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#dirittura morale
chez-mimich · 10 months
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THE OLD OAK
Per il suo ultimo film (almeno secondo le stesse recenti dichiarazioni del grande regista britannico), Ken Loach ha scelto di girare un film “in purezza”, come si direbbe per il vitigno di un un vino. “The Old Oak” infatti contiene tutti i temi cari a Loach, più uno: il proletariato e il sottoproletariato urbani post-industriali, la disoccupazione, la miniera, l’alcolismo, la povertà materiale e spirituale, ai quali qui aggiunge il tema capitale dei nostri tribolati giorni, l’immigrazione. The Old Oak è il vecchio e malandato pub di Durham, paesino del nord-est dell’Inghilterra, dove la chiusura delle miniere, oltre ad essere stata una tragedia epocale per l’economia del villaggio, era altresì stato un formidabile collante per la solidarietà e le lotte sindacali dei lavoratori. La “colliery”, ovvero la miniera di carbone, è stata per anni una costante nel panorama delle lotte sindacali dei lavoratori di quella parte del paese e, attorno ad esse, sono nate forme del tutto particolari di mutuo soccorso per il sostegno tra lavoratori, insieme anche iniziative ricreative e sociali che spesso ruotavano attorno al pub del luogo. TJ Ballanthyne è il proprietario di “The Old Oak” (la vecchia quercia), luogo che tiene insieme vecchi compagni di lavoro in miniera, ormai quasi derelitti e impoveriti dalle miserabili pensioni, che si ritrovano alla sera e nei giorni di festa per una pinta di birra come s’usa da quelle parti. A rompere quel delicato equilibrio è l’arrivo di poveri ancora più poveri di loro, in questo caso un nutrito gruppo di famiglie di migranti che fuggono dalla guerra in Siria. Tj Ballanthyne e un piccolo gruppo di frequentatori del pub decidono di mettere in piedi una sorta di mensa dei poveri per i nuovi arrivati, suscitando la protesta degli storici frequentatori che, benché anch’essi figli di un proletariato misero, sembrano ostili alle nuove povertà oltre ad essere, perché no, anche un po’ razzisti.
Il film di Loach, nella sua essenziale semplicità, è tutto qui e non è una pellicola per tutti,e non lo è, non solo per i motivi che si potrebbero pensare. Non lo è perché vedere un suo film è sempre un po’ come partecipare ad un rito purificatorio: ci si sottopone ad esso per ricordare a noi stessi che la Storia che stiamo vivendo è questa, o meglio che ancora oggi molti vivono in prima persona questa Storia, fatta di sussistenza, di squallide periferie e di miseria. Loach, nella sua sempre scarna narrazione filmica, supportata dalle eccellenti sceneggiature di Paul Laverty, punta questa volta il suo sguardo sull’assurdo conflitto tra due povertà, quella degli ex-minatori e quella dei migranti. Se c’è stata una strategia vincente nella destra in Europa e nel mondo occidentale, e quindi anche in Italia, è proprio stata quella di far pensare alle classi meno abbienti che il nemico sociale fosse quello più povero di loro. Gli ex minatori inglesi, come i proletari italiani, guardano ai migranti con diffidenza, se non proprio con odio. Quello è il loro “nemico”, non certo il grande capitalista, il facoltoso commerciante, il professionista affermato o l’evasore fiscale (figure che spesso coincidono). Se in un certo senso è normale che ciò accada, poiché fasce deboli della popolazione indigena e migranti si trovano nelle città a convivere negli stessi quartieri, la cosiddetta “coscienza di classe”, grande invenzione marxiana, attende solo di essere recuperata alla sua funzione, per far, finalmente, deflagrare un sano conflitto sociale, unica barriera possibile allo strapotere del liberismo delle destre. Un manifesto politico più che un film? Sì, bisogna ammettere che Ken Loach è un regista fieramente politico, forse l’ultimo rimasto, che parrebbe aver girato sempre lo stesso film, come monito della perenne ingiustizia sociale che avvelena (e ha sempre avvelenato) la nostra Storia. Forse sarà il suo ultimo film e quindi ne rimpiangeremo per sempre la dirittura morale e la sua sete di giustizia, ma anche la sua ineguagliabile poesia cinematografica. E come il “macchinista ferroviere” di Francesco Guccini sulla locomotiva, ci piace pensarlo ancora dietro la sua macchina da presa “lanciata bomba contro l’ingiustizia”.
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aitan · 3 years
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Secondo me il prof. Luciano Sesta, docente di bioetica e filosofia morale dell’Università di Palermo, ieri ha scritto sulla questione del green pass e sul clima di caccia alle streghe che stiamo vivendo un testo molto lucido e misurato sul quale vale la pena riflettere. Tutti.
Pur essendo fortemente raccomandata da governi e autorità sanitarie, la vaccinazione anti-Covid rimane in quasi tutti gli Stati del mondo giuridicamente facoltativa, e non può dunque essere considerata né necessariamente immorale (come pensano i no vax), né moralmente necessaria (come pensano i pro-vax).
Ora, in un contesto in cui esiste, formalmente, il diritto giuridico di non vaccinarsi, non si può essere considerati né giuridicamente né moralmente  responsabili delle conseguenze che derivano dall’averlo esercitato. Se avvalersi di un diritto comportasse, ipso facto, conseguenze penali o immorali, un simile diritto non esisterebbe nemmeno. Diverso è naturalmente il caso del dovere, giuridico o morale, che io posso avere o non avere al di là del mio diritto di non vaccinarmi. Si tratta del dovere di agire con responsabilità, morale e giuridica, nei confronti degli altri. Questo dovere, sia morale sia giuridico, oggi è previsto e non è quello di vaccinarsi, che è appunto un diritto e non un dovere, ma quello di osservare le norme di prevenzione – mascherina e distanziamento – richieste a tutti, vaccinati e non.
Se, come invece pensano oggi in tanti, il dovere (morale e giuridico) di non danneggiare terzi, e dunque di tutelare la propria e l’altrui salute, potesse essere assolto unicamente tramite la vaccinazione, non esisterebbe per i vaccinati il dovere supplementare (morale e giuridico) di usare la prudenza richiesta anche ai non vaccinati. Questa circostanza accomuna tutti i cittadini nei doveri di solidarietà (mascherine e distanziamento), diversificandoli nei diritti di libertà (vaccinarsi, non vaccinarsi). In questo modo siamo tutti oggettivamente uniti nel contrastare il virus e diversi solo nel modo personale di farlo.
Come si può notare, il carattere giuridicamente facoltativo del vaccino è pienamente  compatibile con la comune responsabilità, richiesta a ogni cittadino, di tutelare la propria e l’altrui salute. Eppure, nonostante ciò, chi ha deciso di non vaccinarsi appare oggi, in Italia, non già come un soggetto con cui interagire in uno Stato costituzionale di diritto, ma come l’oggetto di una rieducazione sociale. Non a caso i principali organi di stampa e i media usano spesso espressioni come “caccia ai non ancora vaccinati” per indicare lo sforzo finale di una campagna in dirittura di arrivo. Dove il termine “caccia” fa ben intendere come i cittadini che si avvalgono del pur riconosciuto diritto di non subire un trattamento non imposto dalla legge sono non già “qualcuno con cui parlare”, ma “qualcosa su cui agire”. E dove l’espressione “non ancora vaccinati” lascia trasparire, in quell’avverbio di tempo, il carattere solo provvisorio di una resistenza destinata a essere piegata dal trionfale procedere dell’immunizzazione collettiva.
Intercettarli, snidarli, ricattarli, minacciarli di finire intubati, escluderli, esasperarli, sfibrarli, persino corromperli con offerte di alcolici, gelati, denaro e persino sostanze stupefacenti. C’è un nervoso crescendo in questo “tutto per tutto” disposto a carte false pur di inoculare anche una sola dose in più di fronte a chi, ancora legalmente, risponde: “no, grazie”.
Sintomo del disagio che, nella storia, il potere ha sempre sperimentato di fronte al limite dell’habeas corpus, il risentimento con cui alcuni conducono la campagna vaccinale, divenuta ormai “caccia” del non ancora vaccinato o sua decretata esclusione dallo spazio protetto della vita sociale, dipinge i non vaccinati come dei veri e propri untermenschen. Come se una persona non vaccinata contro il Covid fosse, in quanto tale, un soggetto arcaico e viscerale, collocato ai margini della civilizzazione, ancora immerso in quello stato di natura dove vale la legge dell’individualismo animale e del rozzo egoismo di chi non comprende che, non ricevendo il siero, farà mancare agli altri la necessaria protezione dal rischio di ammalarsi e di morire.
Costringerlo è dunque l’unico modo di addomesticarlo, limitando i danni del suo ottuso rifiuto. A ciò si aggiungano le proposte punitive di rifiutare l’assistenza ai non vaccinati eventualmente bisognosi di ospedalizzazione o di addossar loro i costi delle cure, come se chi ne ha diritto ne godesse non in qualità di contribuente, ma perché si è moralmente comportato in un certo modo, secondo una logica che lascerebbe senza scampo fumatori, bevitori e amanti dei cibi grassi. O si pensi anche, nei casi più estremi, all’augurio, frequentemente rivolto ai non vaccinati sui social, di finire intubati per poter finalmente “capire”. È in questo linguaggio e in questo clima di moralismo sanitario che si consuma la percezione, da parte dei non vaccinati, di essere non tanto gli interlocutori di un dialogo finalizzato a persuaderli, quanto i nemici di una guerra che mira a sconfiggerli.
In questo desolante quadro, è davvero così impensabile provare ad aprire lo spazio di un confronto civile in cui, pur rimanendo ciascuno convinto della superiore bontà della propria opinione, possa almeno evitare di criminalizzare quella altrui? Nella situazione in cui ci troviamo oggi, fatta salva la necessità di continuare a promuovere una vaccinazione libera e informata dei soggetti fragili – e questo allo scopo di contribuire ulteriormente alla già bassa incidenza di ricoveri e decessi – anche la vaccinazione di tutti gli altri cittadini dovrebbe rimanere libera, senza discriminazioni per chi decide, legittimamente, di tutelare la propria e l’altrui salute in modo diverso dalla vaccinazione. Del resto, dopo tutto ciò che abbiamo appreso sulla contagiosità dei vaccinati, siamo davvero così certi che, anche quando agiscono nella comune prudenza richiesta a tutti, i non vaccinati che non sono comunque a rischio siano i soli responsabili di ciò che accade nello spazio pubblico e negli ospedali? Perché invece non vedere, nelle norme di prevenzione imposte a vaccinati e non vaccinati, un segno della comune dignità di tutti i cittadini a prescindere da green pass e vaccinazione?
Gli antropologi, qui, sembrano trovare abbondante materia di conferma delle loro ipotesi: la logica del “capro espiatorio” è insopprimibile. Il bisogno di prendersela con qualcuno, attribuendogli la responsabilità di un problema comune, supera il desiderio di risolverlo insieme a lui. Impedendo a tutti noi di aprire gli occhi, magari per scoprire che, anche se sta usando armi diverse dalle nostre, persino chi sembra un nemico è in realtà un nostro alleato.
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tergestin · 2 years
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Checché se ne dica durante la gestione del presidente Trump non si era aperta alcuna nuova guerra ma, bene o male, si erano chiusi dei brutti capitoli di storia iniziati quando un "premio Nobel per la pace" non era stato capace di mettere a tacere chi davvero comanda in America. Uso, non a caso, il termine "gestione" visto che la presidenza, nella patria della democrazia da esportazione coatta, risulta essere una pura carica rappresentativa per cui alla Casa Bianca potrebbe dormire chiunque atteso che le decisioni importanti sono di esclusiva pertinenza di coloro che hanno in mano l'economia di guerra e che, con l'arroganza dei prepotenti, riescono pure a cambiare, in dirittura finale, l'esito (che appariva ormai scontato) delle elezioni. Abbiamo visto quindi eleggere chi, molto probabilmente, non sa neppure che la speaker del parlamento americano è andata ieri a provocare, senza un apparente valido motivo, la proverbiale pazienza dei Cinesi col rischio aggiuntivo di creare, se non proprio una guerra, un'ulteriore punto di frizione in un'estate già bollente. Che il Biden di prima delle elezioni non fosse tanto diverso dalla cariatide incartapecorita che oggi si regge in piedi con l'esoscheletro di un vestito inamidato tre volte è pacifico ma proprio per questo motivo erano state taroccate all'ultimo minuto quelle elezioni che sicuramente avrebbero lasciato alla presidenza chi, pure in apparenza bizzarro, mai si sarebbe sognato di mandare la signora Pelosi, a rompere le uova alla Cina col rischio, tutt'altro che aleatorio, di far saltare, anche in estremo oriente, equilibri assai precari. L'Europa, ed in primis il nostro paese, sta a guardare non rendendosi conto che proprio questo sarebbe il momento giusto per intervenire facendo sentire le proprie ragioni perché la guerra in Ucraina, fomentata prima e gestita adesso direttamente dagli Stati Uniti, ci sta portando verso danni per certi versi irreparabili. Chi si astiene ha la stessa colpa e la stessa responsabilità morale di chi uccide (Wolfgang Goethe).
Vitaliano Battigelli, fb
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liviaserpieri · 4 years
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io sempre preferirò
-...Ecco il vero ideale: quando la stessa vittima è lieta di essere portata sull’ altare del sacrificio. E poi? Poi neanche il figlio maggiore è nella condizione più felice, perché ha nel cuore una certa Amalchen, alla quale si sente legato, ma non gli è possibile sposarla perché i fiorini sono ancora troppo pochi. E anch’essi, buoni e onesti, aspettano e anch’essi si avviano, sorridendo, al sacrificio, mentre nel frattempo vanno sfiorendo le guanche di Amalchen e avvizzisce la sua freschezza. Finalmente, dopo quasi vent’anni, il loro patrimonio si è moltiplicato e i fiorini sono stati ammassati, in modo pulito e onesto. Il padre dà la sua benedizione al figlio quarantenne e alla trentacinquenne Amalchen, che ha ormai il petto cadente e il naso rosso..E allora il padre piange, predica un po’ di morale e se ne va all’ altro mondo. Il figlio maggiore si trasforma a sua volta in un virtuoso padre, e ricomincia la stessa storia. Dopo cinquanta o settant’ anni, il nipote del primo padre ammucchia un capitale veramente considerevole e lo lascia al figlio; questi, a sua volta, al proprio, e così via, e dopo cinque o sei generazioni viene fuori, nientemeno, il barone Rothschild o Floppe&Co. o lo sa il diavolo chi. Ebbene, signori, non è forse questo uno spettacolo meraviglioso? E’ un lavoro continuo, di generazione in generazione, della durata di cento o duecento anni: pazienza, intelligenza, onestà, fermezza di carattere, dirittura morale, calcolo e la cicogna sul tetto! Che volete ancora? Nulla è più sublime di questo, e proprio da questo punto di vista essi prendono a giudicare tutto il mondo e a condannare i colpevoli, quelli, cioè, che appena appena non sono simili a loro. Ebbene, ecco, signori, di che si tratta: io preferisco condurre una vita licenziosa alla russa, o arricchirmi alla roulette, ma non voglio essere tra cinque generazioni un Floppe&Co. perché i denari servono a me, e non mi ritengo,io,  un qualcosa di necessario o di accessorio da aggiunere al mio capitale. So di aver detto molti spropositi ma è così: queste sono le mie idee.
-Non so se ci sia qualcosa di vero in quello che asserite- osserò sovrappensiero il generale - ma so per certo che vi mettete a fare lo spiritoso in modo insopportabile, se niente niente vi si permette di uscire dai limiti
Игрок
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De Gregori parla di calcio, certo, ma nel suo significato allegorico di specchio dell’esistenza. Come su un rettangolo verde, così lotti nella vita, vinci o perdi, sudi, soffri, gioisci. C’è un’etica, una dirittura morale, che, così come nello sport, informa le scelte dell’esistenza. Ma c'è anche il fato, o una momentanea debolezza, o un lapsus, per cui il rigore determinante, quello che cambia il corso degli eventi, può essere sbagliato anche dal migliore, nonostante “metta il cuore dentro alle scarpe e corra più veloce del vento”. Il protagonista della canzone fa parte infatti di una schiera di magnifici perdenti, di quei “giocatori tristi che non hanno vinto mai”, che nessuno ormai più ricorda e che si sono giocati tutto in un unico, esiziale frangente. Uomini che hanno scelto la rettitudine piuttosto che l’inganno, o che semplicemente hanno sbagliato nel momento decisivo della propria vita. Una vita che li ha irrimediabilmente condannati all’indeterminatezza (ed hanno appeso le scarpe a qualche tipo di muro e adesso ridono dentro a un bar e sono innamorati da dieci anni con una donna che non hanno amato mai ) ma che invece De Gregori assolve perché un grande giocatore ( e un grande uomo ) resta tale anche se sbaglia un calcio di rigore, dal momento che “non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore.Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall'altruismo e dalla fantasia” .Ma la canzone, così ricca di spunti, dispiega un ulteriore significato, questa volta di natura squisitamente politica. La Leva Calcistica della Classe ’68 altro non è che la generazione dei sessantottini, di quei giovani che cercarono di cambiare il mondo e che la Storia invece sconfisse. Non a caso la canzone viene inserita in Titanic, la grande nave da crociera che affonda così come affondano il paese Italia e gli ideali di civiltà che quel movimento propugnava ( dopo il ’68 arriveranno gli anni di piombo, le stragi, la strategia della tensione, i servizi segreti deviati e non ). Coraggio, Altruismo e Fantasia, possono così essere lette anche come le qualità che la politica dovrebbe avere e non ha mai avuto, e di cui invece il movimento del ’68, forse troppo ingenuamente, si faceva portavoce. Quei giovani che credevano in così alti ideali hanno perso, ma resta ancora in loro e in tutti quelli che credono in una politica al servizio del bene comune, la speranza di cambiare il mondo : Il ragazzo si farà, anche se ha le spalle strette, quest’ altro anno giocherà con la maglia numero sette“ ( il ragazzo con la maglia numero sette è Bruno Conti, che un mese dopo l’uscita di Titanic, vincerà il mondiale di Spagna).
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telodogratis · 2 years
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“I nuovi medici formati secondo la dirittura morale di Paolo Giaccone”
“I nuovi medici formati secondo la dirittura morale di Paolo Giaccone”
Read More “La scuola di specializzazione di Medicina Legale di Palermo e Catania forma le nuove generazioni di  medici secondo la dirittura morale e l’esempio del professore Paolo Giaccone ucciso 40 anni […] The post “I nuovi medici formati secondo la dirittura morale di Paolo Giaccone” appeared first on BlogSicilia – Ultime notizie dalla Sicilia. Palermo, antonella argo, omicidio mafia, paolo…
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radheidiloveme · 3 years
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Riflessione breve: la povertà di pensiero e d’animo, quello che viene chiamato a volte lo ‘spessore umano’ di una persona è la qualità che i politici che votiamo devono avere. So di dire una cosa ovvia ma di difficile realizzazione. Quanto importante sia lo stiamo vedendo in questi giorni. Un uomo povero di tutto sta tenendo con il fiato sospeso il mondo, ma quella è una dittatura. E noi, la nostra democrazia rappresentativa, scegliamo i migliori per affidare le nostre sorti?
I nomi scegliteli voi, ma dov’è la cultura, la dirittura morale, il disinteresse personale nel nostro personale politico ? Senza voler generalizzare, ma per contrasto vengono in mente certi nomi per i quali la politica è solo scontro di forza .
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aidenbrokensoul · 3 years
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          💭📌  ▹  𝐓𝐇𝐎𝐔𝐆𝐇𝐓𝐒       new york ⌵ ᴀɪᴅᴇɴᴅᴀᴠᴇɴᴘᴏʀᴛ        h. 19.35 ‧‧‧ 08.01.2022 ㅤㅤ ㅤㅤ ㅤ     Quando si parla di lealtà tutti sono pronti a erigersi paladini di un sentimento che probabilmente non sanno nemmeno che cosa sia. Atteggiamento di correttezza e dirittura morale, attaccamento al dovere e rispetto della propria dignità, nel mantenimento degli impegni assunti, nei rapporti con determinate persone, nella fedeltà alle istituzioni e a chi le rappresenta: è questo con cui si definisce la lealtà, ma chi può dire di esserlo nei propri confronti? Puoi esserlo nei confronti della tua famiglia, nei confronti del tuo migliore amico anche quando sai che ha sbagliato, ma la verità è che la vera lealtà la dobbiamo a noi stessi e alle nostre scelte. Come puoi pensare di chiudere gli occhi e dormire sonni tranquilli se non sei convinto di ciò che hai fatto? Eppure la lealtà verso se stessi va di pari passo con un altro aspetto di noi stessi, la responsabilità. Due concetti diversi ma legati tra loro che non fanno altro che spingermi a chiedermi se sono voglio essere in questo momento. E se la risposta è affermativa, non ho altro da fare che guardare avanti.
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bergamorisvegliata · 4 years
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NON TOCCATE I BAMBINI!
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Che cosa c'è dietro a questo accanimento psicologico verso i piccoli? Chi continua a influenzare gli atteggiamenti dei bimbi, del tutto inconsapevoli e innocenti, di fronte a un dilagare così violento di notizie false e tendenti a generare inutili allarmismi e a favorire un senso di precarietà sociale a tutto danno di quello che dovrebbe essere il nostro futuro?
In Italia è dai tempi di Bibbiano e dalle vaccinazioni obbligatorie che i nostri figli sono nell'occhio del ciclone di una tempesta perfetta che li vuole alla mercé di organizzazioni criminose, dedite allo sfruttamento dei minori e all'ingresso di un mercato -quello pedopornografico- che ogni anno aumenta ancora di più i suoi indotti finanziari a tutto vantaggio delle mafie del settore, e contribuendo non poco al PIL degli stati più "virtuosi" in tal senso. Persino il Vaticano non è esente da questi traffici, che puniscono troppo severamente e contro ogni dirittura morale, che rischia di compromettere del tutto la psiche di persone che nulla possono contro questi illeciti.
Non ci voleva certo un "virus" per scoperchiare queste turpi pratiche, ora accompagnate da restrizioni che penalizzano, oltre che i bambini, le istituzioni scolastiche, forse le meno colpevoli ma certo le più sprovvedute a dover fronteggiare una situazione ormai sfuggita di mano, ma che richiede uno sforzo comune: quello di denunciare questi traffici, di ridare un senso alle azioni di uno stato ora assente, e di tutelare quelli che sono i diritti umani, sia dei nostri bambini -sempre più privati degli affetti e dei loro giochi preferiti- che finanche di noi adulti.
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eugatedi · 4 years
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27 febbraio 2021: il cavallo bolso di Rignano
Non conosco Mario Tronti e non so quanto possano essere condivisibili le sue critiche alla politica del PD. Certo è che farle coincidere sostanzialmente con quelle che vengono da IV, considerando la dirittura morale del segretario di quel partito (che tanto per fare un esempio ha inneggiato al rinascimento saudita di MbS, presunto mandante della macellazione di Kashoggi), non è far loro un bel servizio.
Folli continua a puntare sul purosangue di Rignano, ma è sicuro che non sia bolso?
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chez-mimich · 7 years
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L’IDEAL TIPO DI FACEBOOK (PARTE SECONDA). Dalla prima parte dell’Ideal-tipo di Facebook sono passati un paio d’anni e la tipologia del frequentatore tipo si è arricchita e si è leggermente modificata. Ecco allora l’attesa integrazione...
IL NULLA-DICENTE. È colui o colei che non ha nulla da dire, ma per “marcare il territorio”, lascia una traccia e solitamente scrive: “Piove anche da voi?”. E naturalmente trova, in altri luoghi, altri nulla-facenti che rispondono: “Sì, qui diluvia.” La versione più “engagé” del “nulla-dicente” si lancia in qualcosa di più raffinato e solitamente, mostrando un albero scosso dal vento finge di domandare: “vento ne abbiamo?”,ma la sostanza non cambia.
IL METEOROLOGO. Parente stretto del “nulla-dicente” (non per nulla quando non si ha niente da di dire si parla del tempo), ci dà informazioni su perturbazioni in transito, sistemi nuvolosi, cirri, cumuli, nembi, nembo-strati, rovesci, burrasche, foto aggiornate in “tempo” reale sulle condizioni meteo, ma anche su possibili disagi alla circolazione. Raggiunge l’orgasmo social-mediatico quando può mostrare in una foto di essere in coda sulla tangenziale sotto una grandinata.
LA RICAMATRICE. Alterna questa passione insana ad un’altra passione ancora più insana, quella di fare delle torte orrende ed ingozzarci parenti e amici. Ma il suo interesse primario resta il tombolo, il puncetto, l’uncinetto, il piccolo punto. Riempie il suo profilo di vesuvi napoletani o cani dalmata con cucciolata, ricamati a piccolo punto. Produce anche bracciali di filo che pensa anche di poter vendere ed ha il coraggio di scrivere: “per prenotazioni telefonate al 345673635”. Naturalmente non solo non li prenota nessuno, ma diventa vittime di telefonate a carattere pornografico.
IL CLASSISTA. Cerca compagni di classe ovunque essi siano e cerca soprattutto quelli che non vogliono essere trovati, men che meno da lui. Ha frequentato tutti gli istituti scolastici, raccoglie fotografie di classe e sembra essere stato compagno di banco di tutti. Una variante frequente è il commilitone che cerca commilitoni. Ricorda con nostalgia l’epoca in cui si prestava il servizio militare, anche per il fatto che lui dopo tre giorni è stato congedato con la scusa del raffreddore da fieno.
IL SOLIPSISTA. Per qualche sprovveduto che non lo sapesse, il “Solispismo” è un posizione filosofica che sostiene che un soggetto pensante non può far altro che affermare la propria individuale esistenza in quanto ogni realtà al di fuori di sé stesso, è solo un pensiero. Esite, insomma, solo un “io stesso”, il resto non sono altro che mie percezioni. Costui non commenta mai i “post” altrui, ma aspetta commenti sotto i propri. È l’unico ad avere un atteggiamento davvero “social”. Esisto io, gli altri o sono followers o mi hanno bannato, quindi non esistono. In realtà , se vi fosse sfuggito, non vi è nulla di meno “sociale” del blogger o dell’attivo sui “social”. Adesso mettete i vostri “i like” e i vostri commenti, poi anadate a confessarvi e dite al confessore: “ci sono cascato ancora”.
IL "RIMOTORE". Dopo aver accuratamente cercato l’amicizia di cani e porci incomincia l’opera di rimozione. Ci vuole poco ad essere rimossi dalla lista dei suoi amici: criticate la fotografie del suo cane? Dite che non voterete mai per i Cinque stelle? Avete un’idea diversa sul senso unico in una certa strada? Non riempite una foto di “I like” dove lei è in costume da bagno oppure dove lui ha fatto un selfie con Laura Pausini? Verrete rimossi! Ma non basta prima di rimuovere qualcuno dalla lista degli amici fa sempre un roboante annuncio che solitamente non caga nessuno e che si intitola “Pulizie di primavera” (anche se è novembre); e da lì cominciano una serie di minchiate galattiche sulla dignità, sulla coerenze, sulla dirittura morale, sul rispetto, manco fosse Madre Teresa di Calcutta. Dopo tutto questo sproloquio, vi accorgete di non essere più nella lista degli amici, la qual cosa non vi fa né caldo né freddo, ma il "rimotore" prosegue scrivendovi in privato sulle motivazioni che l’hanno spinto a tale drastica decisione. In tal caso vi consiglio di rispondere in maniera molto esaustiva e circostanziata con un “ok”, se proprio volete sprecare del tempo con un “va bene”. Tanto poi lui/lei scriverà da qualche parte che è disposto a riconcedervi l’amicizia a patto che voi facciate pubblica ammenda e dimostriate a tutti i vostro pentimento. Mandatelo affanculo. La versione più hard del “rimotore” è il “bloccatore”, ma quello è un benefattore dell’umanità, come il veleno per topi.
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paoloxl · 7 years
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Per la Corte di Strasburgo le violenze e le torture della polizia alla Diaz e alla Pascoli erano evitabili. Riconosciuti 1,4 milioni di danni. E la legge sulla tortura passa all’Aula senza emendamenti Come nel 2015 e con motivazioni ancora più dettagliate, la Corte europea dei diritti umani torna a condannare l’Italia per la «macelleria messicana», come la definì l’allora vicequestore del primo Reparto mobile di Roma Michelangelo Fournier, compiuta dalle forze dell’ordine durante il G8 di Genova del 2001 all’interno della scuola Diaz e (questa volta anche) della scuola Pascoli, dove era stato allestito il centro stampa e l’ufficio legale. «Tortura», la definiscono ormai esplicitamente i giudici di Strasburgo che hanno dato ragione a 29 dei 42 ricorrenti (Bartesaghi Gallo e altri) e, per violazione dell’articolo 3 della Convenzione, condannano lo Stato italiano a risarcire le vittime con somme che vanno dai 45 mila ai 55 mila euro ciascuno, per un totale di circa 1,4 milioni di euro. Un’operazione, l’irruzione nelle due scuole, «pianificata» dalla polizia e nella quale perciò l’«uso di incontrollata violenza» poteva essere evitato, motiva la Cedu, ma così non è stato. Inoltre dalla sentenza Cestaro del 2015 ancora l’Italia presenta «carenze nel sistema giuridico riguardo la punizione della tortura». Motivo per il quale coloro che sono stati ritenuti responsabili di quella folle notte di violenze non sono stati puniti adeguatamente, accusati di reati minori, presto caduti in prescrizione. Le parole di Strasburgo arrivano in commissione Giustizia della Camera, dove si sta analizzando in quarta lettura il brutto testo di legge che introduce il reato di tortura nel nostro ordinamento penale, e fanno l’effetto della maestra che torna in classe all’improvviso. Respinti tutti gli emendamenti, il ddl arriverà in Aula il 26 giugno, senza più altri rinvii. La convinzione che di questi tempi non si possa pretendere di meglio nel Belpaese, porta ad accelerare i tempi verso l’approvazione di un testo che il Consiglio d’Europa, per ultimo, e decine di associazioni che hanno lanciato un appello contro la «legge truffa», considerano inadatto e lontano dalle convenzioni Onu e dalle raccomandazioni della Cedu. Prendiamo ad esempio il reato specifico per pubblico ufficiale, nemmeno lontanamente preso in considerazione per via delle proteste di alcuni sindacati di polizia (a danno della maggioranza delle forze dell’ordine). Nella sentenza resa nota ieri, Strasburgo fa notare che nella notte tra il 20 e il 21 luglio 2001, quando all’interno delle due scuole furono commesse «violenze multiple e ripetute, di un livello di gravità assoluta», «la polizia non stava affrontando una situazione di emergenza, una minaccia immediata che richiedeva una risposta proporzionata ai potenziali rischi». La Corte «ritiene che i funzionari hanno avuto la possibilità di pianificare l’intervento della polizia, analizzare tutte le informazioni disponibili e tener conto della situazione di tensione e dello stress a cui gli agenti erano stati sottoposti per 48 ore». Ma, «nonostante la presenza a Genova di funzionari esperti appartenenti all’alta gerarchia della polizia, non è stata emanata alcuna direttiva specifica sull’uso della forza e non sono state date consegne adatte agli agenti su questo aspetto decisivo». In sostanza, le Corte europea fa notare stavolta che la tortura e i trattamenti inumani e degradanti inflitti, «con gravi danni fisici e psicofisici», su persone inermi non erano imprevedibili. Non sono state frutto in una situazione sfuggita di mano. E nel frattempo nulla è cambiato. Per Amnesty international Italia, la condanna della Cedu è «una buona notizia» perché «aiuta la memoria collettiva» e «sottolinea la necessità di rafforzare la cultura dei diritti umani tra le forze di polizia». Ma il ddl in dirittura d’arrivo alla Camera anche per il senatore di Mdp, Felice Casson, tra i firmatari del testo prima che venisse «stravolto in Senato», sarà «da un punto di vista pratico difficilmente applicabile per la nostra magistratura» e «avremo episodi chiari di tortura che non verranno mai puniti». E al Consiglio d’Europa che due giorni fa chiedeva una fattispecie esente da ogni possibile misura di clemenza, l’Unione delle camere penali risponde di non preoccuparsi, «perché a rendere ineffettiva la norma sulla tortura non c’è bisogno né di amnistie, né di indulti, né di prescrizioni: basta che il Parlamento approvi la legge sulla tortura in via definitiva così com’è». Eleonora Martini da il manifesto ****************** Quando la democrazia fu affidata a criminali di Stato A Genova la democrazia fu sospesa e messa nelle mani di criminali di Stato. Fu fatta carta straccia della rule of law e dell’habeas corpus. Decine e decine di corpi furono seviziati, massacrati, torturati. Dopo sedici anni arriva finalmente per quarantadue di quei corpi un risarcimento politico, giudiziario, morale, economico. La Corte europea dei diritti umani, nella sentenza resa pubblica ieri, l’ha potuta chiamare tortura. Noi, nelle nostre Corti, non possiamo ancora chiamarla così, perché la tortura in Italia non è codificata come crimine. Il 26 giugno è la giornata che le Nazioni Unite dedicano alle vittime della tortura. È anche il giorno in cui la Camera dei Deputati inizierà a votare la brutta, pasticciata e intenzionalmente confusa proposta di legge che il Senato ha approvato giusto poche settimane fa, dando cattiva prova di sé. Sono intanto trascorsi sedici anni dalle torture della Diaz e ben ventinove da quando l’Italia ha ratificato la Convenzione Onu contro la tortura che ci obbligava a introdurre nel nostro codice il crimine di tortura. Il tempo passa ma non cambia il modo in cui le istituzioni hanno cercato di non parlare di un delitto che è tanto grave in quanto commesso su persone in stato di soggezione e dalle mani dei servitori della democrazia. Ancora una volta da Strasburgo arriva un monito a non lasciare impuniti i torturatori sul suolo italico. L’Italia infatti è una sorta di paradiso legale per i torturatori di ogni nazionalità che qui possono sentirsi sicuri e rifugiarsi da accuse e processi nei loro confronti. La sentenza risarcisce le vittime di quello che possiamo chiamare ora a tutti gli effetti un crimine di Stato, sia perché la tortura è nella storia del diritto un reato proprio di agenti dello Stato, sia perché nel caso di Genova i carnefici non sono stati due, tre o quattro ma un plotone intero con tutti i suoi governanti. Basta riguardare la sentenza della Corte di Cassazione del 2012 per leggere i nomi dei dirigenti ad altissimo livello della Polizia che furono condannati a vario titolo, ma nessuno per tortura, perché in Italia non si può condannare per tortura. La sentenza di Strasburgo restituisce giustizia a chi non vuole che la memoria e la verità siano violentate. Il numero delle vittime e la gravità delle condanne pongono un problema politico, non solo giuridico ed economico come forse in molti al potere vorrebbero far credere, ossessionati dalla paura dei fantasmi di Genova. Fu Antonio di Pietro, allora capo dell’Idv e ministro delle Infrastrutture, ad affossare la legge che istituiva una Commissione di inchiesta sui fatti di Genova. Una Commissione che ancora oggi sarebbe sacrosanto mettere rapidamente in piedi per fare i nomi e cognomi dei responsabili politici, militari e di Polizia di un piano sistematico criminale. Come altro definire un piano pensato per commettere crimini contro l’umanità? Nel frattempo impunità e immunità hanno favorito le carriere dei presunti torturatori e dei loro mandanti. Chiediamo ai governanti dello Stato italiano di oggi di rivalersi contro i responsabili politici e di Polizia di quel 2001, di fare loro causa civile, di istituire per via amministrativa un fondo per le vittime della tortura, di consentire l’identificazione degli appartenenti alle forze dell’ordine. Si può fare subito. Se dovesse anche questa volta prevalere la melina, l’autodifesa dei vertici, il quieto vivere vorrà dire che la democrazia è ancora sospesa. Tanti ragazzi che oggi frequentano le Università non sanno cosa è successo a Genova in quel luglio del 2001. Va loro raccontato che lo Stato democratico italiano torturò altri ragazzi come loro. Lo fece perché aveva paura delle loro bandiere della pace. Patrizio Gonnella da il manifesto
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unisolasardegna · 8 years
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Trekking letterario ad Armungia
Trekking letterario ad Armungia
Atobius – Armungia  – Domenica 5 marzo 2017
“Il popolo sardo, come i popoli venuti ultimi alla civiltà moderna e già fattisi primi, ha da rivelare qualcosa a se stesso e agli altri, di profondamente umano e nuovo. (da L’avvenire della Sardegna, Il ponte, ottobre 1951)“ – Emilio Lussu Pronunci la parola, Armungia, e subito la mente corre a uomini e donne di coraggio e dirittura morale gigantesca,…
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welikemanuela · 6 years
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#comunicazione: autenticità L'eleganza, il fascino, la dirittura morale è vero, sono particolarità che in una persona traspaiono; sono dettagli istintivi, uno sguardo, una stretta di mano, un sorriso o anche solo la presenza e migliaia di informazioni si diffondono all'istante o quasi, purtroppo non si possono copiare.
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Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/05/25/nardo-conservatorio-s-maria-della-purita-ovvero-lassistenza-amore-non-uno-squallido-affare/
Nardò, il Conservatorio di S. Maria della Purità, ovvero quando l'assistenza era amore e non uno squallido affare
di Armando Polito
Probabilmente tutti quelli della mia età appaiono come laudatores temporis acti (chiedo scusa a chi conosce il latino, ma sono costretto a tradurre a beneficio di tutti gli altri, che non credo numerosi …: lodatori del tempo trascorso), dinosauri nostalgici del passato al quale guardano con il telescopio, mentre utilizzano il microscopio per analizzare e poi stigmatizzare da moralisti arretrati tutto ciò che dei tempi correnti non garba loro. Non sono, però, tanto ingenuo da ritenere che la dirittura morale sia stata lo splendido, esclusivo appannaggio delle passate generazioni e che tutto oggi sia manifestazione di luridume interiore. So benissimo pure che oggi vengono alla luce con più facilità certe miserie che prima restavano nascoste, non solo quelle private, personali,  ma anche le pubbliche, istituzionali. E non basta sciacquarsi la bocca con la parola reasparenza, se essa serve solo ad alimentare, con ammiccamento degli stessi mass media, tv in primis, da una parte curiosità di tipo voyeuristico, dall’altra la stessa lotta politica che è al servizio della democrazia solo se obbedisce ai canoni dell’onestà, quella intellettuale compresa, del rispetto reciproco e della verità. Non bisogna fare di ogni erba un fascio (tante sono, per esempio, le associazioni di volontariato al di sopra di ogni sospetto, alle quali dovrebbe andare la nostra gratitudine e che avremmo il dovere di sostenere e difendere, se è necessario anche con rabbioso trasporto d’amore)  ma nemmeno concludere sconsolatamente: tanto è stato sempre così. Faccio presente che la corruzione e la furbizia sono come le malattie infettive, per le quali la profilassi è fondamentale e nei casi più gravi prevede la necessità di evitare qualsiasi contatto diretto, senza adeguata protezione, anche per medici ed infermieri, col soggetto infetto. A mio avviso questa metaforica epidemia, che in passato colpiva soggetti isolati o gruppi sparuti, nel nostro paese è diventata endemia, come attestano le cronache giornaliere, anche se ognuno di noi è innocente fino a condanna definitiva … E poi anche quest’ultima si scontra con l’incertezza che benevola e benefica aleggia sulla durata effettiva della pena inflitta. E così anche laddove va buca con la presunzione d’innocenza, si mette vergognosamente in campo la favoletta del carcere che deve rieducare e redimere. Solo che qualcuno dovrebbe spiegarci come ciò può avvenire con il sovraffollamento che già di per sé rappresenta una violazione della dignità personale. Da qui, per risolvere genialmente il problema, leggi sempre più a tutela di chi delinque e periodici decreti per sfoltire la popolazione carceraria. Io ormai sono troppo vecchio per cambiar rotta ma, se avessi qualche decennio di meno. non so se sarei in grado di non adeguarmi (non mi mancherebbe, credo, l’intelligenza per farlo senza eccessivi rischi …) all’umiliazione continua del merito, della competenza  e dell’onestà, da cui la cultura, quella autentica,  non può mai prescindere, pur negli inevitabili cambiamenti che il trascorrere del tempo, forse fortunatamente, comporta.
Per provare tutto questo, dopo aver lapidariamente ricordato l’inquietante quadro che sta emergendo a margine dell’inverecondo traffico prima e collocamento poi di migliaia di poveri cristi, senza per questo trascurare l’ospizio-lager che ogni tanto assurge al disonore della cronaca, farò un salto cronologico fino a giungere al 1710, cioé all’anno di istituzione a Nardò, da parte del suo vescovo Antonio Sanfelice, del Conservatorio di Santa Maria della Purità.
JESU CHRISTO SACRATUM VIRGINUM SPONSO/IN HONOREM VIRGINIS PURISSIMAE/ANTONIUS SANFELICIUS EPISCOPUS/A FUNDAMENTIS EREXIT/ANNO MDCCXXII2
(Consacrato a Gesù Cristo sposo delle vergini. In onore della purissima Vergine il vescovo Antonio Sanfelice lo eresse dalle fondamenta nell’anno 1722)
Il tempo coinvolge, con quello degli uomini, anche il destino di ciò (dicono …) che lo distingue dagli altri animali: la parola. E così oggi per conservatorio i vocabolari registrano i significati di (cito dal De Mauro) : 1) istituto di istruzione musicale suddiviso in vari insegnamenti (tecniche vocali e strumentali, composizione, direzione d’orchestra e sim.) di durata variabile dai 5 ai 10 anni, un tempo funzionante come collegio 2) collegio femminile tenuto da religiose; educandato 3) ricovero per poveri, anziani, donne o bambini.
Gli ultimi due significati sono registrati come obsoleti e proprio il terzo era quello che agli inizi del XVII secolo aveva il nostro.
Sulla storia della fondazione sua e dell’annessa chiesa rinvio al post di Marcello Gaballo (http://www.fondazioneterradotranto.it/2012/09/03/il-conservatorio-della-purita-a-nardo-e-il-vescovo-antonio-sanfelice/), del quale questo mio scritto vuol essere una modestissima integrazione. Essa non ci sarebbe stata se, come spesso capita, nel corso di un’altra ricerca, non mi fossi imbattuto proprio in qiella sorta di regolamento per il buon funzionamento del conservatorio, redatto dal vescovo in persona, recante il titolo Viva Giesù  Istruzzioni, e regole per le vergini del Conservatorio di Santa Maria della Purità eretto in Nardò l’anno MDCCX approvate nel sinodo diocesano del MDCCXX, stampato per i tipi di Domenico Viverito a Lecce nel 1720. Chiunque lo desideri può leggerlo integralmente all’indirizzo http://www.internetculturale.it/jmms/iccuviewer/iccu.jsp?teca=&id=oai%3Awww.internetculturale.sbn.it%2FTeca%3A20%3ANT0000%3ALEKE000268
Nel frontespizio potrebbe suscitare meraviglia prima Giesù e poi istruzzioni; e qualche insegnante allergico (probabilmente per sembrare all’avanguardia o per ignoranza …) al rispetto delle regole grammaticali  (in questo caso in particolare dell’ortografia) potrebbe essere tentato di sfruttare l’occasione per predicare la tolleranza di certe infrazioni o, peggio ancora, l’insegnante non abituato a chiedersi il perché di certi errori (reali o presunti) per dare dell’ignorante al Sanfelice o, addirittura, per mettere sarcasticamente in dubbio l’efficienza educativa (a partire dall’istruzione in senso stretto) del suo istituto. Per quanto riguarda Giesù mi limito a riportare solo due frontespizi (avrei potuto esibirne migliaia) più o meno coevi (ma Giesù è forma attestata fin dal XV secolo), in cui ho evidenziato con una sottolineatura la voce incriminata1.
Pure per istruzzioni potrei esibire migliaia di documenti, ma credo che basti il frontespizio che segue e dire che, come per Giesù siamo di fronte a quella che potrebbe essere definita, in bocca  all’insegnante di cui sopra,  non un’incriminazione ma una calunnia grammaticale2.
Subito dopo il titolo si legge una citazione tratta dalla lettera di S. Girolamo ad Eustochio, avente come tema la custodia delle vergini: Haec omnia, quae digessimus. dura videbuntur ei, qui non amat Christum (Tutto ciò che ho trattato sembrerà crudele a chi non ama Cristo). Un inno alla disciplina e al sacrificio da intonare alla luce della  della religiosità, concetti che oggi godono di scarso credito o, comunque, di insufficiente applicazione concreta,  nel mondo religioso (in quello istituzionale ed in quello dei credenti) come in quello laico (atei, cosiddetti, compresi); il quale difetto, sia chiaro, non è solo della religione cattolica. Così mi piace riprodurre dal vivo, delle norme dettate per la vita comunitaria, quelle legate a gesti quotidiani di significato non religioso in senso stretto, ma che dalla sana religiosità traggono ispirazione: Le pp. 204-211 riguardano la figura dell’infermiera.
    La p. 16 è occupata da un’incisione raffigurante la Madonna della Purità. Sarebbe interessante tentare di individuare il modello probabilmente seguito, anche perché mi pare una nota originale, rispetto a rappresentazioni più o meno coeve, lo sfondo costituito da un paesaggio che più terreno non poteva essere.
Lascio ad altri più competenti di me che abbiano tempo e voglia di rispondere a questa domanda ma non posso fare a meno di chiudere con una considerazioni che qualcuno riterrà materialistica. Non potevo,, cioè, non sottolineare la rarità dell’opera, della quale l’Opac registra l’esistenza di un solo esemplare custodito nella biblioteca comunale “Achille Vergari” di Nardò, che è, poi, quello digitalizzato, come mostra l’etichetta sul dorso. La destinazione locale quasi sicuramente limitò il numero di copie stampate ma è indubbio che quest’unico esemplare sopravvissuto che si conosca di quello che sarebbe improprio chiamare opuscolo (conta di 252 pagine) è particolarmente prezioso sotto un duplice profilo, quello storico e storiografico propriamente detto e quello bibliografico-antiquario.4
____________
1 A torto, perché Iesu(m) ha dato nell’immediato Giesù come iam ha dato già, Iove(m) ha dato Giove e iustu(m) ha dato giusto. Poi in –ie– la i è scomparsa, cosa che non è potuta avvenire in ia-, io– e iu-, dove la caduta avrebbe determinato una grave alterazione del suono.
2 La z in italiano è esito per lo più di un originario gruppo latino –ti– seguito da vocale: otiu(m)>ozio. Laddove tale gruppo era preceduto dalla consonante c l’esito all’origine fu –zz-: factione(m)>fazzione; instructionem>istruzzione. E non mancano esempi, per analogia, pure di ozzio.
3 Nella trascrizione che si legge in Emilio Mazzarella, Nardò Sacra, a cura di Marcello Gaballo, Mario Congedo editore, Galatina, 1999, p. 183 risulta omesso SACRATUM ed aggiunto DOMINI.
4) Nell’inventario dei beni del vescovo Salvatore Lettieri redatto dopo la sua morte avvenuta il 6 ottobre 1839 dal notaio Policarpo Castrignanò di Nardò (66/41) in data 30 novembre 1839 a carta 1261v. tra i libri è citato genericamente e senza precisi riferimenti bibliografici (non è l’unico caso) un testo dal titolo Regole per il conservatorio di Nardò, con annessa valutazione di grana dieci. Potrebbe essere una seconda copia del nostro, ma, se tale è, è impossibile dire che fine abbia fatto.
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tmnotizie · 8 years
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GROTTAMMARE – Grottammare celebra domani sera il cittadino dell’anno:  l’ex Procuratore generale della Repubblica di Milano Edmondo Bruti Liberati ritirerà il Premio nel corso della serata “Una rotonda sul mare” che tradizionalmente apre l’anno nuovo del Teatro delle Energie. L’iniziativa,  organizzata dall’associazione Lido degli Aranci e da Confcommercio di Ascoli Piceno, prevede intrattenimento comico e musicale: ospiti della serata saranno il cabarettista Gianfranco Phino, che affiancherà la conduttrice Fabiola Silvestri, e l’ intramontabile band I Camaleonti (ingresso 10 €).
La consegna del Premio “Il Grottammarese dell’anno” – un’opera pittorica dell’artista locale Luciana Leoni – sarà accompagnata dalla lettura della seguente motivazione, per voce del sindaco Enrico Piergallini: “Per il formidabile percorso di vita e di carriera sempre all’impronta della sobrietà, della dirittura morale e della passione per la giustizia, mai disgiunte dall’impegno sociale e civile sentito come una responsabilità ineludibile.
Una carriera, quella di magistrato, lunga 45 anni, gli ultimi 5 alla guida della Procura della Repubblica di Milano, nel “cuore” della storia recente di questo paese, che di uomini come lui ha tanto bisogno. Per il prestigio che la sua attività ha conferito alla categoria dei magistrati, alla società italiana e alla nostra Città, luogo dell’infanzia e della formazione, che da sempre ogni anno lo accoglie nei rari momenti che i suoi impegni gli consentono”.
Nato a Ripatransone nel 1944, vive l’infanzia e gli anni della formazione primaria a Grottammare dove abita fino al trasferimento a Milano e dove torna regolarmente per trascorrere i momenti di svago e di riposo. Dagli anni di “Mani pulite” fino alle vicende dell’Expo, tutte le inchieste più delicate e importanti sono passate attraverso il suo ufficio. Sotto la direzione di Edmondo Bruti Liberati, la Procura della Repubblica di Milano si è guadagnata un indiscusso prestigio, riconosciuto ben oltre i confini nazionali.
Chiara è sempre stata anche la sua posizione rispetto alle tensioni con la politica. In una recente intervista Bruti sosteneva che non tocca ai magistrati affrontare i problemi della società o risolvere questioni di costume o di etica pubblica ma alla politica, spiegando inoltre che i magistrati si occupano di casi singoli che costituiscono reato, non danno ricette né affrontano i problemi anche se hanno il dovere di portare il loro contributo di riflessione e di esperienza sui problemi della giustizia.
Il Premio Grottammarese dell’anno è stato istituto dall’associazione culturale Lido degli Aranci e da Confcommercio di Ascoli Piceno. Dal 1999,  celebra quei cittadini che si sono distinti nel panorama nazionale ed internazionale, portando con sé il nome di Grottammare. Ai promotori, la commissione che attribuisce il titolo è composta dal sindaco e dall’assessore alla Cultura e dal presidente della Corale Sisto V, oltre che dal Grottammarese dell’anno della precedente edizione.
Foto tratta da La Stampa.it
Annuario del Premio
  1999 Fabio Roscioli  ciclista professionista
2000 Andrea Concetti  cantante lirico
2001 Francesco Santori scultore
2002 Padre Gino Concetti teologo ed editorialista
2003 Amedeo Pignotti presidente del Grottammare Calcio
2004 Massimo Rossi politico
2005 Cristian Bucchi calciatore
2006 Angelo Maria Ricci illustratore
2007 Andrea Concetti cantante lirico
2008 Antonio Attorre giornalista e saggista
2009 Marco Pennesi sportivo
2010 Piero Ferrari imprenditore
2011 Vittorio Laureati medico
2012 Stefano Marcucci autore musicale
2013 Barbara Fazzini in memoria del padre Pericle
2014 Umberto Marconi fisico nucleare
2015 Luigi Merli imprenditore e amministratore pubblico
2016 Edmondo Bruti Liberati magistrato
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