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#intellettuali italiani del '900
gregor-samsung · 2 months
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Il signore delle formiche (Gianni Amelio, 2022)
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pangeanews · 6 years
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“A cosa serve fare il dittatore quando uno ha famiglia?”: Dylan Thomas sfotteva Mussolini a teatro
Per prima cosa passarono da Milano, “città gigantesca, da incubo”, solo perché avevano perso i bagagli, poi giù verso la Riviera ligure, Rapallo, San Michele di Pagana, i paesi diventati una indelebile pagina delle letteratura inglese grazie a Ezra Pound, William Butler Yeats, Ernest Hemingway. Era aprile, era il 1947, quando Dylan Thomas, questa specie di Bacco malato, icona caravaggesca della poesia occidentale, questa specie di Rimbaud redivivo, folle&pingue, nato a Swansea, la città con il cigno sullo stemma, Galles, il brutto anatroccolo diventato il più grande poeta del dopoguerra, arrivò a Firenze.
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Del fatidico ‘Giubbe Rosse’, dove s’affollavano i futuristi e Soffici brindava con Papini, Dylan Thomas, alieno ai bagliori dei club letterari, ricorda il tavolino. Lì sopra scrisse una delle tante, patetiche, lettere livide di lacrime alla moglie Caitlin, enormemente tradita (lei ricambiava, per altro, con godimento): “Posso solo dire che ti amo come non mai; questo significa che ti amo per sempre, con tutto il cuore e tutta l’anima, ma questa volta come un uomo che ti ha perso. Ti amerò. Davvero ti amo. Sei la donna più bella che sia mai vissuta”. Quando i poeti arrivavano a omaggiarlo, Dylan si nascondeva. “Qualche volta andava in centro a Firenze a passare una serata nei caffè. Attorno si radunavano gli intellettuali. Thomas fissava nel vuoto e si addormentava. Una fonte attendibile racconta che una volta si nascose nel guardaroba per evitare di incontrare uno scrittore italiano venuto a fargli visita” (Paul Ferris, in Dylan Thomas. Essere un poeta e vivere di astuzia e birra, Mattioli 1885, 2008).
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Preferiva la compagnia di Luigi Berti, grande traduttore dall’inglese: si davano, insieme, a memorabili bevute. I poeti italiani erano noiosi già all’epoca, evidentemente. Eppure, Dylan Thomas, poeta puro, che depurò la poesia dall’eccesso culturale, riportandola alla sua natura formale e ferina, ha influenzato una bella fetta della lirica italiana. Eugenio Montale e Piero Bigongiari lo onorarono con le loro traduzioni (modeste quelle di Montale), uno dei grandi poeti di oggi, Alessandro Ceni, nasce ispirato da Dylan Thomas. D’altronde, anche Dylan ha un antico debito verso l’Italia.
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Siamo nel 1932, o giù di lì, Dylan è un “ladro del fuoco”, direbbe Rimbaud – l’unico paragone decente – uno che ha il fuoco lirico dentro. Nel 1932 Dylan Thomas ha diciotto anni: l’anno successivo sarebbe sbarcato a Londra con una poesia in tasca, destinata a una fama infinita, And death shall have no dominion, che strapperà sospiri a Sua Maestà Lirica Thomas S. Eliot. Di lì a pochissimo, nel 1934, Dylan Thomas sorge alla poesia inglese con la prima raccolta, 18 Poems. Nei primi anni Trenta, giovanissimo, Dylan Thomas pratica il giornalismo (sul South Wales Daily Post) e fa teatro, presso il Little Theatre, con la sua amica Ethel Ross.
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Precocissimo, uno sparo, va considerata la verve ‘teatrale’ di Dylan Thomas. Dal 1945 la BBC ingaggia Dylan per una serie di conversazioni radiofoniche: lui è un po’ druido, un po’ aedo, un po’ pagliaccio. Il 18 giugno del 1946 delinea il poeta così: “un poeta è poeta soltanto per una minuscola parte della sua vita; per il resto è un essere umano, e uno dei suoi doveri è di conoscere e di sentire quanto più è possibile tutto ciò che si muove intorno e dentro di lui, così che la sua poesia possa essere il suo tentativo d’esprimere il culmine dell’esperienza umana in questa nostra strana terra che ha tutta l’aria di voler andare all’inferno”.
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La poesia, estremamente, è una attitudine, un Nord delle ossa, una postura. Poi, nell’eventualità, si scrive. Dylan Thomas ci insegna che, beh, si può vivere come poeti – affollati da una strana disperazione, da una straordinaria gioia.
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Un pagina di “Lunch at Mussolini’s”, testo di Dylan Thomas del 1932, scoperto da Roberto Sanesi
Gli archivi di Ethel Ross, ora, sono al Swansea University Archives, ma fu Roberto Sanesi, supremo anglista e grande traduttore delle Poesie di Dylan Thomas (la prima fu nel 1953, per Guanda, aveva 23 anni…), a fare la scoperta. “Alla ricerca di testimonianze sugli anni giovanili di Dylan Thomas, nel 1958 incontrai a Swansea Ethel Ross, cognata del pittore Alfred Janes. Nel 1932, quando Miss Ross conobbe per la prima volta Dylan Thomas allo Swansea Little Theatre, il giovanissimo poeta era già un ‘veterano’ delle peripezie filodrammatiche di quel periodo di provinciali tentativi di revival nella piccola sala di tipo parrocchiale incastrata fra il mare e la collina a Southend, Mumbles”. Ethel mostra a Sanesi “tre fogli battuti a macchina”. Titolo: Lunch at Mussolini’s. Pranzo da Mussolini. Questa la testimonianza di Ethel: “Questo particolare sketch (Thomas) me lo diede per metterlo in scena al Little Theatre. A quel tempo ero io che di solito scrivevo degli sketches comici per i parties che si tenevano dopo ogni spettacolo; ma quello non venne mai rappresentato… Comunque, il testo l’ho ancora io”. Il testo viene pubblicato nel 1970 sulla rivista Il Dramma e riproposto nel 1972, da M’Arte Edizioni in Milano, in un libro artistico, stampato in 100 copie numerate, con silografie di Mino Maccari. Ora, per altro, è leggibile in un sito italiano dedicato a Thomas, con parecchi materiali interessanti.
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Beh, pare una ‘chaplinata’, qualcosa tra l’atto buffo, la smorfia di Chaplin, l’esigenza comica dei Marx, lo sgorbio di Buster Keaton. Il Dux è un tipo assillato dalla famiglia, che brontola e che agisce d’impeto, come una bestia fragile, contro chi non la pensa come lui. Siamo negli anni Trenta, in Galles, e Benito Mussolini è osservato da un ragazzo di 18 anni con l’ossessione per la poesia e la fantasmagoria biblica in corpo. Il guizzo geniale mi pare proprio quello: guardare il Duce, di cui è nota la prorompente oratoria pubblica, nell’atto privato, incalzato dalla moglie sul cibo (conta soltanto quello e guai a dire che la cucina italiana è modesta), che si premura di sottolineare, niente aglio, per favore, perché “stasera devo tenere un discorso patriottico”, e quando ha l’indigestione scatena incidenti diplomatici e guerreschi. D’altronde, direi, si governa come si caga, il cervello è l’appendice dell’intestino. (d.b.)
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“Pranzo da Mussolini”
Un atto unico di Dylan Thomas
La stanza da pranzo nella casa di Mussolini a Roma. Entra Mussolini. Indossa la sua uniforme più pittoresca e la migliore della sue espressioni inscrutabili. La famiglia scatta sull’attenti. Lui si siede. Loro si siedono.
MUSSOLINI (versandosi il caffè). Insomma, questo è troppo. L’acqua per la barba era fredda un’altra volta. Lo scaldabagno non funziona, e il bagno è in condizioni schifose. LA MOGLIE. Beh, ma cosa pretendi caro, se ci vuoi tenere una mitragliatrice? MUSSOLINI. Bisogna pure che mi difenda, no? LA MOGLIE. Ma non nella stanza da bagno, caro. MUSSOLINI. Bah! (Sbucciandosi una banana). E guarda questa banana, è marcia. Possibile che non vada mai bene niente in questo posto? LA MOGLIE (compiacente). No, caro. Spero ti sia ricordato di cambiarti la biancheria. MUSSOLINI. Certo. E di far prendere aria alla camicia. E di pulirmi i denti. E di lavarmi dietro le orecchie. IL FIGLIO. Perché papà s’è messo l’uniforme oggi? Deve andare a posare una prima pietra o a inaugurare una biblioteca pubblica? LA MOGLIE. Sta’ zitto, caro. Deve andare a farsi fotografare. MUSSOLINI (secco). Piantala, signorino. (Il ragazzo comincia a frignare. Le donne si guardano). LA MOGLIE. Benito! (Nessuna risposta) Benito! MUSSOLINI. Insomma, cosa c’è? Non ce l’ha un fazzoletto questo ragazzo? LA MOGLIE. Sì, caro. MUSSOLINI. E allora perché non lo adopera? (Il ragazzo ricomincia a frignare) Non lo vedi che sono occupato? Stasera ho un discorso importante. LA MOGLIE. Allora non ti dimenticare l’ombrello, caro, sembra che stia per piovere. MUSSOLINI. Bah! LA MOGLIE. A proposito del vestito nuovo di Edda… MUSSOLINI. E t’aspetti che mi metta a discutere d’una faccenda del genere? EDDA. Dovrò pure averne uno, no? MUSSOLINI. Non essere impertinente. LA MOGLIE. La bambina ha ragione. Se non facciamo alla svelta, perdiamo la svendita. MUSSOLINI. Vorrei sapere a cosa serve cercar di fare il dittatore quando uno ha famiglia. LA MOGLIE. Vorrei che tu non fossi così violento, caro. Quasi rompevi un piattino. MUSSOLINI. Ma come osa? Come osa? Io lo faccio fucilare. Lo faccio fare a pezzi. Lo faccio… LA MOGLIE. Qualcuno che non è d’accordo con te, caro? MUSSOLINI. Che non è d’accordo? Quell’infernale direttore di tutta ’sta porcheria ha avuto il coraggio di criticarmi. (Afferra il campanello). LA MOGLIE. No, un minuto caro. Non abbiamo ancora deciso cosa si mangia a pranzo. MUSSOLINI. Pranzo! Quando i destini dell’Impero tremano?… LA MOGLIE. Sì, caro. Non tornerai tardi anche oggi, eh? MUSSOLINI. Non lo so. Come faccio a saperlo. Perché? LA MOGLIE. Se continui ad arrivare in ritardo per i pasti non riusciremo mai a tenerci in casa una donna di servizio. MUSSOLINI. Mai sentita una cosa simile. Sei tu che ti devi imporre. LA MOGLIE. Sì, caro. Forse ti piacerebbe cominciare con la cuoca? MUSSOLINI (in fretta). Io… eh… certo che no. Ho già abbastanza da fare. (Suona  il campanello. Entra il segretario). IL SEGRETARIO. Eccellenza? MUSSOLINI (mostrando il giornale). L’avete visto? IL SEGRETARIO. Sì, Eccellenza. La polizia segreta l’ha arrestato un’ora fa. Vogliono sapere cosa gli devono fare. MUSSOLINI. Fare? Dobbiamo essere indulgenti. Era un vecchio amico di mio padre. Diciamo vent’anni di galera in una fortezza e un’ammenda di tre milioni. IL SEGRETARIO. Molto bene, Eccellenza. E c’è un’altra questione. MUSSOLINI. Un’altra? IL SEGRETARIO. Al Lido due tedeschi si sono lamentati della cucina dell’albergo. MUSSOLINI. Si sono lamentati della cucina italiana? È un insulto. Immediata rappresaglia con l’Ambasciatore tedesco. IL SEGRETARIO (si inchina e si ritira). Molto bene, Eccellenza. MUSSOLINI. Ecco come ci si deve comportare… Con fermezza. A fronte alta. È così che Napoleone… LA MOGLIE. Sì, caro. Ma cosa vorresti a pranzo? MUSSOLINI. Pranzo! Ma che importanza ha? Lo sai che non bado a cosa mangio. LA MOGLIE. Cosa ne diresti di un po’ di vermicelli, allora? MUSSOLINI. Assolutamente no. Li abbiamo mangiati lunedì. LA MOGLIE. Ma sono nutrienti, ti fanno bene, caro. MUSSOLINI. Ti ho detto niente vermicelli. Non facciamo che mangiare vermicelli. LA MOGLIE. Magari potresti pensare tu a qualcosa. IL FIGLIO. Maccheroni. EDDA. Ssssh! MUSSOLINI. Cosa vuoi dire, signorina? Ssssh? Suppongo di poter avere maccheroni se mi va di avere maccheroni, sì o no? LA MOGLIE. Sì, caro. Ma ricordati cos’è successo l’ultima volta che abbiamo mangiato maccheroni. MUSSOLINI. Eh? IL FIGLIO. Sì, papà. Ti sei preso l’indigestione e hai mandato la flotta contro la Grecia. MUSSOLINI. Come osi? Sai quanta gente è morta per avermi detto molto meno? LA MOGLIE. Sì, caro, ma si può sapere cosa vuoi a pranzo? MUSSOLINI. Te l’ho detto che non mi interessa. Basta che non ci sia l’aglio. Stasera devo tenere un discorso patriottico. LA MOGLIE. Vermicelli, allora? MUSSOLINI. Bah!
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giancarlonicoli · 4 years
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23 MAR 2020 12:12
ALBERTO ADDIO – DAGO: “COME FLAUBERT CLASSIFICAVA TUTTE LE SOMARAGGINI DELLA SUE EPOCA, ARBASINO HA VIAGGIATO ATTRAVERSO LA SUBLIME STRONZAGGINE ITALIANA, CON LE SUE COSTANTI ("CONFORMISMI E LECCACULISMI") E LE ULTIME MODE ("LA BELLA VOLGARITÀ"). SEDUTO TRA GIOVENALE E MARZIALE, LO SCRITTORE DI VOGHERA È L'ULTIMO DEI SATIRI, PRIMA DELLE OMOGENEIZZAZIONI A LIVELLO SCADENTE E DEMENTE. UN ARTISTA LIBERO E SPONTANEO COME LA VERDURA, GALEOTTO E CRUDELE COME UNA FIABA SCRITTA DA UNO SWIFT"
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E’ morto Alberto Arbasino. Aveva compiuto 90 anni lo scorso gennaio. A dare l’annuncio della morte la famiglia spiegando che Arbasino si è spento “serenamente” dopo una lunga malattia.
ALBERTO ADDIO
Roberto D’Agostino per Dagospia
Si hanno in Italia casi frequentissimi, quotidiani, specie in Italia, di sregolatezza senza genio, programmata a tavolino, calcolata in modo furbetto. In Alberto Arbasino, la congiunzione di estri e di astri è naturale, non si neutralizza mai in rappresaglie fatte di piccinerie, meschinità, bassezze firmate - miserie tipiche del nostro Establishment culturale.
“Fratelli d’Italia”, "Fantasmi italiani", "Un Paese senza", "Trans-Pacific Express", gli articoli su "la Repubblica", sono stati i miei modelli letterari. L'ho seguito, ammirato, copiato come uno scudiero segue - e pedissequamente mima - il suo cavaliere errante. Arbasino è un cavaliere errante sulla palude italiana, in possesso di una cultura acrobatica che, balzando da un cavallo all'altro, dalla letteratura alla pittura, dal teatro al cinema, percorre territori estrosi e capricciosi, cattura l'improvvisazione con i furori di una mitragliatrice giocattolo. Ecco: l'amore per la parola, la maestria nell'uso della parola; che è sempre sorprendente: piena, intensa, ironica, mai banale.
Come Flaubert classificava tutte le somaraggini della sue epoca, Arbasino ha viaggiato attraverso la Sublime Stronzaggine italiana, con le sue costanti ("conformismi e leccaculismi") e le ultime mode ("la bella volgarità"). Attenzione però: non è mai moralisteggiante, col ditino alzato e la puzza sotto il naso. Un artista libero e spontaneo come la verdura, galeotto e crudele come una fiaba scritta da uno Swift. Quindi, senza farti soffrire, a partire da quel capolavoro del secondo ‘900, “Fratelli d’Italia”, ha soffritto il nostro Paese, i tempi, i costumi, le manie, i i tic e gli chic, i vizi e i gusti della bella e brutta gente e di quella così così.
Seduto tra Giovenale e Marziale, ironico nella molteplicità del gioco linguistico, lo scrittore di Voghera è l'ultimo dei satiri, prima delle omogeneizzazioni a livello scadente e demente. Per l'erudizione vertiginosa, il carattere sarcastico, la lotta contro la cialtroneria in qualunque sede e aspetto... E' la mirabolante attitudine di un cavaliere errante tra Vaticano dello Spirito e il Vesuvio della carne, in possesso di una cultura acrobatica che, balzando da un cavallo all'altro, dalla letteratura alla pittura, dalla politica al cinema, cattura l'indenti-Kitsch tricolore con i furori di una mitragliatrice giocattolo.
Per me, ogni incontro con Arbasino è stato un incontro con l'intelligenza. Quando penso a quale livello ignobile sono arrivati gli intellettuali che scrivono sui quotidiani o sui settimanali, quando penso alla loro mancanza di esperienza culturale autentica, alla mancanza di viaggi e di visite ai musei e ai luoghi di cultura, Arbasino per me era una sorta di miracolo. Gli devo quasi tutto: idee, forma, stile. Penso che il massimo complimento che qualcuno può farmi, sia di dirmi che sono stato allattato dall'arte di Arbasino.
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freedomtripitaly · 4 years
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Se avete già ampiamente sentito parlare del villaggio azzurro di Chefchaouen in Marocco, della città blu di Jodphur in India e persino del borgo di Casamassima in Italia e avete sognato di andare a visitarli, forse non conoscete ancora Safad o Safed o Zefat o Tsfat, un delizioso villaggio il cui nome viene tradotto in mille modi e che si trova in Israele. Il villaggio azzurro israeliano sembra uscito dalla tavolozza di un pittore. Con le sue stradine lastricate, i muri azzurri, gli infissi delle case dipinti di blu e i pittoreschi suq è un luogo assolutamente da vedere durante un viaggio in Israele. @123rf Si trova nella regione della Galilea, a un’altitudine di 900 metri. Proprio per la sua posizione dominante, i Templari vi eressero una fortezza (oggi scomparsa). La città godette di grande prosperità, fino intorno al XVI secolo. Qui si rifugiarono numerosi eruditi espulsi dalla Spagna nel 1492, così che divenne uno dei principali centri intellettuali, tanto che vi fu costruita la prima tipografia del vicino Oriente. Safad è una delle quattro città sante di Israele, insieme a Gerusalemme, Hebron e Tiberiade. Epidemie, terremoti e guerre contribuirono al lento spopolamento del villaggio di Safad, ma negli ultimi anni è tornato a essere un luogo molto amato da artisti e intellettuali, ai quali va il merito di averlo reso una meta attraente per i turisti che sempre più numerosi visitano il Paese. @123rf Tante, nel centro storico, le gallerie d’arte, le piccole guest house, le locande, le decoratissime sinagoghe. Da non perdere, la grande scalinata che divide in due la città. Fu usata dagli inglesi per separare il quartiere arabo da quello ebraico prima del 1948. Merita una visita anche la Hameiri House, un museo che documenta la vita degli ebrei di Safad negli ultimi due secoli. Ogni piano della casa museo mostra una differente attività della comunità. Il villaggio si gira tutto a piedi, un sali-scendi di scalinate e vicoli serpeggianti che portano il turista alla scoperta degli angoli più segreti del villaggio azzurro. @123rf Secondo gli ultimi dati rilasciato dal ministero del Turismo di Israele, nel 2019 è stato superato il record con 4,55 milioni di turisti, il 10,6% in più rispetto al 2018. Solo gli italiani sono stati 201mila ovvero il 29% in più del 2018 e addirittura l’81% in più del 2017. In programma per il 2020 c’è proprio il rilancio della Galilea, pertanto sentiremo parlare ancora Safad, Safed, Zefat o Tsfat. Comunque lo si voglia chiamare, mettete questo villaggio nella lista dei siti da visitare. Prima che ci arrivino tutti. @123rf https://ift.tt/2FMqwIy Il villaggio azzurro in Israele che fa sognare Se avete già ampiamente sentito parlare del villaggio azzurro di Chefchaouen in Marocco, della città blu di Jodphur in India e persino del borgo di Casamassima in Italia e avete sognato di andare a visitarli, forse non conoscete ancora Safad o Safed o Zefat o Tsfat, un delizioso villaggio il cui nome viene tradotto in mille modi e che si trova in Israele. Il villaggio azzurro israeliano sembra uscito dalla tavolozza di un pittore. Con le sue stradine lastricate, i muri azzurri, gli infissi delle case dipinti di blu e i pittoreschi suq è un luogo assolutamente da vedere durante un viaggio in Israele. @123rf Si trova nella regione della Galilea, a un’altitudine di 900 metri. Proprio per la sua posizione dominante, i Templari vi eressero una fortezza (oggi scomparsa). La città godette di grande prosperità, fino intorno al XVI secolo. Qui si rifugiarono numerosi eruditi espulsi dalla Spagna nel 1492, così che divenne uno dei principali centri intellettuali, tanto che vi fu costruita la prima tipografia del vicino Oriente. Safad è una delle quattro città sante di Israele, insieme a Gerusalemme, Hebron e Tiberiade. Epidemie, terremoti e guerre contribuirono al lento spopolamento del villaggio di Safad, ma negli ultimi anni è tornato a essere un luogo molto amato da artisti e intellettuali, ai quali va il merito di averlo reso una meta attraente per i turisti che sempre più numerosi visitano il Paese. @123rf Tante, nel centro storico, le gallerie d’arte, le piccole guest house, le locande, le decoratissime sinagoghe. Da non perdere, la grande scalinata che divide in due la città. Fu usata dagli inglesi per separare il quartiere arabo da quello ebraico prima del 1948. Merita una visita anche la Hameiri House, un museo che documenta la vita degli ebrei di Safad negli ultimi due secoli. Ogni piano della casa museo mostra una differente attività della comunità. Il villaggio si gira tutto a piedi, un sali-scendi di scalinate e vicoli serpeggianti che portano il turista alla scoperta degli angoli più segreti del villaggio azzurro. @123rf Secondo gli ultimi dati rilasciato dal ministero del Turismo di Israele, nel 2019 è stato superato il record con 4,55 milioni di turisti, il 10,6% in più rispetto al 2018. Solo gli italiani sono stati 201mila ovvero il 29% in più del 2018 e addirittura l’81% in più del 2017. In programma per il 2020 c’è proprio il rilancio della Galilea, pertanto sentiremo parlare ancora Safad, Safed, Zefat o Tsfat. Comunque lo si voglia chiamare, mettete questo villaggio nella lista dei siti da visitare. Prima che ci arrivino tutti. @123rf Safad è un delizioso villaggio di artisti e intellettuali che si trova sulle alture della Galilea e che vale la pena visitare durante un viaggio in Israele.
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patriziadidio · 5 years
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Non basta un doodle: il lavoro per le donne non guarda al merito
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Il doodle dedicato da Google all’italiana Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, considerata la prima donna laureata al mondo, ha messo sotto i riflettori una figura femminile spesso dimenticata. Che andrebbe invece ricordata più spesso. Nata a Venezia nel 1646, Elena non riuscì a laurearsi in Teologia, come avrebbe desiderato, perché fu osteggiata ma cosa eccezionale per i suoi tempi si laureò in Filosofia all’Università di Padova.
Le sue eccezionali doti intellettuali però non furono uno strumento di emancipazione femminile, né di affermazione del diritto a competere con gli uomini nel campo intellettuale. La sua laurea fu uno spiraglio immediatamente richiuso tanto che solo nel 1732 si laureò un’altra donna, Laura Bassi. E dopo ci sono state poche altre, anzi pochissime, donne speciali che sono riuscite prima del ‘900 ad accedere a percorsi di studio che i pregiudizi sociali precludevano loro.
Nell’Ateneo padovano la statua che raffigura la Piscopia non deve essere solo un omaggio a questa straordinaria figura femminile ma anche un monito che ricordi come in tutti i secoli, e in ogni parte del pianeta, le donne hanno dovuto lottare, e purtroppo ancora oggi lottano, per ottenere il diritto all’istruzione.
Se ripercorriamo sinteticamente la recente storia della nostra nazione dopo l’Unità d’Italia, nel 1900, erano solo duecentocinquanta le donne iscritte all’Università, e nel 1901, quasi la metà della popolazione era analfabeta (il 48,7%), le donne in misura maggiore rispetto agli uomini. Ma non bisogna dimenticare che sono state proprio le donne ad alfabetizzare gli italiani in quanto più di sessantamila maestre furono lo strumento dell’alfabetizzazione di massa sia nelle grandi città che nei piccoli paesini di provincia.
Nel 1926 il regime fascista ostacolò addirittura l’istruzione femminile: le donne furono escluse dall’insegnamento dell’italiano, del latino, del greco, della storia e della filosofia nei licei. Nel 1929 il governo di Mussolini aumentò mediamente del 40% l’importo delle tasse scolastiche per le studentesse che frequentavano la scuola media e l’università, di fatto ostacolando il loro percorso di studi.  L’allora ministro della Pubblica Istruzione, Giovanni Gentile, mal tollerava quella che definiva “l’invasione nelle università da parte delle donne”. Nonostante i muri alzati e gli ostacoli posti sul cammino delle studentesse, la scolarità femminile aumentò costantemente durante gli anni Trenta fino a raggiungere, nell’anno accademico 1990/91, un dato importante: il numero delle laureate superò quello dei laureati.
Se si arriva ai giorni nostri la situazione non è poi tanto diversa: dal 2004 a oggi le donne tra i 25 e i 34 anni con un titolo universitario sono aumentate del 50%, gli uomini solo del 39,1%. Un primato che le donne mantengono da almeno 15 anni. E c’è un divario leggermente più ampio tra i più giovani di questo segmento, tra cui le laureate hanno fatto un balzo del 67,3%, i laureati del 55,7% [1].
Nel dettaglio, secondo i dati dell’Istituto nazionale di Statistica, analizzando i dati del periodo che va dal 2008 al 2017 in generale il livello di istruzione delle donne risulta più elevato di quello maschile. Il 63% ha almeno un titolo secondario superiore (contro 58,8% degli uomini) e il 21,5% ha conseguito un titolo di studio terziario, ovvero la laurea (contro 15,8% degli uomini). Inoltre, i livelli di istruzione femminili stanno aumentando più velocemente di quelli maschili. Nel 2017, la quota di 30-34enni in possesso di laurea è pari al 26,9% (39,9% la media Ue). Nonostante in Italia il numero delle persone con una laurea continua ad aumentare di 7,7 punti, il nostro paese è il penultimo tra i paesi dell’Unione e non è riuscito a ridurre il divario con l’Europa.
Ma bisogna ripartire dal primato tutto italiano delle donne più istruite: siamo, secondo World Economic Forum, primi al mondo per iscrizioni all’Università. Lascia ben sperare il fatto che le donne italiane sono attive a livello culturale, e inoltre vanno più a teatro e leggono di più, e anche online sono molto presenti. L’immagine è quella di donne che sono presenti, agiscono e sono attive in più campi[2]. Non a caso molto del mio impegno è rivolto a promuovere a più livelli l’assunto che le donne sono e devono essere il motore della ripresa. Non soltanto un’idea, ma speriamo presto una realtà.
Avere più donne con un’istruzione universitaria in teoria dovrebbe significare più donne occupate, e con una occupazione di qualità. Apparentemente questi dati sarebbero una buona notizia, per esempio segnalerebbero progressi verso una minore disuguaglianza di genere. In teoria, però.
Perché c’è allo stesso tempo uno scollamento tra l’alto livello di istruzione e specializzazione delle donne italiane e il dato negativo dell’occupazione femminile che vede l’Italia fanalino di coda del Paesi occidentali.
Non dimentichiamo poi come in Italia permanga una situazione di sotto-rappresentanza femminile, sia in termini di rappresentanza politica che nei consigli di amministrazione. La situazione peggiore si trova negli organi decisionali, dove la presenza femminile supera di poco il 16% del totale. Al contrario nella libera impresa le donne stanno dimostrando che hanno le cosiddette soft skills necessarie per organizzare, dirigere, guidare le proprie aziende con successo.
Perché le donne, in Italia, sono le più istruite e le meno occupate? I dati non ci dicono cosa continua a non funzionare. Ma certo è che i dati ci dicono che esiste un corto circuito nelle dinamiche lavorative. Se il surplus di istruzione, studi, attività e interessi sembra non rappresentare un vantaggio, necessariamente vanno modificati quei meccanismi di accesso al mercato del lavoro che forse non sono sufficientemente basati sul merito e sulle pari opportunità per tutti. E su questo non sono le statistiche che possono darci una risposta. Ma la politica forse dovrebbe.
Stiamo buttando via il segmento più istruito della popolazione. E poi ci chiediamo perché non si cresce. La questione femminile dovrebbe essere al centro delle molte, troppe, tavole rotonde alla ricerca di magiche ricette per far ripartire l’economia.
Perché non puntare sulla parte più istruita della popolazione?
È una fondamentale questione di democrazia: il ritardo italiano, tra le economie più sviluppate, ha e potrebbe avere anche conseguenze sociali, oltre che economiche, importanti se l’occupazione femminile non riesce ad avanzare in tempi brevi a livelli accettabili.
Oltretutto in Italia abbiamo un problema di nascite.  
Per combattere il nostro calo demografico il modo più sicuro è quello di far lavorare le donne, garantendo loro un sistema meritocratico in cui le paghe e i percorsi di carriera siano equivalenti a quelli degli uomini.
Occupazione e natalità crescono insieme.
Anche questo ci dicono i dati: in Europa è il secondo stipendio che permette alle famiglie quel secondo figlio che poi garantisce la sostenibilità del nostro sistema sociale.
Patrizia Di Dio
[1] https://www.linkiesta.it/it/article/2019/03/28/istruzione-uomo-donna-italia/41564/
[2] https://alleyoop.ilsole24ore.com/2018/11/29/istat-donne/
  di Patrizia Di Dio Articolo originale https://ift.tt/2HXKn9b
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italianaradio · 5 years
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Giornate FAI d’Autunno: vario e stimolante il programma delle tappe calabresi
Nuovo post su italianaradio https://www.italianaradio.it/index.php/giornate-fai-dautunno-vario-e-stimolante-il-programma-delle-tappe-calabresi/
Giornate FAI d’Autunno: vario e stimolante il programma delle tappe calabresi
Giornate FAI d’Autunno: vario e stimolante il programma delle tappe calabresi
Le Giornate FAI d’Autunno compiono otto anni e sono sempre in crescita come offerta e presenza sul territorio. Sono giovani perché animate e promosse proprio dai Gruppi FAI Giovani, che anche per quest’edizione hanno individuato itinerari tematici e aperture speciali che permetteranno di scoprire luoghi insoliti e straordinari in tutto il Paese. Un weekend unico, irrepetibile, che sabato 12 e domenica 13 ottobre 2019 toccherà 260 città, coinvolte a sostegno della campagna di raccolta fondi del FAI – Fondo Ambiente Italiano “Ricordati di salvare l’Italia”, attiva a ottobre. Due giorni per sfidare la capacità degli italiani di stupirsi e cogliere lo splendore del territorio che ci circonda, invitando alla scoperta di 700 luoghi in tutta Italia, selezionati perché speciali, curiosi, originali o bellissimi. Saranno tantissimi i giovani del FAI ad accompagnare gli italiani lungo i percorsi tematici espressamente ideati per l’occasione. Itinerari a tema, da percorrere per intero o in parte, che vedranno l’apertura di palazzi, chiese, castelli, aree archeologiche, giardini, architetture industriali, bunker e rifugi antiaerei, botteghe artigiane, musei e interi borghi. Le Giornate FAI d’Autunno sono, quindi, il risultato della forza e dell’entusiasmo delle nuove generazioni, simbolicamente incarnata in quel giovane che, duecento anni fa, a ventun anni, scrisse i versi immortali dell’Infinito: Giacomo Leopardi. Per questo l’edizione 2019 è dedicata a lui e alla sua poesia, patrimonio collettivo della cultura italiana. Ogni visita prevede un contributo facoltativo, preferibilmente da 2 a 5 euro, a sostegno dell’attività della Fondazione. Durante le Giornate FAI d’Autunno in via eccezionale anche i Beni FAI saranno accessibili a contributo facoltativo. Per gli iscritti FAI e per chi si iscriverà per la prima volta – a questi ultimi sarà dedicata la quota agevolata di 29 euro anziché 39 – saranno riservate aperture straordinarie, accessi prioritari, attività ed eventi speciali in molte città. La quota agevolata varrà anche per chi si iscriverà per la prima volta tramite il sito www.fondoambiente.it dal 1° al 20 ottobre. L’ottava edizione delle Giornate FAI d’Autunno si svolge con il Patrocinio della Commissione europea, del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, di tutte le Regioni e le Province Autonome italiane e di Responsabilità Sociale Rai. Con la media partnership di TG1, RAI TGR, RAINEWS24, che assicureranno ampia informazione e una copertura capillare. Si ringraziano, infine, Regione Lazio, Regione Lombardia, Regione Puglia, Provincia Autonoma di Trento, Fondazione Carical e Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia per il contributo concesso. Il Fondo Ambiente Italiano è impegnato nella riuscita dell’evento con 125 Delegazioni, 94 Gruppi FAI, 94 Gruppi FAI Giovani e 2 Gruppi FAI ponte tra culture. Ad affiancarli, nell’accogliere e accompagnare i visitatori, ci saranno 5.000 Apprendisti Ciceroni, studenti della scuola di ogni ordine e grado che hanno scelto con i loro docenti di partecipare nell’anno scolastico a un progetto formativo di cittadinanza attiva, un’iniziativa lanciata dal FAI nel 1996, che coinvolge ogni anno studenti felici di poter vivere e raccontare da protagonisti, anche solo per un giorno, le meraviglie del loro territorio. Itinerari e aperture in Calabria Il gruppo giovani di Catanzaro invita a visitare il territorio di Maida nell’itinerario Rievocando la storia: tra antiche suggestioni contadine e signorili palazzi d’epoca. Un luogo ricco di storia, come testimoniano i suoi Palazzi, in particolare quelli sorti tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento. Maida è anche nota per la sua antica tradizione rurale. Si segnala a Vena di Maida la mostra permanente legata alle tradizioni arbëreshë e contadine locali. 11 aperture: Castello Normanno, Chiesa di Santa Maria Cattolica, Chiesa di San Nicola de Latinis, Chiesa di Gesù e Maria e Convento dei Padri Minimi, Laura Basiliana, Palazzo Farao, Palazzo Vitale, Palazzo Ciriaco, Palazzo Romeo, Arco di Sant’Antonio. Il gruppo giovani di Vibo Valentia con l’itinerario Mongiana: antica sintesi di industria e natura propone una visita nel cuore delle tradizioni montane del comprensorio delle Serre, per scoprire un territorio ricco di risorse naturali, di storia di eccellenza, di uomini che hanno benevolmente segnato lo sviluppo ed il destino di questo borgo. Un’occasione per compiere un viaggio nella storia dell’eccellenza siderurgica calabrese di età borbonica ma anche nella biodiversità che caratterizza e impreziosisce la nostra regione. 3 aperture: Fabbrica d’Armi Borbonica, Reali Ferriere, Parco di Villa Vittoria Dal Bocs Museum ai Bocs Art : contaminazioni artistiche nel centro storico è l’itinerario proposto dal gruppo giovani di Cosenza alla scoperta del quartiere della creatività alle porte del centro storico della città bruzia composto da 27 studio-box, in cui vengono ospitati in residenza artisti e intellettuali contemporanei, che nel corso della loro permanenza realizzano opere che vengono poi conservate ed esposte presso il BoCs Art Museum. 3 aperture: Complesso di San Domenico, Bocs Art Museum, Bocs Art Residenze Artistiche. Il gruppo giovani di Reggio Calabria presenta l’itinerario Palazzo Alvaro: uno scrigno pieno di tesori. Palazzo Corrado Alvaro è un monumento di particolare rilievo storico-artistico, non solo per via della sua magnificente architettura eclettica, ma anche perché custodisce al suo interno opere d’arte di grande interesse dei maggiori artisti reggini e calabresi dell’epoca quali Francesco Jerace, Giuseppe Renda, Giuseppe Benassai e Alessandro Monteleone. 1 apertura: Palazzo Alvaro Il gruppo giovani Locride e Piana propone l’itinerario Belle Époque e liberty a Gioiosa Jonica: architetture e protagonisti tra ‘800 e ‘900 e una mostra sul Liberty di fine ‘800 e inizio ‘900 a Gioiosa Ionica. 7 le aperture che daranno conto dell’importante fioritura artistica a Gioiosa Ionica a cavallo tra XIX e XX secolo: Palazzo dei baroni Macrì, Casina dei nobili, Piazza Plebiscito, Piazza Vittorio Veneto, Palazzo Macrì in Via Amaduri, Palazzo Greco, Oratorio confraternale di Maria Santissima Addolorata. Le Giornate d’Autunno costituiranno un’occasione speciale per visitare la Riserva naturale biogenetica dei Giganti della Sila, unico bene FAI in Calabria, in località Croce di Magara, nel comune di Spezzano della Sila. Nell’area si conservano alberi alti fino a 45 metri, dal tronco largo 2 e dall’età straordinaria di 350 anni, testimoni delle antiche selve silane. Un bosco ultracentenario con oltre 60 esemplari di pini larici e aceri montani piantati nel XVII secolo dai Baroni Mollo.
Le Giornate FAI d’Autunno compiono otto anni e sono sempre in crescita come offerta e presenza sul territorio. Sono giovani perché animate e promosse proprio dai Gruppi FAI Giovani, che anche per quest’edizione hanno individuato itinerari tematici e aperture speciali che permetteranno di scoprire luoghi insoliti e straordinari in tutto il Paese. Un weekend unico, irrepetibile, che sabato 12 e domenica 13 ottobre 2019 toccherà 260 città, coinvolte a sostegno della campagna di raccolta fondi del FAI – Fondo Ambiente Italiano “Ricordati di salvare l’Italia”, attiva a ottobre. Due giorni per sfidare la capacità degli italiani di stupirsi e cogliere lo splendore del territorio che ci circonda, invitando alla scoperta di 700 luoghi in tutta Italia, selezionati perché speciali, curiosi, originali o bellissimi. Saranno tantissimi i giovani del FAI ad accompagnare gli italiani lungo i percorsi tematici espressamente ideati per l’occasione. Itinerari a tema, da percorrere per intero o in parte, che vedranno l’apertura di palazzi, chiese, castelli, aree archeologiche, giardini, architetture industriali, bunker e rifugi antiaerei, botteghe artigiane, musei e interi borghi. Le Giornate FAI d’Autunno sono, quindi, il risultato della forza e dell’entusiasmo delle nuove generazioni, simbolicamente incarnata in quel giovane che, duecento anni fa, a ventun anni, scrisse i versi immortali dell’Infinito: Giacomo Leopardi. Per questo l’edizione 2019 è dedicata a lui e alla sua poesia, patrimonio collettivo della cultura italiana. Ogni visita prevede un contributo facoltativo, preferibilmente da 2 a 5 euro, a sostegno dell’attività della Fondazione. Durante le Giornate FAI d’Autunno in via eccezionale anche i Beni FAI saranno accessibili a contributo facoltativo. Per gli iscritti FAI e per chi si iscriverà per la prima volta – a questi ultimi sarà dedicata la quota agevolata di 29 euro anziché 39 – saranno riservate aperture straordinarie, accessi prioritari, attività ed eventi speciali in molte città. La quota agevolata varrà anche per chi si iscriverà per la prima volta tramite il sito www.fondoambiente.it dal 1° al 20 ottobre. L’ottava edizione delle Giornate FAI d’Autunno si svolge con il Patrocinio della Commissione europea, del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, di tutte le Regioni e le Province Autonome italiane e di Responsabilità Sociale Rai. Con la media partnership di TG1, RAI TGR, RAINEWS24, che assicureranno ampia informazione e una copertura capillare. Si ringraziano, infine, Regione Lazio, Regione Lombardia, Regione Puglia, Provincia Autonoma di Trento, Fondazione Carical e Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia per il contributo concesso. Il Fondo Ambiente Italiano è impegnato nella riuscita dell’evento con 125 Delegazioni, 94 Gruppi FAI, 94 Gruppi FAI Giovani e 2 Gruppi FAI ponte tra culture. Ad affiancarli, nell’accogliere e accompagnare i visitatori, ci saranno 5.000 Apprendisti Ciceroni, studenti della scuola di ogni ordine e grado che hanno scelto con i loro docenti di partecipare nell’anno scolastico a un progetto formativo di cittadinanza attiva, un’iniziativa lanciata dal FAI nel 1996, che coinvolge ogni anno studenti felici di poter vivere e raccontare da protagonisti, anche solo per un giorno, le meraviglie del loro territorio. Itinerari e aperture in Calabria Il gruppo giovani di Catanzaro invita a visitare il territorio di Maida nell’itinerario Rievocando la storia: tra antiche suggestioni contadine e signorili palazzi d’epoca. Un luogo ricco di storia, come testimoniano i suoi Palazzi, in particolare quelli sorti tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento. Maida è anche nota per la sua antica tradizione rurale. Si segnala a Vena di Maida la mostra permanente legata alle tradizioni arbëreshë e contadine locali. 11 aperture: Castello Normanno, Chiesa di Santa Maria Cattolica, Chiesa di San Nicola de Latinis, Chiesa di Gesù e Maria e Convento dei Padri Minimi, Laura Basiliana, Palazzo Farao, Palazzo Vitale, Palazzo Ciriaco, Palazzo Romeo, Arco di Sant’Antonio. Il gruppo giovani di Vibo Valentia con l’itinerario Mongiana: antica sintesi di industria e natura propone una visita nel cuore delle tradizioni montane del comprensorio delle Serre, per scoprire un territorio ricco di risorse naturali, di storia di eccellenza, di uomini che hanno benevolmente segnato lo sviluppo ed il destino di questo borgo. Un’occasione per compiere un viaggio nella storia dell’eccellenza siderurgica calabrese di età borbonica ma anche nella biodiversità che caratterizza e impreziosisce la nostra regione. 3 aperture: Fabbrica d’Armi Borbonica, Reali Ferriere, Parco di Villa Vittoria Dal Bocs Museum ai Bocs Art : contaminazioni artistiche nel centro storico è l’itinerario proposto dal gruppo giovani di Cosenza alla scoperta del quartiere della creatività alle porte del centro storico della città bruzia composto da 27 studio-box, in cui vengono ospitati in residenza artisti e intellettuali contemporanei, che nel corso della loro permanenza realizzano opere che vengono poi conservate ed esposte presso il BoCs Art Museum. 3 aperture: Complesso di San Domenico, Bocs Art Museum, Bocs Art Residenze Artistiche. Il gruppo giovani di Reggio Calabria presenta l’itinerario Palazzo Alvaro: uno scrigno pieno di tesori. Palazzo Corrado Alvaro è un monumento di particolare rilievo storico-artistico, non solo per via della sua magnificente architettura eclettica, ma anche perché custodisce al suo interno opere d’arte di grande interesse dei maggiori artisti reggini e calabresi dell’epoca quali Francesco Jerace, Giuseppe Renda, Giuseppe Benassai e Alessandro Monteleone. 1 apertura: Palazzo Alvaro Il gruppo giovani Locride e Piana propone l’itinerario Belle Époque e liberty a Gioiosa Jonica: architetture e protagonisti tra ‘800 e ‘900 e una mostra sul Liberty di fine ‘800 e inizio ‘900 a Gioiosa Ionica. 7 le aperture che daranno conto dell’importante fioritura artistica a Gioiosa Ionica a cavallo tra XIX e XX secolo: Palazzo dei baroni Macrì, Casina dei nobili, Piazza Plebiscito, Piazza Vittorio Veneto, Palazzo Macrì in Via Amaduri, Palazzo Greco, Oratorio confraternale di Maria Santissima Addolorata. Le Giornate d’Autunno costituiranno un’occasione speciale per visitare la Riserva naturale biogenetica dei Giganti della Sila, unico bene FAI in Calabria, in località Croce di Magara, nel comune di Spezzano della Sila. Nell’area si conservano alberi alti fino a 45 metri, dal tronco largo 2 e dall’età straordinaria di 350 anni, testimoni delle antiche selve silane. Un bosco ultracentenario con oltre 60 esemplari di pini larici e aceri montani piantati nel XVII secolo dai Baroni Mollo.
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jamariyanews · 7 years
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Le menzogne occidentali sul terrorismo islamico
12 febbraio 2017
Qui un articolo ben documentato e molto chiaro in merito all’andamento delle vicende che riguardano il cosiddetto Stato islamico negli ultimi tempi. Purtroppo sono un disordinato e non mi riesce facile trovare quanto vado scrivendo (a volte non so bene nemmeno dove ho cacciato lunghi articoli di carattere teorico, figuriamoci gli altri).
Tuttavia, ricordo di avere più volte scritto, pur non facendo previsioni a breve periodo, che alla fine anche l’Isis sarebbe entrato in quella fase “di stanca” e progressivo esaurimento che ha già colto Al Qaeda, malgrado ogni tanto ancora si torni a parlare di qualche non vivida fiammata di tale organizzazione, cui – ricordiamocelo – viene ancora attribuito l’abbattimento delle due Torri gemelle l’11 settembre del 2001; e il cui presunto capo (Bin Laden), dopo anni di “residenza coatta” a pochi Km. da Islamabad (di fatto prigioniero dei pakistani, ma certamente senza avere troppi fastidi né pressioni di consegna da parte americana), sarebbe stato ucciso dai Navy Seals perché stava per opporre resistenza alla cattura e prendere in mano un mitra.
Si ricordi la ben nota sceneggiata di Hillary Clinton e altri maggiorenti politici e militari che avrebbero assistito via TV alla cattura ed effettivo assassinio del presunto capo di Al Qaeda, di cui si era scoperto infine il “covo” (in realtà era prigioniero dei pakistani e dunque anche degli americani, che lo tenevano in serbo per le varie evenienze elettorali del presidente Obama).
Hillary lanciò il ben recitato “wow”, quando gli “alti” spettatori finsero di vedere la soluzione finale. In realtà, sono convinto che, quando si ritenne opportuno chiudere la parentesi di Al Qaeda per inneggiare all’ottimo comportamento delle forze di sicurezza americane (in modo che il popolo potesse sentirsi più tranquillo e grato ai “delicati” personaggi che lo governano e prendono in giro), Bin Laden venne prelevato, accoppato e se ne fece sparire il corpo “a scanso di equivoci”. Del resto, siamo abituati allo specifico genere di criminalità in uso negli Stati Uniti, dove politica e gangsterismo hanno ormai una lunga vita “coniugale” (senza quei facili “divorzi” che coinvolgono attori e cantanti).
Perché ho rifatto questa più lontana “istoria”? Per il semplice fatto che è ora di finirla con tutte queste menzogne sul terrorismo islamico. Non vi è dubbio che – data la situazione venutasi a creare con tutto il caos provocato nel mondo islamico dopo l’attacco degli Usa all’Afghanistan, seguito da molti altri disordini voluti dagli Usa (anche, non scordiamocelo, ai confini della Russia, in Cecenia e nelle Repubbliche centroasiatiche in particolare), che hanno poi trovato speciale accelerazione nel 2011 con l’infame “primavera araba”, approvata pure dai farabutti della presunta “sinistra radicale” europea e italiana (quanto deve essere riscritta la storia degli ultimi anni!) – vi è stata senza dubbio la “fiammata” islamica, che ha conquistato perfino alcune migliaia di “spostati” in paesi europei (ma si tratta di una netta minoranza dei “combattenti”).
Resta il fatto che i capi di tale “fiammata” sanno bene quali rapporti intrattengono con i dirigenti Usa e di una serie di paesi arabi (a questi ultimi strettamente legati), da cui sono stati ampiamente alimentati e foraggiati per una serie di finalità non ancora del tutto note.
Nel gioco sono probabilmente entrate anche le rivalità tra le due subpotenze turca e iraniana. Si sono comunque verificate molte manovre, dal nord Africa e verso il Medioriente, che si sono concentrate pure sul tentativo di buttare giù Assad in Siria e sulla fortissima tensione creata in Irak, ecc. Gli esaltati dalla religione islamica si entusiasmano e vanno in giro a fare i suicidi; ma i loro capi sanno bene di che si tratta, prendono accordi con chi di dovere e si destreggiano in mezzo ai giochi in questione.
E gli intellettuali e giornalisti, ecc., difensori della “nostra civiltà”, fanno da cassa di risonanza (alcuni, pochi, in buona fede, altri perché sono dei tirapiedi degli Usa e genia “di contorno”), stonandoci la testa e raccontandoci che, al massimo a metà secolo, saremo tutti in mano all’Islam. Bene, io faccio una previsione diversa e poi i più giovani diranno chi ha avuto ragione. Nel giro di un ventennio (mi prendo largo) passeremo dal multipolarismo in tendenziale crescita (un assetto mondiale in cui ancora una potenza è superiore alle altre; un po’ come tra guerra civile americana e primo decennio del ‘900) al policentrismo conflittuale acuto del tipo di quello caratterizzato dalle due guerre mondiali del ‘900.
Come sarà in questa fase storica il conflitto per la supremazia mondiale, quali altre fasi di “assestamento” vi saranno, ecc., non lo so prevedere. Dico solo che non è il “destino islamico” quello che ci aspetta, ma qualcosa di ben diverso e che altre volte si è visto nella storia di questo nostro mondo. Tutto sarà assai diverso nelle forme, ma la sostanza del conflitto per la supremazia sarà invece abbastanza simile.
Una delle solite code. Nessuno ha ancora riflettuto abbastanza sul fatto che, nel periodo più acceso del “terrorismo islamico”, l’Italia è stata risparmiata da eventi drammatici come quelli verificatisi in Francia, Germania, ecc.; malgrado abbia accoppato uno dei loro (a Sesto San Giovanni) e malgrado i nostri “esimi” Servizi abbiano messo in allarme più volte le “istituzioni” (e la popolazione).
Chissà perché, questo mi ricorda quando ci furono (anni ’70 e dintorni) contatti di importanti politici italiani (governanti e “oppositori”) con Arafat e il “terrorismo” palestinese; fatto che ci preservò tutto sommato da pericoli estremi (si racconta di contatti tra BR e palestinesi; secondo me, altra balla propagandata dagli americani e governanti italiani per nascondere le loro manovre con alcuni membri di questo spezzone del “rivoluzionarismo” italiano, dimostratosi molto utile, ad es., nel “caso Moro”, e non solo), salvo irritare gli israeliani che ci misero sull’avviso di non esagerare con l’abbattimento dell’Argo nel novembre ’73.
Beh, per il momento terminiamo qui. Però avremo ancora modo di “divertirci” con tutti i casini che gli Stati Uniti continueranno a provocare in giro per il mondo al fine di ritardare la crescita di altre potenze “fastidiose”; fino a quando il multipolarismo non si muterà nel ben temuto policentrismo.
(di Gianfranco la Grassa – Conflitti e Strategie)
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gregor-samsung · 1 year
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“ La giornata del libraio comincia prima delle otto, quando le commesse dei negozi torinesi attendono davanti alle saracinesche ancora abbassate sotto i portici l'arrivo dei proprietari dei negozi. Uscito dal magazzino coi pacchi dei libri adorna rapidamente il chiosco arroccato attorno a una colonna dei portici, e nell'interno del chiosco, infagottato nel cappotto, rimane fino alle otto di sera. Poco per volta il freddo gli appanna la parlantina e gli cancella le idee, la parte del volto che fuoriesce dal cappotto è diventata violacea e non bastano le regolari corse al caffè d'angolo o i due passi battuti e ribattuti attorno alla colonna di cui è virtualmente proprietario, a dargli animo. Ogni tanto una richiesta specifica lo costringe ad abbandonare il chiosco per recarsi velocemente al magazzino, e allora lascia l'incarico della sorveglianza al commesso del negozio di fronte, che come ricompensa di questo servizio si accontenta di un libro giallo al sabato sera. Quando la sera fa affluire pei portici la gente in passeggio, molti sono coloro che si fermano davanti alle file dei libri usati, disposti secondo un ordine speciale per cui i vecchi clienti sanno subito riconoscere, tra gli altri, la novità arrivata in giornata. La media del venduto, almeno riguardo i libri gialli, si aggira sui quaranta giornalieri, e ora che si avvicinano le festività natalizie il libraio risfodera i classici della letteratura. L'anno scorso vendette, nei tre giorni antecedenti il Natale, 10 Promessi sposi, 15 Fiabe dei fratelli Grimm, 40 Dumas vari e più di mille gialli pubblicati anteguerra. Infatti i gialli violenti, senza mistero, senza poliziotto prodigio, hanno poco smercio, la gente preferisce ancora i Wallace agli Spillane, le complicate storie londinesi alle noiose brutalità delle avventure poliziesche americane. Anche il commercio delle riviste clandestine aumenta vertiginosamente nelle feste, e il contrabbandiere segreto, che rifornisce il libraio almeno una volta al mese si trova nell'impossibilità di ricoprire tutte le richieste. È costui un ragazzo di appena vent'anni, riformato alla visita militare, rigoglioso e astuto, quando fa visita al magazzino col suo pacco si diverte a rendere più pesante la sua presenza al proprietario del locale, che fa di tutto per toglierselo di torno. Il ragazzo è analfabeta e magari non è che il commesso di altri individui, tuttavia la permanenza in una città severa e schiva come Torino lo ha persuaso ad essere ben vestito e pettinato. A una ultima sollecitazione del libraio se ne va senza salutare. Sono le otto e comincia la smobilitazione dei libri, che ammucchiati sulle braccia e contro lo stomaco e il ventre del figlio che sorregge immobile il peso, verranno trasferiti dal libraio e dal giovane fino al magazzino. Solo alle otto di sera il giovane universitario arriva per dare una mano al padre in faccende. Arriva in automobile, e il lavoro da fare è di breve durata. Dopo mezz'ora, tirata giù la saracinesca, i due salgono in macchina e filano via, per i viali deserti della città. “
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Brano tratto dal racconto Il lettore di seconda mano pubblicato il 4 gennaio 1955 sul settimanale “Il Mondo”, quindi raccolto in:
Giovanni Arpino, Storie dell'Italia minore, Mondadori (collana Oscar Originals), 1990; pp. 97-98.
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gregor-samsung · 2 years
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“ Una domanda facile: — Come spiega quest'enorme amore per il teatro negli israeliani? [Un professore ebreo-italiano in Israele:] « Il teatro, nella Diaspora, è stato per gli ebrei un modo di ritrovarsi e di rappresentarsi. Fors'anche un modo di ipotizzare un'esistenza più vera. Ancor oggi gli ebrei di New York preferiscono abitare in città, piuttosto che nei sobborghi, dove starebbero meglio, per non abbandonare i teatri e le sale di concerti, lontano dalle quali un ebreo si sente scoperto e abbandonato. Tutti qui vogliono scrivere per il teatro. In vent'anni, più di cento novità ebraiche, cinque o sei delle quali da conservare ». Il teatro può servire anche, nei limiti del paradosso, a spiegare l'abisso che separa arabi e israeliani. Averroè, nel commento alla Poetica di Aristotile, dovendo spiegarsi il significato di tragedia e commedia, e non conoscendone esempi, si risolse nel definire la tragedia l'arte del panegirico e la commedia l'arte dell'anatema. Senza rifarsi a Renan, J. L. Borges ci spiega con molta eleganza nella sua Ricerca di Averroè, perché il filosofo arabo non poteva intendere il significato di tragedia come rappresentazione, sembrandogli assurdo che delle persone rappresentassero una storia accaduta o ipotetica invece di lasciare questo compito a un unico narratore. Comunque, l'arabo non ha teatro, oppure ogni arabo ha il suo proprio teatro personale, l'immaginazione, con la quale evita spesso la realtà. La rêverie è il rifugio teatrale dell'arabo. Ogni arabo vive il suo teatro, l'ebreo preferisce rappresentarlo. “
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Brano tratto dall’articolo pubblicato su L’Europeo il 17 agosto 1967 con il titolo «Hanno rinunciato alla televisione», poi raccolto in:
Ennio Flaiano, Un giorno a Bombay e altre note di viaggio, a cura di Rossana Dedola, Rizzoli, Milano, 1980¹; pp. 96-97.
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gregor-samsung · 2 years
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“ Alcune macchie sul muro sembravano un arcipelago, bastò mettere dei cartellini con i nomi delle isole e la parete della piccola casa contadina di Panarea, sembrò dipinta apposta come carta dell'arcipelago. I nomi delle isole erano in parte veri e in parte inventati, c'era Vulcano, Lipari, Dattilo, Basiluzzo, Panarea ma, siccome le macchie erano di più delle isole vere, così mettemmo anche Panaruzzo, Liparea, Salinea, Stromboluzzo, e via dicendo. Alberto ed io ci divertimmo molto, poi, spinti dall'interesse al gioco delle relazioni visive, osservammo gli oggetti che erano in questa piccola e quasi vuota casa, e scoprimmo che lo sportello quadrato di ferro del forno poteva sembrare uno scudo, e il frattazzo una paletta da combattimento, li esponemmo in questo modo. Pensavamo di invitare gli amici che in quel periodo erano venuti con noi a passare le vacanze estive a Panarea, all'inaugurazione di un Museo Inventato Sul Luogo. Trovammo un sasso ligneo, usato dagli indigeni come galleggiante, prima della scoperta della pietra pomice. Trovammo una presunta statuetta della moglie del pescatore (in realtà era una radice secca di una pianta di capperi); trovammo una cintura di castità eoliana, di ferro, con due fori, tutta arrugginita. Trovammo una scultura lignea raffigurante probabilmente un delfino. Trovammo una scheggia di gamba di legno da pirata, grande come una matita, dalla quale ricostruimmo un intero pirata, a disegno su di un foglio bianco con la scheggia al posto giusto nella gamba di legno (fu in questa occasione che nacquero le Ricostruzioni Teoriche di Oggetti Immaginari). Trovammo infine un Frammento di Residuo, di origine incerta e di uso ignoto, sulla spiaggia verso Stromboluzzo e lo presentammo come dono del Prof. Filicudo Filicudi, patrocinatore del Museo Inventato. La sera dell'inaugurazione, quando il cielo era ancora chiaro, poiché a Panarea in quei tempi non c'era luce elettrica, invitammo gli amici a vedere il Museo. Il Prof. Filicudo Filicudi mandò un messaggio scritto su una foglia di ficodindia, dicendo che non poteva assistere alla inaugurazione ma che avrebbe mandato le sue forbici personali per tagliare il nastro. Gli amici ammirarono il museo, Piero di Blasi fece delle fotografie, si bevve il vino locale e si mangiarono le mandorle dell'albero che stava davanti alla porta del Museo. Venne buio e tutti accesero le loro pile e si restò a conversare fino a tardi. I fiori dei capperi si aprono al buio e l'aria ne era tutta profumata. Il giorno dopo dovemmo distruggere il Museo perché cominciavano ad arrivare i turisti che lo credevano vero. “
Bruno Munari, Fantasia, Laterza, 1977¹; pp. 197-202.
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gregor-samsung · 4 days
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" Il fascismo non era, come credevano i liberali, una parentesi, una malattia pur grave ma non mortale, bensì l'esplosione virulenta di mali endemici dello sviluppo della società italiana (la mancata Riforma, il Risorgimento rivoluzione fallita, il trasformismo della classe dirigente dopo l'Unità, la prima rivoluzione industriale avvenuta a vantaggio del Nord e a danno del Sud), e di vizi cronici del popolo italiano (cinismo, indifferenza, «o Francia o Spagna purché si magna», e prima di tutto il proprio «particulare»): anche Rosselli avrebbe ripetuto il giudizio di Gobetti, per cui il fascismo è stato «l'autobiografia di una nazione che rinuncia alla lotta politica, che ha il culto dell'unanimità, che rifugge dall'eresia, che sogna il trionfo della facilità, della fiducia e dell'entusiasmo».* Ma non era neppure, come credevano i comunisti, un momento necessario e finale del grande conflitto storico tra la borghesia nell'ultima fase imperialistica e il proletariato nella sua prima fase rivoluzionaria, bensì l'espressione catastrofica e insieme irrazionale di una grande crisi di civiltà, in cui non soltanto l'Italia e la Germania ma tutto il mondo civile era stato coinvolto. Se solo un fatto rivoluzionario poteva mettere fine al fascismo, questo fatto doveva dar vita a un regime diverso tanto dalla democrazia liberale prefascista quanto dal comunismo sovietico. Questo fatto rivoluzionario era la Resistenza, purché fosse intesa non come guerra di liberazione nazionale e neppure come guerra di classe, ma come guerra popolare attraverso cui avviene non soltanto lo scardinamento del regime prefascista a cominciare dall'istituto monarchico, ma anche la rigenerazione di un popolo oppresso da secoli di governi di rapina: come guerra politica (non soltanto militare o civile) che, proprio in quanto guerra politica, avrebbe addestrato il popolo alla nuova democrazia. Uno dei compiti in cui si riconobbero la maggior parte dei gruppi che parteciparono alla Resistenza sotto l'insegna del Partito d'Azione fu quello della trasformazione della guerra di liberazione nazionale in «rivoluzione democratica», o altrimenti lo sbocco della Resistenza in una nuova società in cui fossero poste le premesse per l'attuazione di una «democrazia integrale». "
*Carlo Rosselli, Socialismo liberale, Torino, 1979, p. 117.
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Norberto Bobbio, Profilo ideologico del Novecento italiano, Garzanti (collana gli elefanti / saggi), 1990, pp. 183-184.
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gregor-samsung · 1 month
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" La donna non ha contrapposto alle costruzioni dell'uomo se non la sua dimensione esistenziale: non ha avuto condottieri, pensatori, scienziati, ma ha avuto energia, pensiero, coraggio, dedizione, attenzione, senso, follia. La traccia di tutto ciò è sparita perché non era destinata a restare, ma la nostra forza è nel non avere nessuna mitizzazione dei fatti: agire non è una specializzazione di casta, ma lo diventa mediante il potere a cui l’agire viene indirizzato. L’umanità maschile si è impadronita di questo meccanismo la cui giustificazione è stata la cultura. Smentire la cultura significa smentire la valutazione dei fatti in base al potere.
La maternità è il momento in cui, ripercorrendo le tappe iniziali della vita in simbiosi emotiva col figlio, la donna si disaccultura. Essa vede il mondo come un prodotto estraneo alle esigenze primarie dell'esistenza che lei rivive. La maternità è il suo “viaggio”. La coscienza della donna si volge spontaneamente all'indietro, alle origini della vita e si interroga. Il pensiero maschile ha ratificato il meccanismo che fa apparire necessari la guerra, il condottiero, l’eroismo, la sfida tra le generazioni. L’inconscio maschile è un ricettacolo di sangue e di paura. Poiché riconosciamo che il mondo è percorso da questi fantasmi di morte e vediamo nella pietà un ruolo imposto alla donna, abbandoniamo l’uomo perché tocchi il fondo della sua solitudine. "
Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel.
(Libro elettronico; 1ª edizione: casa editrice "Rivolta Femminile", 1970)
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gregor-samsung · 3 months
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“ Churchill, dopo un’iniziale sbandata per Mussolini (da lui ammirato anche per aver saputo tenere a bada il bolscevismo), disprezza gli italiani, li considera opportunisti e inaffidabili. L’autrice inglese Caroline Moorehead nel suo La casa in montagna. Storia di quattro partigiane scrive: «Churchill non nutriva grande considerazione neanche per i capi dei movimenti liberali che stavano facendo ritorno dopo anni di esilio, da lui liquidati come ‘storpi politici’, e metteva in guardia contro qualunque accordo avesse costretto i britannici a reggere sulle proprie spalle chi invece avrebbe dovuto reggersi da solo: gli italiani avrebbero dovuto lavorare sodo prima di poter sedere al banco delle nazioni con potere decisionale. Quello che i britannici volevano davvero era il controllo indiscusso del Mediterraneo e, alla fine, un trattato che privasse l’Italia delle sue colonie. A questo proposito venne anche coniato un acronimo: KID, ossia Keep the Italians Down (‘teniamo a bada gli italiani’)».
Ricorda il disprezzo di Churchill verso gli italiani anche lo storico inglese Paul Ginsborg, autore della Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi: «Churchill dava poca importanza all’antifascismo italiano. Di Croce aveva detto che era ‘un professore nano’ e nel febbraio 1944 fece un discorso famoso e offensivo, schierandosi a favore della monarchia e contro il CLN». Diverso è l’atteggiamento degli alleati americani, che, al contrario, tengono in una certa considerazione il CLN e sono meno prevenuti e preoccupati degli inglesi rispetto alla rapida crescita dei comunisti italiani. Ancora Ginsborg: «In questo momento la differenza tra i due alleati può forse venire espressa confrontando i differenti slogan politici da essi coniati per l’Italia. Gli inglesi proclamavano la loro intenzione di ‘prevenire epidemie e disordini’, gli americani di ‘creare stabilità e prosperità’. Non vi è dubbio su chi fosse più lungimirante». I rapporti sono complicati, dunque. “
Silvia Ballestra, La Sibilla. Vita di Joyce Lussu, Laterza (collana I Robinson / Letture), 2022¹, p. 149.
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gregor-samsung · 28 days
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“ Sono anni molto violenti a Firenze. La città è percorsa da bande di fascisti terribili, duri e fanatici, riuniti in squadracce dai nomi paurosi. Una su tutti, ‘La Disperata’, al cui soccorso arriva ogni tanto ‘La Disperatissima’, composta da squadristi di Perugia che si muovono anche fuori regione spingendosi a fare incursioni fin nelle Marche. Gentaccia pronta a usare bastone e olio di ricino senza alcuno scrupolo, teppisti, criminali come Amerigo Dumini, il capo degli squadristi che un paio di mesi dopo sequestrano e uccidono Matteotti (e che, ricorda Lussu ne La marcia su Roma, era solito presentarsi dicendo «Amerigo Dumini, nove omicidi»). Il professor Salvadori, per non mettere in pericolo la famiglia, obbedisce alla convocazione senza fare storie e va a piazza Mentana. Entra nel covo alle diciotto del primo aprile [1924] e ne esce a tarda sera, coperto di sangue e barcollante. Max, all’epoca sedicenne, che gli è andato appresso perché aveva delle lettere da impostare alla stazione e l’ha aspettato fuori, ha sentito tre brutti ceffi che ciondolano per la piazzetta dire alcune frasi inquietanti. «Occorre finirlo». «Già, ma chi l’ha comandato?» «L’ordine viene da Roma».
In quel momento Willy esce dal palazzo circondato da una dozzina di fascisti esagitati che brandiscono bastoni. Il padre, ammutolito, è coperto di sangue, e quando Max gli si fa incontro per sostenerlo e aiutarlo riceve la sua razione di botte: i picchiatori non hanno finito, la squadraccia li segue fin sul ponte Santa Trinita, vogliono buttare padre e figlio al fiume. I due si salvano solo grazie a una pattuglia di carabinieri che passa di lì per caso, e quando infine arrivano a casa a mezzanotte, malconci e umiliati, sebbene Cynthia mantenga calma e lucidità e Willy cerchi di minimizzare, lo shock è forte per tutti loro. Scrive Joyce in Portrait: “Tornarono tardi, e la scena è ancora nei miei occhi. Noi due donne (mia madre e io, mia sorella era in Svizzera), affacciate alla ringhiera del secondo piano, sulla scala a spirale da cui si vedeva l’atrio dell’entrata; e loro due che dall’atrio salivano i primi gradini, il viso rivolto in alto, verso di noi. Il viso di mio padre era irriconoscibile; sembrava allargato e appiattito, e in mezzo al sangue che gocciolava ancora sotto i capelli, si vedevano i tagli asimmetrici fatti con la punta dei pugnali: tre sulla fronte, due sulle guance, uno sul mento. Mio fratello aveva il viso tutto gonfio e un occhio che pareva una melanzana. «Non è niente, non è niente», diceva mio padre, cercando di sorridere con le labbra tumefatte. Capii in quel momento quanto ci volesse bene.” In quella sera drammatica che costituisce uno spartiacque nella storia della loro famiglia, Joyce fa tesoro dell’esempio dato dai genitori e dal fratello. Il padre che coraggiosamente cerca di sminuire la portata della violenza e il fratello che lo sostiene forniscono alla Joyce dodicenne «solidità, in quanto alle scelte da fare. Servì a pormi di fronte a ciò che è barbarie e a ciò che invece è civiltà». “
Silvia Ballestra, La Sibilla. Vita di Joyce Lussu, Laterza (collana I Robinson / Letture), 2022¹; pp. 13-14.
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gregor-samsung · 6 months
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“ Carismatico, coraggioso, indomito, Lussu è un figlio della Sardegna più profonda. Nato ad Armungia nel 1890, laureato in Giurisprudenza a Cagliari, amatissimo comandante della brigata Sassari (nella prima guerra mondiale ha ricevuto ben quattro medaglie dopo quattro anni di trincea per azioni sull’altipiano del Carso e della Bainsizza), ex deputato del Partito sardo d’azione, ha pagato cara, fin lì, la sua militanza, ma ha anche ottenuto una gran bella vittoria su un regime che sembra inattaccabile. Capelli e occhi neri, slanciato, elegante, occhiali dalla montatura di metallo, baffi e pizzetto, sguardo ironico e tagliente, in quel periodo si fa chiamare ‘Mister Mill’ e vive in clandestinità. Agli occhi dei giovani dell’epoca, lo dice Joyce stessa, è un personaggio leggendario, per le gesta in Sardegna e per la sua avventurosa fuga da Lipari. I fatti della Sardegna sono questi: la sera del primo novembre 1926, centinaia di fascisti hanno assediato la casa dell’avvocato Lussu. Non è un’azione isolata, è solo una delle rappresaglie che bande di fascisti organizzano in tutta Italia – devastando case, sedi di giornali, picchiando e assaltando – non appena si è diffusa la notizia dell’attentato fallito a Mussolini, avvenuto il giorno prima a Bologna per mano del sedicenne Anteo Zamboni. Lussu, che è un antifascista, ha partecipato alla secessione dell’Aventino dopo l’assassinio di Matteotti, è antimonarchico, ha lavorato a un progetto federalista-rivoluzionario per unire azionisti, repubblicani e socialisti, è nel mirino dei fascisti della sua città: l’ordine è di saccheggiarne la casa e linciarlo sul posto. L’organizzazione dell’assalto, nella sede del fascio, è durata tutta la giornata per cui c’è stato tempo e modo, per Lussu, di ricevere informazioni da voci amiche e preparare una reazione. Gli amici gli consigliano di scappare ma lui decide di restare in casa, situata nella piazza più centrale di Cagliari, lasciandola ben illuminata, «per dare un esempio di incitamento alla resistenza».
Scende in strada per vedere che succede, sente gli squilli di tromba che chiamano a raccolta i fascisti mentre la piazza si fa deserta. Risale, manda via la domestica. La città continua a serrarsi, i negozi abbassano le saracinesche, i cinema si svuotano. Al ristorante vicino casa dove va a pranzare, il cameriere – che è stato un suo soldato durante la guerra e ora è diventato fascista ma nutre ancora grande rispetto del capitano – lo scongiura di partire subito. La sentenza contro Lussu è stata emessa e lo sa tutta Cagliari. Persino gli inquilini del suo palazzo, tra cui un magistrato di Corte d’appello, si chiudono e tacciono terrorizzati. «Incominciai a preparare la difesa. Un fucile da caccia, due pistole da guerra, munizioni sufficienti. Due mazze ferrate dell’esercito austriaco, trofei di guerra, pendevano al muro». Due giovani amici e compagni si presentano per aiutarlo ma lui li congeda senza discutere. Spegne la luce e si avvicina alla finestra. Assiste alla devastazione della sede della tipografia del giornale «Il Corriere» all’angolo, poi a quella dello studio dell’avvocato Angius. Quindi risuona il grido «Abbasso Lussu! A morte!». È sorpreso di riconoscere tra gli assalitori persone che conosce bene, di cui è stato amico o compagno di scuola. La colonna si divide in tre parti e l’attacco arriva da tre punti: una squadra sfonda il portone e sale dalle scale, una cerca di entrare da un cortile sul retro, l’ultima si arrampica dai balconi. «Confesso che, nella mia vita, mi sono trovato in circostanze migliori. I clamori della piazza erano demoniaci. La massa incitava gli assalitori dalle finestre con tonalità di uragano». Lussu lancia un primo avviso, grida «Sono armato!» da dietro le persiane. Poi, mira e spara al primo che arriva sul balcone. Un giovane fascista, Battista Porrà, colpito a morte piomba giù, sul selciato della piazza. Gli altri scompaiono in un lampo. Nonostante lo svolgimento dei fatti dimostri la legittima difesa (e infatti verrà assolto) e nonostante l’immunità parlamentare, Lussu viene portato in carcere. Ci vorrà un anno prima di arrivare a sentenza ma l’ordine di scarcerazione immediata è seguito da un ordine di domicilio coatto. Lussu è condannato alla pena di cinque anni di confino per misure di ordine pubblico e definito «avversario incorreggibile del regime». “
Silvia Ballestra, La Sibilla. Vita di Joyce Lussu, Laterza (collana I Robinson / Letture), 2022¹; pp. 31-33.
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gregor-samsung · 2 months
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“ Quella sera cenammo e sedemmo nell’orto. Non s’aveva notizie degli altri. Per mezzanotte si doveva radunarci un’altra volta. Aspettavo Giuseppe. – Suona un po’ di chitarra, – mi disse. – Se davvero sei stato studente, – gli chiesi, – e tuo padre era un borghese, come va che lavori con noi? Perché hai dovuto scappare? Non ti conviene che in Italia c’è il fascismo? – Tutte le classi hanno dei matti, – disse lui. – Se non fosse cosí, saremmo ancora a Roma antica. Per cambiare le cose ci vogliono i matti. Ti sei mai chiesto cos’è un matto a questo mondo? Poi mi disse: – Anche tu sei un matto. Ti conviene il lavoro che fai? Se rischi il muro o la galera, chi ti paga? – Siamo tutti sfruttati… – Chi ti sfrutta? la Gina? Parlava brusco e divertito. Avevo voglia di rispondergli. – Voglio dirti una cosa, – mi fece. – C’è questa sola differenza tra noi due: quello che a me è costato mesi di sudori per decidermi e libracci e batticuori, tu e la tua classe ce l’avete nel sangue. Sembra niente. – Difficile è stato trovarli, i compagni. – E perché li hai cercati? Speravi qualcosa? Li hai cercati perché avevi l’istinto. – Quei pochi libri vorrei leggerli. Se un bel giorno le scuole saranno per noi… – Non è molto il guadagno dei libri. Ho visto in Spagna intellettuali far sciocchezze come gli altri. Quel che conta è l’istinto di classe. Parlavamo cosí, dentro l’orto. Non era buio ma i lampioni s’accendevano a distanza. Qualche finestra s’era accesa. Pensare che Scarpa partiva domani, mi faceva un’invidia. Tante cose poteva insegnarmi. “
Cesare Pavese, Il compagno, Einaudi (collana Tascabili Letteratura n° 33), 1993 [1ª ed.ne 1947]; pp. 125-126.
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