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reginarix · 8 months
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reginarix · 1 year
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Esercizio: Un incipit, due racconti: versione commedia romantica e versione thriller psicologico.
Eccolo.
Finalmente lo vide, sul marciapiede, nel via vai dei pendolari che si allontanavano di fretta dalla stazione. Di solito si riconosceva da lontano perché  indossava  un lungo impermeabile chiaro, ma in quella soleggiata mattina di primavera Gianni portava solo una giacca scura su una camicia viola. Lina lo stava aspettando da un po’ ormai.
Lo guardava camminare in mezzo alla folla, così distinto e riservato. Lo aveva notato già da qualche mese: una mattina in treno aveva trovato posto davanti a lui. Aveva apprezzato quest’uomo silenzioso, concentrato in qualche pensiero a cui aveva accesso solo lui. L’aveva incuriosita ed era iniziato tutto così. Non aveva potuto resistere: aveva sollevato in modo tattico il tablet su cui stava leggendo un e-book e gli aveva scattato una fotografia. La prima di una lunga serie, ma restava quella a cui era più affezionata. Lui stava guardando assorto fuori dal finestrino, gli occhi chiari sembravano più luminosi del normale in quella luce e la testa perfettamente rasata abbinata al suo completo elegante gli dava un’aria tutta particolare: come un selvaggio sotto controllo.
Lo aveva studiato per un po’, aveva imparato tanto su di lui. Aveva scoperto dove lavorava e con poche mosse aveva saputo il suo nome e la mansione. Le receptionist sono sempre facili da raggirare. Aveva anche il suo numero dell’ufficio, e naturalmente aveva provato a telefonare, ma rispondeva sempre la segretaria. Sapeva chi frequentava, quando era il suo compleanno e aveva un’idea abbastanza precisa di dove abitasse, anche se il complesso residenziale dove era stata costretta ad interrompere il pedinamento era composto da diversi condomini e non sapeva esattamente quale fosse il suo.
Lui non sopportava le chiacchiere inutili, piuttosto che perdere tempo in qualche conversazione vuota fingeva di ascoltare la musica con gli auricolari. Sì, fingeva, lei aveva controllato perché voleva sapere cosa stava ascoltando e se n'era accorta così! Alcune volte invece diceva apertamente che non aveva voglia di parlare e zittiva il suo vicino con una schiettezza ai limiti dell’insolenza. Le piaceva quando faceva così! Perché in fondo lei sapeva che sarebbe stata l’unica a fare breccia: erano così simili che lui non avrebbe mai potuto zittirla, anzi, avrebbe gioito di ogni contatto. Questo quando finalmente sarebbe stata pronta. E c’eravano quasi.
Non riusciva a smettere di fantasticare, ormai nella mente chiacchierava con lui di continuo. Sapeva che cosa avrebbe risposto, lo aveva guardato così a lungo che ormai conosceva ogni dettaglio delle sue reazioni, delle sue espressioni… ed era così felice quando riusciva a fotografarle!
Un giorno però era cambiato qualcosa. Era guardingo e cercava di non incrociarla. Forse si era accorto delle fotografie? Beh, ne avrebbero riso insieme quando gli avrebbe mostrato da quanto era innamorata… Però adesso lei lo trovava così frustrante! Ma lo perdonava, in fondo non era colpa sua se ancora non sapeva che era la sua anima gemella. Bisognava uscire allo scoperto. Giusto un po’. Lina creò l’occasione per avvicinarsi. Un classico: una storta mentre saliva sul treno. Con tanto di caduta su di lui. Che tenerezza. Era il loro primo abbraccio e lui non lo sapeva ancora! Fu tutto un “mi scusi” e “si figuri” e “grazie” e “come sta”… Un sogno! Il giorno dopo però, lei commise un grande errore: presa dall’entusiasmo di avergli parlato, di averlo toccato!, lei lo salutò forse con troppa foga, lui si sciolse molto bruscamente dall’abbraccio e l’allontanò come avrebbe fatto con chiunque altro.
- Stiamo scherzando? Non ti permettere più!
E se n'era andato in un’altra carrozza. Lasciandola piena di rammarico: aveva corso troppo, aveva rovinato tutta la sua strategia e adesso doveva conquistarlo in un altro modo.
Lina lo vide camminare lentamente verso il suo ufficio: quel giorno non era in forma. Ma era tutto sotto controllo, faceva parte del piano che si era innescato la mattina prima. Ma a cui Lina stava lavorando da un pezzo!
Dopo averlo tanto seguito, fotografato e studiato, Lina era pronta per portare tutto ad un altro livello. Era riuscita ad ottenere qualche suo ricordino, certo, ma non le bastava più. Ricordava ancora l’emozione di quando la prima volta aveva preso la sua penna. Era una semplice Parker ricaricabile in acciaio, ma sapere che lui l’aveva tenuta per le mani chissà quante volte la mandava fuori di testa! Un’altra volta era riuscita ad ottenere un bottino molto più ricco: prendergli la sciarpa! In treno lui se la toglieva sempre e lei era riuscita a prenderla senza farsi notare. Il suo odore, il suo calore! Questo aveva innescato una necessità nuova in lei, voleva di più. Sempre di più. Voleva tutto!
Lina aveva acquistato una borraccia identica a quella di lui. Che amore di uomo, si preoccupava anche dell’ecologia! Solo il giorno prima era riuscita a scambiare le borracce: aveva organizzato tutto. Lui non solo non sarebbe stato scostante con lei, ma l’avrebbe apprezzata e non avrebbe più potuto farne a meno! Non lo stava avvelenando, certo che no, ma la sostanza tossica che gli stava facendo assumere avrebbe reso il primo incontro senza dubbio più semplice. Era un po’ stordito e questo bastava.
Lo stava raggiungendo in fretta, ormai mancava poco. Aveva lasciato la sua auto da quelle parti, era davvero il momento giusto.
Lina teneva una piccola siringa nella mano destra, pronta a colpire. Lo affiancò vicino ad una panchina e disse:
- Ehi, si sente bene?
Mentre glielo chiese lo trattenne per un braccio e fu velocissima: con l’altra mano usò la siringa sul suo collo. E lui si accasciò sulla panchina.
Si fermò un ragazzo molto agitato:
- Oh mio dio, ha bisogno di un’ambulanza?
- No, non credo, ho la macchina qui vicino, adesso lo riporto a casa nostra. Magari mi puoi aiutare a spostarlo?
E il resto fu piuttosto facile. Lo sistemò in auto, lo portò a casa. Chiamò l’ufficio e prese per lui qualche giorno libero. Dopo averlo sistemato nel loro letto (preferì legarlo, perché era un tipo combattivo e di sicuro al primo impatto non avrebbe capito subito che bella storia d’amore stavano vivendo…) si dedicò a controllare il suo smartphone e i suoi account social… Che bello! Aveva desiderato così tanto avere questa possibilità!
Ed infine, ecco: si stava svegliando. Probabilmente aveva mal di testa e nausea, forse aveva esagerato con le dosi… Ma tutto sarebbe andato per il meglio. Finalmente lui aprì gli occhi. Si accorse di essere legato al letto con delle fascette da elettricista. Poi si voltò e la vide. La fissava con un’espressione così buffa: tra confusione, panico e terrore.
- Ehi, amore mio. Buongiorno!
Non avere paura: mi prenderò io cura di te.
Per sempre.
" You're the piece of gold The flushes all my soul Extra time, on the ground You're my playground love
Anytime, anyway You're my playground love"
G.
SGN 22/05/2023 10:43
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reginarix · 1 year
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Esercizio: Stesso incipit, due racconti: versione commedia romantica e versione thriller psicologico.
Eccolo.
Finalmente lo vide, sul marciapiede, nel via vai dei pendolari che si allontanavano di fretta dalla stazione. Di solito si riconosceva da lontano perché  indossava  un lungo impermeabile chiaro, ma in quella soleggiata mattina di primavera Gianni portava solo una giacca scura su una camicia viola. Lina lo stava aspettando da un po’ ormai.
Pensò che anche questo non era affatto un buon segno, e temeva di conoscere il perché non avesse preso il solito treno per andare al lavoro. Ma almeno ci stava andando, e questo era comunque un sollievo.
Lei sapeva davvero tante cose di lui. Lo vedeva ormai da mesi quasi ogni giorno. Non è che lo seguisse, no, no, no. Soltanto… lo teneva d’occhio, ecco. E le sembrava che per lei la giornata iniziasse meglio se sapeva che in giro c’erano quegli occhi chiari e quella testa rasata a zero.
Lo vide dirigersi verso l’uscita, sempre con quell’aria distaccata e seria. Non sorrideva mai e non scambiava chiacchiere inutili con nessuno. A fatica ricambiava il saluto quando qualcuno lo riconosceva. Ma era molto educato! Lo aveva visto spesso cedere il posto alle signore o alle persone anziane. Una volta aveva tenuto aperto il portone anche a lei!
Che panico! Lei gli aveva sorriso in modo assurdo, non aveva potuto trattenersi! Lui l’aveva guardata negli occhi, Dio che occhiata le aveva dato! Era irritato? Annoiato? Gli stava facendo perdere tempo? Non aveva saputo interpretarlo… Poi lei era passata cercando di ricomporsi, ma non era stata in grado nemmeno di dirgli “grazie”. Aveva potuto solo rivolgergli un altro sorrisino imbarazzato. Lui le aveva risposto con un cenno con la testa, perplesso, e aveva proseguito verso il suo ufficio. Lina cercò di non pensare a che impressione pessima gli avesse fatto: aveva analizzato la scena sotto diversi aspetti, torturandosi pensando a com’era messa male in quel momento. Dal cappotto rovinato, allo chignon già in disordine di prima mattina, le occhiaie, il pallore… Che figura! E poi non avergli detto nemmeno una parola! Un vero disastro… Forse lui aveva pensato che fosse muta. O straniera. Muta e straniera. Ma non una stupida oca, dai, non voleva che lui la ritenesse stupida!
“Meglio non pensarci più…” si disse mentre camminava dietro di lui. Eddai, no,non lo stava seguendo! Solo che in quella direzione, guarda un po’, c’era un bar con le migliori brioche del quartiere e lei aveva l’abitudine di andarci ogni mattina. Sì, ecco.
E comunque dopo quell’episodio aveva notato che la riconosceva. Non la salutava, ma la riconosceva. Lina ne era stata certa. E ne aveva avuto conferma alla figuraccia seguente: quando una sera, in treno, i suoi stupidi capelli troppo lunghi si erano impigliati in un finestrino. Lui era andato lì accanto e l’aveva aiutata a liberarli. Lei imbarazzatissima, come al solito, era rimasta senza parole, con quel sorrisetto idiota da ragazzina delle medie, incantata nel vedere le sue dita liberarle i capelli… Le dita di lui tra i suoi capelli! Le sembrava di sognare dopo averci fantasticato così tanto! Era stato davvero gentile. Sembrava comunque freddo e distaccato, ma quella volta aveva un’espressione quasi divertita. Almeno era stata in grado di ringraziare! Lui aveva fatto una battuta su tutti i capelli che lui non aveva più perché li aveva persi così (oddio sì, era anche spiritoso!) e lei aveva trovato il coraggio di presentarsi. Così aveva finalmente saputo il suo nome.
Pensandoci Lina sospirò: da lì in poi presero a dirsi “Buongiorno” e “Buonasera” quando si incrociavano, ma nulla di più… Non avevano più scambiato nemmeno due parole. Porca miseria.
Lui stava proseguendo per la sua strada, certo, ma qualcosa non andava, era… come dire? Lento, distratto, svogliato… Solo qualche cambiamento nell’andatura, ma a lei non era sfuggita, lo conosceva troppo bene. Sì, insomma, ormai lo guardava da tempo! Era preoccupata.
Mentre continuava a fissare quelle belle spalle camminare qualche metro davanti a lei, pensava a quando riusciva a sedersi nei suoi paraggi in treno: nascosta dietro un libro adorava guardarlo starsene rilassato sul sedile, con gli occhi chiusi, gli auricolari nelle orecchie… Sembrava riuscisse a nascondersi nel suo mondo e non lasciasse entrare nessuno. Chissà che musica ascoltava! Ma non poteva attaccare bottone e chiederglielo! Era chiaro che non gli piacesse venire importunato dalla gente: più di una volta lo aveva visto zittire qualcuno con una sola occhiataccia. E gli bastavano poche affilate parole per terminare una conversazione che gli veniva imposta. Non voleva assolutamente trovarsi in quella situazione! Mai!
La sera prima lo aveva visto davvero abbattuto. Si sentiva male, ne era certa, in treno era rimasto in tensione per tutto il viaggio. Si era accorta che lui controllava il proprio respiro, fissava un punto indefinito fuori dal finestrino. Aveva bisogno di restare vigile e attento, come se tenere gli occhi chiusi gli peggiorasse la situazione.
E lei si era tormentata tutto il tempo: voleva aiutarlo, ma aveva il terrore di venire allontanata bruscamente, ci sarebbe rimasta troppo male. Lo lasciò in pace fino alla sua fermata, lei scendeva prima di lui. Quando gli passò accanto fece una gesto del tutto istintivo e irrazionale: gli posò una mano sulla spalla. Voleva essere un saluto? un conforto? Non lo sapeva, davvero. Ma lui la guardò e le rispose picchiettandola un paio di volte con le dita. Come dire “tutto ok”? “grazie”? Non sapeva nemmeno questo. Accidenti alle parole che non vengono dette!
Ma non l’aveva cacciata, anzi, le era sembrato un gesto molto amichevole.
Aveva pensato tutta la notte a lui e a cosa dovesse fare. Era stato terribile per lei non sapere cosa gli fosse successo, perché stesse così male, come poterlo aiutare… Però era chiara una cosa: si era comportata da vigliacca e non poteva perdonarselo. Quindi aveva preso una decisione. Continuò con i suoi discorsetti motivazionali nella mente mentre accelerava e si avvicinava a lui. Fino ad affiancarlo sul marciapiede.
- Ciao.
Glielo sparò lì, un po’ affannata e un po’ imbarazzata. Sapeva di essere arrossita ma cercò di tenere duro e continuare.
- Ciao?
Rispose lui, indugiando, suonò quasi come se fosse una domanda. Le sembrò la solita voce ferma, forse non stava male, e lei stava facendo tutto questo perché era una pazza visionaria… Comunque a questo punto non poteva più tirarsi indietro. E poi lui non stava scappando quindi forse poteva parlargli ancora…  “Lina! Se non ora, quando?!” si spronò da sola e disse:
- Ehm… come stai oggi?
- Bene, grazie. – Rispose lui, un po’ guardingo… Era adorabile con quell’aria confusa che scalfiva il suo solito sguardo gelido. Ma Lina aveva un discorsetto pronto e non poteva perdersi nei dettagli, seppur incantevoli, di quella rughetta tra le sopracciglia, di quella testa perfettamente  rasata che lei aveva tanta voglia di accarezzare o di quella smorfia che le stava facendo piegando le labbra all’insù… Oh mio Dio! Era un vero sorriso quello?
Ricambiò il sorriso, immaginava di essere ormai diventata paonazza. Ma non voleva soffermarsi troppo a pensare di essersi incantata a fissarlo nel bel mezzo del suo discorso… Beh, non era ancora iniziato, ma… va beh. E così, lo disse tutto d’un fiato, ecco:
- Ieri in treno ho visto che non stavi bene… e mi sembrava inopportuno disturbarti… stavi facendo training autogeno, giusto? Sì? Bello! Cioè, no, scusa, non è bello, perché lo facevi perché non stavi bene, non è una cosa bella… Comunque mi è dispiaciuto non esserti d’aiuto… e sì, lo so, non è che ti avrei potuto aiutare chissà che… se uno sta così gli altri non…
- Ehi, frena! Stai parlando così in fretta che fatico a seguirti. Cosa c’è?
- Sì, scusami… Io… Ecco… io sono stata così male…
- Oh, anche tu!? È influenza! Sì, hanno detto che…
Lo afferrò per la manica della giacca e lo fermò:
- No, non per l’influenza!
Lo fissò esasperata: lui era sconcertato. Ma incuriosito. E comunque ancora non era scappato e non l’aveva cacciata. Le opportunità però si stavano esaurendo.
“Non era così che doveva andare...” Fece un bel respiro e cercò di recuperare la calma per ricominciare.
Erano fermi a guardarsi, in mezzo alla gente che camminava. Con il braccio libero lui le scostò una ciocca dal viso e gliela sistemò dietro l’orecchio. Oh. Mio. Dio.
E così, Lina perse la lucidità. Completamente.
- Io… beh, io stavo male perché ero preoccupata per te. E ti ho pensato tutta la notte. E stamattina non eri sul solito treno allora ti ho aspettato alla stazione, ma non sapevo nemmeno se saresti arrivato con quello dopo… Ma poi…
- Oh… Ok… Io non… - Oddio, adesso balbettava anche lui!
“Cosa diavolo stai dicendo Lina??!! Concludi in fretta, ragazza!”
- Il fatto è che… che… se solo avessi potuto chiamarti… sarei stata più tranquilla, ecco.
- Oh… - Esclamò lui, pensieroso.
Lina era fuori di sé dall’agitazione: aveva rovinato tutto. Non c’era niente tra loro in realtà. Ma comunque aveva rovinato tutto. Lo aveva terrorizzato.
Ma lui le prese la mano che ancora (ancora!) lo tratteneva per la giacca e se la mise sottobraccio. Come un gentiluomo con una dama dei tempi andati. E così ripresero a camminare.
Lei era ammutolita a stargli così vicino, ormai non capiva più niente. E lui le chiese:  
– Quindi... stai chiedendo il mio numero?
- Beh, sì… non so perché mi sia venuto fuori tutto il resto, ma quando sono agitata straparlo e faccio danni, hai visto… Io stamattina volevo solo chiederti il numero di telefono…
- Direi proprio che me lo hai chiesto. In un modo piuttosto contorto, ma senza dubbio con una certa eleganza…
Sorrideva! Oh sì, lui le sorrideva! E non l’aveva nemmeno insultata!
Che disastro, anche questa volta… Ok, non era necessario che la prendesse in giro però… Almeno se ne sarebbe andata mantenendo una certa dignità:
- Sì, sì, ma in fondo vedo che oggi stai meglio, quindi… non importa, va bene così…
- No, no, no, ora ci scambiamo i numeri! Non potrei più vivere sereno con me stesso, adesso che so, che ogni volta che io mi ammalo, tu ti preoccupi così… Direi che abbiamo un po’ di cose da chiarire… Ecco, questo è il tuo bar preferito, vero? Ti vedo entrare qui tutte le mattine…
Questa poi! Lo aveva detto a bassa voce, un po’ intimidito nello svelare l’attenzione che aveva nei suoi confronti… Allora anche lui teneva d’occhio lei!
- Colazione? – Propose lei
- Più o meno. – Rispose lui.
Non lo aveva mai visto sorridere così! Era bellissimo.
Presero una tisana al finocchio per lui e una camomilla per lei. Che razza di ordinazioni! Ma avrebbero presto scoperto che nella loro storia nulla sarebbe stato banale! Si diedero malati al lavoro e parlarono tutta la mattina.
E non si fermarono più.
"Until Sally I was never happy I needed so much more Rain clouds Oh, they used to chase me Down they would pour Join my tears Allay my fears
Sent to me from heaven Sally Cinnamon you're my world"
G.
SGN, 20/05/2023 12:14
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reginarix · 1 year
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Indegno
Mentre scorrevano i titoli del film appena finito, Massimo si accorse che era già mezzanotte. Spense la TV e lanciò il telecomando sul divano. Lei non era ancora tornata.
Il telefono suonò poco dopo. Lui lo fissò irritato: non sapeva se si sentiva di ripetere di nuovo la solita conversazione. Alla fine rispose dopo alcuni squilli.
- Ehi…-
- Max, ciao. Scusami…-
Ed ecco fatto, era perso: succedeva sempre così, ogni volta che sentiva la sua vocetta stanca e afflitta non poteva fare a meno di darle ciò che le serviva.
- Tranquilla, è ok. Cosa succede?-
- Sono in sala operatoria da cinque ore ormai… Un intervento alla colonna vertebrale di una bambina di 8 anni… sono uscita per parlare con i genitori e devo rientrare di nuovo per terminare…-
- Mio Dio… -
- Sono a pezzi… questa settimana devo aver dormito a casa un paio di notti soltanto… non so da quanto non faccio un pasto normale e nonostante tutto il mio impegno oggi sta andando tutto storto… Max… questa bambina… non voglio che muoia. Sto facendo tutto quello che posso, ma questa volta non mi riesce niente…-
- No, no, non ti buttare giù: hai superato di tutto, sei l’unica che può salvarla…-
- E tu che ne sai? -
La sentì tirare su col naso e provò una tenerezza infinita mentre le rispose:
- Perché sei la mia bellissima, intelligente, tenace moglie e anche perché non hai fatto tanta strada per poi arrenderti una sera qualunque: sei l’unica che può salvarla perché hai scelto questo lavoro non per farne la tua carriera ma perché è la tua missione.-
Dopo un attimo di silenzio la sentì rispondere:
- Sei bravissimo con i discorsi motivazionali, sai?
- Lo so, e so che adesso riprenderai il tuo lavoro e avrai quella illuminazione geniale che ti permette di salvare vite giorno dopo giorno…-
- E giorno dopo giorno salto tutti i nostri appuntamenti… Mi dispiace infinitamente…-
- Non dispiacerti, è tutto a posto: tu hai sempre accettato quando ero io ad essere impegnato con il mio lavoro…-
- Ok, ma sono una donna terribile, sono mesi che va avanti così…-
- Ma stai scherzando? Sono un investigatore privato, io devo rinunciare alle nostre serate per fare inutili appostamenti o trasferte improvvise! Tu stai salvando bambini! -
La sentì respirare più tranquillamente, stava riprendendo il controllo dopo quel piccolo sfogo.
- Max…-
- Dai, tranquilla: io sono qui per te. Comprendo cosa stai passando e soprattutto ti amo.-
- Anche io.-
- Coraggio, vai a combattere come tu sola sai fare.-
- Sì. Adesso devo proprio rientrare. Grazie Max. E buonanotte.-
- Buon lavoro.-
Massimo chiuse la telefonata e sbuffò mentre lanciò il telefono sul divano dove prima aveva lanciato il telecomando. Era tutto così frustante! Sì sì, certo, avrebbe solo dovuto essere fiero di lei per quello che faceva, ma non era l’unica a sacrificare tutto per questo lavoro: anche lui non aveva più una vita da quando lei aveva avuto tanto successo come neurochirurga. Ed era consapevole che non avrebbe dovuto fare altro che appoggiarla, e infatti l’aiutava il più possibile, ma questo non lo consolava, era davvero difficile fare il buon marito senza vedere mai la propria moglie.
Non aveva più sonno, e poi gli andava di aspettarla per darle almeno la buonanotte. Accese il PC per lavorare un po'. Aveva ore di filmati di sorveglianza di un laboratorio da controllare. Era un caso di spionaggio industriale: la proprietà sospettava di un dipendente.
Si mise all'opera ma i pensieri continuavano a vagare.
Lei gli mancava troppo. E non gli stava bene che non passasse più del tempo con lui. Non ricordava neanche quando avevano fatto l'amore con calma l'ultima volta. Da troppo ormai si stavano accontentando di sesso famelico e frettoloso, ma non era soddisfacente. L'amava e la desiderava come all'inizio e avrebbe solo dovuto attendere che quel periodaccio finisse. Ma chi avrebbe deciso quando? Gli restava solo di restare lì ad aspettare che lei trovasse qualche oretta libera per lui? Non si era mai considerato un sentimentale, non avevano bisogno di stare insieme di continuo, la verità era che lui non lo avrebbe sopportato. Tuttavia da un po’ si sentiva solo. Quando gli succedeva qualcosa pensava sempre di raccontarlo a lei: ma adesso si erano accumulate così tante cose da dire che era impossibile recuperare. In effetti anche questo tacere stava iniziando a pesare un po': avevano sempre parlato di tutto, era la sua migliore amica. Ma adesso non c'era mai tempo per chiacchierare, figuriamoci per condividere pensieri più profondi. O scherzare e ridere. No, non si riusciva più. Purtroppo avevano perso confidenza.
Ormai erano le due. Lei gli aveva appena scritto: l'intervento era andato per le lunghe, c'erano state troppe complicazioni e preferiva restare in ospedale per seguire per qualche tempo la bambina nel reparto post operatorio.
Massimo imprecò. Provava delusione e amarezza. Possibile che doveva restare lei? Possibile che non riuscisse a staccare nemmeno per una notte per tornare a casa da lui? Glielo scrisse in un messaggio, ma poi non lo inviò. Tanto era inutile, lei non sarebbe tornata. Lui avrebbe dovuto semplicemente comprendere: era un’emergenza. Ma queste emergenze si susseguivano da così tanto ormai. E nonostante tutta la sua buona volontà capiva soltanto che lui non era una delle priorità per sua moglie. In che stato avevano ridotto il loro rapporto! Tutto quello che lui aveva adesso era nostalgia, noia e tristezza. Ed un maledetto senso di inadeguatezza.
Si alzò e andò a versarsi un po' di vodka. Contemplò l'idea di andare a dormire. Ma era troppo nervoso ormai. Vuotò il bicchiere e se ne riempì un altro. Doveva riprendersi per conto suo o sarebbe impazzito. Voleva stare bene, dannazione. Non era sano sentirsi così male per la distanza che si era creata tra loro. Lui non voleva dipendere da quel rapporto. Voleva ritrovare il controllo di se stesso. Tornò al computer e si mise a ripulire le e-mail. Un modo come un altro per non sentirsi del tutto inutile. Dopo aver sistemato quella personale e quella dell'agenzia fece il login in un account che non apriva da quattro anni ormai. Da quando si era sposato.
Più di trecento messaggi non letti. E non erano spam: quella mail era stata creata apposta per un sito di incontri ad alto tasso erotico. Prima di incontrare sua moglie non credeva nelle relazioni stabili. Tramite quel sito aveva quello che gli serviva senza dover dare spiegazioni, era tutto chiaro fin da subito: solo sesso, niente sentimenti.
Scorse la lista: alcuni nickname li conosceva, si erano già incontrati. La maggior parte era gente nuova. Un messaggio di una sua vecchia conoscente risaliva solo a un paio di giorni prima.
Provò un assoluto disgusto di se stesso.
Selezionò tutte le mail e le cancelló, senza nemmeno leggerle.
Si alzò e si riempì un altro bicchiere di vodka che bevve in una volta.
In quel momento una notifica sul suo cellulare, collegato ad un sofisticato sistema di allarme, lo avvisó che qualcuno nel laboratorio che stava sorvegliando era entrato senza autorizzazione in un'area top secret. Pensò in fretta: aveva bevuto ma era ancora fin troppo sobrio. E maledettamente insonne. Era inutile aspettare di visionare i filmati, meglio andare subito sul posto.
Prese giacca, chiavi e uscì. Lo aspettavano ore nascosto in macchina ad aspettare, ma non aveva altro da fare, e poi era meglio così.
C'era qualcosa di troppo sbagliato
a restare nella loro casa
a pensare
se tradire sua moglie.
"Would you believe me when I tell you You're the queen of my heart Please don't deceive me when I hurt you Just ain't the way it seems
Can you feel my love buzz?"
G.
SGN, 08/05/2023 12:21
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reginarix · 1 year
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Esercizio: punto di vista interno all'azione ma esterno a tutti i personaggi che intervengono.
Spiriti Affini
Salone del Libro, New York
La presentazione del libro del rinomato poeta Moltheni stava terminando, qualche giornalista si stava già alzando, venne scattata la foto di rito accanto al cartonato dell’evento e un gruppo di ammiratrici si mise in fila per salutare l’autore e chiedere un autografo. Una giornalista però alzò la voce sopra il brusio, la vidi alzarsi in piedi per attirare l’attenzione:
- Mr. Moltheni, un’altra domanda prego!
L’agente intervenne prontamente, al suo assistito non piaceva essere al centro dell’attenzione, si vedeva che era davvero una sofferenza per lui parlare in pubblico:
- Miss Print, la prego, la poesia non ha bisogno di tutte queste spiegazioni!
Lui guardò comunque verso il poeta, l’interesse dei giornali era sempre una buona pubblicità e ci contava molto: così Moltheni, con un sorrisino rassegnato, accettò di rispondere a questa ultima domanda. Tutti si sedettero di nuovo e la giornalista proseguì:
- La domanda che ancora non ha risposta è: cosa è successo? Cosa è cambiato? Dopo il boom di qualche anno fa lei è rimasto inattivo per molto tempo, ora torna con questo nuovo lavoro del tutto diverso. Qual è l’ispirazione adesso?
“Bella domanda” pensai, valeva davvero la pena fermare tutto per ascoltare una risposta.
Moltheni si prese il suo tempo per rispondere: aggrottò le sopracciglia, fissò lo sguardo in un punto indefinito e notai come si afflosciò un po’ sulla sedia. Stava decidendo se dire la verità? Stava scegliendo quale parte raccontare? O se raccontarla? Infine lo vidi riprendere forma e sostanza: si sistemò composto, bevve un sorso d’acqua e iniziò.
- L’ispirazione è un mondo parallelo. Non intendo dire che sia un luogo di fantasia, è un mondo che esiste davvero e che mi coinvolge totalmente. Solo resta accanto al mio. E talvolta io ho la necessità di portare qui qualcosa di ciò che provo laggiù. L’arte rende reali anche qui quelle emozioni e sensazioni. L’ispirazione dei miei primi lavori era un mondo piuttosto caotico, di prati falciati e spiagge, sole, pioggia e specchi neri, dove però trovava posto ogni parola, ogni musica ne rappresentava una parte. Ci ho vissuto per anni e non mi sono mai sentito solo. Ma diventa logorante dividersi su due piani così a lungo: alla fine bisogna sempre scegliere se lasciare andare quel mondo oppure realizzarlo in questo. Quando si torna ad un’unica realtà ci si trova cambiati: si notano più cose, si cerca di essere più presenti, si dà un significato profondo ai particolari. Ci vuole tempo per ricrearsi e tempo per affidarsi un'altra volta ad un mondo nuovo. Adesso mi trovo a scrivere di una nuova ispirazione, un nuovo universo parallelo: secondo me più ricco, più intimo, perché contiene tutto quello che sono, compreso tutto quel mondo che avevo lasciato. Un’ispirazione che posso condividere qui (e mi piace farlo, o non ne scriverei affatto) ma che vivo nella piena libertà del mio io.
Non sono capace a scrivere della mia vita, posso solo parlare di quello che sento, ecco qual è la mia ispirazione.
Si appoggiò di nuovo allo schienale e tutti restarono in silenzio qualche istante a cercare di capire queste sue parole. L’impressione generale era che avesse parlato in codice, ma che loro non ne avessero la chiave. Potere della poesia!
La giornalista aveva l’aria perplessa, si aspettava qualcosa di diverso: chissà, magari voleva sentire un cenno sulla famiglia del poeta, oppure l’idea di una musa ispiratrice… invece niente, era così geloso della sua privacy! La vidi abbassare lo sguardo delusa.
- Grazie, mr. Moltheni. – mormorò.
A questo punto l’agente a fianco dell’autore si alzò, chiese se c’erano altre domande e mise fine alla conferenza stampa, stavolta davvero.
Subito si formò la fila per chiedere gli autografi. Ci pensai un po’, poi decisi di fermarmi anche io: valeva la pena salutare un collega che a qualunque domanda rispondeva in poesia. Quando il suo agente mi riconobbe nella fila gli brillavano gli occhi! Stava di sicuro già pensando a future collaborazioni, eventi, pubblicazioni… Mi venne male quando mi corse incontro e mi trascinò via. Io e Moltheni ci scambiammo uno sguardo pieno di comprensione mentre venivamo presentati.
Forse non eravamo solo colleghi. Piuttosto spiriti affini.
"È una questione di qualità La tua presenza Rassicurante e ipnotica Mi affascina"
G.
SGN, 04/05/2023, 10:14
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reginarix · 1 year
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Esercizio: reale e non reale
Sabato sera
Leo era arrivato da un po’ al locale, ma non si era messo ancora in coda perché stava aspettando la sua Viola. Non gli piaceva restare lì da solo, la tentazione di farsi era sempre più forte la sera. Per liberarsi dal nervosismo passeggiava su e giù cercandola tra la gente e chiacchierando con lei nella mente. “Dove sei amore mio? Quando arriverai? Mi metti sempre alla prova, ma io ti aspetto qui, non ti deluderò di nuovo, non mi troverai fatto… Tu sei la mia forza, tu sei tutto per me…”  Lei era l’unica persona per cui era in grado di resistere. E poi sì, la vide, nel parcheggio. Ecco la sua ragazza. Era alta e trasmetteva sempre un’impressione di forza, quasi come una energia paranormale tutto intorno. I lunghissimi capelli scuri le arrivavano alla vita e si arricciavano un po’ sul fondo. Quando si voltò verso di lui sorrise, radiosa, e lui si avviò per raggiungerla, quasi correndo.  Da lontano non poteva ancora vederla bene, sentiva un bisogno fisico di perdersi in quegli occhi scuri di cui conosceva ogni sfumatura, la pelle bronzea di quel volto perfetto lo faceva sentire reale. E vivo. E salvo. Quella sera portava uno dei suoi completi gessati, con tanto di cravatta scura. Non c’era pelle scoperta eccetto mani e viso, e le sue amiche poco vestite intorno a lei sparivano. Quegli abiti maschili sembravano sottolineare le sue favolose curve, la femminilità si sprigionava e rendeva sensuale ogni suo movimento. Lei non si rendeva conto di quanti la guardavano, ma lui sì accidenti, nei pensieri la stavano spogliando tutti. E comunque lei aveva occhi solo per lui. Era come mandare in corto circuito la mente dei maschi presenti, un’attrazione irresistibile per allentare quella cravatta e scoprire la pelle calda oltre il secondo bottone della camicia...
Mentre la raggiungeva  ebbe una brutta sensazione.
Dentro di lui sentiva profondamente un’inquietudine che prendeva concretezza man mano che si avvicinava.
E lo fece rallentare.
“Sì. Qualcosa non va. "
Si fermò ad un paio di metri da lei, improvvisamente lucido.
"Sono io. Sono io che non vado, cazzo, sono io tutto sbagliato.”
- Ciao Leo! Sempre qui, eh?
- Viola… ciao…
- Ehi?! Tutto a posto?
Leo si sentiva svenire. Lei era lì, bellissima e amichevole, sinceramente preoccupata per lui, lo sguardo allarmato, la voce così dolce… Ma non era sua.
La consapevolezza di essersi inventato tutto fu come uno schiaffo. La sensazione di stare con lei, che fossero una coppia, era frutto delle sue allucinazioni. Dipendeva da tutta quella merda che giorno dopo giorno si metteva in circolo. Si stava fottendo il cervello. E non poteva farne a meno.
- Leo… hai bisogno di sederti? Devo chiamare qualcuno?
- No no, grazie, tutto a posto.
- Va bene allora. Ci si vede.
Riconobbe il sorrisino poco convinto di Viola, ma aveva bisogno di allontanarsi da lei.
-Divertitevi stasera. Ciao bella.
“Ciao amore mio.”
Leo fece un cenno per salutare le amiche di Viola, e con tutta la concentrazione di cui era capace si avviò senza barcollare verso un gruppo di sconosciuti più in là.
E mentre procedeva pensava solo che prima di diventare un fottuto stalker del cazzo aveva dannatamente bisogno di farsi.
"On the last thive you are the wind strong and cold beyond the ground there's a hide and never be found"
G.
SGN, 02/03/2023, 10:37
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reginarix · 1 year
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Esercizio sui dialoghi: Le protagoniste sono due sorelle. Il narratore è esterno e non onnisciente. Una di loro, la minore, decide di lasciare la casa in cui entrambe vivono. L’altra è in evidente difficoltà economica e non può permettersi l’affitto da sola. Sarà la sorella maggiore a parlarne per prima.
Universi paralleli
«Non puoi dirmi una cosa del genere e pretendere che io ti appoggi!»
Quella frase sovrastò il chiacchiericcio tranquillo della caffetteria, e nel silenzio che seguì lei arrossì un po’, si guardò intorno quasi per scusarsi, e quando incontrò il suo sguardo lo fissò un attimo e gli sorrise imbarazzata. “Carina” Pensò Mario. Poi la vide trasformarsi: gli occhi chiari fiammeggiare, le guance arrossarsi ancora di più, le dita sottili passare tra la scura frangia lunga per metterla di lato, le labbra rosse tendersi mentre rivolgeva tutta la sua furiosa attenzione alla ragazza che le sedeva di fronte. “Non carina: è davvero bella!” si sorprese a pensare. Stava sistemando obbiettivi e macchina fotografica per il suo appuntamento, ma aveva ancora un po’ di tempo prima di andare.
«Non puoi mollare tutto così, mollare ME così!!» sibilò ad un tono più consono: ma ormai la sua attenzione era stata catturata, era seduto comunque abbastanza vicino da seguire la loro discussione e, annoiato com’era, ci voleva proprio questo diversivo. “Peccato, forse non sono il suo tipo…”
«Elena, smettila. Per me è una grande occasione, ho sempre desiderato viaggiare, lo sai»
«Viaggiare, sì! Vedere il mondo, sì! Ma quella che lui chiama tournee è solo dormire in macchina suonando nelle piazze qua e là!»
«Mi sembra di sentire nostra madre…» “Allora sono sorelle… bene!” Pensò lui.
«Sì, perché anche a lei devi pensare: un conto saperti qui con me a fare le donne indipendenti, un altro sperduta a chiedere l’elemosina…»
«No! Non te lo permetto! Siamo artisti di strada, non chiediamo l’elemosina! Siamo spiriti liberi!» Questa volta era stata la ragazza più giovane ad alzare la voce. L’altra si spazientì e abbassò ancora di un tono la voce, che si arrochì mentre sussurrava tagliente:
«Liberi da cosa? Dalle responsabilità di un affitto? Dalla comodità di un tetto sulla testa?» e diede un colpo con la mano sul bordo del tavolino.
Elena prese un bel respiro, come per calmarsi. Passò qualche istante guardando fuori dalla vetrina, verso la mattina soleggiata del centro città.
«Mi piaceva il nostro nido.» disse, quasi in un singhiozzo. Si portò alle labbra la tazza del cappuccino, la tenne con entrambe le mani, come per scaldarsi.
«Non devi per forza andartene anche tu…»
Le ragazze si guardarono a lungo, senza più rabbia. E dalla sua posizione privilegiata lui colse l’esatto momento in cui quell’armistizio silenzioso diventò tregua. Poi accettazione. Infine, pace. “Dio mio” pensò “quanto avrei voluto usare la mia Leica per catturare questo attimo!”
«Alice… come farei a mantenermi? Ho appena iniziato il mio corso… e adesso ero anche riuscita a far quadrare gli orari con il lavoro… Non ho tempo per fare altro»
«Ok… ma forse possiamo trovare una ragazza per dividere le spese»
«Quando vuoi andare via?»
«Questo fine settimana.» sussurrò abbassando lo sguardo «Ma ho risparmiato abbastanza per lasciarti la mia parte di affitto per il mese prossimo!»
«Non posso accettare. E comunque devo trovare come risolvere il problema in modo definitivo.»
«Se solo ti arrivasse qualche nuovo progetto a cui lavorare.»
«In qualche modo farò.» Elena sorrise alla sorella «Noi non molliamo mai, giusto?»
«Giusto!»
Le ragazze si presero per mano.
«Il problema vero sarà dirlo a mamma e papà…» Sospirò Alice. «Sarà un massacro!»
Lui sorrise, non poté farne a meno: si era trovato per caso tuffato in un universo parallelo, un vortice di vita reale che lo aveva sfiorato e gli aveva lasciato la sensazione di essere stato testimone di un momento decisivo e prezioso. Abbassò lo sguardo cercando di trovare la concentrazione per il proprio lavoro, per l’appuntamento a cui stava per arrivare in ritardo, senza pensare troppo a questa ragazza bellissima di cui ormai conosceva anche il nome, e le espressioni, e il suono della voce… Sorrise ancora di più quando si ritrovò a pensare che avrebbe frequentato quel posto più spesso per incontrarla di nuovo.
«Ci fa piacere che tu ti sia divertito!»
Mario perse un respiro: quella voce gli parlava già nella testa…
Oppure?
“No! Che figura! Come ne esco adesso?”
«Beh… scusate, ma eravate qui e anche io ero qui… non potevo non... beh... comunque sono contento che abbiate risolto.»
Pensò che tanto ormai era davvero troppo in ritardo per quell'appuntamento.
Si presentó e chiacchierarono ancora un po’.
Quando due universi si incontrano non si possono ignorare.
"Shhhh, Shhhh It's, oh, so quiet Shhhh Shhhh It's, oh, so still Shhhh Shhhh You're all alone Shhh Shhh And so peaceful until...
You fall in love"
G.
03/02/2023 12:34
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reginarix · 1 year
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Esercizio: scrivi di ciò che conosci e insegnalo
Tutto tranquillo.
Aveva raggiunto il supermercato vicino casa. Le piaceva stare lì, conosceva dove trovare i suoi prodotti e tutte le commesse e gli addetti, un saluto per ognuno e nessuna difficoltà. Era piuttosto fiera di sé: quella mattina era uscita di casa senza i soliti drammi interiori, aveva guidato quei pochi chilometri senza ansia ed era entrata nel negozio sentendosi assolutamente normale. Canticchiava persino. Aveva anche preso il carrello: di solito preferiva riempire la sua sportina personale piuttosto che toccare una cosa condivisa da così tante persone, ma ormai la pandemia aveva lasciato il segno e un favoloso kit per disinfettare era a disposizione all’entrata. Si servì di abbondante spray e gel per fare un lavoro almeno accettabile, e poi comunque infilò i guanti, soddisfatta. Sì, brava.
Proseguì nelle corsie per fare la solita spesa: acquistava sempre le stesse cose, la rassicurava seguire un certo ordine nei suoi metodici menù settimanali, pesce un paio di pasti alla settimana, carne per quattro volte, uova per due, verdure e frutta tutti i giorni… tutto bilanciato e regolato, il benessere da sempre legato al controllo dei dettagli.
Alcune cose sfuggivano, ma ormai aveva abbastanza esperienza di sé: sapeva che poteva gestire gli imprevisti peggiori senza perdere la testa, e aveva capito, dopo tantissime prove, che quando davvero era sotto pressione sapeva essere coraggiosa, forte e determinata.
Eppure talvolta c’erano degli intoppi, e quando meno se l’aspettava, per piccoli inutili eventi, perdeva tutto. Anche l’aria. Succedeva sempre meno, eppure la paura che accadesse di nuovo generava un circolo vizioso da cui faticava a liberarsi. Ma ci stava riuscendo, vero?
Era distratta da questi pensieri nella corsia dei prodotti per l’igiene personale: lo shampoo, preso. Il dentifricio, fatto. Gli assorbenti… Prendeva sempre l’articolo dietro agli altri, in fondo allo scaffale, convinta che fosse stato toccato da meno persone: lo trovava rassicurante. Ne tirò fuori una confezione, ma si accorse che era stata aperta. Ne mancavano un po’ e per nascondere quel piccolo furto “di necessità” qualcuno l’aveva riempita di fazzoletti di carta. Provò un disgusto profondissimo. Respirò forte per bloccare un conato. Accidenti. “Coraggio” si disse “non devi comprare quella confezione, trovane una integra… Dai, è tutto ok.” Ma non era affatto ok.
Non se lo aspettava, non era preparata e adesso, sentiva che ne sarebbe morta.
Non c’era più aria nei suoi polmoni. Cercava di introdurre aria ma non ce n’era abbastanza intorno a lei, naso e bocca inspiravano ma niente, proprio non respirava più, come se fosse sott’acqua, come se intorno a lei una porzione di vuoto cosmico le impedisse di avere ossigeno, e vita, per superare questo stupidissimo contrattempo.
Era cosciente che non le mancava davvero l’aria, doveva solo calmarsi per poterne godere di nuovo. Questa consapevolezza l’aiutava sempre, le ricordava che era preparata, aveva imparato ad aggrapparsi alla realtà per uscirne, aveva tanti trucchetti che funzionavano, doveva solo intervenire e bloccare il panico.
Teneva gli occhi chiusi, si era accosciata accanto al suo carrello e si stringeva attorno le braccia per raccogliersi il più possibile. Cercò freneticamente cinque suoni reali per tornare alla realtà e li elencò: la radio del supermercato, lo scorrere delle rotelle di plastica di un carrello, una suoneria di cellulare, un “arrivederci e grazie” dalle casse, dei tacchi lontano che picchiavano sul pavimento. Bene, almeno non boccheggiava più. Si alzò in piedi, ma di spostarsi non se ne parlava: aveva paura di muoversi troppo, ma almeno aprì gli occhi e tenne lo sguardo fisso in basso. Adesso doveva sforzarsi di elencare quattro cose che vedeva: una piccola crepa nella piastrella, una scatola pronta da svuotare lì accanto, bottiglie di bagnoschiuma di un azzurro luminoso al suo interno e quel maledetto pacchetto di assorbenti aperto caduto in terra. Sì, adesso la paura era passata, stava facendo finalmente un bel respiro, ma per sicurezza elencò tre cose da toccare: il metallo del carrello a cui si stava appoggiando, la pelle della sua borsetta, la sciarpa morbida intorno al collo. Sì, passato. E senza nemmeno arrivare a odorato e gusto. Una piccola vittoria. Anche perché nessuno se n’era accorto.
La corsia era ancora libera, e lei si stava tranquillizzando: respirò e respirò ancora come se fosse appena emersa dal mare… che bello respirare!
Finalmente pronta si forzò a proseguire verso la cassa poco più in là. Gli assorbenti li avrebbe comprati un’altra volta. O da un’altra parte.
Sospirò.
Si posizionò in coda e mentre aspettava il suo turno caricando la spesa sul nastro ebbe un moto di stizza. Gli attacchi di panico non dovevano interferire così, non era giusto! Lasciò la commessa a prepararle il conto e corse nella corsia del misfatto: afferrò al volo la prima (la prima!) confezione sullo scaffale e si affrettò a tornare per pagare. Esultante.
Tutto tranquillo. Tutto normale.
Sì. Proprio brava!
"Arte mi devi guidare, fa' uno sforzo Di' alla natura di vegliare il mio percorso Dalla borsa tiro fuori un grande corno Per soffiare via il mio panico dal corpo
Col coraggio in tasca la mia vita passa Camminando e basta, lascio la mia traccia Capirà soltanto chi vedrà dall'alto Tipo ragno a Nazca
Camina, guerrero, camina Por el sendero del dolor Y la alegría"
G.
25/01/2023 12:03
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reginarix · 1 year
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Esercizio: le scarpe del tuo personaggio
Furioso
Odiava svegliarsi in quella stanza dai toni pastello. Odiava quel minuscolo bagno in camera, odiava la finestra con le inferriate. Odiava indossare quei vestiti preparati per lui da altre persone, non poteva più scegliere niente. Odiava quelle maledettissime scarpe. Odiava dover sottostare a tutte quelle migliaia di regole inutili che aveva accettato di rispettare solo per poter restare in quella prestigiosa clinica riabilitativa. Doveva resistere, doveva dimostrare di saper tenere a bada la sua incontenibile ira. Ancora qualche tempo, ancora un po' di pazienza tra terapie di gruppo, cure farmacologiche e buone azioni calcolate per avere una prova certificata di non essere un soggetto a rischio, né per sé né per gli altri. Voleva solo tornare alla sua vita! Infilò i pantaloni della tuta verde (mio Dio! Verde??!!) e la maglietta grigia che gli era toccata quella mattina. Sospirò attingendo a tutto lo spirito di adattamento di cui poteva disporre. Quasi pronto, gli mancavano ancora le scarpe. Le fissò come se volesse incendiarle con lo sguardo. Erano delle semplicissime slip on di tela bianca, con la suola in gomma. Comode, loro, tranquille. Non gli avevano fatto niente di male. Eppure sentiva crescere quella preoccupante tensione dentro di sé. Gliele avevano consegnate il primo giorno, ritirando le sue Nike nere con il resto dei suoi vestiti in una scatola che avrebbe riavuto all'uscita. Gli avevano spiegato che non poteva tenere con sé oggetti pericolosi.
Si era fottuto talmente tanto il cervello che adesso era pericoloso lasciarlo da solo persino con un laccio delle scarpe. Ecco a che punto era arrivato. Provò vergogna, si sentiva indegno, fallito, spezzato. E adesso la sentiva tutta quella rabbia ribollirgli dentro, e capiva che non l'avrebbe più rivolta all'esterno. In quella mattina di monotono odio aveva chiaro che alla prossima crisi avrebbe fatto del male a sé stesso. Sentiva dentro sé tanta potenza da autodistruggersi.
Calciò quelle maledette scarpe contro la porta e tornò a letto. Decise che avrebbe saltato tutto: colazione, incontri, stanza comune, terapia. Sarebbero venuti a cercarlo. Quel giorno non avrebbe fatto il bravo paziente che finge equilibrio. Voleva solo restare nascosto nel buio, sentire la violenza del suo malessere trasformarsi in dolore.
Poco dopo l'infermiera con cui litigava tutti i giorni entrò e trovandolo così, la sentí fare un verso compiaciuto. Si avvicinò per sollevare le coperte e guardarlo in viso, lui ebbe una certa soddisfazione a non essersi fatto trovare in lacrime. La guardò con tutto l'astio di cui era capace, poi lei esclamò: "Bene ragazzo, era proprio ora di cominciare a fare sul serio!"
Stronza.
Però aveva ragione: quel giorno aveva iniziato il suo percorso. Davvero.
"Quanto freddo hai Bastiano, piccolo uomo in alto sulla rupe stampato lì a fissare il precipizio con gli occhi color supplica di cane tu faresti il primo passo e per il resto basterebbe qualche cosa come una tenace convinzione e poco contano le leggi fisiche di forza e di piume che sfoggiano le aquile.
Bastiano sei ancora quello vero?"
G.
18/01/2023, 10:23
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reginarix · 1 year
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Esercizio: Le scarpe del tuo personaggio
Dorothy
In fondo all'armadio la ragazzina trovò una scatola di scarpe. Le tirò fuori e restò sorpresa: erano delle ballerine rosse, lucide di vernice con un laccetto alla caviglia. Piccoli strass rossi decoravano la punta e i tacchi bassi, erano così splendenti che sembravano proprio come le scarpette magiche del "Mago di Oz". La suola di cuoio era poco consumata, ma si vedeva che erano state conservate con la massima cura. Le trovò irresistibili e volle subito provarle: erano ancora un po' grandi. Si chiedeva di chi fossero state, per quale occasione fossero state acquistate.
"Sono mie." Si voltò per trovare la nonna che si era affacciata alla porta della piccola camera.
"Erano le mie scarpe di nozze." Spiegò con un sorrisino.
"Rosse?! Nonna davvero?"
"Il mio abito da sposa era rosso, quindi..." La piccola non immaginava che la nonna fosse così anticonformista.
Si rese conto di sapere davvero poco di lei.
"Oh nonna!! Raccontami tutto!!!"
"Somewhere over the rainbow Skies are blue And the dreams that you dare to dream Really do come true"
G.
17/01/2023, 11:52
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reginarix · 1 year
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Esercizio. Incipit: partire da un suono
Nel bosco
Era davvero stanca di stare lì. Un maestoso temporale l'aveva spinta a trovare rifugio sotto la lamiera del piccolo capanno ai margini del parco. Freddo, umidità e un vento gelido la sferzavano ormai da un po’, ma quello che la stava infastidendo più di tutto era quel rumore confuso e costante: le gocce di pioggia sbattevano sulla tettoia a ritmi irregolari, l’acqua sciabordava lungo le pareti come tante piccole cascate e le rocce nel terreno lì intorno avevano formato pozzanghere decisamente troppo rumorose. Tra tutti quei suoni acquatici così assordanti talvolta le sembrava di sentire un richiamo, come una voce sottile, ma quando cercava di capire meglio tutto si confondeva di nuovo e le sembrava di averlo solo immaginato. All’improvviso un lampo sfavillò, e quasi immediato il fragore del tuono la fece sussultare. Ed ecco quello strano suono, un grido?, più alto e allarmato stavolta. Forse non lo stava immaginando, forse c’era davvero chi chiedeva aiuto?
Gabriella
17/01/2023, 11:20
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reginarix · 1 year
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Tutti i miei Sbagli
Scena prima
Il bambino piangeva e mi chiamava, ho dovuto correre da lui, ho dovuto abbassare la guardia, salire in camera e dare conforto al mio cucciolo nel suo lettino.
Ero in quella fase terribile di convivenza forzata dopo aver chiesto la separazione. Nessun posto dove andare e le radiazioni dell'esplosione nucleare che avevo provocato lì ad avvelenare quel presente fermo in attesa, sospeso.
Una volta superata la crisi di pianto del più piccolo ho rimboccato le coperte al maggiore, tenacemente nascosto in un sonno agitato che almeno lo teneva lontano dalla realtà.
Alla fine dovetti tornare in cucina, non volevo venisse a cercarmi lì, quella stanza doveva restare un posto sicuro.
Prima regola:
Prima te ne vai e ti metti in salvo. Lo lasci. Soltanto dopo glielo dici.
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Scena seconda
Era in piedi, vicino alla finestra della cucina. Eravamo nell'ultima casa della via in quel piccolo paesino di campagna. Nessun vicino su cui contare. E nessun testimone. Avevo già visto come la sua auto bloccasse la mia, un modo di parcheggiare decisamente efficace per trattenermi lì. E naturalmente non avrei mai avuto accesso alle sue chiavi. Nell'auto avevo una borsa pronta con l'essenziale per me e i bambini. Mi sembrò così ridicolo pensarci in quel momento. Non avrei comunque potuto scappare, prendere i bambini dal letto e correre con loro in braccio. E ormai era troppo tardi.
Seconda regola:
Sempre tenere una via di fuga libera. A volte il posto più pericoloso per i figli è accanto alla propria madre, è necessario che siano al sicuro prima di tutto.
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Scena terza
Si voltò verso di me. Stranamente silenzioso. Cereo. Mortalmente pallido. Ero terrorizzata, non sapevo cosa aspettarmi. Nel movimento che fece mostrò il davanzale. Il mio cellulare era stato distrutto. Lì dove lo avevo appoggiato io. Semplicemente era stato schiacciato con una pressione tale che qualche pezzo si era aperto, lo schermo esploso.
Aveva letto i miei messaggi. Rubato gli ultimi numeri chiamati. La mia collega. Un avvocato. Il mio amore che viveva troppo lontano.
Nel dirmi tutto questo si avvicinava. Io ero indignata, come se violare la privacy dei miei contatti fosse più grave della violenza a cui mi aveva abituata. Quando si spostò vidi cosa aveva appoggiato di fianco al mio telefono rotto.
La sua pistola d'ordinanza.
Terza regola:
Tenere sempre con sé, anche di notte, sempre, anche in bagno, il cellulare e le chiavi dell'auto.
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Scena quarta
Non mi ero accorta di aver iniziato a piangere. Dilaniata tra correre dai bambini o allontanare il mostro da loro. Sono scappata dal lato opposto, in salotto, avrebbe seguito me senz'altro. Ed ecco un'altra speranza: ho raggiunto il telefono fisso e ho digitato il 112. Singhiozzavo, la voce faticava ad uscire
- Aiutatemi, vi prego...
Lui non mi fermò. Rilassò la mano con la pistola lungo il fianco e aspettò. Non capii ma ne fui sollevata. Come ho potuto essere così ingenua?
Presto potei parlare con la vicina caserma dei carabinieri. Spiegai chi ero, la situazione, l'emergenza.
Ma dopo aver minimizzato tutto, la voce gentile all'altro capo concluse:
- Signora, suo marito possiede un'arma da tanti anni, possibile che proprio oggi decide di usarla? Me lo passi per favore.
A quel punto sono implosa.
Non sarebbero venuti.
Lui ha preso il telefono dalle mie mani. Aveva un sorriso così cattivo.
Si accordarono amichevolmente, sarebbe andato subito a parlare con loro. A prendere un caffè. In fondo Polizia, Carabinieri, Guardie Giurate, sono tutti dalla parte dei buoni. Giusto?
Quarta regola:
Non sperare nell'aiuto di nessuno. Ti devi salvare da sola.
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Scena quinta
Almeno ero rimasta da sola. Volai a prendere i bambini, recuperai i contanti dal cassetto, un telefonino nascosto nell'armadio. Avevo ancora possibilità di evitare il peggio: scappare dai miei, proteggere i bambini, restare lì per un po', e pazienza il lavoro, pazienza la casa... Ero consapevole che avrei anche potuto non rivedere mai più il luogo che stavo abbandonando. Dopo un'ora di guida temendo continuamente di essere seguita arrivai finalmente. La casa della mia infanzia, con le mie sorelle e le loro famiglie, un nucleo che mi avrebbe protetta.
Fu immenso lo shock che provai quando mi accolsero con freddezza e crudeltà. Lui li aveva avvisati. Non avrei avuto conforto né protezione.
Una donna deve restare con il marito. Costi quel che costi. E poi cos'è questa cosa che hai già "uno"?
Puttana.
Adesso basta: un po' di buona volontà e tutto si sarebbe sistemato. Subisci. Ingoia. Taci. E devi farlo sempre sorridendo, sai, per "la gente".
Implorai. Minacciai.
Ottenni solo di poter lasciare i bambini con loro, almeno sarebbero stati al sicuro e lontani da quell'ambiente tossico. I miei genitori posero una condizione: sarei dovuta tornare a casa mia. Oppure li avrebbero dati al padre.
Mi rimandarono indietro, a notte fonda ormai, con un bel sorriso di incoraggiamento e con i ravioli freschi da mangiare con lui l'indomani. Mi sembrava incredibile.
Qualcuno con solerzia era già in contatto con lui. Era tardi ormai, ma non era ancora a casa, aveva parlato con i carabinieri e lo avevano tranquillizzato convincendolo a lasciarmi un po' di spazio. Mi rassicurarono che non lo avrei trovato lì.
Quinta regola:
Mai mai tornare da sola. Mai
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Scena sesta
Guidai con prudenza, avvelenandomi al pensiero che avrei fatto meglio ad andare direttamente verso est per altre cinque ore per raggiungere subito la vita nuova che sognavo. Avrei dovuto portare con me i bambini e scappare più lontano possibile da tutto quello schifo. Ma non volevo traumatizzarli ancora di più, mi era sembrato la cosa giusta da fare. E invece adesso erano in ostaggio.
Quando entrai in casa era quasi mezzanotte, mi sembrava che davvero non ci fosse nessuno. Mi barricai dentro. Avevo lasciato la macchina nella piazzetta illuminata a duecento metri dal mio cortile. Ero stata tutto il tempo al telefono con il mio amore, che voleva attraversare l'Italia per venirmi subito a salvare, il mio eroe.
Ma tutto questo dovevo viverlo da sola, dovevo affrontare da sola la mia battaglia, avevo bisogno di sentirmi forte e coraggiosa per dare dignità alla nuova me che volevo diventare.
Poco dopo squillò il telefono di casa. Era la mia premurosa sorella maggiore, una seconda madre per me. Aveva sentito lui, in lacrime e ubriaco, disperato per come erano andate le cose, che chiedeva scusa. A loro, non a me.
Voleva convincermi a riaccettarlo in casa, perché non si deve passare la notte divisi, è un precedente terribile, non si fa. "È fuori di sé, fallo rientrare!"
Eccola finalmente: l'ultima goccia. Ecco il momento che ha spezzato tutto l'equilibrio e il vaso si è rovesciato.
Urlai che proprio perché era fuori di sé non avrei mai potuto vederlo: ero terrorizzata di passare un minuto in balia di un uomo che già mi faceva del male normalmente, figuriamoci adesso, ubriaco, amareggiato e furioso. E armato.
E le ricordai che era lo stesso pericolo che correvano i bambini se glieli avessero consegnati: non poteva essere davvero tranquilla ad affidarglieli. "Se succede loro qualcosa non te lo perdonerai mai"
La finimmo lì.
Passai la notte tremando per ogni auto che sentivo in lontananza. Lo sentii arrivare al cancello. Lo scosse. Riuscivo a vederlo dalle imposte. Ero pronta a lottare, non lo avrei fatto entrare in casa, avevo messo un mobile davanti al portoncino, avrei combattuto per tenerlo lontano da me. Si appoggiò al muretto per un po', che mi sembrò un'eternità, ma non aprì, non entrò. Se ne andò.
Finalmente io, finalmente potendo contare su me stessa, avevo tirato fuori gli artigli e mi sarei difesa. Ero consapevole che avrei avuto ancora momenti difficili, ma mai più avrei permesso a nessuno di farmi così tanta paura, mai più mi sarei sentita così smarrita.
Sesta regola:
Mai, mai più restare da sola con lui.
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"Via da questi luoghi, via da vecchie paure Via da questi sguardi e dalla noia volgare Via dal pregiudizio, gonfio di violenza Dalle polveri sottili dell'indifferenza Come il fiore troppo raro Di un'intelligenza condannata a sfuggire
Libera quanto basta per Libera quanto basta per Dare alla tua strada un nome e l'ultima risposta"
Finale
Ho imparato la mia lezione e ne faccio tesoro. E vorrei che ogni figlia, ogni genitore avesse presente quanti errori pericolosi si possono commettere.
Se una donna arriva ad avere il coraggio di chiedere aiuto è un obbligo morale CREDERLE. Senza pensare alla reputazione, senza pensare alle conseguenze: la sicurezza prima di tutto.
Gabriella
13/01/2023, 11:34
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reginarix · 1 year
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Esercizio di scrittura: il racconto dietro una canzone
Sonica
Aveva avuto troppa aspettativa per questo viaggio. Si vergognava di sé stesso, nemmeno fosse ancora diciottenne, come per la sua prima volta all'Oktoberfest. Di anni ne erano passati dieci ormai e lui non era più lo stesso. Assolutamente no.
Passeggiava da un po', ormai annoiato nella folla dei tendoni, spintonato tra i tanti ubriachi che ridacchiavano in lingue diverse. Ricordava quanto si era goduto quei momenti, sembravano tutti amiconi e si era divertito. E poi quanto aveva apprezzato quelle belle ragazze con i vestiti tradizionali, quei bustini così sensuali slacciati un po' nelle scollature delle bluse ricamate. Gli era piaciuto tutto, le loro treccine bionde e quei sorrisi bianchi sulle guance arrossate mentre ti portavano boccali di Märzen come se fossero un dono di Dio. Ma in quel momento non gli importavano affatto.
Era primo pomeriggio ed era già sbronzo. Camminava fuori di sé dalla rabbia. Per evitare di gesticolare troppo teneva le mani nelle tasche del suo cappotto scuro a tormentare qualche moneta. Voleva restare da solo da qualche parte, ma gli sembrava che non fosse possibile evitare tutta quella gente. Almeno durante la notte poteva nascondere la propria espressione, poteva sembrare che fosse lì a divertirsi come tutti gli altri. Invece la luce del giorno lo pungolava e non era più in grado di tenere a freno la furia nel suo sguardo.
Proseguì verso il luna park, non sapeva a che scopo, voleva solo allontanarsi da tutti. C'era troppo rumore adesso, troppo disordine, ogni risata gli era insopportabile, ogni suono era una bomba esplosa a suo uso esclusivo, che gli provocava un dolore così intimo nella mente da annullarlo.
Era partito per evitare di prendere una decisione e adesso era così stordito da non riuscire nemmeno a pensare... Aveva raggiunto il suo scopo, ma era anche questo a farlo infuriare: non si sentiva a suo agio con una tale perdita di controllo, non era più quel ragazzino spensierato, non avrebbe più potuto fuggire da sé stesso.
La sua letale coscienza non gli lasciava scampo. Come la diagnosi che aveva ricevuto dal terzo medico consecutivo qualche giorno prima.
Si trovava davanti alla ruota panoramica. Era presto e non c'era molta ressa: le coppiette volevano vedere la città quando era illuminata nel buio... era tutto più bello con quelle lucine a confondere la realtà. Decise di salire, un modo per allontanarsi dal caos e sedersi qualche minuto mentre la ruota girava.
Monaco si estendeva grigia sotto il suo sguardo impietoso. Non riconosceva il panorama. Non gliene fregava niente.
Sbuffò e guardò verso il cielo.
Un palloncino rosso sperduto stava salendo in alto. Immaginò si fosse staccato da una decorazione. Lo seguì per un momento volare sospinto da una leggera corrente d'aria... e puf! Lo vide esplodere. E all'improvviso, non c'era più.
La calma lo pervase con una strana consapevolezza: si trovava lì per vivere quest'unico istante, dopo essersi distrutto di birra e ira, dopo aver azzerato sé stesso in una nebbia di pensieri infuocati... ecco, adesso, uno splendente lampo di lucidità.
Quante possibilità avrebbe mai avuto di assistere ad un simile piccolo momento? Quanto della sua storia era andato sprecato trasportato dagli eventi in un vivere distratto? E ora che sentiva tra le mani tutta la responsabilità della propria vita, a chi doveva affidare la decisione più importante?
Adesso lo capiva: doveva scegliere. No, di più: lo voleva.
E l'energia di questo stato d'animo lo riscosse: comprese che aveva preso subito la decisione che lo tormentava, ma aveva avuto paura di tutte le conseguenze che avrebbe dovuto affrontare. La paura lo stava facendo vagare come un palloncino, fino all'esplosione finale.
Ma adesso aveva deciso: per tutto il tempo possibile, lui avrebbe lottato.
Avrebbe vissuto.
SONICA Orso si sposta goffamente Con passo irregolare Nel flusso irregolare della gente Che scontra Le mani dentro a un buco Tasche sfinite Vociare di monete obsolete Orso ci vede nebulosamente Nebulosamente Già Le luci del giorno gli danno Quel non so che lo turba Gli manca quel buio Che non si trova in fondo alla via In fondo alla via Luci del giorno che danno Quel non so che ti turba e ti fanno lievitare Fragori nella mente Rumori, dolore Lampi, tuoni e saette, schianti di latte Fragori e albori di guerre universali Scontri letali Sonica
Gabriella
(09/01/23, 11:39)
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reginarix · 1 year
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Oggi ho 15 anni.
Piccolo dolore da festa ignorata. Dolcemente imbronciata mentre faccio colazione. A 15 anni conta più di tutto come mi sento, l'idea che ho di me. È l'egoismo dei figli, un diritto inalienabile.
Vorrei restare un po' nella mente a parlare di emozioni e desideri. O addirittura progetti.
Trovare il modo di parlare al mio amore di cosa sento, cosa vorrei. Senza la fatica di superare prima le urgenze della realtà adulta e meschina. Perché poi ammutolisco e non riesco più a condividere nulla.
Prima gli vorrei aprire il mio cuore, poi mi occuperò delle cose da fare, efficiente a sufficienza per portare alla fine anche questa giornata.
Oggi ho 15 anni e mi sento triste e sola, niente affatto speciale, arresa. Sono infantile? Oh, sì. Sfuggente, incostante e annoiata. Ma sono così giovane da darmi una possibilità: prima o poi le cose cambieranno.
Prima o poi cambierò io.
"Tutto è tranquillo il primo giorno dell'anno
Un mondo in bianco si mette in moto.
E io voglio stare con te
Stare con te giorno e notte.
Nulla cambia il primo giorno dell'anno"
Gabry,
01/01/2023, 09:15
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reginarix · 1 year
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Tutto mio.
I lunghi periodi di silenzio.
Le estreme condivisioni.
Le analisi maniacali dei pensieri.
La curiosità che apre qualsiasi porta.
Lo sconcerto della indocile fantasia.
I compromessi della più vivace razionalità.
I misteriosi drammi interiori.
L'adrenalina da troppa allegria.
L'incantevole carica erotica.
La sinfonia emozionionale del battito del cuore.
E poi, le decisioni: sempre definitive.
Il tutto e il vuoto,
io
doppia, combattuta.
Bipolare.
Sono tutto quanto,
Tutto insieme.
Ma sono io.
Tutto quello che senti.
Gabriella
27/12/2022, 12:25
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reginarix · 1 year
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Oggi ho 120 anni.
Guardo con serenità al mio passato, ho fatto di tutto per non lasciarmi dietro schegge di rimorsi, lame di rimpianti. Sapevo sempre cosa stavo facendo, e anche quando ho perso tutto è stato un gesto assolutamente consapevole: rifarei tutto da capo. Magari lo rifarei prima.
Ripenso a quella bolla virtuale in cui mi nascondevo, piccoli momenti di quiete tra i miei tormenti. Così facile mentire, manipolare, confondere e ferire. E sentirmi sempre così innocente, saggia e giusta. Ero così incantevole nel mantenere le distanze, deliziosamente curiosa dei pensieri di chi mi parlava.
Tanti riconoscevano in me la loro stessa solitudine, piccoli fari che si salutavano da lontano. E io li rispettavo e li proteggevo, erano i miei affini.
Altri erano solo bramosi di sporcare la mia ingenuità: e io mi divertivo, ero per loro come dovevo essere, timorosa, indignata, oppure intrigata e spavalda... Con quale diabolica facilità entravo e uscivo dalle loro vite lasciando quel tocco di sconcerto che li spingeva a cercarmi, a volere di più. E restare scottati, delusi e frustrati.
Che noia provavo. Quanta disillusione.
Poi una sera qualcuno entrò in quel mio mondo.
E lo fece esplodere.
Era quello che mi serviva, la cura ai miei mali.
" E non saranno i soldi che le mancano
A ripagar la voglia che le resterà
E puoi provare a sostituirla con l'alcol
E puoi provare a metterci sopra un vestito
Ma quello che è sicuro è che
Questa sera, questa sera..."
14/12/2022, 10:10
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reginarix · 1 year
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Da dove vieni
Sei nato da persone felici, credimi. Poi, dopo un po', le cose sono cambiate, ma tu, mio bellissimo gioiello, sei venuto al mondo in un amore allegro e promettente.
Ma non basta essere innamorati per vivere insieme, bisogna raggiungere un equilibrio in cui progredire, come coppia, come individui.
E invece io e te stavamo crescendo da soli.
Tutto te stesso, in amore, e anche di più, ciò che ancora non sei. Questo devi investire. Funziona solo così, e solo se anche lei ti dona tutta se stessa e di più, in equilibrio. Funziona solo se vi prendete cura l'un l'altra, insieme.
E solo adesso che sei innamorato puoi capire meglio ciò che fu, e come andarono le cose, e come ne uscimmo.
Con amore
Gabriella B.
28/11/2022, 14:26
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