Esercizio: scrivi di ciò che conosci e insegnalo
Tutto tranquillo.
Aveva raggiunto il supermercato vicino casa. Le piaceva stare lì, conosceva dove trovare i suoi prodotti e tutte le commesse e gli addetti, un saluto per ognuno e nessuna difficoltà. Era piuttosto fiera di sé: quella mattina era uscita di casa senza i soliti drammi interiori, aveva guidato quei pochi chilometri senza ansia ed era entrata nel negozio sentendosi assolutamente normale. Canticchiava persino. Aveva anche preso il carrello: di solito preferiva riempire la sua sportina personale piuttosto che toccare una cosa condivisa da così tante persone, ma ormai la pandemia aveva lasciato il segno e un favoloso kit per disinfettare era a disposizione all’entrata. Si servì di abbondante spray e gel per fare un lavoro almeno accettabile, e poi comunque infilò i guanti, soddisfatta. Sì, brava.
Proseguì nelle corsie per fare la solita spesa: acquistava sempre le stesse cose, la rassicurava seguire un certo ordine nei suoi metodici menù settimanali, pesce un paio di pasti alla settimana, carne per quattro volte, uova per due, verdure e frutta tutti i giorni… tutto bilanciato e regolato, il benessere da sempre legato al controllo dei dettagli.
Alcune cose sfuggivano, ma ormai aveva abbastanza esperienza di sé: sapeva che poteva gestire gli imprevisti peggiori senza perdere la testa, e aveva capito, dopo tantissime prove, che quando davvero era sotto pressione sapeva essere coraggiosa, forte e determinata.
Eppure talvolta c’erano degli intoppi, e quando meno se l’aspettava, per piccoli inutili eventi, perdeva tutto. Anche l’aria. Succedeva sempre meno, eppure la paura che accadesse di nuovo generava un circolo vizioso da cui faticava a liberarsi. Ma ci stava riuscendo, vero?
Era distratta da questi pensieri nella corsia dei prodotti per l’igiene personale: lo shampoo, preso. Il dentifricio, fatto. Gli assorbenti… Prendeva sempre l’articolo dietro agli altri, in fondo allo scaffale, convinta che fosse stato toccato da meno persone: lo trovava rassicurante. Ne tirò fuori una confezione, ma si accorse che era stata aperta. Ne mancavano un po’ e per nascondere quel piccolo furto “di necessità” qualcuno l’aveva riempita di fazzoletti di carta. Provò un disgusto profondissimo. Respirò forte per bloccare un conato. Accidenti. “Coraggio” si disse “non devi comprare quella confezione, trovane una integra… Dai, è tutto ok.” Ma non era affatto ok.
Non se lo aspettava, non era preparata e adesso, sentiva che ne sarebbe morta.
Non c’era più aria nei suoi polmoni. Cercava di introdurre aria ma non ce n’era abbastanza intorno a lei, naso e bocca inspiravano ma niente, proprio non respirava più, come se fosse sott’acqua, come se intorno a lei una porzione di vuoto cosmico le impedisse di avere ossigeno, e vita, per superare questo stupidissimo contrattempo.
Era cosciente che non le mancava davvero l’aria, doveva solo calmarsi per poterne godere di nuovo. Questa consapevolezza l’aiutava sempre, le ricordava che era preparata, aveva imparato ad aggrapparsi alla realtà per uscirne, aveva tanti trucchetti che funzionavano, doveva solo intervenire e bloccare il panico.
Teneva gli occhi chiusi, si era accosciata accanto al suo carrello e si stringeva attorno le braccia per raccogliersi il più possibile. Cercò freneticamente cinque suoni reali per tornare alla realtà e li elencò: la radio del supermercato, lo scorrere delle rotelle di plastica di un carrello, una suoneria di cellulare, un “arrivederci e grazie” dalle casse, dei tacchi lontano che picchiavano sul pavimento. Bene, almeno non boccheggiava più. Si alzò in piedi, ma di spostarsi non se ne parlava: aveva paura di muoversi troppo, ma almeno aprì gli occhi e tenne lo sguardo fisso in basso. Adesso doveva sforzarsi di elencare quattro cose che vedeva: una piccola crepa nella piastrella, una scatola pronta da svuotare lì accanto, bottiglie di bagnoschiuma di un azzurro luminoso al suo interno e quel maledetto pacchetto di assorbenti aperto caduto in terra. Sì, adesso la paura era passata, stava facendo finalmente un bel respiro, ma per sicurezza elencò tre cose da toccare: il metallo del carrello a cui si stava appoggiando, la pelle della sua borsetta, la sciarpa morbida intorno al collo. Sì, passato. E senza nemmeno arrivare a odorato e gusto. Una piccola vittoria. Anche perché nessuno se n’era accorto.
La corsia era ancora libera, e lei si stava tranquillizzando: respirò e respirò ancora come se fosse appena emersa dal mare… che bello respirare!
Finalmente pronta si forzò a proseguire verso la cassa poco più in là. Gli assorbenti li avrebbe comprati un’altra volta. O da un’altra parte.
Sospirò.
Si posizionò in coda e mentre aspettava il suo turno caricando la spesa sul nastro ebbe un moto di stizza. Gli attacchi di panico non dovevano interferire così, non era giusto! Lasciò la commessa a prepararle il conto e corse nella corsia del misfatto: afferrò al volo la prima (la prima!) confezione sullo scaffale e si affrettò a tornare per pagare. Esultante.
Tutto tranquillo. Tutto normale.
Sì. Proprio brava!
"Arte mi devi guidare, fa' uno sforzo
Di' alla natura di vegliare il mio percorso
Dalla borsa tiro fuori un grande corno
Per soffiare via il mio panico dal corpo
Col coraggio in tasca la mia vita passa
Camminando e basta, lascio la mia traccia
Capirà soltanto chi vedrà dall'alto
Tipo ragno a Nazca
Camina, guerrero, camina
Por el sendero del dolor
Y la alegría"
G.
25/01/2023 12:03
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Trekking a El Mirador. Parte 8: Wakná
El quinto día de caminata en el trekking de El Mirador de 6 días es sin duda el más difícil de todos. Ese día se caminan 16 km hasta Wakná, un sitio poco visitado y cuyo recorrido es muy breve; en total son más de 36 km hasta el campamento de La Florida, el último de los puntos de descanso y pernocta.
Esta vez comenzamos casi una hora más temprano que el día anterior, desayunando cuando el sol empezaba a asomarse en el horizonte y saliendo alrededor de las 6:30 de la mañana.
El sendero que se toma, a diferencia de los de días anteriores, no pasa sobre ninguna calzada prehispánica, por lo que es mucho más irregular. El terreno que hay que cruzar es una auténtica sierrita de colinas, por lo que hay que hacer muchos giros, subir y bajar incontables veces. La caminata termina de complicarse por el paso en los ya conocidos "pantanos", algunos de ellos aún húmedos y otros con lodo endurecido y estropeado por las huellas de las mulas. Incluso las bestias de carga tienen dificultades para mantener el equilibrio en algunos parajes.
Desde un principio Jorge comenzó a apretar el paso, iba a un ritmo muy fuerte y se adelantaba al grupo; por un lado me ponía nervioso que se fuera a perder en uno de los tantos lugares donde un árbol bloqueaba el paso y había que rodear en secciones despejadas a filo de machete, por el otro me contagiaba las ganas de llegar más pronto a nuestra meta. Además de nosotros dos, Leonardo también iba al frente, algo sorprendente porque había dicho desde un inicio que no entrenó para el recorrido, pero demostró que era el más joven de todos. Por ratos también iban con nosotros Thomas, Nath, Valeria y Erik, quien a sus 75 años se veía mucho más entero que los demás, para mí él era el más impresionante de todos los participantes del trekking.
Muchas veces nos detuvimos para esperar al grupo y no separarnos definitivamente de ellos. Entre el resto de nuestros compañeros, Rosa, Mónica, Marcia y los Williams parecían mantener de buena forma un ritmo más bajo que el nuestro, pero sin agotarse demasiado. Juan ya había utilizado la mula que había pedido para él, Ernesto estaba fundido, Carlos tenía dolor en la rodilla que ya le molestaba el día anterior y comenzó a utilizar un palo como bastón, y Adriana y Eduardo estaban destrozados, ya sea por el cansancio y las ampollas, o por las uñas rotas del día anterior, aunque ambos se negaban a subir a la mula. En realidad no había ninguna prisa, ya que teníamos suficiente tiempo para visitar Wakná y podíamos dejar para el siguiente día el corto recorrido en La Florida, pero nadie quería caminar de noche. Nuestro guía Antonio estaba también fundido, y no parecía tener muchas ganas de que la caminata se alargara, mientras que Ronald y Fabián se veían mucho más relajados.
Uno de los accidentes más aparatosos ocurrió en este trayecto, ya que Jorge, al ser muy alto, estaba mirando hacia el suelo y no vio una rama a la altura de su cabeza, golpeándose fuertemente. Comenzó a sangrar aparatosamente; tanto Nath como Valeria se acercaron para ayudarle y comprobaron que la herida no era tan grave, se trataba de un rasguño y una cortada no muy grande. Por fortuna Valeria cargaba con un auténtico botiquín y sacó una venda y gasas, limpió la herida y la cubrió, por lo que Jorge pudo continuar sin problemas.
Después de varias horas, casi a las 11 de la mañana llegamos hasta una desviación señalizada hacia Wakná. Ahí Jorge y yo nos adelantamos mientras los demás esperaban al grupo. Caminamos por algunos minutos en una zigzagueante brecha y arribamos directamente hasta un gran montículo que, para variar, presentaba unas enormes trincheras de saqueo.
Nos separamos para buscar, pudimos ver que se trataba de una estructura triádica, a pesar de que Wakná es un sitio Clásico, posterior a los demás que habíamos visitado en días anteriores. Jorge fue el primero en percatarse de que ahí se encontraba el principal interés del sitio: una tumba que fue encontrada por los saqueadores y que aún tenía estuco prístino en sus paredes, algunas de ellas aún con pinturas murales en forma de volutas y círculos rojos y amarillos. En uno de los costados de la misma estructura encontramos otro hueco que daba paso a una subestructura que parecía ser una continuación de la tumba y que tenía el mismo tipo de estuco y pinturas. En este lugar nos alcanzaron poco a poco todos los demás y terminó formándose una fila para accesar a las tumbas. Fuera de estos elementos, es muy difícil visitar el resto del sitio por la falta de senderos abiertos, además de que solamente se observan montículos.
La base del edificio me pareció un buen lugar para acostarme mientras esperaba que salieran todos los demás, así que estuve un rato relajándome, algo que fue muy útil para el resto del día, que fue el más exigente física y mentalmente, aunque nuevamente sentí que mi entrenamiento de un año había sido totalmente adecuado.
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You are in love | Esteban Kukuriczka.
sumario: noches de pizza con tu amigo… claro, amigo.
advertencias: sexo explícito (+18) , penetración, sexo sin protección, consumo de alcohol.
créditos: las fotos del collage fueron extraídas de pinterest, más las edite yo. la canción cuya letra utilice es You Are In love (Taylor’s Version) de Taylor Swift.
notas: honestamente, no estoy muy contenta con el resultado final pero espero que puedan disfrutarlo de todas maneras xx.
No hay pruebas, no fue demasiado, pero yo vi suficiente.
Paciente, fuera de su recibidor, me encuentro parada, esperándolo con una botella de vino bajo la axila. Aliso los pliegues de mi falda varias veces con las manos, un hábito al que recurro para evitar sucumbir a la ansiedad que me atormenta. Con la cámara de mi celular, observo mi reflejo, comprobando que mi maquillaje permanezca en su lugar, que mi cabello siga viéndose inmaculado.
No recuerdo un tiempo en el que Kuku haya sido simplemente un amigo, siempre fue más; mi confidente, el protagonista de mis fantasías, quien roba mis suspiros y miradas, de quien terminé enamorándome.
Las pisadas sobre las baldosas delatan su presencia apropincuándose, luego el traqueteo de las llaves en la cerradura, las bisagras girando en su eje para revelarlo frente a mí.
La alegría tiñe su rostro al verme, redondeando sus angulosos pómulos y centrando mi atención en la mueca en sus labios. Condenadamente cerca de mí y a la vez tan inalcanzables.
Su voz dándome la bienvenida me sacude de mi subrepticia quimera, trayéndome de un zarpazo de vuelta a la realidad. Me estrecha contra su torso, con las muñecas serpenteándose por mi cintura para atraerme más cerca.
“Traje vino, Kuku”- pronuncio, a modo de saludo, mientras lo abrazo estrechamente.
“¡Gracias, ángel! Entrá que está por llegar la comida”- informa, de manera tan casual y ligera que siento mi corazón escurrirse hasta tocar el suelo.
“Ángel” me dijo, jodiéndome para siempre. ¿Cómo seré alguna vez capaz de recuperarme de tal agravio a mi integridad? Decido asentir y adentrarme a su hogar.
Me recibe una sala de estar cálidamente iluminada, las paredes blancas cubiertas de cuadros y fotos, un aterciopelado sofá rojo situado en medio de la habitación.
Me acerco a una repisa de madera, donde reposa un retrato recientemente seleccionado… todo el elenco de La Sociedad De La Nieve posando bajo el lente de su cámara, sonrisas reflejadas en nuestros rostros enmarcados.
“Esa la tomé el último día de rodaje”- me recuerda, apareciendo por detrás mío, con una mano en mi espalda baja.
No hay pruebas, un toque singular, pero yo sentí suficiente.
Mis vellos corporales se erizan ante el contacto, un escalofrío recorriéndome cargado de anticipación por lo que jamás sucederá. Asiento torpemente, deseosa de fundirme en el calor de su silueta.
Pienso en esos mismos dedos, acorralando mi piel a su paso, incendiando su sendero. Acariciando mis mejillas con ternura, colándose por mis labios, desvistiéndome con precisión.
El timbre retumbando en la sala me despierta, desarraigándome de mis maquinaciones pecaminosas. El hombre a mi lado da largas zancadas, con un caminar tímido y garbado, hasta alcanzar la puerta de madera y ojear la mirilla. Luego de cerciorarse de la identidad del intruso, le permite ingresar para que deposite el delivery entre sus brazos, marchándose luego de recibir su pago.
Sobre la mesa del comedor se halla mi bolso, el cual rebusco hasta toparme con la billetera y separar varios billetes para pagar una porción del importe de la cena.
“Dividamos los costos de la comida entre los dos, ¿te parece?”- debato, tendiéndole el dinero para así compensar la mitad de su perdida.
“Pero no, nena, ¡guarda eso! Te invito yo”- rechaza tajante al ignorar mi ofrenda, con juguetona indignación en sus facciones.
Más allá de mi recurrente insistencia, rechaza contundentemente todos mis intentos de devolverle la plata, escudándose en excusas absurdas. Una cálida sensación se apodera de mí ante su caballeroso gesto, traduciéndose en atontados vistazos en su dirección, mientras sigo cada uno de sus movimientos al sacar el par de copas de una alacena.
“Pedí pizza de ese bar que te gusta”- comienza a explicar, aun movilizándose para descorchar el vino- “la de pepperoni sigue siendo tu favorita, ¿verdad?”
Un solo paso, no fue demasiado, pero dijo suficiente.
Silencio. Silencio desgarrador y sepulcral a mi alrededor, petrificando el aire a su paso.
“¿Te acordaste?”- asevero con un hilo de voz, aunque suena más a una pregunta, reflejando mi propia inseguridad.
Mis extremidades tramitan un cosquilleo colectivo, despertándome de la anestesia que se había apoderado de mí.
“Si, obvio”- le resta importancia, sirviendo la bebida y entregándome mi copa.
Y yo entiendo lo tonto que debe sonar, pero, por un momento, me permito sentirme importante e incluso un tanto sustancial en su existencia. “Me escuchó” medito, atónita por la revelación, revolucionando todas mis ternuras dirigidas hacia él.
Mis ojos se obsesionan con su él, simplemente él y su aura dorada coronándolo como si de un halo se tratara. ¿Cómo logré tener tanta suerte?
“No me mires así, nena”- pide al devolver mi mirada, su entrecejo fruncido en concentración- “Vas a hacerme creer que los chicos tenían razón…”
Mi mueca se tiñe de confusión, no sabiendo con exactitud si se refiere a lo que yo supongo. Intento decodificar sus palabras, pero, tal vez por el prospecto de ver mi entusiasmo destrozado, me limito a repreguntar.
“¿De qué hablas, Kuku?”- atrapo mi labio inferior entre mis dientes para así detener los temblores que lo acosan.
“Ya sabes…”- se encoge de hombros, pero, al ver mi perplejidad se resigna a continuar- “Fran y Juani siempre nos cargaban con que… em, con que debíamos salir.”
Siento un hondazo envestirme de lleno y un deseo irremediable de que el mismo continúe hasta hacerme perder la conciencia.
“Ah, eso”- murmuro en voz baja, de repente completamente drenada de seguridad. Trato de difuminar mis conflictuadas preocupaciones con una risotada punzante, delatando la rigidez de mis hombros estáticos y la incomodidad en mi gesto.
¡Qué estúpida! ¿Cómo me permití alguna vez pensar que el podría sentir lo mismo que yo? Deseo tirarme al suelo y revolcarme en el bochorno que me arrima, lo suficiente para olvidarlo a él con sus grandes ojos fijos y perder la cordura a manos de la vergüenza.
“Era un chiste nada más, no deseaba hacerte sentir mal”- aclara cálidamente, rodeando la mesa hasta rozar nuestros hombros.
Es absurda la cantidad irremediables de terminaciones nerviosas que logra incendiar con solo oprimir su marco con el mío. ¡Debo frenar esta locura antes de que se me vaya de las manos!
“Claro…”- suspiro, forzando una sonrisa al tomar asiento en la silla que abuso bajo mis pálidos nudillos.
Tomando la copa entre mis palmas, la balanceo hasta verter el liquido más allá de mis labios, rezando para que el espirituoso proveniente de uva disipe su comentario furtivo.
El mayor, aún parado a mi lado, hinca sus rodillas para arrodillarse y así quedar a la altura de mis ojos.
“Ángel, lo siento si te ofendí. No era mi intención”- se disculpa, escurriendo sus dígitos entre mi cabello para plegarme un mechón tras mi oreja.
“Ya sé, Kuku… y lo prometo, ¡estoy bien!”- miento descaradamente en su cara, con las comisuras adheridas a mis tensas mejillas.
Por unos prolongados segundos- que se sienten como una eternidad- nos miramos firmemente, tratando de descifrar los pensamientos cabalgando en la cabeza opuesta. Con un afectado suspiro, se levanta del suelo para luego posicionarse en la silla contigua a la mía.
Una vez asentado en su sitio, levanta el rostro para enfrentarme y toma mis temblorosas manos entre las suyas. Inmediatamente noto su calor corporal, las asperezas desperdigadas por sus palmas, sus anillos colisionando con los míos.
“Ahora entiendo cómo mi comentario pudo haber sonado y te pido perdón por ello”- alega mientras me observa, pausando en cada pequeño lunar e imperfección.
Inhibida y un tanto cohibida ante su escrutinio, desvío mis ojos hacia un costado y muerdo mi labio inferior, aprisionándolo entre mis paletas.
“No quería hacerte mal…”- confiesa, con sus orbes ahora clavados en mis labios mordisqueándose- “Sos mi mejor amiga.”
una mueca extraña en su rostro. Pausa, luego dice “sos mi mejor amiga.” Y yo supe a que se refería, está enamorado.
Una fuerza gravitacional me empuja aún más cerca suyo; envalentonada gracias a su fijación por mi boca, empiezo a disparar la ajena sin dudarlo. Deslizo una mano por su cachete, acariciando la incipiente barba creciendo allí mientras le robo un breve pico.
Al separarme, escaneo al hombre que acabo de besar, desesperada por hallar una reacción. La confusión tiñe su cara, tiene la mandíbula presionada con fuerza y un furioso sonrojo trepando hasta su nariz. Sin perder un solo minuto más. Vuelve a unir nuestras figuras en un beso, uno real esta vez.
Sus labios en contacto con los míos consienten un hambre que venía cultivando hace meses, acelerando mi deseo de conseguir más. Mi corazón late con una velocidad alarmante, saltando implacablemente contra mi caja torácica, y agravando los temblores en todo mi cuerpo.
Una danza desenfrenada se desenlaza, dando rápido paso a una intrépida batalla por apropiarse de la ventaja que implica dominarnos mutuamente. Una de sus manos se enreda en mi melena, tirándola hacia atrás mientras su lengua se apresura en inmiscuirse en mi cavidad bucal, cepillando la propia y paseándose por toda su extensión.
El aire comienza a escasear y el ardor en nuestros pulmones nos fuerzan a dividirnos, aprovecho el breve impase para deslizar mis extremidades por sus piernas y así, sentarme a horcajadas sobre su regazo.
“¿Sabes hace cuánto deseo hacer esto?”- cuestiona, entrelazando sus dígitos por mis curvas y asentándome sobre la junción de su torso y piernas.
Bajo mío, noto un bulto que comienza a alzarse, punzando mi centro deliciosamente. Sin siquiera razonarlo, muelo mis caderas contra él, percibiendo un curso de placer recorrerme entera ante la fricción contra sus pantalones.
En un arrojo de valentía, me deshago de la blusa que flamea en mis costados, arrojándola lejos nuestro. Como si de un arreglo tácito se tratara, el argentino adjunta sus labios con mi pecho y comienza a succionar mi piel con fiereza, yo me limito a atraerlo contra mí mediante su cabellera.
“Tantas veces fantasee con esto…”- admito, sin poder evitarlo, mientras él libera mi busto del corpiño.
Levito hacia su remera, forcejeando con ella hasta deshacerla hacia las baldosas y revelar su tórax al descubierto. Recubierto de pecas difuminándose en su blancura, dudo alguna vez haber visto una imagen más hermosa.
Sosteniéndose de mis muslos, se irgue y tropieza hasta toparse con el sillón, descargándome sobre el terciopelo con una impredecible agilidad. Allí, acostada en medio de su sala de estar, centro mi atención a sus dedos desenlazando mi falda con ternura, para luego despojarme por completo de mis confinamientos.
Imitando sus movimientos, aviento mis brazos hacia su entrepierna para desabrocharlo y librarlo de sus prendas. Aceleradamente, lo desvisto hasta que nuestras desnudeces son lo único que prevalece.
“Sos hermosa”- me halaga, recorriendo cada centímetro de mi piel con delicadeza, intentando memorizarlo para siempre.
Respondo con mi agarre volando hasta su palpitante erección y acariciándola juguetonamente, con constancia hasta donde me lo permite.
“Necesito sentirte adentro mío, Kuku…”- pido, sin sentir un ápice de vergüenza ante mi explicitación.
Un gruñido escapa su garganta ante mi directiva, deshaciéndose de mi toque para posicionar su polla entre los pliegues de mi coño y comenzar a adentrarse. Sollozos son lanzados en su dirección, animándolo a ir más allá, a continuar.
“Dios, estás tan apretada”- pronuncia cuando la cabeza de su pene logra tocar mi fondo, disfrutando los espasmos que mi canal le proporcionan.
En un frenesí ocasionado por la sensibilidad que su miembro me genera, embisto mis caderas para acercar nuestros centros aún más y luego retirarme, provocando un extasiante vaivén. Los gemidos retumban en el silencio del salón, con la danza que nuestros sexos lideran al fusionarse.
“Estoy enamorado de vos, ángel, desde la primera vez que te vi”- dice al observarme con atención, aun penetrándome hacia la culminación.
Sorprendida por lo inaudito de la situación, una lagrima se cuela por mis ojos y rueda en su sendero por mi mejilla ante su confesión, una que aguardo hace meses.
Esteban la recoge, interrumpiendo su trayecto hacia mi cuello para besarme nuevamente, con renovada emoción.
Y ahora comprendes por qué perdieron la cabeza y pelearon sus batallas, y por qué yo he pasado toda mi vida tratando de ponerlo en palabras.
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