Ma poi scusatemi, tutti sti discorsi... ma la gente se lo ricorda che quando siamo andati a Euro2020 eravamo la barzelletta di tutti e come dicevano 'non saremmo passati nemmeno ai gironi' anche se al tempo eravamo testa di serie e quindi avevamo tecnicamente tre squadre meno forti di noi?
Lettera scritta in risposta ad Alberto Jacoviello, inviato di «la Repubblica» e «L'Unità», che si scusava per averla offesa in passato.
Caro Jacoviello,
....chiedere scusa, come tu hai fatto, quando si ha torto, è sempre nobile. E non molti ne sono capaci, non molti ne hanno il coraggio. Però devo dirti ciò che dirò e, se non lo facessi, mentirei non solo a te ma a me stessa.
....Io non so perdonare. Né perdonare né dimenticare. È uno dei miei più grandi limiti forse, e il più lugubre. E meno che mai so perdonare quando una ferita mi è stata inferta da persone dalle quali mi aspettavo affetto, tenerezza, o sulle quali mi facevo illusioni positive. Ciò non significa, naturalmente, ch'io dichiari guerra o resti in guerra con coloro che mi hanno ferito, offeso. Significa che quelle persone le liquido. Le cancello dai miei pensieri, dalla mia vita. Se le incontro per strada le saluto, in alcuni casi ci scambio una parola, ma dentro di me è come se mi rivolgessi a un'ombra. Esse non esistono più.
.....In questi ultimi due anni, cioè da quando la morte e il dolore si sono abbattuti su di me indurendomi, ho liquidato più persone che in tutta la mia vita. Non v'è uomo o donna colpevole verso di me che non sia finito nella Siberia dei miei sentimenti.
Hai perfettamente ragione a chiudere la tua lettera dicendo che chi non sa perdonare condanna sé stesso alla solitudine. Però hai torto a ritenere che tale «condanna» sia per tutti insopportabile. E dimentichi il proverbio che dice: «Meglio soli che male accompagnati». Non sempre la solitudine è una prigione. A volte, per alcuni, è una conquista che difende da ulteriori ferite ed offese. Solo i deboli e i poveri di spirito hanno paura della solitudine e si annoiano a stare soli. Io non sono debole. Sono molto forte, e durissima ormai. Non sono neanche povera di spirito. Quindi non ho paura della solitudine.
Tutte le volte che ti ho visto mi hai raccontato antichi insulti scritti i pensati. E tutte le volte che ti ho visto è stato come ricevere una coltellata nel cuore. Mi ha colto una nausea che solo la mia capacità di controllo è riuscita a nascondere o a vestire con gli abiti dell'indignazione. È probabile che la tua coscienza si senta lavata dal fatto di avermi confessato quegli antichi insulti scritti o pensati. Ma io non credo che confessare un peccato equivalga a cancellare il peccato. Quel concetto cattolico, anzi cristiano, mi ha sempre inorridito. I peccati commessi restano peccati commessi e niente può cancellarli: né Dio, né il diavolo, né gli uomini, né una sfilata di pater e di ave-maria detti per penitenza. Ciò vale per me, per te, per l'umanità intera presente e passata. Ecco perché non riesco a perdonare. Non voglio.
Ciò è spietato? Sono tanto spietata con me stessa che non vedo perché dovrei essere dolce con gli altri. Il massimo ch'io possa consentirmi è rispondere in modo esteso a chi mi ha scritto in modo esteso. Spiegarmi a chi mi ha spiegato. Ed è molto. Tu sei l'unica persona fra le decine che ho liquidato, esiliato nella Siberia dei sentimenti, cui abbia detto no con una lettera e non col silenzio. Di solito oppongo un silenzio di pietra. Quello che seguirà a questa lettera.
E così farò, sempre, in tutte le circostanze della vita, con tutti coloro che tentano di impormi una prepotenza. E non cederò, mai. Mai. E guai a chi si permette o si è permesso o si permetterà di mettere in dubbio la mia onestà professionale e personale: che poi sono, ovvio, la medesima cosa.
Arriva un giorno, nella vita di tutte noi, in cui ti chiamano "SIGNORA".
"Il suo caffè, "SIGNORA!"
"Non dimentichi il resto," SIGNORA!".
Ma "SIGNORA" a chi?
Tu ti giri pensando che ci sia una "SIGNORA" dietro di te e invece, ci sei solo tu! Allora ti specchi nella prima vetrina che incontri, per vedere se è cambiato qualcosa nel tuo aspetto, se c'è un piccolo indizio che possa aver indotto il barista, la commessa, a collegare la parola "SIGNORA" a te, sì proprio a te e invece no non c'è niente di nuovo, sei sempre tu, con la tua faccia, i tuoi jeans, le tue mani...
E allora perchè, perchè proprio tu, perchè c'è qualcuno che ti ha collocato nella fascia degli "SIGNORE?", di quelle che sono a tutti gli effetti delle "SIGNORE". Chi si permette di farti uscire dall'isola che non c'è, da quel meraviglioso mondo dove si è sempre bambini, dove tutte noi troviamo rifugio nonostante i figli, gli amori finiti, il lavoro, gli anni che passano...
Va bene, forse dovrò abituarmi, dovrò cercare di non sobbalzare più quando mi chiamano "SIGNORA", di trattenermi ad apostrafare il malcapitato di turno. Ma....... non rinuncerò MAI a volare nell'isola che non c'è.
Perchè è lì che i sogni non muoiono MAI... ♡ ᭄۫۫۫۫ ♡