenta un caso tipico della necessità di scrivere. Se non avesse avuto la possibilità di scrivere e portare a termine l’Horcynus, la sua salute sarebbe sicuramente peggiorata prima in altro modo. Tra l’altro D’Arrigo regalò a mio padre una copia di Nevrosi e genialità di Johannes Cremerius, che è il primo libro psicoanalitico che io abbia tenuto in mano.  Titolo significativo, vero, venendo da D’Arrigo? Certo che perché si possa avere un altro D’Arrigo bisognerebbe avere un altro Arnoldo Mondadori, cioè un editore in grado di capire la grandezza di un artista e con mezzi e atteggiamento disinteressato tale da finanziarlo durante la stesura di un libro del genere. Qualcosa di simile avviene (poco in Italia, per la verità) con le residenze per artisti, che consentono a un autore di isolarsi per un certo periodo dal resto del mondo, salvo, se lo desidera, quei pochi colleghi con cui condivide il premio. Certo si tratta di periodi di sei mesi/un anno, non i trentacinque anni di D’Arrigo. Ma anche in questo caso, ritengo che ogni autore viva delle necessità diverse. D’Arrigo, una vita monacale di lustri per scrivere il proprio capolavoro poteva sentirla come necessità. Altri potrebbero, con altrettanta sincerità e autenticità, vivere immersi in quella che Luciano Floridi ha chiamato infosfera: scrivere in quanto online. Altri ancora, di certo, devono vivere uno specifico ambiente per poterlo narrare nei loro libri e possono intrattenere con quell’ambiente un rapporto paradossale. Ho conosciuto uno scrittore di Johannesburg, Ivan Vladislavic, che non riuscirebbe ad abbandonare la propria patria come ha fatto Coetzee, perché tutte le sue storie sono ambientate nella sua città. Per rimanere fedele a questo proposito ha dovuto abituarsi all’idea che in casa sua possano entrare di continuo ladri, magari per rubare un cuscino o una lampadina, perché il livello di criminalità di Johannesburg è decisamente elevato. Però la sua vita mi sembrava felice e soddisfacente.
La coscienza di Zeno è considerato il primo romanzo psicoanalitico nella storia della letteratura mondiale. Nella realtà, Svevo si sottopose ad analisi con Edoardo Weiss, un allievo di Freud, e il romanzo, che sembra una lunga confessione delle sedute, ha il merito di fare luce su come le teorie di Freud venivano applicate in Italia. Ma poi, nell’ultimo capitolo, scritto sotto forma di diario, Zeno abbandona la psicoanalisi, definendola “una sciocca illusione, un trucco buono per commuovere qualche vecchia donna isterica” e, piuttosto banalmente, afferma di essersi convinto che “la mia salute non poteva essere altro che la mia convinzione e ch’era una sciocchezza degna di un sognatore ipnagogico di volerla curare anziché persuadere”. A me sembra un goffo inciampo nel pensiero positivo ante litteram.
Sì, è vero, La coscienza di Zeno è considerato il primo romanzo psicoanalitico della storia in senso assoluto. D’altronde è anche una rivendicazione della priorità della letteratura sulla psicoanalisi: Zeno afferma che il suo psicoanalista ha applicato su di lui ‘la diagnosi di Sofocle’, alludendo al complesso edipico, ovviamente. A proposito di priorità, l’Italia spesso rappresenta un laboratorio in cui si sviluppano idee che vengono riprese altrove mentre qui si rimane indietro, nel bene e nel male (perfino il fascismo lo abbiamo inventato noi e altrove è stato applicato in modo più, come dire, ‘efficiente’). Quante avanguardie artistiche sono nate in Italia nel corso dei secoli, dal Rinascimento al Futurismo? Eppure non si può dire che la nostra cultura recente costituisca un faro per il resto del mondo. La storia del rapporto tra psicoanalisi e letteratura è in un certo modo un riflesso di questa tendenza: Svevo è all’avanguardia per i suoi tempi ma oggi la letteratura italiana non ha un contatto felice con le teorie psicoterapeutiche: c’è ancora chi utilizza Freud come strumento di comprensione dell’essere umano, mentre la proverbiale acqua sotto i ponti è passata. Mi viene da aggiungere, peraltro, che comunque è sempre meglio considerare Freud lo stato dell’arte piuttosto che Lacan, un autore che nel mondo scientifico è stato preso sul serio, oltre che da noi, soltanto in Francia (ovviamente), in Argentina e in Brasile. Tornando a Svevo, non sono convinto che l’opinione di Zeno Cosini rifletta quelle dell’autore del romanzo, in materia di psicoanalisi. Una persona che abbandona l’analisi in seguito a una resistenza difficilmente può parlare bene delle teorie psicoanalitiche.
La scena letteraria italiana è occupata da eserciti in guerra. Scrittori di destra contro scrittori di sinistra, Roma contro Milano, emergenti contro affermati, e più la torta è piccola, più s’incontrano lupi affamati che han natura sì malvagia e ria, per dirla col Poeta. Di recente il leader di un movimento che anima la piccola editoria ha scritto una recensione del libro vincitore dello Strega, Il Colibrì di Sandro Veronesi, e con un’ideale matita rossa e blu intinta nel veleno, ne descriveva i presunti errori. Un esercizio critico che a mio modo di vedere aveva il compito di alzare uno steccato e chiamare alla battaglia: o il nostro esercito o il loro.
Sono rimasto molto colpito dalla recensione del Colibrì scritta da Giulio Milani, perché l’idea che una scrittura non conforme alle proprie idee stilistiche contenga degli errori è evidentemente pretestuosa. Poi credi di averne capito il senso: quella recensione – come altri scritti simili, nell’ambiente letterario – non è rivolta al pubblico in generale quanto ai follower diretti, per creare un fenomeno di polarizzazione. Agli psicologi è noto da molto tempo che una discussione accesa non consente un confronto di idee quanto il distanziamento tra i sostenitori delle idee opposte. I casi di conversione alle idee altrui quasi non esistono, per quanto razionali possano essere le argomentazioni contrarie, mentre si rafforza sempre la convinzione nella bontà delle proprie. D’altronde il disprezzo del presunto avversario non è riservato ai letterati. Un noto analista (che qui preferisco non nominare) definì pubblicamente il leader di un partito come “un comico bipolare” – con l’aggravante dell’uso di una diagnosi applicata come stigma.
Anche il fenomeno degli hater ha un suo interesse. Viene dato credito a identità fittizie che protette dall’anonimato e senza nulla avere dimostrato sputano veleno sui libri altrui. Un triste spettacolo di insulti, invidie, esecuzioni mirate che sarebbe facile liquidare come sfoghi di frustrazione. Eppure, in una sorta di girone della merda di pasoliniana memoria, c’è chi ama farsi sodomizzare il cervello con gratitudine da queste persone e le incoraggia.
Anche l’odio è spesso frutto di polarizzazione. Più mi convinco della bontà della mia idea e più l’avversario deve essere dipinto a tinte fosche o caratterizzato per motivi che nulla hanno a che vedere con i suoi meriti e demeriti. Questo si vede molto spesso quando per attaccare una donna si usano insulti sessisti: vale da destra e da sinistra, peraltro. Maria Elena Boschi e Giorgia Meloni ambedue vengono spesso apostrofate con commenti che hanno a che vedere con la loro sessualità e non con la loro posizione politica. Però in letteratura ci sono anche hater puri, che sono solo ‘contro’ qualcuno senza essere a favore di qualcun altro. Si tratta di semplice frustrazione? Può essere una spiegazione semplice o magari semplicistica. Certo, senza una conoscenza diretta della persona è difficile arrivare a delle conclusioni psicologiche attendibili. In ogni caso, quando l’odio e l’insulto vengono da dietro una maschera è difficile pensare che chi vi si nasconda dietro non abbia bisogno di un serio aiuto psicologico. I follower di questi personaggi, invece, sono spiegati bene dall’idea di Bion per cui, in certi gruppi o comunità (evidentemente, diciamo oggi, anche virtuali) si tende a identificare come leader la persona con il livello di funzionamento mentale più primitivo.
Chi può definirsi uno scrittore? Proviamo a mettere la parola fine a questa polemica che ormai ha le ragnatele. Una volta per tutte: è scrittore chi paga le bollette con i propri libri, oppure, parafrasando Forrest Gump, scrittore è chi scrittore fa?
Ricordando la battuta originale del film, lo scrittore non fa una bella figura… Ho seguito una recente polemica sul fatto che lo scrittore è solo colui che si mantiene in vita con i proventi dei propri libri. Il che taglierebbe fuori gente come Kafka e Melville. Paradossalmente, le stesse persone che propongono una simile definizione di scrittore, talora finiscono per escluderne proprio gli autori dei best seller, spesso confinati nella letteratura cosiddetta di genere. Eppure Ray Bradbury, un autore di fantascienza, è stato uno dei grandi scrittori del Novecento come Georges Simenon, che sfornava gialli e noir a ritmo talvolta settimanale ma ha firmato almeno una ventina di capolavori assoluti. Probabilmente è proprio la psicologia a offrire la definizione più sensata. Lo scrittore veramente tale è qualcuno che sente la necessità di scrivere. E in genere i suoi lettori questa spinta la riconoscono anche se non sempre subito. Le riscoperte postume sono piuttosto frequenti. Il caso di Guido Morselli, in Italia, è emblematico: capolavori come Dissipatio H.G. erano stati rifiutati da tutti gli editori. Possiamo tranquillamente affermare che non è una colpa, di fronte alla storia della letteratura, né vendere poche copie, né vendere tante copie ai contemporanei. Che uno scrittore abbia successo o meno può essere più o meno frustrante per lui, ma non cambia di una virgola il fatto che continuerà a scrivere, indipendentemente dall’opinione altrui.
“Se non avessi fatto il regista”, dice il regista Marco Bellocchio, “sarei finito in manicomio”. Questo mi fa credere a una sorta di valenza terapeutica dell’arte, necessaria all’artista molto più che al pubblico. E allora, cosa importa se un film avrà successo o un libro venderà? L’importante è avere portato a compimento l’opera.
Volendo si può essere ancora più estremisti: l’importante è averla portata avanti. In fondo L’uomo senza qualità di Musil, che è uno dei libri-simbolo del secolo scorso, è un’opera incompiuta. Allargherei invece il numero di chi riceva benefici di natura terapeutica, se così si può dire, dall’arte. Già Aristotele, nella Poetica, parlava della catarsi, cioè del senso di purificazione che si prova dopo aver assistito alla rappresentazione di una tragedia. La catarsi si attua quando è possibile identificarsi con un personaggio. Jacob Levi Moreno ha applicato questa idea alla psicoterapia, attraverso l’invenzione dello psicodramma. Nello psicodramma la catarsi si attua mettendo in scena la propria vita in forma teatrale, con l’aiuto di altri pazienti dello stesso gruppo, che a loro volta diventano a turno protagonisti delle proprie storie.
Francesco Consiglio
* Marco Innamorati, romano, si è laureato in filosofia e psicologia, addottorato in storia della scienza e specializzato in psicoterapia. Insegna Psicologia dinamica e Storia e filosofia dei concetti scientifici presso l’Università di Roma ‘Tor Vergata’, dove coordina il Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione. È anche docente in scuole di specializzazione private. Ha pubblicato diversi contributi scientifici su pubblicazioni in lingua italiana, inglese, tedesca e portoghese; e dieci libri, tra i quali Riprendere Jung (con Mario Trevi, Bollati Boringhieri), Storia critica della psicoterapia (con Renato Foschi, Raffaello Cortina), Al di là della psicoanalisi (Mondadori Education). Nel 2020 è uscito lo scherzoso Amici anche no, sul tema della ‘friendzone’, scritto con Luca Manzi. È sposato con la compositrice Lucia Ronchetti e ha due figli: Carlo e Sara.
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Una pintora acusa a Polanski de abusos cuando ella tenía diez años
Londres, 23 oct (EFE).- La pintora y fotógrafa estadounidense Marianne Barnard ha asegurado que el director Roman Polanski abusó de ella cuando tenía diez años, una acusación similar a la que han hecho otras cuatro mujeres contra el cineasta, según publican hoy los medios británicos. Barnard relató al tabloide The Sun que Polanski abusó sexualmente de ella en 1975, en un supuesto incidente durante una sesión de fotografías en una playa de California en la que el director le pidió que posara desnuda. "Al principio pensaba que solamente iba a ir a la playa con mi madre. Estuvimos allí un rato nosotras solas y entonces llegó él. Ella me explicó que ese hombre quería sacarme fotos con un abrigo de piel", relató la artista. "En cierto momento me di cuenta de que mi madre se había ido. No sé a dónde fue y no me di cuenta de que se iba, pero ya no estaba allí. Entonces él abusó de mí", confesó. La pintora admitió que se sentía "ante un enorme conflicto por haber mantenido el silencio todo este tiempo" mientras "todas esas mujeres están dando un paso al frente de manera tan valiente". "Pensé para mí misma que no podía, en buena conciencia, saber lo que sabía, haber pasado por lo que había pasado, y no revelarlo", afirmó. Según el diario The Guardian, Barnard ha presentado una denuncia contra Polanski ante la policía de Los Ángeles. En 1977, el director se declaró culpable en Estados Unidos del asalto sexual a Samantha Gemimer, de 13 años, aunque se fugó a Europa antes de recibir su condena. En 2010, la actriz británica Charlotte Lewis denunció a Polanski de un presunto abuso cometido en 1983, mientras que este año otras dos mujeres han divulgado acusaciones similares, además de Barnard. EFE
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Voragini su flussi di vento,
Reflussi gastrici su ogni sentimento,
l'anima picchia forte,
Il cuore resta a terra spento dalla sorte
Il dolore che provo adesso,
Essere perplesso ad ogni pensiero sconnesso,
Il voler riaccenderlo senza più soffrire,
Ma lei brama,
trama un altro modo per poterlo ancora uccidere.
Fredda come i ghiacciai,
Mista a veleno il suo bacio da vita,
Ma l'effetto indesiredato arriva quando è finita,
Offusca la vista, infetta la ferita,
E scappa con il tuo cuore fra le dita.
Ad ogni sbaglio un rimpianto,
Ma non esiste perdono come per un peccato,
Non la si gira la clessidra,
per legge fisica, la sabbia non può scendere in salita.
Dem.
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Diario Di Un Presunto Artista #16
Non sono mai stato bravo ad esprimere i miei sentimenti, potrei amare alla follia una persona e comportarmi come se la odiassi e senza rendermene conto allontanarla per sempre, e inondo l’ho sempre fatto.
Ma dio come mi sento, era da tempo che non sentivo certe sensazioni, quella paura, quell’ansia che ti prende il petto e ti soffoca.
Qaund’è che realmente capisci che una persona ti piace?
Forse proprio quando improvvisamente hai paura di non essere abbastanza, di non essere all’altezza, di essere soltanto un qualcosa, un frammento di tempo che passerà, come del resto passa tutto.
E devo essere sincero, avrei voglia di mollare, di lasciare tutto e scappare, ma forse è proprio questo quello che ho sempre sbagliato,e non posso farlo di nuovo, non devo. Ho sempre mollato, ho sempre lasciato andare tutto a puttane e non ho mai ottenuto nulla se non altre mille domande che mai avranno risposte.
Ma questa volta voglio provarci, voglio accettare quello che succederà con la consapevolezza di averci messo la faccia e le palle, con la consapevolezza che che mi sono messo in gioco come non ho mai fatto.
Le cose facili ai deboli, le cose difficili a chi lotta per averle, era una promessa, un patto di sangue.
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Ed è solo un'altra pagina nel diario di un presunto artista.
Ho capito fin da subito che era diversa. Indossava una corazza da guerriera, come uno scudo, ma nascondeva un mondo che voleva solo essere scoperto.
Nascondeva un cuore di seta, un cuore dolce, in un mondo dove di dolce non c'è niente, ed è proprio per questo che doveva solo essere protetta, custodita, come si fa con le cose più rare.
Mostrava il coraggio e l'orgoglio di una leonessa, nascondendo però l'insicurezza e le paura di un bambino, come se non volesse far vedere le sue debolezze, come se temesse di essere ancora ferita.
Portava delle cicatrici, ma di quelle vere, di quelle che puoi vedere e toccare sulla pelle, alcune profonde, come segni di mille battaglie, ma erano i segni che la vita ha deciso di lasciarle, e nonostante tutto, nonostante le sofferenze, lei riusciva ancora ad aver la forza di sorridere.
Riusciva a tenermi testa, e lo faceva con l'orgoglio e la fierezza di una regina, come nessuno mai è riuscito a fare.
Ho capito che era speciale. Ed è strano, perché l'ho capito senza averla mai vista, senza viverla affondo, come se la conoscessi da una vita.
È strano, perchè non mi sentivo così da tempo, da quanto ne ho memoria.
Ma non sono mai stato bravo con le persone e così lei certe cose probabilmente non le saprà mai, forse resteranno solo un'altra pagina, l'ennesima, nel diario di un presunto artista.
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Diario Di Un Presunto Artista #14
Per quanto può sembrare brutto, io ti auguro di stare male davvero sta volta, perché tolta la gelosia, tolta la rabbia e l'odio, voglio che tu capisca che l'amore che avrei voluto darti, i sogni che avrei voluto regalarti, nessuno stronzo saprà nemmeno avvicinarsi.
Perché conosco il dolore, conosco la rabbia, la rassegnazione e l'imbarazzo, e a pensarci, quando si viene colpiti da certe emozioni oltre ad imparare a difendersi, si impara a ferire, è un arma a doppio taglio, e io avrei fatto il possibile per proteggerti.
Ma sai, il problema non è quando non riesci a proteggere una persona, è quando quella persona non vuole essere protetta, e tutto cambia. Sta volta cambia, perché nonostante abbia voglia di renderti felice, di tirare fuori il coltello per difendere quel fottuto sorriso chr ti ritrovi, so che non è lo stesso per te, non è quello che faresti tu al posto mio, ma soprattuto ho capito che nonostante tutto tu non vuoi essere protetta, o forse, più semplicemente, non vuoi che sia io farlo, ma preferisci lo stronzo di turno.
Ma è giusto cosi, perché il coglione sono io, l'innamorato sono io, non tu...
Ho provato a cambiare le cose, ad essere il tuo sorriso, la tua roccia, nonostante sia io il primo ad averne bisogno, cercando di trovare quello di cui ho bisogno in quello che tu avevi bisogno. Ma è come cercare di galleggiare in un mare di merda senza saper nuotare, sperando che in due riusciamo a trovare l'equilibrio per non affondare.
Ed è così, almeno ora, o forse lo è sempre stato, tu sei una grandissima testa di cazzo, e preferisci le cose facili a quelle difficili, e come darti torto. Ma la vita non è facile, non lo sarà mai. E più passa il tempo più ci saranno massi sulle tue spalle e sentirai le gambe cedere e se hai un cervello, come credo che tu abbia, capirai di aver sbagliato tutto, e io nonostante non ci creda nemmeno io a dirlo, non ci sarò, non sta volta.
Come cazzo te lo devo dire che mi devi stare alla larga? Come te lo devo dire che ti amo?
Sei veleno per quelli come me, sei semplicemente tutto quello che non voglio ma che sogno di baciare.
Ad ognuno i propri cazzi. È questa la fine.
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Diario Di Un Presunto Artista #13
Dicono che ci sia una parete sottile a dividere il bene dal male, l'amore dall'odio. Più passano i giorni e più mi accorgo di quanto possa essere vero. Noi eravamo così uniti, così legati, eravamo come un puzzle, pezzi diversi, ma complici, pezzi che nella loro diversità si completano per dare vita ad un progetto, ad uno scopo. E dio com'era sentirsi completi. Quella parete forse si è crepata, e l'amore è diventato odio. O forse semplicemente stiamo fingendo, per smettere di amarci, per smettere di pensarci, così da non starci più male. È uno stupido gioco del cazzo. Quanto siamo bravi a sputtanarci a vicenda, a fingere di odiarci, e incontrarci la notte nei sogni più oscuri??!! Ma se siamo destinati a completare quel progetto, arriverà quel pezzo mancate, e saremo la luce della notte più oscura. -A chi più ho perso, a chi più amo.
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Sono così strano che la mia solitudine mi fa compagnia...
@la-speranza-su-un-foglio
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Ho perso lei, ho perso amici, ho perso le forze…
@la-speranza-su-un-foglio Dem - Fragili
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Diario Di Un Presunto Artista #12
Avrei dovuto scriverti, e fregarmene che eri arrabbiata. Avrei dovuto riempirti di messaggi e chiamate, scriverti poemi e lottare per te, non stare lì ad aspettarti. Avreì dovuto presentarmi sotto casa tua con un mazzo di Orchidee quelle che ti piacciono tanto, e stare lì aspettarti, magari tutta la notte se era necessario. Avrei dovuto farti capire quanto ci tenevo a te, e non ora, che sono parole al vento. Avrei dovuto stringerti più forte, così da non lasciarti andare via, uno di quei abbracci che ti spezzano le costole e lasciano una scia nell'anima, la TUA. Avrei dovuto far vincere il cuore, e non l'orgoglio, quello rovina sempre tutto, rovina i rapporti, rovina l'anima e rovina la tua personalità, alla fine penso che sia un male incurabile dell'umanità. Avrei dovuto essere più presente, essere con te ventiquattro ore su ventiquattro, svergliarmi con te, ed addormentarmi con te. E a pensarci è così strano averti vicina ma così lontana. Dopo tutti gli anni passati assieme, ritrovarci così. E dio quante ne abbiamo passate assieme. Ogni lacrima, ogni sorriso, ogni litigata e ogni volta che abbiamo fatto pace ormai è un ricordo per te, ma per me è vita sai? Mi dona la forza di andare avanti. Ed è così difficile accetare la realtà, dopo tutto quello che abbiamo passato e condiviso vedere finire tutto così, vedere il tuo sorriso sbiadirsi nelle ombre del tempo che passa. Se solo ci fosse un modo verrei a prenderti, ti salverei. Ti porterei via da tutto questo, solo io e te, lontano da tutti e tutto, lontano dai pregiudizi, dagli insulti e dalla gente che ci vuole male, questo te lo promesso infondo. Amo te, i tuoi pregi, i tuoi difetti, ti amo perchè mi completi. Completi quella parte di me, che tanto nascondo e odio. Mi hai cambiato, hai trasformato la mia rabbia in rime, e hai salvato la mia anima. Non credo nell'addio, non esiste, almeno per noi. Sei unica. Sei speciale. È meriti il meglio. Io sono qua che ti aspetto, oltre lo spazio e il tempo, ti amo. (Messaggio mai Inviato.)
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"Non fatevi complessi per come apparite, tanto, tutti contenti, in tutti i contesti, non li farete mai."
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E così ricopro la mia nuda perfidia con antiche espressioni a me estranee rubate ai sacri testi e sembro un santo quando faccio la parte del diavolo.
William Shakespeare - Riccardo III
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A volte troppi colpi subisci, il più delle volte fallisci, altre se riesci resisti, ma il segreto è quanto tu insisti nel riuscirci.
- @la-speranza-su-un-foglio Dem - Depersonalizzazione
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