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#elettroshock
lostdeviantartfilm · 17 days
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this mess we're in
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pathosformel · 1 year
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Abbiamo lasciato Italo perplesso e un poco spaesato ne “Il melodramma dell’inseguimento”. Spaurito e confuso voleva sparire. Ma ogni artista vuol essere visto, scoperto, spesso e volentieri essere letto. #italomarzo #maxmanz #sogno #avventura #elettroshock #irmavep dalla mia newsletter link in bio. (presso Bologna, Italy) https://www.instagram.com/p/CnhHzIyM9VV/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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marinagalatioto · 2 years
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Giornata Mondiale contro elettroshock 16 maggio
Giornata Mondiale contro elettroshock 16 maggio
Per la rubrica accadde oggi, ricordiamo la Giornata Mondiale contro l’elettroshock o TEC. Nel post ti spiego cos’è di preciso e perché combatterlo. (more…)
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abbattoimuri · 2 years
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Sono una "madre cattiva" e volevano farmi l'elettroshock
Sono una “madre cattiva” e volevano farmi l’elettroshock
Un’altra madre cattiva si unisce al coro: Lei scrive: Vorrei partecipare alla discussione sulle madri cattive. Io sono una di loro. Ho partorito una bambina che ho sentito subito come estranea. Non sentivo alcun istinto materno e non avevo alcuna voglia di restare con lei. I miei familiari mi dicevano che era normale all’inizio sentirsi così distaccate e continuavano a propormi il volto di…
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rei-the-head-shaker · 5 months
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Feeling a bit of nostalgia towards this manga...
It is one of my favourites since the first time I read it years ago! I've already re-read it a bunch of times, and I keep coming back to it! 🥹❤️
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angelap3 · 1 month
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Questa giovane ragazza che vedete in foto ha passato molto tempo rinchiusa in ospedale, rintontita da dosi eccessive e spropositate di Serenase, un potente antipsicotico, somministratole per anni e anni. Valium, in endovena, in dosi massicce, anche fino a sei iniezioni al giorno, elettroshock. Legata mani e piedi al letto di un un' ospedale, lasciata per giorni tra feci e urina a marcire tra le lenzuola di una stanza, dimenticata da tutti.
Ha amato solo un uomo, più della scrittura, Dino Campana. È stata la più grande Poetessa del Novecento.
Il suo nome era Alda.
Il suo cognome, Merini...❤️
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vividiste · 7 months
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Nel Manicomio in cui fui ricoverata esistevano gli orrori degli elettroshock. Ogni tanto ci assiepavano dentro una stanza e ci facevano quelle orribili "fatture".
Io le chiamo fatture perché non servivano che ad abbrutire il nostro spirito e le nostre menti.
Più di una volta il dottor G. venne a prendermi per un braccio e a portarmi via da quel supplizio. Io cominciavo a piangere e poi finivo col pisciarmi addosso, tanta era stata la paura.
Per il resto le altre ammalate cominciarono ad odiarmi.
Le cure che mi prodigava il dottor G. a loro sembravano eccessive.
Non riuscivano a capire chi fossi, e in fondo mi disprezzavano. E invece io le ripagavo di grande, infinito Amore perché ancora oggi amo i malati di mente. E c'era una vecchia che quando mi passava davanti mi mollava dei sonori ceffoni.
Ma io quella mano gliela prendevo e gliela baciavo perché poteva essere la mano di mia madre che persi in tenera età.
Alda Merini 🌻
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Fonte fb
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alceme · 2 months
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è un elettroshock metaforico
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fridagentileschi · 1 year
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RICORDANDO ALDA...E L'INUMANITA' DI MOLTISSIMI MEDICI..
"In quel manicomio esistevano gli orrori degli elettroschock Ogni tanto ci assiepavano dentro una stanza e ci facevano quelle orribili fatture. Io le chiamavo fatture perché non servivano che ad abbrutire il nostro spirito e le nostre menti. La stanzetta degli elettroshock era una stanzetta quanto mai angusta e terribile; e più terribile ancora era l’anticamera, dove ci preparavano per il triste evento.
Ci facevano una premorfina, e poi ci davano del curaro perché gli arti non prendessero ad agitarsi in modo sproporzionato durante la scarica elettrica. L’attesa era angosciosa. Molte piangevano. Qualcuna orinava per terra."
Alda dirà con fierezza di essere la poetessa della vita, e non la poetessa della pazzia. Descriverà minuziosamente quegli anni senza rimpiangersi o piangersi addosso. Ci fa conoscere le umiliazioni ed i maltrattamenti inferti da parte di medici ed infermieri ledendo la libertà e l’umanità dei soggetti internati. Ciò avverrà nel libro ”L’altra verità. Diario di una diversa”
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ambrenoir · 5 months
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VERGOGNOSO QUANTO ABBIA SOFFERTO
Ero una sposa e una madre felice
«Quando venni ricoverata per la prima volta in manicomio, ero poco più di una bambina, avevo sì due figlie e qualche esperienza alle spalle, ma il mio animo era rimasto semplice, pulito, in attesa che qualche cosa di bello si configurasse al mio orizzonte; del resto, ero poeta e trascorrevo il mio tempo tra le cure delle mie figlie e il dare ripetizione a qualche alunno, e molti ne avevo che venivano e rallegravano la mia casa con la loro presenza e le loro grida gioiose.
Insomma, ero una sposa e una madre felice, anche se talvolta davo segni di stanchezza e mi si intorpidiva la mente. Provai a parlare di queste cose a mio marito, ma lui non fece cenno di comprenderle e così il mio esaurimento si aggravò e, morendo mia madre, alla quale io tenevo sommamente, le cose andarono di male in peggio, tanto che un giorno, esasperata dall’immenso lavoro e dalla continua povertà e poi, chissà, in preda ai fumi del male, diedi in escandescenze e mio marito non trovò di meglio che chiamare un’ambulanza, non prevedendo certo che mi avrebbero portata in manicomio.
Fu lì che credetti di impazzire
Ma allora le leggi erano precise e stava di fatto che ancora nel 1965 la donna era soggetta all’uomo e che l’uomo poteva prendere delle decisioni per ciò che riguardava il suo avvenire.
Fui quindi internata a mia insaputa, e io nemmeno sapevo dell’esistenza degli ospedali psichiatrici perché non li avevo mai veduti, ma quando mi ci trovai nel mezzo credo che impazzii sul momento stesso: mi resi conto di essere entrata in un labirinto dal quale avrei fatto molta fatica a uscire.
Mi ribellai. E fu molto peggio
La sera vennero abbassate le sbarre di protezione e si produsse un caos infernale. Dai miei visceri partì un urlo lancinante, una invocazione spasmodica diretta ai miei figli e mi misi a urlare e a calciare con tutta la forza che avevo dentro, con il risultato che fui legata e martellata di iniezioni calmanti.
Non era forse la mia una ribellione umana? Non chiedevo io di entrare nel mondo che mi apparteneva? Perché quella ribellione fu scambiata per un atto di insubordinazione? Un po’ per l’effetto delle medicine e un po’ per il grave shock che avevo subito, rimasi in istato di coma per tre giorni e avvertivo solo qualche voce, ma la paura era scomparsa e mi sentivo rassegnata alla morte.
Quella scarica senza anestesia
Dopo qualche giorno, mio marito venne a prendermi, ma io non volli seguirlo. Avevo imparato a risconoscere in lui un nemico e poi ero così debole e confusa che a casa non avrei potuto far nulla.
E quella dissero che era stata una mia seconda scelta, scelta che pagai con dieci anni di coercitiva punizione. Il manicomio era sempre saturo di fortissimi odori. Molta gente addirittura orinava e defecava per terra. Dappertutto era il finimondo. Gente che si strappava i capelli, gente che si lacerava le vesti o che cantava sconce canzoni.
Noi sole, io e la Z., sedevamo su di una pancaccia bassa, con le mani raccolte in grembo, gli occhi fissi e rassegnati e in cuore una folle paura di diventare come quelle là.
In quel manicomio esistevano gli orrori degli elettroshock. Ogni tanto ci assiepavano dentro una stanza e ci facevano quelle orribili fatture. Io le chiamavo fatture perché non servivano che ad abbrutire il nostro spirito e le nostre menti. La stanzetta degli elettroshock era una stanzetta quanto mai angusta e terribile; e più terribile ancora era l’anticamera, dove ci preparavano per il triste evento.
Ci facevano una premorfina, e poi ci davano del curaro, perché gli arti non prendessero ad agitarsi in modo sproporzionato durante la scarica elettrica. L’attesa era angosciosa. Molte piangevano. Qualcuna orinava per terra.
Una volta arrivai a prendere la caposala per la gola, a nome di tutte le mie compagne. Il risultato fu che fui sottoposta all’elettroshock per prima, e senza anestesia preliminare, di modo che sentii ogni cosa. E ancora ne conservo l’atroce ricordo».
Alda Merini
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pedrop61 · 1 year
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“The Phoenix Program”
“Inserivamo un tassello nel canale delle orecchie dei detenuti e la battitura attraverso il cervello li portava anche alla morte”.
Il Programma Phoenix fu operativo dal 1968 al 1972 nel corso della guerra in Vietnam, voluto da Per de Silva, capo della CIA a Saigon.
Per gli americani la vera spina nel fianco di quel conflitto fu l’appoggio incondizionato della popolazione rurale con l’Esercito popolare del Vietnam del Nord.
La CIA aveva compreso che la capacità di infiltrazione del nemico dipendeva dal sostegno della popolazione e agì colpendo coloro che collaboravano.
Si cercò di contrastare la connivenza con metodi raccapriccianti come gli stupri di gruppo, cani poliziotto addestrati per sbranare, elettroshock ottenuto collegando fili ai genitali o sulla lingua, l’annegamento simulato.
Ma la sevizia più tremenda era l’aeroplano, in cui le braccia del prigioniero erano legate dietro la schiena e la corda veniva fatta passare sopra un gancio sul soffitto, sospendendo il prigioniero a mezz’aria.
Entro il 1972 erano stati neutralizzati 82mila sospetti vietcong, la metà soppressi, mentre l’altra fetta aveva cessato di collaborare con i guerriglieri.
Per approfondire: “The Phoenix Program” di Douglas Valentine.
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pettirosso1959 · 1 year
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Adesso la gara dei media mainstream è a chi incute nel cervello degli italiani più sensi di colpa.
Noi, brutti, cattivi, disumani e razzisti, che , non favorendo gli sbarchi a braccia aperte, non essendo propensi a farci invadere da almeno mezzo miliardo di persone tra Africa e vicino oriente, "causiamo" tragedie come quelle di Crotone.
Una specie di lavaggio del cervello di una violenza inaudita , degna degli elettroshock che si praticavano nei nosocomi fino ai primi anni settanta.
Ma io non mi sento né brutto, né cattivo, né disumano, né razzista.
Non ho invitato io i migranti.
Non gli ho detto "venite, che vi offriamo vitto alloggio lavatura e stiratura" come invece fanno ogni giorno il PD, il Corriere , La Stampa, Repubblica, la 7, Rai 3 e compagnia bella.
Al contrario.
Se avessi una mega-radio, se possedessi una Tv satellitare, il mio faccione campeggerebbe mattino pomeriggio sera e notte sul video, raggiungendo quei paesi.
"Statevene nei paesi vostri. E' tutto un bluff. Non vi possiamo ospitare. Non abbiamo case da darvi, lavoro da offrirvi, soldi per mantenervi. La vostra esistenza si ridurrà a un campeggio nelle nostre piazze, a dormite sui cartoni, ad elemosine micragnose ai semafori e fuori ai supermercati".
Ma ancor più , il vero colpevole è LA POLITICA.
Quella politica che, schiava di poteri stranieri e fortissimi, nonostante il cambio di casacca al governo, nonostante la volontà CHIARA della maggioranza del popolo italiano, ancora non agisce.
Ancora non blocca le partenze, ancora non invia messaggi forti, ancora non circonda le nostre coste di navi militari pronte a respingere chiunque, dalle imbarcazioni ai salvagenti.
Niente partenze, niente morti.
E' questa l'unica VERITA' possibile.
Una verità che presuppone un coraggio, una coerenza, una voglia di andare allo scontro con il resto d'Europa e soprattutto l'onestà di non tradire i propri, stessi elettori, che non può appartenere a femminucce impaurite e sottane tremolanti, purtroppo.
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Mia madre un giorno mi ha detto "ma sai, la mia psicologa era convinta che mia madre fosse depressa. Sai poi comunque c'è la genetica, forse la mela non cade davvero lontana dall'albero" e io la guardo e penso e io? Quella doveva essere la nonna "buona", all'altra per la depressione le facevano gli elettroshock. Quindi io che dico, 2 su 2?
E. Un giorno mi dice che ha dimenticato di prendere le medicine ed è stata malissimo, piangendo disperatamente e avendo questi pensieri paranoici di essere un disturbo e un problema per tutti, convinta che le persone attorno a lei stessero solo fingendo di volerle bene e averla "perdonata"
Torno a casa e ci penso e prima o poi mi arrenderó al fatto che i miei neurotrasmettitori fanno abbastanza cagare
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edizionimedusa · 2 years
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cld1979 · 2 years
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Ci sono quelle Band che magari per un po’ di tempo tralasci un po’: hai voglia di esplorare qualcosa di nuovo, sentire sound differenti, curiosare anche in altri generi della grande famiglia del rock e, all’improvviso, ti ritrovi a pensare “È da tanto che non li ascolto, ma vuoi mica che mi abbiano stufato e nemmeno me ne sono accorto?!”. Lo pensi con timore, e anche con senso di colpa. Poi arriva veloce il giorno del concerto, quello rimandato da due anni per pandemia, ci vai, sempre con quella sensazione un po’ strana che ti accompagna…ma poi…si spengono le luci, parte il primo accordo ancora coperto dalle grida dei fan e tutto viene spazzato via: la polvere sui biglietti, il senso di colpa, l’angoscia di non ricordarti più i brani! La scarica di adrenalina dietro la schiena ti sveglia all’improvviso come un elettroshock e, improvvisamente, ti ricordi tutto! Soprattutto perché hai iniziato a seguirli, li segui e sempre li seguirai: Signore e Signori, lunga vita ai @pearljam ! 🤘🏻🎸 #pearljam #pearljamimola #imola #pearljamtour #rock #grunge #music #livemusic (presso Autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola) https://www.instagram.com/p/CfUCanxothC/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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queerographies · 6 months
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[Il Gesuita][Franco Buffoni]
Il Gesuita di Franco Buffoni A diciassette anni un esplicito coming out con mio padre mi avrebbe fatto fare la fine di Giovanni Sanfratello, il giovane compagno di Aldo Braibanti: rapito dai famigliari a Roma nel 1964 e internato dapprima in una clinica privata per malattie nervose a Modena, quindi in manicomio a Verona. ‘Curato’ con elettroshock e coma insulinici, Giovanni venne ridotto allo…
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